Presentiamo qui l’audio dell’intervento di Wu Ming 4 in apertura del convegno tolkieniano tenutosi a Verona il 20-21 maggio scorsi, a cura dell’AIST, La Generazione Perduta: miti che nascono dalla Grande Guerra. J.R.R. Tolkien, C.S. Lewis e l’esperienza degli autori inglesi nel primo conflitto mondiale.
L’intervento dura circa cinquanta minuti e si intitola L’ombra del guerriero – guerra e antimilitarismo nella Terra di Mezzo:
L’intervento dura circa cinquanta minuti
Questo è l’indice:
– 00:00. “This is war. This is what Homer wrote about”: il grande revival del mito durante la Prima guerra mondiale e gli intellettuali in trincea.
– 07:07. Guerra di Troia e Grande Guerra: archetipo epico vs esperienza contemporanea (fordismo, alienazione, estraniamento).
– 12:34. L’autore come poeta epico e come reduce: non pacifismo, ma problematizzazione della guerra e dell’eroismo.
– 20:06. Faramir: eroismo epico vs eroismo antiepico; guerra di fronteggiamento vs guerriglia boschiva; guerra antica vs guerra contemporanea; “gloria marziale” vs “vera gloria”.
– 28:20. Il discorso di Faramir: guerra come necessità difensiva vs guerra come fucina di gloria; ripercussione sociale e culturale della guerra: militarismo.
[- 35:58] Implicita confutazione della pseudo-tesi del dumezilismo di Tolkien.
– 37:59. La liberazione della Contea e la battaglia di Lungacque: insurrezione di popolo e guerra di popolo.
– 43:40. Riflessione narrativa su violenza vs non violenza: principi morali cristiani di Frodo (“Non uccidere”) vs pragmatismo di Merry e Cotton (uccidere per non essere uccisi); sintesi: minima violenza necessaria e minimo controllo sociale necessario da parte del potere costituito.
N.B. Sono stati da poco pubblicati gli atti del convegno tolkieniano tenutosi all’università di Trento nel maggio 2015: All’ombra del Signore degli Anelli – Le opere minori di J.R.R.Tolkien (Del Miglio Editore, Verona, € 18), con interventi di R. Arduini, M. Atherton, F. Di Biasio, A. Fambrini, F. Ferrari, L. Gammarelli, S. Giorgianni, T. Honegger, T. Shippey, C.A. Testi, Wu Ming 4. A cura di Stefano Giorgianni. Si tratta dell’unica monografia sulle opere minori tolkieniane pubblicata in Italia. All’interno si trova il testo dell’intervento di Wu Ming 4 del quale avevamo già messo l’audio qui su Giap; ma vanno segnalati soprattutto gli interventi del prof. Mark Atherton (Università di Oxford) su La Caduta di Artù, e del prof. Thomas Honegger (Università Friedrich-Schiller Jena) su Sellic Spell.
Faramir meritava questa disamina attenta e condivisibile del suo antimilitarismo, essendo tra l’altro uno dei personaggi più interessanti di un romanzo che non ne ha pochi nonché uno dei motivi per cui non perdonerò mai colui che sostiene di aver tratto un film dal SdA (so che su questo non siamo per nulla d’accordo ma pazienza). Se dobbiamo parlare di SdA come di mito tolkeniano sulla guerra eliminare Faramir non ha senso in nessuna trasposizione… anche se ne ha a puro livello di sfrondo la trama alla Hollywood.
Quanto a Tolkien, pigro, tutti gli hanno detto che il libro è troppo corto, ma lui non si è mai convinto a raccontare cosa succeda a lui o alla coppia F-E (sarebbe bello essere smentita), anzi F scompare anche prima di lei dalla vicenda, che deve risolvere il conflitto di desiderio anzi desideri tra lei e Aragorn.
