Due segnalazioni – anzi, tre – che ci sembrano importanti.
■ Su Jacobin Italia il “nostro” Luca Casarotti analizza e smonta i decreti del premier Conte sull’emergenza coronavirus, dimostrando che contengono molte vaghezze e incongruenze.
Ciò è pericoloso, perché lascia molta discrezionalità alle forze dell’ordine e alle amministrazioni locali, situazione che sta generando abusi d’autorità e introducendo divieti che nel testo non ci sono. Molti esempi si trovano nei commenti in calce al Diario virale #3.
Di contro, pare proprio che le denunce a pioggia di questi giorni – per violazione dell’art. 650 del codice penale, ovvero «inosservanza di provvedimenti legalmente dati dall’autorità» – siano giuridicamente infondate. Un decreto ministeriale o della presidenza del consiglio è una norma giuridica, non un provvedimento dell’autorità, ergo non ricade nell’ambito d’applicazione dell’art. 650.
L’osservazione non è utile solo a chi si ritrova denunciato per aver preso una boccata d’aria, ma anche a chi sta lottando contro la natura classista e discriminatoria dello stato d’emergenza.
Nelle fabbriche d’Italia e negli stabilimenti della logistica, dove operaie e operai lavorano in condizioni di affollamento e senza tutele, è tornato il gatto selvaggio. Nelle ultime quarantott’ore, in molte zone del paese sono partiti scioperi spontanei. Detta in termini volutamente vintage: perché frotte di borghesi possono crogiolarsi con l’hashtag #iorestoacasa mentre i proletari devono buttare il sangue e forse ammalarsi?
Figurarsi se, in uno scenario come questo, la repressione poteva farsi attendere. Del resto, l’attuale governo si è ben guardato dall’abolire i «decreti sicurezza» di Salvini, che fin dall’inizio sono parsi fatti su misura per le lotte nella logistica e altri settori conflittuali del mondo del lavoro.
Questo comunicato dei S.I. Cobas è di poche ore fa:
«AGGIORNAMENTO: IN STATO DI FERMO COORDINATORE E DELEGATO SI COBAS DI MODENA
Si allarga il fronte degli scioperi a Modena per la salute dei lavoratori: in tutte le aziende in sciopero interviene la Digos per identificare gli scioperanti. Se stiamo ammassati in fabbrica non c’è problema, ma se usciamo sul piazzale sono botte e denunce.
All’Emiliana Serbatoi di Campogalliano, dove era in corso uno sciopero, la polizia è intervenuta in assetto antisommossa e ha portato via il coordinatore provinciale, Enrico Semprini, ed il delegato dell’azienda. Sono attualmente in stato di fermo in Questura […]»
Ecco, nel caso lavoratori in sciopero e/o attivisti sindacali vengano denunciati – esito grottesco ma prevedibilissimo – anche per «assembramento» in base ai decreti emergenziali, cioè per violazione dell’art. 650, si sappia che molto probabilmente non c’è fondamento giuridico.
Ecco come Luca conclude su Jacobin la sua disamina:
«La sera dell’11 marzo, dopo il discorso del presidente del consiglio in diretta su tv e social, abbiamo potuto accorgerci della discrepanza tra piano della propaganda e piano dei fatti. Da un lato i media amplificavano il plauso trasversale agli schieramenti politici che ha accolto le parole di Conte. Dall’altro, fuori dalla bolla mediatica, c’era la paura di tante e tanti fra noi: librai indipendenti preoccupati per le conseguenze della chiusura, figlie di titolari di piccoli negozi in pensiero per i genitori, lavoratrici e lavoratori (la maggior parte) per i quali la produzione non si ferma a dispetto dei rischi. Un divario paradigmatico, che mostra chi il potere chiama a sopportare il peso dell’emergenza.»
■ Librai indipendenti, per l’appunto.
Nella geografia sentimentale di Wu Ming, di Alpinismo Molotov e di tutta la Wu Ming Foundation, la libreria Puntoeacapo è un luogo importante. È a Pisogne (BS), sul lago d’Iseo, in uno spazio chiamato STORiE. Ci siamo stati tante volte, è un po’ un “covo” di tutta la banda disparata che è la WMF. Per alcuni di noi, Andrea è un fratello.
Le norme emergenziali che impongono di chiudere la libreria – il che, in una piccola realtà di provincia, equivale a darle un colpo quasi mortale – non hanno generato sconforto bensì voglia di trovare un modo per andare avanti lo stesso. Da qui una bella idea, che potrebbe essere ripresa anche da altre librerie e non solo.
Si tratta di operare in una condizione che definiremmo di «clandestinità perfettamente legale». Una clandestinità sostanziale ma non formale, perché vissuta negli spazi lasciati liberi dai decreti.
