Lo showdown del progetto unionista europeo si è consumato nel giro di un anno, ai due estremi del continente. Da una parte il referendum greco contro il ricatto della Troika, disatteso dai suoi stessi ispiratori, i quali si sono condannati a diventare la propria nemesi. Dall’altra parte il referendum britannico, che invece si è consumato a freddo, senza spade di Damocle sulla testa. Da una parte un paese povero che non ha azzardato un’uscita a sinistra dall’UE; dall’altra parte un paese ricco che sceglie la via d’uscita a destra, al motto di «teniamo per noi il nostro welfare».
Si potrebbe chiosare: ecco a cosa ha portato la progressiva resa della sinistra storica alle logiche liberiste che sottostanno alla retorica dell’Unione. Ma trovare conferma ai pessimi presagi, per altro vecchi di vent’anni, non dà alcuna soddisfazione. Meglio allora rivolgersi alla letteratura, indulgendo nel vizio professionale, e al contempo rilevare un aspetto importante di quanto accaduto l’altro giorno in Gran Bretagna, anzi, specificamente in Inghilterra.
Se infatti si escludono scozzesi e nordirlandesi (che guardano le cose da un’angolazione diversa), i sudditi britannici che hanno votato per restare nell’Unione Europea sono quelli che vivono a Londra (ma non nell’estrema periferia della metropoli), nelle città del centro-nord, e nelle città universitarie. L’Inghilterra profonda, quella provinciale e periferica, ha visto la maggioranza dei suoi abitanti votare per “l’indipendenza” dall’Unione. Dopo oltre duecento anni l’Inghilterra è ancora attraversata dalla contrapposizione prodotta dall’avvento della rivoluzione industriale, quella tra grande città e countryside.
Le indagini sociologiche dicono che l’identikit del votante tipo a favore della Brexit è quello di una persona di mezza età (o un po’ più anziana), di reddito medio-basso e di bassa scolarizzazione, residente in piccoli centri abitati. Praticamente uno Hobbit. Non uno Hobbit colto, ricco e giramondo come Bilbo o Frodo Baggins, ma molto più simile ai loro parenti Sackville-Baggins, o a Hamfast Gamgee (il padre di Sam), insomma più nella media degli abitanti della Contea: conservatori, diffidenti, xenofobi. Quando descrisse il piccolo mondo degli Hobbit, J.R.R.Tolkien si lasciò ispirare dalla società rurale inglese di fine Ottocento, quella che aveva conosciuto da bambino e che ancora resisteva all’inurbamento e all’industrializzazione. In una lettera scrisse che la Contea «è più o meno un villaggio dello Warwickshire all’epoca del Giubileo di Diamante», quello della regina Vittoria, che data al 1897. Al referendum dell’altro giorno, lo Warwickshire – con l’eccezione della stessa città di Warwick – ha votato a maggioranza per “Leave”.
L’applicabilità dell’allegoria letteraria è ovviamente soltanto parziale. Gli Hobbit di oggi non vivono più in piccole comunità. Infatti la Gran Bretagna ha ormai compiuto la sua parabola di desocializzazione, per usare il termine di Matthew Fforde, che in un saggio di qualche anno fa sceglieva proprio il suo paese come caso di studio per mappare la crisi della società postmoderna. By the way, Tolkien avrebbe probabilmente condiviso la critica di stampo cristiano espressa dal collega oxfordiano Fforde.
Il punto è che la xenofobia e la richiesta di protezionismo non sono soltanto figlie dell’ignoranza o del basso livello d’istruzione, come alcune teste ben pettinate vorrebbero far credere (magari per arrivare a mettere in discussione il suffragio universale), ma appunto sono soprattutto conseguenza della desocializzazione, della precarizzazione dell’esistenza, dello smantellamento del welfare. Una tendenza che l’Unione Europea ha perseguito fin dal suo atto di nascita, e già anticipata dai governi conservatori inglesi degli anni Ottanta-Novanta. In assenza di un’analisi di classe e di un movimento che cambia lo stato delle cose, prendono il sopravvento la solitudine e l’incertezza, che portano a dire: “C’è poca trippa per gatti, e quella poca teniamola per noi”. Inutile prendersela con gli Hobbit perché cercano risposte egoistiche alla propria paura, l’unica cosa di cui ci si potrebbe meravigliare è che la rivolta alle logiche liberiste dell’UE si manifesti con forza soltanto adesso.
Per riprendere l’allegoria letteraria, il coro di benpensanti che cercano di giocare l’evoluta e cosmopolita Gondor contro l’arretrata Contea stecca di brutto. Anche gli ottusi e ignoranti Hobbit nel loro piccolo si incazzano e a un certo punto insorgono contro chi li ha lentamente circuiti e, con la connivenza di politici e amministratori fantoccio, si è impossessato delle leve dell’economia e dell’ordine pubblico e ha volto tutto a proprio vantaggio.
