The Student Hotel, lo studentato per «creativi» che vampirizza i quartieri popolari

Orlok allo Student Hotel

29 settembre 2015. Da destra, Corien Wortmann-Kool (presidente del fondo ABP), Charlie MacGregor (fondatore di The Student Hotel) e il conte Orlok all’inaugurazione dello Student Hotel di Amsterdam-West.

di Wolf Bukowski *

«Everybody should like everybody».

La scritta inizia in via Fioravanti, poi gira l’angolo e si conclude in via Tiarini. È una frase tracciata sul muro, a lettere enormi, di fronte al municipio di Bologna, senza pietà alcuna per la graffitofobia degli amministratori.

È dagli anni zero di Cofferati che ogni giunta dichiara l’allarme «tag» e predispone «task force» per mettere a tacere i muri. A breve la squallida crociata verrà condotta sfruttando il lavoro forzato  pardon, il «volontariato»  dei richiedenti asilo.

Ma la scritta che correrà lungo The Student Hotel non turba gli assessori, e non sarà cancellata. Essa è propaganda del capitale, è marketing, e quindi è legale, bella, e non fa «degrado».

E poi, diciamocelo, che male può mai fare un così bel messaggio, un così innocuo appello all’amore (o al piacionismo?) universale? Così universale e seriale da essere lo stesso  identico  che orienta i passanti a Groningen, lampeggiando dall’alto del mastodontico Student Hotel della città neerlandese.

The Student Hotel, Groningen.

Che cos’è The Student Hotel

È da lì, dai Paesi Bassi, che The Student Hotel (da qui in poi: TSH) inizia nel 2012 la sua espansione, che oggi raggiunge Barcellona, Dresda, Parigi, Firenze e, con apertura programmata nel 2019, Bologna. Il progetto è quello di 10 strutture in Italia entro i prossimi cinque anni: a Roma, Torino, Milano, Venezia, Napoli, poi di nuovo Roma e Firenze; e poi Madrid, Berlino, Porto, Vienna…

«In tutto, TSH, che a oggi conta 4.400 stanze in 11 località, prevede di avere 65 proprietà operative, in costruzione o pianificate nelle città europee nei prossimi cinque anni. “Presto” anche negli Stati Uniti, Canada e Asia.» (Corriere Fiorentino, 7 giugno 2018)

TSH è uno studentato ma è anche un hotel. Questa sua duplice natura, invece di essere giustificata con la semplice necessità di non lasciare mai camere vuote, diventa essa stessa veicolo di propaganda:

«Ai fondatori di The Student Hotel venne in mente che se le esigenze di alloggio degli studenti, giovani professionisti e giovani viaggiatori fossero state unite sotto lo stesso tetto, si sarebbe potuto creare un ambiente vibrante sorprendente che avrebbe ispirato tutti. » (Comunicato stampa TSH)

Al fondo di questa scelta ibrida in realtà ci sono esigenze materiali, e nulla, proprio nulla, di quel «vibe» che pervade tutto il marketing attorno a TSH è casuale. Ma di questo parleremo più avanti: iniziamo, invece, con lo scomporre il generico «everybody» in soggetti reali; e vediamo quindi cosa effettivamente «piace» a TSH, e a chi «piace» questo brand in rapidissima ascesa.

TSH likes «vacant»

Annunciando il proprio arrivo a Bologna, TSH scrive di aver acquisito «vacant» l’edificio di via Fioravanti 27, dove un tempo si trovavano uffici della Telecom. Vero. Talmente vero che quando l’ha comprato (nella prima metà del 2016) la sua vacuità era diligentemente preservata da un presidio 24 ore su 24 di guardie giurate.

Ciò che TSH omette è che l’ex- Telecom era diventata «vacant» a suon di manganellate, pochi mesi prima, quando le trecento persone che l’avevano occupata con Social Log e l’abitavano erano state sbattute in strada dalle forze dell’ordine. Accadeva il 20 ottobre 2015: la «legalità», ovvero la speculazione immobiliare, era ripristinata.

La prima carica contro il presidio. Foto Michele Lapini/Eikon

Carica durante lo sgombero dell’ex-Telecom (2015)

In realtà TSH conosce benissimo la storia dell’ex-Telecom. Charlie MacGregor, fondatore e amministratore delegato, dichiara in conferenza stampa:

«Non solo ne eravamo al corrente, ma diciamo che questo è quasi il motivo principale per il quale abbiamo scelto proprio quella location […] conosciamo la brutta storia [ dell’ex-Telecom ] ma non ci interessa, ci interessano di più le potenzialità per il futuro […] L’edificio di per sé è bellissimo, si vede che è stato occupato e abusato, ma con un buon lavoro di restauro e design certamente diventerà un importante elemento di riqualificazione dell’intero quartiere.» (Radio Città del Capo, 27 giugno 2016)

L’occupazione è una «brutta storia», un «abuso», ma anche, in modo sibillino, «il motivo principale» per la scelta della «location». Di queste ambiguità è piena, come vedremo, tutta la comunicazione di TSH. Cominciamo con la prima.

TSH likes «multicultural»

TSH fa costante professione di multiculturalismo: «la nostra community: multiculturale, cosmopolita»; oppure: «Join our warm, welcoming multicultural community». Sempre nel sito TSH la Bolognina (il quartiere in cui si trova l’ex-Telecom) viene descritta come «multiculturale, cosmopolita, pop, creativa, divertente» e TSH ci si sente «come a casa».

Ebbene: il multiculturalismo che si trovava all’ex-Telecom occupata, quello dei suoi abitanti cinesi, marocchini, italiani, palestinesi e cubani che si riunivano in una meticcia assemblea di autogestione, è stato manganellato e sgomberato. Al posto di quel multiculturalismo dal basso arriva quello dei nuovi padroni della città, che indossano un vestito variopinto ma sono, come scrive Saskia Sassen, portatori di una sostanziale omogeneità :

«piuttosto che […] includere persone dalle molte estrazioni e culture, le nostre città globali espellono persone e diversità. I loro nuovi padroni, spesso abitanti “part-time”, sono molto internazionali – ma questo non significa che rappresentino diverse culture e tradizioni. Ciò che rappresentano è, invece, la nuova cultura globale del successo – e in questo sono straordinariamente omogenei, non importa quanto diversi siano i loro paesi di nascita e le loro lingue. Essi non sono il soggetto urbano che le nostre città – grandi ed eterogenee – hanno storicamente prodotto. Essi sono, più di ogni altra cosa, un soggetto “aziendale” globalizzato.»

Una conferma involontaria, e quasi caricaturale, dell’uniformità culturale dei futuri ospiti dello studentato ci viene dal già citato comunicato stampa di TSH:

«The Student Hotel offre qualcosa di veramente unico: una scena sociale precostituita e un network all’interno della comunità di giovani con le stesse idee.»

TSH likes «all forms of avante-garde artistic rebellion»

Scrive TSH presentando lo studentato bolognese:

«Portiamo il nostro stile fuori dagli schemi nel Quartiere Navile, meglio conosciuto come Bolognina o la piccola Bologna, un quartiere che ben rispecchia la nostra community: multiculturale, cosmopolita, pop, creativa, divertente. Questa è una zona di Bologna che storicamente ospita una scena underground, tutta graffiti, musica punk rock e anticonformismo artistico applicato in ogni forma d’avanguardia. Chissà perché ci sentiamo come a casa…»

Il fatto che in realtà nessuno abbia mai chiamato «piccola Bologna» la Bolognina è indicativo di quanto tra marketing e realtà i nessi siano labili, e di come non si proceda neppure a una reale conoscenza del territorio tanta è la fretta di metterlo a profitto. In ogni caso se la Bolognina è «storicamente» legata all’underground è grazie a realtà autogestite che sono già state spazzate via dalle trasformazioni urbane e – guarda un po’ – proprio dalla messa a profitto del territorio.

Una «passeggiata» di Xm24 tra fallimenti e ambigue promesse della gentrificazione in Bolognina. Clicca per ingrandire.

L’unica di queste che sopravviva ancora in Bolognina è Xm24, a cui il Comune non rinnova una convenzione firmata nel 2013 (dopo 11 anni di occupazione) senza alcun valido motivo, salvo misteriosi progetti su quell’edificio e la sottostante voglia di liberarsi del centro sociale. Nonostante la gran pletora di spazi sottoutilizzati, le fantasie dell’amministrazione Merola si riversano fatalmente sugli spazi di Xm24: prima quella di farci una caserma, poi una casa della letteratura, poi un progetto segreto scritto forse con l’inchiostro simpatico… Che altro? Quale associazione, realtà o categoria sociale il Comune utilizzerà contro Xm24 promettendole proprio quello stabile – come se non ce ne fossero altri?

Xm24 in quartiere fa iniziativa politica (spesso proprio sui temi della trasformazione urbanistica) e, sul punto della produzione culturale, dà fastidio perché è un impedimento a che «graffiti, punk rock and all forms of avante-garde artistic rebellion» (così la versione inglese del sito TSH) possano essere integralmente depoliticizzati e diventino così un’innocua «controcultura» depurata da avversario e conflitto. La cancellazione del murale di Blu, che invece andava proprio nel segno della ripoliticizzazione della street art, non è mai stata digerita dai piddini locali, che ancora la rimproverano a Xm24 . Senza capire che il loro rimprovero è la conferma della necessità e politicità di quel gesto.

