di Wu Ming
[Prima puntata. – La seconda puntata (26-28 febbraio) è qui – La terza (1-10 marzo) è qui.]
Le mascherine erano pantomima, non prevenzione. La maggior parte della gente lo aveva capito, oppure prevaleva il timore del ridicolo: era pur sempre una città che amava stare in ghingheri. Fatto sta che le mascherine si vedevano quasi solo sui giornali e sui siti dei giornali.
Nei primi giorni, si era trattato sempre di operatori sanitari, infermieri, gente che lavorava in ospedale, poi erano arrivate a valanga le foto dal presunto “shock value” (oooooh!): tizi con la mascherina davanti al Duomo di Milano o in altri luoghi famosi.
A Bologna, l’edizione locale di Repubblica mostrava ogni giorno foto di qualcuno che girava sotto i portici con la mascherina. Per la verità, era sempre un fagiano isolato, attorniato da altre e altri che non la indossavano e forse lo compativano.
Eppure Chiara, che lavorava in farmacia, ci raccontava di quante persone entravano e le chiedevano mascherine, dopo aver superato almeno cinque cartelli che avvisavano del loro esaurimento. Un conoscente si vantava di averne acquistate on line un pacco da dieci, per tutta la famiglia, già all’inizio di febbraio. Comprare la mascherina era un modo per sentirsi efficienti, pronti alla battaglia. Omologati e quindi più sicuri. Era il desiderio per un oggetto solo perché lo desiderano gli altri. Un mix di consumismo e paranoia. Very emiliano.
La mascherina era l’equivalente individuale, personal, delle «misure di prevenzione» imposte alla cittadinanza. Non c’era bisogno di indossarla davvero. Contava il gesto: come certi eroinomani che rimangono dipendenti dal buco, anche senza iniettarsi la roba. Tornato a casa, te ne dimenticavi, la imbucavi in un armadio e tanti saluti. Pura funzione apotropaica. Un talismano. Nel frattempo, proprio facendo la coda in farmacia, potevi esserti beccato il virus. La deterrenza produce quel che vorrebbe evitare.
Nel tardo pomeriggio del 23 febbraio avevamo perlustrato due quartieri – Navile e Porto – in cerca di mascherine. Da poche ore era arrivata l’ordinanza del governatore Bonaccini, tanto perentoria quanto ambigua nelle formulazioni, anche per via di un inquietante eccetera:
«Sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di aggregazione in luogo pubblico o privato, anche di natura culturale, ludico, sportiva ecc, svolti sia in luoghi chiusi che aperti al pubblico […]»
Non avevano scritto «politica e sindacale», ma nell’eccetera molti avevamo letto precisamente quello. «Il 29 c’è la manifestazione per Orso in Cirenaica», si diceva nelle mailing list. «Che faranno? Mandano la Celere a caricarci in quanto “untori”?»
L’ordinanza proseguiva:
«chiusura dei servizi educativi dell’infanzia e delle scuole di ogni ordine e grado nonché della frequenza delle attività scolastiche e di formazione superiore, corsi professionali, master, corsi per le professioni sanitarie e università per anziani ad esclusione dei medici in formazione specialistica e tirocinanti delle professioni sanitarie, salvo le attività formative svolte a distanza […] Sospensione dei servizi di apertura al pubblico dei musei e degli altri istituti e luoghi della cultura […] nonché dell’efficacia delle disposizioni regolamentari sull’accesso libero o gratuito a tali istituti o luoghi.»
I musei… ma non le biblioteche. Noi stessi, nei giorni seguenti, avremmo continuato a lavorare nella sala studio di una biblioteca di quartiere, piena zeppa di gente.
L’ordinanza era piena di nonsense e buchi, tanto che il giorno dopo una circolare applicativa avrebbe tentato di mettere toppe, col solo risultato di rendere la situazione ancor più contraddittoria e surreale.
Dicevamo della perlustrazione. La Bolognina era piena di gente. In Piazza dell’Unità si giocava a basket e si chiacchierava a capannelli, come sempre. Lì accanto, il supermercato Pam era aperto e affollato, come al solito. Nessuno faceva incetta nevroticamente, nessuno portava la mascherina. C’erano scaffali semivuoti, ma la domenica sera succede sempre.
Giusto il ristorante cinese, la sera prima, aveva un aspetto diverso. In un sabato normale, era impossibile trovare un posto a sedere senza aver prenotato. Invece, in tutto il locale, i clienti occupavano soltanto due tavoli.
In compenso i cinesi erano dappertutto, com’era normale in Bolognina, e nessuno che li scansasse o gridasse loro qualcosa. L’emergenza sanitaria non faceva diventare razzista o sinofobo chi non lo era. Semmai, faceva emergere un razzismo pre-esistente, che usava il virus come pretesto per sfogarsi.
Un tramonto di una bellezza da restare attoniti tingeva il cielo di scarlatto e carminio, per contrasto facendo sembrare nera la stazione vista dal ponte Matteotti, e trasfigurando tutto il mondo intorno. Il giorno dopo, avremmo rivisto quei colori su Repubblica on line, a far da sfondo per posti di blocco e gente in mascherina, come nella locandina di un film apocalittico di serie B.
A nord del ponte, la Bolognina; a sud, via Indipendenza saliva fino al Nettuno. Eravamo entrati in stazione ed era affollatissima, zero mascherine anche lì. Avevamo incontrato De Bellis, una vecchia conoscenza, e scambiato due chiacchiere sulla psicosi da coronavirus… ma intorno a noi non ce n’era traccia.
Normalità anche dentro il Despar della stazione, niente incetta, c’era chi comprava solo tre birre, un sacchetto di Fonzies… Intorno a piazza Medaglie d’oro i soliti bar, le pizzerie al taglio, le gelaterie… Tutto come di consueto.
Via Indipendenza, via dei Mille, Piazza dei Martiri, via Marconi… Là in alto, la sagoma scura di Villa Aldini. Moltitudine di corpi a passeggio. Bambine e bambini tornavano in costume da feste di carnevale, coi loro genitori.
Genitori tranquilli e sorridenti. Eppure, come appurato direttamente e da testimonianze altrui, le chat di genitori – il vero inferno del dark web contemporaneo – erano in preda alla pazzia, sature di un vero e proprio desiderio di fascismo profilattico, e di terrore per le sorti dei bambini.
L’allenatore di uno sport di squadra, per ovviare alla chiusura della palestra, aveva proposto ai ragazzini di trovarsi in un parco, visto il caldo primaverile. Una madre gli aveva risposto sottolineando il passaggio dell’ordinanza regionale che vietava l’aggregazione in luoghi pubblici e privati.
Eppure, in nessuna parte del mondo, nemmeno a Wuhan, risultavano morti minorenni, anzi, sembrava proprio che al nuovo virus i bambini fossero quasi immuni.
Forse anche chi rovesciava nelle chat quell’ansia e quella furia, dopo, per strada, si comportava da persona raziocinante. Anche quello era un gesto apotropaico. Uguale e contrario a quello di chi sosteneva che il virus era solo una barzelletta e sfornava calembours, si dava alla memetica spinta, cazzeggiava a getto continuo. Il cinismo e la paranoia vanno a braccetto, si nutrono della stessa sfiducia, dello stesso rifiuto per qualunque chiave di lettura del mondo. Senza chiavi, non entri più da nessuna parte. E se ti scappa da cagare, puoi solo cagarti addosso.
In ogni caso, se uno non avesse avuto lo smartphone, girando per le vie non si sarebbe accorto di nulla. Cosa dovevamo concluderne?
Forse che, almeno a Bologna, la paranoia era in gran parte confinata alla sfera mediatica-social.
A essere paranoica e ansiogena era stata per prima l’informazione mainstream. In seconda – ma rapidissima – battuta quel mood si era impossessato della classe politica, degli amministratori locali e di una minoranza di persone comuni. Sì, almeno da noi, sembrava proprio una minoranza: persone perlopiù attempate e sole, che credevano alla tv o a Facebook e si precipitavano in farmacia per accaparrarsi l’amuchina.
Si stava generando un grande paradosso: la Regione Emilia-Romagna disponeva la chiusura di (quasi) tutti i luoghi di cultura e socialità, quelli dove si sarebbe potuta elaborare insieme l’emergenza – scuole, musei, teatri, cinema – e vietava le manifestazioni con un «ecc», mentre la gente continuava ad ammassarsi nelle stazioni e nei luoghi del consumo.
I centri commerciali e i supermercati funzionavano as usual. Quel pomeriggio Jadel era stato all’Ikea e riferiva del sempiterno marasma di corpi che avanzavano a serpentone, tra camerette di bimbi virtuali e tinelli abitati da spettri di famigliole. Bruno era passato all’Ipercoop Lame: piena zeppa. Nelle palestre – le vedevi attraverso le vetrate che davano sui passeggi – ci si allenava come al solito: si sudava, ci si respirava l’alito a vicenda, ci si spogliava e si faceva la doccia negli stessi vani.
Sia chiaro, non stiamo dicendo che dovevano chiudere anche quelli: al contrario, facciamo notare che lo scopo dell’ordinanza non era la profilassi. Stante quella situazione, che profilassi vût mâi fèr?
Le strombazzate chiusure erano sanitariamente inutili, com’era stato inutile bloccare i voli, mettere posti di blocco sulle strade, far camminare avanti e indietro poliziotti e militari in mimetica.
L’Italia era stata l’unico paese europeo a bloccare i voli dalla Cina. Null’altro che teatro, oltreché un contentino agli idioti e mestatori che sbraitavano: «Chiudere le frontiere!» Un provvedimento facilissimo da capire, ma di nessuna utilità, anzi, controproducente.
A ogni epidemia si facevano le stesse cose, col pilota automatico, e ormai c’erano studi su studi a dimostrare che non servivano o facevano proprio danni.
Nel 2003, in piena epidemia di SARS, il Canada aveva sperperato oltre 7 milioni di dollari in controlli di passeggeri in arrivo… senza trovare un solo contagiato. Quei soldi, avevano concluso gli autori di uno studio apparso sulla rivista scientifica Emerging Infectious Diseases, sarebbe stato meglio investirli direttamente nella sanità.
Sei anni dopo, in pieno allarme da influenza «suina», l’Australia aveva fatto la stessa cosa: aveva militarizzato otto aeroporti e controllato quasi due milioni di passeggeri in arrivo o di ritorno nel Paese. Il tutto per identificare solo 154 persone che forse avevano l’influenza in forma lieve. Anche in quel caso, a detta di chi aveva analizzato la vicenda, si erano sprecate preziose risorse, sottraendole alla sanità.
Lo stesso sfoggio di inutilità si era avuto con l’aviaria, con Ebola e, in Cina negli ultimi due mesi, con lo stesso Covid 19.
Pure in Italia stavamo assistendo a un gigantesco sperpero di soldi pubblici, spesi in militarizzazione, posti di blocco e pattugliamenti vari anziché usati per potenziare la sanità pubblica – indebolita da trent’anni di «aziendalizzazione», tagli, esternalizzazioni – per renderla in grado di affrontare un acuirsi della crisi.
Anche l’efficacia sanitaria dei “lockdown” territoriali, cioè delle quarantene di massa, era messa in discussione da diversi studi. Per quanto fosse controintuitivo, alcune ricerche sembravano dimostrare che i lockdown delle zone ad alto rischio aumentavano il numero di contagi e l’estensione dell’epidemia.
No, la profilassi – almeno quella in senso stretto – c’entrava poco, come con le mascherine.
⁂
«Chiudere tutto» aveva una finalità a breve termine diversa da quella sbandierata, e poi aveva una funzione sistemica, oggettiva, a lungo termine, di cui Bonaccini e la sua giunta – e i loro omologhi di altre regioni – erano solo esecutori semiconsapevoli.
La finalità a breve termine era fare teatro: esibire «prontezza» e «nerbo» a favore di telecamere, mostrare che «si stava agendo», poco importava se a cazzo di cane e senza costrutto, l’importante era agire, subito! «Subito» era la parola magica: «Bravo Bonaccini che si è mosso subito!» . L’altro concetto virale era: «Meglio troppo che troppo poco». Seguivano i like.
La rappresentazione più plastica di quell’atteggiamento l’aveva fornita il governatore della Regione Marche, che parlando in conferenza stampa, aveva prima annunciato la chiusura di tutte le scuole di ogni ordine e grado, per rimangiarsi il provvedimento seduta stante, dopo aver ricevuto in diretta una telefonata dal governo nazionale.
Le decisioni drastiche servivano giusto a pararsi il culo e a stendere un velo sul solito pressapochismo.
La funzione sistemica, invece, aveva a che fare con la biopolitica, con il governo dei corpi e il controllo della popolazione. Come ogni “emergenza” pompata e montata, anche questa tornava buona per stabilire un precedente.
«Chiudere tutto» – o meglio, fingere di chiudere tutto – non serviva a niente, ma non appena la situazione fosse migliorata, i politici avrebbero dato il merito ai provvedimenti. Il tran tran sarebbe ricominciato, ma con più controllo di prima, più sorveglianza, e con l’idea condivisa che da un giorno all’altro si poteva bloccare la cultura, vietare ogni riunione, associazione, “assembramento” di persone non finalizzato al mero consumo, col consenso di un’opinione pubblica impaurita («Qualcosa si deve pur fare!»). O meglio: col consenso dei media e di una minoranza rumorosa di imparanoiati, che creavano l’effetto di un’opinione pubblica impaurita.
Nel suo capolavoro Sorvegliare e punire (1975), Michel Foucault aveva descritto un “lockdown” del XVII secolo:
«Ecco […] le precauzioni da prendere quando la peste si manifestava in una città. Prima di tutto una rigorosa divisione spaziale in settori: chiusura, beninteso, della città e del “territorio agricolo” circostante, interdizione di uscirne sotto pena della vita, uccisione di tutti gli animali randagi; suddivisione della città in quartieri separati, dove viene istituito il potere di un intendente. Ogni strada è posta sotto l’autorità di un sindaco, che ne ha la sorveglianza; se la lasciasse, sarebbe punito con la morte. Il giorno designato, si ordina che ciascuno si chiuda nella propria casa: proibizione di uscirne sotto pena della vita. Il sindaco va di persona a chiudere, dall’esterno, la porta di ogni casa; porta con sé la chiave, che rimette all’intendente di quartiere; questi la conserva fino alla fine della quarantena. Ogni famiglia avrà fatto le sue provviste, ma per il vino e il pane saranno state preparate, tra la strada e l’interno delle case, delle piccole condutture in legno, che permetteranno di fornire a ciascuno la sua razione, senza che vi sia comunicazione tra fornitori e abitanti; per la carne, il pesce, le verdure, saranno utilizzate delle carrucole e delle ceste. Se sarà assolutamente necessario uscire di casa, lo si farà uno alla volta, ed evitando ogni incontro. Non circolano che gli intendenti, i sindaci, i soldati della guardia e, anche tra le cose infette, da un cadavere all’altro, i “corvi” che è indifferente abbandonare alla morte: sono “persone da poco che trasportano i malati, interrano i morti, puliscono e fanno molti servizi vili e abbietti”. Spazio tagliato con esattezza, immobile, coagulato. Ciascuno è stivato al suo posto. E se si muove, ne va della vita, contagio o punizione.»
La noncuranza per la sorte dei “corvi” – infermieri, portantini, ausiliari sanitari – accomunava quel regolamento dei tempi della peste ai giorni del Covid 19 in Italia. Pochi sembravano preoccuparsi del superlavoro in ospedali e laboratori, dei turni raddoppiati e triplicati, dell’esaurimento psicofisico del personale in un settore da tempo in sofferenza.
Perché Foucault aveva scritto di quarantena nel XVII secolo? Perché quella logica era sopravvissuta anche dopo la peste, la quarantena era rimasta come possibilità, opzione sempre praticabile nel rapporto tra pubblici poteri e corpo sociale. Quel normare lo spazio urbano, le vite e i corpi aveva aperto la strada all’affermarsi delle società disciplinari del XIX-XX secolo:
«Alla peste risponde l’ordine: la sua funzione è di risolvere tutte le confusioni: quella della malattia, che si trasmette quando i corpi si mescolano; quella del male che si moltiplica quando la paura e la morte cancellano gli interdetti. Esso prescrive a ciascuno il suo posto, a ciascuno il suo corpo, a ciascuno la sua malattia e la sua morte, a ciascuno il suo bene per effetto di un potere onnipresente e onnisciente che si suddivide, lui stesso, in modo regolare e ininterrotto fino alla determinazione finale dell’individuo, di ciò che lo caratterizza, di ciò che gli appartiene, di ciò che gli accade. […] la penetrazione, fin dentro ai più sottili dettagli della esistenza, del regolamento – e intermediario era una gerarchia completa garante del funzionamento capillare del potere; non le maschere messe e tolte, ma l’assegnazione a ciascuno del suo “vero” nome, del suo “vero” posto, del suo “vero” corpo, della sua “vera” malattia. La peste come forma, insieme reale e immaginaria, del disordine ha come correlativo medico e politico la disciplina.»
I “lockdown” del 2019-2020, inutili allo scopo dichiarato, avrebbero però rafforzato la presa del «capitalismo della sorveglianza», che realizzava una sintesi di società disciplinare e società del controllo diffuso.
⁂
In ogni caso, in Italia non c’era la peste. I pochi morti che il Covid 19 aveva fatto erano quasi tutti over 80 e già debilitati da altre patologie. Probabilmente il virus era già in Italia da settimane, un sacco di gente se l’era già preso ed era guarita, e altri se lo stavano prendendo senza entrare nei radar. Se non eri già messo male di tuo, poteva colpirti duro, ma la superavi. In fondo il quadro clinico era molto simile a quelli delle influenze stagionali – che ogni anno, solo in Italia, uccidevano ottomila persone, mentre al momento i morti accertati per Covid 19 erano solo sette (7).
I media aizzavano a trovare il misterioso «Paziente zero», ma forse non lo trovavano perché era già guarito, e sarebbe stato per sempre ignaro del proprio status di contagiato n.1.
E la ricerca del «Paziente zero» cos’era, se non un’altra manifestazione di paranoia? Paranoico è chi, anziché domandarsi «cosa?», si domanda: «Chi?» Paranoico non è chi teme un potere totalitario che tutto controlla, ma chi lo evoca e in fondo lo brama, perché sente marcire, intorno a sé, ogni autorevolezza e ogni significato.
Nel mentre gli anziani, cioè i soggetti più a rischio, senza particolari tutele, venivano lasciati in balia di un’informazione apocalittica, che li bombardava con immagini di supermercati svuotati e bottigliette di amuchina in gel ormai introvabili e preziosissime, spingendoli così a precipitarsi in un affollato centro commerciale, dov’era più probabile il contagio.
Eravamo il Paese europeo con più casi accertati, ma forse era solo perché facevamo test a pioggia. Quando in tutta la Francia, senza scomporsi, ne avevano fatti solo 800, soltanto nel Lodigiano noi ne avevamo già fatti più del doppio e richiesti ben 4000. È chiaro che in quel modo trovi ammalati. Ma i media pestavano, pestavano, pestavano, con coperture sempre più forsennate, titoli sempre più allarmistici, e sembrava la grande pestilenza del 1348.
– Che dobbiamo fare? – c’eravamo chiesti.
– Scriveremo il Decamerone!
– Anche meno. Scriviamo un diario collettivo di questi giorni.
⁂
I media mainstream erano i veri untori.
Di fronte al nuovo coronavirus, la già normalmente pessima informazione italiana aveva toccato il fondo di un nuovo abisso. Tutti i suoi soliti “tic” si erano uniti in un effetto palla di neve che alimentava la psicosi.
Anche le notizie in apparenza tranquillizzanti, responsabili, «niente panico», andavano a farcire il classico “panino”, inserite tra affermazioni e testimonianze di segno contrario.
Come sempre, poi, imperversava il ritornello sugli «esperti», unici autorizzati a illustrare la soluzione del problema. «Non facciamo politica, lasciamo parlare i tecnici!»
Ma appena i tecnici aprivano bocca, risultava chiaro che:
a) alcuni, da tempo trasformati in opinionisti televisivi e star da social network, erano ormai schiavi del proprio personaggio e delle aspettative del pubblico;
b) alla fine della fiera, le soluzioni proposte erano sempre politiche e sociali, perché fronteggiare un’epidemia con mille o diecimila posti letto in ospedale fa tutta la differenza del mondo, e investire in posti di blocco anziché nell’aumento di posti letto non è una decisione «tecnica», da esperti, ma politica, da amministratori;
c) I potenziali o sedicenti «esperti» erano migliaia e le loro spiegazioni spesso si contraddicevano, generando solo una maggiore confusione e una forte predisposizione al complottismo, perché «se fanno tanto casino, dev’esserci sotto qualcosa che non ci raccontano».
Anche le conseguenze del «chiudere tutto» erano politiche e sociali.
Pochi si preoccupavano di quanti avrebbero perso lo stipendio, e in diversi casi anche il lavoro. Al contrario, si lodavano alcuni negozianti cinesi che avevano deciso – obtorto collo – di sospendere le loro attività. Che pensiero carino! Il paternalismo verso quei «bravi cinesi» ricordava molto da vicino quello per i «bravi negri» che facevano volontariato, lavoravano gratis, si meritavano le nostre carezze.
I sindacati – tutti: confederali e di base – avevano fatto notare che le incongruenze dell’ordinanza bonacciniana mettevano a rischio un gran numero di lavoratori, soprattutto precari.
E la scelta di chiudere le scuole per un virus che non colpiva i bambini e falcidiava soprattutto anziani – i quali, di norma, non bazzicavano le aule – generava problemi a cascata. Un amico insegnante ci aveva descritto le proprie difficoltà:
«Non dare continuità alle attività didattiche in questo momento dell’anno scolastico è un problema, vi assicuro. Per i ragazzi con disabilità che seguo poi… Non vi dico. Devo cercare in questi giorni di mantenere loro una routine a domicilio che in qualche modo simuli la scuola. Banalmente, compiti che quotidianamente mi devono mandare per email… Già vivono un tempo sfasato e quasi mai sincronico con il resto del mondo… Figuriamoci in queste situazioni.»
