di Wolf Bukowski e Wu Ming 2
Quella riguardante il cavalcavia crollato, era l’undicesima attività di sollevamento di ponti sulle 12 che stiamo effettuando. È un’operazione di routine, è fatta in sicurezza e non prevede la chiusura. Lo ha confermato anche la polizia stradale: si svolge in presenza di traffico perché la caduta del cavalcavia non è un evento previsto.
Il cavalcavia è quello che, a Camerano, passava sopra la A14, e che il 9 marzo si è schiantato sulle vite di Antonella Viviani ed Emidio Diomedi. La causa dei lavori in corso era l’allargamento dell’autostrada a tre corsie, e l’incredibile dichiarazione è tratta da un’intervista a Roberto Tomasi, Condirettore Generale Nuove Opere di Autostrade per l’Italia.
Tomasi, con rapido istinto padronale, poche battute dopo evoca l’errore umano di chi ha eseguito i lavori. È come se dicesse: “Noi? Noi che c’entriamo? Mica l’avevamo previsto che cadesse in testa a qualcuno. E se noi non l’avevamo previsto, non doveva cadere. Se è successo sarà colpa di uno di quegli operai ‘gnoranti, noi siamo i meglio progettisti.”
Roberto Tomasi è il manager di Autostrade che ha collezionato più presenze agli incontri sul Passante di Bologna – guarda caso, proprio un allargamento a tre corsie dell’A14 e della tangenziale. Durante il celebratissimo confronto pubblico – «strumento di democrazia» secondo il sindaco Merola, in realtà parodia della partecipazione – Tomasi era sempre lì. Il 29 settembre prometteva:
- “la riduzione delle emissioni nell’ora di punta […] pari al 40% per gli NOx e la CO₂ e il 20% per quanto concerne il PM10 per un automobile diesel di tipo Euro IV”;
- “un miglioramento del clima acustico per l’80% circa dei ricettori che oggi sono caratterizzati da livelli notturni superiori a 50dBA” – grazie alle nuove barriere foniche;
- “2 anni vita uomo al giorno risparmiati” – per la fluidificazione del traffico, cioè, tradotto, 19 minuti in meno di percorrenza nelle ore di punta;
E se le meraviglie del Passante non si dovessero realizzare? Conosciamo in anticipo la risposta: “Noi non c’entriamo, noi avevamo previsto che si realizzassero. Se non è accaduto, ci sarà stato un errore umano“.
Ma c’è un’ultima considerazione, tra quelle espresse da Tomasi quel 29 settembre, che suona davvero inquietante, dopo quanto è accaduto a Camerano:
il calcolo del benessere effettivo derivante dalla realizzazione degli interventi elencati deve considerare, per non essere vano, i tempi di realizzazione. Tempi troppo lunghi di realizzazione
infatti vanificherebbero una parte consistente dei benefici esposti.
E per essere più rapidi, non si fermino traffico e pedaggi. «Lo ha confermato anche la polizia stradale: si svolge in presenza di traffico perché la caduta del cavalcavia non è un evento previsto».
Tre giorni prima della tragedia, la cosiddetta fronda del Pd – suppostamente scettica sul Passante – si scioglie come neve al sole di marzo. Fa votare alla maggioranza del Consiglio Comunale un Ordine del Giorno che non mette in alcun modo in discussione l’opera. Vi pone in premessa addirittura una valutazione positiva del confronto pubblico, con invito a fare meglio la prossima volta: «affina[re], migliora[re] e re[ndere] ancora più efficace» la finzione partecipativa. Invito che intendiamo come: rendere le bugie più convincenti.
Poi infila alcune critiche – su elementi segnalati dai Comitati o da noialtri, come il calcolo “generoso” del verde compensativo, – e rivolge il suo appello «al Sindaco e alla Giunta ai fini della presentazione delle osservazioni del Comune di Bologna in sede di procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA)».
Fino a quel momento, Sindaco e Giunta avevano ampiamente dimostrato la loro scarsa considerazione dei consiglieri comunali. Di fronte alle prime contestazioni della fronda, l’assessora Irene Priolo aveva accusato Amelia Frascaroli, alleata del Pd, di non essersi presa “i pomodori in faccia” durante il confronto pubblico sul Passante.
Naturalmente, come abbiamo già raccontato:
Noi in quelle assemblee c’eravamo e non abbiamo visto volare pomodori […]. A quanto pare, la scarsa consuetudine con il conflitto porta a scambiare per ortaggi le fin troppo disciplinate critiche di un pugno di bolognesi.
Per questo, ci aspettavamo che l’appello dei consiglieri non avrebbe sortito grandi risultati. Appena tre mesi fa, a conclusione del confronto pubblico, tutte le parti in causa avevano sottoscritto un verbale dove si valutavano positivamente gli interventi integrativi inseriti da Autostrade nel progetto definitivo. Leggendo quel documento se ne ricavava l’impressione che il Comune, la Regione e la Città Metropolitana fossero soddisfatti dei miglioramenti introdotti e non avessero nulla da eccepire.
Invece, venerdì scorso la Giunta pubblica le sue note alla valutazione di impatto ambientale del Passante: un pdf di 57 pagine, che analizzeremo nelle prossime puntate, ma che già alla prima occhiata si presenta fitto di smentite, richieste di dati, correzioni, fonti mancanti, ulteriori studi, modifiche. Per fare solo un esempio, «si richiede di rivedere le premesse dello studio [Atmosfera] laddove si afferma che l’agglomerato di Bologna non presenta criticità dal punto di vista dell’inquinamento atmosferico» perché «tale affermazione non è condivisibile».
