Ti mandavano al confino perché… | Radio Giap Rebelde

Unheimlich.

«Cappa plumbea», «nube tossica»… Per descrivere quel che grava sul territorio nel quale siamo nati e cresciuti, sulla città e la regione in cui viviamo, potremmo sprecare i clichés.  Mesi di teratogena campagna elettorale, carcinomi del linguaggio causati da polveri sottili penetrate nei meandri del cervello sociale.

Lo spaesamento è forte, benché ampiamente previsto. Ecco, prevedere lo spaesamento. Manca una parola, almeno in italiano, per indicare uno straniamento già messo in conto. Macchine mitologiche si scontrano. Emilia paranoica, diceva quel tale. «Emilia» idea senza parole.

Sensazioni weird. Una che negli anni Novanta incrociavi nei centri sociali d’impronta meno militante adesso milita eccome: è candidata «governatrice» di estrema destra. Ma i comizi glieli fa quasi tutti il suo capo…

…se può chiamarsi «comizio» quando un candidato ti viene sotto casa circondato da sgherri, suona al citofono e pretende di salire per «verificare» quel che dice sul tuo conto una signora del quartiere.

«[…] nell’antica Islanda sarebbe stato inconcepibile un attentato all’inviolabilità, o meglio alla sacralità del domicilio, nelle forme in cui esso è avvenuto nella Berlino del 1933, in presenza di milioni di persone, come semplice misura amministrativa. Il giovane socialdemocratico che nell’androne della sua casa uccide a colpi di arma da fuoco una mezza dozzina di cosiddetti “poliziotti ausiliari” […] era ancora partecipe della libertà sostanziale, dell’antica libertà germanica che i suoi nemici andavano celebrando a parole.»

Così Ernst Jünger – che comunque aveva la faccia come il culo, essendo divenuto antinazista «dopo la puzza» – nel suo Der Waldgang (in italiano, Trattato del ribelle, Adelphi, 1990).

Ma in fondo cos’è stato il blitz dell’altro giorno, se non un esempio spettacolare di quell’odioso «controllo di vicinato» che tutti i partiti mainstream vogliono introdurre?

E in buona sostanza cos’è avvenuto di tanto incongruo, nella società plasmata dal capitalismo della sorveglianza, dove tutti ci autoschediamo con zelo e coi nostri dati miglioriamo le prestazioni dei dispositivi di controllo, e coi nostri selfie perfezioniamo le tecnologie di riconoscimento facciale?

Se l’episodio del Pilastro servisse almeno a ragionare su questo… Ma non pare. Va bene l’antisalvinismo, per carità: chiunque abbia un briciolo di [inserire una virtù a piacimento] non può non disprezzare Salvini, figurarsi. Ma se si rimane a quello, non si capisce cosa stia succedendo.

Sensazioni weird anche sull’altro versante. Un movimento d’opinione e di piazza prende il nome da cadaveri di pesci ammassati, sepolti in scatole di latta con gli occhi sbarrati, pronti per essere divorati… e a tutti sembra un accostamento normale! E da quei pesci verrà la salvezza. E tra i primi passi verso tale salvezza c’è… il «Daspo per i social».

Sensazioni eerie. Come dice Mark Fisher, «dove dovrebbe esserci qualcosa non c’è niente, dove non dovrebbe esserci niente c’è qualcosa».

Chi non si riconosce nelle retoriche brandite in questi mesi, chi non ha la fortuna di poter “staccare” e uscire dai confini imposti al dibattito, si sente al confino nella propria stessa quotidianità.

Foss’anche…

Ma così non è: ovunque nel mondo il realismo capitalista viene sfidato, l’Italia galleggia in una macchia d’olio nel mare in tempesta, ma la macchia d’olio è come il cucchiaio in The Matrix, non esiste, e appena smetteremo di immaginarla…

Foss’anche, si diceva, ricordiamoci che dal confino, quello di Ventotene, furono viste prima che altrove la caduta del regime, la guerra di Liberazione, l’uscita dall’idea che il tran tran fascista fosse eterno.

Forse questo sentirsi al confino ci fornisce l’angolatura da cui vedere oltre il There Is No Alternative.

Buon ascolto, goodnight and good luck.

Wu Ming 1 & Bhutan Clan, Ti mandavano al confino.
Reading/concerto a Radio Solipsia, Bologna, 12 novembre 2019.
Estratto dall’Antefatto 3 del romanzo di Wu Ming 1 La macchina del vento.

Ensemble mutevole e mutante, il Bhutan Clan racconta storie in musica. Tra le vicende narrate e suonate ci sono quelle nate nel cantiere di Resistenze in Cirenaica (RIC), galassia di collettivi e associazioni che, nel rione Cirenaica di Bologna, recupera storie di resistenza al colonialismo italiano e al nazifascismo.

In questa incarnazione l’ensemble è formato da:

Jadel Andreetto – basso / moog

Stefano D’Arcangelo – tastiere / elettronica

Bruno Fiorini – chitarre

Michele Koukoussis – batteria

Wu Ming 1 – voce

Con Wu Ming 1 il Bhutan Clan ha già dato vita al reading sonorizzato di Un viaggio che non promettiamo breve. Venticinque anni di lotte No Tav (Einaudi 2016). Nella stagione 2019-2020 porta sul palco La Macchina del Vento. L’ensemble sta anche lavorando alla sonorizzazione del Canto di al-‘Aqila’ di Rajab Bu-Huwayish, poema composto nel 1931 in un campo di prigionia italiano in Libia.

La macchina del vento, ambientato sull’isola di Ventotene negli anni della dittatura fascista, racconta la storia di due confinati politici, il socialista ferrarese Erminio Squarzanti e il fisico romano Giacomo Pontercorboli. I due protagonisti, personaggi di fantasia, si muovono nel contesto accuratamente ricostruito del confino di Ventotene, e incrociano alcune figure storiche dell’antifascismo: Sandro Pertini, Eugenio Colorni, Altiero Spinelli, Umberto Terracini, Pietro Secchia, Mauro Scoccimarro e molti altri.

«Ognuno prende il suo coraggio dove lo trova. Nella memoria, nella mitologia, nell’immaginazione fantascientifica. Nella solidarietà, nella fedeltà, nell’ostinazione, nella fantasia che non aspetta la sua verifica nell’angusto recinto di ciò che c’è, ma in ciò che potrà essere, in quello che si potrà fare; o che si sarebbe potuto fare, il che in fondo è sempre stato la cifra profonda del lavoro di tutto il collettivo Wu Ming, a cominciare da Q, pubblicato quando ancora si chiamavano Luther Blissett, di cui ricorre in questi giorni il ventennale. Ogni passato, anche quello finito male, è una piazzaforte sotto cui scavare cunicoli, una guerra di mina, un tentativo di far evadere e riportare alla luce possibilità tenute prigioniere dalla storia dei vincitori.» (dalla recensione di Daniele Giglioli su «La Lettura», supplemento del Corriere della Sera)

L’audioteca di Radio Giap Rebelde è su Internet Archive.

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44 commenti su “Ti mandavano al confino perché… | Radio Giap Rebelde

  1. Guardando l’Emilia di questi giorni dal bordo occidentale dei Balcani, la cosa più surreale è stata l’indignazione mista a stupore di una parte di elettorato di centrosinistra per l’endorsement di Siniša Mihajlović a Salvini, e la difesa di Siniša da parte delle sardine “perché dice quello che pensa”. In tutto questo nessuno si è ricordato degli endorsement ben più pregnanti esternati da Siniša in tempi anche recenti, ad esempio quello a Ratko Mladić, il boia di Srebrenica, e quello all’altro Mihajlović, Draža, condannato a morte per collaborazionismo in Jugoslavia e fucilato nel 1946. Il provincialismo, il tifo calcistico e l’ossessione elettorale producono mostri.

    • Segnalo questo commento, in calce ad altro post, che espone i retroscena dell’affaire Mihajlović: https://www.wumingfoundation.com/giap/2019/12/la-sfida-di-xm24-contro-il-nulla-1/#comment-33730

    • Mihajlovic ha più volte espresso di essere un nostalgico di Tito (un altro generale, guarda caso), cioè uno dei più grandi esponenti del comunismo e del terzomondismo del ventesimo secolo.https://www.ultimouomo.com/sinisa-mihajlovic-guerra-pace/

      • Siamo OT, ma un chiarimento va comunque fatto.

        Non è che Mihajlovic sia “titino”: è che nel suo nazionalismo c’è posto anche per il «quando c’era Tito», come c’è posto per i Cetnici, che erano monarchici, anticomunisti e a un certo punto collaborazionisti dei nazi contro i partigiani di Tito.