Nel tardo pomeriggio del 24 era arrivata la circolare applicativa.
Sembrava scritta da Ionesco.
Il criterio per il quale certe attività venivano proibite e altre no sembrava essere quello – alquanto aleatorio – dell’«eccezionale concentrazione di persone». Niente manifestazioni, eventi culturali e sportivi e altre occasioni in cui si aggregava un pubblico una tantum… ma restavano aperti i mercati settimanali. E proseguiva l’attività di centri sportivi e ricreativi, centri anziani (proprio mentre svariati medici consigliavano agli anziani di restare a casa), restavano aperti gli orti urbani (dove si concentravano soprattutto anziani) ecc.
⁂
In TV e sui giornali tutti parlavano di malattia e ospedali, ma nessuno coglieva l’occasione per parlare di com’era stata compromessa la sanità pubblica italiana in trent’anni di “riforme” neoliberali.
I decreti legislativi del 1992-93 avevano introdotto criteri aziendalistici e manageriali nella gestione di ospedali e presidii sanitari territoriali: gli ospedali di rilievo nazionale o altamente specializzati erano stati sganciati dalle unità sanitarie locali e trasformati in «aziende ospedaliere»; le USL stesse – sottratte a ogni controllo da parte dei Comuni – erano divenute aziende, di diritto pubblico ma «con autonomia imprenditoriale». Quegli stessi decreti avevano anche avviato la regionalizzazione della sanità.
Di fatto, si trattava di controriforme, volte a ledere l’universalità, capillarità e gratuità del Sistema Sanitario Nazionale com’era stato istituito nel 1978. La controriforma Bindi del 1999 aveva poi implementato e accelerato ogni processo di aziendalizzazione, frammentazione, esternalizzazione, intromissione di interessi privati nella sanità nominalmente pubblica.
Le conseguenze erano state devastanti: in base alle nuove logiche di bilancio, se un ospedale non “rendeva” veniva chiuso. In tutta Italia se ne erano sbaraccati a centinaia, quasi sempre in provincia, come erano stati chiusi a migliaia i presidii di specialistica ambulatoriale. Servizi essenziali si erano allontanati di decine e decine di chilometri, in alcuni casi svanendo del tutto. Tutte decisioni prese in ordine sparso, perché la faccenda era ormai di competenza delle diverse regioni. Il servizio sanitario nazionale era da tempo poco più di una bella idea.
La scarsità di posti letto per la terapia intensiva era il leitmotiv di quei giorni di coronavirus, ma tale penuria era presentata quasi come un dato “naturale”, ineluttabile. Anziché dire che bisognava invertire la tendenza, e tornare ad aumentare servizi e posti letto, si invitava la gente a chiudersi in casa, ma anche no, dipende, puoi andare qui ma non là…
⁂
Soprattutto, nessuna talking head della TV, nessuna delle vedettes spettacolari che interpretavano il ruolo di «esperto» parlava delle cause sistemiche delle recenti epidemie, delle repentine diffusioni di nuovi virus. Farlo avrebbe comportato una critica radicale dell’aggressione capitalistica all’ambiente e al vivente.
L’aviaria, la Sars, la suina e prima ancora la BSE erano uscite dai gironi infernali dell’industria zootecnica planetaria. In parole povere: dagli allevamenti intensivi, per via di come gli animali erano trattati e, soprattutto, nutriti. Ebola, Zika e West Nile erano venuti a contatto con gli umani per colpa della deforestazione massiva e della distruzione di ecosistemi.
Anziché un’occasione per mettere in discussione il sistema che causava le epidemie, la crisi del Covid 19 era usata come diversivo per non parlare di ambiente e di clima, proprio mentre l’inverno più caldo e secco di sempre stava seminando morte. Lo aveva detto chiaro e tondo Fridays For Future Bologna:
«La città si mobilita con urgenza per l’emergenza corona virus, panico dilagante, chiusa l’università e probabilmente annullato ogni tipo di evento in settimana. Eppure a Bologna il limite giornaliero delle polveri sottili solo a gennaio è stato superato più di 11 volte, il limite giornaliero del particolato più pericoloso per la salute umana (PM 2.5), di 25 µg/m³, più di 17 volte. Ogni anno sono oltre 30.000 i nuovi casi di tumore in Emilia Romagna , circa 87 al giorno. Si stimano in media 35-40 decessi per tumore ogni giorno in regione. E come si sta procedendo? Approvando progetti per l’ampliamento della tangenziale e dell’autostrada, incrementando il traffico cittadino con una mobilità pubblica insufficiente, cara e centrocentrica. La verità che passa inosservata è che l’aria che respiriamo ogni giorno a Bologna ci uccide ma si decide lo stesso di investire sulla morte, facendo finta di niente manipolando le notizie. Perché si tace quando si tratta di crisi climatica? Perché ci sono troppi interessi in ballo!»
Qualcuno aveva fatto notare che i “lockdown” cinesi avevano fatto calare le emissioni globali di CO2, e pure da noi l’aria aveva un odore migliore. Ma era un effetto passeggero, che non aggrediva nessuna causa strutturale.
Era necessario forare la membrana di un’informazione ossessionante, porre all’ordine del giorno i problemi di fondo rimossi. Bisognava tornare a vivere e comunicare e lottare, oltre la visione di Burioni che sburioneggiava e di Giovanna Botteri che ansimava, da attrice di filodrammatica, dietro la mascherina.
Mentre riflettevamo su tutto questo il sindaco Merola aveva dichiarato:
«Bisogna applicare l’ordinanza e non perdere tempo a discutere.»
Come volevasi dimostrare.
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Aggiornamento | Il Diario virale prosegue qui:
Diario virale / 2. Bulåggna brancola nel buio delle ordinanze (26-28 febbraio 2020)
Riguardo il “Travel Ban” e la sua inefficacia https://www.vox.com/2020/1/23/21078325/wuhan-china-coronavirus-travel-ban
Il blocco dei voli post 9/11, ben più rigido di quello che stiamo vivendo, non intaccò in nessun modo la distribuzione dell’influenza stagionale negli USA.
Resta un SSN ancora d’ eccellenza, che ha un budget complessivo( al lordo di corruzione e inefficienze amministrative/ gestionali) triplo rispetto al sistema francese: sottolinerei al contempo il rischio della medicalizzazione, tra quelli insiti nella società del controllo, con Big Pharma madrina del Big tech e la tragedia dell’ Ebola in Africa ..
chiudendo cito il decalogo dei comportamenti da seguire per i punk sul blog hardcorelladuemila!
Non sono ancora riusciti a smantellarla e privatizzarla tutta, la sanità italiana, ma i danni che hanno fatto sono enormi. E molta sanità che in apparenza è pubblica in realtà è semi-privata o privata, grazie alla trovata dell’«intra moenia» e all’altra gàbola delle strutture «convenzionate». Investimenti pubblici, profitti privati. Bisogna tenerlo presente, questo, quando parliamo di budget.
E quando per via di una presunta “razionalizzazione” che di razionale aveva poco, ti ritrovi nella situazione in cui l’ospedale più vicino dista 80 km da casa (spesso da coprire su strade pericolose), i discorsi su quanto rimane bello il nostro SSN – o meglio, il nostro patchwork di SSR – rischiano di suonare astratti…
Dopodiché, ovvio che quel che resta del servizio universale va difeso con le unghie e coi denti. Prima o poi, però, bisognerà passare dalle resistenze ai contrattacchi.
Domenica sera e lunedì sera il centro di Bologna era deserto come non mai. Uno scenario da Day After.
In piazza dell’Unità nessuno gioca a. Solo quattro persone, divise in due gruppi bevevano birra e chiacchieravano. Il traffico mercoledì sera alle 19 era molto più blando del solito in Bolognina. Le palestra che frequento era semi-deserta.
Ho visto persone con la mascherina solo in stazione. E dei turisti dai tratti asiatici.
Strano, io passo per Piazza dell’Unità più volte al giorno e la situazione mi sembra la solita, giocavano a basket anche poco fa. Mercoledì sera, dopo aver passato il pomeriggio nella biblioteca di quartiere (tutti i tavoli pieni), intorno alle 19 ero in giro tra la piazza, via Corticella, via Ferrarese e via Matteotti e mi è sembrato tutto come sempre. Aperitivi nei bar, gente dai kebabbari e nelle pizzerie al taglio, andirivieni di fronte alla Pam… Anch’io in questi giorni le mascherine (comunque poche) le ho viste solo alla stazione.
Si vede che tra gli effetti del coronavirus c’è quello di creare realtà parallele. Evidentemente, viviamo in due Bologne diverse.
Infatti, domenica ‘sto «scenario da day after» in centro io non l’ho proprio visto.
Ho raccontato quello che ho visto senza nessuna seconda intenzione. Non è che se non ti do ragione sono un fascista o un razzista o un ignorante o un malato (ultima versione, complimenti). La situazione va peggiorando a vista d’occhio. Hai visto negozi chiusi in centro per ferie? Ne intravedi i motivi ora? Bologna è più grande della Bolognina dove tra l’altro un barista bolognese mi ha detto che chiuderà a breve per mancanza di clienti.
Il mio augurio è che si torni alla normalità. Ma
Non faccio finta di vederla in giro.
Dunque, tu hai parlato di centro deserto e spettrale, di un clima da «day after» a Bologna, con riferimento a domenica 23 febbraio. Dodici giorni fa. Con l’ordinanza regionale appena emessa e ancora sconosciuta ai più e nessun contagio accertato in città, anzi, nessun contagio accertato a est di Piacenza.
Ebbene, quel giorno in centro c’eravamo anche noi (uno di noi ci vive e gli altri giravano prendendo appunti e infatti qui sopra li abbiamo riportati) e quel clima da day after, molto semplicemente, non c’era.
Dopo dodici giorni – e non dodici giorni qualunque: dodici giorni di scuole chiuse, cinema chiusi, teatri chiusi, un sacco di luoghi di lavoro chiusi, un sacco di gente senza stipendio né ammortizzatori, e nel frattempo dalle regioni la legislazione d’emergenza è passata al livello nazionale con ancora più restrizioni – torni qui a dire che «non c’è normalità».
Grazie al cazzo, eh.
E fai pure l’offeso.
Complimenti per il dittico di commenti più sterile e inutile di questo thread.
[…] magnifico “Diario virale. I giorni del coronavirus a Bulåggna (22-25 febbraio 2020)” dei WuMing è un potente vaccino contro la vera pestilenza che ha colpito il Paese: il […]
Al netto di molti stimoli interessanti, credo che alcune affermazioni siano discutibili:
-la credenza circa la patologia che uccide prevalentemente gli anziani: i primi dati italiani indicherebbero questo. I dati cinesi (che riguardano popolazioni ben più ampie) segnalano invece frequente gravità anche per pazienti non così attempati e compromessi
(https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2762130 fbclid=IwAR2eGYkrtbAPsUdVGgwM4ZJg2qO3tec_Mol1OqrbDA4uukyEpcNkgtY3Gtk). Perché tale discrepanza? Molteplici ipotesi ma nessuna certezza. Probabilmente ci sono più fasce a rischio, e il criterio anagrafico (e di comorbilità) non è sufficiente.
-quadro clinico che ricorderebbe molto le classiche influenze: vedi punto di cui sopra. Il paziente 1 è uno sportivo dilettante, attualmente ricoverato in rianimazione. L’evento sarebbe straordinario per una banale influenza. Serviranno dati epidemiologici dettagliati circa gli altri pazienti e quelli futuri. Abbiamo molteplici studi riguardo le infezioni da Orthomyxovirus, non da Covid-19.
-l’inutilità dei blocchi scolastici: se i bambini si passano l’infezione, rischiano poi di trasmetterla a eventuali parenti anziani ben più a rischio
-fare molti test conduce a trovare molti positivi che non si ammaleranno? La discrepanza tra semplice infezione e sviluppo di sindrome conclamata andrà indagata. Per il momento non è possibile trarre conclusioni. La questione è dibattuta e riguarda anche altre patologie, non necessariamente infettive (esempio il cancro prostatico: https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/25821151)
In generale il meccanismo patogenetico del virus è ancora poco chiaro. Soprattutto non si capisce perché la gravità del quadro sia così variabile: dal portatore sano al paziente precedentemente sano ma deceduto per danno multi-organo (vedi sopra oppure https://www.thelancet.com/journals/lanres/article/PIIS2213-2600(20)30076-X/fulltext)
Le attuali – ma non sempre razionali – restrizioni dovrebbero avere il fine di rallentare il più possibile il diffondersi della malattia per evitare una rapida saturazione dei posti letto. Anche un sistema sanitario meno falcidiato da anni di politiche liberiste rischierebbe di collassare. Inoltre potrebbero essere individuato protocolli terapeutici efficaci.
Teniamo fermi alcuni dati di fatto, però:
1) le restrizioni sono talmente assurde e incoerenti che sarà inevitabile vederle finire in farsa, per quanto una farsa pericolosa: chiudono le scuole e i musei ma restano aperti gli ipermercati e centri commerciali, treni e bus sono pieni di passeggeri, nei centri anziani (a Bologna ce ne sono di giganteschi) si gioca a briscola e si beve il grappino a decine di tavoli, i mercati rionali sono aperti, i centri sportivi funzionano, la gente si concentra ovunque, di cosa stiamo parlando? È stata chiusa praticamente solo la cultura. Dal punto di vista della profilassi e del contenimento, l’ordinanza emiliano-romagnola è fuffa, ed è fuffa politica, e necessita di una critica politica. Noi abbiamo cercato di articolarla.
2) ricerche serie condotte in tutto il mondo sulle epidemie precedenti dimostrano l’inefficacia di blocchi, lockdown, travel ban ecc. Anche continuare a seguire queste strade è una decisione politica (e mediatica) prima che tecnica e sanitaria.
Dopodiché, se si può concedere che sotto l’aspetto strettamente virologico il tempo chiarirà il quadro e fornirà spiegazioni (il “succo” del tuo commento è questo e siamo d’accordo), teniamo comunque come premesse comuni del discorso che:
3) la stragrande maggioranza dei contagiati guarisce, mentre i media ne hanno fatto una sorta di novella peste nera;
4) in generale, dal punto di vista sintomatico, cioè l’unico di cui il paziente medio è consapevole, la maggior parte di quelli che si sono presi il Covid 19 non l’avrebbe saputo distinguere da un’influenza particolarmente rognosa; certo, c’è da preoccuparsi e stare attenti, ma non è «Captain Trips»;
5) finora in Italia le vittime sono anziani già debilitati, quindi non uccise solo del Covid 19 ma dell’azione di più patologie. Per parafrasare l’ISS, non «uccise dal» Covid 19 ma «morte col» Covid 19. Se in Cina la situazione è diversa le cause possono essere varie, ed essere legate a differenze nello stile di vita e tra i due sistemi socio-sanitari, come anche nella risposta politica data all’emergenza, che a detta di quasi tutti ha peggiorato la situazione. Ma qui stiamo cercando di commisurare retoriche e contromisure italiane con quel che in Italia sta accadendo realmente.
[Nel caso del non-anziano in condizioni critiche – l’unico che tutti usano come controesempio, perché messo così c’è solo lui – a quanto risulta si sono sottovalutati a lungo i sintomi, e solo con un ritardo di giorni i medici hanno potuto avere informazioni veritiere e utili. Dopodiché, secondo il governo nazionale in quella fase a livello locale non si sono nemmeno seguite le linee-guida dell’ISS, ma questo noi non siamo in grado di valutarlo.]
Punto 1: a Bologna sono regolarmente aperte palestre, centri benessere e le Terme Felsinee (!) tutti luoghi dotati di piscine, saune, bagno turco e, ovviamente, spogliatoi comuni. E allora…
La cosa assurda è stato chiudere la cultura (quella sì contagiosa) proprio nel momento in cui ce n’è più bisogno. Concessione populista di una politica paraculista (come se fosse antani)
>ma non è «Captain Trips»
Ecco mi stavo appunto chiedendo se sono stato l’unico a rileggere quell’osceno mattone appena si è iniziato a parlare di Coronavirus.
Ho fatto l’account solo per scrivere questo.
Guarda che qui sei tra kinghiani :-)
The Stand è per niente un «osceno mattone», è un gran romanzo, prova ne sia la sua memorabilità e il suo essere citato in circostanze come queste. Giusto il finale vabbe’… Molti capolavori di King finiscono in anticlimax. Ma è tutto quello che viene prima a essere potente.
Il social distancing è utile per rallentare almeno l’aumento di casi. Il problema è la saturazione delle terapie intensive e dei reparti di degenza. I pazienti gravi guariscono ma rimangono ricoverati per un mese; vista la velocità di crescita dei casi, il SSN va al collasso. La mortalità a Wuhan è stata maggiore che nel resto della Cina per questo motivo: non avevano più strutture, mezzi e personale sanitario a fronte del numero di casi. Che poi non si riesca a farlo in maniera corretta perché si ha paura delle ripercussioni sull’economia è un’altra cosa.
La questione che poniamo nel post rimane inevasa: la «saturazione delle terapie intensive e dei reparti di degenza» non è un accidente, non è una “sfiga”, toh, purtroppo siamo alla saturazione! Eeeeh, va così, che ci vuoi fare? «Il SSSN è al collasso» non può essere una constatazione para-(vetero)meteorologica, come «L’estate scorsa a Camogli faceva freschino».
Questa è la conseguenza di processi di aziendalizzazione spinta, privatizzazione strisciante, smantellamento continuo di strutture. La regionalizzazione stessa, in questi giorni di emergenza, si è dimostrata un grosso problema.
Però, guardacaso, nessun politico o amministratore dice che i soldi vanno stanziati per ri-potenziare la sanità pubblica. Naaaah, che fagiano che sei… La priorità è tagliare le tasse alle aziende. La priorità è finanziare l’ordine pubblico, ecc. ecc.
Poi, scusa, di quale “social distancing” stiamo parlando?
Per limitarci alla nostra esperienza diretta:
– a Bologna le scuole sono chiuse e per questo i ragazzi girano di più, si ritrovano in comitive, fanno feste e grigliate;
– le università sono chiuse e quindi molti fuorisede sono tornati a casa, quindi la chiusura ha aumentato la loro mobilità e la possibilità che portino «il contagio» in territori lontani;
– supermercati, centri commerciali, grandi magazzini, palestre e centri sportivi, centri anziani, bar, ristoranti e, curiosamente, le biblioteche (i musei chiusi ma le biblioteche aperte) non hanno mai chiuso, sono pieni di gente.
Tutto questo i nostri amministratori lo vedono, lo sanno benissimo, ma continuano a tenere chiusi i luoghi di cultura, perché, come abbiamo spiegato nella seconda puntata, sono prigionieri dei loro stessi provvedimenti.
Provvedimenti che già in origine erano stati presi non per la profilassi (che appunto va a ramengo di continuo, in ogni minuto di ogni giorno), ma su pressione dei media e dei social media, per far vedere che «facevano qualcosa».
Nonostante questo, nonostante questo rimescolamento e affollamento continuo, nonostante le migliaia di persone all’Ikea e al Meraville e in Sala Borsa ecc., a Bologna – per fortuna – finora non risulta nessun contagiato. Ma se non risulta, non è certo per provvedimenti resi inutili dalla loro stessa incoerenza.
Sono pienamente d’accordo con l’analisi dello smantellamento del SSN. Ci combatto ogni giorno una battaglia impari come medico di medicina generale. In questi giorni ho speso una fortuna un mascherine chirurgiche per i pazienti e DPI per me perché l’azienda ci ha detto che sono nostra responsabilità. Il problema è in primis quello e poi viene l’inadeguatezza di una classe politica e dirigenziale che ha vissuto fino alla settimana scorsa sperando che non arrivasse nulla, quando tutti sapevamo che sarebbe arrivata. Concordo che i provvedimenti fanno acqua da tutte le parti, ma dalla trincea vi dico che le scuole chiuse sono almeno un minimo segnale che non sono solo tutti c…i nostri. Non fatemi parlare del blocco voli diretti che è stata la cosa più ridicola ed irrazionale che poteva essere fatta.
Preciso che lavoro in Veneto, probabilmente una realtà diversa dalla vostra visto che ogni Regione agisce assolutamente in maniera diversa in fatto di sanità (altra cosa demenziale e distruttiva)
Sottolineo più che altro il fatto che, di fronte a un nuovo agente patogeno, la prudenza sia d’obbligo almeno finché non ne saranno sufficientemente chiarite le caratteristiche epidemiologiche ed eziopatogenetiche.
Anche se l’obiettivo di arginarlo – o meglio: rallentarlo per evitare saturazione degli ospedali- determina l’utilizzo di metodi rozzi come il lockdown (peraltro esistono anche studi che ne dimostrano l’efficacia, vedi anche linee guida WHO).
Questo però non contraddice il uno dei cardini del vostro post: il controllo infettivologico può essere deformato in controllo sociale. Con il conseguente rischio di mandare tutto a puttane
L’uso di “discutibile” e “credenza” di per sé implica che l’ipotesi opposta alla propria sia infondata, per affermare ciò sono necessarie prove concrete e non basta giocarsi la carta della citazione tirando in ballo JAMA e Lancet.
Il primo articolo è pubblicato sotto la tipologia “Viewpoint”, categoria “Opinion” (e non fra le meta-analisi o le “original investigation” della categoria “research”, per dire). Per affermare che il virus presenta un’elevata mortalità in una particolare categoria è necessario un ampio campione omogeneo (per età e comorbidità per esempio, ma anche per tipo di trattamento ricevuto). L’articolo pubblicato sul JAMA non si pone l’obiettivo di determinare epidemiologia e storia naturale del coronavirus, gli autori usando (e non a nome di) dati del Chinese Center for Disease Control and Prevention offre una prima fotografia dell’infezione, senza estrapolare conclusioni supportate da evidenze. Gli unici punti più chiari sembrerebbero il rischio di mortalità, correlato ai quadri critici, ed il numero esiguo di decessi tra il personale sanitario infetto.