Uscendo dalla metafora, è chiaro che, date le premesse, la ribellione si esprime in maniera molto diversa a seconda dei contesti e dei paesi. Si va dalla triste parabola greca che ha visto i pretesi rivoluzionari diventare affidabili pompieri, alla Brexit, passando per la crisi politica spagnola e la grande contestazione sociale in Francia. [L’Italia è commissariata de facto dal novembre 2011, ma da noi poco si è mosso]. Ed è pure vero che non pochi dei movimenti nati sotto le stelle cadenti dell’UE mancano di una lettura radicalmente sociale e si scagliano indistintamente contro i più poveri e contro i più ricchi. Dàgli all’immigrato «scroccone» e dàgli anche alla «casta» che ci mangia in testa! È una retorica che può produrre mostri – com’è già successo nella storia d’Europa, durante il secolo scorso – proprio perché muove da contraddizioni reali e le interpreta in una chiave ambigua e confusionaria, di fatto catturando energie potenzialmente utili a mettere in crisi gli interessi del grande capitale, ma incanalandole altrove. Dalla stessa parte possono trovare spazio indifferentemente la rivendicazione del protezionismo e l’elogio della fiscalità leggera; l’esaltazione della cittadinanza e la richiesta di gerarchizzazione dei diritti (poter scegliere quanti e quali immigrati fare entrare); l’ammirazione per i capitalisti illuminati e la compassione per gli operai licenziati; l’apologia del programma di San Sepolcro e la visita alle Fosse Ardeatine.
Per dirla con i cinesi, grande è la confusione sotto il cielo, e l’unica cosa certa è che si preparano tempi duri. E interessanti. Degni di un grande romanzo, appunto, al quale si finisce per tornare.
Magari anche solo per ricordare agli Hobbit della Contea, tanto gelosi del proprio paese, la bella lezione di saggezza storiografica impartita dall’elfo Gildor Inglorion della casa di Finrod:
«Ma la Contea non appartiene solo a voi -, disse Gildor. – Altri l’hanno abitata prima degli Hobbit, e altri l’abiteranno quando non ci sarete più. Il mondo si estende tutt’intorno a voi: potete rinchiudervi in un recinto, ma non potete impedire per sempre al mondo di penetrarvi.» (Il Signore degli Anelli, Libro I, cap. III)
O anche per prestare agli intellettuali che sempre si fanno cantori delle nuove forze sorgenti e si preparano a saltare sul carro che passa, le parole dello stregone Saruman (N.B. Lo stesso Saruman che si impadronirà della Contea…):
«I Tempi Remoti non sono più. I Giorni Intermedi stanno passando. I Giovani Giorni stanno per incominciare. Finito il tempo degli Elfi, la nostra ora è vicina: il mondo degli Uomini che dobbiamo dominare. Ma abbiamo bisogno di potere, potere per ordinare tutte le cose secondo la nostra volontà, in funzione di quel bene che soltanto i Saggi conoscono. Ascoltami, Gandalf, vecchio amico e collaboratore! […] Una nuova Potenza emerge. Inutili sarebbero contro di essa i vecchi alleati e l’antico modo d’agire. Non vi è più alcuna speranza per gli Elfi, o per i Numenoreani morenti. Questa è dunque la scelta che si offre a te, a noi: allearci alla Potenza. Sarebbe una cosa saggia, Gandalf, una via verso la speranza. La vittoria è ormai vicina, e grandi saranno le ricompense per coloro che hanno prestato aiuto. Con l’ingrandirsi della Potenza anche i suoi amici fidati s’ingigantiranno; e i Saggi, come noi, potrebbero infine riuscire a dirigerne il corso, a controllarlo. Si tratterebbe soltanto di aspettare, di custodire in cuore i nostri pensieri, deplorando forse il male commesso cammin facendo, ma plaudendo all’alta mèta prefissa: Sapienza, Governo, Ordine; tutte cose che invano abbiamo finora tentato di raggiungere, ostacolati anziché aiutati dai nostri amici deboli e pigri. Non sarebbe necessario, anzi non vi sarebbe un vero cambiamento nelle nostre intenzioni; soltanto nei mezzi da adoperare”. (ib., Libro II, cap. II).
Buona lettura e buona fortuna, quindi. Anzi: Anar caluva tielyanna.
Aggiungo (senza pretesa di interpretarli, almeno per ora) qualche dato che non mi è parso di aver trovato in giro in “analisi” mainstream, Remain o Leave che siano: il voto dei quartieri di Londra a maggiore densità migrante. Perché si fa presto a dire, come la grande stampa ha fatto, che ha votato Remain chi aveva qualcosa da difendere, e Leave chi non ne aveva: bisogna anche vedere a cosa corrisponde l’avere qualcosa (nel caso dei migranti è evidente) piuttosto che non averne (il proletariato dei sobborghi). In sintesi (il dettaglio lo si può verificare su questa mappa interattiva) il Remain ha vinto nei quarieri a maggiore densità migrante (o, se vogliamo leggerla con le famose mappe interattive dell’ordine pubblico, a maggior tasso di criminalità):
Haringey (contiene Finsbury Park, zona di immigrazione turca e algerina) 75.59%
Hackney 78.5%
Brent (migranti afrocaraibici) 59.75%
Southwark (epicentro della rivolta del 2011) 72.8%
Tower Hamlets 67.5%
Lambeth 78.6%.
Per contro, i neighbourhoods di Havering, Barking & Dagenham e Bexley, dove ha vinto il Leave, sono quartieri dove l’UKIP di Farage aveva già strappato consensi al Labour: come dire, il problema non è che hanno votato come Farage, ma che votano Farage.
Grande disordine sotto il cielo, senz’altro.
La vostra è una lettura che trovo molto condivisibile, inoltre non è solo nella provincia inglese che si appoggiano certe correnti xenofobe, anche da noi è così e per motivi simili.
L’ultima citazione poi calza a penello, adattabilissima a certi discorsi sulla linea de “Più Europa per correggere l’Europa”, si legge bene il concetto spesso espresso da Tolkien, “usare l’anello per contrastare il male” che è la peggiore delle scelte possibili perché non fa che moltiplicare ombre.
