[Anche una storia vera, se raccontata omettendone il contesto, si trasforma in narrazione tossica. Ce lo dimostrano Matteo Petracci (storico, tra le altre cose membro del gruppo Nicoletta Bourbaki) e Simone Vecchioni (grande conoscitore e narratore dell’Appennino marchigiano, membro di Alpinismo Molotov). In questo articolo, i nostri guest blogger ci offrono un primo resoconto della loro ricerca pluriennale su un episodio “minore” dell’occupazione nazista delle Marche: una partita di calcio «tra soldati tedeschi e partigiani», che però… Non vi anticipiamo nulla. Buona lettura. WM]
di Matteo Petracci & Simone Vecchioni
Un pallone, due squadre, undici giocatori in divisa, undici civili. Una partita che è stata
raccontata – e fatta – a pezzi per 75 anni e della quale ancora non si conosce il risultato
finale. Una storia sconosciuta ai più, ricostruita allargando lo sguardo e smontando
parte delle cronache che da anni circolano sul suo conto.
Una cosa è certa: non è possibile raccontare questa partita senza inserirla nel contesto
in cui è stata disputata, e anche in questo caso la storia cambierà in base al punto dal
quale decideremo di raccontarla.
1. Napoli, 6 novembre 1955
«Tumultuoso epilogo dell’incontro Napoli-Bologna. Oltre 160 feriti sul campo del Vomero. Otto di essi versano in gravi condizioni – La furia dei tifosi scatenata da un “rigore” in favore dei rossoblù– L’arbitro sottratto a stento dal linciaggio – L’accorrere dei rinforzi mentre gli agenti sono costretti a sparare in aria – Pazza fuga della folla – Venti feriti tra la polizia».
Così Stampa Sera, edizione di lunedì 7 novembre 1955, titola a proposito della partita disputata a Napoli il giorno precedente. Per settimane l’ottava giornata del girone di andata del campionato 1955-’56 giocata allo stadio del Vomero avrebbe occupato ampio spazio sui giornali dell’epoca, tra indagini, accuse tra le parti coinvolte, interviste e analisi sociologiche con immancabili ricette per evitare il ripetersi di problemi legati agli episodi violenti legati al tifo calcistico. A leggere oggi i triti e ritriti editoriali sulla violenza nel calcio che ammiccano ai bei tempi andati sciorinando moralismi a base di «il tifo non è più
quello di una volta», viene da sorridere.
Ma veniamo alla cronaca di quella giornata, che anche questa volta prendiamo a prestito da Stampa Sera:
«L’esasperazione dei circa 40 mila spettatori che gremivano lo stadio del Vomero è andata crescendo man mano che l’arbitraggio di Maurelli veniva giudicato sempre più tollerante verso la rude tattica difensiva della squadra felsinea che, nettamente inferiore in linea tecnica, a stento era riuscita a contenere il già largo vantaggio degli azzurri vincenti per tre a zero a sedici minuti dal termine dell’incontro».
Colpa dell’arbitro quindi, che secondo i tifosi napoletani aveva tenuto una condotta a dir poco indecente.
Ma chi è questo “uomo nero” precursore dei Collina e Braschi?
Il Corriere della Sera del 7 novembre 1955 ne traccia un profilo in uno specchietto dal titolo «Chi è Maurelli», posto a margine dell’articolo sulla cronaca del match:
«Stamane l’agente di cambio Mario Maurelli si è regolarmente presentato in Borsa. Maurelli ha 41 anni (classe 1914), è sposato, ha tre figli ed arbitra nella massima divisione dal 1949. Interrogato sulla sua disavventura napoletana dal presidente della Commissione arbitri ha detto che nel corso della «battaglia» ha ricevuto soltanto uno schiaffo».
Nei giorni successivi l’arbitro arrivò a chiedere la protezione alla polizia e di fronte alla sua abitazione per diversi giorni stazionò una jeep con due agenti a bordo.
Quello che né il Corriere della Sera né alcun altro dei giornali dell’epoca scrisse a proposito di Maurelli è che questo romano di origini marchigiane circa 11 anni prima, nel bel mezzo della seconda guerra mondiale, sui monti dell’Appennino centrale, dove la Resistenza si scontrava con fascisti e nazisti, arbitrò una partita ben più intricata di quella dello stadio del Vomero. Una partita che si inserisce negli interstizi tra la storia e la Storia ed è stata raccontata solo molti decenni dopo.
