[Una corsa in montagna intitolata a un pilastro del Terzo Reich, con sponsorizzazione di organismi regionali del Friuli-Venezia Giulia e contributo regionale di quasi diecimila euro.
Friuli-Venezia Giulia: regione a guida PD, governata da Debora Serracchiani.
Erwin Rommel: personaggio storicamente abietto, responsabile di stragi e deportazioni, ma «ripulito» a colpi di bufale e circondato da un alone di falsi miti. Miti più volte smontati dagli storici, ma sopravvissuti nella pop culture.
Alle legittime perplessità sulla scelta, i vertici del PD friulano-giuliano rispondono in modo piccato e inanellando falsi storici e concettuali.
Cent’anni dopo Caporetto, un cortocircuito tra prima e seconda guerra mondiale.
Cent’anni a Nordest: ignoranza, revisionismo, cerchiobottismo e, sullo sfondo, l’austronostalgia presente in quei territori.
È una storia paradigmatica. La racconta Nicoletta Bourbaki. Buona lettura.]
Una «volpe del deserto» nazista tra i monti della Valcellina
Il senso del PD per il camerata Rommel
Nella notte tra il 27 e il 28 ottobre, a Claut in provincia di Pordenone, è prevista una gara di trail-running intitolata «Rommel Trail… the night of the desert fox» (sic! con tutte le maiuscole sballate).
Il “claim” pubblicitario dell’iniziativa prende spunto dalla presenza del giovane Erwin Rommel, futuro comandante nazista, sui luoghi della gara durante la Prima guerra mondiale. Una banale gara podistica si dirà, che prende semplicemente spunto dal centenario di un evento storico per promuovere le bellezze «di una delle zone a più alto tasso di wilderness d’Europa».
L’evento sportivo si fregia di un’ampia schiera di partner e sponsor, dalla Protezione Civile – che in FVG dipende dalla Regione – all’Associazione Nazionale Alpini, passando per diversi comuni friulani. La Regione Friuli Venezia Giulia, guidata dall’avvocatessa Debora Serracchiani del PD, risulta avere erogato un contributo di 9.900 euro. Del resto lo scopo dichiarato è appunto «quello di legare l’evento, alla conoscenza e valorizzazione di questi luoghi e dare loro un profilo di visibilità di cui oggi non godono.»
A noi l’idea è sembrata da subito l’ennesima trovata di chi macina la storia – o piuttosto ne fa strame – per cavarne percorsi turistici e souvenirs, percorso già segnato da chi propone musei del fascismo a Predappio e war games che rievocano la liberazione di Mussolini dalla prigionia sul Gran Sasso. Il prezzo da pagare per queste iniziative promozionali e turistiche è quello della banalizzazione del nazismo, anche se surrettizia e attraverso rimandi a quello che agli ideatori deve essere sembrato un mito consolidato: la figura di Rommel come capo militare che non avrebbe aderito idealmente al nazismo e sarebbe stato parte del complotto per uccidere Hitler. Peccato che si tratti di un falso mito.
Più di qualcuno ha provato a farlo notare a quelli del PD quando si è diffusa la notizia del supporto della Regione a una gara podistica intitolata a un pilastro del Terzo Reich e della guerra nazista. Ma ormai è chiaro che al Partito Democratico le critiche non solo gli rimbalzano, ma nella stragrande maggioranza dei casi producono anche la classica toppa peggiore del buco. È toccato stavolta a Vittorino Boem, consigliere regionale del PD, rispondere da par(tito) suo con un concentrato di arroganza e strafalcioni storici…
«Di fronte a certe interpretazioni esasperatamente ideologiche contrapponiamo la tranquillità di chi l’antifascismo non se lo fa insegnare da nessuno, e la consapevolezza di chi non confonde ad arte la Prima con la Seconda Guerra mondiale. Che infine Rommel abbia concluso i suoi giorni suicida, per aver partecipato alla congiura per abbattere Hitler, è un dettaglio forse poco rilevante, ma che pure potrebbe essere ricordato».
