Su Patria Indipendente, il periodico dell’ANPI nazionale, è apparsa una intrigante “ricognizione” a cura di Paolo Mencarelli, docente formatore presso l’Istituto Storico della Resistenza in Toscana (ISRT).
L’articolo è on line, si intitola → Sguardi obliqui, antieroi e storie meticce. Tracce di resistenza nella narrativa italiana contemporanea e prende in esame circa una decina di autori (singoli e collettivi), tra i quali noialtri, in varie combinazioni:
Wu Ming;
Wu Ming + Vitaliano Ravagli;
Wu Ming 2 + Antar Mohamed;
Wu Ming 1 + Roberto Santachiara.
Mencarelli si occupa principalmente di tre nostri libri: Asce di guerra (2000), Timira (2012) e Point Lenana (2013), ma nel descrivere la nostra poetica dedica diverse righe anche a Q (1999) e New Italian Epic (2009).
Introducendo il nostro lavoro, Mencarelli scrive:
«Chiaro il loro carattere militante antifascista, ma molto lontano da quello tradizionale. Si può dire che partono dalle macerie del vecchio antifascismo a cui non sono mai appartenuti, attraversano interamente e fino in fondo il postmoderno e ne assumono molti stilemi, con la differenza fondamentale che all’ironia […] si aggiunge l’impegno etico e politico rivendicato apertamente in nome di una sinistra dei movimenti. L’uso ampio e per certi versi centrale del web per creare “comunità”, la radicale critica all’autorialità individuale in nome di un sapere condiviso, la multimedialità, l’open source, sono altrettanti cardini di una proposta culturale e politica.»
Ci fa molto piacere, perché segnala la piena comprensione del nostro approccio, il fatto che Mencarelli – come già in un saggio precedente intitolato Narrativa e Resistenza: due esperienze didattiche – sottolinei l’importanza, nei nostri libri, dei Titoli di coda.
Questi ultimi, scrive l’autore, sono «apparentemente veri saggi bibliografici ma in realtà parte integrante e non accessoria degli “oggetti narrativi non-identificati”», anzi, ne sono un «segno distintivo», e formano «un ricco apparato di tipo storiografico assai consistente e criticamente avvertito».
[I Titoli di coda si sono poi evoluti nell’Atto Quinto de L’Armata dei Sonnambuli.]
I libri esaminati da Mencarelli non sono gli unici dove abbiamo scritto di fascismo e Resistenza. La disillusione post-bellica della generazione che fece la guerra partigiana è uno dei temi di 54, e il richiamo alla Resistenza nelle lotte di oggi è al centro di Un viaggio che non promettiamo breve. E ricordiamo il libro + cd Basta uno sparo, versione in studio del reading Razza partigiana. Oggi il cd è allegato alla nuova edizione di Razza partigiana di Carlo Costa e Lorenzo Teodonio, biografia di Giorgio Marincola citata anche da Mencarelli nel suo articolo.
Tuttavia Mencarelli, concentrandosi sul trittico Asce di guerra – Timira – Point Lenana, coglie nel segno. A suo tempo abbiamo scritto di come i difetti di Asce di guerra ci abbiano spinti a riflettere più a fondo e sperimentare in maniera più radicale narrazioni di tipo “ibrido”. Da queste sperimentazioni, condotte anche nei «Wu Ming Lab», è nato anche il progetto Quinto Tipo. Che, guardacaso, ha pubblicato nuovi libri dove è indagata la Resistenza, e altri ne ha in cantiere.
Cogliamo dunque l’occasione per riproporre uno stralcio di una riflessione di Wu Ming 1 risalente al gennaio 2012.
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[…] Il primo libro per cui usammo l’espressione “oggetto narrativo non-identificato” fu Asce di guerra, scritto con Vitaliano Ravagli e uscito nel 2000 per un editore milanese. L’inesperienza e i tempi stretti ci portarono a scelte e non-scelte che condizionarono l’opera in modo pesante. Cinque anni dopo, in occasione della riedizione Einaudi, aggiungemmo al libro una premessa e una postfazione in cui provammo a spiegare cos’era andato storto secondo noi.