Blu cancella il proprio murale Occupy Mordor. Foto di Michele Lapini.

Proprio come la «controcultura» diventa generica vivacità, allo stesso modo un vago genius loci «anticonformista» rimpiazza la realtà sociale dei luoghi. Sotto questa ambigua luce un luogo cool come il TSH finisce per essere considerato una naturale evoluzione dell’occupazione che è stata sgomberata per fargli posto:

«ci siamo ritrovati a cenare con degli amici nella palazzina occupata dell’ex Telecom, di fronte alla nuova sede del Comune, che ho scoperto da poco sarà recuperata in un modernissimo studentato della catena The Student Hotel. La città è in continuo fermento!» (Eva Laudace, qui)

Comune e TSH like «creative class»

Lo scimmiottamento dell’underground operato da TSH è perfettamente in linea con il substrato ideologico degli interventi urbanistici del Comune. Non a caso è una seriosa pagina della Fondazione per l’Innovazione Urbana del Comune di Bologna a ospitare il già citato comunicato stampa di TSH dai toni forzatamente giocosi, tutto centrato sull0«ambiente vibrante sorprendente che [ispira] tutti» e sull’invito a «lascia[r] vivere per sempre lo studente che è in te!»

Le premesse delle due operazioni convergenti (quella pubblica e quella privata) sono facilmente riconducibili alla pseudo-teoria della «creative class» di Richard Florida, sviluppata negli Stati Uniti nei primi anni di questo millennio. Secondo Florida la chiave per vincere la competizione tra città e attrarre capitali è nell’essere accoglienti per la cosiddetta «classe creativa» composta da scienziati, docenti universitari, designer, architetti, scrittori… e dai professionisti che applicano quanto da loro ideato. Per ingolosire questa «classe» le città dovranno sostenere le «3T» (Tecnologia, Talento e Tolleranza), e offrire servizi «plug and play», proprio come è lo Student Hotel.

Di questa teoria bisogna dire almeno due cose, in premessa:

1. L’idea stessa che le città debbano essere in concorrenza tra loro è aberrante, e ha vistose conseguenze sulla vita reale delle persone che le abitano. Una politica ispirata alla teoria di Florida non metterà infatti quelle persone al centro, ma le proiezioni immaginarie dei «creativi».

2. Quella della «creative class» non è che la declinazione urbana della più generale «trickle-down theory», la teoria reaganiana secondo cui se i ricchi sono sempre più ricchi qualche goccia colerà giù verso i poveri, e dunque non serve nessuna misura di redistribuzione. C’è questa «teoria dello sgocciolamento» al fondo della flat tax e dei tagli al welfare. Nel mondo di lingua inglese, con una certa efficacia, circola il motto: «the rich pissing on the poor, that’s trickle-down theory».

Ciò detto, è necessario aggiungere che quella della «creative class» è una teoria totalmente screditata in accademia, e pure tra quelle basate sulla «creatività» vince certamente la palma della più farlocca. La teoria di Florida prospera ormai solo tra amministratori che vi cercano una pezza d’appoggio per ciò che hanno già deciso di fare, ovvero privatizzare e svendere la città pezzo a pezzo.

In una pagina un po’ istituzionale un po’ no che si presenta come « blog della Rete Civica Iperbole», ovvero della rete telematica del Comune di Bologna, la teoria di Florida viene esplicitamente richiamata:

«La creatività come motore generale del cambiamento non solo negli stili di vita o nella gestione del tempo libero, ma anche nelle attività produttive e nel lavoro. […] Linea guida è quella delle élites della città creativa, basata sulle 3T di Richard Florida ovvero Tecnologia, Talento e Tolleranza»

Essendo la pagina un po’ ufficiale e un po’ frufru è difficile dire sic et sempliciter che il Comune di Bologna si riconosce nella teoria di Florida e nelle «3T». Forse lo scopo ultimo di questa forma di comunicazione dallo statuto incerto è precisamente quello di non assumersi la responsabilità di concetti che, pure, si è deciso di far circolare. E poi quanto è ridicolo parlare di «3T» proprio a Bologna?

Da un trittico all’altro.

In ogni caso il dialogo tra TSH e l’istituzione sembra sposare in pieno le fantasie di Florida:

«Vogliamo sostenere – ha detto il fondatore [di TSH] Charlie McGregor – la comunità di Bologna nella sua ambizione di diventare un’area a livello mondiale per l’innovazione e il talento».

A cui risponde il Comune:

«La partenza del progetto rappresenta “l’inizio di qualcosa di meraviglioso”, sottolinea Osvaldo Panaro, direttore del settore Marketing e Turismo di Palazzo D’Accursio: ”The Student Hotel” porta in città “una ventata di aria fresca ed un nuovo modo di investire”.» (Rcdc)

TSH likes Comune, Comune likes TSH

Nel 2016, inaugurando le telecamere di sorveglianza (sic!) del mercato di via Albani, a due passi dall’ex-Telecom, il sindaco Merola dichiara:

«Ieri ho avuto un incontro con una società internazionale scozzese, The Student Hotel, che vuole realizzare nell’ex Telecom uno studentato con 300 camere a prezzi contenuti e servizi per gli studenti, così come stanno facendo in molte altre città europee».

[Il prefisso «Mac» nel cognome dell’amministratore delegato ha confuso il sindaco: la compagnia è neerlandese, non scozzese. Poco male. È la svista sui «prezzi contenuti» che, invece, suona meno innocente.]

L’anno successivo l’assessora all’urbanistica Orioli tiene una conferenza coi progettisti del TSH alla fiera mondiale della speculazione immobiliare, il Mipim di Cannes. Al Mipim i privati vendono progetti immobiliari, gli amministratori si vendono le città.

Stand del Comune al Mipim 2018. I bolognesi sono avvertiti: il rischio di essere investiti dalla speculazione immobiliare aumenta. Inutile attraversare sulle strisce. Foto: beescommunication.it

Nello stesso 2017 TSH chiede di sopraelevare lo stabile di un piano, ma senza mettere a disposizione il maggior numero di parcheggi e il verde pubblico che  da standard urbanistici  sarebbero conseguenti all’aumento di cubatura. Con la delibera 199479/2017 il Comune risponde affermativamente: dichiara TSH «edificio di interesse pubblico», concede la sopraelevazione e accoglie la proposta di «monetizzare » gli standard urbanistici, quantificati in 500mila euro.

Invece quindi di far valere gli standard di verde e parcheggi  pensati a tutela della qualità della vita dei residenti  il Comune ne accoglie la loro trasformazione in denaro. Denaro che userà per imporre la propria idea di città, come vedremo.

La «monetizzazione degli standard urbanistici» è una delle più diffuse e perniciose prassi antiurbanistiche. Nel nostro caso, su proposta dell’Unità di Governance per l’Immaginazione Civica (sic), i 500mila euro di TSH vengono destinati alla ristrutturazione della pensilina (tettoia) Nervi, struttura che verrà utilizzata «anche per eventi ad elevato affollamento, con la possibilità di creare sinergie anche con la stessa struttura ricettiva [cioè il TSH] per la rivitalizzazione del Quartiere».

Tradotto:

1. I soldi di TSH, che arrivano al Comune in cambio della rinuncia all’urbanistica di quest’ultimo, alimentano quello stesso mondo di eventi che è il cuore pulsante del marketing di TSH stesso;

2. Con la pensilina Nervi TSH avrà a disposizione un enorme dehors per feste, eventi, apericene ad alto tasso di hipsterismo (questo significa infatti «creare sinergie anche con la stessa struttura ricettiva»);

3. il Comune prende i soldi dei gentrificatori non quindi per lenire le ferite della gentrificazione, ma per gettarvi sale producendo ulteriore gentrificazione. Anzi: più che gettarlo, lo distribuisce con cura come sull’orlo di un Margarita. Da sorseggiare sotto la tettoia Nervi.

4. Il quartiere, svuotato dalle vite di sgomberati e sfrattati, viene rivitalizzato dall’alto, con l’allegria monetizzata dei gentrificatori.

La pensilina Nervi. Sullo sfondo, la gru di TSH.

Notevole infine un passaggio della stessa delibera, assunta il 19 giugno 2017, che per giustificare le concessioni a TSH parla della «necessità di mantenere il livello di “città accogliente” che connota Bologna a livello internazionale». Cinque mesi dopo il Comune emetterà i primi Daspo urbani nei confronti di persone «sdraiate su materassi e accerchiate da numerose masserizie », insomma poveri che dormivano in strada. La parola «accoglienza», quando esce dalla loro bocca, ha il tanfo del marcio.

TSH likes gli architetti di chi conta

Il progetto della ristrutturazione dell’ex-Telecom è dell’architetto Matteo Fantoni. La tag cloud che nel suo sito accompagna i disegni del TSH restituisce i soliti specchietti per allodole à la Florida: «vibrant», «young», «innovative» «emotional» «dynamic» «hip» e, naturalmente, «cool».

