Tolkien e l’Italia. Note sull’omonimo libro di O. Cilli, pubblicato dalle edizioni Il Cerchio, con introduzione di G. De Turris.


E’ uscito da poco, per una casa editrice dal forte orientamento ideologico, un libro che ricostruisce la storia dei rapporti tra J.R.R. Tolkien, la sua opera e il nostro paese. Wu Ming 4 lo ha recensito sul sito dell’Associazione Italiana di Studi Tolkieniani. Buona lettura.

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3 commenti su “Tolkien e l’Italia. Note sull’omonimo libro di O. Cilli, pubblicato dalle edizioni Il Cerchio, con introduzione di G. De Turris.

  1. vcs sd
    Poiché non si dovrebbe parlare di ciò che non si è letto parlerò della recensione. Premetto che faccio parte di coloro che riescono a trovare interessanti anche le scelte dai menu dei ristoranti. Non per feticismo ma per l’aspirazione, fatalmente destinata a essere frustrata, a ricostruire in ogni dettaglio un momento, un ambiente, la complessità di un personaggio. Approccio con i suoi limiti e i suoi difetti, ovviamente, ma che mi porta a capire la scelta onnicomprensiva dell’autore, senza peraltro sottovalutare l’importanza di un vaglio critico, o comunque di una valutazione finale. Operazione ardua ma indispensabile quando si deve scendere a patti con l’eterogeneità o la semplice abbondanza di una documentazione amorosamente raccolta con tempo, costi e fatica ma che per essere leggibile non può ridursi a un accumulo. Oppure fai una pregevolissima edizione di fonti, ma non un saggio critico. Oppure lo fai dopo. Ecc.: questo penso sia pacifico per tutti. Secondo punto: una buona bibliografia delle edizioni tolkeniane apparse in Italia può essere uno strumento molto utile se redatta con coerenza metodo e rigore, anche dal punto di vista della storia degli oggetti materiali che trasmettono il testo e quindi ne condizionano l’uso. Persino il colophon può dare indicazioni preziose per la diffusione e la produzione (la o le tipografie scelte dall’editore, i luoghi di stampa rispetto a quelli di edizione, la carta, le tecniche di stampa, le tirature, il numero e la data delle ristampe e delle impressioni, eventuali copyright dei traduttori ecc.: non sono mero interesse da collezionisti ma la storia della produzione editoriale, della diffusione, della traduzione, dei destinatari ecc.). Anche questo penso sia abbastanza pacifico. Quanto al personaggio che dichiara che i film di colui che pretende di aver filmato lo SdA siano meglio del romanzo, be’, meglio affidare la traduzione a chi non conosce Tolkien piuttosto che a qualcuno di tale rozzezza culturale (visiva e letteraria). Praticamente oggi viene considerato troppo “intellettuale” o magari snob, quel romanzo che negli anni Settanta sarebbe stato al centro di una “coraggiosa” iniziativa di editoria “popolare” dell’editore Rusconi! Tolkien è oggi diventato troppo “colto”, meglio lo splatter-omogeneizzato di colui. (Sì, so che il recensore lo apprezza. Io non ci riesco proprio.) Ma si tratta di una testimonianza, l’autore qui è innocente.

    Quello di cui non se ne puote veramente più è ‘sta solita solfa della lotta tra tradizione (beeeeellllllaaaaa!!!) e modernità (bruuuutttttaaaaa!!!! meticcia, erotica (!!!!) Zolla docet: ma che ossessione) che si vuole ancora nel 2016!!!! appiccicare di forza a un testo che in nessun modo la contiene, la sollecita, la autorizza, la legittima o quant’altro si voglia. Bisogna farsene una ragione: quella roba lì dentro Tolkien non c’è. Nessun libro serio potrebbe continuare a sostenere simili letture se non appunto con un approccio di storia delle mistificazioni di un testo e delle loro ragioni contingenti; e nessun autore che volesse mantenere una reputazione di valore scientifico dovrebbe ancora oggi sostenerla o veicolarla, fosse pure accettando sei pagine di prefazione, e nessun editore rigoroso nello stesso senso accettarla così com’è. Che poi la sera uno si metta a fantasticare sul castigo della provocante modernità attraverso le pagine tolkeniane sono affari suoi, tutti fantasticano sulle trame; ma appunto rientrano nella storia della mentalità o della lettura, forse, non certo in un approccio documentato. Per non parlare poi del tentativo, ma forse sono io che elaboro troppo da un accenno non sviluppato della recensione, attraverso documenti comunque interessanti e meritevoli di essere portati alla luce, di fare di Tolkien un secondo, noiosissimo, farlocchissimo caso Tomasi-Vittorini (cioè cosiddetta egemonia della sinistra comunista sull’editoria italiana del secondo Novecento). Non più consistente del primo, tra l’altro, anzi forse con ancor meno elementi di quello, ma anche lì, l’autore di Uomini e no e Conversazione in Sicilia può dare – e evidentemente dà ancora e persino oggi – fastidio finché vi pare, per ciò che ha scritto e per ciò che pensava: non era l’uomo nero dell’editoria italiana. Più presto si accetta che bisogna farsene una ragione, meglio si eviterà il ridicolo (e più valore acquisterà la propria documentazione). Anche questo dovrebbe essere ormai pacifico, e se non lo è, abbiamo un problema…