Sul fatto che nessuno possa insegnare l’antifascismo a quelli del PD rimandiamo ovviamente alla nostra inchiesta “CasaP(oun)D. Rapporti con l’estrema destra nel ventre del partito renziano”.
Tocca poi far notare che se c’è qualcuno che confonde la Prima con la Seconda guerra mondiale è proprio chi ha pensato di organizzare una gara sul percorso di una battaglia del 1917 richiamando nel titolo il soprannome che Rommel si «conquistò» con la Campagna del Nordafrica tra il 1941 e il 1943. Quella, per capirsi, in cui Hitler inviò il suo feldmaresciallo a togliere le castagne dal fuoco a Mussolini, intervento che comportò, tra le altre cose, la persecuzione degli ebrei tunisini, come ricostruito nei dettagli dallo storico Raul Hillberg, massimo studioso del genocidio nazista.
Ma oltre a ciò soprattutto andrebbe ricordato lo stretto nesso storico che le due guerre mondiali hanno avuto, con la Seconda per molti versi diretta conseguenza della situazione creatasi in Europa a seguito della Prima.
Quanto al «dettaglio poco rilevante» della partecipazione di Rommel alla congiura per uccidere Hitler va detto che quel dettaglio è persino del tutto irrilevante. L’enorme produzione di studi di Joachim Fest, principale storico tedesco del nazismo, comprende anche un titolo che evidentemente Boem non ha letto, malgrado sia stato tradotto in decine di lingue, inclusa l’italiana, ovvero Obiettivo Hitler. La Resistenza al Nazismo e l’attentato del 20 luglio 1944. In quel libro Fest dichiara che Rommel «non fu un oppositore del regime» e «i cospiratori non riuscirono mai a ottenere [il suo] appoggio alla loro causa». Peraltro quel 20 luglio Rommel era in coma da tre giorni e quando si sarebbe ripreso, saputa la notizia, avrebbe scritto alla moglie di esserne rimasto molto scosso.
Nella stessa nota di Boem si legge che
«qui non siamo di fronte a nessuna celebrazione dell’esercito nazista: un’idea che non ha mai sfiorato le decine tra enti pubblici, associazioni e privati che, insospettabili di revisionismo come l’Associazione nazionale Alpini, a vario titolo hanno sostenuto un’iniziativa di promozione del territorio.»
Sul fatto che gli alpini non siano sospettabili di revisionismo, c’è un fondo di verità: non si tratta di «re-visione», ma di una visione consolidata e mai scoraggiata: non è infrequente leggere sui siti dell’ANA – associazione che nel 2001 ha riaccolto i reduci della divisione collaborazionista «Monterosa» – orgogliose rivendicazioni del contributo alpino alla maggior gloria dell’Italia di Mussolini. Lo fa l’Associazione Nazionale Alpini di San Giorgio di Nogaro (Udine) in questa pagina dove in due paragrafi si esalta la partecipazione del corpo all’occupazione colonialista dell’Etiopia, all’invasione della Grecia, alla disastrosa campagna di Russia e all’occupazione della Jugoslavia. Concludendo il tutto con la foglia di fico della partecipazione alla Guerra di liberazione «per riconquistare la libertà e l’indipendenza nazionale», ma omettendo di dire che tutte le guerre citate in precedenza erano state combattute per togliere ad altri libertà e indipendenza nazionale.