D’altra parte la tardiva elaborazione del personaggio di Faramir potrebbe spiegare perché sia inserito nel romanzo come in un mondo a parte: lo si vede di fatto agire nell’Ithilien bellissimo regno in seconda dove poi andrà a vivere e in un ospedale, dove si preoccupa anche lì di guerra, cioè di curare l’anima di una guerriera distogliendola da tali pensieri. C’è un passaggio in cui è incosciente e quasi morto a Rath Dinen, altro luogo a parte. Le sue gesta vengono raccontate da lontano: del resto, lui per primo non le ritiene la cosa più importante. Insomma agisce sempre “fuori” dal corpo principale della vicenda. O forse le sue idee lo collocano fuori da quel tempo. Al contrario i suoi discorsi sono un perno essenziale del senso dell’opera. Interessante lo spunto che dialoghi con i personaggi più moderni del romanzo, cioè gli Hobbit e in particolare Frodo. Forse l’unico che parli con loro in maniera così poco pratica e così introspettivamente profonda. Certo non lo fa Aragorn che pure scherza e ride con loro, o Boromir che si limita a portarli, quando non fa di peggio. Sa parlare, come fa con Eowyn, guarendola, ma non ha altri interlocutori all’infuori di loro. L’incomunicabilità con Denethor è totale e Gandalf è per lui più un maestro che non vediamo agire che un interlocutore. Tuttavia Gandalf sceglie di correre a salvarlo al posto dei cavalieri e forse dello stesso Théoden. Insomma, peccato che non sia presente più a lungo, magari nelle appendici.
Tolkien era piuttosto negato per l’indagine narrativa dei rapporti amorosi. Si può dire che tutti i rapporti d’amore che racconta sono improbabili, è quasi una cifra, una scelta. Al tempo stesso in questo limite si trova però anche la sua grande capacità di cogliere il tratto distintivo del singolo rapporto d’amore tra due individui, quasi scarnificando la relazione fino all’osso e mostrando solo quello. Un sentimento l’amore in effetti piuttosto inesplorabile (e quindi perché dannarsi a indagare…?). Se questo vale per Faramir ed Eowyn, tanto più vale per Aragorn e Arwen. Senza le appendici non sapremmo niente della loro storia travagliata. Dentro il romanzo la scena del matrimonio finale non ha pathos perché Arwen non è quasi un personaggio della storia. Se invece si leggono tutte le fonti sulla coppia, allora emerge una grande storia d’amore, e senza lieto fine, tra l’altro.
Faramir poi avrebbe dovuto avere più spazio…sì, probabilmente sì, ma Tolkien ha “scoperto” il personaggio quando era già molto avanti nella stesura del romanzo, e ha scelto di affidargli alcune riflessioni personali molto importanti, consapevole però che non avrebbe avuto il modo di espanderlo. In generale credo che non fosse scontento di questo: Faramir doveva rimanere un personaggio secondario, altrimenti avrebbe rubato la scena ad altri, soprattutto a Sam, che invece, lui sì, nel quadro complessivo della narrazione doveva spostarsi dalla seconda alla prima fila, chiudendo su di sé il focus della storia.
Per me le imperfezioni e i difetti del Signore degli Anelli fanno parte del fascino che esercita da generazioni. Prima o poi vorrei occuparmi a dovere del capitolo narrativamente più assurdo di tutto il romanzo: Il Consiglio di Elrond. Shippey se n’è occupato a lungo, ormai quindici anni fa, e credo che quegli spunti andrebbero ripresi. Quando avrò un po’ di tempo…
si’ ricordo molti di questi spunti trattati in tuoi precedenti interventi, a partire dal Consiglio-gabbia di matti. Tutto il personaggio di Elrond in sé pare uno dei più sfuggenti del romanzo e forse ambigui (a livello personale è quasi il solo che non “mi piaccia” come direbbe un altro commentatore). Il suo comportamento nei confronti della figlia, per dire, anche se non arriva alle aberrazioni di altri, ne è un esempio. Ovviamente serve a preparare il motivo letterario, favolistico e mitico dell’eroe che supera le prove per conquistare la principessa a lui superiore, ma è comunque piuttosto pesante. Quanto alle storie d’amore hai ragione. Per me la vera storia d’amore emblematica dello SdA è quella degli Ent e delle Entesse che esprime proprio questa sorta di distanza e incomprensibilità, quasi indicibilità, mista a nostalgia e attrazione.