        Non per citare sempre Jesi, ma lui ci aveva proprio beccato, nessuno ha detto queste cose con lo stesso acume e precisione: nella cultura di destra, il passato è «una pappa indifferenziata», che viene evocata per produrre effetti di «lusso spirituale». In parole povere: a Mihajlovic va bene tutto ciò che promana Grandezza, Nazione, Patria, Ordine ecc.

        L’epoca della Jugoslavia è dunque rievocata, da tutti quelli come lui, in chiave nazionalista e, retroattivamente, Grande-Serba. Sulla figura di Tito ne vengono proiettate e sovrapposte altre (Milosevic, Karadzic, Mladic e altri uomini forti o presunti tali). Tito è spogliato di ogni storicità e concretezza, nonché di ogni riferimento al marxismo e al movimento operaio internazionale. Nel ricordo diventa solo, appunto, un generale. Un Uomo Forte che Manteneva l’Ordine, che teneva salda la Nazione. È un passato visto senza le sue contraddizioni.

        A Mihajlovic, come anche a molti rossobruni, piace questa versione impoverita di Tito, e al tempo stesso gli piacciono personaggi e movimenti che odiano la Resistenza. Nella pappa indifferenziata, Tito convive con Salvini.

        Poi, certo, vallo a spiegare ai fasci che hanno applaudito l’endorsement di Mihajlovic ma al tempo stesso stanno in fissa con le foibe e vedono Tito come il più grande criminale del XX secolo. Ma nella cultura di destra non va cercata alcuna logica, al posto del raziocinio c’è sempre solo il Mito.

        Fine dell’OT.

      • Spero mi perdonerete se riapro per un momento l’OT, ma questa faccenda di Siniša Mihajlović è come un file zippato che contiene una quantità di virus letali al cui confronto il corona virus è acquasanta o pipì di bambino. Approfitto quindi dell’occasione per postare qui quel che avevo scritto nel 2014 per il famigerato post sul rossobrunismo di rito orientale che non eravamo mai riusciti a chiudere.

        Estate 1989: la Jugoslavia socialista stava sprofondando in una crisi economica, politica e sociale senza precedenti, stritolata dai diktat del FMI, e squassata da spinte centrifughe sostenute o contrastate dai principali attori della politica internazionale dell’epoca. Nel Kosovo si era già arrivati in più occasioni allo scontro armato. Fu in quel contesto che Slobodan Milošević, presidente della frazione serba della lega deicomunisti jugoslavi, pronunciò una serie di discorsi in cui i temi classici del nazionalismo serbo si infiltrarono poco a poco nell’ormai frusto frasario del socialismo reale. Ma Milošević non si limitava a parlare. Alle crescenti richieste di autonomia provenienti dalle altre repubbliche e dalle province autonome del Kosovo e della Vojvodina, rispose con una stretta autoritaria mascherata da “rivoluzione antiburocratica”. Il 28 giugno a Kosovo Polje, nel seicentesimo anniversario della battaglia in cui il Regno di Serbia fu sconfitto dall’ Impero ottomano, Milošević pronunciò davanti a un milione di persone quello che può essere considerato il primo discorso “rossobruno” di un leader politico “socialista” di livello internazionale con importanti responsabilità di governo. (inserire link a video e testo) Due anni dopo la Jugoslavia non esisteva più, dilaniata dai nazionalismi, dalle scelte dementi e criminali delle cancellerie europee e americane, e da una guerra fratricida che sarebbe durata ancora un decennio. Non è questo il luogo per parlare delle guerre jugoslave degli anni ’90, né del fascismo conclamato che si impose in quegli anni a Zagabria sotto l’ombra di Tudjman, o del fondamentalismo islamico che un po’ alla volta cominciò a infiltrarsi nella laica e secolarizzata Bosnia musulmana. Quello che ci interessa qui è analizzare ciò che disse Milošević a Kosovo Polje nel 1989. Nel suo discorso la parola “socialismo/socialista” compare tre volte. La parola “Serbia/serbo” trentanove.
        Buona parte del discorso è incentrata sul vittimismo, sulla denuncia di traditori veri o presunti, interni o esterni, che avrebbero minato l’unità del popolo serbo fin dai tempi antichi. Il tempo presente viene messo in relazione a un passato mitico, alla battaglia del Campo dei Merli. E il popolo serbo viene descritto come popolo investito di una storica missione di civiltà. Osservando il video, si notano le bandiere monarchiche che sventolano a fianco delle bandiere con la stella rossa, e gruppi di religiosi ortodossi che applaudono il leader “socialista”. In breve: a Kosovo Polje il 28 giugno 1989 “avvenne qualcosa”. Fu una specie di reazione chimica – prevedibile e in effetti prevista. Come spesso accade, le periferie sono punti di osservazione privilegiati, e Lubiana in quell’anno era ancora l’estrema periferia di 11 fusi orari di comunismo. Nel marzo del 1989, quattro mesi prima del discorso di Kosovo Polje, durante una performance dei lubianesi Laibach a Belgrado Peter Mlakar – il “filosofo” del gruppo – si era esibito in una sorta di comizio che riprendeva parola per parola e concetto per concetto il frasario di Milošević, esasperandolo in una miscela linguistica di serbo e tedesco […] Come spiegò poi Žižek, l’estetica e la retorica dei Laibach in quel contesto avevano lo scopo di affermare il non detto, di far emergere il rimosso nel discorso pubblico della Jugoslavia di quegli anni. La pura affermazione di quegli enunciati senza prese di distanza “ironiche” risultava realmente sovversiva e destabilizzante. Ma ormai era troppo tardi: quel disvelamento, per quanto importante, non avrebbe più potuto produrre i necessari anticorpi. Il vapore rossobruno aveva cominciato a diffondersi come una nuvola venefica su tutta l’Europa. Eppure nei dieci anni successivi pare che pochi se ne siano accorti. Durante i bombardamenti della NATO sulla Serbia, in Italia militanti di Rifondazione e spezzoni di movimento si ritrovarono in piazza a difendere Slobo insieme a ultranazionalisti serbi, forzanovisti e leghisti, senza capire il perchè di quella compagnia imbarazzante. Pensavano che in quelle manifestazioni i fascisti fossero degli opportunisti che cercavano di impadronirsi di una battaglia altrui. E invece i fascisti potevano riconoscersi perfettamente in una figura come Slobo. Mentre erano quei compagni, che passando dalla contestazione dei bombardamenti NATO al sostegno a Slobo si erano cacciati nel luogo (ideologico) sbagliato. Va detto che in quel contesto, con quelle spinte in atto, *qualunque* traiettoria (politica) poteva condurre in qualche luogo (ideologico) sbagliato. A meno che non si avesse la capacità e la forza necessarie a liberare uno spazio (politico) autonomo. Ma nel post ’89 pare che ben pochi ce l’ abbiano quella capacità, e nessuno quella forza. E così un po’ per pigrizia, un po’ per inerzia, in tanti, in troppi, per anni si sono raccontati la palla che la Serbia di Milošević fosse un paese socialista che resisteva eroicamente all’assalto dell’imperialismo capitalista. Questo mentre a Belgrado, esattamente come a Zagabria e a Sarajevo, gli squali di guerra si arricchivano, e i lavoratori diventavano sempre più poveri, e non protestavano, non si ribellavano, ipnotizzati dalle parole d’ordine nazionaliste dei loro leader politici. Ecco così spiegato come sia stato
        possibile che dieci anni più tardi nel settembre del 2000 – grazie a Fulvio Grimaldi – un fascista come Dragos Kalajić abbia potuto tranquillamente spacciare a sinistra, dalle colonne di Liberazione, le sue posizioni di estrema destra, facendole passare per lotta anti-imperialista. E’ esattamente questo il “rossobrunismo di rito orientale” [di cui parleremo in questo post]: qualcosa di molto più diffuso e insidioso dei gruppuscoli nazi-maoisti creati dai servizi italiani negli anni sessanta/settanta, e sopravvissuti a se stessi e al ridicolo che li ha sempre circondati.

        • Tuco

          qui sopra spieghi cose che voi umani e le lacrime nella pioggia al confronto sono pipì di bambino. Cose che temo di leggere e che penso da tempo anche se diversamente declinate, rimuovendole in fretta perché troppo grosse da pensare.

          I Laibach che si fingono nazi senza ironia, anche in altre occasioni, questa è una cosa che mi frulla spesso nella testa: confusamente ho sempre percepito che la mancanza di ironia sia la chiave. E di conseguenza che tutta l’abbondante satira politica odierna sia non solo innocua e inutile, ma anestetica.
          Da ignorante mi chiedo due cose:

          1. se oggi e qui ci fosse qualcuno che sta fingendo senza ironia, in modo analogo e con altri mezzi di espressione, con il preciso scopo di tentare l’esplosione delle contraddizioni, lo riconosceremmo?

