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Nel 2013 Wu Ming 4 fece tesoro del lavoro e del dibattito prodotto su Giap intorno a J.R.R. Tolkien, alle sue opere, al suo mondo. Raccolse gli scritti e gli audio pubblicati sul blog, li rielaborò, estese e rivide, poi ne aggiunse di completamente nuovi.
Il risultato fu Difendere la Terra di Mezzo, un saggio diviso in due parti: la prima riguardava il fenomeno letterario; la seconda trattava la poetica di Tolkien, entrando nel merito dei testi. Il libro è un’introduzione all’opera dell’autore inglese da un’angolazione non scontata in Italia, che fa riverberare tra loro le interpretazioni dei maggiori studiosi anglosassoni.
Ora, finalmente il libro è scaricabile, come al solito gratis e senza DRM.
Buona lettura.
ePub – Mobi (Kindle) – Azw3 (Kindle) –Pdf
Come sempre, ringraziamo hubertphava.
Vi rammentiamo che potete usare il bottone qui sotto per supportare Giap. Non serve a “pagare” i download, che sono gratis, ma a segnalare che apprezzate lo sbattimento, l’impegno che profondiamo ogni giorno da tanti anni, sul web e per le strade. Mantenere Giap costa. Fate quello che vi sentite.
Non è nemmeno necessario avere la carta di credito, basta un conto corrente.
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DIFENDERE LA TERRA DI MEZZO: STRALCI DALLE RECENSIONI
«Un libro bellissimo e lucido, che al rigore dell’impianto unisce una qualità di scrittura avvincente e ricca di suggestioni. Dove l’originalità non sta tanto, in apparenza, nell’argomento, a fronte del successo evergreen della saga tolkieniana in libreria […] ma piuttosto nello sforzo dell’autore di aiutare a rileggere Tolkien con sguardo nuovo e libero da interpretazioni manipolatorie. Senza farne beninteso un santino, e collocandolo sul piano storico, sociale e culturale nella sua specifica realtà di uomo e di letterato.» (Franco Pezzini, L’Indice dei Libri del mese)
«Difendere la Terra di Mezzo è un libro Impegnativo, non tanto per il lettore ma soprattutto per l’autore. Impegnativo per l’autore perchè tocca argomenti scottanti, senza peli sulla lingua e con caparbia accuratezza: argomenti che qualsiasi esperto tolkieniano, o presunto tale, evita accuratamente di toccare in pubblico… Impegnativo per il lettore, perchè deve approcciarsi alla lettura senza preconcetti (difficile davvero), perchè qui troverà demoliti molti luoghi comuni, supportati da fatti e correlati da parole dei personaggi presi in questione.» (Ivan Cavini)
«Uno dei più bei libri su Tolkien che abbia mai letto: profondo, adulto, completo, serio, competente e documentato (l’apparato di note costituiscono già di per se stesse un libro), un atto di amore incondizionato nei confronti dello scrittore inglese. Il titolo, Difendere la Terra di Mezzo, pone subito la questione: difenderla da cosa? Innanzitutto da chi continua a reputare la creazione letteraria di Tolkien un qualcosa privo di valore e la svilisce a puro espediente commerciale […] bisogna difendere la Terra di Mezzo anche da un altro rischio, da chi la concepisce come utopia, luogo ideale e manifesto ideologico-culturale, perché, “laddove la ragione dorme e il simbolismo prospera, muore la letteratura”: è il caso della destra italiana e delle sue letture “simbolistiche” di Tolkien sul modello delle interpretazioni di Julius Evola, che pongono l’accento su tratti distintivi tipici come la spiritualità iniziatica, il neopagano, il vittimismo, l’esclusivismo e la Tradizione, in maniera del tutto decontestualizzata dal contesto storico-letterario.» (Paolo Nardi, La Spelonca del libro)
«Un’unica avvertenza: questo libro nuoce gravemente ai pregiudizi letterari. Se credete che esistano letterature di serie A e di serie B, Difendere la Terra di Mezzo non fa per voi: non ci capireste niente. A meno che non abbiate voglia di spegnere i pregiudizi per un po’ e gustarvelo, come dicono i recensori delle riviste serie, “come fosse un romanzo”; finché, voltata l’ultima pagina, vi guarderete intorno e vi ritroverete con un punto di vista diverso su un sacco di cose. Che poi è proprio quello che succede con i buoni romanzi, e con i viaggi di avventure.» (AtlantideZine)
Appena finito di leggerlo
Semplicemente:grazie a Wu Ming 4 per averlo scritto
Solo una cosa:non si può riscontrare nelle”Cronache” di Martin,in un contesto ovviamente diverso, la stessa”serietà”(morale,politica e anche”religiosa”)di Tolkien? Per dirne solo una;l’esperienza di”reduce mancato”e contemporaneamente,di oppositore politico alla guerra cui non ha partecipato (il Vietnam ovviamente)non è stata altrettanto decisiva,per la “creazione secondaria” di Martin di quanto lo è stata l’esperienza di”reduce effettivo” per quella di Tolkien (le “Cronache” cominciano con la messa a morte di un disertore ad opera di un uomo che a sua volta finirà per autoaccusarsi di tradimento,e questo è solo l’inizio…)?Ma anche il tema del”silenzio di Dio” accomuna il devoto Tolkien e il laico(ma cresciuto in un contesto cattolico) Martin.