L’accostamento cancro alla prostata infezione da coronavirus si commenta da sé. Il cancro alla prostata ha un elevato tasso di mortalità, che a sua volta dipende molto da una sua diagnosi precoce. Il costo dello screening sulla popolazione maschile dei marcatori di tumori prostatico, rispetto al risparmio economico e di vite umane (questo si dimostrato dall’evidenza scientifica) non è comparabile. Discorso diverso per quanto riguarda il tampone a tappeto, anche su pazienti asintomatici, nel caso di una patologia che ha colpito all’11 febbraio 44672 cinesi, su una popolazione complessiva di 1 433 783 686
(secondo Wikipedia), patologia che presenta elevata mortalità SOLO NEI QUADRI CRITICI E CON ELEVATA COMORBIDITÀ.
L’articolo del Lancet rientra nella categoria “case report”, ovvero casi clinici particolari che riguardano un singolo paziente o pazienti in numero esiguo, e non descrive assolutamente la caratteristica del virus di poter essere letale nei pazienti giovani e senza particolari problemi di salute. Al massimo si evidenzia come una quadro critico possa avere bisogno anche di ventilazione meccanica (accade in maniera analoga anche per altre malattie) o di altre terapie invasive per potersi risolvere, mentre nel caso descritto dall’articolo il paziente aveva rifiutato l’intubazione.
Chiedo scusa per quella che può sembrare una lezioncina, ma da medico sono stanco di sentire opinioni allarmanti prive di qualunque anche minimo fondamento scientifico, basate su argomentazioni utilizzate male.
segnalo:
Dalle frontiere alle città: alcune riflessioni su epidemie, stati d’emergenza e controllo sociale
https://hurriya.noblogs.org/post/2020/02/23/dalle-frontiere-citta-alcune-riflessioni-stati-demergenza-controllo-sociale/
per chi ha tempo per altri media linko anche un audio che parla di cosa comporta parlare in termini di emergenza virus dal punto di vista scolastico
https://www.ondarossa.info/newstrasmissioni/2020/02/scuola-ai-tempi-del-virus
e un audio che si concentra sul problema delle risorse del servizio sanitario nazionale
nonostante tutta la retorica mainstream sulle eccellenze
https://www.ondarossa.info/redazionali/2020/02/emergenza-coronavirus-servizio-pubblico
Si però….l'”emergenza Corona” danneggia-e in modo considerevole-proprio quei settori economici che le politiche di gentrificazione dovrebbero favorire.
Un aspetto di cui la vostra analisi (che pure non mi sembra banalmente”commplottista”) non da ragione….
Errata corrige; non dà
Sta avvenendo proprio il contrario di quanto pensano i complottisti, che vedono poteri operanti in modo sempre perfettamente armonico, allineato e ipercorente, e la «volontà» come forza motrice della storia. Invece il capitale è «contraddizione in processo», e i fatti di questi giorni lo dimostrano, ed è fatto principalmente di automatismi. Mai come oggi abbiamo visto con tanta chiarezza attori politici svolgere funzioni sistemiche, oggettive, delle quali non sono pienamente consci, presi come sono dallo sforzo di sgavagnarsela in qualche modo sul breve termine.
In ogni caso, non è corretto dire che l’emergenza corona virus sia in contrasto con le logiche e retoriche connesse alla gentrification, o per essere più precisi: alla violenta estrazione di valore dal territorio. L’emergenza si è incanalata nel solco già tracciato a colpi di razzismo, «decoro» e spinte a una sempre maggiore sorveglianza. Al virus si è data una risposta in chiave di militarizzazione del territorio, la stessa che si è sempre data a povertà, esclusione, disuguaglianze ecc. Si è ricorso alla logica della “zona rossa”, ma spingendola ancora oltre. Si è data la caccia a presunti «untori», alzando di una tacca il livello di psicosi.
Terminata l’emergenza, anche nel caso i propugnatori delle ordinanze abbiano fatto figure di merda memorabili (cosa che speriamo), comunque si sarà fatto qualche passo in più nella direzione che già stavamo seguendo, e qualcosa che prima non era immaginabile – la quarantena di un territorio, l’improvvisa chiusura per decreto (arbitraria fino all’«ubuesco») di spazi di aggregazione, il divieto di ogni manifestazione ed evento con motivazioni di “profilassi”… – lo sarà diventato.
Un risultato che però non sarà affatto dipeso dalla volontà di alcun Grande Vecchio o di alcuna società segreta occulta in grado di portare a compimento in modo perfetto piani complicatissimi. I fanatici del Complotto non capiranno mai come funziona il capitalismo. Di fronte a queste epidemie non pensano allo schifo globale della zootecnia, non pensano alla distruzione degli ecosistemi, no, loro pensano al virus ingegnerizzato in laboratorio, a un Piano malvagio e globalista, segreto e impeccabile, implementato con la diretta complicità di milioni di persone.
Un Piano talmente impeccabile e talmente segreto e talmente globalista… che loro lo conoscono e lo denunciano su Facebook, noto samizdat antiglobalista.
“non è corretto dire che l’emergenza corona virus sia in contrasto con le logiche e retoriche connesse alla gentrification, o per essere più precisi: alla violenta estrazione di valore dal territorio”
Però-molto brutalmente-da un territorio”contagiato” è MOLTO più difficile estrarre profitto (al netto delle”speculazioni” e di possibili”riconversioni”-che però non sono automatiche e richiedono tempo).Il”capitalismo italiano” viene colpito proprio in uno dei suoi punti più sensibili (un aspetto che io immagino i “complottisti sovranisti” faranno molto pesare nelle loro “ricostruzioni”).
Ecco perché-scusate la digressione- Foucault può immaginare la “quarantena” come”paradigma del politico” in un mondo “colbertiano”(in cui-cioè-l’economia rimane solo un”mezzo” al servizio della Nazione). In un mondo compiutamente capitalista il”danno”-in termini economici e QUINDI politici-è sempre superiore al “beneficio”(reale o “simbolico”).
La shock economy capitalista finora ha sempre dato una risposta alle catastrofi, comprese le epidemie: più capitalismo! Dopo l’iniziale shock, torna sempre l’economy. Lo shock viene trasformato in semplice disruption, in presunta «distruzione creatrice» schumpeteriana. Qualche politico ci perde la faccia, qualche settore di capitale subisce battute d’arresto, altri invece entrano in una fase di prosperità, il sistema ritroverà poi la propria “omeostasi”. Sempre più labile, certo. Ma la ritrova.
Un’inversione di tendenza è possibile, ma non è mai il disastro in sé a determinarla (come ad esempio vorrebbe certo «crollismo»), perché il capitalismo non si sconfigge da solo. L’inversione di tendenza la impone semmai il conflitto sociale a partire dal disastro. È il compito di noi tutt*.
Gli scontri tra istituzioni di queste ultime ore possono anche essere lette come scontri tra (rappresentanti) di diverse fazioni di capitale.
La Lombardia, a tal proposito, è già e sempre più diventa laboratorio: e di privatizzazione del servizio sanitario, e di gentrificazione e «fabbrica di eventi», ma anche di conflitto tra le diverse e opposte istanze che presiedono alla chiusura e drammatizzazione (prima) e successivo alleggerimento mediatico del Coronavirus.
Lo spiega benissimo il comunicato odierno di Off Topic, che trovate qui https://t.me/offtopic_lab/634 ma che cmq copincollo:
“We can’t stop”? Ovvero: il modello Milano e l’economia drogata
Di cosa vive una città? Nulla come lo stato d’eccezione imposto dal rischio epidemia ha destabilizzato buona parte dell’economia impostata su industria degli eventi e brand marketing, che richiedono moto perpetuo per poter alimentare a loro volta crescita del mattone e afflusso di capitali internazionali.
Il Salone del Mobile, forse il simbolo del #modelloMilano, è stato spostato a giugno causa emergenza Covid-19, con importanti ripercussioni sulle attività accessorie agli eventi. Forse anche pensando a questo, la Commissione di garanzia sugli scioperi ha richiesto lo stop dalle astensioni dal lavoro fino al 31 marzo, sospendendo di fatto le vertenze aperte.
Già da gennaio molte catene alberghieri avevano fatto presente le ricadute negative dell’emergenza Corona Virus sulle prenotazioni. Da almeno un mese era chiaro che il carico delle perdite sarebbe stato a carico dei lavoratori: in particolare facchinaggio e pulizie, ma anche tutto l’ “indotto” rappresentato da camerieri e cuochi del catering, p. iva precarie e freelance, stagisti sottopagati del marketing e dell’editoria, operai e tecnici di scena.
Di fatto l’impatto sul modello Milano è nelle ultime ore diventato evidente alla giunta che, per iniziativa dello stesso sindaco, comunica a mezzo stampa “We can’t stop”, terrorizzata da un (ormai inevitabile) brusco calo dell’afflusso turistico e del volume di affari dei commercianti e dello stesso settore del design, da quello più di lusso a quello espositivo per il grande pubblico. Partendo da qui risulta più comprensibile il discorso istituzionale sul virus, da “peste nera” a semplice influenza nel giro di 12 ore.
Provo a contribuire a questo diario virale, sempre dalla Bolognina.
Ieri ero in un negozio di articoli per la casa su via di Corticella. Stavo parlando al negoziante, quando una signora appena entrata mi ha scavalcato, agitatissima, chiedendo alcol e amuchina. Il negoziante l’ha servita, ma non aveva l’amuchina. La donna aveva la voce rotta dall’agitazione, ha detto di non essere riuscita a trovarla al supermercato, che non c’era più nulla. Io venivo da lì e le ho spiegato che al supermercato c’era tutto tranne l’alcol, che forse semplicemente non aveva visto bene. Mi è bastata un’occhiata per rendermi conto che qualcosa non andava: la signora era inclinata su un fianco, appoggiata alle sue stampelle, aveva i capelli sbiaditi incollati alla testa, l’aria stravolta e lo sguardo sperso. Una persona con una grande fragilità fisica e ad un primo sguardo direi anche psichica. E’ uscita dal negozio e ha continuato a zoppicare con le sue stampelle lungo via di Corticella.
Stamattina ero in centro. Le strade erano piene di ragazzini liberi dalla scuola, un buon affare per gli esercizi commerciali che attirano quel pubblico. L’atmosfera era allegra, sembrava un giorno di vacanza. Poi un’amica mi ha detto che suo marito si è ammalato e deve fare la chemio. La malattia di per sé non sarebbe molto grave, ma con le difese immunitarie abbassate e gli ospedali pieni di contagiati, il rischio c’è.
Per la maggior parte delle persone questo virus non rappresenta un pericolo, ma per le persone più fragili lo è eccome. Per quelle più fragili mentalmente, spaventate fino al panico da media sciacalli, e per quelle fragili fisicamente. Perché sì, per la gran parte di noi potrebbe essere solo un’influenza un po’ più rognosa. Ma per l’influenza c’è il vaccino, e infatti in Italia circa la metà delle persone con più di 65 anni si vaccina (dato 2015 preso da qui https://www.infodata.ilsole24ore.com/2017/12/01/influenza-la-mappa-degli-anziani-si-vaccinati-salute-vaccini-malattie/, con una ricerca veloce non ne ho trovato uno più recente). Per non parlare poi dei malati cronici di ogni età, o del personale sanitario a contatto con malati oncologici, ecc. Persino la semplice influenza stagionale non ci sembrerebbe tanto uno scherzo se non ci fosse il vaccino, e questa è 10 volte peggio.
Non lo dico per accodarmi agli apocalittici, ma per chiedere a tutti di fare attenzione a non sminuire i pericoli. Che anche quando sono indotti dai media, purtroppo, per chi se li sente addosso sono estremamente reali, e non è giusto sottovalutare questa sofferenza. Riconoscere questa sofferenza è doveroso, anche se può sembrarci sciocca.
L’ordinanza della nostra regione è, come avete detto bene, un pastrocchio senza capo né coda, che serve a dare l’impressione di un’amministrazione che ha il polso della situazione, mentre in realtà lascia aperti tutti i luoghi di aggregazione votati al consumo. Che si sa che a Bolo siamo comandati da un potere salumiere a cui interessa solo che i soldi continuino a girare e a finire nelle tasche giuste. Bisognerebbe fermare tutto e fare quello che serve per proteggere il più possibile chi è vulnerabile. Ma da Conte a Bonaccini sono tutti impegnati a toglierci la cultura e la libertà di aggregazione, e infilarci a forza nei centri commerciali, o gettarci nell’imbuto dei capitalisti della sorveglianza, i cui algoritmi dicono che bisogna venderci il disinfettante a 400 €.
sì, esattamente.
:)
sono esattamente dieci anni che noi dipendenti pubblici si è costretti ad andare a lavoro malati per non vederci decurtato lo stipendio nei primi 10 giorni di malattia. sono dieci anni che ci contagiamo a vicenda, viaggiando malati nei treni e stazionando malati negli uffici e allo sportello. la legge brunetta, difesa persino dalla corte costituzionale, ha moltiplicato i malati ma li ha costretti ad andare a lavoro. due anni fa combattendo contro una febbricola insistente e tanto catarro, mi sono fatto parma bologna in treno due settimane, prima di arrendermi alla polmonite, e chissà quanti ne ho stesi attorno a me. Perchè tengo famiglia e non posso vedermi soffiare 150 euro di stipendio dalla santa inquisizione che vede furbetti dovunque.
Se questa parodia dell’ombra dello scorpione potrà insegnare qualcosa a questo paese del cavolo, sarà che la salute è un diritto che va difeso nella quotidianità, e non nell’emergenza. Ma non insegnerà un bel niente.
Quanto alla psicosi, impossibile non notare la portata di questa rispetto alle psicosi pre-social network come la bes, la suina o l’aviaria. Che pure ci furono, ma la cui portata impallidisce rispetto all’impazzimento odierno.
Quanto a chi ci governa, centralmente o localmente, fanno quello che ormai fanno da anni. Si preoccupano di compiacere la pancia, di rassicurare con politiche sicuritarie vuote ma d’impatto mediatico, non si curano di capire quali effetti devastanti in termini di pane da portare a casa avrà l’aver fermato un paese per settimane, e mediocri come sono, certo il coraggio di scelte oculate non se lo possono dare adesso.
Ciao
rispondo alla questione “psicosi pre-social”.
Nel 1991 i social non c’erano, non c’era ancora nemmeno Mosaic.
C’erano i telegiornali e c’era l’annuncio dell’attacco americano a Saddam, l’inizio del coinvolgimento americano e poi occidentale in quella che poi fu chiamata “Prima guerra del Golfo”.
I supermercati subirono lo stesso, identico, assalto che abbiamo visto in questi giorni. Però in tutta Italia. Per una guerra lontana qualche mila chilometri. La “seconda cosa bella” di quei giorni fu che sotto casa, quando dopo alcuni giorni (cinque o sei) gli scaffali furono di nuovo riforniti, riapparve anche lo zucchero e la marca era “Sadam”. Lo zucchero del nemico!!!
Non sono cosi’ sveglio da capire la differenza tra la psicosi di allora e quella di oggi. Posso solo ipotizzare due cose molto banalissime:
– si sostiene spesso che i media degli anni ’90 sono morti, sostituiti dai social. In realta’ la psicosi di oggi, come viene spiegato qui sopra, ha come primi responsabili i media “tradizionali”: quindi non sono proprio morti. Sono solo piu’ (mi si perdoni) virali di allora, perche’ la loro coperta e’ ormai cortissima e per campare sono costretti a esagerare (fatte salve, e ci mancherebbe, le fondamentali distinzioni di Adrianaaaa, che pero’ sui media non vengono quasi fatte o comunque tenute “basse”).
– il supermercato come sostituto della cattedrale, dove tutti si accalcano in cerca di salvezza quando scoppia il casino grosso, e lo spendere come sostituto del pregare, sono funzionamenti gia’ vecchi di trent’anni. Mi chiedo cosa venga dopo e sono un po’ a disagio a tentare risposte, ma potrebbe essere qualcosa che sta nascendo proprio in queste settimane e in questa situazione. Come spiegato gia’ con sufficiente precisione da questo post.
Ti do ragione su tutto. Mi limito ad aggiungere che l’influenza sui media tradizionali della sovrabbondanza e distorsione di informazioni generata anche dai social network sia evidente, nel senso che i media tradizionali si sono involuti nei modi tragici che vediamo anche per una competizione al ribasso con questa proliferazione di dati incontrollati, distorti, quando non spesso falsi. E fanno sicuramente più danni dei social, essendo la fonte di informazione primaria propria di quella fetta di popolazione più esposta alla criticità sanitaria in essere.
Alla fine quel che sta succedendo si può riassumere veramente in poche parole: una criticità sanitaria è stata trasformata in una questione di ordine pubblico. E’ lo stesso dispositivo che abbiamo visto all’opera con le calamità naturali, con il crescere della marginalità sociale causata dall’austerity, con l’aumento dell’immigrazione causato da guerre e carestie, ecc. ecc. Nella fase attuale del capitalismo, allo stato si chiede solo di fare lo sbirro. Questa volta però all’Italia la merda sta tornando addosso. Mentre Goebbels Fedriga chiede a Lubiana di non far entrare infetti in Italia, il governo sloveno annuncia che potrebbe sigillare sì i confini, ma per tenere gli italiani fuori dal suo territorio….
Ho appena finito di leggere questo articolo di Paolo Giordano https://www.corriere.it/cronache/20_febbraio_25/matematicadel-contagioche-ci-aiutaa-ragionarein-mezzo-caos-3ddfefc6-5810-11ea-a2d7-f1bec9902bd3.shtml dal titolo “Coronavirus, la matematica del contagio che ci aiuta a ragionare in mezzo al caos”. E’ un articolo che in effetti aiuta a ragionare sul funzionamento del dispositivo narrativo che tiene in piedi la storia mediatica del virus. La narrazione a cui siamo sottoposti in questi giorni è tossica almeno quanto il virus stesso e ciò che ha scritto Wu Ming, così come i commenti, sono degli anticorpi. Nell’articolo di Giordano manca la critica alle misure di contenimento, alla quarantena e a tutto ciò che fa parte di quei dispositivi di sorveglianza che invece quassù vengono analizzati e criticati. “Detto in soldoni” queste misure draconiane – per Giordano – non sono una reazione spropositata. Al netto della correttezza del discorso sulla matematica che viene fatto nell’articolo, ciò che mi turba è il taglio narrativo che viene dato: il risultato è diminuire il contagio, perciò tutto ciò che può servire per abbassarne il livello va bene. L’analisi sui Big Data, sul controllo del territorio, ad esempio, si ferma qua. E’ un articolo che trovo molto interessante e che dovrò rileggere. Intanto mi tengo i miei dubbi sulla bontà delle misure messe in campo, lo avete scritto che uno dei problemi che abbiamo in Italia è l’operazione in atto da anni di smantellamento del sistema sanitario, e non credo proprio che le emergenze sanitarie vadano gestite dalle forze di polizi in un paese in cui gli ospedali vengono chiusi. Ci tengo a ripeterlo visto che nell’articolo Giordano parla di far lavorare insieme scienza e storia. Sono d’accordo ma la storia andrebbe raccontata tutta.
Invece su The Atlantic concludono che queste misure – le quali, tocca ribadirlo visto che si cerca di spoliticizzarle facendone una questione meramente “tecnica”, sono una risposta tutta politica – non servono a nulla. È altamente probabile che questo virus sia qui per restare, diventerà una nuova malattia stagionale, che facciamo, ogni anno accrocchiamo ordinanze inutili a cazzo di cane e chiudiamo “tutto” istericamente?
«Certain containment measures will be appropriate, but widely banning travel, closing down cities, and hoarding resources are not realistic solutions for an outbreak that lasts years. All of these measures come with risks of their own. Ultimately some pandemic responses will require opening borders, not closing them. At some point the expectation that any area will escape effects of COVID-19 must be abandoned: The disease must be seen as everyone’s problem.»
Appunto, sì. Il discorso che si fa è che le misure “tecniche” sono solo ed esclusivamente tali e che sono funzionali alla soluzione del problema. E invece così non è. Per nulla. E l’articolo che ho linkato è per me un esempio perfetto di discorso funzionale al mantenimento della situazione di controllo sui corpi.
Non si tratta di chiudere “tutto istericamente” ogni anno, ma l’influenza stagionale stessa non sarebbe affatto una cosa da poco se non ci fosse il vaccino a proteggere malati oncologici, dializzati, tracheostomizzati, persone con problemi cardiaci, o anche semplicemente i vecchietti. E il coronavirus ammazza dieci volte di più dell’influenza.
Visto che il vaccino ancora non c’è, queste persone bisogna proteggerle in altro modo. Per non dire poi di quello che potrebbe accadere in paesi dove il sistema sanitario è già al collasso, se non nullo, di suo. E dove le persone vulnerabili semplicemente non avrebbero alcun accesso a dispositivi di supporto respiratorio, farmaci antivirali e via dicendo. Che facciamo, ce ne sbattiamo?
Quando ci sarà il vaccino, speriamo presto, anche il coronavirus probabilmente rientrerà nella normalità. Nel frattempo, però, che si fa? Io non lo so, e non invoco certo polizia e militari per le strade. Ma considerare questo virus come una banale influenza stagionale è scorretto, perché è molto più pericoloso e perché manca il vaccino.
La sensazione ben nota, la stessa che riemerge ogni volta che si parla ad esempio di cambiamento climatico, è quella di essere su un treno lanciato a tutta velocità verso un binario morto, che però non si può fermare. La società invece dovrebbe essere in grado di fermarsi – il verbo è iperbolico, intendo ridurre le attività, rallentare – quando serve. In questo caso serve? Non lo so, ma ci tengo a dire che anche questa voglia di andare avanti come se nulla fosse che vedo in tante persone è politica, così come la voglia di carri armati.
Si mettono in campo misure di profilassi nella vita quotidiana, si informano bene e si tengono al sicuro i soggetti più a rischio (deboli e vulnerabili perché anziani o già ammalati), si potenzia la sanità pubblica per poter assistere al meglio chi si ammala, e per il resto si continua a vivere, si fanno riunioni e manifestazioni, si fa cultura.