Usare l’anello per contrastare il male può anche significare – come tenta di fare Saruman nel romanzo – pretendere di cavalcare l’onda, di usare strumentalmente le “potenze” emergenti, le nuove forze politiche, come vettori, “deplorando forse il male commesso cammin facendo, ma plaudendo all’alta mèta prefissa”.
E’ il ragionamento che esplicitamente o implicitamente fanno in molti e molte, affascinati dall’apertura di scenario che le nuove formazioni politiche post-unioniste stanno producendo. Accettano una certa ambiguità (e a volte manco quella) contro le minoranze (rom, immigrati), o il giustizialismo, o ancora un certo neo-nazionalismo, pensando “all’alta mèta prefissa”, convinti che “i mezzi da utilizzare” non retroagiscano sulle intenzioni. Come dicevo: nel secolo scorso questa storia si è già vista…
Si mi riferivo proprio a quella frase, nelle lettere Tolkien associa più volte quel concetto ad eventi del suo tempo.
Purtroppo dietro alla “ragionevole” accettazione di cui parli temo vi sia il male per eccellenza, ossia l’inedia, o “il nulla” per citare un altro nemico letterario.
Mancano strumenti che permettano alle forze che ora si esprimono “di pancia” di usare anche la ragione (della cui presenza sono assolutamente convinto) un tempo le ideologie svolgevano anche questo ruolo, profilassi e strutture di vario genere, ma queste han fatto la fine degli elfi, e son rimaste strade facili come l’identificazione in leader sempre più consumati e sottili (un effetto simile a quello dell’anello su Gollum, per dire).
Però, personalmente trovo molto più simili al discorsetto di Saruman alcune prese di posizione di esponenti pro-UE, stizziti dall’esito del referendum britannico e sempre più esplicitamente insofferenti verso gli strumenti democratici (che sembrano considerare superati, «l’antico modo d’agire»).
Quelli che pur criticando l’UE così com’è ne invocano il rafforzamento finalizzato a un suo improbabile miglioramento («e i Saggi, come noi, potrebbero infine riuscire a dirigerne il corso»); o quelli che transigono sospirando sul macello sociale all’europea in nome dell’ideale unitario («deplorando forse il male commesso cammin facendo, ma plaudendo all’alta mèta prefissa»); o gli esponenti dell’ex-sinistra che suggeriscono (neanche tanto tra le righe, in alcuni casi) il superamento del suffragio universale (sentendosi, verosimilmente, «ostacolati anziché aiutati dai nostri amici deboli e pigri»)…
Vero. Il “discorso di Saruman” è infatti inteso come una sorta di modello di pensiero e si adatta a una vasta casistica, e in questo risiede la sua grandezza letteraria, la sua verità poetica.
E’ perfetto l’esempio che fai di molti esponenti dell’ex-sinistra che hanno pensato – e spacciato agli altri e a se stessi – di fare entrismo nelle istituzioni dell’UE per raddrizzarla e invece sono stati a loro volta raddrizzati. E’ la solita menzogna della separazione tra mezzi e fini. Ma è anche l’idea che si debba seguire i vincitori, blandirli, pensandosi sempre più furbi degli altri. Per poi ritrovarsi a essere mosche cocchiere di un’accozzaglia politica indefinibile.
Ad ogni modo aspettiamoci pure delle sorprendenti “conversioni”, ce ne sono già in corso. Mentre la nuova tendenza post-bipolare si struttura e inizia a porsi il problema del governo, cioè del potere, saranno in parecchi ad allinearsi (sperticandosi in distinguo e specificazioni).
Anche a me il discorso di Saruman sembra simile a quello dei pro-UE: mi riferisco in particolare ai vari “intellettuali” emergenti che usano la rete o “il tubo” per fare proseliti (ah no, “followers”), perché è lì che ho visto agire questa dinamica. La cosa che però mi fa più paura è che questo discorso si mescola a una deriva che denunciavate in un altro articolo: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=22200, “La «neutralità» che difende Golia. Scienza, feticismo dei “fatti” e rimozione del conflitto”. In questo senso il commento di Myc suona ancora più sinistro: questi personaggi sono contro la deriva di Farage&Co., sono a favore del suffragio universale. MA. Ma sentono il bisogno di far capire a tutti che qualsiasi critica all’UE, per come è andata avanti finora, è infondata “scientificamente”, che il criterio più “oggettivo” su cui basarsi per creare l’unione è quello economico (non importa poi che modello economico si segua, chiaramente). Tutto “in funzione di quel bene che soltanto i Saggi conoscono”, saggi in quanto colti rispetto alla maggioranza. E qui fa buon gioco l’opposizione dei vari movimenti anti-UE e spesso – non sempre – della loro scarsa capacità di argomentazione: stesso meccanismo del contadino vs Monsanto di cui parlavate in quell’articolo citato sopra. Solo loro, in quanto saggi, capiscono, e solo loro possono darne un quadro oggettivo in quanto scientifico, perché quello che non capisce la marmaglia è che questo è il corso della storia, ci si può opporre a proprio rischio e pericolo, è solo una fase negativa della dialettica hegeliana (giuro, è quel che ho sentito dire da questi soggetti), che alla fine porterà comunque al sogno universale di Kant della pace tra i popoli. Così, oggettivamente e neutralmente, oltre che naturalmente.
Concludo con questa citazione che, ammetto, ho trovato per caso ma mi sembra riassuma bene la questione.