          2. potrebbe essere utile in qualche modo agire in tal senso? Faccio un esempio: allestire una campagna mediatica razzista cruenta nei confronti (ma ripeto è un esempio) dei “milanesi razza inferiore” inzuppato in salsa nazi. Un immagine di ghigliottina, le teste mozzate di milanesi eccellenti (Salvini, Sala, Fontana, Pisapia, ma anche Ruggeri e Gaber, la Brambilla e Gino Strada) e sotto la scritta “Prima i milanesi”. Stessa cosa con un fotomontaggio dell’ingresso di Auschwitz con la famosa scritta, con figure degli stessi personaggi col pigiama da prigionieri, che in catene stanno entrando tra due ali di SS.

          Una roba fatta bene, e che *quindi* dia il voltastomaco a chi la sta preparando: quello deve essere per funzionare. Ma anche un’ultima speranza offerta a chiunque, vedendola in giro, si accorga che prima della ripulsa razionale, un millesimo di secondo prima del freno inibitorio, qualcosa giù nell’ombra ha esultato. Un salvagente per scampare alla merda che magari abbiamo dentro e non sappiamo di avere. Un disperato tentativo di vaccino prima della pandemia. Certo, il rischio è QAnon, vanno valutati costi e benefici in relazione al momento (in altri termini: sarebbe già il momento? Oppure non siamo ancora a quel punto? I Laibach sono arrivati tardi, giusto?)

          Tanti anni fa, questo post https://www.carmillaonline.com/2007/10/01/nessuno-immune-dal-diventare-nazista/ mi ha scosso fin dal titolo. Era la recensione di un libro che poi mi sono imposto di leggere fino in fondo (con una pausa di un mese a metà corsa). Mi chiedo spesso: sono pronto a diventare come le bestie che vorrei poter fermare? Anzi, il fatto di chiamarli e pensarli bestie mi dice che sono *già* pronto?

          • In Jugoslavia non funzionò. Sono passati altri 30 anni e le cose sono peggiorate ulteriormente. In compenso, viaggiando in angoli remoti della Jugoslavia, mi sono reso conto di quanto possano essere evocativi certi luoghi legati alla resistenza antifascista, ora che sono scarnificati e liberati dalla retorica che ci si era sedimentata sopra nei decenni del culto antifascista di stato. Ci vorrebbe il mentalista Mariano Tomatis per raccontare la lotta tra fantasmi che si svolge in quelle valli. Io non so dare risposte alle tue domande, vecio. Da matematico continuo a credere nella forza di lungo periodo delle argomentazioni ben fondate e costruttive. Ma io sono doppio, e sento agire dentro e fuori di me anche la forza dei miti.

          • @VecioBaeordo il tuo esempio viscerale e “disgustoso” sul «prima i Milanesi», confezionato per sondare gli abissi più remoti della moralità, dei valori sociali e allo stesso tempo del liquame fascista, è secondo me azzeccatissimo.
            @tuco riprende l’esempio dei Laibach, e so che corriamo sul filo dell’OT, ma non resisto nel raccontare un’esperienza antecedente che dall’inizio degli anni 60, sebbene in modo estremamente diluita, arriva fino ad oggi.
            Sto parlando del giornale Hara-Kiri «journal bête et méchant», “nonno” del più famoso Charlie Hebdo, un UFO totale nel panorama editoriale francese e, credo, internazionale.

            Sono troppo giovane per aver conosciuto l’epoca gloriosa dei suoi fondatori François Cavanna (1923-2014), tra l’altro di padre piacentino, et Georges Bernier (1929-2005, detto Professeur Choron), presto raggiunti dal genio di Topor (1938-1997) e Wolinski (1934-2015, ucciso durante l’attentato della rue Nicolas Appert). Nelle librerie francesi si trova però ancora molto materiale sul meglio (o il peggio, dipende) sfornato nel corso degli anni.
            Ultimamente sono stati caricati sulla Library Genesis moltissimi numeri di Hara-Kiri, anche se un po’ alla rinfusa. Per una ricerca si può iniziare da questo link: http://gen.lib.rus.ec/comics/index.php?s=hara%20kiri.

            In Hara-Kiri la denuncia del maschilismo, del razzismo, del conformismo, del militarismo, della pena di morte (abolita in Francia soltanto nel 1981) e dei bigotti viene veicolata da fotomontaggi violenti e granguignoleschi, a volte conditi da nudità maschili e femminili: ad esempio come quando mostrano esplicitamente l’uso dell’accessorio di cosmetica rouge à cul, complementare al classico rossetto (rouge à lèvres, in francese). Oppure quando puntano il dito sulle politiche “anti-degrado”, direi ante litteram, e sull’emarginazione sociale in un colpo solo, mettendo in scena il «sac poubelle à vieux», un comune sacco della spazzatura usato per liberarsi decorosamente degli anziani e tenere puliti i marciapiedi.

            Nella Francia del generale De Gaulle del 1961, Hara-Kiri subisce la prima di una serie di «divieti di esposizione», sorta di decreto zeppo di vaghezze giuridiche emanato dal ministero dell’interno, vaghezze che consentono di non usare la parola tabù: censura. Questi divieti implicano la non distribuzione del giornale nelle edicole, e segnano di fatto la volontà di condannare a morte Hara-Kiri.
            Per rendere l’idea del clima dell’epoca infatti, fino al 1970 mostrare peli pubici o scrivere la parola “verga” era consentito soltanto alle riviste dichiaratamente pornografiche e strettamente sorvegliate dalla polizia.

            Cavanna racconta in uno dei suoi libri autobiografici (Bête et méchant, Belfond 1981) dell’incontro suo e di Choron con uno dei burocrati del ministero dell’interno al fine di contestare, o perlomeno capire, questa decisione. Il funzionario, chiamato Sig. Pollin, viene descritto come «cortese senza eccessi, più un professore che un poliziotto. Paterno. Come un preside che ammonisce gli studenti più testardi. Ma inflessibile.».

            Provo a tradurre di seguito come si svolse l’incontro, al netto del misto di erudizione e disinvoltura tipico della prosa di Cavanna. Ed è un brano significativo, perché qui sta lo spirito di Hara-Kiri. Il perché niente del genere sia mai esistito in Italia (a parte forse il miglior Luttazzi, quello scatologico), resta da discutere. Sarei lieto di essere smentito su questo punto.
            Penso anche io come @tuco che la satira non sostituisca le analisi lunghe e razionali, però potrebbe forse essere un antidoto contro la retorica dell’elettorato leghista formato da “persone per bene”, dell’amore che sconfigge l’invidia e l’odio, e altre rotture di balle.

            ~~~
            «Se facessero tutti come voi! Bisogna pur mettere dei limiti da qualche parte!»
            «Ma insomma, cosa ci rimproverate?»
            Cipiglio. Uno sguardo del tipo: caro il mio pollo, non prendermi per i fondelli.
            «Quel che vi rimproveriamo? Me lo sta chiedendo sul serio? Bene. Prima di tutto, la vostra volgarità.»
            – Hara-Kiri, volgare?
            – Andiamo, signori, come se non lo sapeste già! Voi stessi non vi proclamate proprio «Giornale stupido e cattivo» («Journal bête et méchant» in originale, ndt)?
            – Ma appunto! Ma dai, è una strizzatina d’occhio! Cioè, insomma…
            Balbetto. Mi cadono le braccia. Ma che, davvero? Ci prende per il culo? Non può essere così cretino!
            «Ci proclamiamo stupidi e cattivi per beffa! Per ripicca del veder trionfare ovunque la stupidità e la cattiveria, le quali a loro volta si credono e si proclamano intelligenza, buon gusto, dignità, amore, gentilezza… Perché ci fa infuriare! E quindi, poiché chi si approfitta dell’imbecillità si dichiara gentile e intelligente, noi facciamo il contrario! Noi siamo orgogliosissimi di essere agli antipodi di questa gente.»
            […]
            «Non vorrà mica negare che vi compiacete di un lessico triviale, di evocazioni spesso lascive, perfino scatologiche? In uno soltanto dei vostri articoli abbiamo enumerato quattro volte la parola – mi perdoni – “C.O.N” (stronzo, coglione, ndt) (con lo spelling, giuro!), due volte le cinque lettere (“merda”, ndt), e una volta “C.U.L”. Come minimo non si può dire che cerchiate di elevare il livello culturale dei vostri lettori!».
            Quante stronzate si riescono a dire quando si sta dal lato giusto della scrivania! Mi arrabbio:
            «Insomma, dottore, lei dice di voler proteggere i bambini, ma cosa si trova in edicola? Ci sono Ici-Paris, France Dimanche, Lui, Radar, Détective, soltanto tette e culi, bocche enormi che evocano carezze molto specifiche, titoli che strillano pettegolezzi da strapazzo, gli amori dello Scià, l’ultimo gigolò di Edith Piaf, gli spasimanti della principessa d’Inghilterra, l’impotenza sessuale del re dei Belgi, i divorzi delle star, stupri complicati, orge favolose, tutto questo puzza di piscio, dottore, a un miglio di distanza, i ragazzini ci si avvinghiano come mosche verdi, è di una stupidità offensiva e di una volgarità ripugnante, tratta il pubblico come fosse un maiale patetico o un idiota con la bava alla bocca, e lei ci rimprovera, a noi, a noi che li denunciamo e ne facciamo la parodia, rimprovera noi di essere volgari e rincitrullenti? Legga Hara-Kiri, almeno è scritto in un francese corretto!»
            ~~~

            Hara-Kiri resisterà ancora qualche anno. Il primo di una serie di colpi letali sarà l’ennesima censura per una battuta sulla morte del generale De Gaulle (sempre lui, anche dall’oltretomba).
            Charlie Hebdo prenderà il testimone di questa tradizione, ma questa è un’altra storia.