2. Montalto di Cessapalombo (MC), 21 aprile 2013
La Marcia della Memoria quell’anno si tenne in occasione del 69° anniversario dell’Eccidio di Montalto, una delle stragi più sanguinose avvenute nelle Marche nel corso della Guerra di Liberazione. Come ogni anno percorrevo quei chilometri che da Caldarola portano al castello di Montalto tra bottiglie di vino rosso e mistrà, battute sul politico di turno che in occasione delle elezioni s’era fatto vedere, lunghe chiacchierate con compagni di una vita.
Una delle figure sempre presenti alla Marcia è Simone Valli, compagno della sezione ANPI Decio Filipponi di Sarnano che anche quell’anno camminava “nel gruppone” e con cui avevamo scambiato qualche battuta prima di partire. Circa a metà strada, quando la torre inizia a spuntare davanti a noi, ritrovo Simone e discutiamo della giornata dedicata a Futbologia che avremmo organizzato da lì a un mese a Macerata. Nel bel mezzo della conversazione, con la sua consueta tranquillità, mi propone di proiettare La leggenda di Sarnano.
– Sai, quel documentario sulla partita di calcio tra giovani fuggiaschi e truppe naziste che s’è giocata da noi nel ’44.
La mia risposta fu qualcosa del tipo: – Di che cazzo stai parlando?
Fu allora che sentii parlare per la prima volta di quello strano incontro, un Fuga per la vittoria giocato sul serio, a 40 km da casa mia, sotto le montagne in cui ho passato giornate e percorso chilometri a piedi e in bicicletta.
Simone mi disse che qualche anno prima un suo amico di Milano gli aveva spedito una pagina de Il manifesto in cui si parlava di questo documentario andato in onda su Stream, che nel filmato venivano intervistati due giocatori, che l’arbitro era di Sarnano, che l’autore era il giornalista Umberto Nigri e che sì, era tutto vero.
Guardai il filmato dopo pochi giorni con la stessa faccia di un bambino che scopre un tesoro sotto casa dei nonni, un misto di incredulità e gioia con una domanda fissa in mente: «Come è possibile che una storia del genere sia rimasta sepolta per così tanto tempo senza che io me ne accorgessi?».
Naturalmente accogliemmo con entusiasmo la proposta di Simone e proiettammo il documentario al CSA Sisma nel corso della serata dedicata a Futbologia, facendolo precedere da una breve presentazione di Matteo.
Da quel giorno, ad intervalli regolari, io e Matteo siamo tornati periodicamente sull’argomento, segnalandoci gli articoli pubblicati – per lo più in corrispondenza del 25 aprile o nei giorni precedenti – su blog di varia natura a partire dalla messa in onda del documentario nel 2003. Articoli sostanzialmente sempre uguali, che riportavano in forma scritta, con più o meno caratteri, quanto raccontato da Nigri, aggiungendo ciascuno un nome, un episodio, un goal.
Dopo mesi di scambi e segnalazioni, e dopo aver trovato il supporto “logistico” dello stesso Simone Valli, di Alessandro, di Francesco, di Claudio e Fabiano – che, essendo di Sarnano, potevano scovare in loco anziani da intervistare per raccogliere notizie –, più o meno nell’aprile del 2016 decidemmo di provare a saperne di più, per rispondere alle tante domande inevase che dalla prima notizia di quella partita ci tornavano in mente quotidianamente.
Giocarono veramente dei partigiani, come riportavano gli articoli usciti fino a quel momento?
Come finì la partita?
Venne disputata realmente a due giorni dall’impiccagione di un comandante partigiano?
Perché venne giocata?
Perché nessuno ne ha mai parlato per decenni?
Come è riemersa questa storia?
È esattamente come è stata raccontata o era necessario scendere negli spogliatoi della storia per saperne di più?
Ad alcune di queste domande abbiamo trovato risposte, altre rimarranno goal mai segnati, su altre ancora stiamo lavorando. Intanto concentriamoci sulla Storia.
3. Linea Gustav, Settore Adriatico, marzo 1944
Sarnano è un borgo medievale costruito sopra un colle che si affaccia sulla Strada Statale 78, una delle arterie che, partendo da Macerata, si immettono sulla Salaria per poi proseguire per Roma, collegando il Mare Adriatico con la capitale.