Non so pero’ seFaramir avrebbe davvero fatto ombra a Sam, nel senso che avrebbe potuto semplicemente restare in disparte nell’Ithilien ma non sparire cosi’ drasticamente. E’ il solo personaggio, credo, a svanire nel nulla, in maniera piuttosto improvvisa, il che incuriosisce data la forza che possiede e l’importanza delle sue parole. Quando alla conclusione della guerra arriva quel lungo e bellissimo momento dei viaggi di ritorno in cui gli amici si accompagnano tra loro e si vanno reciprocamente a salutare, lui on c’è. Anche quando Eowyn gli comunica che tornerà a guardare la sua terra lui tace e ugualmente quando viene annunciato il loro matrimonio (forse non è neppure presente, non ricordo). Veramente insolito e probaiblmente non casuale, anche se forse obbligato dall’equilibrio dell’opera. Non esiste nessuna spiegazione, nessun materiale che lo riguardi nelle carte tolkeniane?
Mi è venuto in mente un altro momento che puo’ riallacciarsi al tuo discorso sull’antimilitarismo del personaggio, vale a dire il notturno quasi pittorico con il passaggio della barca elfica che trasporta il cadavere di Boromir. E’ un momento di grande potenza visiva, oltretutto. Anche li’ Faramir vive in un ambiente “a parte”: è solo, sulle sponde di un fiume, seminascosto, mentre gli altri dormono, cioè sono altrove. Ritorna la tua immagine del guerrigliero che non si espone in campo aperto e si fonde con l’ambiente che lo circonda. Inoltre è un faccia a faccia simbolico dei due modi di combattere. La barca da funerale vichingo e mitico (viene dalla terra degli elfi) lo confronta e confronta chi legge con tutto il fascino del mito guerriero di cui tu parli – e mortifero – carica com’è di armi e trofei, luminosa, memoria della morte e della gloria acquisita dall’eroe che scorre verso il mare delle Isole dei Beati (almeno per chi è cresciuto a miti greci come chi scrive qui). In fondo il miglior funerale per Boromir, circondato da tutto quel che desiderava; ma carica di domande per il fratello che al contrario di lui, dopo la più pittoresca e accattivante delle visioni, si pone soprattutto interrogativi (Tolkien era uno studioso, non un combattente dopotutto). Da quel momento vorrà capire cosa ha causato tutto questo, invece che precipitarsi ad ammazzare gli Hobbit inseguendo una cieca vendetta e obbedendo alla legge. E cosi’ arriva a capire e a sapere, padroneggiando financo l’istinto di potere smisurato che la conoscenza puo’ dare. In pratica partecipa al Consiglio di Elrond… da lontano, ancora una volta e con risultati opposti rispetto al fratello.
Ti auguro di trovare il tempo, so che vuol dire! Adesso, ad esempio, dovrei starmi occupando di tutt’altro…
P.S. la sola imperfezione vera del romanzo per me è che sia troppo corto, quindi non sviluppi a dovere certe questioni. Le altre posso pure metterle sulla categoria del fascino, ma quella li’ rimane imperdonabile!
Davvero un contributo apprezzabilissimo, complimenti. Personalmente penso che Boromir, e questo è ben evidenziato dall’intervento di Wm4, sia così sensibile al potere dell’Unico perchè pieno di una retorica militarista, della quale evoca continuamente immagini, che pretende che sia il potere delle armi ad avere l’unica possibilità di contrastare Sauron. L’epilogo della vicenda di Boromir, per quanto epico, è materiale di riflessione. La scelta della guerriglia di Faramir prima e poi di Frodo e compagni, come strategia di opposizione ad un avversario inumano, non esprime solo un valore tattico dato dalla sproporzione delle forze in campo. Esprime un valore strategico e cioè quello di avere capito e considerato che per opporsi all’orrore della guerra non bisogna produrre una simmetria ma muoversi su un piano differente. La necessità dell’uso delle armi non deve implicare, per Tolkien, l’assunzione della logica della guerra che vuole riassumere a sè e finalizzare in sè la società. Mordor, ad esempio, è una società di guerra. Nella quale si vive, si coltiva, ci si riproduce, si costruiscono macchine e si muore per la guerra. Una lezione anche per i movimenti sociali e potremmo parlare di Rojava e Chiapas per portare esempi concreti di esperienze rivoluzionarie che pur vivendo la guerra ne ripugnano la logica e la retorica. Ma la parabola non attiene solo alla guerra in senso tecnico, per quel che mi riguarda, ma al conflitto sociale in genere. Per quel che riguarda Elrond… io, nel cercare di decifrare la psicologia del personaggio, indagherei anche la vicenda di Celebrian.