In che modo? È spiegato nel comunicato intitolato «Una pagina necessaria», che si può leggere integrale qui. Noi ne riportiamo un estratto:
«[…] se come cittadini – tutti e in tutta Italia – viviamo già questo disagio, come librerie ne viviamo uno doppio, ci sentiamo in crisi.
Il LIBRO, specialmente qui, specialmente ora, è un bene di prima necessità e, pertanto, abbiamo deciso questa cosa, legale, alla luce del sole.
Lo facciamo per non arrenderci e lo facciamo considerando il LIBRO un preziosissimo strumento di aiuto psicologico e sociale.
Ecco la nostra proposta, chiediamo a quante più realtà possibile di aderire, e di inventarsene a loro volta, di reagire.
In libreria c’è comunque da fare e comunque da lavorare, noi ci restiamo per qualche ora al giorno, ovviamente a porte chiuse.
Se sentite la mancanza di un libro, avete bisogno di leggere, contattateci, ci accorderemo per fare come se nulla fosse. Solo a porte chiuse.
Ci organizzeremo per una telefonata, un video panoramico dei libri a scaffale, dei consigli. E se non abbiamo quel che cercate possiamo ancora ordinarlo (perché sapete, noi siamo chiusi ma i distributori no).
Una volta chiacchierato, scelto, ordinato potrete pagarci con Paypal, bonifico, altri metodi, un modo insomma lo troviamo.
Noi usciamo tutte le mattine per comprare il pane, quattro volte al giorno per far passeggiare il cane, una volta tanto per altre commissioni o spesa (come tutti, del resto).
– Se abitate sul territorio di Pisogne accordiamoci, incontriamoci mentre uscite per la spesa o per la farmacia, pascoleremo il cane da quelle parti, non appena vi vedremo poseremo il libro su una panchina, un muretto, da qualche parte e ce ne andremo così che voi possiate ritirare il libro senza che veniamo a contatto e senza uscire di casa per «futili motivi».
– Se non abitate sul territorio pisognese stessa identica cosa, solo vi spediremo con le poste, senza usare corrieri sfruttati e in pessime condizioni di lavoro.
Ribadiamo, lo facciamo legalmente, alla luce del sole e in maniera legale perché consideriamo la lettura un bene necessario e così abbiamo pensato a un’altra cosa:
riteniamo talmente necessaria la lettura in questa fase che abbiamo deciso di impiegare tempo e risorse a titolo gratuito e volontario.
– Tutti i libri che ordinerete e pagherete saranno venduti a prezzo di costo, cioè a quanto li paghiamo noi, al centesimo e senza ricarico.
– Tutti i libri che spediremo avranno, come unica aggiunta al costo, il prezzo del piego di libri, 1,28€ fino ai 2kg, e della busta.
Non lo stiamo facendo insomma per guadagno ma per necessità.
Non vogliamo nulla, nemmeno un grazie o un ‘fanculo.
Vogliamo, pretendiamo, di tenere vive menti e cultura.
P.S. se qualcuno, per suoi motivi rifiutasse la logica dello sconto – non la possiamo imporre, abbiamo clienti e amici sensibili – bene, quel qualcuno sappia che dovrà indicarci se preferisce che destiniamo i soldi in più a ospedali o biblioteche (due strutture a cui siamo vicini, e che son state massacrate negli anni). Indicateci cosa preferite, se non lo farete tireremo a sorte.»
È una modalità ossimorica, quella a cui è costretta la Puntoeacapo per non morire come esperienza, ma del resto è ossimorico tutto il clima in cui siamo immersi, quello del «Tutti insieme vinceremo, l’Italia chiamò, stato e cittadini senza differenze contro il virus!».
Come hanno scritto sul Manifesto Loris Caruso e Veronica Pujia («Progresso e reazione al tempo del virus», 12/03/2020), la comunità al centro di questa rappresentazione è
«una comunità paradossale: basata sull’isolamento e la separazione. Transitoria: cosa ne resterà dopo l’epidemia? Costruita in negativo: contro il contagio. Evocata dall’alto, incline ad additare “furbetti” devianti racchiusi in categorie come “i giovani” e “i meridionali”, e che sembra provare piacere a essere comandata. Una comunità quindi paradossalmente privatizzata […]; i meriti e le colpe per la diffusione o l’arresto del contagio vengono collocati interamente sulle spalle delle persone.»
Una “comunità” allucinatoria che però non inganna tutte e tutti, e la cui evocazione ossessiva e intruppante non impedisce che, anche in uno scenario così difficile, scoppino lotte e nascano nuove pratiche solidali e di resistenza.