All’alba del 29 marzo 1944, durante un’operazione congiunta di Alpenjäger (termine che indica genericamente le truppe da montagna dell’esercito tedesco), militi della Guardia Nazionale Repubblicana e del Battaglione M «IX Settembre», il paese fu circondato. Tedeschi e fascisti annunciarono il loro arrivo con diversi colpi di mortaio, e, una volta messo piede all’interno della cinta muraria, fecero uscire dalle case tutti gli abitanti, li portarono nella piazza principale – dove nel frattempo era stata eretta una forca – e minacciarono gli uomini di impiccagione, qualora non fossero saltati fuori i luoghi di rifugio dei partigiani.
Nazisti e fascisti cominciarono quindi a perlustrare le numerose frazioni, uccidendo tre uomini. La caccia si concentrò poi verso il borgo di Piobbico, un agglomerato di poche case costruite a 730 metri slm, dove aveva trovato sistemazione il gruppo partigiano chiamato “Battaglione Primo Maggio”, guidato dal sottotenente Decio Filipponi. Questi era uno studente romano chiamato alle armi nel 1943 e inviato a Trieste, da dove, dopo l’8 settembre e la fuga del re e dei comandi militari, aveva raggiunto Sarnano e si era messo in contatto con Zeno Rocchi, animatore dell’antifascismo locale, più volte arrestato durante il Ventennio, ammonito e confinato.
All’arrivo dei militi a Piobbico, quattro partigiani – due italiani e due montenegrini – caddero sotto i colpi della mitragliatrice. Un quinto, italiano, fu gravemente ferito. Appena uscito dall’abitazione che lo ospitava, Filipponi fu indicato da una spia come comandante del gruppo. Fu subito impiccato. Il suo corpo fu lasciato appeso ad un lampione. Al termine dell’azione, i tedeschi impiantarono a Sarnano un loro presidio militare.
Secondo una parte delle memorialistica prodotta nel dopoguerra, il rastrellamento fu una rappresaglia per l’uccisione di tre soldati della Wehrmacht avvenuta il 24 marzo del 1944, quando, in transito verso Ascoli Piceno, i tre si erano fermati in un negozio ed erano stati catturati da un partigiano jugoslavo, avvertito dalla popolazione. Uno di loro era stato ucciso sul posto. Gli altri due lungo la strada che collega Sarnano con Piobbico.
In realtà, quella di Sarnano fu una delle operazioni con cui nazisti e fascisti cercarono di stringere in una morsa i gruppi partigiani delle Marche centro-meridionali, allo scopo di recuperare il controllo delle strade statali 78 Ascoli-Macerata e 77 Foligno-Macerata, e delle diramazioni a queste collegate.
Le operazioni di controguerriglia erano infatti cominciate già l’11 marzo del 1944 ad Acquasanta Terme, nel basso ascolano, dove erano state trucidate trentasette persone, tra partigiani e civili, e distrutte le frazioni di Pozza e Umito.
Il 18 era stata la volta di Montemonaco, dove erano stati ammazzati tredici uomini. Quattro giorni dopo tedeschi e fascisti si erano spostati più a Nord, nella provincia di Macerata, scatenando la loro furia contro il gruppo di partigiani e giovani renitenti che si muovevano tra i castelli di Montalto e di Vestignano, nei comuni di Cessapalombo e Caldarola. I morti erano stati trentatre, quasi tutti fucilati.
Il 24 marzo, infine, si era consumata la vasta operazione mossa contro le bande della zona del Monte San Vicino, nel Nord Ovest del maceratese, dove però, nonostante le numerose perdite, i partigiani guidati dall’istriano Mario Depangher erano riusciti a resistere e a ricacciare indietro i soldati impegnati nel restrellamento.
4. Il prepartita, il campo da gioco e una data incerta
Nel marzo del 1944 a Sarnano si trovava anche Mario Maurelli. Lì era nato, nel 1914, e lì era tornato alla fine del luglio del 1943, dopo lo sfollamento della capitale seguito al bombardamento del quartiere di San Lorenzo.