Avevo già avuto modo di apprezzare in parte le riflessioni sull’antimilitarismo nell’opera di Tolkien all’intero del libro “Difendere la Terra di Mezzo”, e trovo siano davvero molto importanti ai fini di una più profonda comprensione del testo. Spesso i passaggi e i dialoghi da te evidenziati rischiano di passare in secondo piano rispetto all’immaginario epico/eroico, favorito forse anche da una trasposizione cinematografica in cui le battaglie e i momenti d’azione hanno un impatto visivo inevitabilmente più impressionante e spettacolare (a proposito del film faccio notare che uno dei passaggi chiave, quello delle riflessioni sull’Haradrim ucciso, è presente solo nell’Extended Version; altri sono assenti). Pertanto penso sia importante continuare a sviluppare il dibattito e la ricerca su questo tema, magari provando ad estendere l’indagine ad altri scritti di Tolkien. In particolare, sarebbe interessante tentare l’esperimento con il Silmarillion, ed in generale con i testi che fanno riferimento alla Prima Era, che sembrerebbero essere dominati principalmente da eroi “all’antica” e privi di personaggi “contemporanei” come gli Hobbit e Faramir.
Riguardo alle vicende dei tempi antichi forse la storia che più si avvicina a quello che dici è quella di Turin Turambar. Non c’entra il militarismo direttamente, ma lo spirito vendicativo che domina la storia e che sancisce la rovina dell’eroe-votato-a-una-causa ha un qualche legame di parentela con quanto emergerà nella Terza Era.
Bisognerebbe scandagliare la History Of Middle-Earth…
Si, sicuramente la vicenda Túrin è un altro esempio di epilogo infelice, anzi catastrofico, assegnato ad un eroe troppo facilmento seducibile da sentimenti d’ira e di vendetta; in questo possiamo ritrovare qualche parallelismo, ad esempio, con l’episodio della cieca furia di Éomer dopo la morte di Théoden, che non viene esaltato, ma anzi proposto come esempio di condotta controproducente e negativa. In effetti, anche la vicenda primaria del Silmarillion, ovvero quella di Fëanor e dei suoi figli, è dominata da sentimenti d’ira, vendetta e di dimostrazione di forza violenta, nonché caratterizzata da vari spargimenti di sangue gratuiti, e per l’appunto finisce in tragedia.
Per quanto riguarda invece il discorso relativo al militarismo, propongo un ulteriore spunto di riflessione sulla società di Númenor, che si ricollega molto bene alla distinzione da te citata tra “gloria marziale” e “vera gloria”. Infatti, se si prende in considerazione il mito dell’Akallabêth (la caduta di Númenor) contenuto nel Silmarillion, emerge chiaramente ancora una volta la predilezione di Tolkien per una gloria non acquisita in virtù di gesta belliche o di una forza militare superiore, quanto piuttosto derivante da cultura, arte e saggezza. Scrive Tolkien a proposito della civiltà di Númenor nel pieno del suo splendore: «[…]divennero grandi nelle arti, al punto che, se ne avessero avuto l’indole, facilmente avrebbero superato i malvagi re della Terra-di-mezzo nel far la guerra e forgiare armi; ma erano divenuti uomini di pace. Sovra ogni altra arte coltivavano la costruzione delle navi e l’andar per mare[…]»; in questa prima fase, i Dúnedain esprimono una società decisamente anti-militarista, che acquista “vera gloria” attraverso la cooperazione e lo scambio culturale reciproco con gli Alti Elfi di Gil-Galad e con gli uomini della Terra-di-mezzo, piuttosto che inseguire una “gloria marziale” che pure sarebbe a portata di mano. Nei secoli successivi, invece, a causa del decadimento dovuto alla paura della morte (il tema centrale del mito in questione), e ancora di più in seguito alla penetrazione di Sauron all’interno della società, la situazione cambia radicalmente, ed emerge una Númenor fortemente militarista, simile per l’appunto alla Mordor descritta da Enjorlas nel commento precedente. Scrive Tolkien: «[…]crescevano in forza, e i ricchi erano sempre più ricchi[…]. Ed eccoli ora far vela, potentemente armati, alla volta della Terra-di-mezzo, né più vi giungevano come latori di doni o anche solo quali dominatori, bensì in veste di feroci uomini di guerra».