P.S:L’esaltazione degli”eroici furori” da parte degli interpreti “evoliani” di Tolkien ricorda molto da vicino alcune divagazioni”pop-filosofiche” sul cinema di Nolan….
Io credo che il fatto di appartenere a due generazioni così diverse e a due esperienze storiche così diverse si rispecchi parecchio nelle opere dei due autori e che le distanzi.
Le due generazioni hanno avuto urgenze diverse. Lo si può riscontrare anche confrontando tra loro altri autori, credo.
La guerra del Vietnam è stata un flagello generazionale, è vero, ma non ha avuto la portata di una guerra mondiale, non ha messo in discussione *davvero* i caposaldi di una civiltà, mettendola allo specchio. Caso mai ha messo allo specchio l’America, che però è cosa diversa. L’America è la nazione moderna che non è mai stata invasa, che ha soltanto esportato guerra, che è nata sullo sterminio dei nativi, e il pacifismo del Movement è stato più “facile” (tra molte virgolette, of course) del lavoro critico di Tolkien sull’eroismo fatto ai suoi tempi (odiare Hitler senza odiare i tedeschi; individuare l’elemento perverso nella teoria del coraggio nordica pur riconoscendone il contributo alla cultura letteraria europea, ecc…).
E certamente porsi il problema del ritirarsi di Dio dal mondo da credente è cosa diversa che porselo da non credente. La questione di Dio incombe sull’opera di Tolkien, anche se lo si nomina pochissimo. Si può dire lo stesso di Martin? non saprei davvero.
Ma in effetti è proprio l’esempio che fai che dà la cifra della differenza.
Ned Stark rimane imbrigliato nella sua stessa etica del dovere e dell’obbedienza al signore, in un gioco di inganni che si rivela più grande di lui, e alla fine viene beffato dalla sorte proprio quando eccepisce alla propria stessa etica.
Un eroe tolkieniano non agirebbe così.
Perché Tolkien – al contrario di Martin – è nato, vissuto e morto con la convinzione che il bene esiste, che il mondo e l’essere umano derivano da un principio positivo. Dunque si tratta soltanto di rintracciarlo, questo principio, di scovarlo dentro se stessi e nel mondo. Un’impresa difficile, ma giammai impossibile e che certo, se tentata, non lascerebbe mai l’eroe in braghe di tela come capita al povero Stark, l’eroe d’altri tempi in un mondo di iene e sciacalli, che alla fine appare quasi patetico. Stark è figlio di una società post-politica (e della disillusione del Movement assai più che del Movement) almeno quanto Aragorn lo è delle guerre mondiali. Si potrebbe continuare a discuterne a lungo, ma in definitiva io credo che il romanzo più tolkieniano di Martin sia il suo primo: Armageddon Reg. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia. Grazie.
Beh,la differenza “ideologica” e di contesto era il presupposto del paragone..
Per il resto;siamo sicuri che la contrapposizione tra il”disincanto” di Martin e le”certezze” di Tolkien non nasconda più di quanto riveli?
