Cos’è la «guerriglia odonomastica»? Su Giap, negli ultimi anni, abbiamo fatto diversi esempi. Si tratta di azioni e performances il cui scopo è reintitolare dal basso vie e piazze delle nostre città – o aggiungere informazioni ai loro nomi per cambiare senso all’intitolazione.
Una via può essere reintitolata alla luce del sole, durante cortei o altre iniziative pubbliche, oppure col favore delle tenebre, a opera dei «soliti ignoti» o «solite ignote».
I nomi di vie e piazze – tecnicamente, gli «odonimi» – sono simboli, ma spesso sono anche sintomi. Sintomi di malattie che affliggono la memoria pubblica, sindromi causate dalla cattiva coscienza, da rimozioni e ipocrisie, da un mancato fare i conti col passato.
Nelle nostre città e paesi abbondano gli odonimi che celebrano il fascismo e il colonialismo, celebrano crimini politici, coloniali e di guerra. Odonimi razzisti, nomi che omaggiano gli oppressori e glorificano l’oppressione. È su questi che si sono concentrati gli interventi recenti. Su Giap abbiamo raccontato dei progetti Resistenze in Cirenaica (Bologna) e Viva Menilicchi! (Palermo).
Cambiare i nomi che abitiamo è cambiare il modo in cui pensiamo alla città. Attirando improvvisamente l’attenzione sul senso del nome di una via o piazza, la guerriglia odonomastica ci addestra a non dare per scontato il luogo stesso. Non dandolo per scontato, cominciamo a riappropriarcene.
Quanto conosciamo le nostre città?
Uno dei più celebri passi di Furio Jesi è tratto dal suo scritto postumo Spartakus. Simbologia della rivolta, terminato il 12 dicembre 1969 – poche ore prima della strage di Piazza Fontana – e uscito soltanto nel 2000:
«Si può amare una città, si possono riconoscere le sue case e le sue strade nelle proprie memorie più remote e segrete; ma solo nell’ora della rivolta la città è sentita veramente come l’haut-lieu e al tempo stesso come la propria città: propria poiché dell’io e al tempo stesso degli altri; propria, poiché campo di una battaglia che si è scelta e che la collettività ha scelto; propria, poiché spazio circoscritto in cui il tempo storico è sospeso e in cui ogni atto vale di per se stesso, nelle sue conseguenze immediate. Ci si appropria di una città fuggendo o avanzando nell’alternarsi delle cariche, molto più che giocando da bambini per le sue strade o passeggiandovi più tardi con una ragazza. Nell’ora della rivolta non si è più soli nella città.»
Jesi si riferiva tanto alla rivolta spartachista nella Berlino del 1919, di cui ricorreva il cinquantennale, quanto alle sommosse urbane del 1968 e dintorni, che erano parte della sua esperienza.
La pratica del conflitto insegna a non fuggire in modo prevedibile, e quindi a esplorare lo spazio urbano, a scoprire nuovi luoghi e nuovi tragitti. È quello che Belbo insegna a Casaubon nel capitolo 15 de Il pendolo di Foucault di Umberto Eco:
«Mi trovai a fuggire per via Larga […] Sull’angolo di via Rastrelli, Belbo mi afferrò per un braccio: “Per di qua, giovanotto”, mi disse. Tentai di chiedere perché, via Larga mi pareva più confortevole e abitata, e fui preso da claustrofobia nel dedalo di viuzze tra via Pecorari e l’Arcivescovado. Mi pareva che, dove Belbo mi stava conducendo, mi sarebbe stato più difficile mimetizzarmi nel caso che la polizia ci venisse incontro da qualche parte. Mi fece cenno di stare zitto, girò due o tre angoli, decelerò gradatamente, e ci trovammo a camminare, senza correre, proprio sul retro del Duomo, dove il traffico era normale e non arrivavano echi della battaglia che si stava svolgendo a meno di duecento metri […] “Vede, Casaubon,” mi disse allora Belbo,”non si scappa mai in linea retta […] Quando si partecipa a un raduno di massa, se non si conosce bene la zona il giorno prima si fa una ricognizione dei luoghi, e poi ci si colloca all’angolo da dove si dipartono le strade più piccole.”»
Impossibile non pensare a tutto questo vedendo che in Francia, dopo settimane di rivolte, l’intelligenza collettiva ha inventato MediaManif, applicazione per smartphone che si appoggia a OpenStreetMap ed è stata subito chiamata «il Waze degli scontri». Come spiega il sito lundi.am, MediaManif è
«una mappa interattiva del mondo e dunque di ogni città, ogni via, ogni rotatoria sulla quale è possibile segnalare la presenza di gruppi più o meno significativi di gilet gialli, ma anche degli immediati pericoli che ogni cittadino potrà quindi schivare o aggirare. Chi non vorrebbe, in questi tempi agitati, poter attraversare la sua città evitando le nubi di lacrimogeni?»
La cartografia della sommossa e la guerriglia odonomastica hanno in comune l’intento di riscoprire la città a uso del conflitto e dunque della vera vita, oltre la mera sopravvivenza, il tran tran, i tragitti soliti, l’uso passivo dello spazio urbano.
Non è casuale che la guerriglia odonomastica porti a scoprire le rivolte urbane del passato. Il progetto Viva Menilicchi! prende il nome dal grido che socialisti e anarchici lanciarono a Palermo il 2 marzo 1896, durante una protesta contro la guerra d’Abissinia che sfociò in cariche di polizia, scontri e arresti.
Ecco, queste note servono a introdurre un importante testo di Mariana E. Califano, pubblicato sul blog di Resistenze in Cirenaica.
Si intitola Della guerriglia odonomastica ed è la riflessione più approfondita uscita sinora su questi temi.
[…] allora perché continuano a dedicargli strade?”. Non avevo ancora mai sentito parlare di guerriglia odonomastica: se non fosse stato così, di sicuro avrei pensato a loschi individui che, nel cuore della notte, […]
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