Maurelli era un arbitro di calcio, aveva seguito i corsi retti da Mario Antonacci e Generoso Dattilo e aveva iniziato la sua carriera nel 1937. Solo nel secondo dopoguerra avrebbe raggiunto la serie A e i campi esteri, affermandosi anche a livello internazionale, fino a dirigere la sezione romana dell’AIA nel 1961.
Il “ruolino” militare sembra attestare che fosse sfuggito al fronte. Era stato richiamato alle armi nel giugno del 1940, ma era stato congedato nell’ottobre. Anche se non aveva avuto modo di conoscere la loro ferocia sul campo di battaglia, è comunque probabile che verso i tedeschi nutrisse una certa diffidenza, mista ad avversione: il padre Mauro era morto sull’Altopiano di Asiago durante la Prima guerra mondiale, ucciso dallo scoppio di una bomba.
Secondo Adriana Brunori, allora sedicenne e inviata dalla famiglia ad imparare il mestiere presso una sarta che di Maurelli era cugina, una volta impiantato il loro presidio i soldati della Wehrmacht – quasi tutti altoatesini – cominciarono a rivolgersi alla sarta per rammendare la biancheria. Un giorno, nella bottega entrò un sergente maggiore, anch’egli altoatesino, che era molto alto e che parlava bene l’italiano. All’interno trovò Maurelli, e i due cominciarono a scambiare qualche parola. In quell’occasione emerse che Maurelli era un arbitro.
Fu a quel punto che al sergente maggiore venne l’idea di organizzare la partita. Chiese allora al titubante Maurelli di coinvolgere i giovani del paese, quasi tutti nascosti nelle case delle frazioni che circondano Sarnano. Dalla voce del fratello Maurizio “Mimmo” Maurelli, il cui racconto ha ispirato il documentario di Umberto Nigri, sappiamo che il sergente maggiore non esitò a minacciare conseguenze per la cittadina, qualora la partita non si fosse disputata.
Per l’arbitro non fu facile trovare i giocatori, visti i rischi che si correvano. In una testimonianza del 2016, Franco Lucarini – fratello di quel Libero che, come si può ascoltare nel documentario diffuso da Stream, il match lo giocò in difesa – ha ricordato il timore e il disaccordo che serpeggiava tra i ragazzi del paese. Per convincerli, Maurelli assicurò che avrebbe giocato anche il fratello Mimmo.
Secondo Angiolino Ghiandoni, che al tempo aveva 13 anni, a sostenere l’opera di persuasione dell’arbitro romano intervenne anche il Commissario prefettizio del Comune, e lo stesso Commissario sondò l’opinione dei partigiani rimasti in montagna, per capirne le intenzioni. Tuttavia, nessuno dei partigiani con cui abbiamo avuto modo di parlare in questi anni ha mai detto di saperne qualcosa, sebbene sia immaginabile che tra i membri del locale Comitato di Liberazione clandestino – che nonostante la strage del 29 marzo continuava ad operare – la notizia dell’imminente incontro deve essersi diffusa per forza.
Ad ogni modo, alla fine undici giocatori italiani si trovarono, forse anche qualcuno in più.
Il terreno di gioco non poteva che essere il “Campo della Vittoria”, che si trova ancora lì, integro, disteso tra i Sibillini e i giardini pubblici di Sarnano, alle spalle del monumento ai caduti. Era stato inaugurato domenica 26 giugno 1932, quasi dodici anni prima, alla presenza del Prefetto e di tutti i gerarchi della provincia. Nel manifesto di invito alla cerimonia, conservato nella biblioteca comunale di Sarnano, si può leggere che, per quel giorno, la popolazione aveva ricevuto l’avviso che non sarebbero contemplate «assenze ingiustificate».
Il corteo ufficiale era stato aperto da militi fascisti e carabinieri in alta uniforme, seguiti dalle famiglie dei caduti della Grande guerra, dagli ex combattenti, dalle organizzazioni fasciste e dai parroci. Il podestà aveva fatto un lungo discorso, tutto orientato ad esaltare l’eroismo dei caduti e l’audacia dei fascisti, che con la marcia su Roma avevano evitato la vanificazione del sacrificio dei combattenti della Grande guerra, minacciato dal riaffacciarsi sulla scena pubblica degli «imboscati», dei «disertori» e degli approfittatori. Il discorso, dattiloscritto, si era concluso con un perentorio «Per la grandezza d’Italia, Viva il nostro Duce». Di fianco, a matita, aggiunto successivamente alla prima stesura allo scopo di pareggiare gli omaggi retorici e di non far torto a nessuno, si può anche leggere un forzato «Viva il Re».