Io credo che in entrambi -fatte salve le differenze di cui sopra-ci sia una “dialettica” tra diverse”etiche”(alcune delle quali più universali e apodittiche di altre) fra cui bisogna scegliere di volta in volta in un mondo in radicale trasformazione e senza garanzie teologiche immediatamente date(il “silenzio di Dio”che in Martin diventa il conflitto tra gli uomini che credono in Dei diversi);da qui la solitudine radicale dei personaggi di entrambi. Ned per esempio,si porta per anni e anni il conflitto tra almeno quattro fedeltà;quella al suo amico(con cui,peraltro,conduce una ribellione contro un potere stabilito da secoli),quella alla sua famiglia,quella”feudale” al suo sovrano e-last but not least-quella al principio morale universale”Non è lecito versare il sangue degli innocenti” (e sarà proprio quest’ultima fedeltà,che però lo ha sempre caratterizzato,a perderlo).Da qui il suo tormento e la sua solitudine;secondo me molto “tolkieniane”
Vorrei dire tante altre cose suggerite dalla tuia risposta (sul carattere “americano” delle”Cronache” e sul rapporto dell’immaginario di Martin con l’Europa) ma mi fermo
In ogni modo grazie per la risposta
Eppure a me pare che la differenza “ideologica” condizioni l’approccio e il destino degli uomini nei due rispettivi mondi.
Certo il disincanto di Martin non è scevro dal problema etico, così come le certezze di Tolkien sono più problematiche di quanto potrebbe sembrare, ma direi che l’agire dell’uomo martiniano e di quello tolkieniano sono inscritti in cornici molto diverse.
Prendiamo per esempio il tema del potere.
Per Martin è sostanzialmente intrigo macbethiano e mafioso, lotta senza esclusione di colpi, e i personaggi che non accettano questo gioco lo subiscono e soccombono. È una visione molto cinica e disincantata, appunto. L’eroe Stark resta sotto alle proprie contraddizioni e viene sconfitto, perché vive in un mondo decentrato e frammentario in cui i suoi vecchi valori ideali non possono sopravvivere.
Per Tolkien il potere è una faccenda grave, è qualcosa dal quale bisognerebbe tenersi alla larga, bisognerebbe limitarlo, diffidarne, e darlo in buona sostanza solo a chi garantisce di non esercitarlo in forma di dominio, ma per rendere a tutti la libertà. I vincitori di Sauron si dividono in coloro che accettano di perdere il potere sul mondo in nome di un bene superiore, e coloro che accettano di prendere il potere nel mondo per impedire che il potere stesso possa essere esercitato in forma di dominio dell’uomo sull’uomo. Il ritorno del re nella Terra di Mezzo coincide con l’instaurazione di una paradossale monarchia anarchica. Questo sì che è davvero…fantasy :-)
Vero è che entrambi, il credente Tolkien e l’agnostico Martin, nei loro mondi immaginari scindono l’etica dalla religione, ed entrambi concepiscono eroi ed eroine combattuti e conflittuali, solitari, che devono fare i conti con l’assenza di certezze e di autorità. Sono entrambi figli dell’evo moderno, del resto.
La differenza sostanziale tra Stark e Aragorn però è che il secondo ce la fa a realizzare ciò che è stato chiamato a fare. Perfino Boromir, che non ce la fa, dopo avere ceduto al male, “cattolicamente” si ravvede e si sacrifica, espiando la propria colpa. Vale a dire: riconosce il bene e così fa la cosa giusta, dopo avere fatto quella sbagliata, a conferma della famosa asserzione di Aragorn sul fatto che il bene e il male sono invarianti e l’unico problema è riconoscerli. Se fai la scelta giusta, allora non puoi perderti. Insomma torniamo alla questione che gli eroi di Tolkien possono guardare a Ovest, quelli di Martin no. E anche se guardare a Ovest non è sempre un bene (perché può indurre malinconia e distacco e l’Occasus è il luogo della morte), serve almeno a ricordare che un bene c’è, da qualche parte, oltre i confini del Mondo di Mezzo, e che riverbera nell’animo umano conducendoti a fare la cosa giusta e ad essere premiato per questo. Insomma l’homo tolkienianus cerca un senso alla storia e a volte perfino lo trova. In questa utopia regressiva sta il carattere veramente “reazionario” della subcreazione tolkieniana, laddove pretende di reagire alla perdita di senso dell’uomo moderno tenendo salde alcune virtù. L’homo martinianus mi pare assai più realista (il cinismo è ciò che resta al progressista disilluso), cioè più disposto a fare i conti con l’efferatezza della storia, e a praticarla, senza pretese di fermarla.