Non posso fare a meno di chiedermi quali fossero le parole chiave di un altro suo progetto, il Billionaire di Malindi, in Kenya (di cui Briatore, peraltro, sta cercando di liberarsi).

«Il Billionaire è “Cultural”, “Sustainable”, “Public interest”!»
«Ehi, cazzo dici? Quelle sono le tag per The Student Hotel!»

La progettazione strutturale, il coordinamento, la direzione lavori eccetera del TSH bolognese è invece affidata a Open Project, società di architetti che frequenta le stanze dei committenti più importanti. Ha ristrutturato o edificato per CCC, Comune di Bologna, Coop… Anche il centro commerciale Minganti, in Bolognina, è un suo progetto, peraltro premiato al Mapic di Cannes (la fiera sorella di Mipim dedicata agli insediamenti commerciali). Nonostante il premio, il centro Minganti è desolatamente vuoto solo dodici anni dopo l’inaugurazione, abbandonato dal supermercato Coop e anche dalla superstite palestra Virgin.

Di Open Project, infine, è anche il progetto che esibisce l’eccitazione capitalistica della «cooperazione rossa»: il priapico grattacielo Unipol.

«Dai colli, guardando Bologna, si vedeva la Torre Unipol, un’escrescenza color antracite sorta all’improvviso in via Larga, Bologna Est, poco oltre la tangenziale. Era l’ottavo grattacielo più alto d’Italia e in città spiccava, non lo vedevi solo dai colli, ma dalla bassa, dai ponti di via Matteotti e via Stalingrado, lo vedevi tra le aperture delle case, ti voltavi in direzione del mare e lo vedevi là, dimostrazione di priapismo, di tracotanza aziendale eretta sui lontani ricordi del movimento cooperativo, aspetta, cos’era, una roba di operai? Da ogni dove leggevi la colossale scritta, verticale e verticistica: UNIPOL. Questo era ormai la «sinistra» mainstream a Bologna a metà degli anni Dieci: la Torre Unipol. Mi divertivo a immaginarla in un futuro post-umano, come la Statua della Libertà nel Pianeta delle scimmie (il film del 1968, non il remake né il reboot), diroccata e storta, circondata dalle sabbie del tempo.» Wu Ming 1, Un viaggio che non promettiamo breve, «Ouverture», pag. 28, Einaudi 2016.

TSH ed estrattivismo #1: CDP

La gentrificazione è estrattivismo al quadrato. Non solo, infatti, viene estratto valore dalla società e dalla cultura (o «controcultura») dei quartieri da gentrificare, ma il più delle volte i capitali e gli immobili attraverso i quali avviene l’estrazione hanno una storia di privatizzazione alle spalle, e dunque sono stati  a loro volta, in precedenza  estratti dalla ricchezza sociale.

A Firenze TSH ha aperto nel «Palazzo del sonno», che fino al 2004 era di proprietà del gruppo (pubblico) FS, ed è stato venduto in occasione delle «cartolarizzazioni» dell’allora ministro Tremonti.

Un altro TSH fiorentino verrà costruito nell’ambito dell’enorme operazione sull’ex Manifattura Tabacchi, un’area che ha un passato statale (prima del Monopolio, poi dell’Ente Tabacchi) e un presente privatissimo, nelle mani del fondo Perella Weinberg (che, guarda caso, è anche finanziatore di TSH). A traghettare tra privato e pubblico c’era Cassa Depositi e Prestiti (CDP).

Il cambiamento dei toponimi accompagna sistematicamente i processi di gentrificazione. Nel sito TSH, in traduzione, il «palazzo del sonno» diventa «del sogno».

A Roma lo studentato per ricchi aprirà «in un’emergente zona popolare con artisti, artigiani, scrittori, intellettuali e attori» , come la descrive, senza timore del ridicolo, un comunicato congiunto di TSH e CDP. Si tratta dell’area della dogana di San Lorenzo, un tempo demaniale e oggi di una società immobiliare di cui CDP detiene il 75%.

«L’operazione tra Cdp e il gruppo alberghiero è in una fase preliminare che verrà perfezionata in seguito al verificarsi di alcune condizioni come la bonifica, la realizzazione delle opere di urbanizzazione finalizzate alla trasformazione urbana e la definizione di tutti i permessi necessari. Se ne occuperà una joint-venture tra il gruppo alberghiero e l’Area Group Real estate di Cassa depositi e prestiti. Al termine di questa fase preliminare, verrà perfezionata la vendita al gruppo olandese.» (Romatoday, 3 marzo 2017)

Secondo l’urbanista – ed ex assessore della giunta Raggi – Paolo Berdini il prezzo concordato è conveniente soprattutto per TSH:

«Se gli oneri di Cassa Depositi e Prestiti sono la bonifica e i permessi, 90 milioni di euro sembrano un po’ pochi […]. Se questi sono i soldi, vorrei capire cosa si intende per valorizzazione» (Il Fatto, 27 novembre 2017 )

CDP era statale fino alla trasformazione in società per azioni nel 2003, e ancora oggi è all’86% in mano pubblica (che pure la gestisce in senso privatistico). Storicamente CDP raccoglieva il risparmio postale dei cittadini e lo usava per finanziamenti a tasso agevolato agli enti locali, e oggi potrebbe mettere a disposizione risorse per calmierare il mercato immobiliare, sostenere la messa in sicurezza del territorio eccetera… Invece, al contrario, opera sistematicamente a favore della «penetrazione dei grandi interessi finanziari nella società» , finanziando «la svendita del patrimonio pubblico dei comuni e la privatizzazione dei servizi pubblici locali», come scrive Marco Bersani.

È ancora la «tentacolare» CDP a gestire il bando ministeriale per la realizzazione di residenze studentesche per «studenti capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi finanziari». Il bando non può interessare TSH, essendo riservato a onlus, enti locali e soggetti no profit; nondimeno, come dice l’assessora Orioli in un’intervista che parte dalla pensilina Nervi e dal TSH bolognese, «il tema degli studentati è sotto i riflettori». E, aggiunge Orioli, «soggetti, anche internazionali, hanno già manifestato il proprio interesse intercettando i finanziamenti statali disponibili per queste iniziative». Che non ci sia un nesso tra quel bando e TSH è evidente; ma è altrettanto evidente che per Orioli, e per chi pensa come lei, un TSH ha davvero a che fare con le (reali) esigenze di alloggio degli studenti, e questo è già – di per sé – preoccupante.

TSH ed estrattivismo #2: ABP

Nel 2015 TSH riceve un finanziamento di 100 milioni da ABP, fondo pensionistico neerlandese (il conferimento avviene tramite il gestore APG). Quanti sono 100 milioni nell’economia di TSH? Non pochi: per lo studentato bolognese una stima (ormai datata) dell’investimento è di 30-35 milioni di euro, per il «Palazzo del sonno» fiorentino è di 40 milioni.

Lo «Stichting Pensioenfonds ABP» è il quinto fondo pensionistico al mondo. È paradigma d’estrattivismo finanziario: i «suoi» soldi sono quelli degli accantonamenti per pensione di 2,8 milioni di dipendenti pubblici dei Paesi Bassi. Soldi dunque di provenienza pubblica, spediti nell’iperspazio della finanza speculativa.

Ma non basta: ABP stesso era ente pubblico fino al 1996, quando è stato privatizzato. La retorica per far passare la privatizzazione è stata, lassù, la stessa che abbiamo ben conosciuto qui da noi: il «baraccone di stato» doveva diventare una «macchina di gestione finanziaria guidata dal mercato».

[Ovviamente la contrapposizione tra pubblico e «libero mercato» è pura propaganda. Il «libero mercato» ha bisogno della ricchezza pubblica come il vampiro ha bisogno del sangue del la sua vittima; e sempre gli servono politici che indichino bene il punto in cui mordere – anzi, che ci facciano proprio un bel circoletto attorno con il pennarello. L’attuale presidente di ABP, Corien Wortmann-Kool, è una ex parlamentare europea di centro-destra. Qui si può leggere un suo breve intervento contro l’introduzione di clausole sociali nella legislazione comunitaria.]

Nosferatu – Eine Symphonie des Grauens (1922)

Una macchina «guidata dal mercato» va dove la porta il cuore, cioè il profitto. Nel dossier «Dirty & Dangerous» l’organizzazione Both ENDS analizza gli investimenti di ABP nei combustibili fossili. E scopre – nonostante le promesse green di ABP e la contrarietà di gruppi di dipendenti pubblici, involontariamente implicati – che nel 2015 e 2016 gli investimenti di ABP in «Gas, oil & coal» sono cresciuti di valore.

Nel 2017, mentre Both ENDS chiudeva il suo dossier, il Comune di Bologna riconosceva a TSH di aver privilegiato «la mobilità sostenibile ed alternativa dotando ciascun posto letto di una bicicletta, progettando perciò 626 posti bici», e usava, il Comune, anche questo pretesto per incassare la «monetizzazione degli standard urbanistici» (si veda al capitoletto TSH likes Comune).