Sulla data esatta del match le testimonianze non sono univoche, e le opinioni men che meno.
Per Angiolino Ghiandoni, che sedeva tra gli spettatori, fu giocato nei primi giorni di maggio. Nelle narrazioni più recenti e mediaticamente più diffuse, invece, si fa quasi ovunque riferimento al 1° aprile 1944. Tuttavia, sembra troppo poco il tempo che separa tale data dal rastrellamento in piazza, dalle stragi e dall’impiccagione di Filipponi. Con tutta probabilità, lo sgomento ancora diffuso tra la popolazione avrebbe inficiato quello che, come si dirà ancora più avanti, sembra essere stato uno degli scopi perseguiti dai nazisti, ovvero mettere in scena una rappresentazione della normalità, possibile nonostante l’occupazione militare. Nello stesso tempo, la data del 1° aprile sembra troppo ravvicinata anche per poter preparare l’incontro, perché, come è stato detto, l’arbitro e il Commissario prefettizio hanno dovuto prima trovare undici giocatori sarnanesi – intercettati tramite il passaparola che si diffuse di frazione in frazione – e poi convincerli.
Insomma, una data esatta non c’è. Tuttavia, da fonti memorialistiche e bibliografiche sappiamo che il 1° maggio giunse a Sarnano un reparto del Battaglione M«“IX settembre», per sostituire i soldati della Wehrmacht nel presidio. Inoltre, secondo il racconto di Adriana Brunori, tra gli spettatori sugli spalti era diffusa la consapevolezza che a distanza di qualche giorno dal match i tedeschi se ne sarebbero andati. E’ quindi possibile ipotizzare che Maurelli e i 22 giocatori possano essere scesi in campo in uno dei giorni dell’ultima decade di aprile.
5. La partita
Il primo articolo a far riemergere la storia a quasi 60 anni di distanza fu scritto per repubblica.it da Antonio Dipollina, nel 2001. Il titolo recitava «In memoria dell’arbitro e di quel match tra nazisti e partigiani» e il pezzo fu scritto in occasione dell’intitolazione del nuovo impianto sportivo di Sarnano proprio all’arbitro Mario Maurelli, scomparso l’anno precedente a 86 anni.
Da quell’articolo in poi, che in seguito scoprimmo essere anche il mezzo con cui Nigri venne a sapere della vicenda e che ispirò il suo documentario, si è sempre parlato in maniera più o meno esplicita di una tra partita «nazisti e partigiani». Una categorizzazione semplice, immediata e sicuramente dal forte impatto, ma che stando alle nostre ricerche risulta essere quanto meno approssimativa: nessuno dei giocatori di cui vi parleremo sembra infatti essere annoverabile tra le fila dei partigiani combattenti.
Iniziamo dalla squadra che una divisa la indossava anche fuori dal campo da gioco.
Fino ad ora non sono emerse tracce della partita nelle fonti militari dell’epoca, ed è stato quindi impossibile trovare un elenco esaustivo, o anche solo parziale, dei soldati della Wehrmacht che disputarono l’incontro. Sappiamo solo che si trattava di coloro che stanziavano nel presidio di Sarnano, e che ad essere impiegati nelle operazioni antipartigiane compiute nell’alto maceratese durante la primavera del 1944 furono principalmente Alpenjäger. Nello specifico, alcune fonti parlano dell’impiego di soldati appartenenti al II Reggimento della Divisione Brandenburg, unità speciali impiegate molto spesso in azioni di controguerriglia. I soldati di questi reggimenti molto spesso non erano tedeschi, e questo confermerebbe la presenza di altoatesini, come tra l’altro già accertato in altri paesi nelle vicinanze di Sarnano.
Va inoltre aggiunto che dal settembre 1943 il Battaglione M «IX Settembre» fu inquadrato nella Divisione Brandenburg e che fascisti e nazisti operarono insieme per tutta la primavera 1944 nei rastrellamenti effettuati nell’area dell’Appennino maceratese. Ad ogni modo, l’unico nome di cui si ha traccia nelle fila tedesche è Walter Kobler, che Umberto Nigri cita al termine del suo documentario, ma del quale al momento non abbiamo trovato nessuna rispondenza in fonti ufficiali.