    P.S.: mi resta comunque la curiosità di saperne di più sugli strafalcioni delle traduzioni, sulla revisione di Principe ecc., rispetto alle osservazioni che ho letto in giro. Purtroppo non posso apprezzare Tolkien in lingua originale, potrei decifrarlo sì, ma non leggerlo veramente, e mi piacerebbe capire meglio la direzione, se ve n’è una, in cui vanno questi sbagli.

  2. Grazie, mi sto sbellicando. Il povero persico dorato che diventa una pertica dopo aver rischiato, si suppone, di trasformarsi in trespolo, è impagabile! oltre che molto più adatto a un’osteria non lungi da un fiume, al di là di improbabili elucubrazioni su una misura di lunghezza relativa alla distanza percorsa peraltro espressa con un termine che deriva dal latino – se non ho letto male il dizionario – e Tolkien mi pare piuttosto puntigliosetto su dettagli del genere. O la faccia di Tom paragonata a un pomodoro da parte di uno scrittore che ha redatto un paio di pagine per spiegare l’incongruenza di apparecchiare nello SdA del sublime fish&chips. Almeno credo sia stato lui, ma potrebbe averlo fatto anche qualche commentatore posteriore. Questo particolare aveva sempre dato fastidio anche a me, mentre la mela è molto più adatta a descrivere un viso grinzoso e insieme rubizzo. Se non un errore è quantomeno un anacronismo, il che con Tolkien a mio parere è assolutamente un errore. Poi bisognerebbe capire di quale qualità di mela si parli.
    Sono un po’ più perplessa su tutt’e due le traduzioni di Brandywine, perché per serbare l’allusione alcoolica si perde in italiano la desinenza in -wine che è glup, non so se sassone (c’è un sassonologo qui?) ma di certo antico inglese, effetto che Tolkien aveva senza dubbio calcolato.
    Comunque paiono segni soprattutto di sciatteria, anche molto gravi: come si può tradurre three con tree mentre stai parlando di un elemento chiave di tutto il romanzo? o rendere Luthien bionda quando è bruna come Arwen? o il biancore di Eown alta e snella? o Farmir che ama ciò che le armi, non necessariamente le sue, da parte di un personaggio che riufuta il ruolo di eroe, difendono? o spoetizzare una frase come “grigi come una limpida sera” e chi ha visto i tramonti oxoniensi capisce bene cosa sia quel “grigio” – con un secco “grigi”? Inoltre c’è una “continentalizzazione” delle istituzioni: quando mai si parla di “nazione” che avrebbe un’assemblea nella Contea – oserei dire in tutto il romanzo?

    Comunque curioso che la maggior parte degli strafalcioni veri e propri si concentrino sui personaggi femminili, in un romanzo prevalentemente al maschile: Eowyn, Luthien, Arwen (fino a perdere l’ultimo gesto di devozione di Aragorn in punto di morte), persino Galadriel!

    Le correzioni delle frasi mi paiono meno indispensabili. Senz’altro è una scelta coerente quella di rendere “un po’” con “minuti”. Meno quella di “e l’ombra” anziché “mentre l’ombra”. Altre volte ci sono errori evidenti come nella frase di Eowyn sul giorno lungo un anno che spiega bene l’inquietudine di Aragorn dopo averla sentita. Altre ancora la traduzione libera diviene effettivamente più espressiva di quella letterale. Quasi sempre appropriata invece la reintegrazione delle omissioni, come nella frase sulle piccole mani.
    Nel complesso però la revisione si imporrebbe.
    Non ci sono molte osservazioni sulle traduzioni delle poesie. A me son sempre sembrate bruttine alquanto: la traduzione in questi casi è quindi affidabile?

    Ho notato che le frasi non sono estremamente complicate. Forse potrei provare la lettura orginale, dopo tutto. Per ora penso che copierò le correzioni sulla mia copia dopo aver stampato il file. Trovo orrendo leggere su uno schermo.

    Tutto questo gran lavoro suscita una domanda: ma siamo sicuri che le traduzioni di opere che non hanno i fan di Tolkien a controllarle siano poi così appropriate?