Uno degli impianti a carbone in cui investe ABP è quello (enorme) in costruzione a Batang (Java, Indonesia), da tempo al centro di critiche locali e internazionali. Pescatori e agricoltori che temono per le proprie fonti di sostentamento, durante una protesta, hanno composto sul terreno la scritta

«FOOD NOT COAL!»

La scritta è un appello disperato di povera gente travolta dalla grande opera inquinante. Eppure, in virtù della doppiezza costitutiva del «capitalismo green», quella stessa frase non stonerebbe affatto sul muro dell’area lounge di un TSH, pure finanziato dalla stessa ABP.

Ancora: secondo il network di giornalisti Danwatch, «il fondo pensionistico neerlandese Stichting Pensioenfonds ABP ha 97 milioni di euro in tre banche israeliane» che a loro volta hanno interessi nei territori palestinesi occupati. Gli investimenti europei nei territori occupati, ricorda Danwatch, allontanano la possibilità della soluzione pacifica «a due stati», che è quella ufficialmente auspicata dai paesi UE.

Ma tranquilli, nessun allarme: nei TSH di tutta Europa si tengono i Bed Talks, conferenze di tizi che indossano calze rosse e parlano restando sdraiati a letto. Ascoltando i creativi rossocalzati sarà possibile scoprire, nientemeno,

«COME ANDARE A LETTO CREERÀ LA PACE NEL MONDO […] condivide[ndo] idee per superare le ingiustizie o missioni per pareggiare gli squilibri mondiali, per risolvere, tanto per fare qualche esempio, la crisi dei migranti, per creare macchine in grado di trasformare i rifiuti umani in energia, per sfruttare lo sport c[ome] veicolo di pace nel mondo» (TSH, Bed Talks)

TSH likes prezzi alti

A Dario Nardella, sindaco di Firenze, scappano spesso le parole di bocca. Egli è, in qualche modo, il giullare di se stesso, il fool che dice ciò che un sindaco del Pd non dovrebbe dire, ma che pure un sindaco del Pd profondamente pensa. Ebbene, il 7 giugno scorso dichiara a La Nazione:

«Questo non è uno studentato. È un’offerta nuova che intercetta la classe dirigente di domani. Un segmento di clientela internazionale che prima da Firenze non passava neppure per sbaglio. E poi qui si ha una stanza con 750 euro mensili, comprensivi di utenze, di palestra e di molto altro ancora. Un prezzo in linea con gli standard europei. Fossi uno studente ci verrei subito».

Non uno studentato, dunque, ma un luogo in cui la classe agiata riproduce se stessa. I prezzi poi, verificati sul sito TSH meno di una settimana dopo le dichiarazioni di Nardella, vanno dai 970 ai 1164 euro al mese. Non sono affatto «in linea» con i prezzi fiorentini (per una singola, generalmente, si pagano 350-450 euro al mese), e neppure con «gli standard europei», se non nel senso che anche ad Amsterdam TSH costa molto di più di una normale stanza in affitto. Lo standard europeo di TSH, insomma, è proprio questo eccedere gli standard locali.

Anche le fantasie del suo collega Merola sullo «studentato con [….] camere a prezzi contenuti» saranno smentite non appena TSH Bologna aprirà le prenotazioni. TSH è un albergo-studentato d’élite, che turisti e wannabe possono assaggiare per qualche sera, ma in cui solo veri benestanti passeranno un intero anno accademico. La storica dell’architettura Roos van Strien descrive in questo modo la «comunità» di TSH:

«Con i suoi servizi condivisi, i party organizzati e l’idea generale di avere tutto sotto un solo tetto, TSH si presenta come “comunità completamente connessa”. Ma forse sarebbe più preciso dire che è una moderna e anonima “gated community”. Anche se non ci sono cancelli o barriere fisiche che interdicono l’ingresso a ospiti indesiderati, e se la hall dell’albergo è in effetti accessibile a tutti, TSH è accessibile solo a pochi […] nuove barriere vengono erette dalle sue caratteristiche lussuose ed esclusive, che recintano la “comunità” separandola da chi ne è fuori.»

TSH avrà un effetto dopante sugli affitti per studenti, generando ulteriori difficoltà per normali studenti e studentesse che cercano una casa a prezzi tollerabili – come se non bastasse la pressione dei flussi turistici a far crescere i prezzi. E, a proposito di turisti, l’impasto tra questi e gli studenti ricchi, cifra di TSH che i media italiani hanno rilanciato del tutto acriticamente, è illustrato nelle sue ragioni materiali ancora da van Strien:

«Ottenendo una licenza come hotel, [TSH] ha trovato una scappatoia nel sistema di valutazione della proprietà, sulla base del quale viene fissato il massimale dell’affitto [nella legislazione dei Paesi Bassi]. Un hotel – quali che siano le dimensioni della stanza – può richiedere qualsiasi prezzo. Inoltre, non è vincolato a un contratto [di locazione] e può sfrattare le persone quando più lo ritenga opportuno.»

Per il suo comportamento da «cowboy» nel mercato degli affitti di Amsterdam, l’attivista studentesca Lisa Busink propone di «vietare The Student Hotel».

«Everybody should like everybody», reprise

Pensavo, in chiusura, di proporre una lettura diversa dello slogan che sarà tracciato sul muro del TSH. Non un appello all’amore universale, ma l’istanza di chi sa che sarà odiato, e sa pure perché, e si gioca in anticipo una carta vittimista: «Dovremmo piacervi, perché non vi piacciamo?» Questo pensavo, ma forse le cose non stanno così.

Quando ho pubblicato dei tweet a proposito delle iniziative su TSH di Xm24 e di Cua Firenze (che ha ridicolizzato i Bed Talks mettendo in scena i Bad Talks, un bagno di realtà contro le favole in calzetti rossi), mi ha più volte risposto Cecilia Sandroni, la PR italiana di TSH. Le sue parole dimostrano che non c’è la minima consapevolezza del fatto che possa esistere – e del perché esista – una critica alle loro operazioni: «Lusso?» «Fuffa? Informatevi meglio»

Segue un classico (anche farinettiano): l’«invito».

«se volete visitarlo di persona Benvenuti. Credo che prima di contestare serva sempre valutare sperimentare. Buona giornata ragazzi da una ex studente non facoltosa.» «[…] Se poi vi innamorate del progetto come ho fatto io che sono arrivata a Firenze da studente lavorando e studiando che si fa? »

E infine l’apoteosi, con foto di Charlie MacGregor:

«vi auguro di diventare a 40 anni come lui. Impegnato socialmente, educato, incredibilmente gentile, dalla grande visione e con un infinito ottimismo e fiducia nei giovani. Nato in Scozia vive in Olanda. E pure bello! ;-)»

Clicca per ingrandire.

Il loro non è vittimismo dunque, ma la sincera convinzione di piacere a «everybody». La classe dirigente del capitalismo hip, a furia di essere blandita da istituzioni, media… praticamente da chiunque, neppure immagina un’opposizione. Massimo massimo concepisce una pernacchia. Inevitabilmente, li stupiremo.

Wolf Bukowski scrive su Giap e Internazionale. È autore dei libri La danza delle mozzarelle (2015) e La santa crociata del porco (2017), entrambi editi da Alegre.

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24 commenti su “The Student Hotel, lo studentato per «creativi» che vampirizza i quartieri popolari

  1. articolo molto interessante, non conoscevo TSH ma usano davvero una retorica insopportabile.
    Segnalo un esempio simile e per certi versi speculare che riguarda Palermo e un’altra grossa catena di residenze universitarie private, Camplus, che ha sedi in tutta Italia e credo più di una proprio a Bologna.
    Camplus a Palermo ha ristrutturato un immobile che come la Ex Telecom era occupato. Un ex carcere femminile che per più di un decennio è stato l’ExKarcere, uno dei maggiori centri sociali occupati a Palermo che ha lavorato molto con il quartiere popolare dell’Albergheria in cui si trovava, oltre a ospitare centinaia di concerti ed eventi culturali straordinari.
    Dopo lo sgombero ci furono dei lavori che durarono anni perché l’edifico era in persante stato di degrado. Adesso è una residenza di superlusso con stanze che si affacciano sulle celebri cupole rosse di San Giovanni degli Eremiti.
    Anche la zona sta cambiando, o meglio quel tratto di strada è rientrato nel percorso arabo normanno creato dall’Unesco qualche anno fa.
    Non conosco le strategie comunicative di Camplus però immagino che cerchino un target diverso, forse meno hip di TSH. In ogni caso la dinamica sembra abbastanza simile: sgombero di un edificio occupato in un quartiere popolare in via di gentrificazione e nascita di uno studentato per giovani ricchi.

    • Sarebbe necessario sviluppare una riflessione critica su tutto il glitter dei riconoscimenti UNESCO. Come minimo Raggi a Roma e Nardella a Firenze li stanno usando contro i negozi gestiti da migranti e per imporre il loro «decoro» classista; ma sono ragionevolmente certo che accada anche altrove.
      Sarebbe interessante – senza alcuna illusione sull’UNESCO, ovviamente – provare a fare scoppiare qualche contraddizione.