E forse, tra poco, anche di contrattacco.
P.S. C’è agitazione anche nei magazzini Amazon.
Riguardo alla vicenda dei fermi di Modena, pare che il delegato sindacale e i lavoratori in stato di fermo da stamattina siano finalmente stati rilasciati.
Cronache da una micro libreria romana, indie e resistente: ci si barrica dentro e si fanno pacchetti da spedire in tutta Italia, e più spesso solo per Roma. Lettrici e lettori mi scrivono, hanno voglia di leggere e anche di essere solidali, di aiutare una realtà piccola come la mia; allora io attraverso la strada abbracciata a decine di pacchetti e affido i libri che dovranno viaggiare al corriere, poi guardandomi le spalle, col bavero del cappotto alzato, porto i volumi a chi abita intorno alla libreria. Lo scambio avviene nel buio dei portoni o dietro ai vicoli, i soldi e gli scontrini passano di mano, poi ci si saluta con un cenno e si va via. La libraia è una gran bel mestiere, la pusher di libri è una svolta interessante.
Inorridiresti se ti dicessi che questa testimonianza mi ha evocato la Silvie de La colonna di fuoco?
Con un finale migliore, eh.
ciao. bella iniziativa. pensavo di resistere al vuoto libri ma piano piano comincio a esserne in manco.. ma lo state ancora facendo? o come vi si raggiunge?
Ciao e grazie per i complimenti. Stiamo portando avanti la cosa e ne siamo sempre più convinti. Se ti va di contattarci clicca sulla foto con le vetrine della libreria, verso la fine del pezzo, di lì arrivi al nostro sito e nella sezione dove-come-quando trovi tutti i contatti.
Premetto che con le mie prossime righe non voglio minimamente sminuire la riflessione proposta in merito all’ambito della microimprenditoria culturale, della logistica e della produzione industriale, settori in cui gli autoimprenditori e i lavoratori stanno sicuramente soffrendo a causa dei provvedimenti di questi giorni che si aggiungono ad anni di deregolamentazione e criminalizzazione del dissenso.
Mi piacerebbe invece raccontare la mia esperienza di precario del commercio, colpito duramente, come migliaia di altri lavoratori, da questi decreti a causa, soprattutto, dell’insensata deregolamentazione portata dal “decreto dignità” (sarebbe meglio chiamarlo: addio dignità) di circa un anno fa.
Purtroppo da allora, oltre all’ancora possibile contratto di assunzione di un lavoratore subordinato a tempo indeterminato (e pure questo, parlo per esperienza personale, non da più praticamente alcun tipo di tutela), nel commercio è rimasta solo la possibilità del contratto a chiamata.
Per chi lo conosce è un abominio giuridico: nessuna garanzia di un orario o di una paga minima, possibilità di clausole che negano l’occasione di avere altri lavori nello stesso settore (in caso di part time o puro stakanovismo), niente ferie, nessuna maggiorazione obbligatoria in caso di lavoro festivo o notturno, possibilità di negare la mutua, nessun congedo, permesso retribuito o altro: il contratto perfetto per sfruttare i lavoratori durante i weekend senza però avere alcun obbligo nei loro confronti.
Ciliegina sulla torta, in caso di sospensione dell’attività, anche per cause di forza maggiore come questa, è sufficiente ritirare le chiamate di lavoro (come in caso di malattia prolungata) per i giorni a venire: così facendo il lavoratore risulta tecnicamente occupato (il contratto rimane valido, con tanto di clausole contro il lavoro presso altri datori) ma non va pagato, né può accedere ad ammortizzatori (in realtà su questo punto sto provando ad informarmi per capire se, data la situazione straordinaria, sia previsto qualche aiuto dall’INPS).
Siamo migliaia di lavoratori subordinati (hostess, promoter, merchandiser, agenti, ecc) in queste condizioni di quotidiano ipersfruttamento, ma oggi, con quest’emergenza (più securitaria che sanitaria, secondo il mio punto di vista) siamo tutti a casa senza stipendio, senza ammortizzatori e spesso senza neppure la possibilità legale di intraprendere un’altra attività lavorativa senza dare disdetta preventiva.
Io ho la “fortuna” di non avere nessuno, oltre al sottoscritto, che dipende da questo lavoro, ma conosco un sacco di hostess, soprattutto del settore bianco (elettrodomestici) 40-50enni con figli e spesso consorti a carico.
Loro cosa dovrebbero fare per sopravvivere a questo mese almeno (concedetemi il parallelo) di carestia?
Anzitutto, grazie di donarci un lume diverso sui fatti, attraverso cui non dismettere la critica.