“L’elemento popolare “sente”, ma non sempre comprende o sa; l’elemento intellettuale “sa”, ma non sempre comprende e specialmente “sente”. I due estremi sono pertanto la pedanteria e il filisteismo da una parte e la passione cieca e il settarismo dall’altra. Non che il pedante non possa essere appassionato, anzi; la pedanteria appassionata è altrettanto ridicola e pericolosa che il settarismo e la demagogia più sfrenati. L’errore dell’intellettuale consiste nel credere che si possa sapere senza comprendere e specialmente senza sentire ed esser appassionato (non solo del sapere in sé, ma per l’oggetto del sapere) cioè che l’intellettuale possa essere tale (e non un puro pedante) se distinto e staccato dal popolo-nazione, cioè senza sentire le passioni elementari del popolo, comprendendole e quindi spiegandole e giustificandole nella determinata situazione storica, e collegandole dialetticamente alle leggi della storia, a una superiore concezione del mondo, scientificamente e coerentemente elaborata, il “sapere”; non si fa politica-storia senza questa passione, cioè senza questa connessione sentimentale tra intellettuali e popolo-nazione. In assenza di tale nesso i rapporti dell’intellettuale col popolo-nazione sono o si riducono a rapporto di ordine puramente burocratico, formale; gli intellettuali diventano una casta o un sacerdozio (così detto centralismo organico). Se il rapporto tra intellettuali e popolo-nazione, tra dirigenti e diretti – tra governanti e governati – è dato da una adesione organica in cui il sentimento-passione diventa comprensione e quindi sapere (non meccanicamente, ma in modo vivente), solo allora il rapporto è di rappresentanza, e avviene lo scambio di elementi individuali tra governati e governanti, tra diretti e dirigenti, cioè si realizza la vita di insieme che solo è la forza sociale; si crea il “blocco storico” (A. Gramsci, Il materialismo storico).
Saint-Just, please, volevo dire che concordo con molta parte di questo discorso e trovo sia un’argomentazione molto importante rispetto alla questione. Connettere i due post è estremamente importante e bisognerebbe rifletterci. Abbi pietà: sto preparando un concorso, lasciami postare e tagliami piuttosto la mano se mi distraggo ancora!
[…] mi è parso imbarazzante, per meschinità degli argomenti e per sciatteria delle forme. Con apprezzabili eccezioni, per […]
[…] Una riflessione su Hobbit, Saruman e Unione Europea (da Giap-Wu Ming Foundation). […]
Probabilmente non ho capito molto io di questo post, che mi ha l’aria piuttosto mainstream. Quindi provo a metter qui i miei dubbi anche perché confesso, è un po’ che non riesco a togliermeli dalla testa.
Siam tutti d’accordo, credo, che la Contea è certo un territorio favolistico, retto da un vago anarchismo e da una beata felicità universale nel perpetuarsi dello status quo. Chi non è contento è chi vorrebbe cambiare le cose, ma solo per avidità personale, come i S-B o per congenita infigardaggine come Sabbioso: macchiette patetiche, in fondo, che movimentano la scena. Chi si contenta, come Sam, gode, sempre come Sam. Si puo’ far risalire il quadro al conservatorismo tolkeniano, che mai avrebbe invocato rivoluzioni socialiste, ma per far cio’ aveva bisogno di una situazione di partenza relativamente pacificata e idilliaca, che certo non puo’ essere all’altezza dei protagonisti, ma è senza conflitti e senza veri vilain, e al cui equilibrio tendere dopo il ritorno (vedi il testamento pacificatore e pentito di Lobelia).
Non c’è bisogno di Shippey, con tutto l’interesse del suo lavoro sia chiaro, per individuare delle classi e dei ceti in Tolkien. Basti pensare appunto alla devozione persino irritante di un Sam, domestico quantomai letterario e sottomesso, il cui ruolo naturale è servire tutta la compagnia: Pipino gli chiede con tutta naturalezza se ha preparato bagno e colazione quando si svegliano nei boschi, si presume alzandosi un paio d’ore prima degli altri anche nella tranquillità della caverna Baggins. La festa di Bilbo lascia capire l’esistenza di una vasta classe di artigiani e organizzatori di eventi, che lui avrebbe immediatamente defenestrato e con ragione, se solo li avesse sentiti definirsi cosi’, di un servizio in qualche modo collettivo(la posta) ecc. Pero’ tutto va nel più liscio e gioviale dei modi. D’accordo.