Ergo, esattamente il contrario di quello che si sta facendo: si stanno disinformando soprattutto gli anziani e i vulnerabili, si sono chiusi gli spazi sbagliati (tutti i luoghi di cultura), si sono sospese le attività sbagliate, rimangono aperti i centri anziani e tutti i luoghi dove gli anziani e i vulnerabili – disinformati e terrorizzati – possono accorrere a frotte in cerca di false soluzioni come amuchina e mascherine, e nessuno dice l’ovvio: che un’epidemia si affronta con una migliore sanità pubblica, un servizio più capillare, più strutture e più posti letto.
Detto ciò, se praticamente tutte e tutti quell* che hanno fatto ricerca seria su come si è risposto alle recenti epidemie di nuovi virus concordano nel dire che queste chiusure di massa sono «political theater» e poco più, e si sono regolarmente dimostrate inefficaci e in molti casi controproducenti, qualcosa vorrà pur dire. Non stiamo parlando di star da social network come Burioni, parliamo di ricerche peer-reviewed svolte in diverse parti del mondo su diversi casi in diversi anni, e la conclusione è sempre quella.
P.S. Che «il coronavirus ammazz[i] dieci volte più dell’influenza» rimane da dimostrare, finora questo non si riflette nei dati a disposizione, che sono per forza di cose incompleti ma finora mostrano altro.
Anche col vaccino, in Italia l’influenza stagionale stronca 8000 persone ogni anno; senza vaccino, finora i morti da Covid 19 censiti in Italia sono 11.
A livello mondiale, a oggi il Covid 19 – in assenza di vaccino – ha fatto ufficialmente 2769 morti, nello stesso periodo l’influenza stagionale – con tanto di vaccino – ne ha fatti ufficialmente 75.153.
Come si spiega questo? Perché pur essendo «qualcosa di più» di un’infuenza il Covid 19 sembra uccidere molto meno?
Forse perché è una malattia più aggressiva dell’influenza ma con l’influenza, oltre ai sintomi, ha in comune un’altra cosa: il fatto che molti la prendano ma la grande maggioranza la superi. Questo avviene perché il Covid 19 si comporta da virus “giovanilista”: risparmia tutti i giovanissimi, se la prende poco coi giovani e si accanisce soprattutto sugli anziani.
[Detta meglio: come tutte le patologie, ma a quanto pare più di molte altre, sommandosi ad altre patologie già presenti e magari cronicizzate, il Covid 19 peggiora significativamente le condizioni dell’ammalato. Statisticamente, è più probabile che ciò avvenga a persone più in avanti con gli anni.]
Almeno stando a questi dati, la probabilità di morire se si contrae il Covid 19 è nulla per i bambini, quasi irrilevante per gli adolescenti e under 30, bassissima tra i 30 e i 50, un po’ più alta dai 50 in su, significativa sopra gli 80.
Ne abbiamo parlato anche su mastodon, ma il confronto tra coronavirus e influenza stagionale in cui si tende a cadere spesso è poco sensato. L’influenza stagionale ha fatto certamente molti più morti del nCov19 e continuerà a farne molti di più per la spropositata differenza nel numero di contagiati. Sono due patologie clinicamente simili,ma profondamente differenti dal punto di vista eziologico e dal punto di vista della diffusione.
L’articolo da voi citato di The Atlantic è uno dei più completi che abbia letto negli ultimi giorni, l’avrei inserito in questo commento se non fosse già stato fatto.
Infatti. Nel citare The Atlantic, noi non abbiamo fatto un confronto tra Covid 19 e influenza: abbiamo detto, come fa l’articolo, che molto probabilmente il Covid 19 diverrà a sua volta malattia stagionale.
P.S. Anche ipotizzando e ritenendo plausibile che ci sia, noi comunque non la conosciamo la «spropositata differenza nel numero di contagiati», perché non sappiamo quanti siano stati i contagiati da Covid 19. Sappiamo con certezza che qualcuno ce l’ha solo dopo aver fatto il “tampone”.
Come si diceva, è probabile che molte persone se lo siano preso, nessuno abbia fatto loro il tampone (non ce n’è abbastanza, e del resto nessun Paese li ha fatti in massa) e nel frattempo siano guariti.
Ergo, i dati a disposizione non ci dicono con certezza quale sia la proporzione tra ammalati di influenza e ammalati di Covid 19. Al massimo, abbiamo la proporzione tra i tamponi positivi al Covid 19 e il numero medio di ammalati di influenza in un anno. Ma sono dati disomogenei, da cui non pare si possa inferire con certezza un maggiore o minore tasso di letalità.
Rispondo alla vostra osservazione sul confronto tra contagiati di influenza e di coronavirus con una domanda: visto che la diagnosi di influenza stagionale non avviene tramite analisi di laboratorio ma solo tramite i sintomi, non può essere che anche qui il numero di contagiati non sia effettivamente noto? Viene considerata influenza un’infezione virale in cui sono presenti febbre, dolori articolari e interessamento delle vie respiratorie, ma non può essere che ci siano persone con sintomi più leggeri che non vengono conteggiate, e che quindi il numero effettivo dei contagiati sia più alto? Ok, non sappiamo quanti contagiati da coronavirus ci sono, ma per l’influenza lo sappiamo?
Facile che non lo sappiamo. Del resto, molta gente quando pensa di avere l’influenza – se non ha un lavoro dipendente dove deve produrre un certificato medico e poi essere presente per l’eventuale visita fiscale – non va nemmeno dal dottore, tanto è consueta l’esperienza. Si prende il paracetamolo e si mette a letto, e a volte nemmeno quello, si limita a starsene a casa. Può darsi che il numero di ammalati di influenza sia sottostimato, oppure che sia sovrastimato. Si lavora sempre di statistiche e approssimazioni.
A maggior ragione, dunque, risulta difficile dire che il Covid 19 «uccide dieci volte più dell’influenza». E, come diceva Xenwan, risulta poco sensato fare un paragone strettamente sanitario/eziologico.
Basta però una certa ragionevolezza per dire che la risposta sistemica al Covid19 è stata spropositata e irrazionale.
Scusate lo spam e il doppio post, ma visto che sotto non ho citato esplicitamente.
“A livello mondiale, a oggi il Covid 19 – in assenza di vaccino – ha fatto ufficialmente 2769 morti, nello stesso periodo l’influenza stagionale – con tanto di vaccino – ne ha fatti ufficialmente 75.153.
Come si spiega questo?”
Si spiega perché è un confronto completamente privo di significato. L’influenza è già endemica e ha quindi come “platea potenziale” di individui da colpire l’intera umanità. Il COVID-19 no, perché per ora non è ancora diffuso su scala planetaria. Non ha senso confrontare i numeri assoluti: una malattia con una letalità nettamente inferiore può ben fare più morti se sta infettando un numero di persone molto maggiore.
Un confronto di quel tipo lo si potrebbe fare tra un anno o più se diventasse anch’esso endemico. In quel caso sarebbe troppo tardi per intervenire e provare appunto ad evitare che lo diventi.
Quindi è assurdo ragionare in questo modo. Si tratta di prevenire intervenendo per precauzione. Dopo, dimostrare di avere torto o ragione servirebbe a poco.
non voglio fare l’avvocato, ma da lettore di questa discussione a me sembrava che qui si stesse CRITICANDO il paragone, partendo dalla frase sulla “mortalità tripla”, sotto dicono che i dati sono incompleti e non si sa quanti siano i contagiati, anche l’Atlantic fa un “paragone” con l’influenza ma per dire che anche la Covid19 diventerà un malanno stagionale, loro riprendevano questo.
Su questo fatto avete linkato un singolo paper. E a me non sembra che sia così drastico nel dire che queste misure sono inefficaci in tutte le circostanze. Si limita a dire che bisogna valutare anche altri fattori e soprattutto qual’è il risultato finale che si vuole ottenere.
Inoltre per adottare misure efficaci bisogna avere molti dati per avere un modello più realistico. E in questo caso non abbiamo ancora una conoscenza così precisa del virus, tant’è che si continua a discutere da tutte le parti su quale sia la sua effettiva mortalità, su quale percentuale di infetti sviluppi sintomi seri o quanto duri la contagiosità.
Tutto ciò per dire che, secondo me, è sbagliato bollare le misure di contentimento come sbagliate a prescindere, appellandosi all’ingiusta limitazione della libertà e al controllo dei corpi.
Il modello SIR che è raccontato in modo semplice nell’articolo di Paolo Giordano (linkato sopra) io l’ho studiato un pochino; e con tutti i limiti che può avere un modello si tratta comunque di uno strumento utile per cercare di attuare delle politiche contro la diffusione di un’epidemia. E mi sembra abbastanza palese che, se si può, sia preferibile contenere la diffusione e soffocarla, anzichè puntare solamente sulla cura dopo che l’epidemia è già in atto.
Forse è già troppo tardi? Può essere, ma anche su questo nessuno ha ancora la verità assoluta in tasca.
Al netto di tutto questo, condivido gran parte delle critiche che sono presenti in questo articolo.
Le misure messe in atto sono piuttosto limitate e incoerenti, e si concentrano sulle forme di aggregazione culturale; ma per il semplice fatto che sono le misure più facili da implementare, e anche quelle che hanno un impatto economico meno marcato nell’immediato. Invece chiudere attività commerciali come i supermercati sarebbe impraticabile e doppiamente controproducente perchè condurrebbe ad una maggiore isteria per quanto riguarda la corsa alle scorte alimentari.
Però qui non c’è la volontà di colpire in qualche modo la cultura. C’è solo la volontà di dare una risposta che sia mediaticamente efficace e che metta al riparo dalla critica di non aver fatto nulla.
Anche le critiche alla riduzione degli investimenti nel SSN sono assolutamente condivisibili, e questa dovrebbe essere una buona occasione per parlarne. Però ripeto, se c’è la possibilità, in questo caso è sicuramente meglio “prevenire che curare”.
Per concludere ribadisco che la critica non va fatta all’idea in se di “chiudere tutto”, ma al modo in cui questa è stata attuata e spinta dal modello di comunicazione attuale.
Questa idea però può anche essere la base per spunti di riflessione positivi. Primo tra tutti il fatto che se si vuole provare a contrastare un’epidemia che sta partendo bisogna agire tutti assieme, come una collettività, opponendo al patogeno una coscienza di gruppo che è più della somma delle individualità.
E quindi, metterla in atto evitando per un certo periodo i contatti non strettamente necessari può anche aiutarci a ricordare che si vive lo stesso senza inseguire ogni giorno la produzione e il consumo, e che in molti casi è preferibile rallentare e produrre meno, anzichè affrontare le conseguenze del non farlo (vedi cambiamento climatico).
Scusa, però dobbiamo precisare: noi non abbiamo «linkato un singolo paper», abbiamo linkato – già nel post e poi (noi e altri intervenuti) anche nella discussione – diversi articoli, ciascuno dei quali fa riferimento a (e linka) diversi paper su diversi case studies. Non solo: di norma l’autore interpella chi ha condotto le ricerche, riporta pareri più che autorevoli ecc. Seguendo i nostri link e poi verificando le fonti di quanto abbiamo linkato, si compone un quadro di critiche scientificamente fondate che va ben oltre un singolo paper.
Scusate, prima di commentare ho controllato ma forse me li sono persi. Io ho visto solo questo https://arxiv.org/abs/1908.05261.
Ho visto che chiaramente cita altri studi e ammetto di non aver letto tutta la letteratura scientifica a riguardo. Mi sembra solo eccessivo ridurre tutta la questione a “c’è un consenso unanime sull’inefficacia delle chiusure di massa”.
Ecco i link presenti nel post e nella discussione. Sono articoli, riflessioni e sunti di paper riguardanti (in toto o in parte) quell’insieme di misure che include chiusure di territori, controlli di frontiera, blocchi di voli ecc:
[1] – [2] – [3] – [4] – [5] – [6] – [7] – [8].
Gli articoli rimandano ad altri paper e intervistano vari esperti. Come vedrai, i “tagli” e i casi studiati sono diversi, può anche darsi che alcune ricerche siano più centrate e altre meno, non siamo in grado di dirlo, ma di sicuro il quadro che si compone mostra un prevalere di pareri fortemente critici verso una certa «coazione a ripetere», coazione che spesso ha motivazioni più politico-mediatiche che medico-sanitarie.
“Qui non c’è la volontà di colpire in qualche modo la cultura”. Perdonami, Simone, ma questa affermazione somiglia a quella di chi mena la moglie e poi dice di essere per la parità di genere. O di chi “non è razzista, ma…”
Pensare che ci sia un piano per colpire la cultura sarebbe paranoia. Sarebbe chiedersi “Chi?” e non “Cosa?”, come scriviamo qui sopra. Non c’entra la volontà e il ragionamento va rovesciato. Se la cultura è uno degli ambiti più colpiti, significa che viene considerato il più sacrificabile. E se viene considerato il più sacrificabile, significa che gli viene attribuito meno valore. E se gli viene attribuito meno valore, significa che verrà colpito – anche se nessuno degli amministratori dichiarerà mai di voler “colpire la cultura”. Del resto, anche se nessuno *volesse* usare l’emergenza per far passare un maggior controllo, resterebbe incontrovertibile che l’emergenza fa passare un maggior controllo.
Su questo direi che siamo abbastanza d’accordo, infatti nel seguito ho scritto la stessa cosa che dite.
La cultura è sicuramente l’ambito più sacrificabile proprio perchè gli viene attribuito un minor valore *economico*. Ma la causa è ben più grande e pregressa di questa epidemia; è appunto una causa sistemica.
Quello in cui non sono d’accordo con voi è la visione che tutto questo porta solo maggior controllo e riduzione della libertà. È vero, in questo sistema e in questo momento storico probabilmente sarà questo l’unico effetto, però ripeto che se ne possono dare anche altre letture.
In particolare, come dicevo prima, il fatto che la vita va avanti lo stesso anche se produciamo un po’ di meno, e che attuare certe misure restrittive, prima che vengano imposte, è un grande esempio di organizzazione collettiva.
Io penso che queste derive non vadano affrontate solo con la critica, ma anche con un approccio costruttivo su cosa possono insegnarci. Cosa che, vi do atto, fate anche voi nell’articolo.
Simone, noi stiamo raccogliendo testimonianze agghiaccianti dal mondo del lavoro, queste ordinanze stanno privando innumerevoli persone del loro reddito e ledono la loro dignità, i precari sono già sotto il pelo dell’acqua, chi invece ha diritto alle ferie è costretto a usarle adesso (a febbraio!) perché le istituzioni quando hanno chiuso i posti – in fretta e furia per far vedere che ce l’avevano duro – e sospeso le attività se ne sono fottute totalmente dei lavoratori, non hanno minimamente chiarito quale fosse lo status di chi era costretto a restare a casa, non si sono mossi per attivare alcun ammortizzatore, niente. Hanno fatto la “serrata” e basta, e passano pure per responsabili!
Nel frattempo svariati padroni approfittano delle ordinanze per mandare a spasso le maestranze, abbiamo resoconti di mancate riassunzioni di dipendenti perché reduci da «assembramenti» (assemblee sindacali, picchetti ecc.) e quindi «a rischio coronavirus»…
Rendiamoci conto che di fronte alla situazione reale e concreta, discorsi come «la vita va avanti lo stesso anche se produciamo un po’ di meno», pur giusti in astratto, suonano terribilmente fuori fuoco e fighetti. Chi sta andando in rovina, chi vive giorni di drammatica incertezza sulle proprie sorti, chi non percepisce reddito se l’attività è chiusa, non può che rispondere a male parole…
Per Wu Ming 1
Perdona ma proprio i tuoi racconti mettono in crisi anche la “vostra” narrazione.
Perché dimostrano che la”quarantena” sta provocando una crisi economica.Che-OVVIAMENTE-i lavoratori pagano molto di più che i padroni.
Ma questo non toglie che-per dirla brutalmente-lo Stato italiano stia distruggendo una parte del capitalismo italiano (solo un “nome” :Carnevale di Venezia)
Voi rifiutate di vedere-o sottovalutate- questo aspetto del quadro e-ancora una volta; scusate la brutalità-vedete “Stato e Padroni uniti nella lotta”
Io vedo-ANCHE_ uno Stato che sta OBIETTIVAMENTE”andando contro gli interessi dei padroni”; i quali-OVVIAMENTE-faranno pagare ai lavoratori molto più di quanto stanno pagando loro.
Veramente noi stiamo dicendo che la fretta e il dilettantismo della classe politica – fretta di far vedere ai media che rispondevano all’emergenza «come si deve» e a cazzo duro – sta producendo contraddizioni enormi, e che non c’è nessun complotto né coordinamento preventivo tra poteri.
Le scelte della politica stanno danneggiando settori di capitale, si veda il calo drastico del turismo (- 40%), e infatti i vari Fontana si stanno prendendo le tirate d’orecchie da quel settore di capitale e stanno cambiando toni. C’è anche un rischio recessione. Però noi distinguiamo tra gli effetti indesiderati nel presente e una funzionasistemica che questi “lockdown” avranno comunque, una volta recuperati dal capitale, che a lungo termine integrerà le retoriche di questi giorni (e ciò che la psicosi ha sedimentato) nelle sue strategie estrattive. Estrarre valore dalla sorveglianza e dal controllo della popolazione è il business più redditizio. I big data prodotti a miliardi di terabite in queste settimane di emergenza Coronavirus torneranno buoni, buonissimi, quando li si venderà all’industria del controllo biopolitico.
Detto ciò, altri settori di capitale stano già approfittando di quest’emergenza e delle ordinanze per portare avanti la lotta di classe dal’alto.
Non saranno gli errori del ceto politico a distruggere il capitalismo, il capitalismo integra a livello sistemico la distruzione di alcuni suoi settori e si ristruttura per raggiungere un livello superiore. Nessuna crisi lo ha mai distrutto perché il capitale è l’uso delle crisi. Non si ferma nemmeno davanti al baratro ecosistemico, ma cerca modi di mercificare quello stare sul baratro. I limiti che il capitale può trovare, li trova solo nei conflitti che sabotano l’estrazione di valore. Senza di quelli, non crolla da sé.
Scusa Pierre, ma rispondendo a uno dei tuoi primi commenti abbiamo scritto: «Sta avvenendo proprio il contrario di quanto pensano i complottisti, che vedono poteri operanti in modo sempre perfettamente armonico, allineato e ipercorente, e la «volontà» come forza motrice della storia. Invece il capitale è «contraddizione in processo», e i fatti di questi giorni lo dimostrano». In che modo, da un’affermazione del genere, se non dal post qui sopra, deduci che noialtri vediamo “Stato e Padroni uniti nella lotta”? Stiamo dicendo, al contrario, che Il Capitale non è un soggetto coerente, plasmato da un’unica volontà, e che, se lo affermassimo, saremmo paranoici pure noi. Stiamo dicendo che, così com’è normale vedere i capitalisti l’un contro l’altro armati, allo stesso modo è normale, sul breve periodo e sul singolo provvedimento, vedere uno Stato che non fa direttamente gli interessi del capitale (tant’è vero che, in vari modi, lo Stato può mettere fuori legge alcuni di questi interessi, o alcuni metodi per perseguirli: il divenire-mafia del Capitale, almeno sul piano simbolico e a volte anche obiettivamente, può trovare nella legge diversi ostacoli, per quanto momentanei).
Rispondo al commento di Wu Ming 1 sulle conseguenze delle chiusure su tanti lavoratori. Per ora più che mai c’è bisogno fare un discorso anti-capitalista. Che cazzo di sistema economico è quello che fa sprofondare nella povertà dei lavoratori in una settimana, a seguito di una serrata conseguenza di un’epidemia (sul fatto che la serrata sia stata fatta male, ecc, ho già detto sopra)? Era questo che intendevo quando parlavo di un treno che non può fermarsi. E invece la società dovrebbe potersi fermare quando ce n’è bisogno, tutelando tutti. In questo caso, tutelando sia i lavoratori che le persone vulnerabili agli effetti di questo virus, e pure, per dire, i cinesi che vivono all’estero e che sono rimasti bloccati a Wuhan, e che magari hanno perso il permesso di soggiorno, e via dicendo. E invece per come viene affrontato il discorso oggi in generale sembra sempre che si debba sacrificare qualcuno. Ma questa è una scelta politica. Sono politici la scelta di chi sacrificare e l’assunto che si debba sacrificare qualcuno tout court. Quello che sta accadendo potrebbe aprire gli occhi a tante persone, se sappiamo parlarne bene, con sensibilità e senza sminuire le paure, che sono comprensibili.
Già parlarne così come si sta facendo quassù serve, almeno tanto quanto lavarsi le mani. Anche questa modalità di confronto è rallentare, come scrivi tu. Puntare il dito contro le attività di smantellamento del sistema pubblico nazionale, magari passare all’attacco su questo argomento è un modo per rallentare un po’ la corsa del treno.
Rallentare. Rallentare per fermarsi a osservare da diverse angolazioni è necessario.
Nei primi due giorni “sotto ordinanza” le cronache cittadine erano piene di reportage sulla zona universitaria deserta, la desolazione di via Zamboni è stata immortalata in decine di foto circolate sui quotidiani e sui social. In realtà, lunedì sarebbe bastato spostarsi di poche centinaia di metri fino ai Giardini Margherita per rendersi conto che gli studenti si erano di fatto riversati lì, c’era la folla della domenica a primavera. Impossibile girare in bici, le panchine piene di ragazz* che limonavano.
Questo elemento non cancella il generale stato di psicosi pubblica, né riduce la portata dell’ingiunzione alla paura che le direttive regionali rappresentano, né elimina il disagio che la cittadinanza sta vivendo (sopra si è ampiamente accennato al paradosso “scuole chiuse, centri commerciali aperti”). Credo, però, che si confermino alcune delle intuizioni del post, non tutti hanno subito l’imposizione a incasellarsi in celle disciplinari, alcuni hanno praticato spontaneamente forme di disordine: al blocco di uno spazio urbano e di un tempo sociale i corpi hanno reagito indisciplinatamente scartando verso un altro luogo. Bisogna incoraggiare queste pratiche, la vita deve pulsare.