Vorrei però, perdonate l’ignoranza, avere una delucidazione sulla differenza tra norma giuridica e provvedimento dell’autorità.
Da quanto intendo, allora, non è da considerare come “autoritativo” un decreto ministeriale?
E però, la definizione che trovo di atto autoritativo è: “si intende per provvedimento legalmente dato dall’autorità qualsiasi atto autoritativo unilaterale proveniente da un soggetto pubblico”. Quindi data questa definizione – che pure potrebbe essere inesatta – dove si cela la contraddizione ?
Come riassume Luca nel suo post:
«per provvedimento si intende un atto “diretto a una o più persone determinate o determinabili in relazione a contingenze attuali e presenti”: dunque un atto che ha le caratteristiche dell’individualità (diretto a una o più persone) e della concretezza (emesso in contingenze attuali e presenti). Il divieto di assembramento è invece generale e astratto: vale cioè per tutti i soggetti tenuti a rispettare le norme dell’ordinamento giuridico, e riguarda una situazione ipotizzata in via preventiva nel decreto; non casi verificatisi in un dato luogo e in un dato momento. Generalità e astrattezza, cioè le caratteristiche della norma giuridica, sono l’opposto di individualità e concretezza, cioè le caratteristiche del provvedimento. Quella che pone il divieto assoluto di assembramento è quindi senza alcun dubbio una norma giuridica.»
Se ho ben capito, c’è anche una sentenza della Cassazione che dice: un decreto ministeriale non è un provvedimento dato dall’autorità. E se vale per un decreto ministeriale, vale anche per un dpcm. Ma su questo ci può dare maggiori ragguagli Luca.
Grazie per la spiegazione.
Allora, il divieto di assembramento è una norma giuridica; il divieto riguarda i casi previsti dal decreto (che quindi in quanto norma giuridica si fonda sulla astrattezza e generalità). Ergo, in quanto norma giuridica, che preventivamente, secondo i principi di astrattezza e generalità, perimetra i casi in cui la norma è applicabile, cozza, per così dire, con la legge 650, la quale invece si riferisce a situazioni concrete e a soggetti individuali.
Il mio dubbio era suscitato dal fatto che per provvedimento autoritativo, ad litteram, si intende qualsiasi provvedimento proveniente da un soggetto pubblico. Allora, scusate ancora, se abuso della pazienza, chi emana tali provvedimenti ?
I provvedimenti, come hai correttamente inteso, possono provenire da ogni autorità pubblica. A fare la differenza non è il soggetto che emana l’atto: sono le caratteristiche dell’atto. In altre parole, nel sintagma “provvedimento autoritativo” quello che ci interessa non è l’aggettivo “autoritativo” ma il sostantivo “provvedimento”. La contrapposizione è tra norma e provvedimento: la prima è generale e astratta, il secondo è individuale e concreto. L’art. 650 del codice penale punisce le violazioni dei provvedimenti, a prescindere da quale sia l’autorità che li emana. Il punto è che non punisce la trasgressione delle norme giuridiche. Questo risulta dalla lettera della disposizione, che appunto parla di trasgressione dei provvedimenti e non di trasgressione delle norme, ed è quanto afferma anche la cassazione nella sentenza del 1996 che citava Wu Ming 1. Più precisamente, quel che dice la cassazione è che una norma giuridica può sì richiamare l’art. 650 del codice penale, ma: 1) il richiamo deve essere espresso; dunque, se la norma non dice nulla, l’applicazione dell’art. 650 è completamente fuori discussione. 2) Questione un po’ più complessa, il richiamo al 650 può al limite valere, si dice tecnicamente, quoad poenam, cioè come rimando alle pene previste in quell’articolo. Ma una norma così concepita istituirebbe un reato a sé stante, punito con le stesse pene stabilite nel 650 cod. pen. Con la conseguenza che, se per la violazione di quella norma qualcuno venisse denunciato per il reato di cui all’art. 650, la denuncia sarebbe comunque infondata.
Solo ora mi è comparsa la tua esaustiva spiegazione, che unita all’articolo, mi rende ancor più chiara la tesi di fondo.
È dunque spia di una volontà politica atta a suscitare terrore psicologico,la promulgazione di norme sine poena. Di fatti, nullum crimen senza la pena.
Comunque sia sto leggendo attentamente l’articolo su citato di Casarotti al fine di chiarirmi meglio le idee.
Grazie. Quando si impara è sempre bello !
Mi rendo conto di essere al momento tra le persone più mondane che conosco. Questa settimana, infatti, sono uscito di casa ogni giorno, anche per 10 ore, per andare lavoro.