Quando ho scritto DLTM sono stato molto assertivo e netto nel dire che i seguaci di Tolkien sul sentiero del fantasy world building non si erano posti lo stesso ordine di problemi del maestro. Mi è stato anche rinfacciato, da Fulvio Ferrari, in un articolo al quale a suo tempo ho anche replicato qui su Giap.
Immagino comunque che da qualche parte ci siano studi comparativi approfonditi tra Tolkien e Martin, e forse varrebbe la pena rintracciarli. Io non conosco così approfonditamente la saga di Martin, ma mi è giunta voce che probabilmente al Salone del Libro di Torino di quest’anno un confronto tra i due autori sarà il tema di una grossa conferenza. Vedrò di non perdermela.
Se posso donare due cents alla discussione, credo anche esista una differenza di ‘coerenza interna’ nelle opere dei due autori. Di Martin ho letto soltanto il Trono di Spade. Ho avvertito come lettore molta più ‘generosità’ nei confronti dello spettacolo da parte dell’Americano, rispetto a quanto abbia mai fatto Tolkien.
Nel mondo di Tolkien tutto “torna”, o almeno quasi tutto, in funzione delle regole e dei principi posti all’inizio. Ogni evento accade perché assolutamente necessario. Anche il colpo di scena più straordinario dell’opus tolkieniano, quando cioè Frodo dopo 1000 pagine fallisce miseramente la quest, rientra perfettamente nell’etica della Terra di Mezzo. Anche per questo, il ‘reazionismo’ del Professore, se vogliamo consolatorio e meno heisenbergiano di quello martiniano, non dà fastidio ad atei ed agnostici.
Martin mi dà l’impressione di essere molto più indulgente, e che pertanto le scelte dei personaggi e gli snodi della trama non siano così strettamente legati ad un principio di necessità.
Su questo mi sento di contestarti.
Se c’è una cosa che Martin non è, è “indulgente”. Né coi lettori, né coi suoi stessi personaggi.
Non se ne può nemmeno negare la coerenza interna e l’estrema cura, a volte maniacale, con cui si connettono fatti, sottotrame, personaggi. Nè la capacità di creare un mondo credibile, che si regge da sé, senza richiedere eccessive sospensioni della credulità (che poi è sempre il pregio del grande fantasy, così come della grande fantascienza).
Anzi, proprio la cura maniacale della coerenza interna è quella che rende la composizione della sua opera così difficoltosa e lunga.
Il paragone con Tolkien ha senso (e ne ha, sia chiaro) solo se si tiene conto che le Cronache del ghiaccio e del fuoco non sono ancora concluse, mentre Il Signore degli anelli sì. Della Terra di Mezzo, delle sue ere, delle sue vicende, dei suoi peronaggi sappiamo sostanzialmente tutto, o molto, anche attraverso le Appendici (oltre che grazie allo Hobbit e ai testi postumi). Abbiamo la possibilità di valutare il disegno di Tolkien nel suo complesso, analizzarne topoi, intenzioni, coerenza, livelli di lettura. Tutte cose che nell’opera principale di Martin si possono fare fino a un certo punto, visto che mancano ancora due romanzi.
Nondimeno il paragone – ribadisco – è legittimo ed anzi è lo stesso Martin a rivendicarlo esplicitamente. E con ragione, dato che le concordanze o le risonanze non mancano. A parte le scelte stilistiche, o l’approccio più realistico e disincantato (ma non direi cinico) di Martin rispetto a Tolkien, resta centrale in entrambi una critica profonda dei meccanismi del potere. Ed anche l’individuazione del “bene” come qualità intrinseca e contingente, mondana, dei fatti umani, senza grandi appigli teologici o teorici a cui appellarsi. Il bene come scelta che spetta alla responsabilità di ciascuno. In questo senso non saprei chi dei due sia più radicale, in realtà.
Ma naturalmente il paragone con Martin è solo uno tra i tanti possibili evocati in DLTDM.
