Mentre Un viaggio che non promettiamo breve procede verso la nuova ristampa, ecco un nuovo speciale, lungo il filo delle recensioni apparse e delle riflessioni fatte, pescate, condivise in quest’inizio di 2017.
Il tour di presentazione oggi a Bolzano tocca la ventiduesima data e domani a Trento la ventitreesima, e la strada è ancora lunga e impegnativa.
L’immagine del libro che ci consegnano i primi tre mesi on the road sembra proprio quella – oltremodo foucaultiana – della «boite à outils», la cassetta degli attrezzi. Questa l’espressione usata più volte durante la presentazione al centro sociale Sisma di Macerata. In quella serata si è usato il libro per illustrare il rapporto tra il sistema delle grandi opere e la «strategia dell’abbandono» che stanno subendo le zone montane del centro-est colpite dal terremoto.
Quasi a ogni tappa del tour, la presentazione di Un viaggio che non promettiamo breve è diventata l’occasione per ragionare sui conflitti locali e il futuro dei movimenti contro le grandi opere e/o per il «diritto alla città». Nelle ultime settimane è successo a Vicenza – qui l’audio della serata, con introduzione di Nicoletta Dosio – e a Firenze; in questi giorni accadrà nel Trentino-Alto Adige dove si lotta contro il Tunnel di base del Brennero (BBT); la prossima settimana avverrà a Verona, dove va crescendo un movimento No Tav, poi a Genova e Arquata Scrivia, nelle terre dei No Tav Terzo Valico.
Più in generale, presentare il libro diventa l’occasione per fare il punto sulla centralità della cementificazione nella fase attuale del capitalismo italiano, com’è avvenuto in quest’intervista rilasciata a Ernesto Milanesi in quel di Padova.
Grande serata ieri al presidio No Dal Molin di #Vicenza. #WM1viaggioNoTav pic.twitter.com/oij75dWiDc
— Wu Ming Foundation (@Wu_Ming_Foundt) 27 gennaio 2017
Ha usato il libro come «boite à outils» anche Omar Onnis, teorico di un indipendentismo sardo egualitario e anti-nazionalista, autore del libro Tutto quello che sai della Sardegna è falso. In una recensione apparsa sul suo blog Sardegna Mondo, Omar è partito dal suo giudizio sul libro per fare un confronto a distanza tra Val di Susa e Sardegna.
«Un viaggio che non promettiamo breve non è solo un saggio sulla storia del movimento No Tav della Val di Susa. È anche questo, beninteso, ma è anche e forse soprattutto qualcos’altro. È un manuale politico, è un documentato atto d’accusa contro l’Italia contemporanea e contro un mondo soggiogato dall’incantesimo della massimizzazione del profitto ad ogni costo. […] Sappiamo che la Sardegna è una sorta di enorme Val di Susa, minacciata non da un solo, sia pur grande, progetto, ma da tanti. Una minaccia più pervasiva, duratura, meno sensazionale. E molto meno raccontata […]» Prosegue qui.
L’immagine di un recipiente, più simile a uno scrigno che a una cassetta degli attrezzi («libro di libri… cronaca di cronache… elenco…»), si ritrova anche nella recensione di Un viaggio che non promettiamo breve scritta dal collega Giuseppe Genna e apparsa sul suo sito:
«Tanto è fondamentale la resistenza contro l’Entità (il progetto Tav) per la collettività protagonista di questa storia che gronda storie, così è fondamentale il conflitto che l’autore intrattiene con un’entità mostruosa, che è il libro stesso, libro di libri, cronaca di cronache, poema e prosa, elenco e summa della lingua parlata, formidabile bordata al saggismo giornalistico. Ne risulta una sorpresa continua: i valsusini, e chi con loro porta avanti la lotta, presidiano e resistono; l’autore invece assedia e spinge un racconto dell’orrore. Non è un caso che, dopo un centinaio di pagine, arrivi sul lettore una mazzata di ordine letterario, ovvero l’invocazione alla Musa, in questo caso in forma di Maestro maschile: esasperato ed esausto davanti a una materia storica abnorme e a un archivio di dimensioni pazzesche, apparentemente insintetizzabili attraverso l’opera della narrazione letteraria, Wu Ming 1 chiede l’aiuto di “uno scrittore morto nel 1937”, che, per la sorpresa di qualunque lettore, è…»
Sempre a un recipiente – un forziere dov’è custodito un «segreto», forse la ricetta di una pozione – allude Giuliano Spagnul, che dopo la recensione del novembre scorso (Molti mondi oltre le colline), è tornato sul libro con una riflessione intitolata «Val Susa: la pozione magica nel villaggio resistente»:
«…L’irrazionale idea di un segreto, ben custodito, che stia alla base della forza del movimento No Tav in Val di Susa… Già il libro aveva confuso il nostro pensare razionale pescando nel torbido di un potere opaco definito come “entità” […] A ben guardare, forse, nella domanda iniziale che porta con sé implicita l’ulteriore domanda di come si possa esportare quel risultato in altri contesti, c’è un errore profondo, un baco malato che infetta il nostro legittimo desiderio di lottare contro la mostruosa entità: l’idea militaristica o se si preferisce calcistica che si possa ragionare solo per vittorie o sconfitte. Ciò che si perde in questa logica binaria è proprio la cosa più importante: la lotta, il conflitto, cioè quel processo che porta al cambiamento di sé e alla consapevolezza che il cambiamento del mondo comincia già nell’atto del cambiamento di noi stessi. Da intendersi questo non come un ripiego soggettivista, già visto e rivisto dopo le grandi ondate di ogni fase rivoluzionaria, quanto consapevolezza che il cambiamento interiore che le pratiche di lotta producono sortiscono inevitabilmente anche una mutazione oggettiva dello stato di cose, declinabile positivamente in un avanzamento collettivo o negativamente nella chiusura soggettivistica, presuntuosamente autosufficiente.