La prima considerazione è che, attraversando mezza città (Palermo) a piedi, mi rendo conto che, comunque, c’è tantissima gente che lavora. Ho incontrato gli operai che stanno continuando i lavori della metropolitana, gli autisti dell’autobus, i lavoratori dei supermercati e dei panifici, i benzinai (ma poi, tra tutti, proprio i benzinai perché mai devono lavorare?), chi lavora nelle edicole e nei tabacchi, la portiera del palazzo in cui lavoro che prende i pacchi di tutto il condominio e, ovviamente, tantissima polizia.
Camminando per strada, quando incrocio lo sguardo delle altre persone, lo faccio con discrezione, come se avessi la necessità di giustificarmi (quello è il momento in cui stringo l’autocertificazione conservata nella tasca). Abbozzo mezzo sorriso di solidarietà per rispondere a mezzo sorriso di diffidenza, abbasso lo sguardo, e vado avanti.
Poi incontro le persone che lavorano con me in una comunità per minori e, ovviamente, i ragazzi che ci abitano. Proviamo a rispettare le indicazioni sanitarie, condividere le responsabilità e, in un modo o nell’altro, passare le giornate (buona parte scorre sul Portale Argo per comprendere come ogni singolo professore stia interpretando in modo personale l’insegnamento a diatanza).
Tutto questo in un appartamento nel quale, per quanto grande sia, 10 ragazzi (ognuno dei quali avrebbe già abbastanza cazzi a cui pensare) e tre operatori (anche loro con la propria dose di cazzi) difficilmente possono riuscire ad evitare contatti e mantenere distanze.
Avendo già superato in passato due tubercolosi ed una malaria ci sono delle accortezze che già conosciamo, e così, tutti insieme ci stiamo organizzando.
Per fortuna queste sono situazioni in cui spesso esce anche il meglio delle persone. Almeno per il momento.
Poi torno a casa dove mi aspettano moglie e figlie, che sono state barricate in casa per non avere nessun rapporto con l’esterno.
Quando alla fine riesco a sentire a telefono parenti e amici, che hanno avuto una giornata totalmente diversa dalla mia, mi parlano come se io sia pazzo, irresponsabile. I miei racconti del mondo là fuori alle loro orecchie sembrano il reboot di Io sono leggenda.
Il succo di tutto questo è che mi rendo conto che tra chi sta tutto il giorno a casa e chi è, comunque, costretto ad uscire c’è una distanza enorme, non solo fisica.
Tutti i dispositivi “Io non esco” hanno creato i deliri di cui si è parlato abbondantemente su giap. Il problema è, inoltre, che ovviamente agiscono anche su chi alla fine “deve” uscire. Chiaramente la paranoia è scattata a 360 gradi, e anche tra i miei colleghi c’è chi è entrato nel panico. Per fortuna nel nostro gruppo c’è un altissimo senso di solidarietà e di supporto reciproco, ma in altri servizi c’è stata la corsa alle ferie o ai congedi parentali, cioè alla ricerca di soluzioni individuali che avrebbero messo in maggiore difficoltà i colleghi.
Dico anche che tutte la operazioni sanitarie ed igieniche necessarie per affrontare il periodo le abbiamo realizzate esclusivamente per l’attenzione e la responsabilità dell’ente per cui lavoro. Ma nessun supporto ci è arrivato da nessuna delle 100 istituzioni a cui dobbiamo rispondere. Ed ovviamente non tutti gli altri enti hanno potuto o voluto realizzare autonomamente operazioni adeguate.
Alle persone chi in questi giorni escono di casa per lavorare, sommersi da messaggi terroristici, ma non altrettanto coperte da tutele e garanzie, ogni tanto torna in mente la scena di Chernobyl in cui tre operai devono entrare dentro il reattore per chiudere il rubinetto.
Nessuno deve uscire di casa, ma qualcuno è costretto a farlo
Qui Andrea, Puntoacapo Pisogne.
Siamo stati contattati da amici, sconosciuti, solidali dal mondo editoriale, cittadini, e la cosa ci fa molto piacere.
Ancor più dolce il risveglio stamattina, un po’ meno teso degli ultimi. Caffe e squilla il telefono, più volte, ripetutamente: vicinanza, “bella, bravi, complimenti”!
Quello che ci preme ora è testimoniare che una piccola rete si crea, disparata, come anche noi librai sappiamo essere.
Segnalo che ci ha appena contattati Manuela della libreria Marco Polo di Scandiano, non la conosciamo ma l’abbiamo da subito sentita vicina e amica, si sta attrezzando.
Chi sta in zona Reggio Emilia pertanto, e non solo, sappia che anche Manuela è attiva e pronta a resistere.