  2. Articolo molto interessante! Inoltre il collegamento con il gesto di Blu secondo me è particolarmente pertinente, infatti se parliamo di estrattivismo anche dalla controcultura la “street art” ne è tra gli infelici protagonisti. Nel 2016 prima che venisse inaugurata la mostra Street Art Banksy & Co.-L’arte allo stato urbano, Ciancabilla (uno dei curatori) scrisse un libro sul restauro della pittura murale urbana contemporanea (The sight gallery), un testo discutibile anche a livello accademico, in cui fa della vera e propria propaganda a favore della gentrificazione e della speculazione immobiliare.
    Ciancabilla infatti propone senza mezzi termini un progetto di “valorizzazione” della Street Art conseguente ad un processo di gentrificazione della Bolognina che poi spiega così (usando le parole di G.Corvatta):
    “Un quartiere inizialmente poco popolare, una volta colpito dagli street artist (meglio se già conosciuti) diventa in automatico un quartiere provocante, giovane, alla moda. Gli artisti e i creativi sono i primi a trasferirsi nella zona, sfruttando gli ampi spazi e i bassi affitti per loro studi e laboratori. In un secondo momento compaiono i primi locali di tendenza e, infine, vi si trasferiscono i giovani e le famiglie. A conclusione del processo, la zona risulta riqualificata, il quartiere acquisisce valore, e i prezzi aumentano. Tra i vari esempi di questo fenomeno di gentrification si possono citare i sobborghi di Williamsburg e Bushwick a Brooklyn, per anni quartieri proletari o industriali e ora diventati tra i quartieri più ricercati e alla moda di tutta New York .”
    Dopo questa spiegazione-esempio a cui il curatore attribuisce un valore positivo *, decide di proporre la facciata di XM24 fatta da Blu come portale di entrata per questo nuovo quartiere cool per creativi. Il cortocircuito è totale e dimostra che Ciancabilla, come chi chiama la Bolognina “piccola bologna”, non sa di che sta parlando.

    *non ho potuto controllare se anche G.Corvatta (citato da Ciancabilla) sia pro-gentrificazione, perché la citazione nel libro era totalmente decontestualizzata e veniva da una tesi. Tenete conto che ad un a certa cita, totalmente fuori contesto, frasi di Contro il decoro di Tamar Pitch per tirare acqua al suo mulino, quindi è anche poco affidabile nelle fonti: come potrebbe un libro che parla del decoro come strumento repressivo avvalorare la sua tesi???

    • Grazie Cro.

      La fantasia di Ciancabilla è, come dici tu, fuori contesto; ma è proprio in quell’essere fuori contesto la sua forza. Essa, o almeno il suo riflesso negli occhi avidi dei «riqualificatori», è applicabile a qualsiasi quartiere.

      Prova ne sia che essa viene denunciata “ex ante” da David Ley già nel 1996:

      «L’artista urbano è di solito il corpo di spedizione dei gentrificatori, e pacifica la nuova frontiera prima dell’insediamento di [nuovi] residenti più convenzionali. […] Le tendenze estetiche e romantiche di parte della nuova classe media, il ruolo totemico attribuito all’artista come creatore e innovatore, trasformano lo spazio degli artisti in una sorta di spazio sacralizzato. Come una casta sacerdotale in una società secolarizzata, l’aura artistica ha la capacità di trasformare il significato e il valore dello spazio – e quindi anche il suo valore economico.» [The new middle class and the remaking of the central city, pag. 191]

      A Bolzano -oggi – viene usata un’opera d’arte contro i chioschi del kebab – nonostante i chioschi siano lì da decenni, e l’opera – il “catturavento” – invece da pochi mesi
      (ne parlo qui: https://www.salto.bz/de/article/27052018/i-chioschi-del-kebab-assediati-dallarte ).

      Tornando in Bolognina, non a caso da questo 2018 il fabbricato occupato – per 3 giorni nel 2016 – da Social Log in via di Corticella (sì, la coloratissima ex biblioteca) ospita un “co-working” artistico che si occupa di “manutenzione dell’immaginario”. (Si noti l’assonanza con la “governance dell’immaginario” dell’assessore Lepore)

      Altrettanto non a caso le sue iniziative vanno a sbattere contro la cancellazione del murale di Blu, che – per non dispiacere agli sponsor politici – il co-working (Voxel) giudica pilatescamente un «discusso intervento» ( https://www.facebook.com/voxelnetworkBO/photos/a.373674949756974.1073741829.364223010702168/399727987151670/?type=3 )

      «Ponzio, che fai?»
      «Mi lavo le mani che poi vado al coworking a fare della steet art. Roba forte, eh!»

  3. Una precisazione e due segnalazioni:
    1) Un secondo TSH a Roma?
    2) «Quando lo spritz è complice»
    3) Le regole punitive – e gli affitti alti – del TSH di Groningen

    1) Nel post scrivo:
    «Il progetto è quello di 10 strutture in Italia entro i prossimi cinque anni: a Roma, Torino, Milano, Venezia, Napoli, poi di nuovo Roma e Firenze; e poi […]»

    «Ma noi di un secondo TSH a Roma non ne sappiamo nulla!» mi dicono alcuni/e compagni/e romani, pur ben informati.

    Ebbene, neppure io ne so molto, ma ho tratto la notizia da “Il Tirreno”:
    «Il piano globale, spiega MacGregor, al momento prevede l’apertura dello Student di Bologna […poi] Firenze Belfiore e quello alla ex Dogana San Lorenzo a Roma[…]. Sulla carta, nuove aperture sono previste anche a Torino, Milano, Venezia, Napoli più una seconda struttura a Roma e una terza a Firenze, ex Manifattura Tabacchi.»

    Questo il link: http://iltirreno.gelocal.it/regione/toscana/2018/06/07/news/the-student-hotel-annuncia-6-700-milioni-di-euro-di-investimenti-1.16934646

    2) Copincollo qui «QUANDO LO SPRITZ È COMPLICE» di Gaia Benzi (da FB, qui: https://www.facebook.com/gaia.benzi/posts/10155279733692434 )

    «Esce oggi per “Giap” una bellissima inchiesta a firma di Wolf Bukowski sullo Student Hotel, catena di stanze di lusso per turisti e studenti facoltosi, di prossima apertura anche a Roma – dove? indovinate un po’? – all’ex-Dogana.
    A Bologna come ad Amsterdam, a Roma come a Firenze e a Londra, Parigi, il capitale si traveste da “hip”, diventa creativo e “cool”, e spaccia per rigenerazione urbana la speculazione e la logica del profitto.
    La “creative class” – che a questo punto tocca pure capire da chi è rappresentata, considerando che i “creatives” in Italia fanno quattro lavori e non c’hanno comunque una lira – è chiamata a sottoscrivere la svendita delle città e delle energie locali alle multinazionali estere, in cambio di una “coolness” che sia spendibile nel mercato in continua espansione dell’autopromozione permanente.
    Se parliamo di ricostruire le comunità e di riconnettere il tessuto sociale (per non dire di chi vorrebbe “rifondare la sinistra” tornando “nelle strade”) il primo passo dovrebbe essere una critica spietata ai processi di “rigenerazione urbana” capitalistica che sussumono i processi reali di rigenerazione dal basso, ne cooptano le parole d’ordine e a volte anche i luoghi – previo sgombero, ovviamente – e di fatto normalizzano il conflitto e fanno a pezzi interi quartieri.
    I nostri stessi desideri vengono messi a valore, e i soldi faticosamente guadagnati facendosi sfruttare dall’industria creativa – o accademica, o dalla ristorazione, o dal terzo settore, o da qualunque altra cosa facciate – sono utilizzati per rivenderci svilite e mercificate le nostre sacrosante aspettative per una vita migliore.
    Ricordiamoci di questi processi quando beviamo stanchi il nostro spritz, pagato 8€ e consumato da un barattolo di ceci su un divano di pallet ricoperto di cuscini imbottiti.
    E ribelliamoci, perdio.»

    3) Infine: Koen Marée ci segnala un suo articolo («High rent and nasty clauses: Stuck at The Student Hotel») a proposito del TSH di Groningen: https://www.ukrant.nl/magazine/stuck-at-the-student-hotel/?lang=en

    Le testimonianze di ospiti e ed ex-ospiti parlano di:

    -penali più il 70% dell’affitto da pagare se lasci stanza in anticipo senza trovare un tu stesso rimpiazzo (nonostante TSH dichiari di avere una ben folta lista d’attesa);
    -key-card bloccata per una multa per divieto di fumo (ma la chiavetta per generare il codice per il pagamento on-line era nella stanza…);
    -staff amichevole che poi si rivela «almost as if they wanted me to hate them»…

    Assolutamente da leggere. Quello del TSH è un (brutto) esempio continentale, da sbattere in faccia a promotori, amministratori entusiasti, Nardelli vari che corrono a stendergli il tappeto rosso (mentre ai poveri riservano – con disgustosa e salviniana coerenza – la ruspa: https://twitter.com/DarioNardella/status/1013732397215600640 )

  4. Un aspetto delicato è che la narrazione dietro TSH sembra ancora indecisa, o forse, meglio, ha già dentro di sè un paradosso grottesco che non può pacificarsi in una narrazione convincente.