Pensiamo solo all’altro colpo di scena (=oltre alla fine di Ned Stark) con cui si chiude il primo volume della saga;la nascita dei tre draghi
Avviene in conseguenza di uno degli snodi più tragici dell’intera storia ;tragico proprio nel senso di scontro mortale tra due ragioni che diventa scontro tra due torti.Il dialogo tra Dany e la strega ha potenza brechtiana;e in genere tutta la storia di Daenerys ricorda”L’anima buona di Sezuan” di Brecht e il suo problema di fondo;come si può essere buoni e giusti in tempi ingiusti
Oh, noi
che abbiamo voluto apprestare il terreno alla gentilezza,
noi non si potè essere gentili
in fondo questo è il “doppio legame” che ossessiona,sia pure all’interno di contesti ideologici diversi e con soluzioni (o non soluzioni) diverse tanto il cattolico Tolkien quanto il”liberal” Martin quanto il marxista Brecht.
E che ce li rende-nonostante tutto- compagni preziosi nei tempi bui.Quando l’inverno arriva
Giusto per chiarezza.
In Tolkien, parlo da lettore, sembra davvero che tutto sia stato creato (nel romanzo e nella mente dell’autore) nel canto degli Ainur. E da lì, a cascata ma sempre per necessità, sia disceso tutto.
Questo a discapito, se vogliamo, dell’effetto “sorpresa”. Nessuno di noi ha mai avuto il dubbio, leggendo il SDA, che Sauron potesse vincere. Questo legame fortissimo tra Provvidenza-Fato e agire dei personaggi, se da una parte può togliere un certo piacere nella lettura (non sono pochi coloro che si annoiano approcciando Tolkien), rende però quel mondo potentissimo. Perché la necessità che lo scrittore ha infuso nel suo romanzo è straordinaria e meravigliosa. Tu sai che alla fine Melkor sarà sconfitto, e proprio per questo le innumerevoli battaglie precedenti che si consumano tutte in terribili tragedie hanno un ulteriore “senso” che le rende ancora più strazianti e sublimi.
Se vogliamo, come dice Wu Ming 4, il concetto di libero arbitrio nel SDA è poco libero.
In Martin, e pressoché la maggior parte degli scrittori (non solo di genere fantastico), questa necessità dell’agire dei personaggi e dello sviluppo della storia non la avverto, almeno non così potente. Questo non significa che non ci sia una coerenza interna, o un legame tra plot e subplot. Significa un’altra cosa: che ogni tanto i personaggi agiscono o subiscono la storia per esigenze di scena. Boromir non muore perché ci vuole la morte di qualcuno alla fine del primo atto. Non muore nemmeno perché l’ha deciso Tolkien. Boromir muore perché quello era il suo destino sancito migliaia di anni prima, e tutto è avvenuto in funzione di quel momento. Come in tutti gli altri momenti. Si ha proprio la sensazione che Tolkien stia raccontando una storia che la Musa gli narra e di cui lui vede passo dopo passo gli eventi. Ovvio che non è così, ma l’impressione che dà è quella. Come se fosse un poema omerico.
Perché, cito un evento delle prime pagine del primo libro, Jamie e Cersei decidono di fare sesso in una torre di Winterfell? La mia risposta è “perché sì”. Cioè potevano farlo, ma anche no.
Non voglio dire che il metodo – da intendersi etimologicamente – di Martin sia peggiore di quello di Tolkien. E’ un approccio e un modus operandi completamente differente.
Io ho letto solo i primi tre romanzi americani della saga, dopodiché mi sono fermato. Può darsi che la mia impressione sia falsata. Ma sottolineo che sono 3 romanzi che già per mole di pagine superano quanto abbia pubblicato – in vita – lo scrittore britannico.
Per quello che ho potuto constatare nella mia conoscenza non approfondita delle “Cronache”, credo si possa concordare con Omar sul fatto che anche in Martin c’è una coerenza architettonica perseguita e conseguita. Così come è vero che il vantaggio personale di Martin su Tolkien è sicuramente quello di portare a compimento la propria opera, mentre quella di Tolkien è rimasta aperta (in realtà io penso che alla lunga si sia rivelato un vantaggio per Tolkien, ma questo adesso non c’entra). Ekerot, però, non mi pare abbia affermato il contrario, si riferiva alla “necessità” dell’agire dei personaggi. La storia per Tolkien è provvidenziale, dunque tutto torna in un quadro che si volgerà a fin di bene. In un certo senso non c’è casualità pur essendoci libero arbitrio.