Ci tengo a sottolineare che uno dei primi servizi a saltare a milano è stato il banco prestiti delle biblioteche anche se era già stato organizzato, dopo la chiusura delle relative sale studio e annessa riduzione di orari, un sistema di barricate anti (piu che improbabile, visto il luogo) assembramento.
A proposito di dpcm e denunce basate sul 650 c.p., da ieri è diventato virale (è il caso di dirlo) su Whatsapp il messaggio vocale di un’avvocata che, stando al nostro Legal Team, dice molte cose inesatte e trasmette paura inutilmente. Vedremo di pubblicarne un debunking domani.
I vocali del genere «’scolta me ché ne so a pacchi» sono stati, sin dall’inizio, uno dei fenomeni più deteriori di quest’emergenza.
Ecco, il debunking è qui sotto.
Tra tutti i non pochi timori evocati e sviscerati nei cinquecento commenti agli ultimi post, dai parchi chiusi allo spaccio librario, nessuno pare avere riflettuto su un aspetto che pure rientra nella cruciale sfera economica e rappresenta una possibilità assai consona alla messa a frutto delle crisi da parte del capitale.
Vale a dire, poichè dal 1992, governo Amato e trattato di Maastricht, siamo in via di privatizzazione del SSN, e che la regione Lombardia non s’è fatta pregare per imboccare quella via, se usciti dall’emergenza si avviasse “nelle istituzioni” una compunta riflessione sulla struttura del SSN, le sue “mancanze” e “quindi”, per rimediarvi, il suo rapporto con quella sanità privata con cui non so più se Fontana o addirittura Salvini han dichiarato necessario collaborare? Ovviamente per “rispetto ai morti” e in nome di una “ricostruzione del paese” il succo potrebbe essere la definitiva separazione tra:
1) al servizio pubblico, composto, si sa, di angeli ed eroi, la gestione dei servizi costosi, altamente specializzati e poco redditizi: rianimazione, emergenze, innovazione ecc., ma senza possiblità di fare assuzioni stabili e in numero sufficiente ecc. ché sennò si arrabbia la UE perché cresce la spesa strutturale (cioè quella che va un po’ meno ai padroni, contrariamente a quella “per investimenti” e un po’ più ai salari),
2)al privato assicurativo la lucrosa diagnostica, i punti nascita, gli interventi minori, le degenze ecc. Ovviamente con contratti peggiori, meno assistenza e meno qualificata, e a costi crescenti per gli assicurati.
Il “modello lombardo” si muove da tempo in questa direzione, ovviamente. Ma stavolta il tutto potrebbe essere organizzato in modo più scoperto, sia portando a innovazioni normative più stringenti, sia, soprattutto, servendo da apripista a una politica nazionale orientata normativamente in questa direzione, sia concertata a livello di regioni, sia che partisse proprio dal centro sulla spinta di un nuovo governo. A quel punto, il caro Bonaccini, che qualcuno ha votato con quella stessa accorta lungirmiranza per cui in Francia si son presi Macron, non esiterebbe, ad esempio, a conformarsi tra i primi, per non parlare di uno Zingaretti che ha devastato la sanità laziale e romana chiudendo ospedali a man bassa.
Insomma, sull’onda dell’emozione e della paura, ci ritroveremmo privati di quella potenzialmente enorme libertà che permette il diritto alle cure e alla salute (art. 32 Costituzione tra i tanti).
Seicento commenti e passa: ci sono anche quelli al post su emergenza, didattica on line e capitalismo dei big data, con focus su Google. Diciamo che c’era voglia di discutere!
Curiosamente, ho letto il tuo commento subito dopo aver terminato la lettura di un articolo di Mezzadra su Euronomade che contiene questo passaggio:
«Il valore essenziale del sistema sanitario pubblico (il che significa del diritto sociale alla salute) è oggi un dato che risulta difficile mettere in discussione. Questo significa che almeno per un periodo risulterà difficile proporre ulteriori tagli, e si potrà aprire una nuova stagione di investimenti – anche sotto la spinta dei lavoratori e delle lavoratrici della salute.»
Un bel cozzare di scenari! Direi che o lui non tiene conto di quel che temi tu, o tu non tieni conto di quel che spera lui, o entrambe le cose…
In pratica l’emergenza sanitaria ha fatto emergere con chiarezza la contrapposizione fondamentale tra “malthusiani” da una parte e “comuni” (li definisce Mezzadra – cioè quelli che scelgono di prendersi cura) dall’altra.
La nettezza della contrapposizione ha tra l’altro il merito di ridare la giusta dimensione all’ossessione per i confini, cioè zero, bene! Bene anche che per una volta pare che in Italia ci siamo schierati dalla parte dei buoni – non era poi mica scontato, sarebbe utile capire come mai è successo.