Un simile cambio di passo, di toni e di contenuti non è certo il frutto dell’OdG dei consiglieri, che di fronte a un testo del genere mostra il suo vero volto di timidissima operazione cosmetica. Ma non è nemmeno il frutto del tanto incensato confronto pubblico – che con le sue migliorie sembrava aver contribuito a realizzare il Progetto Perfetto. Se la Giunta si è vista costretta a usare la matita rossa sulle carte di Autostrade e a incrinare l’idillio con la società di Benetton, lo si deve a chi non ha mai smesso di smascherare bugie e assurdità del progetto, fuori dalle coreografie dei facilitatori incaricati di far digerire ai cittadini l’ennesima scorpacciata di asfalto, smog, rumore e insensatezza.
Sia chiaro: il documento della Giunta rientra in pieno nel gioco delle parti, truccato da democrazia, ma almeno la partita diventa meno noiosa. Il Comune si erge a difesa dell’interesse pubblico e Autostrade deve rifare i compiti a casa, ma non abbiamo dubbi che dopo qualche giro di valzer, il Ministro dell’Ambiente darà il suo benestare. Ce ne siamo convinti, una volta per tutte, dopo aver raccolto le considerazioni di un funzionario pubblico che in passato si è occupato di provvedimenti analoghi:
«Lo Studio di Impatto Ambientale predisposto da Autostrade [il SIA su cui il Ministero condurrà la Valutazione di Impatto Ambientale], è, come tutti i SIA, giustificativo. Il proponente ti dice, in sostanza: “Noi vogliamo fare questa opera, ecco che ti dimostriamo che questo progetto è il migliore dei progetti possibili.” Viene insomma giustificata a posteriori, sul piano ambientale, una decisione politica e imprenditoriale già presa. Questa è la debolezza intrinseca del modello SIA/VIA. Perché la VIA, alla fine, darà qualche prescrizione più o meno significativa e in sostanza concluderà: “sì, il progetto esaminato è il migliore possibile”.
Questa SIA, poi, introduce una novità in più, rispetto al modello fissato dalla legge. Si tratta del “quadro zero della sostenibilità” che non ha nulla a che vedere con l’opzione zero, cioè la scelta di non realizzare l’opera. A questa eventualità viene dedicata appena una pagina e mezzo.
Il “quadro zero della sostenibilità” inventato da Autostrade mette su carta un loop molto raffinato, grazie al quale l’opera si giustifica da sola. Leggiamo questo capoverso:
In altri termini, la necessità è quella di integrare la logica dell’analisi degli impatti e del loro contenimento con quella che pone in prima istanza il perseguimento di obiettivi specificatamente declinati. Ciò in quanto l’opera è il risultato di un approccio non convenzionale che lega le soluzioni sviluppate ad un articolato quadro di esigenze che fanno riferimento non solo agli aspetti trasportistici, quanto anche a quelli territoriali ed ambientali. (dalla Sintesi non tecnica della SIA, p. 11)
Considerato che poco prima si era detto che l’obiettivo principale era fare l’infrastruttura, ed è questo quindi il primo degli “obiettivi specificamente declinati”, io qui vedo il tentativo di un salto di qualità rispetto anche ai peggiori procedimenti di VIA “giustificativi”. Per questi ultimi l’interesse primario rimaneva, almeno a parole, la tutela dell’ambiente. Qui invece Autostrade ci dice di essere stata molto brava, e di poter fare da sola.
Alla base manca, in tutto questo, una valutazione sovraordinata, una valutazione che dovrebbero fare le istituzioni molto prima di prendere impegni con la parte privata. La vera alternativa, che non è ovviamente compresa tra le opzioni ricapitolate nel SIA, sarebbe stato lavorare su altre variabili, prima di tutto il trasporto pubblico.»
La vicenda del Passante di Bologna, giunti a questo punto, ci sembra avere qualche interessante assonanza con quella di XM24 alla Bolognina. Prima mossa, spararla grossa: “Una caserma al posto del centro sociale! Un’infrastruttura verde che ripulirà l’aria!”. L’effetto, più o meno ricercato, è quello di blandire istinti non proprio in linea con l’immagine del partito (“caserme invece di luoghi di aggregazione”, “largo alle automobili”, non sono i motti che il PD scriverebbe nel proprio stemma di famiglia). Ottenuto il plauso di leghisti e piloti compulsivi, arriva invece il messaggio rivolto ai buoni: “niente caserma, se mai una casa delle associazioni, dove daremo un posto a chi davvero vuole produrre cultura (ovvero: chi non mette in discussione l’assalto gentrificante al quartiere, chi è docile, si costituisce in associazione dal notaio, ed è pronto a sloggiare al prossimo cambiar di vento). E non ci venite a dire che sul Passante vi abbiamo raccontato balle. Non l’avete visto il documento di 57 pagine? Gliele abbiamo cantate chiare, a quelli di Autostrade. Li abbiamo costretti a rispondere. A dirci chiaro che tumori, rumori, disastri ambientali e consumo di suolo non sono eventi previsti. Ora che l’hanno assicurato, grazie a noi, si può stare tranquilli.”
Fin qui tutto bene.