Su Tolkien, Martin e Brecht uniti nella lotta nei tempi bui mi trovo più che d’accordo con Pierre, se lo intendiamo come applicabilità delle loro storie/poetiche alla lettura del mondo che ci circonda. Ma non mi spingerei oltre. Perché se è vero che si pongono lo stesso problema, siamo sicuri che si diano anche la stessa risposta?
A prescindere dal fatto che anche gli eroi di Tolkien ricorrono alla violenza e alle armi, bisogna notare due cose.
La prima è che vi ricorrono esclusivamente a fini difensivi.
La seconda è che pretendono paradossalmente di non rinunciare alla gentilezza. E insieme alla gentilezza perfino alla pietà.
Poiché “anche l’odio contro la bassezza / stravolge il viso. / Anche l’ira per l’ingiustizia fa roca la voce”, Tolkien chiede ai suoi eroi di essere guerrieri gentili e pietosi, guerrieri cristiani senza Cristo. Non accetta la durezza della storia come giustificazione alla durezza dell’agire umano. Questo è il dibattito che conclude la Guerra dell’Anello: il dibattito tra Frodo e gli altri Hobbit, che non trova una soluzione, ovviamente – come non l’ha mai trovata nella storia del monoteismo ebraico-cristiano l’applicazione del comandamento “Non uccidere” – ma solo un’infinita approssimazione per difetto.
Io ho l’impressione che gli eroi e le eroine di Martin invece siano costretti a dare per scontata la necessità della ferocia, senza ovviamente per questo negarne la problematicità etica. L’homo martinianus vive immerso negli intrighi di potere e nel potere come intrigo; nello stato di guerra permanente. Deve indurirsi se vuole sopravvivere all’efferatezza del mondo.
Gli eroi e le eroine di Tolkien, al contrario, per salvarsi devono resistere alla tentazione di indurirsi.
Per questo in DLTM ho scritto che non avverto negli epigoni “agnostici” la stessa tensione che sento in Tolkien. Così come penso di potere escludere che l’epopea del Trono di Spade trovi come proprio eroe paradossale un giardiniere autodidatta che ambisce a una pace agreste e a una vita felice.
Ma staremo a vedere! :-D
Mah, sai, alla fine è una questione di approccio e di sfumature, secondo me. Nel senso che, sì, ovviamente il vissuto e la formazione degli autori hanno un loro peso e inevitabilmente producono punti di partenza ed anche percorsi diversi.
Le domande che si pongono però mi sembrano piuttosto simili e ho idea che lo siano tutto sommato anche le risposte (per Martin bisognerà aspettare, anche se diversi indizi sono già sul tappeto). Risposte sempre incomplete e problematiche, per entrambi. Il che, lungi dallo sminuirli, ne decreta la grandezza, se vogliamo.
L’argomentazione sugli umili che assurgono a protagonisti in Tolkien è vera ma non mi pare un’obiezione contro la tesi della risonanza con Martin. Il quale alla fine fa diventare protagonisti, insieme a nobili e principesse e draghi, anche figli bastardi o cadetti, nani, donne (molte donne), mercenari, reietti vari. Inseriti in un quadro realistico dove i rapporti sociali e di potere sono di stampo feudale, gerarchico e classista, quindi con un significato di rottura sociale forte.
In definitiva (per non farla troppo lunga), tenuto conto delle differenze evidenti dovute anche al cambiare dei tempi, io intravvedo in Martin l’unico vero erede contemporaneo di Tolkien.
Temo che rimarremo sulle nostre reciproche posizioni :-)
Io seguito a vedere una differenza abbastanza vistosa tra le due saghe. Alla quale non corrisponde, sia chiaro, un giudizio di valore letterario, ma appunto, soltanto la constatazione di due diverse visioni della storia.
A me pare che la scelta di Martin sia in effetti rendere la piazza universale della storia, sulla quale si affacciano nobili, plebei, figli illegittimi, nani, reietti, ecc., ma non è questa invece l’esigenza di Tolkien. Tolkien non ha un’esigenza di realismo sociale né di realismo tout court, e per questo la sua storia a mio avviso rimane più “universale” rispetto a quelle di molti epigoni (come lo è la tragedia greca, intendo, o il teatro di Beckett). A quanto ho potuto capire, i reietti/umili/donne/nani che ce la fanno, in Martin, sono quelli che si districano nel gioco del trono, nella lotta darwiniana per la sopravvivenza. Gli hobbit vincono perché si sottraggono a questo gioco, perché non accettano il darwinismo sociale, perché sono “umili” nel senso cristiano del termine (gli ultimi che saranno i primi, ma anche “ultimi” in quanto già moderni, secolarizzati, che erediteranno la terra degli eterei Elfi).