  2. A proposito di campanelli #1:

    Come si dice nel post, la trovata di Salvini non è altro che la versione hard core del «controllo di vicinato».

    Il «controllo di vicinato» sono gruppi di ficcanaso, delatori, vicini di casa attaccabrighe (presente il tipo, no?), conformisti, misantropi, razzisti e fascisti più o meno consapevoli del loro razzismo e fascismo… benedetti da sindaci, carezzati in testa dai prefetti, che si mettono a segnalare in squallide chat whatsapp *ogni* migrante che passa o persona o macchina secondo loro «non del quartiere». Se il nero (o altro soggetto percepito come «estraneo alla comunità») cammina piano, nella loro mente distorta, sta pianificando qualcosa; se corre ha di certo già commesso qualcosa, e così via.

    Il sospetto e la paura alimentano una spirale incessante; si vive in una paranoia di assedio, in cui tutti diventano sospettati di qualcosa, tranne ovviamente il nucleo bianco e classe media (o di classe proletaria che ha interiorizzato il conformismo della classe media) che gestisce il «controllo di vicinato» stesso. Vivendo in una bolla di paura si chiederà più polizia, più telecamere, più… controllo di vicinato. E, fatalmente, si avrà sempre più paura.

    Nelle zone in cui si è diffuso, con amministrazioni indifferentemente Pd o Lega, gli aneddoti ormai si sprecano. Abiti lì da sempre ma hai cambiato auto e ti fermi in macchina a telefonare? Vieni segnalato da così tanti *bravi cittadini* che nel giro di pochi minuti ti trovi circondato dalle forze dell’ordine. (Per qualche motivo che continua a sfuggirmi telefonare fermi in macchina è considerato un comportamento da criminali. La prossima volta telefonate guidando, così magari *arrotate* qualcuno, ma sarete cittadini virtuosi!) Giri con una macchina scassata e ti fermi ad aspettare qualcuno ai margini della strada? Segnalata! E questi due episodi si riferiscono a un uomo e una donna bianchi. Dei neri, probabilmente, si farebbe prima a elencare quelli che *non* vengono segnalati.

    Una notevole analisi di questo fenomeno negli Usa, e degli interessi economici che lo muovono, l’ho già segnalata in quest’altro commento: https://www.wumingfoundation.com/giap/2019/12/lamore-e-fortissimo-il-corpo-no-2-dieci-anni-di-twitter/#comment-33723

    Un breve articolo di Devi Sacchetto sul «controllo di vicinato» a Padova (Pd) si trova invece qui https://ilbolive.unipd.it/index.php/it/news/nuove-forme-vivere-urbano

    Ah, e la sigla «Pd» che ho scritto dopo Padova non è quella della targa, ma quella del partito maggioritario dell’amministrazione vuole istituire il «controllo di vicinato».

  3. A proposito di campanelli #2:

    in questo articolo (peraltro piuttosto superficiale e giustizialista in questioni di crimine, droga etc) https://www.nextquotidiano.it/anna-rita-biagini-salvini-al-citofono-ha-usato-il-dolore-di-una-madre-per-fare-propaganda/ sono riportati i post fb dell’ormai nota signora leghista che ha «guidato» Salvini verso il campanello.

    Nei post della signora – oltre che a una versione inconscia delle «finestre rotte», che fa un mischione tra crimini e… mancato pagamento delle bollette dell’acqua – si troverà più volte la richiesta di una caserma dei CC al Pilastro.

    Ovviamente si tratta di una sciocchezza, perché non è che il controllo del territorio i CC la facciano con la caserma sulle spalle, oppure osservando ciò che succede col binocolo dalla torretta della caserma. Le caserme hanno tipicamente una distribuzione logistica: è la politica invece ad attribuire loro una funzione simbolica.

    Eppure è una sciocchezza con una lunga storia, ed è una storia – come spesso accade alle trovate popolarizzate dai leghisti – che viene portata avanti dal Pd. La «caserma dei CC» al Pilastro è infatti da tempo immemorabile la promessa fatta dalla sinistra di governo bolognese in cambio dell’operazione immobiliare promossa su due aree contigue al Pilastro. Ne parlavo – di questa promessa – già nel 2014: http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2014/03/la-foglia-di-f-i-co-2-cadono-i-veli/

    L’operazione caserma, l’evocare la «sicurezza» per far digerire le operazioni speculative collaterali al (fallimentare) Fico Eatalyworld, è una delle tante formule magiche tentate dal Pd, che le gonfia così tanto e con così tanta foga da farsele infine sfuggire di mano.

    E proprio lì ci sarà Salvini pronto ad afferrarle come un palloncino vagante.

    Palloncino che il Pd cercherà di riprendersi piagnucolando una chiamata dei «civili contro la barbarie leghista», del «meno peggio» e il solito repertorio. Non fosse drammatico, sarebbe solo noioso.

  4. Aggiungo all’ analisi della questione citofono, con tutto il suo corollario di interpretazioni, la miscela incendiaria del baluardo securitario e la conseguente promozione di un clima di tensione, odio, insicurezza e paura che si è automaticamente trasferito nell’ appello al voto delle truppe cammellate della “sinistra” istituzionale. Il voto ” utile” per il candidato Bonaccini, non importa se ” disgiunto “. L’ importante è mettersi una mano sulla coscienza e votare bene. Votare contro Salvini. In maniera speculare e nel solco degli stessi ragionamenti, a ” sinistra ” e per l’ ennesima volta, si è fatto appello al voto ” utile” e se avesse vinto Salvini sarebbe stato per colpa e responsabilità di chi non ha votato Bonaccini… Perché di fronte all’emergenza dobbiamo essere un corpo unico e compatto… un obbediente gregge di pecore intorno al pastore. E non importa se i conti non ti tornano e se non sei convinto, devi turarti il naso. E anche questo in nome della paura e del pericolo. E così dal voto disgiunto arriviamo ben presto al voto dissociato. Alla dissociazione di massa del pensiero. La coerenza è solo un optional, che solo una ragazzina con sindrome di Asperger può esercitare, come inconfutabile sintomo di una ” patologia”….

  5. Vorrei porre una domanda molto semplice: sembra solo a me che tra compagne e compagni anche “antagonisti” sia tornata in voga la subalternità al PD?

    Lo dico con un po’ di magone ma dopo alcuni anni che, almeno in un’area piuttosto ampia della sinistra di classe e di movimento, era pacifico affermare che il PD è una forma di destra liberista o di centro conservatore, negli ultimi mesi e in maniera eclatante in queste elezioni regionali mi sembra che gli argini abbiano ceduto e si trovino molte persone che si dicono anticapitaliste, antagoniste, comuniste, addirittura anarchiche ma «questa volta» pro-Bonaccini? Faccenda anche più preoccupante, visto che Bonaccini non mi risulta essere nemmeno uno dei volti più progressisti del PD, ma semmai un esponente del PD confindustriale, “modernizzatore”, ammanicato con la rete di potere emiliano-romagnola, che piace anche a Forza Italia – insomma, visto da fuori regione sembra una specie di Renzi.

    Forse è solo una mia impressione e senz’altro ha a che vedere col fatto che dalla Grande Recessione a oggi la sinistra a sinistra del PD non ha saputo costruire nulla in questo Paese, ma mi sconforta non poco. La nuova recessione e la conseguente stretta austeritaria cui si dedicherà il centrosinistra riapriranno gli occhi a molti, ma intanto siamo di nuovo a rifare gli stessi discorsi che sembravano superati dagli eventi: il “voto utile”, il “meno peggio”, la paranoia sul fascismo incombente, l’infatuazione per qualche meteora riformista, la “Costituzione più bella del mondo”, l’unità della sinistra, Gaber-Guccini-De Gregori-Berlinguer ecc.