Scusa un appunto su un fatto marginale, ma forse no: in Italia non è che gli ospedali «chiudano», in realtà gli ospedali «aprono per chiudere» e si contorcono come un lombrico tagliato a metà.
Ciò che fanno i responsabili della sanità pubblica in questi ultimi decenni di schifoliberismo è:
1) chiudere i nosocomi nei centri cittadini e spostarli fuori città o almeno ai margini, dove gli anziani (fruitori non proprio marginali) dovranno prendere fantomatiche «navette» o più spesso un taxi per andarci;
2) le sedi storiche (in centro, spesso in luoghi bellissimi un tempo della curia etc), verranno privatizzate o almeno diventeranno wannabe privatizzate, per speculazioni immobiliari varie;
3) i soldi per costruire megastrutture e mandarle avanti sono il vero business; poi se i nuovi ospedali sono troppo grandi si troveranno modi per riempirli (in quelli non troppo fuori mano vengono spediti, o forse deportati, gli studi dei medici di base);
4) nella ridente provincia del «buongoverno» emiliano, nuovi ospedali o megapoliambulatori diventano il pretesto per rompere dei «tabù» sedimentati sulla cementificazione di aree verdi: «eh lo so che su quel parco si era giurato di non costruire mai, ma se è per farci un ospedale allora si può pur mangiare un pezzo di verde, è per un bene superiore…» (intanto.. vedi punto 2)
5) si fanno ospedali «duplicati» a distanza di pochi chilometri per accontentare i signori del cemento e pezzi di elettorato locale, e poi li si lascia marcire, spezzettando e distruggendo i servizi; e infine:
6) dentro quegli ospedali o nuovi megapoliambulatori ci trovi dei servizi privatizzati senza quasi accorgertene, spesso te ne avvedi solo al momento dell’emissione della fattura della prestazione.
Magari quindi «si chiudessero ospedali», sarebbe molto più semplice opporvicisi…
Wolf di ospedali chiusi o ridimensionati ce ne sono eccome in zone rurali e montane. Moltiplicano i disagi che tu descrivi, perché spostarsi di 60 km per una persona anziana non è facile. Con la scusa di un’assistenza specialistica ritenuta più sicura, le chiusure fanno passare il ritorno a una concezione dei pazienti come pezzi inanimati da immagazzinare in attesa di trattamento. Ma come si sa il paziente non è un oggetto avulso da un contesto, da una rete di relazioni e familiarità che influisce eccome sul decorso di una malattia. Per non parlare della possibilità per la famiglia di integrare un’assistenza che il personale sempre più scarso e oberato di lavoro, perché il debito pubblico va tagliato quindi bisogna risparmiare e non assumere nel servizio pubblico, non riesce a dare in maniera adeguata. Un anziano in ospedale magari in qualche modo ci arriva: un parente, spesso donna, che ogni giorno vuole andare a trovarlo, si sobbarca decine e decine di km, o spende cifre impossibili per trasferirsi temporaneamente, o non sa come fare con il lavoro, o non ha più vita se non per quello e l’ospedale.
La chiusura è subdola: tipicamente si comincia con le maternità, perché il tasso di natalità è basso, c’è su solo un neonato, è uno spreco! e poi andare nel capoluogo è più sicuro, i medici fanno più pratica, sono più esperti, tanto se c’è un problema arriva l’elicottero, come il soccorso alpino, se ne vedono sempre, no? ma ecco che stavolta viene da un’altra regione, se è libero, ovvio. Ma siamo sul monte, magari è inverno e c’è una tormenta… Poi si passa a chiudere un reparto dietro l’altro, per tranquillizzare si esclude che venga chiuso chessó ortopedia perché in montagna, zona contadina, incidenti ce ne sono, state tranquilli. Però si smantella tutto il resto. Magari l’ospedale è un gioiello di pulizia, ha spazi ampi, tutti i macchinari nuovi e funzionanti, i parcheggi, la corsa del pullmann per i visitatori, la vista ti spalanca davanti le montagne che solo a guardarle ti senti meglio e respiri, e son quelle che hai visto per tutta la vita, sei ancora a casa e non in una città affocata ed estranea. Hai una rete intorno che assiste non solo te, ma anche chi si occupa di te. Ma viene smantellato poco a poco. Ci si oppone ma ciò a cui ci si oppone è lontano, in una città estranea, e indeterminato. Ti fai 100 km in un giorno per protestare una volta in regione, con gli autobus che già passano quando passano? Quanto duri? Non si capisce cosa vuol dire perché la decisione viene da fuori, è una regola cui obbedire, è strana, foresta…l’ospedale c’era sempre da sempre, cosa vuol dire che non c’è più, ci lasceran mica così ? E invece sì ci lasciano così, la decisione è presa, e viene portata avanti, lentamente, impercettibilmente, inesorabilmente. La presenza delle strutture pubbliche arretra, si ritira come un’onda a partire da là dove meno il processo è visibile, abbandona i luoghi impervi e remoti, ne fa avanguardie nel processo di far ripiombare il nostro mondo a com’era centocinquanta anni fa.
P.S.: paradossalmente questo processo di spoliazione strisciante pare funzionare meglio là dove i servizi pubblici eccellevano e quindi c’era un rapporto di fiducia con le amministrazioni, proprio perché è più difficile per quelle popolazioni realizzare l’idea di essere state abbandonate e sacrificate senza la minima remora alla distruzione decisa altrove di un equilibrio sociale.
Poi magari parliamo di follia e di decadimento morale, quando sono state consapevolmente degradate le condizioni di vita…
Quello che dici è essenzialmente ciò che accennavo al punto 5. Dicevo «non è che si chiudono» perché il processo è sempre più complesso; si oprano piccoli scambi propagandistici, si «specializza» l’assistenza allontanadola etc etc. La «chiusura» è sempre un’«apertura» di altri processi, narrative, servizi (privatizzati, allontanati, esternalizzati…), se non riconosciamo questi processi poi finisce che non scardiniamo quella retorica, secondo me.
Quello che tu descrivi si potrebbe anche riassumere così’: l’importante è tagliare i posti di lavoro stabili nel settore pubblico.
Finché i finanziamenti vanno in lavori appaltati a ditte private; sinché facilitano speculazioni di ogni genere, quête operazioni vengono agevolate con ogni mezzo.
Questo è il senso ultimo di una politica delle strutture sanitarie così’ concepita: finché sono edilizia come un’altra, che fa guadagnare i privati padroni, va bene.
Quando si tratta di finanziare il funzionamento delle strutture così’ realizzate, per cui non puoi fare a meno del personale pubblico, questi ospedali vanno o distrutti, o resi talmente scomodi da utilizzare, o privatizzati sotto banco, al punto di essere inutili e quindi distrutti lo stesso.
Ma il punto è sempre quello: non si devono creare posti di lavoro stabili e dignitosi nel settore pubblico, che magari calmierino un po’ le condizioni del privato.
In questo delirio a reti unificate volevo segnalarvi questo interessante invito del vescovo di Reggio Emilia: https://bologna.repubblica.it/cronaca/2020/02/24/news/coronavirus_vescovi_reggio_emilia-249458321/
continuo a linkare riflessioni su come l’emergenza, più che il virus, ha un impatto su vari soggetti, e nei vari sistemi.
da https://contromaelstrom.com/2020/02/24/il-coronavirus-nella-carceri/
potete leggere la circolare del DAP per fronteggiare il contagio nelle carceri, aka: togliamo qualche altro diritto.
ricordo anche che stanno uscendo notizie in questi giorni su udienze di processi che con la scusa del virus vengono portate avanti tramite videoconferenza, un abominio che da tempo stanno provando a sperimentare e introdurre (cfr La prigione degli sguardi https://www.autistici.org/macerie/?p=30557 )
Interessanti come sempre. Solo un appunto Covid19 è la malattia, e andrebbe con l’articolo femminile, il virus si chiama SARS-Cov-2.
Eh, hai ragione anche tu, solo che in questi casi, quando si utilizzano nel contesto italiano termini che in inglese sono neutri, è sempre un casino la “genderizzazione” forzata. L’acronimo «Covid» sta per «Corona Virus Disease». «Disease» deriva dal francese antico «desaise», che sarebbe poi il nostro «disagio», che in italiano è maschile.
La tendenza a “maschilizzare” il termine deriva probabilmente proprio dall’etimo e dalla sua assonanza con «disagio»: ci sembra che in un certo senso la parola stia “tornando a casa”.
Infatti, «disease» si traduce anche con «malattia», ma spesso con «morbo» – il «Parkinson’s Disease» è il morbo di Parkinson, il «Crohn’s Disease» è il morbo di Crohn, l’«Alzheimer’s Disease» è il morbo di Alzheimer – e a volte con «disturbo» – «heart disease» diventa «disturbo cardiaco» – a volte con «male» ecc.
Insomma, siamo restii a dire: «la disease», viene più spontaneo «il disease». Da qui «il Covid 19».
Mi permetto di segnalare, sul tema della inutilità delle misure coercitive in epidemie, e sulle loro conseguenze sociali, questi articoli con taglio antropologico: https://www.berghahnjournals.com/view/journals/aia/24/2/aia240203.xml e https://journals.plos.org/plosone/article?id=10.1371/journal.pone.0143036.
Articolo splendido, ragazzi. Complimenti davvero e grazie.
Ho appena intercettato questa notizia:
“I cittadini di #Codogno non rispettano la quarantena, a centinaia usano strade secondarie per arrivare a Taccagna, Cascina, Vinzaschina e fare la spesa a Lodi. Così, per tutto il giorno, salgono “evasioni” e ritorni nel focolaio del contagio. È un’inchiesta de la Repubblica.”
Mi è subito venuto in mente “Thirteen to Centaurus” di Ballard.
Segnaliamo quest’intervento di Gianni Cavallini, già direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’A.A.S. Bsssa Friulana-Isontina.
Sul Coronavirus.
Ecco un altro esempio di equazione tossica https://www.ibs.it/virus-grande-sfida-dal-coronavirus-libro-roberto-burioni/e/9788817148856
Il re del blast in uscita col suo libro: Virus la grande sfida. Dal Coronavirus alla Peste: come la scienza può salvare l’umanità.
Buon marketing, perfetta occasione da sfruttare, peccato per il dettaglio: la Peste sarebbe batterica. Ma tranquilli, la scienza ci salverà!
Una persona che conosco ha provato a recensire il libro un giorno fa. La recensione doveva essere messa online in “poche ore”. Sta ancora aspettando.
Ha messo una stella, meritatissima fin dalla copertina — come giustamente scrivi — e dalla descrizione, che contiene una panzanata scientista di questo tenore: «sappiamo che l’unica arma [formidabile] su cui contare è la scienza».
No, la scienza è uno strumento fondamentale ma è solo uno strumento, perfino in un’utopia socialista scientificamente fondata. L’unica arma formidabile su cui contare è la solidarietà.
Mi dispiace ma questa volta devo intervenire per dire di essere piuttosto contrariato dal “taglio” dato.
Chi scrive, forse qualcuno lo ricoderà, partecipò di buon grado su questo blog alla critica del burionesimo prima che si chiamasse così; ma anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno.
Giusto non abbassare la guardia sugli effetti non solo economici ma sociali delle misure “di lockdown”; giustissimo richiamare l’attenzione su chi ne paga di più le conseguenze; giustissimo ricordare che se il sistema sanitario si trova indebolito ad affrontare le emergenze è perché c’è da molto tempo in corso una politica volta a sottrargli risorse.
Ma.
Siamo anche un paese di complottisti e di irresponsabili. Ad esempio andrebbe un minimo anche condannato il comportamento di chi (per quanto la paura sia umanamente comprensibile) fugge dalla zona rossa, mettendo in questo modo a rischio altre categorie “deboli” già ricordate in altri commenti.
Non mi piace per niente qualunque modo di esprimersi che, anche solo tra le righe, tenda a minimizzare la situazione. Il paragone con l’influenza è semplicemente assurdo, e bisognerebbe smetterla una buona volta. Un conto è evitare il panico, un conto è la giusta critica, ma si è anche sempre detto di evitare gli strafalcioni. L’unico studio scientifico serio, al momento, si basa sui primi 72.000 casi registrati in Cina. Da quei dati, risulta una letalità per COVID-19 nettamente maggiore dell’influenza (di 10-20 volte, come già detto da altri). Semplicemente NON è vero sono colpiti solo soggetti anziani e con patologie pregresse (questi sono PIU’ colpiti; e poi, scusate, so che non è il vostro pensiero, ma magari è proprio il modo in cui invece ragiona l’italiota: sarebbe anche parecchio ingiusto un ragionamento del tipo “io sono giovane e allora me ne posso fregare”). E poi è sbagliato pure concentrarsi solo sulla letalità: 15% di casi gravi è un’enormità, tra chi guarisce possono esserci lesioni polmonari permanenti. Non una passeggiata di salute. Sfido a elencare quanti quarantenni conoscete che abbiano avuto bisogno di terapia intensiva per una influenza.
(A margine: da voi, scusate di nuovo, mi aspetto una ragionamento più lucido di “i morti in Italia finora sono anziani”. I dati italiani per ora non hanno valore statistico. Con questi numeri e con così poco tempo trascorso, non è ancora possibile trarre nessuna conclusione significativa. Evitiamo i paralogismi).
Per quanto riguarda le misure contenitive, ci sono senz’altro molte critiche che si possono fare. Argomentazioni come “se i bambini non sono colpiti, che senso ha chiudere le scuole?” però, per quanto apparentemente “sound”, sono errate. I “portatori sani” (dicitura impropria, lo so) possono ben contribuire ad incrementare la diffusione dell’epidemia. Limitare il numero di potenziali “diffusori” del contagio non è quindi a priori insensato.
Il “riassunto” che avete fatto dall’Atlantic mi sembra un po’ parziale. Nel caso della famigerata “spagnola”, diversi studi mostrano che le città che per prime hanno adottato misure “di quarantena” hanno ridotto il numero totale di malati e diluito maggiormente nel tempo l’epidemia (dando quindi modo al sistema sanitario di reggere meglio). Quanto possano essere efficaci nella situazione attuale non la sa nessuno; ma di sicuro non provare nemmeno a contenere l’epidemia non può essere meglio (per l’effetto sanitario; trascuro per un attimo gli effetti economici).
Per finire (che ho già scritto troppo): avete giustamente ricordato che chiudere un luogo di lavoro senza specificare in che stato dovrebbero figurare i lavoratori è assurdo (ferie obbligate? permessi non pagati?). Ma guardate per un attimo la cosa dal punto di vista di chi sia più a rischio di conseguenze serie. (Spoiler: sarò ipocondriaco, ma tra asma e alcune malattie croniche, non mi sento di escludere di farne parte). Secondo voi come dovrebbe tutelarsi? Se anche avesse qualcosa di certificabile, e già certificato, che so, un disturbo cardiovascolare (che è la concausa più dannosa secondo lo studio già citato), vi risulta forse che esista qualcosa come una mutua preventiva?
Quindi scusatemi, ma l’altra faccia delle medaglia della critica alle misure contenitive suona, anche se non lo si vuole, come uno scaricare le conseguenze su chi non può difendersi, non per ragioni economiche in questo caso ma di salute.
Tra l’altro nel paese in cui abbiamo fatto una gran cagnare sui vaccini, sull’immunità di gruppo e su tutelare tramite effetto gregge chi non aveva la possibilità di tutelarsi direttamente. Ecco, a minimizzare questa crisi, stavolta, invece, sembra tanto che la solidarietà sia scomparsa.
Poscritto. Cito dal Manifesto.
L’atteso ritorno della task force inviata dall’Oms in Cina sotto la guida del super-esperto canadese Bruce Aylward, già coordinatore delle operazioni dell’Oms durante l’epidemia di Ebola del 2014-16, ha fornito racconti drammatici, soprattutto in bocca a uno specialista con tanta esperienza. (…)
Da quanto ha potuto appurare la task force, il numero di casi lievi in Cina non è elevato come certe stime suggeriscono. «Non si tratta di un’influenza, è più simile alla Sars»
«Ogni paese deve prepararsi, è come una guerra. Serviranno posti letto per isolare le persone e mettere in quarantena i contatti, respiratori per i casi gravi, mezzi di trasporto, laboratori efficienti».
Aylward ha invitato i governi a prepararsi a uno sforzo sanitario senza precedenti. «Fermare Covid-19 è possibile, ma richiede un intervento aggressivo e duro. Il tempo è tutto: con un’epidemia in crescita esponenziale, rallentare il contagio di tre giorni può fare la differenza. In trent’anni di lavoro non ho mai visto nulla del genere.»
@e.talpa
giuro che non è una domanda provocatoria, davvero vorrei capire cosa stai sostenendo: per favore, mi diresti secondo te CHI starebbero tutelando ordinanze come quella che i wuming descrivono e smontano in questo post? Stanno tutelando i soggetti a rischio? Non pare… Stanno tutelando la popolazione generale? Onestamente non sembra…
Se ho capito bene difendi la scelta di chiudere le scuole per isolare i “portatori sani”, ma questi portatori sani sono in qulunque altro posto, e allora a che serve? i centri commerciali sono pieni di bambini, le aree giochi dei parchi anche, da qualche parte bisogna pure portarli.
E il più delle volte sai a chi sono stati costretti ad affidarli le famiglie con le scuole chiuse per una settimana?
Ai nonni. Chi ce li ha.
Restringere così il mio intervento, tralasciandone ampie porzioni, mi sembra una buona tecnica per sminuirlo, e quindi mi suona un po’ di trappolone.
Sostengo che le misure di quarantena possono tutelare la popolazione in generale e quindi i soggetti più a rischio in particolare.
Questo non vuol dire che io non trovi demenziale affollarsi in un supermercato al posto che in una scuola.
Quasi tutti i paper citati si riferiscono all’inutilità di manovre sugli spostamenti internazionali: leggi è stato inutile e forse anche controproducente impedire i voli diretti con la Cina. Questo non significa che sia inutile tout-court qualunque altro genere di misura contenitiva.
Se volessi provocare come, sì, mi sembra stia facendo tu, reitererei: e allora cosa proponi tu, business as usual e pazienza per i soggetti deboli?!
Aggiunta, visto che si è citato l’Atlantic. Uno dei massimi esperti citati in quel pezzo è Lipstich. Qui ha fatto un recap che mi pare molto pacato
https://threadreaderapp.com/thread/1231425805898657795.html
in cui è cauto lui per primo nel dire che le certezze sono poche. Ma dice anche:
Pandemic flu in 1918 was so severe that it was possible to estimate the impact of control measures by looking at the mortality rates weekly in different cities with different control measures.
Both found that cities with early interventions to close churches/theaters/schools/public gatherings had lower peak epidemics and smaller overall.
How relevant are these to the present? Hard to say. Key things to think about: a) schools. #COVID19 seems to cause confirmed cases more in adults than kids, though kids can be infected. Key to learn whether kids are important for transmission (maybe mild symptoms, but shed virus)
If kids are important for transmission, school closures may help; if not, less so. B. (…)
So there will be arguments in favor of these kinds of countermeasures — sometimes known as social distancing, nonpharmaceutical interventions (a broader class including case-based ones), or informally as quarantine or lockdown.
It is key to remember that these countermeasures have costs.
TL;DR
Queste misure hanno dei costi? Nessuno lo nega. Sono utili? Lo sono state, nel caso presente non si può sapere con certezza. Di sicuro, non si può dire a priori che siano una caxxata.
io non ho “ristretto” niente, è solo che nei tuoi commenti metti insieme senza distinguere l’utilità di una misura IN LINEA DI PRINCIPIO (scusate non so come si fa il corsivo) e invece QUESTE misure che sono state prese in Italia, in questo modo. E secondo me sì, si può già dire tranquillamente (magari non é l’avverbio giusto) che sì, sono cazzate. Sono colabrodi, sono incoerenti e inconsistenti, hanno fatto più confusione che altro e aumentato la psicosi. guardacaso adesso gli stessi che le avevano decise cercano di smarcarsi, e per forza, hanno sfasciato tutto….
E’ poco costruttivo andare avanti a scambiarsi accuse reciproche. E mi spiace pure, perché speravo si potesse esprimere il dissenso mantenendo altri toni. (Concentrarsi su un punto e tralasciare gli altri “n” a me sì, sembra “restringere” il tema).
Se dobbiamo fare polemica a tutti i costi, si potrebbe dire che al contrario la confusione che mi viene imputata magari era già presente, e che non era esplicitata nel pezzo iniziale la distinzione tra _misure di quarantena in linea di principio_ e _queste_ misure di quarantena.
Non c’era mica scritto “le quarantene vanno bene, ma andrebbero fatte così e non cosà”. No, c’era proprio scritto “i lockdown delle zone ad alto rischio aumentavano il numero di contagi e l’estensione dell’epidemia”. Tra l’altro con l’uso dell’indicativo, e con annesso link ad uno studio che, veramente, NON dice questo. Dice piuttosto che il lockdown di una zona potrebbe essere benefico per una comunità ma contemporaneamente peggiorativo per un’altra comunità. Tra l’altro, riferendosi a misure di “mobility restrictions *between* the two communities”, non a misure all’interno della stessa comunità. E il cui abstract si conclude con “The degree to which mobility restrictions increase or decrease the overall epidemic size depends on the level of risk in each community and the characteristics of the disease”. Omettere il “decrease” e riportare solo “increase” mi pare borderline con l’onestà intellettuale. Il che, visto che sono un avido lettore di questo blog e generalmente apprezzo i WuMing in generale, mi ha pure piuttosto sconcertato.
Le misure in atto sono dei colabrodi? Può essere. Dopodiché può essere dovuto a malizia, a incapacità, o a difficoltà oggettive.
La critica al sistema capitalista la condivido appieno. Il problema dei tagli alla sanità è evidente. Dopodiché, poiché anche nel migliore dei mondi utopici le risorse fisiche sono limitate, è ben possibile, direi plausibile, visti i possibili numeri in gioco, che nessun Paese in questi casi potrebbe avere un sistema sanitario così sovradimensionato da poter reggere una simultaneità di ricoveri in terapia intensiva senza dover ricorrere anche ad ALTRI tipi di misure “contenitive”.
