di Wolf Bukowski e Wu Ming
«Non manca la nota critica sulle demolizioni di qualche casa, casupola o baraccamento, troppo vicini alla Tangenziale che occorre rimuovere per migliorarne la funzionalità soprattutto negli svincoli, ma su queste si sta già esercitando il Resto del Carlino, con pezzi di colore e interviste commiseratorie ai futuri espropriandi. »
Antonio Bonomi, urbanista, a proposito della nostra inchiesta
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Nella seconda puntata del nostro reportage sul Passante di Bologna, abbiamo raccontato di come i «difficilitatori» di Avventura Urbana abbiano gestito il «confronto pubblico» intorno al progetto «preliminare» dell’opera.
Qui su Giap, abbiamo poi raccontato la reazione di una di loro, Iolanda Romano, alla pubblicazione di quel testo sul sito di Internazionale.
Iolanda Romano è fondatrice di Avventura Urbana ed è stata presidente dell’associazione fino al gennaio scorso, quando venne nominata Commissario governativo per il Terzo Valico TAV.
In questa veste, giusto ieri, le hanno indirizzato qualche domanda i No Tav della zona, chiedendole conto, in particolare, di un possibile conflitto di interessi tra il suo ruolo governativo e Avventura Urbana.
Di sicuro, tra le altre cose, Iolanda Romano continua a utilizzare l’account Facebook dell’azienda. In un’occasione lo ha usato per invitarci a «metterci la faccia».
Non avevamo bisogno che ce lo dicesse. Ci abbiamo messo faccia, scarpe, bicicletta. Le abbiamo orientate secondo la mappa e siamo andati a trovare Elena e Marco, nella loro casa di via Bencivenni, incastrata tra le rampe dell’A14 Bologna-Taranto, lambita dai progetti di ampliamento dell’aeroporto, con una fascia di terreno e un rudere (forse) in via d’esproprio per il Passante di Bologna.
Nella foto che apre questo post – clicca qui per aprirla ingrandita e in una finestra a parte – la proprietà di Elena e Marco è bordata in blu. In fucsia il rudere e la fascia di possibile esproprio. Il “gradino” rossoblu, sull’angolo in basso a sinistra del campo, è il frutto di un esproprio precedente, legato alla madre di tutte le Grandi Opere, la linea del TAV (delimitata nella foto da due segmenti azzurri). La costruzione della nuova ferrovia ha comportato la realizzazione di un sottopassaggio su Via Bencivenni. Il sottopassaggio, pericoloso per i ciclisti, ha comportato la realizzazione di una pista ciclabile in sede separata. La pista ciclabile (in rosso) ha comportato l’esproprio. Uno dice: benissimo, viva l’interesse pubblico che prevale sulla proprietà privata, viva la bicicletta e la mobilità dolce. Peccato che la ciclabile finisca nel nulla, in entrambe le direzioni.
Così verso nord, con i ciclisti che d’improvviso si ritrovano scodellati sul margine di via Bencivenni, dove le auto, grazie al rettifilo, tengono velocità da superstrada.
Verso sud, invece, troviamo una rotonda con una sola uscita. Come definirla? Una svolta arricchita da un ricciolo? Una curva barocca, una rotonda rococò? Anche questa rotatoria è un esito della linea TAV che la sovrasta, come si può leggere nel Piano Generale del Traffico Urbano del 2006.
Più in generale, è impressionante notare quale sia stato l’impatto, in questa zona della città, della linea AV Bologna-Milano.
Questa era la situazione nel 2000, prima dei lavori.
Quello contornato in blu è ancora il terreno di Elena e Marco. Cerchiati in azzurro ci sono due edifici che le mappe del Piano Strutturale Comunale definiscono «di interesse documentale». Sempre in quelle mappe, Via Bencivenni è catalogata come «viabilità storica di tipo II», ovvero una strada «il cui valore storico-testimoniale prevale sulle caratteristiche funzionali»; pertanto «gli eventuali interventi devono conservare o ripristinare l’aspetto storico, per quanto riguarda il tracciato, […] evitando allargamenti e modifiche degli sviluppi longitudinali». Prima di passare alla foto dall’alto post-TAV, fate bene attenzione alle aree delimitate in verde: casolari, borghi, vigne. Non li vedrete più.
In rosso, con il numero 1, si vede la zona dove sarebbe dovuta sorgere la fermata «Aeroporto» del Servizio Ferroviario Metropolitano, tra la linea «normale» Bologna – Milano e quella, risistemata, Bologna – Verona. Una stazione che ora non si sa nemmeno se vedrà mai la luce, visto che nel frattempo si è deciso di servire l’Aeroporto G.Marconi con la monorotaia del People Mover. Con il numero 2, sempre rosso, l’area di un progettato parcheggio. I due edifici cerchiati con lo stesso colore sono nuovi, di servizio alla ferrovia veloce. In azzurro – al posto di uno dei due scomparsi edifici “di interesse documentale” – è evidenziata la rotonda rococò e in viola la pista ciclabile cieca (che a sud della rotonda ancora non esiste ed è in progetto da otto anni). Alla faccia della «viabilità storica di tipo II» che avrebbe dovuto difendere Via Bencivenni da «allargamenti e modifiche degli sviluppi longitudinali».
Infine (infine?) a volte, soprattutto nelle giornate nebbiose, compare in quell’angolo di pianura anche il fantasma di un albergo, che qualcuno avrebbe voluto costruire, poi forse no, poi non si sa mai. I progetti ambiziosi e danarosi, si sa, sono duri a morire.