    «Lusso?» ribatteva la PR su twitter, come a dire che lusso non è di certo, cosa ci siamo messi in testa? Poi però nei successivi giorni rilancia mille volte un un tronfio trafiletto dal titolo: “The Student Hotel apre a Firenze: questo sì che è lusso” (https://siviaggia.it/notizie/firenze-the-student-hotel/207760/). Quindi, decidiamoci: è lusso oppure no?

    Intanto però il pezzo è interessante anche perchè miscela rapidamente e svogliatamente tutti i punti chiave di questa narrazione, definendo TSH “un’intuizione geniale” (il genio e la follia alla stayhungry con la mela) subito dopo “un albergo totalmente votato al futuro” – dunque è in tutto e per tutto un albergo – (di lusso? forse si, o forse no – un attimo dopo inventa “prezzi contenuti per gli studenti”) ma soprattutto riportando un’altra perla:

    ‘Lo slogan che caratterizza questa nuova struttura sarà “May the student in you live forever”, “Lascia che lo studente in te viva per sempre”.’

    Gli studenti sarebbero gli “appartenenti alla Generazione Z e ai Millenials”, termini definiti in quanto tali, come se fossero il nome di una band, e l’ammiccamento è che anche chi studente non è più, ma condividerebbe con questa fantomatica creatura la notoria ampia capacità di spesa, l’assenza di pensiero critico e la voglia di vivere in un ambiente “frizzante”, da oggi può permettersi di soggiornare a contatto con il VERO LUSSO.

    E torno alla mia domanda iniziale: è lusso allora o non è lusso, per come vogliono proporre TSH? Amaramente mi rispondo da sola, ricordando una conferenza che ho seguito per lavoro: tema: la narrazione di brand di alta moda, luxury come dicono loro, o di lusso (manco a farlo apposta).
    Otto ore di convegno guidate da un unico mantra, mentre avidamente i mini e maxi manager della moda (di lusso) prendevano appunti: “Dovete capire che oggi il cliente è pronto a spendere sempre di più. Ma non comprerà il lusso. Il lusso non si identifica più col lusso, ma con una sola atmosfera: l’AUTENTICITÀ.”

    Eccoci di nuovo. Il lusso è il finto genuino (non clandestino), di nuovo farinettiano. Vendere il lusso significa vendere “un’esperienza autentica”, che nello stesso momento in cui viene venduta come tale si rivela brutalmente la costruzione quasi dolorosa di un’autenticità artefatta da spacciare al cliente, tale che il cliente possa specchiarsi nella sua scelta raccontandosi che lo porta più vicino al nudo cuore delle cose, proprio quello, guarda un po’, che nessuna cifra può comprare.

    • Giustamente citi Farinetti, ma potremmo pure parlare di Slow Food.
      I presupposti mi sembrano proprio quelli: l'”autentico”, l'”esperienza” e altre caratteristiche ineffabili. Ineffabili per modo di dire, poi, che Marx le aveva già definite così:

      «Finché [la merce] è valore d’uso, non c’è nulla di misterioso in essa, sia che la si consideri dal punto di vista che soddisfa, con le sue qualità, bisogni umani, sia che riceva tali qualità soltanto come prodotto di lavoro umano. … Per esempio quando se ne fa un tavolo, la forma del legno viene trasformata. Ciò non di meno, il tavolo rimane legno, cosa sensibile e ordinaria. Ma appena si presenta come merce, il tavolo si trasforma in una cosa sensibilmente sovrasensibile. Non solo sta coi piedi per terra, ma, di fronte a tutte le altre merci, si mette a testa in giù, e sgomitola dalla sua testa di legno dei grilli molto
      più mirabili che se cominciasse spontaneamente a ballare. […] Di dove sorge dunque [questo] carattere enigmatico del prodotto di lavoro appena assume forma di merce? Evidentemente, proprio da tale forma [… che] rimanda agli uomini come uno specchio i caratteri
      sociali del loro proprio lavoro trasformati in caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, in proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi rispecchia anche il rapporto sociale fra produttori e lavoro complessivo come un rapporto sociale di oggetti […] Quel che qui assume per gli uomini la forma fantasmagorica di un rapporto fra cose è soltanto il rapporto sociale determinato fra gli uomini stessi.»
      (Il Capitale, libro primo)

      La forma fantasmagorica è, nel nostro caso, l’autenticità. Quella che, per definizione, “non la puoi comprare”, e invece comprandola dimostri proprio il contrario, cioè che basta trovarsi dalla parte più forte del “rapporto sociale determinato” per potersi comprare pure quella.

      Inoltre l’autenticità è il feticcio specifico di quel ceto che si riconosce in una sorta di “classe creativa”, insomma non ho sottomano il libro ma sono certo che in “Aristodem” di Daniela Ranieri – che di quel milieu è un’ottima fotografia – si trovano convincenti e realistici esempi della ricerca ossessiva dell’autentico. Chi perde la realtà, si potrebbe dire, cerca di vicariarla con l'”autentico”.

  5. Grazie Bukowski per questo interessante pezzo, un altro esempio di urbanistica 2.0, ovvero commistione tra pubblico e privato alla faccia di categorie vulnerabili, questa volta con l’irritante lessico hipster dei nuovi clepto-creativi.

    Sono entrato in contatto con la realta’ “TSH” qualche mese fa quando, incuriosito da un posto di lavoro offerto in un “think-thank” di urbanisti chiamato “The Class of 2020” ( https://theclassof2020.org ), ho iniziato a fare qualche ricerca sul tema.
    La mia prima intenzione era capire da dove veniva il diavolo di nome che etichettava quest’organizzazione, cosi denominate perche interviene nel “mercato degli studenti”, cioe’ dell’housing studentesco, con l’avveniristico obiettivo di contribuire a ridurre od eliminare il deficit di unita’ abitative per studenti in Europa per l’anno 2020.

    Guarda caso il direttore del “think-thank” Classof2020 e parte del consiglio direttivo sono anche soci in affari del Mac Donald dell’housing studentesco e dei sui Student Hotel. Se sia nato prima l’uovo o la gallina in questo caso non credo sia molto rilevante, ma rilevante e’ che siamo di fronte a dei professionisti del “grabbing”, a degli affaristi senza scrupoli, che si muovono nel torbido sotto la funzionale coperta del loro lessico moderno, creative e attrattivo, cantandosela e suonandosela e riempendosi le tasche alla faccia degli impatti diretti e delle esternalita’ negative che provocano sul delicato sistema urbano e sui loro abitanti.

    Solo per dare qualche assaggio dei danni che stanno producendo in Olanda e delle reazioni sorte a loro iniziative nella mecca del neoliberismo europeo vi allego un paio di link:

    “The Student Hotel must be forbidden” di Lisa Busink dell’Associazione Nazionale Studenti (Olanda)
    https://www.folia.nl/opinie/121573/the-student-hotel-moet-verboden-worden

    “The dark side of tourism: amsterdams homeless students” di Annabella Stieren, giornalista indipendente
    http://robscholtemuseum.nl/annabella-stieren-the-dark-side-of-tourism-amsterdams-homeless-students-arie-booy-toerist-vaker-uit-eigen-regio/

    Tornando a Class of 2020, il paravento teorico e promozionale di TSH (e altri vampire di famiglia o disposti a pagare per essere sponsorizzati), guarda caso sta organizzando la sua conferenza annuale europea proprio a Milano ( https://theclassof2020.org/the-class-conference-2018/ ) dove sorgera’ un bel TSH ed il tema sara’ “From post-industrial city to the new urban campus”. Cito il direttore Jorick Beijer per aggiungere un po si esempi di lessico usato da questi personaggi quando afferma: This year’s The Class Conference will explore how these areas of dereliction are being transformed into the brightest beacons of innovation.

    Il 14 e 15 Novembre certamente non mi perdero’ l’occasione di poter partecipare a questo importante evento che agglomerera’ il gotha dei “creativi” nelle loro mirabolanti mediazioni tra “private partners/investors” e “local governments” per far girare la ruota finanziaria alla faccia del future delle nostre citta’ e di chi ci abita.

    Se vogliamo organizzare il Pullman io sono disponibile

    • Grazie GertDPZ. Tra l’altro ci sarebbe da capire che significhi “deficit per l’housing studentesco”, che sembra un po’ la stessa cosa di quando dicono:
      «Oh, se diventiamo X miliardi sulla terra dobbiamo per forza coltivare a soja in TUTTA l’Amazzonia”, come se il punto non fosse che in un regime distruttivo fondato sul profitto anche miliardi in meno di quella X distruggerebbero le possibilità di riproduzione della specie (e non solo della nostra specie, purtroppo).
      Allora: se si vogliono bombare le città di turisti 365 giorni all’anno è OVVIO che ci sarà una scarsità di housing studentesco, ma curarla costruendo nuovi edifici per studenti mi pare assolutamente insensato…
      La tua segnalazione è preziosa: che possa diventare questo Class2020 l’anello di congiunzione tra studentati privatissimi tipo TSH e i fondi pubblici per le residenze studentesche (quelli evocati dall’assessora Orioli e gestiti da CDP per conto del MIUR)?
      Da tenere d’occhio, decisamente.