Se nel “pezzo” non si propongono misure alternative di contenimento, limitarsi alla (giusta) critica agli attacchi al sistema sanitario, e ad evidenziare le lacune di _queste_, ad un lettore poco attento come il sottoscritto _poteva proprio sembrare_ una critica in linea di principio.
Quindi, visto che il problema ce l’abbiamo qui e ora, e, per quanto giusta la critica, non aumenteremo dall’oggi al domani la capacità dei reparti di terapia intensiva e il personale medico assunto nel sistema sanitario, tu che proponi? Tutti a spasso a far festa, e chissenefrega di anziani e soggetti già debilitati?
Le misure alternative di contenimento non possono prescindere dall’informare adeguatamente i cittadini, in particolare i soggetti più a rischio, affinché evitino certi comportamenti e spostamenti. Questo non si ottiene con la psicosi né con gli energumenti in mimetica. Solo la corretta informazione, unita alla capillarità dell’assistenza e a elementari misure di profilassi nella routine quotidiana di tutti, può prevenire i comportamenti pericolosi.
Come abbiamo già fatto notare, si è fatto più o meno il contrario: si è rovesciata addosso ai soggetti più deboli una disinformazione massiva, martellante, contraddittoria, li si è incitati a tenere i comportamenti più a rischio (affollare i supermercati in cerca di amuchina, ad esempio), non li si è minimamente tutelati con le ordinanze, che hanno incentivato quel che avrebbero dovuto disincentivare e viceversa.
Quanto al paper linkato, visto che ci accusi di malafede nell’averlo presentato come pertinente, prova a immaginare un lockdown lungo la dorsale appenninica o in certe valli alpine o nella zona del Delta del Po, dove può capitare di vivere a 80 km dal primo ospedale e in assenza di presidii sanitari territoriali.
Perché non occorre pensare all’Africa per ipotizzare una situazione simile a quella presa in considerazione da quel paper, in cui la quarantena di una zona ad alto rischio protegge forse chi ne resta fuori – cioè chi è a basso rischio – ma peggiora la situazione dentro – quella di chi è ad alto rischio – a un tale livello che nel complesso l’intera situazione peggiora. Peggiora per vari motivi, perché non si è affrontato il problema a monte, quello di zone più sanitariamente povere (e non solo sanitariamente), perchè comunque i contagi in quella comunità sono aumentati, e perché si è affermato un principio classista.
Come ha scritto Diorama su Bida: «la quarantena da regioni “povere” a regioni “ricche” riduce il contagio nelle regioni “ricche” ma aumenta complessivamente il contagio perché l’aumento nelle regioni “povere” supera la riduzione in quelle “ricche”… mi sembra profilassi di classe: una persona nelle regioni “ricche” vale di più di una nelle regioni “povere”.»
Stiamo scrivendo la seconda puntata del diario e quindi riusciamo a seguire di meno la discussione, quindi andremo a spizzichi e bocconi.
Sulla questione, più volte tornata fuori, che noi avremmo “minimizzato” e scritto una gigantesca cazzata nel passaggio dove parlavamo di sintomi e quadro clinico simili a quelli dell’influenza, di guarigione nella maggior parte dei casi ecc. ripropongo qui quel che abbiamo scritto nel post qui sopra e, subito sotto, quel che ha scritto tre giorni prima di noi il professor Giovanni Maga dell’Istituto di Genetica Molecolare del CNR:
«I pochi morti che il Covid 19 aveva fatto erano quasi tutti over 80 e già debilitati da altre patologie. Probabilmente il virus era già in Italia da settimane, un sacco di gente se l’era già preso ed era guarita, e altri se lo stavano prendendo senza entrare nei radar. Se non eri già messo male di tuo, poteva colpirti duro, ma la superavi. In fondo il quadro clinico era molto simile a quelli delle influenze stagionali […]»
«L’infezione, dai dati epidemiologici oggi disponibili su decine di migliaia di casi, causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80-90% dei casi. Nel 10-15% può svilupparsi una polmonite, il cui decorso è però benigno in assoluta maggioranza. Si calcola che solo il 4% dei pazienti richieda ricovero in terapia intensiva. Il rischio di gravi complicanze aumenta con l’età, e le persone sopra 65 anni e/o con patologie preesistenti o immunodepresse sono ovviamente più a rischio, così come lo sarebbero per l’influenza.»
E non è stato certo l’unico a metterla in questi termini, l’ha messa in questi termini anche la professoressa Gismondo dell’Istituto Sacco, subito attaccata dal King Of Blast Sui Social, e tutti a dire che lei aveva sbagliato il dato, quando poi si è appurato che l’aveva citato giusto.
Questo, va chiarito una volta per tutte, non è un paragone eziologico tra Covid 19 e influenza. È un modo che adottano anche esperti del settore per far comprendere, con un’associazione di idee e in modo chiaro e immediato, cosa può succedere a chi s’ammala.
Che ti devo dire, Enrico, anche il CNR avrà sbagliato “taglio”, come noi.
L’altra cosa è questa:
bisogna finirla di presentare il nostro post come se fosse un’apologia del laissez-faire virologico, non abbiamo detto da nessuna parte che il virus doveva essere lasciato scorrazzare senza controlli o che non si debba mai ricorrere in nessun caso ad alcun tipo di cordone sanitario nemmeno elastico e “light”.
Noi abbiamo fatto notare principalmente che
1) la militarizzazione del territorio nazionale è più spettacolo che altro;
2) le ordinanze di chiusura delle regioni non sono davvero finalizzate alla profilassi e avranno effetti più che negativi sul corpo sociale;
3) quel certo piglio da La città verrà distrutta all’alba di George Romero non aveva pagato prima e non sta pagando nemmeno adesso. Non dal punto di vista di una corretta informazione medico-sanitaria, quantomeno.
Se invece lo guardiamo dal punto di vista dei mercanti di paranoia, beh, in quel senso pagherà.
Ovviamente, non abbiamo mai detto né impicato né pensato che – semplificando – «i deboli e i vecchi possono anche morire», è una stronzata rilevare nel nostro testo il rischio di una deriva così. Quella deriva semmai la implicano ordinanze assurde che, penalizzando soggetti a caso, non tutelano in alcun modo i soggetti più a rischio.
Nota a margine. Se può servire a dimostrare che non è una questione personale… si, secondo la mia modestissima opinione anche il CNR ha sbagliato taglio.
E l’ha “sbagliato”, anche in questo caso, per precise finalità politiche che ben poco hanno a che vedere con l’onestà intellettuale.
Anche fosse (ma preferiamo non argomentare su allusioni perché poi si fa dietrologia), non sono le nostre. E a noi quel “taglio” divulgativo continua a sembrare pertinente.
(Scusate ancora, ci tenevo a dirlo: ho risposto col mio commento sopra delle 9:11 prima di vedere che aveva risposto Roberto qui, altrimenti mi sarei astenuto.
Colgo l’occasione di questo mio ulteriore post per provare ad aggiungere una spiegazione in più per il mio “fastidio”: sembra che nel dibattito le posizioni si polarizzino. Per cui se non si è apocalittici, sembra che si ricada nella posizione contraria, che non ci sia bisogno di fare nulla. Esempio: Ilaria Capua, da PRIMA che ci fossero i casi in Italia, suggeriva alle aziende che ne avessero la possibilità di estendere il telelavoro più possibile. Ora abbiamo i casi in Italia, la mia azienda il telelavoro ce l’avrebbe già come opzione teorica da prima… ma per ora si rifiuta di estenderlo. Nonostante i decreti governativi. Purtroppo, questo tipo di reazione -veramente assurda: non impatta negativamente sulla resa lavorativa, non impatta sulle famiglie come la chiusura delle scuole, sarebbe efficace a costi quasi nulli- sembra dettata anche, almeno a parole, dalla volontà di non alimentare il panico. “Ma gli esperti dicono che è poco più di un’influenza”, e citano il CNR. Ecco, non ce l’ho con voi, ce l’ho con questo comportamento idiota. Quindi mi piacerebbe evitare qualunque argomento che possa tirare acqua a quel mulino lì)
Mi trovo d’accordo con il tuo commento per la grande maggioranza, come anche con le critiche mosse dal post.
Credo che trovare una sintesi tra le due posizioni sia piuttosto facile, anzi, non esiste, a mio parere, la necessità di dividersi in posizioni.
La critica alle ordinanze non è e non deve essere sinonimo di laissez-faire, secondo la logica “sono contrario -> le trovo immotivate”.
E’ un dato di fatto che molte delle applicazioni siano state del tutto irrazionali, volontà degli amministratori di pararsi il culo con la carta velina qualunque cosa succeda e passare al popolo la percezione della sicurezza bloccandolo nelle aree più mediaticamente visibili e tralasciandone colpevolmente tante altre. E’ un “fare qualcosa” a tutti i costi che si traduce inevitabilmente nel fare stronzate, visto anche il calibro dei suddetti amministratori.
Queste misure sono dunque per larga parte irrazionali, come anche il travel-ban più volte citato.
Sarebbe però azzardato affermare che, per queste ragioni, le misure di contenimento semplicemente non servano.
E’ infatti altrettanto un dato di fatto che altre misure prese come ad esempio il triage all’ingresso delle strutture sanitarie (ne cito una che conosco da vicino https://www.fsm.unipi.it/2020/02/25/coronavirus/) siano ben motivate dall’altissima concentrazione di persone a rischio all’interno delle stesse.
Il blocco delle grandi (davvero grandi) manifestazioni (vedasi partite di calcio, carnevale di venezia) sembra al momento anch’esso una misura di contenimento efficace.
Tutto ciò per dire che le posizioni di Wu Ming e di e.talpa non si escludono.
Da ultimo, sulla questione delle fonti autorevoli che da una parte mandano il messaggio fotocopia “è poco più di un’influenza” e dall’altra informazioni molto diverse: è una situazione a mio parere controproducente che genera confusione e sospetto nella popolazione, ma fa anche capire quanto, in realtà, non si sappia esattamente ancora cosa sia e cosa non sia 2019 nCoV e quale sarà il suo impatto effettivo se si riveleranno esatte le predizioni di una diffusione così ampia.
“Depending on how they are done they may infringe civil liberties. But they may also save lives. A key agenda for the coming weeks is to learn as much as we can from populations with high case burdens about what works, what doesn’t, to make better decisions about countermeasures”.
Infatti il triage all’ingresso delle strutture sanitarie è una misura che non abbiamo in alcun modo criticato, perché non è assimilabile ai posti di blocco mediatizzati, alle ordinanze demenziali (che adesso le istituzioni non sanno bene come rimangiarsi), ai lockdown di vaste porzioni di territorio in presenza di un solo tampone positivo non collegabile a focolai noti.
Quest’ultima misura è nero su bianco nel decreto del governo, come fatto notare anche da Agamben. Che sia lì per voglia di controllo orwelliano o semplicemente perché il decreto è scritto col culo in fretta e furia, poco importa. Contano le conseguenze, non le intenzioni. Si tratta dell’ennesimo “decreto sicurezza” che resterà nel nostro ordinamento, sedimentandosi su quelli già in essere. Questo è anche più grave di altri ma è “giustificato” dalla psicosi.
È probabile che quando l’anno prossimo il Covid19, divenuto malanno stagionale, tornerà, le reazioni non saranno spropositate come in questi giorni, ma intanto si sarà introdotta la possibilità di trasformare in zone rosse ampie porzioni di territorio italiano, al cui interno possono essere sospesi diritti elementari, di fatto per la presenza di un solo ammalato.
E magari poi si scopre che era un falso positivo.
Qui il decreto.
Qui le disposizioni attuative.
Non siamo noi a “minimizzare” l’epidemia, sono troppe persone a minimizzare, ma davvero, i precedenti che si stanno stabilendo.
Segnalo:
Lo stato d’eccezione provocato da un’emergenza immotivata
di Giorgio Agamben (ma i titoli sono sempre redazionali).
Alcune veloci considerazioni.
Se lo stato di paura consente lo stato d’eccezione e questo si risolve in una militarizzazione delle zone rosse, come spiegare la nuova geografia del controllo del territorio e l’ordine che ne risultano? Come spiegare che l’esercizio del potere dello Stato consente di non interrompere il flusso di accumulazione ed estrazione tramite la cinturazione di cinquantamila persone?
Per il capitale, Codogno vale Milano? Vò vale Venezia?
Si chiama pacificazione, l’imposizione di un’ordine sociale che favorisce accumulazione ed estrazione e se consideriamo la storia come processo possiamo osservare come l’esercizio dei poteri di polizia e militare combinati costituisca la norma dal 1860 non una “tendenza crescente”.
Guarda, mi sono trovato a discutere in real life con persone che mettevano insieme l’articolo di Agamben e il vostro, secondo me erroneamente. Agamben scrive: “Si direbbe che esaurito il terrorismo come causa di provvedimenti d’eccezione, l’invenzione di un’epidemia possa offrire il pretesto ideale per ampliarli oltre ogni limite.” Parlare di invenzione di epidemia è sbagliato e banalizza il sapere scientifico, offrendo pretesti a complottismi vari. Mi pare sia insomma complementare al burionismo. Il vostro post e la discussione che ne è seguita fanno il contrario di quello che fa Agamben, cioè problematizzano la risposta sociale e politica all’epidemia – senza negarla e senza tirar fuori strumenti concettuali che non sono in grado di cogliere quello che succede.
Guarda, io non sono un “agambeniano”, e non ho problemi a dire che quella parte dell’articolo è sbagliata, ha tagliato con l’accetta in una circostanza in cui bisognerebbe evitare di farlo. Ma è stata importante l’esortazione a leggere il decreto (che è allucinante), sono giuste le righe sul vero e proprio bisogno di paura che si è impossessato di settori della società italiana negli ultimi decenni, e il concetto di «stato d’eccezione», sul quale ha molto scritto, secondo me ci serve eccome.
Lo “stato d’eccezione” va maneggiato con più cautela, soprattutto per descrivere situazioni di intreccio biologico e politico come questa. Per dire, la storia delle malattie epidemiche offre spunti più interessanti, come del resto avete fatto anche voi usando Sorvegliare e punire. Comunque, era solo una nota
Ok, però anche la quarantena come descritta da Foucault era l’instaurazione di uno «stato d’eccezione», la cui funzionalità poi eccedette le finalità immediate, di modo che la possibilità di quella normazione dello spazio e delle vite rimase inscritta nei rapporti di potere, pronta a realizzarsi anche senza la peste. Lo stato d’eccezione serve a stabilire nuove normalità.
Sì, sono d’accordo, anche se Foucault stesso a un certo punto ha riconosciuto che quel tipo di potere inaugurato dalle quarantene era entrato in crisi. Cioè, la dinamica di cui parli ha funzionato storicamente in molti casi, ma non mi sentirei ancora di estendere quel modello di dinamica storica al caso dell’epidemia di coronavirus. Del resto, non che attorno a noi manchino gli esempi di “eccezioni”, per esempio tutte quelle legate al “decoro”, come chi frequenta giap sa bene.
Non so se mi sono spiegato, manterrei ancora un atteggiamento più prudente davanti al dato epidemiologico, cosa che fate e Agamben no.
Senz’altro di fronte al dato epidemiologico bisogna essere cauti, ad ogni modo la continuità proprio tra il dispositivo del «decoro» e le ordinanze di questi giorni a noi sembrano evidenti.
Colgo la palla al balzo per dire questo: si è scritto molto sul fatto che le società disciplinari analizzate da Foucault nei suoi testi su ospedali, manicomi e prigioni sarebbero state «sostituite» dalle società del controllo. In realtà si sono trasformate nelle società del controllo, che hanno integrato gli aspetti disciplinari con nuove procedure.
Oggi il “capitalismo della sorveglianza” si impone non solo con il controllo tecnologico a distanza – per semplificare: Google e Facebook sanno tutto di te – ma anche con restrizioni della libertà di movimento, relegazioni, disciplinamenti apparentemente “old style” e in realtà contemporaneissimi: dai Daspo urbani e consimili provvedimenti alle città pattugliate dalle ronde («controllo di vicinato»), dalle carceri mai così affollate ai CPR, fino alle navi tenute fuori dai porti per settimane e trasformati in sinistre “eterotopie”…
È in questo contesto che i “lockdown” e le misure di questi giorni faranno precedente, aggiungendo strumenti all’armamentario del potere sorvegliante/disciplinare.
Sono senz’altro d’accordo, anzi secondo me Foucault si è proprio sbagliato ad abbandonare il modello disciplinare, che è in ottima forma come si evince in tutti i casi che citi sopra.
La cautela per me deriva dal fatto che storicamente – di fronte a epidemie ben più gravi come la peste e attraverso misure ben più capillari di quelle selettivamente “culturali” di questi giorni – i lockdown hanno effettivamente ritardato la diffusione dei contagi. Rispetto all’epoca di cui parlava Foucault, per esempio nel corso del Settecento, i lockdown si sono fatti progressivamente sempre più “razionali” e più contenuti. Certo, il potere disciplinare ha continuato e continua ad esistere in una miriade di altri luoghi e attraverso un sacco di altre istituzioni, ma ieri come oggi esiste anche indipendentemente dalle misure di contenimento delle epidemie.
Come esiste indipendentemente dalle “emergenze” sull’immigrazione, ma quelle emergenze lo innovano e gli forniscono nuove possibilità. Idem per le campagne sul decoro: il potere sorvegliante/disciplinare esisteva anche prima, ma quelle campagne ne hanno rafforzato la presa. Idem per la risposta teatral/muscolare alle epidemie. Anche quest’ultimo decreto farà precedente.
Segnalo:
Agamben, il coronavirus e lo stato di eccezione
di Davide Grasso.
Niente, ormai siete diventati Agambeniani. Su Contropiano c’è un articolo (per me un pippone illeggibile che ho mollato a metà) che vi dissa ripetutamente, sempre accomunando la vostra posizione a quella di Agamben:
https://contropiano.org/documenti/2020/03/18/paradossi-e-tragedie-del-coronavirus-0125437
Capirai il cazzo che ce ne frega, con quel che sta succedendo, di chi “dissa” o trolla o perde tempo in miseranducole sfide teoriche all’OK Corral.
Avvisiamo chi ancora usa Twitter per seguire le discussioni su Giap che dal primo pomeriggio di ieri, per un problema tecnico con IFTTT, i commenti lasciati sul blog non generano più i consueti tweet automatici. In questo commento sotto il post «Diario virale» ci sono 71 commenti, ma per l’ultima quarantina circa non sono partite le notifiche.
Avvisiamo pure che – sempre per l’ordinanza regionale che chiude solo la cultura mentre tutt’intorno la gente continua a concentrarsi dove le pare, e vieta incontri di trenta persone mentre i centri commerciali fanno 10.000 ingressi al giorno – la presentazione del romanzo del collettivo Joana Karda Le molte vite di Magdalena Valdez, prevista per questo sabato a Bologna, è rinviata a data da destinarsi.
Numero giornate di sforamenti PM10 da inizio anno ad oggi:
Piacenza 34
Parma 29
Reggio Emilia 32
Mirandola 28
Modena 36
Bologna 23
Molinella 21
Ferrara 33
Ravenna 29
Rimini 27
I superamenti di PM10 consentiti in un anno sono 35
https://www.arpae.it/qualita-aria/bollettino-qa/?idlivello=1924
L’assurdità anche letterale delle ordinanze regionali viene tutta fuori anche in questa due giorni in cui il contrordine tassativo, dopo aver creato il panico, è quello di normalizzare la situazione a tutti i costi.
Tralasciando le copertine di libero, anche i messaggi di ieri e di oggi dei vari politici nazionali e locali lasciano imbarazzati. Ma come, quattro giorni fa hai emanato una ordinanza draconiana e dopo 4 giorni dici che ci sono le condizioni per un ritorno alla normalità? delle due l’una: o hai sbagliato il tiro delle ordinanze, ma di autocritica al riguardo non c’è traccia, oppure stai ragionando in termini puramente utilitaristici, allontanandoti dalle ragioni sanitarie sottese alle tue ordinanze, e rivalutando all’improvviso le esigenze del mercato e della produzione che nella fretta di erano sfuggite stranamente di mano.
Non si vede in che modo, ragionando in termini sanitari, la situazione di 4 giorni fa possa essersi modificata rispetto ad oggi.
In entrambi i casi, un disastro. La percezione che questa classe politica, nemmeno tanto segretamente inadeguata a gestire un condominio, di fronte ad una roba come questa si palesi senza filtri, nella sua reale essenza di nulla mischiato col niente.
E’ questo che fa realmente paura. La sensazione di essere in mano a gente che sta lì sostanzialmente per caso.
Mi sembra un post prezioso, che cerca di mettersi nella posizione, senz’altro scomoda, di riconoscere l’evidenza che il nuovo coronavirus esiste ed è molto contagioso, che causa una malattia letale, che sono necessarie misure per fronteggiarlo, ma al tempo stesso che abbiamo non solo il diritto ma per certi versi il dovere civico di esaminare e giudicare il merito delle contromisure imposte dal complesso politico-sanitario-mediatico-militare, sollevando obiezioni, facendo controproposte, chiedendo garanzie. Fino a poche ore fa sembravano bizzarre fissazioni di noialtri bastian contrari, ma adesso tutti si sono messi (in realtà per preoccupazioni di innesco di una recessione) a rimangiarsi ogni dichiarazione degli ultimi giorni e considerare legittima la rimessa in discussione di qualsiasi misura affermando addirittura, come ha fatto Ricciardi, che esagerare nelle contromisure o procedere in modo scoordinato può essere (e cito) «letale».