Insomma, la trovata di marketing territoriale della Rommeltrail si appoggia al falso mito che circonda colui che durante la Seconda guerra mondiale fu, tra le altre cose, comandante delle truppe naziste in nord-Italia proprio nei mesi della caduta del fascismo e poi dell’armistizio dell’8 settembre. In quella veste la simpatica «volpe del deserto» assunse, tra le altre cose, l’incarico di debellare le forze partigiane e l’insurrezione popolare nei territori dell’Isontino, in Istria e nel Gorski Kotar. Alla faccia del mito della Wehrmacht «buona» vs. le SS «cattive», affidò l’incarico al «II Corpo Corazzato delle SS» agli ordini del SS-Obergruppenführer e Generale delle Waffen-SS Paul Hausser, che svolse l’incarico col zelo che contraddistingueva il suo corpo – seminando di stragi e terrore i territori occupati – e che, in tutta evidenza, non dispiacque molto al comandante della Wehrmacht che quell’incarico gli aveva affidato.
In quello stesso periodo Rommel fece deportare dal nord Italia in Germania centinaia di migliaia di italiani, civili e militari. Solo questi ultimi furono circa 183.000 secondo le stime dello storico militare tedesco Gerhard Schreiber.
Tra di essi sembra ci fosse anche Terzo Giordani, maggiore degli alpini che l’8 settembre 1943 venne arrestato dai soldati tedeschi comandati da Rommel e deportato in Germania, da cui fece ritorno a Claut, suo paese natale, in una bara. La sezione di Claut dell’Associazione Nazionale Alpini è intitolata a Terzo Giordani… ma figura anche tra i patrocinatori della Rommeltrail. Una nota grottesca a una storia già parecchio paradossale: se c’è qualcosa che di certo Nicoletta Bourbaki odia sono le retoriche sull’orgoglio nazionale, ma come non notare che con questa gara podistica sponsorizzata dal Partito della nazione, si esalta la figura di un comandante militare che di quella nazione è stato nemico sia nella Prima che nella Seconda guerra mondiale?
Al solito da questa vicenda emergono i tic e la faciloneria con cui in Italia si liquidano fatti storici drammatici ed epocali, giungendo al punto di riabilitare figure che in altri paesi – persino nei paesi da cui provenivano! – sono trattate perlomeno con estrema cautela. Se in ambito anglo-sassone il mito di Rommel è stato smontato puntualmente – dimostrando come esso fosse il frutto della necessità di permettere un rapido riarmo della Germania negli anni Cinquanta in funzione anti-sovietica, e quindi riabilitando una parte dei quadri militari tedeschi -, nella stessa Germania quel mito è stato persino inchiodato ex-post alle sue responsabilità. In un documentario del 2007 trasmesso dalla rete tedesca ZDF, intitolato «Rommels Krieg», lo storico Jörg Müllner ha liquidato come un mito l’idea che Rommel avesse condotto una «guerra pulita» nel deserto, avanzando la tesi che al contrario la sua azione fosse destinata a preparare il campo per esportare la politica di sterminio nazista anche in Medio Oriente. E si veda anche questo documento di storici tedeschi, redatto nel 2013.
In Italia al contrario vale tutto, forse perché i conti col passato non solo non sono mai stati fatti, ma del passato si trasforma in oro anche la merda. E da questo punto di vista il confine orientale, come abbiamo scritto più volte, è un esempio paradigmatico che abbonda di falsi miti. Ecco allora che questa ennesima vicenda, secondaria quanto si vuole, questi miti li rimette tutti implicitamente in campo: Rommel che nel 1943 riporta l’Impero a Trieste (mito inossidabile degli austronostalgici), Rommel che ristabilisce l’ordine dopo l’insurrezione partigiana di settembre (mito perpetuo per nazifascisti di ogni risma), Rommel che nel 1917 aveva cacciato gli invasori italiani (mito che fa sognare gli indipendentisti giuliani e friulani fino a fargli affermare che nel settembre 1943 «i tedeschi ne gà liberà» [cit.]).
In Friuli Venezia Giulia la memoria territoriale deve tenere insieme irredentismo, fascismo e austronostalgia, in una perenne ridefinizione di identità inventate ma spacciate per eterne e pure, e per mantenere il proprio assurdo equilibrio ha bisogno dell’eterno nemico slavo-comunista, quello che alla fine mette d’accordo tutti.