Nelle Cronache leggo La Commedia Umana, Macbeth, Il Principe.
Nel ciclo dell’Anello leggo il De consolazione philosophia, La peste e Una morte dolcissima.
Del resto è lo stesso Martin, se non sbaglio, ad avere affermato che il suo mondo inizia dove finisce il SdA, cioè dove l’elficità ha cessato di essere e comincia il regno degli uomini. Tolkien provò a scrivere un seguito del SdA, ma si fermò dopo trenta pagine, accorgendosi che senza Elfi, cioè senza la dialettica tra elficità e umanità, non aveva più interesse a continuare il racconto. Perché probabilmente sarebbe stato un racconto “martiniano”, e non era nelle sue corde. Quindi sì, forse è vero che Martin è “l’unico vero erede contemporaneo di Tolkien”, ma nel senso che prosegue là dove Tolkien non si sarebbe spinto, in un tipo di racconto e di mondo che non gli interessava rappresentare.
A questo punto non mi resta che augurarmi che veramente quella conferenza al Salone di Torino si faccia :-P
Diciamo che con i biblici tempi di scrittura, Martin rischia tantissimo di non finire nemmeno lui…
Non a caso, la HBO lo ha costretto a rivelare già il finale della storia in caso di trapasso anticipato.
Mi permetto di aggiungere qualche stralcio dalla lettera 256 che Tolkien scrisse a Colin Bailey nel 1964 e che riguarda “The new shadow”, un tentativo durato una dozzina di pagine di storia ambientata nella Quarta Era (l’era degli Uomini)
“Avevo iniziato una storia ambientata 100 anni dopo la Caduta [di Mordor], ma è risultata al tempo stesso sinistra e deprimente. Dato che abbiamo a che fare con Uomini, è inevitabile che dobbiamo occuparci della caratteristica più deplorevole della loro natura: il bene li sazia subito.” E, poche righe dopo: “Mi sono reso conto che anche dopo così poco tempo, ci sarebbe stato un emergere di cospirazioni rivoluzionarie, che ruotavano intorno a una religione satanica segreta; mentre i bambini gondoriani giocavano agli Orchi e andavano in giro a fare danni”(*)
Quindi, chioso io, delle trame contro il re legittimo e un un certo disinteresse per il “bene comune” a favore di quello della propria parte. Come nelle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, ove non c’è un nemico che “compatti” chi lo combatte. O, forse, c’è ma non è percepito.
Non c’è un accorrere di “popoli liberi” verso la Barriera, nessuna versione dell’Ultima Alleanza che tolse l’Anello a Sauron
Mi sembra, perciò, che ci sia una certa simiglianza di vedute su come sarebbe stato il futuro nell’ “Era degli Uomini” tra Tolkein e Martin – che ben conosce e ha apprezzato Tolkien.
(*) Da “JRR Tolkien – Lettere (1914-1973) – Bompiani”
Sono ammirato, le vostre capacità ermeneutiche sono stupefacenti. Io, devo ammetterlo, io non ci avevo mai letto nulla del genere, nei testi di Martin…
Prendiamo, ad esempio, «That’s Amore»:
«When a moon hits your eye like a big pizza pie
That’s amore
When the world seems to shine like you’ve had too much wine
That’s amore
Bells will ring ting-a-ling-a-ling, ting-a-ling-a-ling
And you’ll sing “Vita bella”
Hearts will play tippy-tippy-tay, tippy-tippy-tay
Like a gay tarantella…»
Ecco, l’ho sempre trovata una divertente cazzata e poco più…
Più che tra Martin e Tolkien, io sapevo di collegamenti tra Martin e Lewis. Infatti cominciarono insieme come duo comico-canoro. È vero che il sodalizio finì molto male… Domanda: se anziché al fianco di Lewis, Martin avesse cominciato la carriera al fianco di Tolkien, sarebbe andata meglio?