Dopodiché gli Hobbit della compagnia non sono affatto cosmopoliti, pur appartenendo con ogni evidenza ai ceti più alti della contea. A parte forse Merry, personaggio meno trasparente degli altri, la cui gente ogni tanto passa la Frattalta per dare un’occhiata nella foresta, nessuno di loro mi pare sia mai arrivato neppure a Brea, figuriamoci uscire verso il mondo incantato. Se escono per la prima volta dalla Contea è per amicizia verso Frodo che si trova nei guai, non per la voglia di avventure che pur aveva preso Bilbo a un certo punto. Con l’eccezione di Frodo e Bilbo, non sono particolarmente colti, Sam e Pipino innanzitutto, il quale a Gran Burrone si disinteressa di mappe e itinerari. Non cosi’ Merry, ma apparentemente soprattutto per scopi pratici. Non hanno mai intenzione di fissarsi altrove, ma di tornare nella Contea, anche se M e P intessono legami permanenti con dinastie di altri luoghi, diventando di fatto più mobili di prima: faranno numerosi andirivieni con le terre aldilà della siepe. Solo con Frodo, tuttavia, l’élite internazionale ha rapporti che vadano oltre l’adorabile lato circense, toccando le vere questioni dell’ordine mondiale…
Dopodiché, approfittando in qualche modo della loro prolungata assenza, arriva Sharkey, accompagnato da tutto il suo mieloso potere vocale mediatico, per prearare un meraviglioso ritorno dei reduci. Installa un’organizzazione capitalista e dittatoriale selvaggia, con sfruttamento intensivo del lavoro, requisizione delle risorse produttive e abbassamento del tenore di vita fin nei bisogni primari. Persino la quantità di cibo e il riscaldamento sono sottoposti a un controllo poliziesco e banditesco. Il suo fine: esportare le merci prodotte grazie all’abbassamento del costo del lavoro, mantenuto in forza della riduzione in schiavitù, dell’isolamento, giacché il controllo alle frontiere è molto, ma molto più selettivo e severo di prima, della disgregazione sociale e del terrore, riservandosi integralmente i profitti e distruggendo qualsiasi altra attività che non sia sotto il suo controllo. Se non per quel tanto che basti ad avere sempre manodopera a buon prezzo, troppo disperata per pensare ad altro che ad avere paura: paura della galera, paura della fame, paura della paura, paura di pensare ad ogni cambiamento, perché non ci si puo’ sottrarre alla sua soggezione. Solo gli Hobbit che hanno conosciuto altre realtà sapranno avere la forza mentale e materiale di ribellarsi all’istante, non senza capire immediatamente che dev’essere tutta la Contea a farlo, anche quelli che annuivano e sghignazzavano all’idea che un olmo cammini, anche quei montanari del Panshir asserragliati nei Grandi Smial (isolazionismo o guerriglia?) da cui uno di loro proviene, altrimenti sarà impossibile riuscire; e essendo perfettamente consci che cio’ non significa nulla in termini di rapporti più o meno aperti con il mondo esterno, ma dei rapporti di forza in quel momento esistenti nella Contea. Questi Hobbit esperti comprendono immediatamente quale meccanismo di oppressione sia all’opera, e sono attivamente e senza esitazioni contro l’ordine di Sharkey, pur sapendo per esempio che nelle sue galere c’è anche Lotho e ne uscirà (poi si rivelerà morto, ma loro non lo sanno)… Quando si saranno liberati da soli, il re, come sempre magnanimo, decreterà che la sua dinastia non metterà mai piede nella Contea, lasciandoli al loro autogoverno.
Gli Hobbit “cosmopoliti” di oggi invece sembrano molto più interessati a sostenere Sharkey, facilitandogli la vita, accogliendone e ripetendone la propaganda, rafforzandola, accettando il suo ordine e i suoi ordini, anziché voltargli contro le armi, e più che disponibili a tenere sotto il giogo del suo letale modello produttivo tutta la loro gente.
Percio’ condivido l’interpretazione di Myc.
Per proseguire il gioco allegorico, mi pare appunto che i liberatori della Contea non portino con sé alcuna rivoluzione sociale, bensì un ripristino dello status quo ante, classista, conservativo, autarchico. E questo mi porta al nocciolo della questione, uscendo dall’allegoria: i liberatori di oggi sono portatori di una messa in dicussione del modello socioeconomico di cui l’UE si è sempre fatta tutrice e promotrice? Fatta salva l’insofferenza per un’UE percepita come un tiranno, tutte le uscite sono uguali e vanno salutate lanciando in aria il cappello? La più che giustificata insofferenza per il liberalismo magnaccione giolittiano e l’altrettanto giustificato odio per le condizioni economiche imposte alla Germania dalle potenze vincitrici della Grande Guerra hanno accompagnato l’avvento del nazi-fascismo. Non è stato un buon affare. Sarebbe il caso di ricordarselo, no?
Per questo dicevo che la voce di Saruman può adattarsi alla tendenza politica ascendente del momento, di qualsiasi momento. Ed è una brutta storia già vista.
[Postilla tolkieniana per cultori dell’opera :-)].
E’ vero che la società degli hobbit è conservatrice, tendenzialmente autarchica, classista, ignorante. E per questo gli hobbit cosmopoliti sono malvisti. Però ci sono. Se sono malvisti vuol dire che esistono: Bilbo, Frodo, Merry, Pipino, (nessuno di questi, dopo avere trascorso molti anni lontano dal luogo d’origine, morirà nella Contea né vi verrà sepolto). E io aggiungerei senz’altro lo zio materno di Bilbo, Hildifons, del quale l’unica informazione che ci viene data nell’albero genealogico della famiglia Took è che “partì per un viaggio e non tornò mai più”.
Ma all’elenco dei giramondo va aggiunto proprio Sam (un altro che non morirà nella Contea). Perché non è vero che “chi si contenta, come Sam, gode, sempre come Sam.” E’ invece vero il contrario: Sam non si contenta per niente. Impara a leggere e scrivere, nonostante lo scetticismo del padre; si interessa ai racconti di viaggio di Bilbo; il suo desiderio più recondito è andare a vedere gli Elfi, vedere creature straordinarie, fuori dal consueto. E questo suo desiderio viene sfottuto dai gretti hobbit come Sabbioso, che però sembrerebbe rappresentare la maggior parte degli abitanti della Contea, visto il successo che riscontra nel prendere in giro Sam e le sue fantasticherie.