  6. Grazie per questa analisi lucida e condivisibile. Vorrei solo segnalare che lo stesso Richard Florida ha nel corso degli anni rivisto in senso critico la sua teoria della creative class, e con il suo ultimo “the Urban Crisis” in un certo senso si para il culo con una moderata autocritica dell’apologia della gentrification creativa che lo ha reso famoso.

    • Non mi stupisce. Mi sa che nelle 3T non ci crede più nessuno; ma in generale anche la stessa gentrificazione è il più delle volte una fallimento per quasi tutti i soggetti che vi hanno investito (si noti il *quasi* tutti).
      Altrove ho parlato dei disastri causati dell’idea che col cibo si facciano i soldi – e in tanti si sono riempiti di buffi per il bancone, per l’arredo e le licenze… e sono falliti nel giro di un paio d’anni. (i dati sono in questo pezzo: https://www.wumingfoundation.com/giap/2018/05/radio-alice-pizzeria-1/#more-33757 )
      Insomma: questa roba è ideologia, non teoria.

  7. Oltre che molto bella e interessante, l’inchiesta di Wolf Bukowski mi sembra soprattutto utile per capire, a vari livelli, la società contemporanea. Apre spazi di discussione che spesso sono marginali, o inesistenti, e lo fa offrendo al lettore immagini chiare, che permettono di visualizzare quelli che spesso appaiono come concetti astratti.

    Traccia, per esempio, una linea di demarcazione netta tra il “cosmopolitismo delle classi dominanti” e il “meticciato precario”, e lo fa offrendo modelli concreti, grazie alla descrizione del diverso uso che le due classi sociali fanno di un luogo fisico, l’ex Telecom della Bolognina.

    Le motivazioni che spingono i due gruppi sociali a interessarsi all’ex Telecom sono innanzitutto materiali: le élite sono attratte dalla possibilità di estrarre valore o, nel caso di quelle che abiteranno quel luogo, di fare nuove conoscenze. Conoscenze che, in un futuro non tanto remoto, potrebbero trasformarsi in potere e profitti. Il loro, in un certo senso, è un investimento in relazioni, per accrescere il proprio capitale sia relazionale, sia monetario. Tanto meglio se questo investimento relazionale avviene in un luogo descritto dal marketing come “cool”, in grado di saziare anche il desiderio di “trasgressione” della “classe dirigente di domani”.

    I precari, al contrario, sono interessati a quel luogo soprattutto perché spinti dalla necessità, quella di una casa. Ed è in base a questa necessità che si crea quel magma meticcio che mette insieme persone di etnia, nazionalità, esperienze lavorative, culture, stili di vita, del tutto eterogenei tra loro. Persone accomunate da un unico tratto distintivo, il quale mette in secondo piano le differenze: quello di essere precari, sia nella condizione lavorativa (oggi anche un contratto di lavoro a tempo indeterminato è in qualche modo “precario”), sia nell’esistenza stessa. Tanto precari che gli è negato un diritto costituzionalmente riconosciuto, quello alla casa.

    È su questa base materiale che si uniscono individui, e gruppi, con esperienze diverse, dando vita a pratiche sociali condivise e meticce, che portano al centro della società, e delle lotte, una soggettività del tutto nuova, frutto delle dinamiche globalizzatrici, un “meticciato precario” naturalmente antagonista della “élite cosmopolita”, la classe dominante sorta dal processo di globalizzazione.

    Credo che questo sia un passaggio importante, come importante penso sia il fatto che l’inchiesta riesca a collegare questi, che potrebbero apparire concetti astratti, a un luogo reale, a lotte reali, e alle diverse politiche di utilizzo del luogo che le due classi mettono in atto.

    Per queste ragioni mi è piaciuto molto anche il riferimento a Saskia Sassen. Quell’autrice, in “Una sociologia della globalizzazione” (Einaudi, 2008), descrive sia quella che definisce “élite cosmopolita”, una classe sociale legata dalla spinta a ottenere sempre maggiori profitti, e portata a muoversi tra le città globali principalmente per raggiungere tale obiettivo (ma non solo), sia quella che chiama “classe globale degli svantaggiati”, un nome forse poco felice per descrivere la nuova classe emersa dal vecchio proletariato, liquefatto e mutato in altre forme a causa degli sconvolgimenti economici, organizzativi e legati alla mentalità che hanno interessato il capitalismo negli ultimi quaranta/cinquanta anni. Una classe, quest’ultima, che secondo Sassen non può ancora definirsi globale, ma che è già “denazionalizzata”, e che ha obiettivi comuni, anche se i suoi appartenenti non ne hanno sempre coscienza, portando a un’aggregazione sociale che spesso appare caratterizzata da “una profonda diversità interna e una prevalente mancanza di interazione”.

    Una descrizione che non deve spaventarci, perché a molti anche il “proletariato” agli albori della modernità appariva in maniera simile.

    Se ci facciamo caso anche il murales sulle pareti dell’XM24, poi cancellato da Blu, ha il pregio, come questa inchiesta, di fornire un’immagine per visualizzare il “meticciato precario”: individui che portano avanti rivendicazioni diverse, caratterizzati anche da stili diversi, finanche nel vestire, assediano insieme le mura della città, lottano contro un nemico comune, per una società nuova e diversa, dove tutte le rivendicazioni espresse trovino cittadinanza e soluzione.

    E se da un lato è preoccupante che il capitale riesca a estrarre valore dalle controculture e, come nel caso della ex Telecom, anche dalle lotte, è altrettanto vero che mai come oggi (Hobsbawm, per esempio, lo ripete spesso) è in basso che le élite guardano per trovare arte, stili di abbigliamento, stili di vita e riferimenti culturali. E, probabilmente, prima o poi, credo che dipenda anche da noi, non riusciranno più a isolare, come avviene oggi, l’opera, o il comportamento, dal messaggio che quell’opera (o quel comportamento) veicola, perdendo necessariamente l’egemonia culturale a nostro vantaggio.

    Viviamo in un epoca magmatica e contraddittoria, quotidianamente corriamo il rischio di essere schiacciati dalla reazione, che per imporsi deve necessariamente guardare al passato e riproporre modelli ormai storicamente sconfitti, ma abbiamo anche di fronte la possibilità rivoluzionaria di immaginare nuove istituzioni, nuove strutture, nuovi spazi. Di andare oltre un capitalismo ormai stagnante, prossimo a spirare. Forse tanto di quello che avverrà in futuro dipenderà anche dalla nostra capacità di immaginare quanto ancora non esiste, oltre che a trovare riferimenti in quello che è stato. La storia non è ancora scritta, nonostante l’attualità politica e i reazionari al potere in molte parti del mondo.

    Per questo faccio ancora i complimeti a Wolf Bukowski, perché, a partire da un’inchiesta specifica, è riuscito a offrire un modello delle sfide che ci attendono, anche a livello urbanistico. È riuscito a offrire immagini che ci liberano dall’astrazione della teoria.

    • Ti ringrazio Punco X, l’immagine però non è mia: era già quell’edificio, nella sua presenza ineludibile che chiedeva di essere raccontata.
      In verità è da quando ho sentito, due anni fa, dello Student Hotel, che quella storia mi chiamava.
      Nel bel volantino di Xm24 che c’è anche qui sopra ( https://www.wumingfoundation.com/giap/wp-content/uploads/2018/06/bolognina_tour_web.jpg ) i nomi di vari orrori o progetti mancati in Bolognina sono leggermente modificati, distorti (o ricondotti alla loro realtà fattuale).
      “Bilogia Navile” in luogo di Trilogia, la “casa della salute” diventa “mancata”, perché non è altro che un nuovo poliambulatorio però con tanta voglia di privatizzazione, e… lo Student Hotel si sovrappone al ricordo dell’ex-Telecom e diventa così “Ex-Student Hotel”.
      Ebbene, rileggendo il volantino mi sono resco conto che, a ben pensare, quell'”ex-Student Hotel” potrebbe anche essere un auspicio di un futuro per quell’edificio, un futuro restituito alla socialità (vera, non plastificata).
      La questione del meticciato “di base” VS l’uniformità dell’identità “corporate” globale di cui parla Sassen è assai importante, e parlarne smonta il tentativo di rossobruni e nazionalisti di contrastare il primo come se fosse la stessa cosa del secondo; e smonta nella stessa mossa, ma con un colpo laterale di gomito, anche il tentativo degli stessi, ma pure dei moderati di ogni risma (socialdemocratici compresi), di occultare la dimensione di classe dei fenomeni sociali.
      Se uno ha presente la classe, non confonde neppure per un nanosecondo i ricchi-uniformi coi proletari-meticci.
      Eppure su questo bisogna sempre insistere, e dunque insisteremo.

      • Grazie per la risposta, Wolf.