Inoltre, trovo molto interessante, in contrasto con il solito taglio elitario avuto anche da molti sguardi critici sulla paranoia imperante, che non si dia la colpa al “popolo con torce e forconi”. Nel post infatti si indicano le precise responsabilità degli “esperti” (divulgatori, amministratori, comunicatori, blastatori ecc.) nel creare praticamente dal nulla, nello stesso popolo che spesso sottovaluta i rischi del cambiamento climatico o dell’inquinamento letale a Taranto e in Pianura Padana, sinofobia, allarmismo, paranoia, mode, tic, manipolando le masse in maniera plateale, talvolta addirittura dichiarandolo: il mio incapacissimo sindaco ha fatto uscire un comunicato in cui diceva che si proibiva il carnevale, sebbene non fosse necessario per motivi sanitari (così lui ha scritto! poi invece mi sa che i motivi validi magari c’erano), per tranquillizzare la popolazione. Cioè, ha detto al cittadino: «Ciao scemo, ti preoccupi per nulla, e per non farti preoccupare ti do dei divieti superflui». E questa sembra normale comunicazione istituzionale? Ovviamente, dire questo ha tra l’altro un effetto tutt’altro che tranquillizzante, ma è un gioco che conosciamo.
Vorrei dire anche una cosa specifica sulla questione dei diritti sindacali e politici. Non credo che si possano trattare le riunioni politiche, le assemblee dei lavoratori e gli scioperi con lo stesso approccio degli altri assembramenti. Si tratta di attività speciali, che richiedono garanzie straordinarie anche all’interno di un’emergenza grave.
Il decreto esclude, giustamente, i consigli comunali e le altre riunioni delle istituzioni politiche dalla sospensione obbligatoria; vorrebbe infatti dire, diversamente, che è stata cancellata la repubblica democratica; avete visto anche con quale durezza i presidenti delle regioni si sono opposti a (pur sensate) pretese centralizzatrici del governo nazionale. Ecco, questo è il riconoscimento di un ruolo eccezionale, dal punto di vista del potere, delle assemblee politiche istituzionali.
Dal nostro punto di vista, invece, che è quello di antagonisti del potere, dobbiamo esigere il riconoscimento di un ruolo eccezionale delle istituzioni di contropotere: le manifestazioni e gli scioperi, le riunioni e le assemblee. Ovviamente anche il corteo di uno sciopero può contribuire in minima parte alle probabilità di contagio (anche se va detto che gli scioperi fermano la produzione e i trasporti, quindi probabilmente l’effetto netto è di rallentamento dei contagi). Bisogna avere la forza di dire che è un prezzo che è giusto pagare perché le libertà democratiche di chi “sta in basso” sono troppo preziose e fragili per essere messe sotto naftalina in attesa che passi la tempesta, tempesta che peraltro potrebbe anche non passare mai (se il covid diventa una malattia stagionale come l’influenza). Inoltre, queste libertà democratiche hanno anche un valore nel fronteggiare l’emergenza stessa, perché permettono di ampliare la critica alle contromisure allestite dal potere, individuarne i punti deboli, razionalizzare, negoziare l’optimum tra le esigenze di contenimento/rallentamento/mitigazione/prevenzione/cura del morbo e le numerose altre esigenze che esistono nella società.
Non facciamo l’errore di pensare che il potere politico e la classe dominante non stiano osservando con attenzione come reagiamo a questa situazione emergenziale per poi riapplicare ciò che impareranno anche alle situazioni ordinarie. Per esempio, se tra poco ci sarà una nuova recessione mondiale (che ci sarebbe stata ugualmente) inquadrarla come parte della crisi globale da coronavirus potrebbe tornare parecchio utile ai nostri nemici di classe.
[…] Il testo di Wu Ming con grande intelligenza e capacità critica snocciola questioni importanti e non banali. La chiusura del pezzo “Era necessario forare la membrana di un’informazione ossessionante, porre all’ordine del giorno i problemi di fondo rimossi. Bisognava tornare a vivere e comunicare e lottare, oltre la visione di Burioni che sburioneggiava e di Giovanna Botteri che ansimava, da attrice di filodrammatica, dietro la mascherina. Mentre riflettevamo su tutto questo il sindaco Merola aveva dichiarato: “Bisogna applicare l’ordinanza e non perdere tempo a discutere”” è magistrale, e come tutto l’articolo racconta come il potere agisce oggi anche nell’affrontare parzialmente i temi per non “toccare” il la riproduzione di se stesso, ma non dice cosa si sarebbe dovuto fare adesso, ora che il virus rischia di espandersi. La discussione è l’elemento di opposizione al potere, come scrivevo prima, saper osservare con criticità e critica ciò che viene disposto è fondamentale per costruire l’alternativa. Per questo, davanti ad una anomala e insolita novità, gli schemi logici e politici vanno in tilt, le certezze vacillano, si naviga nel buio, si cerca la luce, e l’osservazione del reale necessità sforzi d’immaginazione freschi, la critica deve essere commisurata e si deve sapere rispondere alla domanda che pose Lenin, “Che fare”? esattamente come se dovessimo essere noi a dover dare una risposta e trovare una soluzione. Oggi forse serve uno sforzo per uscire dagli standard d’analisi. Poi forse avrà ragione chi dice e scrive che attorno al coronavirus si sta giocando una partita da stato d’eccezione, ma se la cosa fosse più complessa e interroga anche noi e i nostri orizzonti? Perché gli stati d’eccezione e di emergenza garantiscono il capitalismo, il blocco totale delle attività per garantire la salute di tutte e tutti no. […]
Riporto a margine della discussione questo articolo:
https://it.businessinsider.com/una-ricerca-del-2015-descrive-la-creazione-di-un-virus-dal-coronavirus-di-pipistrello-un-senatore-usa-la-cina-certifichi-che-2019-ncov-non-e-una-bio-arma/
In sostanza, questa epidemia potrebbe essere stata anche frutto di un errore di laboratorio.
Mah. Bastano e avanzano le cose che succedono nella zootecnia e l’ecocidio in corso per spiegare queste periodiche insorgenze di nuovi virus.
Sì, c’è un grosso mah e anche un grosso meh.
Era giusto per aggiungere un’ulteriore prospettiva. Non so quanto verificata e quanto verificabile.
Ed ecco che, precisa come un orologio svizzero, la burocrazia dei maggiori sindacati si accoda al clima paranoico-autoritario cancellando lo sciopero dei lavoratori della Scuola: https://www.rassegna.it/articoli/scuola-niente-sciopero-il-6-marzo
La motivazione addotta è… il virus. L’assurdità pretestuosa dell’argomentazione è subito evidente se considerate che semmai chiudere le scuole è stato imposto in alcune regioni come la mia (la Lombardia) per rallentare i contagi; può darsi che sia poco utile ma di certo non c’è nessun modo pensabile in cui gli insegnanti in sciopero possano creare un danno sanitario.
Ormai vale tutto, ci diranno pure che ci vogliono i tagli alla Sanità per combattere il virus.
La commissione di garanzia sugli scioperi ha invitato fermamente i sindacati a evitare le astensioni collettive dal lavoro fino al 31 marzo: https://www.cgsse.it/web/guest/visualizza-pdf?uuid=f3bf2d90-1d6d-4c72-9baa-27fa1de417ba&set=
Ringrazio per il post e la proficua discussione, puro ossigeno e ricca di spunti e rimandi esterni. Ne approfitto per linkare l’analisi di Saitta https://www.lavoroculturale.org/corona-virus-oggetto-culturale-politico/ e annotare che relativamente a questo: “un caso a me prossimo, Messina, mostrerebbe per esempio che nell’attimo in cui l’allarme viene recepito e un tavolo tecnico convocato, l’amministrazione non sospende il festival della pignolata, un evento gastronomico che prevede migliaia di partecipanti in spazi relativamente ristretti. Tutto ciò mentre si considera di chiudere invece le scuole” intanto il sindaco ha firmato un’ordinanza di chiusura scuole sabato e lunedì per “disinfezione” (mentre per alcuni organi di stampa il termine è interscambiabile con “disinfestazione”, resto perplessa sul punto).
Una delle cose che più mi stupisce da parte di chi cerca di ridimensionare (o banalizzare?) l’allarme per il coronavirus, creando una narrazione alternativa che di fatto ne fa una questione politica, come fate voi con questo articolo, è che, al contrario, non ha alcun problema a prendere per buono il dato dello 0,1% di morti per le complicazioni dell’influenza, cioè i famosi, fantomatici, e soprattutto presunti 8000 morti l’anno.
Fino a meno di una decina di anni fa, tutti gli addetti ai lavori (da Garattini a Ricciardi e via dicendo) parlavano di decine o al massimo poche centinaia di morti in Italia per influenza. Cioè i dati Istat, che nel giro di 2 anni, guardando le cause di morte, attribuiscono all’influenza un numero che di solito va da 60 a 250 morti. Influenza come causa diretta di morte. Mortalità diretta.
Bene, ora, prima di arrivare alle morti per presunte complicazioni da influenza, cominciamo con il dire che oltre al virus dell’influenza stagionale ci sono altri virus (in che numero? non si sa, non c’è scritto da nessuna parte) simil-para-influenzali che nel loro insieme determinano, secondo stime, più numeri di morti di quello dell’influenza. Perciò se assumiamo 200 morti per influenza in un anno, dato Istat, significa che non sono morti per il singolo virus dell’influenza per cui è stato approntato il vaccino, ma per un numero non precisato di virus influenzali.
Bene, passiamo agli 8000 morti, presunti, per complicazioni da influenza. Questo numero è ricavato da un algoritmo, che nota come le morti giornaliere di inverno siano molto maggiori di quelle d’estate, e perciò alcuni scienziati hanno attribuito all’influenza (che ripeto, non è dovuta a un singolo virus) questo eccesso di morti rispetto a un numero previsto in base ai 5 anni prima. Ne risulta che in pratica tutti i morti per polmonite o motivi cardiorespiratori nei mesi invernali sono considerati morti per complicazioni di influenza.
Gaia Locati nel 2014 ha intervistato Giovanni Rezza dell’Iss:
“-Conferma che sono 8.000 i decessi all’anno dovuti a complicazioni da influenza?
“è un dato Istat: la stima dei morti di malattie cardiorespiratorie nel periodo dell’influenza”.
-Allora, nel conto, ci sono anche i malati di cuore che non hanno preso l’influenza.
“Esatto”
-E, nel conto, ci sono anche le persone che si sono vaccinate ma sono morte d’infarto.
“Esatto”.
http://blog.ilgiornale.it/locati/2014/12/03/morti-per-caso/?repeat=w3tc
In altre parole, nei fantomatici 8000 morti per influenza, quasi tutti per polmonite, ci sono:
-chi è morto per una malattia cardiorespiratoria primitiva (es. polmonite)
-chi è morto per complicazioni da virus influenzabili non dimostrabili
Dovrebbe essere chiaro quindi che i morti per coronavirus, supponiamo siano 12, come stamattina, se anche fossero morti per complicazioni da coronavirus, sarebbero comunque un dato DEL TUTTO DIVERSO DAGLI 8000 PRESUNTI INFLUENZALI, perché
Primo: sono dovuti a un virus singolo, e non a un insieme di virus
Secondo: sono stati verificati, ossia quei 12 pazienti avevano in effetti contratto il coronavirus, ne erano affetti, era stato trovato il virus e/o gli anticorpi specifici.
Al contrario, in quei famosi 8000 per influenza, non si sa nemmeno quanti avessero contratto l’influenza.
Se si capisce questo, e si è seri, e si fanno discorsi dopo aver approfondito bene la questione, si dovrebbe anche capire che è quindi assurdo, privo di ogni logica dire:
-Il virus dell’influenza fa 8000 morti l’anno (0,1%)
– Il coronavirus fa il 2-3% di morti.
Questo confronto, che marca una differenza di un ordine di grandezza (10 alla prima), è come credo di aver dimostrato, infondato, privo di logica.
Per questo motivo, Burioni, che in questo articolo viene bistrattato, è stato l’unico che ha cercato con veemenza di opporsi allo sfogo senza senso e basato su dati errati della Gismondo del Sacco, che parlava vagamente di follia, e che poi attribuiva all’influenza 217 morti al giorno, basandosi su un numero trovato sul sito istituzionale Epicentro-Iss, che aveva il torto di fare articoli equivoci, con dati confusi, tali appunto che chi leggeva poteva in effetti pensare che morissero di influenza 217 persone al giorno. Questa incompetenza dei siti istituzionali, unita allo sfogo della Gismondo divenuto…. virale… ha creato una disinformazione enorme, che anche grazie a Burioni è stata in parte arginata, infatti il sito Epicentro-Iss ha dovuto correggere e spiegare che quei 217 sono morti totali.
(Peraltro, 217 morti giornalieri per 3 mesi invernali fanno: 217 x 90= 19’530 morti, un po’ troppi anche per il numero gonfiato delle complicazioni da influenza)
Burioni è stato l’unico finora ad attribuire alla influenza (alle varie forme influenzali, dovute a tanti virus) il numero di morti accertati: ha parlato di 0,001%, che corrisponde a un numero intorno al 100 all’anno, numero corretto per ordine di grandezza.
Invece noi ogni anno sentiamo parlare di 8000 morti per complicazioni da influenza, sia quando l’influenza colpisce 6 milioni sia quando ne colpisce 12, sia quando nei mesi invernali c’è un eccesso di mortilità, sia quando, come nel 2013-14, si è verificato un difetto rispetto alle morti preventivate. Che senso ha?
A mio parere nessuno.
Così come non ha nessun senso voler ridicolizzare, banalizzare gli effetti del coronavirus paragonandolo all’influenza.
Al momento sappiamo (e mi limito a fare il mio lavoro, usare il cervello, e attenermi ai numeri italiani di ieri):
– Circa l’80% ha sintomi lievi
– Circa il 15% si prende polmonite
– Circa il 10% finisce in terapia intensiva
– Circa il 3% muore.
Questi dati sono i dati di una possibile pandemia, che richiede ogni tipo di misura di prevenzione e isolamento. Anche un giovane può finire in rianimazione, come il paziente 1, 38 anni, e gli over 65 o over 80 hanno una letalità che si aggira intorno al 5-10%, quindi rischieremmo di avere, con 5-10 milioni di contagiati, come nel caso delle forme influenzali (cosa realistica, se non si attuano le quarantene e le misure massime di prevenzione), circa 200 000 o 300 000 morti, e il fatto che sarebbero quasi tutti anziani non mi sembra un buon motivo per ridimensionare la questione: io perderei molti familiari e amici cari (che non hanno mai temuto l’influenza), e rischieremmo di avere e il collasso del sistema sanitario (e quindi economico), che da quel che leggo ha al massimo 5000 posti di terapia intensiva. Ognuno di noi avrebbe in media una probabilità su 5 di avere una malattia grave, per quanto poi di buon esito.
Mi sembra evidente che in questo momento evitare la pandemia sia la priorità, del resto non sarà certo fatta ora o nei prossimi mesi una legge sulla sanità pubblica, né sarà ridiscussa la sanità lombarda, che si basa ormai quasi in modo determinante sulla sanità privata.
Peccato però che di questa priorità non vi sia ombra nel vostro articolo, anzi, semmai sono presenti discorsi che cercano di negarla.
Non è che calcolare l’eccesso di morti sia sbagliato eh, sì fa così perché costa di meno.
I 200 morti annuali sono sottostimati perché l’influenza è da notificare obbligatoriamente solo una volta che si fa l’isolamento virale e questa analisi non si fa molto spesso.
Ormai pensare al solo contenimento “per evitare la pandemia” è insensato. Nell’impossibilità di raddoppiare i ventilatori entro una settimana, si dovrebbe rafforzare la prevenzione dentro gli ospedali, anche quelli piccoli. In Cina ci sono stati tantissimi operatori sanitari contagiati e là si bardavano più che qua da noi.
Sul resto sono molto d’accordo e vorrei aggiungere altre cose:
1) Burioni, pur con il suo stile pessimo e trattando i suoi stessi colleghi come immondizia, è stato uno dei pochi che ha giustamente rigettato ogni banale comparazione con l’influenza. Devo dire che anche Capua fino a un paio di giorni fa ha avuto solo buone previsioni (una settimana prima che si scoprissero i casi in Lombardia chiedeva che ci si preparasse per mitigare al meglio). Noto che però praticamente tutti ora stanno cercando di minimizzare, anche chi prima aveva preso zero granchi.
3) L’altro grande problema che concerne questo nuovo virus è che, a differenza dell’influenza stagionale, nessuno l’ha mai preso prima d’ora. A differenza dell’influenza stagionale, per cui c’è sempre qualcuno immunizzato o immunizzato a metà, qua siamo tutti potenzialmente contagiabili. Pur con un tasso di mortalità uguale a quello dell’influenza stagionale provocherebbe non pochi problemi.
Premessa sono un medico non infettivologo con qualche esperienza in biostatistica.
Alcune perplessità:
Limitandoti ad “usare il cervello” hai dimenticato di citare le fonti delle percentuali sul coronavirus. La bibliografia è un parametro che permette a chiunque di giudicare i dati che sostengono una teoria, in modo tale da verificarne la veridicità. Sorvolando sul tema citazioni, metodologicamente è sempre fondamentale capire, quando si fornisce una percentuale cruda, come hai fatto tu sul coronavirus, di che popolazione si sta parlando (periodo di tempo osservazionale, range di età del campione, caratteristiche generali riguardanti comorbidità).
Quando citi le percentuali delle complicanze sarebbe inoltre utile capire la definizione di polmonite (diagnosi radiologica, su base sintomatologia, necessità di ricovero in ospedale, l’insieme di tutto?) e se esistono dei fattori di distorsione sulla mortalità (erano tutti affetti da qualche comorbidità?) senza accennare al rapporto tra malattia e decesso (i pazienti affetti sono deceduti per il coronavirus o il coronavirus è stato un fattore precipitante o addirittura una diagnosi occasionale).
Altro fattore confondente: anche a voler prendere per buone le tue percentuali, senza conoscere da dove provengono è difficilissimo capire se sono sovrastimate o meno. Ad esempio se il periodo di tempo dell’osservazione è troppo limitato (siamo certi che l’infezione abbia come tempo zero la diagnosi sul primo paziente, o è probabile che il virus fosse già presente prima e misconosciuto) si rischia di sovrastimare i casi con complicanze.
La biostatistica non è un’arte divinatoria, se ammetti una certo tasso di mortalità, questa è niente di più di una fotografia attuale. Evocare centinaia di migliaia di morti rientra nella sceneggiatura di un film buono per Hollywood non nella scienza.
Gli studi osservazionali non servono a vaticinare sciagure ed a seminare isteria, servono, attraverso l’identificazione di fattori di rischio e di categorie a rischio, ad indirizzare l’utilizzo delle risorse (economiche ed umane) verso certi provvedimenti (medici e non sociali) che possano ridurre le conseguenze più gravi. Un esempio per tutti l’individuazione del fumo come fattore di rischio per lo sviluppo di tumori ha permesso di ridurre la mortalità.
Un consiglio, valido universalmente, quando dalle opinioni si vuole passare alle teorie scientifiche, usando percentuali e compagnia bella, il metodo scientifico (ipotesi, obiettivo della ricerca, metodologia, risultati e commenti) è tutto.
Francamente trovo questo tono (@Koba) aggressivo e sconfinante nel burionesimo. Da “il metodo scientifico è tutto” a “la scienza non è democratica” il passo mi sembra troppo breve.
Nel merito, trovo che le obiezioni poste, che in linea di principio sarebbero forse valide per un paper scientifico, siano del tutto fuori luogo in questo caso.
Il contesto di cui si discute è differente; si devono prendere delle decisioni, il tempo di reazione è importante. Si dovrà quindi cercare di fare delle scelte basate sulle migliori conoscenze, ma tendenzialmente NON si potrà aspettare di avere studi “perfetti”, perché intanto la situazione evolve, e banali principi di prudenza ricordano che a lasciar passare il tempo si rischia che poi sia troppo tardi per chiudere la stalla dopo che i buoi saranno scappati.
Il che secondo me vale non solo per l’epidemia in questione, ma in generale. Esempio: mentre aspettiamo che di poter dimostrare che ci sia correlazione statistica tra amianto e tumori, continuiamo pure ad usarlo. Il ragionamento esposto qui sopra mi pare dello stesso tenore.
Abbiamo dati insufficienti per poter fare valutazioni precise e dettagliate? non è un motivo valido per far finta di nulla. Soprattutto visto che la tendenza grezza qualcosa dice ed è allarmante: per ora in Italia i numeri sembrerebbero pure più preoccupanti che in Cina, se presi “ingenuamente”… ma alla data, non c’è modo “meno ingenuo” di trattarli, e proporre di ignorarli del tutto non mi sembra affatto più scientifico.
In realtà L. Galbiati é stato ripagato con la sua stessa moneta, é lui a essere venuto qui con tono aggressivo e burionesimo (lo ha pure ammesso…) con l’atteggiamento di chi arriva a rimettere in riga i digiuni di scienza. e invece in base agli stessi criteri che lui ha sventolato, il suo stesso commento era pressapochista…. mi ha ricordato Burioni che mette i puntini sulle i agli altri poi mette la peste nel sottotitolo del suo libro intitolato “Virus”. comunque la cosa più inaccettabile del commento di Galbiati per me era un’altra, la pretesa che su quest’emergenza non vengano fatti discorsi politici, niente politica, siete ideologici é il solito mantra,ma cosa c’é di più politico delle decisioni che un governo deve prendere? non sono poltiici i decreti di questi giorni? non é politico decidere cosa fare o non fare per la sanità e su come “stimolare” l’economia?
Mai sostenuto che la “scienza non è democratica”, al massimo le mie conoscenze mi permettono un’analisi delle statistiche mediche, gap che può essere colmato da chiunque, visto che per leggere un libro di introduzione alla biostatistica basta la conoscenza della matematica e non della medicina.
Se l’ombrello sotto cui si elevano a teorie opinioni catastrofiche, che non aggiungono niente al ragionamento sul problema salvo alimentare l’isteria collettiva, è quello del “ce lo dicono le percentuali”, la soluzione non è ribattere con tono banalizzante, ma smontare l’origine di quelle stesse percentuali, su cui si basano quelle opinioni; e quindi si faccio obiezioni da paper scientifico.