L’intenzione di Tolkien non era quella di fare della Contea un’idillio utopico conservatore, e non l’ha fatto, non l’ha raccontata come tale. Se è indubbio che nel suo mondo non vi è traccia di lotta di classe, è altrettanto evidente che rispetto alle altre società della Terra di Mezzo, quella degli Hobbit è senz’altro la società in cui le classi hanno i contorni più sfumati, e dove un servitore può diventare sindaco ed essere rieletto sette volte. Qualcosa di impensabile nelle feudali Rohan e Gondor.
Non sono d’accordo sulla mobilità sociale di Sam. A mio giudizio si tratta solo della cooptazione da parte dell’élite di quei pochissimi individui che essa deve forzatamente integrare per perpetuarsi. Ad esempio, Frodo e Bilbo non hanno discendenza, non hanno seguito: Sam serve anche a trasmettere Casa Baggins. La sua ascensione sociale avviene in conseguenza di rischi mortali assunti non per convinzione personale ma soprattutto per sottomissione al padrone (al di là che la loro scelta sia la scelta “giusta” o meno). Tutte le sue azioni sono guidate da questo, e per questo e solo per questo viene alla fine rimeritato: la sua indiscussa essenziale fedeltà. Cosa molto cattolica, tra l’altro, quasi manzoniana. Si fa anche un mazzo enorme, per quanto positivo, alla fine dell’occupazione sharkeyana. Ma la sua accettazione dell’ordine sociale è assoluta, pur se con qualche curiosità è vero, che viene dall’aver sempre vissuto da servo in ambienti colti. Insomma, mutatis mutandis, a voler estremizzare Sam fa la figura del “nero domestico buono” della situazione. Con tutto l’amore sviscerato che tutti abbiamo qui per Tolkien, sia chiaro, e l’ammirazione per quanto ha scritto bene anche una storia di sottomissione.
In questo senso parlo, e mi rendo conto che sia approssimativo, di visione conservatrice-idilliaca, vale a dire di un ordine sociale che porta a tutti più o meno benessere e che non va alterato al momento del ritorno, bensì ripristinato. Anche la sua morte al di fuori della contea arriva solo in funzione frodiana: è l’ultimo gesto di fedeltà al padrone di sempre, pur se rimandato per alcuni anni in cui ha potuto vivere la propria vita. Non è una scelta cosciente di cosmopolitismo.
(Paradossalmente sarebbe più interessante il gesto di Aragorn sulla propria morte, ma la discussione sarebbe troppo lunga.)
Se lasciate aperti i commenti cercherò di rispondere anche agli altri fra qualche tempo, per ora non mi è possibile purtroppo.
Tra l’altro, ci vuole il permesso, anzi l’esortazione del padrone perché Sam si decida, ma solo temporaneamente, a vivere la propria vita fino in fondo, e a diventare autonomo, staccandosi dal padrone senza (troppi) sensi di colpa “non puoi essere sempre diviso in due ecc.”, anche questo è molto eloquente.
L’idea di WM4 della Contea come società divisa in classi senza lotta di classe rende bene ciò a cui Tolkien vuole tornare dopo avere eliminato la dittatura sharkeyana. Ed è ovviamente una visione limitata se rapportata al reale, dove la lotta di classe esiste. Ma la differenza fondamentale è che i “cosmopoliti” o comunque gli Hobbit che hanno visto il mondo si rendono perfettamente conto, da subito, 1) che Sharkey è un dittatore 2) che va sbattuto fuori immediatamente da un’insurrezione generale 3) che la maggior parte degli Hobbit con tutti i difetti che gli si conoscono rifiuta l’ordine di Sharkey 4) che è disposta a “difendere la libertà con il fucile, anzi con l’arco” per questo 5)che l’insurrezione va materialmente organizzata su due piedi nel contesto esistente. Non si fanno nessuna illusione sul fatto che la Contea non perderà meschinità e piccinerie, ma capiscono molto bene che Sharkey va sbattutto fuori e solo sollevando i piccini e chiusi Hobbit contro l’oppressore ciò è possibile. Poi arriva Frodo a dire che anche i sostenitori più convinti di Sharkey devono essere risparmiati ecc. I “cosmopoliti” di oggi al contrario vanno contro la Contea di cui vedono solo la dimensione più ristretta e più rappresentata, più folklorica, e ritengono di poter servirsi o governare Sharkey in funzione anticontea, visto come il male minore se non come l’antidoto agli aspetti negativi di una Contea che egli sta peraltro trasformando in un campo di macerie! Insomma la loro esperienza fuori dalla Contea non gli è servita per niente a capire la necessità di abbattere un dittatore senza starci a arzigogolare su, come fanno i quattro Hobbit reduci dalla Guerra dell’anello senza esitazione alcuna, ma a diventarne di fatto complici, agevolandogli il lavoro, facendogli da propaganda.
Premesso che anche a me le accuse a Sam di Dea del Sicomoro non paiono molto fondate (sì Sam si rivolge a Frodo col titolo di “Mister” ma non è un delitto), visto che mai nella lettura si percepisce una sua schiavitù. E’ umile, certo, ma non uno schiavo. Esistono degli schiavi nei racconti tolkieniani, ma sono descritti ben diversamente. E non dimentichiamo che Samwise Gamgee salverà da solo la missione, dove tutti prima di lui hanno fallito.
Riguardo all’Europa, è davvero difficile provare ad immaginare un futuro dignitoso.
Appartengo a quella generazione chiamata in più modi, ma anche “Erasmus”. Rispetto ai nostri genitori viaggiare in Germania, Spagna, Francia, Svezia, Repubblica Ceca, è stato più semplice, più economico e forse anche più piacevole. Non dover cambiare la moneta, andare a trovare gli amici recatisi all’estero per gli studi, conoscere persone che altrimenti non sarebbero mai entrate nella tua esistenza.