        Non sto qui a tediarti sul perché credo che il termine “proletariato” sia superato, e non sia più molto utile per descrivere la classe lavoratrice nella contemporaneità; né sul perché il problema nel definire la nuova composizione e la nuova soggettività di classe, che si è manifestata dai primi anni Settanta, non è rappresentato solo dalle negazioni di “sovranisti”, “rossobruni”, e “socialdemocratici”, ma anche da un’area più vasta, che ha pensato bene di voltare le spalle al futuro, e di guardare indietro (cosa che, in parte, va pur fatta) per dare soluzioni a problemi contemporanei. Andrei nettamente OT, ed esprimerei solo mie opinioni, delle quali magari interessa poco.

        Però, rileggere il tuo post, mi ha fatto venire in mente un film del 2009 di Citto Maselli. Le ombre rosse si chiama, parla della messa a valore, da parte di intellettuali e architetti “di sinistra”, dell’esperienza portata avanti da chi occupava un centro sociale. Se non l’hai visto, prova a cercarlo. Magari ti interessa.

        Altra cosa che le tue osservazioni, e il film, mi hanno fatto venire in mente è un recente articolo di Thomas Piketty, uno studioso che si occupa di disuguaglianze. Il titolo è Brahmin Left vs Merchant Right (grosso modo:”Le élite culturali (e sociali) di sinistra contro la destra mercantilistica”), parla del voto in rapporto al reddito e al livello d’istruzione, tracciando un quadro nel quale le élite si sono divise: quelle culturali votano a “sinistra”, quelle “industriali”, votano a destra. Considerando questo fenomeno all’origine dell’assenza di politiche di contrasto alle diseguaglianze e della mancanza, a “sinistra”, di discorsi rivolti a quella che fu, per tutto il secolo scorso, la sua classe sociale di riferimento. Un fenomeno che, secondo l’autore, potrebbe essere all’origine della forte astensione elettorale, e, in parte, dell’affermarsi di forze “populiste”. Secondo me va preso con le pinze (del resto Piketty stesso dice che questo è uno studio preliminare), ma credo sia interessante.

        Spero ‘sti spunti possano tornarti utili, magari per passare il tempo che serve per invertire il discorso, aspettare che lo Student hotel diventi ex, e si ritrasformi in spazio autogestito (e occupato). Sarebbe davvero “cool” ;-)

  8. Ciao a tutte e tutti, cerco di esporre meglio di quanto ho fatto su twitter una riflessione che sto facendo leggendo alcuni scritti di Wolf, fra cui questo, e alcuni scritti di Mark Fisher, altro autore per me molto importante ultimamente.

    La connessione fra i due mi è balzata in testa casualmente l’altro giorno, quando dopo aver letto il post qui sopra ho trovato una riflessione di Fisher, all’interno di un discorso più ampio a proposito della “Hantologie” di Derrida e della malinconica necessità che il mondo contemporaneo ha di citare elementi del passato, soprattutto nell’arte, tanto da far pensare a una grossa crisi di pensiero creativo originale nei nostri tempi. Semplificando molto, le cause di questa crisi per l’autore sono strettamente legate all’imporsi del neoliberismo, per l’incapacità sempre più diffusa di pensare un mondo altro, per l’impossibilità di ritirarsi dal mondo a causa del cyber-spazio in cui viviamo sempre di più, ma anche per motivazioni molto più prosaiche e quotidiane come la carenza di spazi abitativi a buon mercato o gratuiti (cioè occupati).

    La frase che mi ha suggerito il collegamento è questa “Se c’è un fattore che emerge fra quelli che causano il conservatorismo culturale è l’aumento del costo di affitti e mutui. Non è un caso che la gemmazione di creazioni culturali avvenuta a Londra e New York fra la fine degli anni ‘70 e l’inizio degli ‘80 (negli scenari punk e post-punk) coincise con la grande disponibilità di spazi occupati o economici in quelle città”, (Ghosts of my life, 2013, ho virgolettato ma la traduzione è mia). La cosa che mi colpiva di più era la sfacciataggine con cui certe multinazionali smart e frizzanti ribaltano la realtà raccontando una cosa mentre ne stanno realizzando esattamente l’opposto. Un sistema di alloggi con prezzi esclusivi NON PUò favorire l’intelligenza e la creatività collettive, primo perché se escludi una gran parte della popolazione dall’accesso agli spazi l’intelligenza collettiva non può che perderci, secondo perché se la maggior parte del tempo di vita delle persone è dedicato a svolgere attività che hanno come scopo primario quello di pagare un affitto o un muto, beh, lo spazio temporale da dedicare ai processi creativi non può essere né sufficiente né di buona qualità.

    Leggendo poi un altro tweet di Wolf, che citava un’indagine sui mezzi di trasporto e sulla mancata riduzione dei consumi, un’indagine che dava la colpa di tutto questo ai comportamenti individuali degli automobilisti, tralasciando tutte quelle decisioni economiche e politiche prese da chi ha il potere di farlo, e che hanno contribuito a creare la situazione in cui viviamo molto di più dei “comportamenti individuali”, mi è saltata in testa un’altra relazione con gli scritti di Fisher. Ora, leggendo “La danza delle mozzarelle” una delle parti che mi era rimasta più impressa era proprio quella sulla colpevolizzazione del consumatore, che con le sue scelte secondo questa propaganda influenzerebbe tutto il mercato alimentare, e la conseguente de-responsabilizzazione di chi invece il mercato alimentare lo determina davvero, cioè la Grande Distribuzione Organizzata, in questo caso. Dal libro esce bene come la scelta del consumatore sia in realtà l’ultimo anello di una catena decisionale dove in realtà tutte le decisioni significative sono già state prese, ovviamente molto più a monte.

    Ecco, questo meccanismo di colpevolizzazione dell’individuo mi ha fatto pensare al concetto di “Volontarismo magico”, che ho scoperto leggendo questo scritto di Mark Fisher (http://effimera.org/buono-nulla-good-for-nothing-mark-fisher), una riflessione che mi ha influenzato molto e che ha toccato molto anche quella mia parte di vita professionale che ha a che fare con adolescenti e con l’educazione in generale.

    Un aspetto fondamentale degli scritti di Fisher è la sua capacità di partire da sè, per analizzare la società contemporanea. Ed è anche uno di quegli aspetti che lo rende adatto a una fruizione da parte degli adolescenti, a mio modo di vedere. Partendo dall’analisi della propria depressione, come si legge nel testo linkato, Fisher espone fra le cause di questa il concetto di “volontarismo magico”, espressione che ha trovato negli scritti di David Smail (The origins of unhappiness, 2001) e che sostanzialmente descrive uno dei capisaldi della ossatura propagandistica della società neoliberista, e di cui molti degli adolescenti che ho incrociato sono permeati, cioè il messaggio per cui, in sintesi, “se davvero lo vuoi puoi diventare qualunque cosa”. Un presupposto di questa frase è che viviamo in una società che dà davvero la possibilità a tutti di esprimere il proprio talento, un immediato corollario è che se non riesci in nulla vuol dire che la colpa è tua, e che di talenti non ne hai.

    Questo tipo di messaggio, che ovviamente tralascia le più antiche obiezioni che già i socialisti ottocenteschi muovevano ai liberali, e cioè che banalmente non partiamo tutti dalle stesse condizioni, e se la vita è una maratona c’è qualcuno che parte da 100 metri prima dell’arrivo e qualcuno che corre senza gambe, è purtroppo un messaggio profondamente interiorizzato dai ragazzi e dalle ragazze che ho frequentato in questi anni, e probabilmente anche dagli adulti. Il messaggio “se non hai successo è colpa tua, perché non vali un cazzo” è un vero e proprio disinnescatore di incazzo sociale, quello sano, quello che riconosce l’origine delle ingiustizie e lotta per modificarle. Mi pare che sempre Fisher, da qualche altra parte ma non vorrei sbagliare, scrisse che se la società moderna creava delle masse di oppressi e incazzati, quella postmoderna ne creava invece di sfruttati e depressi, come conseguenza dell’egemonia culturale di questo “volontarismo magico”.

    Una battaglia culturale capillare contro questo imbroglio, soprattutto a beneficio di chi in mezzo a sta roba ci è nato, è più di una necessità, a mio modo di vedere.

  9. Ciao Enrico, sono in perfetta sintonia con queste riflessioni: mi sono procurato giusto poche settimane fa un esemplare usato dell’introvabile libro di Smail proprio seguendo quel riferimento di Fisher.

    Il lavoro a cui auspico di dedicarmi questa estate è sì un libro sul “decoro”, ma prima di tutto un libro in cui il successo di una parola d’ordine imbecille come “decoro” viene analizzato anche a partire dalla meritocrazia (cioè il “volontarismo magico” istituzionalizzato) e dal securitarismo (cioè la negazione – anche questa istituzionalizzata – del rapporto tra “illegalità” e classe); e poi le ricadute del “decoro” sono viste nel loro innestarsi sulla disciplina del “buon cittadino” responsabilizzato e colpevolizzato (sotto il vasto cielo dell’assoluta irresponsabilità delle classi dirigenti).

    Come intercettare “chi in mezzo a sta roba c’è nato” me lo chiedo tutti giorni. Credo sia uno dei nostri compiti più urgenti.

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