    • Eh ma, purtroppo, non si può mica dire che la sinistra a sinistra del PD non ha saputo costruire nulla, per alcuni motivi: per esempio quello delle leggi sulla rappresentanza sindacale che non consentono a chi è numericamente rappresentativo, in un contesto lavorativo, di essere rappresentativo ai tavoli della contrattazione, per esempio. Vieni esautorato d’ ufficio. Per esempio perché il dissenso sul posto di lavoro viene colpito in maniera durissima col licenziamento, senza alcuna possibilità di reintegro, per esempio perché non esiste più alcuna possibilità di occupare spazi abbandonati per restituirgli nuova vita, senza pagare a carissimo prezzo questo gesto. Qualunque dimostrazione concreta e non simbolica di un ” altro mondo possibile” si schianta contro l’argine di un realismo e di una mediocrità che non sono più la prerogativa esclusiva dei rappresentanti della legge dell’ordine e della legalità. Ma sono il dominio personale del cittadino/ vigile urbano. Sono tutti vigili e censori. Pronti a tarparti le ali in nome di un realismo spietato. E l’anticapitalismo e l’antifascismo sono, drammaticamente, percepiti come categorie di pensiero astratte. Come la deriva velleitaria della sinistra antagonista. Io non credo che schiantarsi contro la dura realtà aiuterà qualcuno ad “aprire gli occhi”. La soluzione invece è proprio quella di chiuderli ed iniziare a sognare in grande. E propagare un vento di utopia.

    • Mauro,
      quando descrivi Bonaccini come “esponente del PD confindustriale, ‘modernizzatore’, ammanicato con la rete di potere emiliano-romagnola, che piace anche a Forza Italia”, sappi che in Emilia-Romagna non esiste altro volto del PD, almeno se guardiamo all’apparato.
      Tuttavia stupirsi – come fai tu e come fa in altri commenti filo-a-piombo – che molti compagni si siano “turati il naso” mi sembra da ingenui, consentimi la sincerità. Alle precedenti regionali, quando l’oscuro burocrate piddino Stefano Bonaccini (detto “Bonazzén”, nei circoli emiliani) vinse contro nessuno, andò a votare un elettore su tre. In un contesto politico come quello di oggi, e con la campagna elettorale che ha fatto Salvini, è andata a votare anche gente che non votava da moltissimi anni. La citofonata delatoria è stata la goccia che ha fatto traboccare parecchi vasi, credimi. Lo dico con cognizione di causa perché ho parlato con gente davvero “insospettabile” che a sto giro è andata a votare Bonazzén. E non c’è andata pensando che dal PD potesse venire la salvezza, ma semplicemente perché “questo è troppo… così proprio no”. Io sono convinto che se Salvini avesse fatto una campagna elettorale con i toni più bassi avrebbe vinto o sarebbe arrivato secondo al fotofinish.

      I dati che dovrebbero fare riflettere invece sono altri, secondo me:

      1) Quel voto “a naso tappato” è arrivato da una porzione di piccola-borghesia cittadina, istruita e cosmopolita (e in prevalenza donne). Sul piano sociologico, in regione si è prodotta una forbice molto simile a quella che si produsse con il referendum britannico sulla Brexit.
      2) I partitini a sinistra del PD si sono estinti, ovvero è definitivamente consumato lo spazio rappresentativo che vent’anni fa poteva ancora essere tenuto da Rifondazione Comunista ed è andato riducendosi sempre di più, fino agli attuali zero-virgola.
      3) Il record storico di preferenze l’ha raggiunto Elly Schlein, che non è più del PD, ha un’esperienza da europarlamentare (“civatiana”), è donna, trentacinquenne, si occupa di migranti e ambiente.

      Dunque anche chi è andato ai seggi con la molletta al naso, ha comunque premiato un outsider, cioè una che non rappresenta il blocco di potere emiliano-romagnolo e l’apparato del PD. Quest’ultimi sono stati lasciati fuori dalla campagna elettorale, perché lo stesso Bonazzén sapeva che la loro presenza avrebbe affossato i consensi. La campagna elettorale gliel’hanno fatta le Sardine “senzapartiti”. Insomma, al momento, quello che il PD tocca muore. Questa consapevolezza si sta facendo strada anche tra i critici più tiepidi e gli stessi sostenitori mediamente convinti.

      Cosa dedurre da tutto questo, non saprei. Ma mi sembra che la tua domanda andrebbe rivista alla luce di queste considerazioni.

      • La cosa più importante è capire cosa è successo concretamente lì da voi, e da fuori regione ho una prospettiva limitata, ma la mia sensazione è che, forse anche grazie al “deodorante” Schlein, molte delle persone di cui stiamo parlando abbiano votato *senza* tapparsi il naso. Se lo hanno fatto nel modo in cui dici, mi preoccupa decisamente di meno.

        • Ma è davvero così importante stabilire quanto era stretta la molletta al naso? A me sembra che se continuiamo a preoccuparci di questo, parliamo del sesso degli angeli. Che qualcuno riponga ancora qualche flebile speranza nei candidati outsider o abbia votato soltanto per fermare Salvini, al lato pratico il problema dell’estinzione della sinistra (politica, sindacale, culturale, ecc.) rimane intatto. In queste regionali emiliane, il capoluogo della regione è stato l’ago della bilancia elettorale, in termini di voti. Se togli la “cosmopolita” Bologna – l’unica città di medie dimensioni della regione – la Lega vince. Anche i meno pessimisti, anche gli illusi, o gli speranzosi, non possono sfuggire questo dato.
          Finché le lotte in atto nella società non riusciranno a esprimere un livello di conflittualità rispetto alle politiche in atto, tale da mettere in discussione certi automatismi, possiamo pure rimproverare chi spruzza il deodorante per sentire meno fetore, ma con argomenti che hanno una presa alquanto limitata, temo.
          E parlo di lotte nella società, perché in termini di compagini politiche se la sinistra liberale è in putrefazione, quella anticapitalista non gode certo di buona salute. Il mio timore, non so quanto fondato, è di apparire un commentatore saccente e disincantato, su un piccolo pulpito telematico. La cosa mi irriterebbe alquanto.

          • Nella società italiana c’è un incommensurabile potenziale anticapitalistico, visibile in varie forme nelle spinte conflittuali e movimentiste degli ultimi tempi: si va dall’attivismo giovanile sul clima all’ondata femminista che il prossimo 8 marzo tornerà a scioperare e invadere strade e piazze, passando per le lotte contro le grandi opere inutili, per certe vertenze molto radicali e partecipate del sindacalismo di base (la logistica, Italpizza ecc.), per le mobilitazioni antifa e antirazziste, per le battaglie sui beni comuni.

            Ho scritto «incommensurabile» usando il termine nella sua accezione più propria, nel senso che quel potenziale non può essere rapportato alle percentuali dei partitini (absit iniuria, il diminutivo è una semplice constatazione) che tutti insieme, il 26 marzo scorso, hanno preso lo 0,9%.

            È evidente che tali formazioni politiche non rappresentano numericamente i conflitti in corso. Alcune non possono farlo costitutivamente (una di queste pullula di rossobruni e negazionisti climatici, per dire), altre per l’irrilevanza a cui sono condannate. Tra votare loro e non votare, ci sarà sempre un tot di gente che preferisce non votare. Perché se va criticata la coazione al «voto utile», non per questo entusiasma la coazione al voto inutile. È evidente che la via non è quella.

            Io posso pure togliermi il cappello di fronte alla buona volontà di molte compagne e compagni, di fronte al coraggio di una come Marta Collot che ci ha messo la faccia in una situazione molto difficile. Ma che a sinistra del centrosinistra si sarebbe visto solo pulviscolo, era ampiamente prevedibile.

      • stracuoro :) che è più di straquoto.

  6. Tutti quelli che hanno dato un voto utile hanno fatto l’ennesimo atto di fede, e di dissociazione, e ovunque ci sia fede non c’è ragione. La Calabria su questo ha messo un bel sigillo.

  7. Alcune considerazioni, più o meno al volo:

    SU SALVINI

    Da anni contestiamo la cazzata del Salvini «comunicatore geniale». Gli spazi che si è preso, se li è presi perché glieli hanno regalati. L’agenda che è riuscito a imporre, l’ha imposta perché l’ha fatta propria anche il PD: Renzi, Minniti, i sindaci ecc.

    Di suo, Salvini è un cioccapiatti inconsistente. Come prevedeva il cartello alla manifestazione serale al Pilastro: «Al Papeete hai perso il governo, al Pilastro hai perso le elezioni». Ogni tanto ha un’escalation neurochimica, lo prende il delirio di onnipotenza e fa la cazzata grossa. Non solo al Pilastro, ma anche a Bibbiano ha fatto la cazzata. E l’ha fatta in generale, trasformando soporifere elezioni regionali in un referendum fine-di-mondo pro o contro di lui.