Sono d’accordo che vadano prese delle decisioni, temporeggiare in attesa dell’evidenza scientifica non è una scelta che paga. Criticare le scelte politiche (militarizzazione, riduzione del diritto di sciopero per citarne due a caso), smascherando il ragionamento emergenziale che si poggia anche su percentuali non significa invitare a fare finta di nulla. Piuttosto è un invito a non accettare ingenuamente ogni soluzione che ci viene propinata perchè “tanto qualcosa va pur fatto”.
«Quando dalle opinioni si vuole passare alle teorie scientifiche […], il metodo scientifico […] è tutto» è un argomento quasi lapalissiano. Forse alla lettera non è proprio tutto tutto, ma non serve una persona esperta di ermeneutica per riconoscere cosa Koba intendesse, e cioè che non c’è teoria scientifica senza metodo scientifico per costruzione. Si obietterà che anche questa “costruzione” è inficiata da premesse epistemologiche (ma va’?!). Bene: parliamone.
Il punto però è che non ha invertito i termini nella premessa, e cioè non ha scritto «quando dalle teorie scientifiche si vuole passare alle opinioni, il metodo scientifico è tutto». In tal caso sarebbe stato “burionesimo” — o raziosuprematismo, visto che i Burioni passano più facilmente del concetto.
Quindi grazie Koba per la pazienza e lo sbatti. Se ci mandi qualche dritta più sistemata su come si legge la letteratura scientifica te ne saremo grat*.
Una testimonianza da telespettatore come contributo alla riflessione.
Ieri ero curioso di vedere la trasmissione “Atlantide”, in prima serata su LA7, che si annunciava dedicata all’approfondimento della vicenda COVID-19. Fino a quel momento avevo tre cose ben chiare.
1. Tutti i virologi che avevo sentito parlare dicevano, dal punto di vista sanitario, la stessa cosa. Ossia che il problema di questo virus non sta nella gravità, ma nella rapidità di diffusione e nella novità, la quale ci coglie a corto di anticorpi e senza vaccini.
2. Fra tutti i virologi che avevo sentito parlare non ce n’erano forse due d’accordo sugli aspetti politici e mediatici. Si andava dall’invocare una sorta di governo tecnico sanitario-militare a cui affidare la gestione dell’emergenza, al mettere al primo posto il “no panic”.
3. La stragrande maggioranza delle persone che incontravo o che leggevo in rete sostituivano il confronto/tentativo di comprensione/ricerca di informazioni sui fenomeni sanitari, socio-economici, psicologici, politici e culturali in corso con discussioni sui personaggi di turno e sulle ipotesi onniesplicative buone per tutte le stagioni e ciclicamente riproposte con sommo sprezzo della logica e del ridicolo: Burioni sì-Burioni no, ha ragione Conte vs ha ragione Salvini, la solita inefficienza italiana, i tedeschi e i francesi ce l’hanno con noi, è colpa dei cinesi, è colpa degli americani che hanno voluto colpire i cinesi, il corona virus è stato creato in laboratorio, il corona virus non esiste… il risultato era che al personaggio Burioni rispondeva il personaggio Sgarbi e tarallucci e vino si sprecavano al refrigerium presso il feretro della ragione.
Il resto era dubbio, curiosità e qualche conferma.
Conferme sulla devastazione prodotta dallo smantellamento della sanità pubblica. Ma anche della scuola pubblica, perché se “non fa più morti di un’influenza”, detto da una virologa all’interno di un discorso contestualizzante, viene decontestualizzato e interpretato in senso letterale e assoluto, siamo di fronte a una generalizzata difficoltà di decodifica dei messaggi complessi che non è affatto priva di connessioni con il modo in cui è organizzata e gestita la formazione.
Nel medesimo solco, la trentennale demonizzazione della “partitocrazia” come male assoluto. Un tormentone ideologico che ha accompagnato un passaggio epocale. C’era una politica strapiena di catastrofici difetti, ma bene o male partecipata, gestita da associazioni di cittadini che facevano politica 365 all’anno in tutti i settori della società e all’interno delle quali si potevano vivere una formazione politica teorica e pratica, il confronto e la discussione. Oggi ci sono cartelli elettorali che vivono settimanalmente per la durata di un talk show, alla ricerca di testimonial mediatici eufemisticamente definiti “leader” o “capi politici”. Autentici fantocci scelti fra candidati che di formazione politica possono anche averne quanto un comodino ed eletti in ridicoli cerimoniali parademocratici con i voti di chi non sarà poi minimamente vincolato alla linea politica stabilita, perché quella politica agita capillarmente nel Paese 365 all’anno non esiste più. E sono quei fantocci a occupare Parlamento e Governo per gestire le briciole, fatte per lo più di ordine pubblico e amministrazione spicciola, lasciate loro da centri sovrastatali che vanno avanti con piloti automatici legati agli interessi di capitali transnazionali.
Infine, lo scempio del mondo dell’informazione, su cui non mi dilungo perché è forse il più evidente.
Ecco perché ero curioso di vedere quel programma. Perché era annunciato come un approfondimento ampio e mirato, condotto da un giornalista che, su alcuni temi, aveva realizzato dei reportages che mi erano sembrati non banali. Il titolo, “Sindrome cinese”, non prometteva nulla di buono, ma io non ci avevo fatto caso, l’ho notato in seguito.
Dunque mi metto davanti al video.
La serata si apre con una lunga intervista al filosofo Umberto Galimberti, che ovviamente, date le sue prerogative, incentra la riflessione non sul virus ma sul nostro modo di reagire emotivamente alla sua comparsa in Italia. Sono un po’ perplesso, perché mi aspettavo una descrizione di ciò che è questo virus e di come si sta propagando, e semmai dopo un’analisi degli effetti psicologici ed emotivi su di noi. Ma ascolto con interesse Galimberti. In buona sostanza la sua argomentazione è la seguente. La paura è una reazione sana e razionale, perché causata da un pericolo concreto, determinato, individuabile e prevedibile: prima di attraversare la strada controllo il traffico perché ho paura che un’automobile mi possa investire. Ciò che starebbero provando attualmente i cittadini italiani non è paura, ma angoscia: una reazione che di razionale non ha alcunché, generata da una causa indeterminata (perché questo virus è ancora in gran parte sconosciuto) e imprevedibile (perché un virus non si sa mai quando e chi colpirà o che precise conseguenze avrà, e perché ancora non esistono vaccino e profilassi specifica). E naturalmente tale angoscia sarebbe del tutto giustificata, perché le caratteristiche di COVID-19 sono esattamente quelle descritte. I governi degli altri paesi europei, invece, ingannando le rispettive popolazioni, avrebbero subdolamente “trasformato l’angoscia in paura”, additando gli italiani come untori e facendo del pericolo qualcosa di determinato e prevedibile: blocca il mangiaspaghetti e avrai bloccato il virus.
Concluso il preambolo psicologico, immagino che il successivo spezzone del programma cominci a spiegare che cosa sia questo virus genera-angoscia.
In effetti, l’intervistato seguente è un infermiere.
“Strano” penso “Mi sarei aspettato un medico o un virologo a fornire chiarimenti”. Poi mi dico che forse è una reazione un po’ snob e che io non so niente sui virus e su che cosa possa saperne o non saperne un infermiere, e mi dispongo ad ascoltare con interesse per la seconda volta.
La perplessità cresce mentre realizzo che l’infermiere non è intervistato in quanto infermiere, ma in quanto paziente. E non di COVID-19. L’uomo fu protagonista due anni fa di un caso celebre. Andato in Sierra Leone con Emergency, contrasse il virus Ebola e, rientrato in Italia, venne guarito allo Spallanzani. L’intera sua testimonianza non è che una celebrazione della generosità dell’italiana Emergency che gli ha consentito di andare ad aiutare gli africani, del personale medico e infermieristico italiano dell’italiana Sassari che gli ha prestato i primi soccorsi, dell’aeronautica militare italiana che l’ha trasferito da Sassari a Roma, dell’équipe italiana dell’italiano Spallanzani che l’ha guarito. Si chiude con una lode delle autorità governative italiane che stanno affrontando questa emergenza del corona virus e “nelle quali ho piena fiducia”. In tutto ciò, il conduttore del programma interviene soltanto per ricordare che lo Spallanzani è quell’ospedale italiano in cui sono stati guariti due cinesi che avevano contratto il nuovo virus. L’episodio viene enfatizzato come se si trattasse degli unici due casi di guarigione da COVID-19 a livello mondiale.
A questo punto la perplessità ha cominciato a trasformarsi in qualcosa d’altro, ma di ancora indefinibile… come le cause dell’angoscia.
Proseguo la visione.
Il terzo spezzone so già che non descriverà il virus che circola per l’Italia, perché è il conduttore stesso ad annunciare che servirà a farci capire “quando è che un’epidemia si trasforma in pandemia”.
Si tratta di una carrellata che ripercorre le più celebri patologie ad ampia diffusione comparse e propagatesi negli ultimi vent’anni, dalla SARS all’Ebola passando per l’influenza suina. La conclusione è qualcosa tra l’apocalittico e la sentenza inappellabile: nella nostra epoca di interconnessione globale i virus sono il Nemico, che non si sa chi, dove o quando colpirà, ma colpirà; e chiunque venga colpito, in qualunque parte del mondo, siamo tutti colpiti. Unica speranza: la solidarietà nazionale e internazionale.
Il quarto spezzone viene annunciato con queste parole: “È arrivato il momento di trsasferirci là dove tutto ha avuto inizio”.
Segue una lunga descrizione della Cina come dittatura amica di dittature, nemica dei diritti umani e della democrazia, covo di corrotti e disuguaglianze sociali “maggiori che in occidente”, patria di oppressione, autoritarismo, totalitarismo che ambisce a dominare il mondo. Insomma, l’opposto della solidarietà indispensabile contro il Nemico. Tutto ciò viene spiegato, oltre che dalla voce fuori campo del conduttore del programma, da vari intervistati, qualificati ora come “politologi”, ora come “scrittori”, ora come “esperti di diritti umani” (sic!) e così via.
Quando anche il quarto spezzone termina, è mezzanotte, ho sonno, vado a dormire. Come probabilmente avrà fatto una buona parte del pubblico, perché dubito che programmi del genere tocchino il picco di ascolti in terza serata.
Dunque il telespettatore medio che si è sintonizzato su quel programma, presumibilmente per saperne di più su COVID-19, che cosa ha ricavato?
In termini di conoscenze sul suddetto virus, assolutamente nulla. In compenso, ora sa che farebbe bene a essere angosciato perché sul suo capo pende un’implacabile e imprevedibile spada di Damocle, contro la quale l’unico rimedio sarebbe la solidarietà. Purtroppo, siamo circondati da paesi che a questa solidarietà preferiscono l’egoistica accusa contro di noi per tranquillizzare le loro popolazioni. E il meno solidale di tutti è proprio il paese da cui “tutto ha avuto inizio”, il quale sprizza da ogni poro un’intrinseca natura che dell’attitudine alla solidarietà è l’esatto opposto. Per fortuna c’è un’isola felice: l’Italia. Qui ci sono autorità in cui si deve avere “piena fiducia”, forze militari al servizio della salute dei cittadini, medici e infermieri eccezionali che partono per l’Africa ad aiutare le popolazioni colpite dall’Ebola a rischio della propria vita, ospedali in cui si risponde all’egoismo della Cina riuscendo miracolosamente a far guarire due suoi cittadini dal virus di cui lei è responsabile.
Insomma, il male assoluto sta per dominare il mondo sotto le mentite spoglie di imprevedibili virus e di un paese asiatico, ma niente paura: l’Italia è la patria della solidarietà universale.
Se farete una seconda parte sarebbe interessante approfondire il discorso sull’origine del virus negli allevamenti industriali. Mi ero sempre chiesta perché l’influenza venisse proprio dalla Cina. A meno di non ricorrere a un pregiudizio razzista nei confronti dei Cinesi perché proprio lì’? L’ipotesi degli allevamenti sarebbe una spiegazione da approfondire.
Quanto alla tutela dei diritti in fase di emergenza, vera o procurata che sia: è assurdo rinunciare allo sciopero, ma cosa dovremmo aspettarci da sindacati che dovrebbero solo perdere il diritto a definirsi tali, dopo essere andati a manifestare con Confindustria?
https://www.repubblica.it/economia/2019/02/09/news/sindacati_cgil_cisl_uil_in_piazza_confindustria_roma_200_mila-218721930/
Se c’è in giro un virus letale oggi è quello.
Cio’ posto, e dando per scontato che le misure adottate oggi sono uno scadente impasto di inutilità pratica, incapacità politica e abilità propagandistica, non sarei così’ convinta che in ogni caso sia positivo riunirsi: arrivasse un’epidemia di Ebola, o di qualsiasi cosa fosse altrettanto aggressiva e mortale, forse la cosa migliore sarebbe evitare i contatti. Altrimenti si finisce per riproporre una logica religiosa, con la manifestazione al posto della processione, e forse non è esattamente l’approccio di cui ci sarebbe bisogno.
Infine la riflessione più stimolante per me viene da Adrianaaaa: alle giaculatorie dei padroni che piangono miseria siamo abituati, ma che basti una settimana a casa per ridurre in povertà chi lavora è intollerabile e va capito come si sia arrivati a tanto. E si’ bisogna saper tutelare tutti; e l’idea che qualcuno vada sacrificato è ovviamente una scelta politica.
Il diritto di riunione sa
Il diritto di riunione sa…? Hai perso un pezzo. :)
L’esempio però è sbagliato: Ebola non si trasmette per via aerea, ma per contatto diretto col sangue o coi fluidi corporei di un ammalato – saliva, muco, sperma, latte materno ecc. –, e quest’ultimo è contagioso solo dopo che ha cominciato ad avere sintomi, non durante l’incubazione. In realtà ammalarsi di Ebola è molto difficile, e nemmeno durante un’epidema un corteo sindacale sarebbe una situazione particolarmente a rischio.
Riguardo gli allevamenti intensivi
https://monthlyreview.org/product/big_farms_make_big_flu/
Mi pare opportuno condividere questo link, perché mi sembra rispondere bene alla prima domanda de La dea del sicomoro. Per questo lo metto qui e non nella seconda parte, sebbene anche lì AlexJC chiamasse in causa gli “scienziati”. Si tratta di un articolo comparso sul blog della Società Chimica Italiana, ad opera di Claudio Della Volpe. Di seguito trovate un breve riassunto e link, buona lettura.
Coronavirus e i limiti della crescita
L’epidemia di coronavirus in corso non è un problema di chimica, ma origina
dal nostro rapporto con la Natura; certo spillover ce ne saranno sempre, ma
quanto tutto ciò è influenzato dal nostro rapporto di dominio e di crescita
illimitata ai danni dell’ambiente naturale?
https://wp.me/p2TDDv-4rL
“Mai come oggi abbiamo visto con tanta chiarezza attori politici svolgere funzioni sistemiche, oggettive, delle quali non sono pienamente consci, presi come sono dallo sforzo di sgavagnarsela in qualche modo sul breve termine.
Primo intervento su Giap, big leap for me!
Riguardo al cambio di toni nella narrazione (o knee-jerking/gambe alla giacomo giacomo)credo ci sia un dettaglio tecnologico che vale la pena considerare: mi riferisco ai cosidetti high-frequency traders (https://it.wikipedia.org/wiki/High-frequency_trading) o investimenti quantistici, algoritmi che solo negli USA controllano ormai quasi l’80% degli scambi di mercato e che agiscono, indipendentemente ed automaticamente, in tempi brevissimi (millisecondi)in base ad analisi statistiche ed elaborazioni, tra l’altro, anche del linguaggio umano. Con conseguenze dirette e potenzialmente catastrofiche sulle economie.
Tra poco pubblicheremo la seconda puntata del «Diario virale».
[…] non mi dilungo oltre su questi aspetti, perché c’è già chi lo ha fatto con lucidità e solide argomentazioni, a cui mi limito ad […]
[…] la prima puntata del nostro Diario virale, avevamo ricevuto decine di racconti, testimonianze, aneddoti sullo sfascio che l’ordinanza […]
Attenzione: per non creare due diversi tronconi di discussione che proseguano indipendentemente l’uno dall’altro con effetto dispersivo, chiediamo di lasciare i nuovi commenti in calce alla seconda puntata del Diario virale.
Qui comunque non chiudiamo i commenti, per consentire repliche dirette a quelli già scritti, ma per favore, limitiamoci a quelli.
Grazie in anticipo.
[…] per le ricadute sul quotidiano di tutti noi, come quelle svolte in questi giorni dai Wu Ming, qui e qui e sapientemente arricchite dal sempre attento commentarium dei giapsters. Ben venga anche […]
Diario viral: los días del coronavirus en Bolonia (22-25 de febrero de 2020)
Ringraziamo per la traduzione, segnalando però che il testo non è di «Wu Ming 1», che è il nome d’arte di un solo membro del collettivo, ma di «Wu Ming». Il Diario virale è scritto dall’intera band, tutti i membri condividono appunti e spunti, che poi vengono montati e sistemati.
Unire ciò che sembra diviso. Credo che quello che sta succedendo nelle nostre città non possa essere letto separatamente da quello che sta succedendo al confine tra unione europea e turchia, con la polizia greca che spara addosso ai rifugiati siriani in fuga dai soldati e dagli squadristi di erdogan. Lascio qua l’appunto di questa sensazione, da sviluppare in seguito, forse.
[…] Ne segnalerò alcune, per inquadrare meglio il discorso, iniziando dal Diario virale dei Wu Ming (prima parte – seconda parte) il cui immenso valore aggiunto sta nella ricchezza e nella qualità dei commenti […]
[…] Wu Ming [Prima puntata, 23-25 febbraio – Seconda puntata, 26-29 […]
[…] Detto questo Sgarbi (che è anche un parlamentare) ha in corso un processo per le sue esternazioni pubbliche in merito alle misure prese dal governo: “notizie false, esagerate e tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico (Art. 656 del Codice Penale), Istigazione a disobbedire alle leggi (Art. 415 c.p.) e Istigazione a delinquere (Art. 414 c.p.).
Il PTS (patto trasversale per la scienza) ha inoltre richiesto di adottare ogni provvedimento volto a oscurare o sequestrare il sito web e i canali social del critico d’arte. “Oscurare e sequestrare”. Bah. […]
[…] Bukowski, articolo interessante e pieno di spunti di riflessione almeno quanto le tre puntate del Diario virale di Wu […]
«Le mascherine erano pantomima», scrivemmo all’inizio di questa prima puntata del nostro “Diario Virale”. Sarà anche “invecchiata male”, come sostiene qualcuno, ma quell’affermazione è sempre più vera, insieme a tante altre misure che hanno una funzione molto più spettacolare che di contenimento dell’epidemia. Oggi la Regione Emilia-Romagna annuncia la distribuzione gratuita, al pueblo, di un milione di mascherine chirurgiche. Ovvero quei dispositivi monouso che la stessa OMS suggerisce di riservare ai sanitari, visto che vanno indossate correttamente e gettate dopo un solo utilizzo. Per di più, invece di distribuirle nelle fabbriche «essenziali» ancora aperte, o all’ingresso dei supermercati, per chi va a fare la spesa, si sceglie di farlo attraverso i tabaccai e le farmacie. Queste ultime sono luoghi che già faticano a evitare l’affollamento, da giorni sotto stress per le continue richieste, dove chi lavora rischia il contagio. Poi però il problema sono gli «assembramenti» nel Quadrilatero, dei quali il sindaco Merola dice che “non vanno bene”, dimenticando che l’ultimo, gigantesco affollamento bolognese l’ha istigato proprio un suo assessore, il 29 febbraio, con la disorganizzatissima distribuzione gratuita della Card Cultura. Si vede che la Regione intende ripetere un simile exploit, probabilmente allo scopo di poter introdurre, a ragion veduta, l’obbligo di mascherina per tutte quanti.
L’infame teatro dell’emergenza, inscenato dalla Regione Emilia-Romagna, si rivela per quello che è davvero: ci giunge notizia che le mascherine gratuite da elargire al popolo non sono ancora nemmeno arrivate in molte farmacie, che insieme a tabaccherie ed edicole dovrebbero essere i luoghi deputati alla distribuzione. Le pagine locali del sito di Repubblica, ancora adesso titolano che “da domani” si potranno ritirare tre milioni di mascherine, ma non è stato chiarito con quale criterio, né come. Così domani ci sarà un inutile assalto, condito da tonnellate di inutile nervosismo, e provocando inutili «assembramenti». Tutto questo perché le mascherine vengono usate alla stregua di volantini elettorali – tanto varrebbe stamparci sopra la faccia di Bunazzén – e come pretesto per mostrare attenzione ai cittadini, soddisfando bisogni indotti da articoli-bufala di giornali compiacenti.
Identico teatrino in Toscana, dove ormai da giorni Rossi si fa fotografare vicino a container di mascherine. E, mentre parte l’attesa per la consegna a domicilio (con annesso periodo di latenza in cui gli aspiranti delatori avranno un nuovo argomento cui aggrapparsi) parte anche il balletto dei titoli che pompano sull’obbligo https://archive.vn/kNR4y
e quelli che chiariscono che “non si devono indossare ovunque”… https://iltirreno.gelocal.it/regione/toscana/2020/04/07/news/mascherine-obbligatorie-fra-7-giorni-ma-non-si-devono-indossare-ovunque-1.38689287
L’ unica ” mascherina” che ho intenzione di indossare è la Kefiah. L’ asticella dei divieti, delle restrizioni e delle indicazioni da seguire si alza ogni giorno di più. A fronte di questo gioco al rialzo nessuna ” concessione “. Non si vede la luce alla fine del tunnel di questa allucinazione collettiva. Se questo tipo indicazione diventerà un obbligo, lo trasgrediro’, come quello di rimanere in ” prossimità ” della propria abitazione e di uscire solo per “fare la spesa”. Ho intenzione di argomentare il mio rifiuto in caso di ” controllo”. Non si può non sollevare la questione dell’ utilità di questa misura, all’ aperto, a fronte della scarsità di dispositivi di protezione individuali negli ospedali.