Questa distinzione radicale tra le due fasi della civiltà Númenoreana ricalca ed anticipa in modo evidente la riflessione di Faramir sulla Gondor del suo tempo, che rischia di smarrire la strada della “vera gloria” in favore di un cieco militarismo. Ancora una volta, l’epilogo della Númenor militarista è disastroso, mentre i Fedeli (Elendil e figli, emblemi della Númenor originaria) sono attesi da un destino ben diverso, che attraverso varie fasi (tra le più significative quella in cui i Dúnedain, loro discendenti, diventano guerriglieri-raminghi ed esprimono la prima esperienza di guerriglia anti-militarista all’intero dell’universo Tolkieniano) si compirà poi col Ritorno del Re in “vera gloria”.
E’ un parallelo interessante. Del resto i gondoriani sono i discendenti dei numenoreani, e il ripetersi ciclico di alcune situazioni fa parte dell’epos della Terra di Mezzo. Si intravede anche un altro elemento nel passo che citi: la polarizzazione della ricchezza. E’ quanto accade nella Contea di Saruman, altra società “militarizzata”…anche se non ancora militarista.
Eppure anche la vicenda di Turìn ha il suo doppio, che se non è antimilitarista attraversa vicende altamente drammatiche e la devastazione portata da Morgoth al Beleriand arrivando ad un esito meno drammatico. Ed è Tuor. E suo figlio, non a caso, è Earendil che porta l’ambasciata ai Valar che si rivela decisiva per chiudere la guerra con Morgoth. Non rileggo il Silmarillion da un po’ ma secondo me anche in quell’universo narrativo, per quanto più eroico e aderente a quella che tradizionalmente è una saga, è presente in nuce una riflessione “differente” sulla guerra. O meglio, su come dentro la logica della violenza e dell’odio, che sono l’anima dei conflitti, non possa trovarsi la via d’uscita da essi.
Bella osservazione, la militarizzazione della Contea, la creazione stessa di un apparato repressivo enorme prima sconosciuto, che infatti sarà subito abolito da Frodo, va di pari passo con l’accumulazione capitalista sfrenata di Saruman e la relativa distruzione ambientale e del benessere degli altri abitanti, meglio le è funzionale, perché serve a farla progredire indisturbata, mentre tutti se la prendono innanzitutto con gli sgherri “fascisti”, percepiti come la principale oppressione e non come guardiani forse inconsapevoli di un piano economico ben altrimenti devastante.
questo post andrebbe inviato al “Venerdì”, che anche oggi non riesce a risparmiarsi di citare il SdA quale “mito intramontabile dell’estrema destra”. Ma porca p*******!
http://www.repubblica.it/venerdi/reportage/2016/10/13/news/educazione_hitleriana_viaggio_nel_paradiso_degli_econazi-149673676/
[…] «L’ombra del guerriero – guerra e antimilitarismo nella Terra di Mezzo», intervento al convegno La Generazione Perduta: miti che nascono dalla Grande Guerra. J.R.R. Tolkien, C.S. Lewis e l’esperienza degli autori inglesi nel primo conflitto mondiale, a cura di AIST e Università di Trento, Verona, 20-21 maggio 2016. […]
[…] e Università di Trento, Verona, 20-21 maggio 2016 (gli atti sono in corso di pubblicazione, ma l’audio dell’intervento è online). Ha inoltre tenuto due seminari sull’opera di Tolkien al Lucca Comics and Games (2012 e […]
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