    Detto questo, come si faceva notare nel post qui sopra, Salvini non fa che esprimere in modo sguaiato e ferino istanze che sul territorio porta avanti anche il PD: politiche securitarie, «decoro» usato contro i deboli, sorveglianza diffusa, «controllo di vicinato» ecc.

    SU BONACCINI E SUL MITO EMILIANO

    Bonaccini da tre giorni ripete in tutte le interviste e in tutte le salse «Io ho stravinto, ho stravinto, ho stravinto». Io, io, io. Quest’arroganza autocentrata lo ha già portato a un primo scivolone comunicativo durante il quale ha gettato la maschera del “bonaccione”. Il primo attacco che ha fatto da presidente lo ha fatto verso sinistra usando lo stesso frasario della Lega (i “radical-chic» ecc.) Welcome back to realpolitikal normality.

    Bonaccini dice di aver vinto in primis lui come personaggio (cioè come prodotto, merce politica) e, subito in secundis, che ha vinto il suo «buon governo». È falso. Chi lo ha votato lo ha fatto principalmente per fermare Salvini, turandosi il naso, nil novi sub sole. Lo ha fatto perché ha sentito di avere qualcosa da perdere, ma non per questo ha creduto alla campagna di Bonaccini, una campagna populista e para-leghista ­– non a caso Bonaccini è il promotore n.1 dell’autonomia differenziata emiliano-romagnola – tutta «radici emiliane» e mitologie d’accatto. Una campagna che ha presentato un’E-R quasi paradisiaca, un modello che rasenterebbe l’impeccabile.

    Ci si è riempiti la bocca con la “magnifica” sanità regionale, quando negli ultimi anni è stata crescentemente privatizzata e tagliata, sono state smantellate un sacco di strutture, noi del ferrarese lo sappiamo bene, se uno sta male nella zona del Delta deve fare decine di chilometri per arrivare al primo ospedale, dove non c’è nemmeno il punto nascite, e sull’Appennino è uguale, da Rimini a Piacenza.

    Parliamo di zone marginalizzate, impoverite, spopolate e di conseguenza rancorose, dove anche l’altro giorno la Lega ha vinto. Come ha vinto in gran parte della regione se non consideriamo Bologna e Modena. La mappa delle sezioni elettorali è chiarissima. Faccio notare che ben 2/3 dei voti di distacco tra Bonaccini e Borgonzoni sono voti espressi a Bologna. Il centrosinistra è circondato, Bonaccini non ha allori su cui spaparanzarsi né pulpiti credibili da cui infliggere sermoni a chicchessìa, la situazione in regione è devastante sotto molti punti di vista.

    [Pure a Bologna, del resto, se vuoi fare una visita specialistica in una struttura pubblica aspetti tre mesi anche se la prescrizione è d’urgenza, mentre se scegli una struttura “convenzionata”, cioè privata, vai già il giorno dopo, per non dire se vai proprio da un privato “intra moenia”, altro abominio introdotto dal centrosinistra.]

    Bonaccini ha fatto anche un bel po’ di greenwashing, nonostante l’E-R sia una delle regioni più innamorate delle Grandi Opere e di infrastrutture impattanti, perché cemento e tondino sono uno dei motori della nostra economia. La Regione, ad esempio, difende con zelo una roba allucinante come il Passante di Bologna. Parla di limitare il consumo di suolo, ma non c’è colata di asfalto e cemento che si possa criticare, basti dire che la CMC ha la sede a Ravenna.

    Del resto, in nome di uno “sviluppo” identificato col costruire ovunque ci fosse spazio si è permesso a camorra e ‘ndrangheta di penetrare nell’edilizia come non mai. Reggio Emilia, per fare un esempio, è una delle province più cementificate del Nord Italia, ed è in gran parte cementificazione fatta da un’alleanza tra settori di borghesia locale e crimine organizzato, come emerge da inchieste della magistratura.

    Per non dire del greenwashing sulla plastica: Bonaccini è riuscito al tempo stesso a dire che dobbiamo diventare plastic-free e a difendere a spada tratta – contro un provvedimento loffio come la plastic tax – il distretto bolognese del packaging, dove si produce gran parte della spazzatura polimerica che ci ingolfa e che finisce nei fiumi e in mare.

    Insomma, ci si riempie la bocca col clima, però guai a toccare l’economia reale emiliana, che è basata sulle peggiori produzioni di emissioni, non ultimi allevamenti intensivi e porcilaie megagalattiche. Per decenni in E-R si è investito proprio su tutto ciò che oggi risulta impattante e obsoleto. Difficile uscirne coi soli mantra sullo «sviluppo sostenibile».

    Poi ci sarebbe da citare molto altro, per far notare che il «modello emiliano» è da tempo solo un mito residuale: le città emiliane e romagnole sono soggette a processi violentissimi di gentrification, l’esplosione selvaggia dei B&B ha prodotto emergenze abitative gravissime, e questo processo è stato lasciato al mercato, senza alcun tentativo di governarlo.

    Ecc. ecc.

    SUL M5S

    Avevamo detto in tempi non sospetti che il gigantesco equivoco «neneista», con tutti i suoi corollari, si sarebbe dissipato. È accaduto.

    SULLE E SUGLI «INVISIBILI»

    All’incirca un milione di emiliano-romagnol* non ha votato. Anche con la polarizzazione di queste settimane, l’astensione è al 33%, ma nessuno che interroghi questo dato.

    Si è parlato di «boom di affluenza», ma è un «boom» solo se lo raffrontiamo alle regionali precedenti, dove ci fu un vero e proprio sciopero del voto. Stavolta è andata a votare più gente, ma è comunque il secondo peggior dato nella storia delle regionali emiliano-romagnole. Questa realtà “lavorerà” sottotraccia.

    SULLE SARDINE

    Un conto è la gente che era in piazza, variegata e con tante provenienze e istanze, altra faccenda gli autoproclamati “leaderini” del movimento.

    Santori ha fatto la tesi contro i No Tav, la prima cosa che ha fatto a novembre è stata prendere le distanze dai «violenti dei centri sociali», propone misure poliziesche per i social, fa discorsi spettacolarmente vuoti contro concetti generici come «l’odio».

    Quello che è più discutibile, tuttavia, è proprio la stolida difesa dello status quo emiliano-romagnolo, come quando Santori dice «in Emilia non c’è crisi di rappresentanza, noi siamo già ben rappresentati» oppure le frasi che riporta Giulio Calella su Jacobin Italia: «se vinci i campionati mondiali di calcio non cambi l’allenatore» (a parte l’idiozia del paragone) o «in un paese normale in una Regione come l’Emilia Romagna non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di fare campagna elettorale, sarebbe bastato presentare i fatti» (sì, ma solo i fatti che fanno comodo).

    Io, ripeto, non credo che le persone che hanno riempito le piazze volessero difendere ciecamente lo stato delle cose in Emilia-Romagna. Chi crede che lo abbiano fatto andrà incontro a una disillusione.

    • Nel commento qui sopra ho definito «para-leghista» la campagna elettorale di Bonaccini – che del resto è allineato coi governatori leghisti sulla questione dell’«autonomia differenziata». Naturalmente, i suoi supporter dicono che la nostra autonomia sarebbe diversa, meno gretta ecc. Ovvio: noi siamo migliori, siamo l’Emilia-Romagna über alles in der welt.

      In una lunga testimonianza da Modena, il compagno che cura il blog Militant du quotidien riflette su quest’aspetto, riprendendo anche la nostra osservazione sul fatto che «Emilia» è diventata un’idea senza parole.

      È molto bello l’articolo di MdQ, l’unico passaggio che non condivido è dove getta la croce addosso a tutti quelli che hanno dato il voto disgiunto per fermare Salvini, dicendo che sono subalterni al pensiero neoliberale. Troppo facile e comodo.

      Noi WM ce lo siamo detti più volte in questi giorni: non abbiamo voglia di biasimare a 360 gradi, quel che è avvenuto è comprensibile e il quadro che ne deriva è lungi dall’essere stabile.

      Ho raccolto molte testimonianze, sia a Bologna sia a Ferrara, di persone che detestano il PD e lo status quo emiliano. Ho constatato con quanta sofferenza e rabbia – e in certi casi anche vergogna – parlino del proprio voto disgiunto, ammettendo che anche se non hanno votato PD hanno comunque votato un dirigente del PD. «Spero di non doverlo fare mai più», mi ha detto un amico. In molti casi, la decisione è stata presa il giorno stesso dopo un lungo arrovellarsi.

      Io so che queste persone NON sono affatto subalterne al pensiero neoliberale, e di certo non hanno accusato di nulla chi ha fatto scelte diverse. Sanno bene chi sia Bonaccini e quali poteri rappresenti, non hanno alcuna illusione su di lui. Non hanno votato per lui: hanno votato contro un’aria da pogrom che spirava impetuosa.