Venendo ora ai giocatori della squadra “locale”, se nel racchiuderli nella categoria di «partigiani» si è stati quantomeno frettolosi, sui loro nomi in molti si sono prodigati in ricostruzioni che sfociano nella pura fantasia.
Nei titoli di coda del suo documentario, Umberto Nigri ci dice che
«oltre a Libero Lucarini e Mimmo Maurelli [i due protagonisti. NdR] giocarono nella squadra dei partigiani-fuggiaschi il portiere Lino Bianconi, Ennio Maurelli, Attilio Papetti, il centravanti Grattini. Degli altri, il tempo ha cancellato i nomi».
I nomi indicati da Nigri hanno tutti trovato riscontri nel corso della nostra ricerca, e possiamo quindi dire con una buona dose di certezza che effettivamente giocarono. Per il resto, giornalisti e blogger ne hanno scritti molti altri, con apparente disinvoltura e creatività. Negli anni si è parlato di tali Ettorino, Di Nola, Ghedino, dei fratelli Moretti, etc. Tutti cognomi che non hanno trovato conferma nelle interviste che abbiamo effettuato a chi quel giorno era a Sarnano e sedeva sugli spalti del Campo della Vittoria.
Oltre ai nomi sin qui citati, alcune delle nostre fonti danno per certa la presenza di Stelvio Papetti, che afferma di aver partecipato alla partita in una lettera scritta di suo pugno nella metà anni novanta.
Ma dietro ai nomi e ai cognomi si nascondono storie, che in qualche caso siamo riusciti parzialmente a ricostruire.
Ennio Maurelli, cugino dell’arbitro, era nato nel 1915 e partì per l’Argentina nel ’49, per poi fare ritorno in Italia diversi anni dopo. Indicato nel dopoguerra come fiancheggiatore della Resistenza, in un ruolo probabilmente simile a quello svolto dal cugino Mimmo.
Stelvio Papetti, classe 1925, si laureò nel ’51 a Camerino per poi trasferirsi negli Stati Uniti per un post-dottorato presso l’Università di New York. È stato autore di numerosi brevetti, membro della American Chemical Society, della Yale Chapter di Sigma Xi, della American Polymer Society e della Research Society of America.
Nella citata lettera di Papetti tra i probabili giocatori viene indicato anche Leo Birzoli, anch’egli sarnanese, classe 1928, giornalista divenuto vicepresidente RAI nel 1986. Sulla sua partecipazione non abbiamo però trovato riscontri.
Inoltre, il centravanti Grattini a cui fa riferimento Nigri nei titoli di coda altri non è che Giacomo Grattini, autore di una rete nel corso della partita. Classe 1923, originario di Macerata, dove viveva prima della guerra in una viuzza immediatamente fuori dalle mura, dopo l’8 settembre Giacomo Grattini trovò rifugio in montagna, nella zona dei Sibillini. Fu così che anche lui si trovò a giocare quell’incredibile match. Quando, dopo molte ricerche, qualche anno fa riuscimmo a rintracciarlo, purtroppo era già gravemente malato e non poté aiutarci a ricostruirne i momenti. I figli ci confermarono la sua presenza a Sarnano nel ’44, e ci dissero che, subito dopo la guerra, proprio a Sarnano conobbe la sua futura moglie. Ci dissero inoltre che negli anni successivi continuò a giocare a calcio in una squadra di Macerata. Quello che il padre non aveva mai raccontato loro è che da giovane aveva disputato quella partita, addirittura siglando un gol.
Oltre alla rete di Grattini, non sappiamo se e quanti altri giocatori “andarono a segno”, perché tra le cose che gli anni hanno cancellato dalla memoria c’è anche il risultato.
Nel documentario si parla di un secco 1-1, altre testimonianze parlano di 3-3. Quel che sembra certo, insomma, è che la partita finì in pareggio, risultato a quanto pare “caldeggiato” dallo stesso arbitro. Ricorda infatti Mimmo Maurelli che, per tenere il tutto in equilibrio ed evitare qualsiasi sbilanciamento, gli sventolò in faccia anche il cartellino rosso, e lo mise fuori dal campo insieme ad un giocatore tedesco colpevole di un fallo di reazione, lo stesso Kobler di cui sopra.