Non c’è una vittoria finale, il progetto del Tav può essere ritirato completamente ma è già pronta la nuova devastante minaccia dell’elettrodotto con le centrali nucleari francesi.
Non è neanche la creazione dell’utopia di una repubblica liberata, che si sa le utopie che fine fanno, quanto piuttosto quella capacità di un sentire singolo e collettivo che si va a trasformare con e grazie alle lotte, a quelle pratiche di libertà. Ma allora si deve lottare sempre? Certo! Perché la lotta per la vita non è per sempre? Come scrive uno storico, amico di Foucault [Paul Veyne, N.d.R.]: “Non vi è salvezza possibile: possiamo scegliere solo tra il niente e il caos, nel quale siamo vivi. Smettere di cambiare, voler sfuggire a una realtà esteriore e interiore che è definitivamente caotica, significa vivere come morti”. E significa anche, possiamo aggiungere, rinunciare al piacere che l’atto del cambiare produce in noi stessi. Quella gioia del vivere come vivi, inscindibile dalla sofferenza che comunque l’essere vivi ci riserva ma che trova nel fare insieme agli altri il punto di sintesi, mai definitivo ma sempre pronto a ricominciare, a rinnovarsi, a vivere!»
Dovessimo pensare a un percorso, una vita che incarni questo principio, non potrebbe che venirci in mente Turi Vaccaro.
Cinque volte Turi Vaccaro è il reading/concerto ideato e portato in tournée da Wu Ming 1 (voce) e Luca Casarotti (tastiere). Finora è stato eseguito due volte, una al Barrio Campagnola di Bergamo il 16 dicembre 2016 e l’altra al centro sociale SOS Fornace di Rho il 12 gennaio scorso. Qui sotto potete ascoltare la registrazione della serata a Rho. Il prossimo appuntamento è il 3 marzo a Ostia.
N.B. Dopo una stringa di presentazioni e assemblee in centri sociali poco riscaldati, WM1 era quasi completamente senza voce. Ha dovuto tirar fuori qualcosa usando il diaframma. You want it darker?
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WM1 era già afono qualche ora prima, quando ha presentato Un viaggio che non promettiamo breve al PianoTerra di Milano. Alcuni passaggi di quell’incontro si possono ascoltare nella puntata n.49 di Picchi di frequenza, trasmissione di Radio Onda d’Urto dedicata alla montagna e curata da Alberto «Abo» Di Monte (membro dell’Associazione Proletari Escursionisti e di Alpinismo Molotov).
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Alpinismo Molotov è un progetto nato come spin-off dal vivo di Point Lenana e poi divenuto qualcosa di molto più ampio. A collegare Un viaggio che non promettiamo breve al lavoro “montanologico” (e non solo) fatto da WM1 negli ultimi anni è stato Giuseppe Vergara nella recensione apparsa sul suo blog
«Wu Ming in più di tre anni di duro lavoro ha raccolto una quantità enorme di documentazione fra saggi, riviste, articoli di giornali, notizie in rete, blog, interviste, testimonianze dirette, ecc…Come uno scultore ha poi dovuto lavorare sul materiale grezzo raccolto per portare alla luce il risultato finale: un libro di 652 pagine che contamina il reportage narrativo con l’inchiesta giornalistica. Un libro dove i dati e i numeri si alternano alle storie e al vissuto dell’autore […] Il libro è quindi sostanzialmente un oggetto narrativo non identificato e lo stile non sorprenderà chi ha letto gli ultimi lavori dei membri del collettivo e quelli di Wu Ming 1 in particolare.