In giardino parliamo a lungo coi nostri ospiti. Bisogna alzare la voce, per capirsi. Ci raccontano che la proprietà – la casa più sette ettari di campi – è stata acquistata dai nonni nel 1932. Sulle mappe del Geoportale regionale, scopriamo che a metà Ottocento apparteneva ai conti Nanni Lèvera e ci pare di riconoscerla anche sulla Carta della pianura bolognese di Andrea Chiesa (1742), segnata come proprietà dei Colonna.
Si tratta dunque di un insediamento molto antico, che ha mantenuto le sue caratteristiche fino alla metà del secolo scorso, come si vede da questa foto aerea, scattata nel 1954 dall’Istituto Geografico Militare.
Dagli anni Sessanta sono cominciati gli espropri e le infrastrutture. Il terreno è separato dall’asse autostradale, e per andare da una parte all’altra bisogna uscire in strada; nonostante questo, in una delle due porzioni Elena e Marco fanno l’orto, tengono le api e coltivano erba medica per la cooperativa Arvaia; nell’altra – quella interessata dal Passante di Bologna – hanno piantato più di 2500 alberi, all’interno di un programma europeo di arboricoltura.
Sono decenni che chiedono ad Autostrade le barriere antirumore, ma ancora non ci sono. «Ogni tanto,» ci racconta Marco, «chiediamo un aggiornamento. Loro ci forniscono numeri di protocollo e codici di priorità per tenerci buoni, ma ancora non le hanno fatte.»
«Eh, come dici?»
«Che non le hanno fatte!»
Elena ricorda la vertigine provata quando è uscita di casa durante il nevone del 2012. Non per il freddo, ma per il silenzio: l’A14 era deserta.
Elena e Marco leggono la loro situazione come parte di un tutto – di un tutto di infrastrutturazione smisurata, di inseguimento di un modello economico tossico. Combattono una battaglia culturale e ambientale gettando semi e piantando alberi, e l’idea del «proviamo a spostare il danno a casa di qualcun altro», che pure nel loro caso sarebbe umanamente comprensibile, non gli appartiene per niente. Una bella lezione per chi ha costruito le proprie fortune proprio su questa logica, come quel Comitato per l’Alternativa al Passante Nord di cui abbiamo parlato nella prima puntata dell’inchiesta.
I nostri ospiti hanno recapitato un bel no alla società Technosoil, incaricata da Autostrade, che chiedeva di fare un’indagine geognostica nel loro terreno, indagine «fondamentale per la redazione del progetto definitivo» del Passante di Bologna. Come farà Autostrade a scrivere il progetto definitivo, visto che quel sondaggio non ha potuto farlo? Quanti altri pezzi «fondamentali» mancano per sapere come prenderà forma concreta la scelta ormai «fatta» dagli amministratori, come la definisce Daniele Ara, presidente del quartiere Navile e responsabile trasporti del Pd?
Di questo, e delle molte altre questioni legate al progetto del Passante di Bologna, discuteremo questa sera, 11 gennaio, a partire dalle 20, al Làbas Occupato, in via Orfeo 46, a Bologna.
La serata di presentazione della nostra inchiesta al Làbas Occupato è stata davvero un evento eccezionale.
A parte la sala gremita e la grande attenzione dedicata all’argomento, mi sembra utile sottolineare alcuni aspetti, per nulla scontati.
– L’iniziativa si teneva molto distante – per i canoni cittadini – dai quartieri direttamente impattati dal Passante di Bologna. Non credo siano state molte, finora, le iniziative spontanee promosse lontano dalla Tangenziale/A14 e fuori da luoghi istituzionali. Eppure, moltissime persone hanno risposto all’invito.
– Molte di queste persone, non credo di sbagliare, non sono frequentatrici abituali di stabili occupati. Soquante non avevano mai messo piede al Làbas.
– E’ dai tempi di Luther Blissett che ci occupiamo di Grandi Opere sul territorio bolognese – dalla nuova stazione alla TAV Bo – Fi al FICO – e di rado ci è capitato di vedere un centro sociale cittadino organizzare una serata così ben riuscita sui temi del diritto alla città e della ristrutturazione urbana. Credo che anche questo sia un segnale positivo, e non a caso arriva da un luogo particolarmente interessato alla questione. Làbas infatti occupa da quattro anni la Caserma Masini, l’unica tra le aree militari di proprietà della Cassa Depositi e Prestiti situata in pieno centro, zona di interesse turistico e di rendita posizionale. Non a caso, la prossima serata intorno alla nostra inchiesta si terrà giovedì prossimo al centro sociale XM24, situato in un quartiere, la Bolognina, dove il comune porta avanti da tempo un tentativo di gentrificazione. Ci sembra, insomma, che la serata di ieri sia un primo tentativo di “mettere insieme i pezzi” e di concatenare tra loro le lotte di chi resiste alla svendita della città, al trionfo del mercato su qualunque idea di pianificazione urbana.
– Non era scontata nemmeno la presenza del Comitato contro il Passante di Bologna (o di Mezzo), al quale nella nostra inchiesta non abbiamo riservato critiche. Sono intervenuti più volti, hanno portato dati e testimonianze importanti, e insieme ai No People Mover hanno contribuito a creare questo “nuovo vicinato” tra comitati cittadini contro Grandi Opere, studenti universitari, movimenti sociali, centro e periferia…
Ora si tratterà di coltivare l’innesto e di vedere se darà frutti. Ma il nodo, a giudicare da ieri, sembra tenere.
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