Il punto è che i ‘comuni’ molto probabilmente tenderanno a lasciare le cose a metà. Nel senso che la lotta all’emergenza virus (#stateacasa e conseguente blocco dell’economia) provocherà – sta già provocando – un’emergenza 2 di tipo sociale, con il massacro delle categorie più fragili, che in Italia vuol dire tanta gente.
Non so in Cina, può essere che sia rimasto ancora abbastanza statalismo (e abbastanza risorse prodotte fuori dalle aree colpite dall’epidemia) perché lo stato si faccia carico delle conseguenze del lockdown, non ne ho idea e non mi pronuncio, ma in Italia? avremo la forza di imporre che anche l’emergenza 2, generata dalla “guerra” all’emergenza 1 venga affrontata come uno stato d’eccezione quale è? uno stato d’eccezione che richiede un ripensamento sistemico? in effetti ora è il momento più propizio da molti anni perché il sottodimensionamento del servizio sanitario pubblico ha mostrato platealmente dove portano le scelte neoliberiste, ma esiste un soggetto politico che possa raccogliere le sfida? e in mancanza, si riuscirà a generare un conflitto che spinga le cose in una direzione più ‘comune’?
Comunque anche qualcuno dei malthusiani probabilmente lascerà le cose a metà: in UK mi pare che l’opinione pubblica non sta gradendo molto la prospettiva offerta dal governo. Anche una sconfitta del fronte malthusiano potrebbe portare un importante rimescolamento di carte.
Non datemi della leninista, ma la pochezza politica italiana mi pare un serio punto debole in questo momento in cui si potrebbero aprire delle possibilità di rinegoziazione degli assetti. Però chissà, nei momenti di crisi avvengono accelerazioni impreviste…
(Poi c’è l’emergenza 3, ossia l’autoritarismo che ogni guerra porta con sè, ma se ne è già parlato molto)
Condivido. Soprattutto i dubbi sul fatto che esista in Italia una forza sociale o politica in grado di approfittare dell’occasione della crisi dei parametri neoliberisti… Ma ho anche l’impressione che nella percezione diffusa manchi del tutto una valutazione tempistica. Per quanto tempo puoi tenere la gente chiusa in casa, appunto? Se impedisci al corpo sociale di immunizzarsi, quando sarà il momento buono per uscire dal bunker domestico? E quando quello per riaprire le frontiere con paesi che hanno settimane di ritardo su di noi? E nel frattempo, chi tiene fermi alle catene produttive e distributive i lavoratori? Se, come pare, gli scioperi si diffondono, presto o tardi la produzione e la distribuzoine si ingripperanno. E allora altro che code ai supermercati a un metro di distanza: non arriverà più la merce sugli scaffali. Questo fattore potrebbe imporre al governo ancora svariate giravolte e piroette per uscire dal loop in cui si è ficcato, ma che alla fine lo porteranno a due possibili strade: allentare l’isolamento o precettare i lavoratori. Allentare lo stato di polizia o aumentarlo.
A me la contrapposizione «malthusiani» e «comuni» sembra del tutto fuorviante.
Bolsonaro e Johnson sono malthusiani, ok. Johnson è impresentabile e il frame che ha attivato per parlare di «herd immunity» era terribile, inoltre un governo britannico che sembra il circo Togni dopo che hanno messo l’LSD negli acquedotti e un sistema-paese devastato da 40 anni di thatcherismo e blairismo non sarebbero in grado di gestire una strategia del genere, basata su tutela dei soggetti a rischio + contagio controllato del resto della popolazione al fine di renderne immune la maggior parte.
Però non è che possa definirsi malthusiano chiunque proponga alternative al chiudere tutto e agli arresti domiciliari di massa.
E la strategia dei presunti «comuni» non è una strategia, è un navigare a vista in attesa di qualcosa che non si sa quando arriverà, anzi, non si sa cosa sia. Quando finirà il lockdown? La data del «3 aprile» è uno specchietto per le allodole, se qualcuno pensa che il 3 aprile si riapre tutto non ha capito in cosa ci siamo infilati. Come scrive qui Francesco Costa:
«Accettato che questo virus ha la capacità di contagiare dal 40 al 70 per cento della popolazione mondiale, come dicono gli epidemiologi, non bisogna dimenticare che in Italia in questo momento i contagi accertati sono in tutto circa 17.000. Considerato che facciamo il tampone solo a chi presenta sintomi importanti, e che il virus si può contrarre in forma asintomatica, a partire dal tasso di letalità possiamo ricostruire che i contagiati totali in Italia siano fin qui – compresi guariti e deceduti – tra i 50.000 e i 100.000, ed è una stima conservativa. Molti ma molti di meno dei 30 milioni di italiani (come minimo) potenzialmente esposti al contagio, e di quelli che potrebbero permetterci di parlare almeno temporaneamente di immunità di gregge. È piuttosto evidente dunque che non solo è impossibile che il 3 aprile il numero di contagiati sia zero – anche perché, appunto, la gran parte delle persone contagiate oggi non sa di esserlo – ma anche che se il 4 aprile tornassimo tutti a fare la vita di prima, a uscire e vederci e chiacchierare e abbracciarci, il virus ricomincerebbe a circolare e torneremmo rapidamente dove siamo oggi.»