      Come diceva Tuco, noi possiamo constatare, con imprescindibile raziocinio, che quelle dette da Bonaccini sulle grandi virtù dell’Emilia sono un cumulo di bubbole, che le politiche del PD sui territori sono in gran parte le stesse della Lega, che a Salvini hanno aperto la strada loro, che gli odiosi «decreti sicurezza» non cominciano con Salvini ecc. Ciò non toglie che un’aria da pogrom spirava, Salvini impazzava, era ovunque, aveva davvero rotto i coglioni, dunque non biasimo chi, angosciato, ha pensato: «intanto, togliamocelo di torno».

      Come ne conosco io, di persone così, di sicuro ne conoscerete anche voi. Sono amici e compagni con cui ci confrontiamo ogni giorno e condividiamo percorsi ed esperienze. Sono persone che cercano di resistere come si può. Dobbiamo continuare a parlarci, dobbiamo lottarci assieme. Puntandogli l’indice contro, cosa speriamo di ottenere? Non faremmo che riproporre, a ruoli invertiti, il cliché che lo stesso MdQ stigmatizza, quello secondo cui «sei tu, ‘votante’, che devi essere ‘responsabile’ in questa situazione».

      A parte questa differenza di approccio, l’articolo che ho segnalato è molto buono e fa capire molte cose anche a chi non vive qui.

      • Sono perfettamente d’accordo.
        In realtà ho tentato di descrivere maldestramente quel meccanismo proprio perché quel “dover essere responsabile” ha interrogato profondamente anche me in prima persona, a poche ore dal voto e, sinceramente, mai me lo sarei immaginato solo qualche ora prima.
        Tuttavia credo che l’aspetto che più mi ha destabilizzato sia stato il carattere profondamente “invadente” di questa campagna elettorale. Certo per molti versi è stata paragonabile alle politiche del maggio scorso ma lo “spaesamento” in questo caso è risultato più forte. Tecnicamente è stato un po’ come il sentirsi “al confino nella propria stessa quotidianità” perché questa volta le sirene della propaganda che agivano erano due.
        Ora, così su due piedi non saprei cos’altro aggiungere (si potrebbero aprire un sacco di parentesi ma forse sarebbe meglio lasciarle prima fermentare).
        Credo sia stato molto importante far notare il fatto che in questa regione c’è un 33% di corpo elettorale che ancora non vota (e forse a ragione) così come sempre più spesso, ultimamente, mi è capitato di dividere le piazze con persone che questo diritto manco ce l’hanno (vedi Pisa due settimane fa ma anche a Modena con le ultime mobilitazioni operaie). Banalità.
        Non ho davvero le idee chiare.

        • Secondo me abbiamo tutte e tutti messo in piedi una discussione seria e utile.

          Quel che mi preme di più è evitare di cadere nella vecchia trappola di dare troppa importanza al voto, attribuendogli pure noi la centralità che gli attribuisce – uso volutamente un’espressione tagliata con l’accetta – il sistema. Il voto, per dirla da storico, è storia evenemenziale. Un’increspatura sulla superficie, direbbe Barbero :-) Il giorno dopo il voto, le tendenze che c’erano prima proseguono, nessuna contraddizione che c’era prima è risolta.

          Dà troppa importanza al voto emiliano tanto chi ne dà un’interpretazione apologetica – «Abbiamo fermato l’onda nera! La sinistra riparta dall’Emilia-Romagna!» – tanto chi ne dà un’interpretazione apocalittica – «Dopo tutte le sue malefatte il PD si salva di nuovo il culo col “meno peggio”, porcozzìo, non c’è proprio speranza!».

          Sono, in fondo, due forme di feticismo del voto.

          Per spegnere gli ardori degli “apologetici” basta, da un lato, mostrare la mappa del voto (l’onda nera sommerge tutte le periferie della regione), e ricordare quali sono gli interessi reali rappresentati da Bonaccini (non basterà certo il consenso a Elly Schlein per trasformare in “ripartenza a sinistra” quella roba là).

          E per scuotere gli “apocalittici”?

          Non so se basterà, ma bisogna far capire che il quadro uscito dal voto emiliano è molto meno stabile e “tombale” di quanto sembri, e rifocalizzare lo sguardo sui conflitti in corso. Si deve vedere nelle prassi reali che non c’è coincidenza tra la vittoria di Bonaccini e il consenso allo status quo emiliano.

          A partire, secondo me, dalla critica al greenwashing piddino. Subito prima del voto, l’ipocrisia del PD bolognese in tema di clima è stata contestata sia da Fridays For Future sia da Extinction Rebellion. Da qui si prosegue.

  8. stracuoro :) che è più di straquoto.

  9. A me non sembra affatto da ingenui continuare a stupirsi per la consolidata prassi del voto utile… che io, personalmente, considero una gravissima forma di manipolazione del ” dissenso”. E in questa retorica del buon senso risiede la sostanza di un “non cambiamento”. Le preferenze espresse per Schlein testimoniano la stanchezza di un elettorato con buoni sentimenti da chierichetto ma senza radicali intenzioni di cambiamento. Schlein, civatiana, era prima nel PD, scuola di partito e formazione politica “tradizionale”. Esprime indubbiamente istanze più “moderne” ed è più in linea e sensibile alle tematiche sociali. Ha fatto una astuta campagna elettorale sulle piattaforme social, esattamente come il suo avversario politico. Il voto per la sua lista era un voto per Bonaccini.
    Per quanto riguarda il limite di saturazione che avrebbe portato gli emiliani a votare contro Salvini mi sembra, anche in questo caso, che si tratti invece dell’orgoglio provinciale di una popolazione che non vuole, giustamente, essere apertamente subordinata alla spocchiosa arroganza di un pallone gonfiato lombardo. Quasi un derby. Un sentimento furbamente intercettato da Bonaccini.
    Gli emiliano romagnoli, perfino i bolognesi, convivono faticosamente con l’ università. Ancora oggi percepita come un corpo estraneo all’interno della città, nella stragrande maggioranza dei casi hanno una spiccata propensione razzista, terreno fertile per coltivare inutili discorsi sull’ autonomia regionale.
    Detto questo, io non ho grandi aspettative per il futuro se la lotta non si trasferisce sul terreno del conflitto sociale. E se non si riesce a costruire un’ opposizione che intrecci tutte le istanze di cambiamento in una unica e sola battaglia. Ancora oggi la sinistra anticapitalista non prende in considerazione l’ antispecismo come espressione dello sfruttamento capitalista… e poi ce ne sarebbero mille altre.

    • Generalizzazioni come «i bolognesi [pensano, fanno ecc.]» e «gli emiliano-romagnoli» le lascerei, rispettivamente, a Lepore e a Bonaccini. Questi blocchi omogenei, queste volontà generali, non esistono.

      L’unica cosa che possiamo escludere dal quadro è che Bonaccini abbia vinto perché la maggioranza dei votanti era contenta di lui e dello status quo che amministra. Tutti i riscontri che abbiamo, per quanto empirici, compongono un quadro molto diverso.

      Durante il primo mandato di Bonaccini, divenuto presidente con voti che potevi contarli sul pallottoliere, senza il nome in didascalia si sarebbe faticato a riconoscerlo sul giornale. Soltanto di recente gli spin doctor gli hanno consigliato di fare l’hipster invecchiato.

      Quanto allo status quo e alla classe politica di centrosinistra, lui stesso ha fatto di tutto per non esservi associato, benché la sua appartenenza al PD sia nota e chiara a tutti. Il PD porta jazza e tutti lo sanno.

      Tutto questo, però, avviene in un quadro di frammentazioni e contraddizioni che non consente in alcun modo di dire cosa pensino tout court «gli emiliano-romagnoli».

    • Elly più che astuta ha vinto facile la gara sui social contro i candidati del PD.
      A me piace pensare che sia stata on the road per due mesi ed abbia colpito i suoi interlocutori con semplici concetti base di sinistra, grazie a questo, nonostante fosse rappresentante di un partito sconosciuto da zerovirgola abbia preso voti e preferenze clamorosi.
      L’ho sentita personalmente affermare che il PD deve smettere di inseguire la dx altrimenti le conseguenze saranno come quelle ampiamente descritte qui su GIAP.
      Per tutto il resto nessuna speranza, per carità.

  10. Io non ho usato espressioni generiche come ” i bolognesi fanno/ dicono”. Ho parlato espressamente di una difficile convivenza con l’ università. Facendone il metro di misura di un atteggiamento mentale ( questa si è una generalizzazione) che non è tipico solo dei bolognesi però. È la dimostrazione di un tessuto sociale imbevuto di individualismo neoliberista e grande provincialismo. Ma mi sembra che questa campagna elettorale si sia giocata da ambo le parti proprio su questioni di orgoglio identitario regionale. E questo è particolarmente significativo.
    Escludere che la vittoria di Bonaccini non sia il frutto di un convinto entusiasmo per la sua amministrazione non porta a concludere altro.
    Ma votare per un candidato come lui solo per impedire l’ avanzata di Salvini non è espressione, molto evidentemente, di alcun tipo di critica all’apparato. Qualunque tipo di interpretazione può risultare forzato.