Come era capitato nel precedente; Cent’anni a Nord Est, Wu Ming 1 si pone la domanda del come mai un determinato fenomeno si sia sviluppato in un territorio piuttosto che in un altro. Perché gli scempi ambientali sono avvenuti e avvengono anche in altre parti d’Italia ma, nonostante la presenza di movimenti d’opposizione alla costruzione di opere inutili e dannose in vari parti della penisola, solo in Val di Susa si é creato un sentimento di resistenza così deciso e unanime tanto da diventare un modello di lotta e di disobbedienza civile per tutti, anche fuori dai nostri confini.»
Se quello valsusino è «un modello di lotta e di disobbedienza civile per tutti», un libro che cerca di raccontarne etica, genealogia e composizione, che cos’è? Evoca una cassetta degli attrezzi anche Girolamo De Michele, che su Euronomade firma una recensione considerabile a sua volta un piccolo «manuale di sopravvivenza», intitolata «Non cedere all’adesso, non credere all’ormai. Riprendersi il tempo contro il rancore».
«Un libro-inchiesta, di conricerca vecchia maniera, col culo in terra, questo Un viaggio che non promettiamo breve: che è al tempo stesso una non-fiction autopoietica sul farsi di un libro sulle lotte No Tav senza ricadere nelle spire dell’io, il più lurido di tutti i pronomi; un saggio di sociologia della comunità valsusina come modello di comunità inclusiva, o “di cura”; e un frammento, interno a un discorso più vasto, di comprensione politica di alcune dinamiche della modernità liquida, in particolare di quelle che pongono al proprio centro una critica del concetto di tempo.
Niente male, per uno autore collettivo – anche se “solista”: perché ogni individualità è sempre un collettivo – che era stato definito “scrittore di romanzetti pseudo-storici e d’avventura” da un qualche critico emerito di poco merito, del quale ora come ora non mi sovviene il nome…» Prosegue qui.
A #Firenze @vukbuk parla di lotta #NoTAV e #WM1viaggioNoTAV di @Wu_Ming_Foundt 1 con @davidegastaldo e @Laura_Bennati pic.twitter.com/LQZsU8U3Ep
— Mariano Tomatis (@marianotomatis) 20 gennaio 2017
Nello stesso giorno in cui appariva la recensione di De Michele, sul blog Ribalta Fabrizio Marcucci ne firmava un’altra intitolata «Non un libro contro le grandi opere, ma una contro-grandeopera»:
«In L’armata dei sonnambuli la controrivoluzione veniva descritta come una rivoluzione opposta, molto più della semplice restaurazione del come era prima. Parafrasando quel concetto, Un viaggio che non promettiamo breve (Einaudi Stile Libero) potrebbe essere definito una contro-grandeopera. Il volume che Wu Ming 1 ha pubblicato da solista, cioè senza i compagni della band con cui ha composto romanzi cruciali, da Q a Manituana, non è insomma semplicemente un libro contro le grandi opere, bensì è una grande opera a sua volta che capovolge la logica delle grandi opere. Se quelle sono caratterizzate dal comando, la cifra del lavoro di Wu Ming 1 è la partecipazione; se nelle grandi opere il territorio è variabile dipendente dagli affari, qui la terra pulsa vita, giorno e notte; se chi commissiona e realizza grandi opere è avulso dal vissuto sedimentato nelle zone in cui si trova a lavorare, Wu Ming 1 descrive la Val di Susa in uno spazio-tempo che ne svela l’articolata ricchezza di storie di insubordinazione che hanno fatto da lievito per la lotta No Tav, che dura da 25 anni. E poi Un viaggio che non promettiamo breve è una grande opera perché è un riuscitissimo oggetto narrativo non identificato, vale a dire uno di quegli scritti in cui si mescolano stili e registri, dal reportage al fantasy, dall’autobiografico alla saggistica; un modo di raccontare che Wu Ming 1 studia da anni e che è diventato il cuore della collana Quinto Tipo, che l’autore cura per le edizioni Alegre.»
Infine, ricordiamo che si possono leggere molte recensioni dense e interessanti anche su Anobii.
Per ora ci fermiamo qui. Grazie dell’attenzione e appuntamento al prossimo speciale.
[…] scorso speciale si parlava dell’utilizzo di Un viaggio che non promettiamo breve come una «cassetta degli attrezzi» da usare nelle varie situazioni. Si ricordava che il libro sta toccando corde sensibili nelle […]