Il “dodicesimo uomo in campo”, in quel giorno della primavera del ’44, è stato un altro dei grandi misteri da risolvere. Erano presenti spettatori? Erano stati precettati o si erano recati spontaneamente allo stadio? Com’era il clima sugli spalti?
Le testimonianze raccolte concordano sul fatto che il pubblico fosse numeroso. Adriana Brunori sostiene fossero principalmente donne: madri, sorelle o cugine dei giovani sarnanesi in campo o rifugiati in montagna o dispersi nei vari fronti europei. Questa presenza di tifo a maggioranza femminile è chiaramente spiegabile con le stesse motivazioni per cui era così difficile trovare giocatori. Va però sottolineato come lo spazio del tifo calcistico, che solitamente è raccontato come prerogativa maschile, in questo contesto di conflitto sia stato “riempito” da una folta presenza femminile.
Adriana Brunori, che quel giorno era presente sugli spalti, ci racconta di un clima piuttosto sereno, considerata l’eccezionalità della circostanza, dovuto anche al fatto che si era diffusa la voce che da li a poco i tedeschi se ne sarebbero andati. Questa ricostruzione cozza con quella riportata da Maurizio Maurelli nel documentario di Nigri. Mimmo infatti afferma di ricordare «soldati con il mitra al posto delle bandierine del calcio d’angolo».
Noi crediamo che tra le due ricostruzioni sia più attendibile la prima, ovvero che la presenza delle truppe tedesche non sia stata così minacciosa o quantomeno così evidente. Se l’intento dell’esercito nazista era quello di inscenare una normalizzazione dei rapporti tra occupanti e popolazione civile, avrebbe avuto poco senso militarizzare il campo e gli spalti. Per altro verso, se l’intento fosse stato quello di “catturare” i giocatori sarnanesi, il finale della partita sarebbe stato molto diverso, e molto probabilmente non ci sarebbero stati sopravvissuti a parlarne.
6. Il gioco, la memoria. Alcune considerazioni.
Quella giocata a Sarnano non fu l’unica partita di calcio organizzata dai tedeschi durante l’occupazione in Europa.
Caso molto conosciuto è sicuramente rappresentato dal torneo giocato nell’estate del 1942 a Kiev, capace di ispirare anche diversi film, dei quali Victory di John Huston (1981) [uscito in Italia con il titolo Fuga per la vittoria] è solo il più famoso, almeno in occidente. In quell’occasione si erano contrapposte squadre formate da alleati dei nazisti (rumeni, ungheresi), rappresentanze tedesche del corpo ufficiali e una selezione di giocatori locali, composta da atleti in gran parte appartenenti a quella che era stata la Dinamo Kiev, anche se il nome usato per la squadra era FC Start.
Diversamente da quanto avvenuto a Sarnano, nel caso di Kiev gli esiti furono diversi. Secondo alcune versioni, infatti, accusati di appartenere alla NKVD (la polizia segreta sovietica), i giocatori della Dinamo Kiev in gran parte non sfuggirono alle fucilazioni, alla morte nei campi di concentramento o alle fosse comuni di Nabi Yar. Secondo altre, gli esiti furono meno cruenti, ma soltanto perché il numero dei giocatori morti fu minore e il loro assassinio avvenne tempo dopo.
Le partite erano organizzate per distrarre la popolazione e tenere impegnati i soldati.
Anche per l’episodio di Sarnano, le ragioni alla base della volontà di dar vita al match possono essere cercate in questo duplice obiettivo, al quale può certamente aggiungersi l’accennata volontà “normalizzatrice” successiva al consumarsi di una strage – quella del 29 marzo 1944 – che aveva segnato una comunità piccola come quella di Sarnano.
Perché, allora, fatto salvo qualche intervento sulla stampa di Mario Maurelli, dell’episodio sembra essersi persa ogni traccia, almeno fino al documentario di Nigri? Perché, se si escludono pochissime testimonianze, la partita sembra essere stata rimossa dalla locale comunità? Perché persino nella delibera di intitolazione del nuovo stadio comunale proprio a Mario Maurelli, dell’arbitro romano si ricordano gli studi e la preparazione, la stagione degli incontri diretti in Serie A, alcune onorificenze, ma nessun cenno viene fatto al match dell’aprile del 1944?