    • Sul voto in sé e per sé possiamo fare solo questo lavoro minimo, che consiste nell’escludere letture apologetiche (ma anche apocalittiche) lontane dal vissuto concreto della maggioranza delle persone in questi mesi di avvelenamento elettorale.

      Per il resto, poiché il centrosinistra non ha (non avrebbe) alcun motivo di montarsi la testa, lo vedremo da qui in avanti se questo “modello” reggerà alle sfide reali e alle inelubili mobilitazioni su clima, territori, ristrutturazioni urbane ecc.

  11. Credo che solo una minima percentuale de* compagn* che negli ultimi anni erano rimast* a casa e stavolta sono andat* a votare lo abbiano fatto per difendere un fantomatico modello emiliano o perché folgorat* da Elly Schlein. Non credo nemmeno abbiano votato per il meno peggio. Credo abbiano votato (e avrebbero votato anche uno scatizzolamerda, se fosse stato necessario) per impedire che “Salvini” (inteso come il fascismo montante, ovvero i milioni di zombie con la bava alla bocca affamati di carne di negro) potesse esibire lo scalpo dell’Emilia, ritenendo – non a torto – che sarebbe stato qualcosa di simbolicamente devastante. Possiamo fare tutte le analisi razionali che vogliamo sull’inconsistenza del “simbolo Emilia”, ma i movimenti di massa (e spesso anche quelli individuali) non seguono necessariamente logiche razionali.

  12. Segnaliamo quest’intervento di Tomaso Montanari, in diversi passaggi consonante con osservazioni fatte qui.

    • Niente da dire sulle osservazioni, qualcosa di più sul personaggio che, ancora una volta, arriva dopo la polvere a fare analisi che altri hanno già fatto prima e meglio. Forse era impegnato ad escogitare il prossimo tweet tossico.

      • A onor del vero, sono posizioni che Montanari esprime – e riflessioni che fa – da diversi anni.
        Il «prima», devo dire, mi interessa poco, anche perché Montanari cita quasi sempre le sue fonti (qui, ad esempio, cita Wolf).
        Sul «meglio», boh, non saprei: il pezzo linkato è una sintesi molto buona.
        Quanto a Twitter, io ormai penso che su Twitter più o meno tutto sia tossico. Devo dire, scusami, che somiglia a un tweet tossico il tuo stesso commento…
        Intendiamoci, non sto facendo una difesa d’ufficio di Montanari, che avrà i suoi difetti e del quale nessuno deve condividere tutto: sto dicendo che a questo genere di polemiche incentrate sulle persone preferiamo altre modalità.

        • Non posso darti torto sulla tossicità del mio commnento.

          Purtroppo col tempo ho sviluppato un’insofferenza, anche eccessiva, nei confronti di chi, essendo in grado di produrre analisi lucide come quella sopra linkata, non riesce ad estraniarsi dalle basse dinamiche del dibattito politico dei social, per le quali non si può fare a meno di prendere una posizione (per altro sbagliata, nel caso specifico),sulla risposta in costume della Boschi a Salvini (https://nitter.snopyta.org/tomasomontanari/status/1163387649601757184).

          • Condivido l’analisi post-voto di Montanari. Al tempo stesso mi risulta carente sotto l’aspetto propositivo. Intendo dire che dalla sua fotografia delle dinamiche politiche in atto non intravedo alcuno spiraglio, alcun margine di manovra. Siccome questo poi non è mai vero, perché le contraddizioni ci sono – come dicevamo – e presto o tardi scoppiano, il nodo più duro da affrontare è proprio quello, direi.

  13. Prato non Pisa, vacca miseria!
    Vedi le idee poco chiare.
    Credo anch’io occorra evitare la trappola “votocentrica”. Da tempo ormai cerco di osservare le elezioni alla stregua di un epifenomeno, quasi come un “effetto collaterale” che si manifesta in un determinato momento.
    Ciò che più mi preoccupa, tuttavia, in questa situazione, credo sia proprio la “tenuta”.
    Provo a spiegarmi. Sono contento che il voto abbia in qualche modo messo uno stop al proliferare salviniano (la Lega a Modena ha portato in consiglio comunale gente di Terra dei Padri, la figlia del capo per l’esattezza) ma mi spaventa molto, al tempo stesso, anche la capacità endemica che possiede ancora il PD in questo territorio di sussumere qualsiasi istanza e di cancellare sistematicamente, tipo “popolo delle spugnette”, qualsiasi genere di conflitto. O almeno questo è ciò che naso io dal mio piccolo osservatorio di Modena.
    Provo ad evitare di entrare troppo nello specifico.
    Credo che quell’attitudine che aveva il Partito in queste zone, quella di “pensare al posto tuo”, sia ancora per molti versi in piedi. È come se avessero rebranderizzato assieme sia un’identità sia un’idea del territorio terribilmente posticce.
    Poi è vero, la situazione non è affatto “tombale” e sono convinto che i nodi saliranno al pettine molto presto, ed allora, occorrerà lucidare a modo tutte le contraddizioni.

  14. L’analisi di Montanari è interessante. E prende in considerazione tutto ciò che è politicamente visibile ed analizzabile. Per il resto le sue considerazioni su tutto ciò che è imperscrutabile e appartiene a sommovimenti che possono assumere imprevedibili sviluppi si riduce alle prime constatazioni iniziali, legate al fatto che l’esito di un voto non intrappola e non può restituire l’ immagine nitida di un sentiero tracciato nella polvere, che può prendere direzioni interessanti. Ma l’ esito del voto, a cui io personalmente non ho attribuito un’ importanza superiore a quella contingente ( motivo per cui me sbatto della sua ” utilità “, facendone solo una questione privatamente morale e di etica personale) ha una sua “scientifica” rilevanza in termini statistici. E questo può condizionare i nostri ragionamenti in termini ” apocalittici “…
    Tutto il resto, come dicevano Wu Ming 4 ed Wu Ming 1, appartiene ad uno scenario che si sta costruendo attraverso forti spinte dal basso ma che, a me, non è ancora chiaramente leggibile. Ed anche io, come come Montanari che parla di ” congedo del pensiero critico” o come Petar che nel concetto di delega/ sostituzione identifica il più grande scoglio da superare, faccio fatica a rilevare la possibilità di un superamento tout court della situazione attuale se non sussistono le condizioni adatte al ” cambiamento “.
    Per quanto riguarda l’ osservazione di Xenwan, il commento di Montanari( in quella circostanza) non è dei più felici.

  15. La «gogna social» messa in piedi da Bonaccini subito dopo le elezioni nei confronti di un elettore (un suo elettore, oltretutto!!!), “reo” di criticarlo, non è stata solo un’uscita infelice.

    (Per una ricostruzione del post poi rimosso si legga qui: https://www.radiocittadelcapo.it/archives/radical-chic-inconsapevoli-bonaccini-mette-alla-berlina-chi-lo-critica-poi-cancella-il-post-210032/ )

    Un paio di giorni dopo infatti, alle argomentate critiche di Tomaso Montanari (le rilinko: https://volerelaluna.it/controcanto/2020/01/31/emilia-romagna-siamo-proprio-sicuri-che-abbia-vinto-la-sinistra/ ) Bonaccini risponde accusandolo, con gran finezza, pressapoco di essere un cane che abbaia alla luna:

    «Tomaso Montanari ritiene io sia di destra, solo un po’ più moderato di Salvini. Dunque in regione Emilia Romagna a suo parere ha vinto comunque la destra. Perché invece non si candida lui? Nel frattempo, mentre lui commentava, io ho battuto Salvini. Nelle urne, non abbaiando alla luna».

    (qui il tweet di Bonaccini, con sotto giusto un po’ di ridicolo fandom http://archive.ph/58fpb )

    Quindi, per il maggiore esponente nazionale dell’«argine al salvinismo», solo chi si candida e vince ha diritto di fare valutazioni.

    «Vincere, e vinceremo!»

    Ora, senza stare a ripetere cose già dette sia qui sopra che da Montanari, quello che vorrei notare è che le Sardine hanno contribuito (e molto) alla vittoria di Bonaccini proprio in nome del contrasto allo stile aggressivo della politica, ai toni urlati di Salvini, alla «violenza verbale», eccetera. Mi chiedo, a questo punto: hanno ancora voglia, le Sardine, di festeggiare? O si chiuderanno in un ittico silenzio?