Guardando in che condizioni si trovava l'”Europa” 70 anni fa, e con essa tutte le fotografie precedenti, sino a venti secoli fa, è ovvio che alla mia generazione è stata evitata una sorte ben più terribile.
Ma è altrettanto evidente che questo progetto, anche nell’orizzonte neoliberista, ha mostrato difetti enormi. Un progetto vecchio di trent’anni, che non ha minimamente saputo adattarsi alla situazione contingente. Il dramma che è stato sotto i nostri occhi in Kosovo è rimasto “lì”, appeso nelle nostre coscienze, non ha generato riflessioni. E oggi l’Europa arbiter è sempre incapace di direzionarsi di prendere decisioni: vedere questione Ucraina, che è uscita dai notiziari, ma che presumo sia ancora ben scottante.
Ma anche sul versante culturale, aldilà degli ennemila bandi senz’altro promettenti, le idee, i romanzi, i film, la musica non stanno circolando come si potrebbe sperare. Facevamo molte più coproduzioni cinematografiche negli anni ’60, giusto per dirne una. Chiaro che con il web oggi non impiego alcuno sforzo per reperire il gruppo di musica elettronica di Monaco. Ma neanche quello di Seul, se è per questo.
Bisogna dunque separare il fumo dall’arrosto. E forse, di arrosto ne è rimasto ben poco. E buona parte di quel poco si è bruciata.
“Sentirsi europei” è sicuramente un mood di moda in questi anni, ed è un mood preferibile a tanti altri.
Ma evidentemente nasconde un enorme vuoto. Ci sentiamo distanti dalle lotte del popolo francese quanto mezzo secolo fa. E non basta un “Je suis” ogni tre mesi su Facebook a cambiare di una virgola il quadro.
E forse, visto che la vita non è un romanzo, non basta nemmeno più l’emergere del Frodo o del Bilbo di turno. Il che non guasterebbe, sia chiaro.
Mi piacerebbe andare a chiedere al Parlamento Europeo cosa stanno costruendo, in che direzione stanno andando, quale destinazione si sono programmati venticinque anni fa. Aldilà degli slogan, intendo. Ho il cupo timore, se non terrore, che nessuno lo sappia (realmente).
Non credo che questo ti rassicurerà, Ekerot, ma nelle istituzioni europee credo sappiano benissimo «cosa stanno costruendo, in che direzione stanno andando, quale destinazione si sono programmati».
Leggiti la loro bozza di «Trattato costituzionale europeo» (2003, poi accantonato causa bocciatura referendaria in Francia e Paesi Bassi), che invoca un ossimoro chiamato «economia sociale di mercato» (nel testo, il termine «mercato/i» compare 75 volte, mentre per esempio «lavoratore/i» compare solo 35 volte e «democrazia» e «democratico» in tutto 16 volte).
O leggiti la lettera di Draghi e Trichet al governo italiano del 2011 (lettera che ha partorito i tre governi italiani successivi: Monti, Letta e Renzi), che intima «aumento della concorrenza (…) piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali (…) privatizzazioni su larga scala (…) accordi al livello di impresa in modo da ritagliare i salari e le condizioni di lavoro alle [sic!] esigenze specifiche delle aziende (…) accurata revisione delle norme che regolano l’assunzione e il licenziamento dei dipendenti (…) intervenire ulteriormente nel sistema pensionistico (…) tagli orizzontali sulle spese» e via dicendo, il tutto, naturalmente, allo scopo di «ristabilire la fiducia degli investitori». Oppure guarda il lento assassinio della Grecia, privatizzata a morte a puntate in cambio di quelli che vengono ipocritamente definiti «aiuti».
Quanto al Kosovo e all’Ucraina, direi che in quei casi l’Unione Europea si è «direzionata» anche troppo, spalmandosi al 100% sulla linea di aggressione della NATO e avallando pienamente i suoi frutti: un narcostato costruito intorno alla mega-base militare USA di Camp Bondsteel, e un regime sfacciatamente fascista incaricato di fare la guerra ai russi per procura.
Insomma, non è che l’UE non abbia una politica sociale, o economica, o estera: ce le ha eccome… e sono queste.
Per questo, se Wu Ming 4 ha ragione quando fa notare che non «tutte le uscite sono uguali e vanno salutate lanciando in aria il cappello», da parte mia posso ribattere che se sono prigioniero a Cirith Ungol, il fatto che gli sgherri di Shagrat e quelli di Gorbag si scannino tra loro rappresenta comunque una buona opportunità per me… anche se né Shagrat né Gorbag sono miei amici.
Ekerot, scusa ma dove mai avrei parlato di delitto?
Chiamare mister (pure gli altri Hobbit della compagnia hanno diritto al titolo) il padrone che ti paga e pure gli amici di quello che però non ti pagano, ma che ti danno del tu (non so però se quest’ultima cosa sia visibile e come nella vo che non ho letto) per cui tu lavori e cucini, e che ti danno ordini in modo abituale, tipo “il bagno e la colazione” individua molto chiaramente un ruolo economico, anzi più d’uno, che si deve estrinsecare esplicitamente anche nel linguaggio e nelle relazioni sociali. O no?
Cmq, io parlavo di sottomissione, condizione servile e devozione, non di schiavitù. Sono cose molto più insidiose, se vogliamo.