«Invece di limitarci a raccontare il passato, lasciando ai lettori i paralleli con il presente, abbiamo deciso di inserire nell’oggetto narrativo un filone contemporaneo […] E’ proprio questo il punto debole di “Asce di Guerra”. Forse perché (almeno per noi) è più facile raccontare il presente attraverso il passato, che trasformare il presente stesso in narrazione epica. Quello che nella forma del reportage funziona e restituisce l’atmosfera di certe situazioni collettive, trasferito in un modello più letterario rischia di risultare piatto o didascalico […] “Asce di Guerra” è una narrazione che sfugge da tutte le parti, che forza costantemente la griglia in cui avevamo pensato di costringerla, mettendo a dura prova – e a tratti anche travolgendo – le nostre capacità.»
Non è un problema di intreccio difettoso. Anche Dimitri Chimenti, che ha esaminato il libro con grande attenzione, sostiene che a determinare la «forma impazzita» di Asce di guerra non è l’assenza di «un lavoro di configurazione a livello dell’intreccio», dato che tale lavoro c’è stato, bensì il modo in cui il libro «tenta di cogliere presente e passato nel loro vicendevole patirsi, di farli convergere in un’immagine generale che li sappia comprendere entrambi» (D. Chimenti, «La vita postuma delle parole. Note su un uso narrativo dell’archivio in Asce di guerra di Wu Ming», in: AA.VV., Finzione cronaca realtà. Scambi, intrecci e prospettive nella narrativa italiana contemporanea, a cura di Hanna Serwowska, Transeuropa, Massa 2011, pp.321-334).
A generare gli squilibri che stracciano l’unità dell’opera è proprio il fallimento nell’ottenere quell’immagine generale. Infatti, il libro è pieno di “svarioni” stilistici proprio nei passaggi dalla narrazione del passato a quella del presente. In parole poverissime: i capitoli che si svolgono nel 2000 sono scritti di merda.
Credo che, al fondo, il problema di Asce di guerra fosse l’impossibile convivenza tra una struttura armonica pretenziosa e “assoli” lunghi e liberi al limite della sfrenatezza. Insomma, volevamo la botte piena e la moglie ubriaca: un’impostazione molto definita e vincolante (montaggio alternato e scandito di capitoli appartenenti a diversi “filoni”, ciascuno dei quali caratterizzato da precise e ricorrenti strategie formali, nonché segnalato da un apposito sottotitolo) e al tempo stesso un abnorme proliferare di aneddoti, episodi, citazioni, torsioni, rimandi a diversi periodi storici etc. Una struttura così rigida non poteva reggere un simile “sbordamento”. E’ come se in un brano be-bop piazzassimo un assolo alla Coltrane del periodo Impressions.
Certo, la crisi della struttura può generare effetti interessanti: secondo Chimenti è proprio il filone meno riuscito di Asce di guerra (vita e incontri dell’avvocato Daniele Zani nella Bologna del 2000) il più meritevole di indagine. Ma a scrittori e lettori interessa anche la resa letteraria, e non vi è dubbio che quelle siano brutte pagine […]
Mi sembra che tutti gli esperimenti di UNO che abbiamo fatto in seguito abbiano affrontato questo dilemma da capra & cavoli – la scelta tra complessità armonica e libertà “modale” – cercando l’equilibrio che ci era sfuggito con Asce di guerra. Non ci abbiamo riflettuto nei termini che ho usato sopra, ma con naturalezza ci siamo impegnati a risolvere quei problemi. Quando WM2 ha sottoposto al collettivo la prima stesura di Timira, uno di noi ha commentato:
«Sul piano della pregnanza narrativa e della realizzazione formale questo testo è ciò che “Asce di Guerra” non riuscì a essere. Questo testo dunque riscatta l’errore narrativo di allora. E lo fa rilanciando in avanti.»
Se sia vero lo decideranno i lettori, chiaramente. In questa sede, riporto il commento per quel che dice di noi, allungandosi retrospettivamente su dodici anni di lavoro [nel frattempo divenuti diciassette, N.d.R.].