P.S. Tenete conto che una delle improvvisazioni narrative con cui Wu Ming si scalda alle riunioni è una storia tra Swinging London e Somalia post-coloniale in cui Syd Barrett e Siad Barre sono la stessa persona. Martin & Tolkien è nulla al confronto :-)))))
Poi chiudo :-)
Dipende. Intendi Jerry Lewis o Jerry Lee Lewis?
“C’è un’alta probabilità che sia totalmente privo di senso”. Essì, non è probabile, è proprio senza senso.
Ovviamente intende C.S. Lewis…
(e no caro wordpress, non è privo di senso, che diamine!!!!!!!! ;-)
Il fallimento di Stark dovuto alla sua eticità in un mondo malvagio è solo un aspetto temporaneo nelle Cronache: nei libri successivi quando muore un altro personaggio, uno di quelli bastardi che fa tutto per il potere e la propria casata nobiliare, viene dimostrato che quello che apparentemente ce l’ha fatta in realtà ha lasciato delle fondamenta fragilissime, i suoi figli litigano fra di loro e malgestiscono il reame, i vecchi alleati lo abbandonano.
Nel Nord invece il ricordo dell’esempio positivo di Ned Stark è vivissimo, the North remembers si ripete continuamente e i suoi vassalli sono disposti a rischiare la propria vita pur di andare a salvare Ned’s little girl.
È la dimostrazione di una frase che appare in “A dance with dragons” e cioè “Men’s lives have meaning, not their deaths” (che si riallaccia al fatto che in Martin è tutto qui, non c’è un aldilà che distribuisce giustizia). GRRM non è un decostruzionista del fantasy o semplicemente ascrivibile alla corrente del grimdark, è più un ricostruzionista, non nega i valori positivi ma mostra quanto sia difficile e spesso senza ricompense immediate seguirli.
Appena iniziata la lettura, mi tocca segnalare un’inesattezza a pag. 13:
“Tolkien le affiancò tredici Nani, ai quali diede i nomi di quelli che vengono elencati nell’
Edda in prosa”
I nani vengono elencati nell’Edda Poetica (che non è di Snorri). Cfr. Giuseppe Scardigli (a cura di) – Il Canzoniere Eddico – Garzanti 1982 – pag. 7
“Veigr e Gandalfr, Vindalff, Thrainn,
Thekkr e Thorinn, Thror, Vitr e Litr,
Nar e Radhsvidhr; ordunque i nani
– Reginn e Radhsvidhr – come si doveva ho enumerato.”
Continuo la lettura… :-)
Non si tratta di un’inesattezza. I nomi dei nani vengono elencati sia nell’Edda poetica sia nell’Edda in Prosa di Snorri, il quale cita appunto la Voluspa. Cfr. Snorri Sturluson, Edda, Adelphi 2006, pag. 64:
…Dvalinn,…Dainn, Biffur, Bàffur, Bomborr, Nori, Ori,…Oinn…Thorrin, Fili, Kili… Ganndalfr…
[…] aprile BRESCIA Difendere la Terra di Mezzo Dialogo con Wu Ming 4 sul mondo di J.R.R. Tolkien h. 20:30, Cinema Nuovo Eden via Nino Bixio 9 […]
[…] Nel 1977 il Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, organizza il primo “Campo Hobbit”, ritrovo estivo per i giovani rautiani in contrasto con la dirigenza del partito. In quell’occasione naque il gruppo La Compagnia dell’Anello, poi concretizzatosi nei succesivi Campi Hobbit fino a realizzarne il concerto conclusivo della terza edizione. [in questa sede evitiamo di concentrarci sull’assurdo utilizzo di Tolkien da parte dei neofascisti, limitandoci a consigliare il libro Difendere la Terra di Mezzo] […]
[…] Di sicuro lo è Wu Ming 4, autore di un saggio sull’opera tolkeniana dal significativo titolo Difendere la Terra di Mezzo (che a sua volta riprende il titolo da quello di un altro saggio di un critico […]
[…] linea, lavorando piuttosto a progetti, per così dire, di rifinitura: ■ La nuova edizione di Difendere la Terra di Mezzo, che uscirà in autunno, con alcune migliorie e con una seconda appendice. ■ Un laboratorio su Lo […]
[…] Per approfondire su Tolkien […]