Le motivazioni potrebbero essere molteplici, e forse nessuna di loro, singolarmente intesa, può essere sufficiente a trovare una spiegazione.
Tra le tante, va innanzitutto considerato il contesto: guerra, occupazione tedesca e passaggio del fronte possono aver fatto si che, nel susseguirsi e sovrapporsi di eventi drammatici, una partita di calcio – peraltro non l’unica: esistono infatti foto di tornei che hanno impegnato militi fascisti della guardia nazionale repubblicana o del Battaglione M – può facilmente diventare un episodio di secondo piano, destinato a scomparire tra i ricordi.
Nell’immediato dopoguerra, inoltre, può essersi ingenerata la tendenza a rimuovere un episodio che, in un Paese ancora sommerso dalle macerie, dai lutti e dal dolore, avrebbe condotto la popolazione ad esporsi all’accusa morale di essersi prestata a “giocare con l’occupante”, per quanto questo potesse essere avvenuto in assenza di alternative.
Non a caso, del resto, le fonti di matrice fascista raccontano delle partite al Campo della Vittoria per suffragare la tesi che, in fondo, durante l’occupazione, la popolazione viveva e si sentiva tranquilla e protetta, anche se le testimonianze raccolte ci dicono invece che, al successivo arrivo del presidio del Battaglione M in sostituzione della Wehrmacht, si assistette ad un ulteriore, peggiorativo cambio di passo in ordine alla minaccia vissuta e percepita.
Non ultimo, infine, un peso relativo potrebbe essere stato esercitato anche dall’atteggiamento assunto da chi, armi alla mano, aveva combattuto la Resistenza. Forse, soffermarsi su quell’episodio avrebbe potuto condurre ad una strumentale edulcorazione del sacrificio e della lotta di liberazione.
Da questo punto di vista ci chiediamo se chi, in questi anni, ha parlato in maniera disinvolta di una «partita tra partigiani e nazisti» si sia reso conto del meccanismo che questa affermazione, senza dubbio epica e mitopoietica, può innescare nei processi di costruzione della memoria e nell’interpretazione storica, elementi con cui nel nostro paese si fa ancora molta fatica a fare i conti.
7. Post partita
La nostra ricerca non si è conclusa, ci sono ancora molte cose da chiarire e una mole enorme di materiale da verificare. Nel frattempo abbiamo deciso di far viaggiare questa storia e di raccontarla a quante e quanti vorranno ascoltarla, anche dal vivo. La data zero si è tenuta a Corridonia il 4 aprile scorso, nell’ambito della serie di eventi “Senza rigore. Gioco e resisto” organizzata dagli amic* e compagn* di Sciarada.
Un’altra ascia di guerra, fino a questo momento disseppellita solo in parte, viene finalmente tirata fuori dal terreno, questa volta costituito da un polveroso campo di calcio ai piedi dei Sibillini.
Bibliografia
Umberto Nigri, La leggenda di Sarnano – (Docufilm, 2003)
Andrea Di Nicola, Da Tolone a Vittorio Veneto. Storia del primo Battaglione M ‘IX Settembre’ – I legionari dell’onore, Marino Solfanelli Editore, Chieti 1995, p. 103.
Chiara Donati, «Per un quadro dello stragismo nazista e fascista nelle Marche (settembre 1943-settembre 1944)», in Chiara Donati, Tommaso Rossi (a cura di), Guerra e Resistenza sull’Appennino umbro-marchigiano.
Ruggero Giacomini, Le stragi nazifasciste nelle Marche, in “Storia e problemi contemporanei”.
Angiolino Ghiandoni, Ciò che vidi e udì a Sarnano. 1943-’44-’45, Mirma editrice, Pieve Torina – Camerino 1997.
Secondo Balena, Bandenkrieg nel Piceno (settembre ’43 giugno ’44), Ascoli Piceno.
Testimonianza di Franco Lucarini.
Testimonianza di Adriana Brunori,
Archivi
Archivio fotografico biblioteca Comunale di Sarnano.
Archivio on line del Corriere della Sera.
Archivio on line del Centro Internazionale di Studi Emigrazione Italiana.
Biblioteca Comunale di Sarnano.
Archivio di Stato di Macerata, fogli congedo.
Archivio di Stato di Roma, fogli congedo.
Atlante delle stagi naziste e fasciste in Italia.
Archivio Storia Marche 900.