Scusa, una domanda prima di risponderti. Ma a te il personaggio di Sam è piaciuto o no? Descrivi Gamgee come “domestico quanto mai letterario e sottomesso” e non mi pare sia proprio un complimento (al personaggio intendo, non di per sé).
Scusa problemi a rispondere non ce ne sono, ma di nuovo: dove avrei mai parlato di “delitto” o “schiavitù”?
Comunque che significa “piacere”? E’ un personaggio letterariamente riuscitissimo che si riallaccia a una lunga tradizione di rapporti servo-padrone nonché, come spiega WM4 nella sua conferenza pubblicata ieri in altro post, ai fantaccini di bassa estrazione sociale, irriducibili ma senza retorica davanti al “ciò che c’è da fare si fa” osservati da Tolkien nelle trincee della prima guerra. Tommies la cui ascnedenza potrebbe essere ancora più antica, forse arrivare ai campi di battaglia e alle flotte con cui fu costruito l’impero coloniale britannico. Coraggiosi pratici e sottomessi all’ordine dato, entro i limiti del quale fanno tutto il possibile per portare un po’ di buonsenso pratico in certe ricercatezze ideali dei loro padroni, salvando così la pelle a tutti.
E’ ottimamente inserito nell’equilibrio del romanzo.
Dopodiché se “piacere” vuol dire che il rapporto fra lui e Frodo può essere un modello o un equilibrio a cui tendere per le classi subalterne be’, certamente no, ma dovrebbe essere evidente.
Dunque, premesso che non ho ancora capito se ti sia piaciuto o meno il buon Sam (per me “piacere” significa semplicemente che ne vorresti ancora, o di più. Tipo: ti piace la pizza? Sì, perché ne mangerei ancora. Ti piace Sam? Sì, perché quando saluta Billy è una delle poche volte in cui ho pianto durante la lettura in tutta la mia vita).
Questione: “Delitto” e “Schiavitù”. Tu hai posto la questione della sottomissione, e faccio fatica a capire bene la differenza tra “servo” e “schiavo”. Quando guardavo “Downton Abbey” non è che quei maggiordomi, o le domestiche mi sembrassero tanto differenti dagli “schiavi” (che poi ci sarebbe tutta una questione etimologica da indagare dietro alle parole schiavo e servo, ma ci porta fuori tema).
Questione Sam. Io non ho mai percepito durante la lettura, neanche nel suo rapporto con Frodo, bruciare il sangue di Spartaco, o indignarmi per il modo con cui si pone rispetto al proprio ruolo “sociale”. Sam è un ragazzo curioso, che vorrebbe vedere gli Elfi, e però vive in un piccolo mondo antico. A causa del suo origliare alla finestra viene catapultato in un’avventura. Molto più tremenda di quella che capita a Bilbo.
Sam è fedele ai propri principi, ma non obbedisce “perché sì”, come se fosse un soldato rispetto agli ordini di un superiore. Certo non è Bogart e neanche un McQueen. E’ ben piantato coi piedi per terra. Si affida alle cose che conosce, è l’unico però che riesce a trovare la propria dignità in momenti che sgomentano chiunque altro. Sono alcuni dei miei passi preferiti nel romanzo. E’ il “servitore naturale della compagnia”? A me non pare proprio. Viene rispettato da tutti, e rispetta tutti. Credibilmente, salva il mondo. Non si monta la testa, non cerca la gloria. E’ un “anti-eroe” nel modo più bello forse, perché non pensa mai a sé prima che agli altri.
Quindi non capisco il senso della tua critica a questo personaggio. Legittime, perché se ti hanno irritato certi suoi comportamenti non credo sia per pregiudizio. Però davvero non riesco ad immaginare una parabola più straordinaria per un personaggio come quello di Samwise Gamgee.
A latere: se un personaggio si puo’ definire proiettato verso l’esterno agli occhi miei è Eowyn. Esogamica per scelta convinta due volte (anche se cio’ puo’ rientrare nel motivo della principessa che si sposa fuori dal regno), vuole rendersi esogena rispetto alla sua condizione di donna e al lavoro di cura che cio’ comporta (ci ritornerà alla fine, ahimé, ma Tolkien è pur sempre un cattolico tradizionalista anche se di tocco leggero, almeno in letteratura). Peraltro la sua condizione di donna è già piuttosto speciale, dato che comunque le viene affidata la reggenza, quindi il potere e che lei par esercitarlo in prima persona. E’ la sola che parta per una scelta del tutto individuale e personale, contro quel che ci aspetta da lei come sesso e come ruolo di reggente: vuole fare altro da quel che è chiamata a fare e vuole uscire di casa per costruirsi un’identità diversa da quella che le viene affibbiata. E’ consapevole dell’ambivalenza della sua scelta finaleei confronti del suo paese, infatti scherza con Faramir sulla proposta di matrimonio che la porta via dalla sua terra. Sceglie di tornarci per salutarla e seppellire Théoden ma non sceglie di viverci né probabilmente di morirvi. Ecco perché dispiace (anche) che Tolkien non parli di più delle loro vicende. E’ un personaggio anche lei tra i più moderni del romanzo, sia pure in modo molto più ambiguo di Faramir, l’equilibrio fatto persona (la donna “non ancora maturata” che ha un lato un po’ esaltato e irresponsabile cui il matrimonio metterà rimedio è assai vittoriana come concezione). Anche Luthien e Beren, soprattutto lei, sono “cosmopoliti” se vogliamo, mentre Gandalf non appartiene a nessuna terra e le sorveglia tutte.
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