E come si fa notare in questo riassunto della questione «herd immunity»:
«i sostenitori di questo approccio che mira a raggiungere un obiettivo in tempi più rapidi (a costi potenzialmente alti di vite) sostengono che – seguendo le ipotesi formulate che prevedono che il virus contagi fino al 60-80 per cento della popolazione – la quarantena e le limitazioni estreme introdotte in Cina e in Italia non permetteranno che si raggiunga l’immunità di gregge se non in tempi lunghissimi, e se queste limitazioni venissero rimosse o attenuate prima (in presenza di risultati incoraggianti), l’accelerazione del contagio e le difficoltà di gestione dei malati tornerebbero immediatamente. E che quindi si debbano mettere in conto tempi molto lunghi, con tutte le conseguenze negative che si possono immaginare.»
Chiunque faccia notare questo non è per forza un «malthusiano».
Come non lo è chi, per fortuna anche nel mondo scientifico, fa notare l’inadeguatezza dei modelli su cui si basa la strategia «all’italiana» e i rischi sociali, civili, politici, culturali che derivano dall’aver imboccato questa strada. Consiglio a tutti la lettura di questo articolo uscito su Scienza in rete, segnalato da Omar Onnis nei commenti al Diario virale #3.
Io e WM4 abbiamo commentato in simultanea. Bene così, i due commenti si integrano.
ho trovato importante l’articolo di mezzadra, in quanto è il primo che ho letto (se ce ne sono altri, le segnalazioni sarebbero gradite) che s’interroga sul “che fare?” e sul “che faremo?”. sento fortissimo il bisogno delle possibili risposte a queste domande.
Quello è l’aspetto importante del pezzo di Mezzadra, anche se a onor del vero non è l’unico ad aver posto quelle domande, che sono disseminate anche nei vari nostri post e nelle varie discussioni qui.
sì è vero che ho trovato suggestioni disseminate, e non era (e non è) mio intento togliere il merito di averle avanzate a nessun*. sottolineavo che mezzadra è il primo che ho letto a focalizzarsi sul che fare.
guarda, sono sostanzialmente d’accordo, non sto a discutere l’efficacia della strada intrapresa qui perché non ho basi scientifiche per farlo, ma i dubbi me li sono posti.
A maggior ragione, però, qua fronteggeremo uno scossone che neanche ci immaginiamo. La cosa interessante è che la crisi del modello neoliberista faranno fatica a tenerla nascosta, una situazione mai verificata in decenni. Può andare a finire solo male? forse… ma qualche spazio in cui giocare magari si apre
Qualcosa si vede. Già adesso le lotte contro la gestione dell’emergenza ci sono, e sono destinate ad aumentare. I detenuti sono sempre il «canarino nella miniera», quando si sono rivoltati lo abbiamo interpretato come il sintomo più visibile di contraddizioni rese invisibili dagli appelli all’Union Sacrée ma pienamente operanti. E infatti dopo sono partiti a decine e decine gli scioperi spontanei, e – nonostante i rattoppi per decreto in materia di ammortizzatori e welfare – minacciano di scioperare anche i sanitari e i lavoratori della grande distribuzione. E poi c’è una miriade di tattiche di resistenza “micro”. Sono lotte e resistenze partite a prescindere dall’esistenza di organizzazioni politiche in grado di intercettarle. Bisogna seguirle, valorizzarle, prendervi parte.
Ma non tanto per ripartire “dopo”: un vero e proprio “dopo” non ci sarà, o meglio, non ci sarà una soglia percepibile oltre la quale comincerà il “dopo”. Molti tratti di quest’emergenza sono qui per restare. Bisogna prendervi parte per rompere la cappa del “durante”.
Come sempre però le strategie non nascono nel vuoto. Per quanto sia sempre dubbioso delle “tradizioni culturali” dei paesi, luogo comune vuole che gli anglosassoni prendano più sul serio la questione delle libertà. Non è che sia cinismo è(sarebbe) proprio un valore diverso assegnato ad acluni temi. Sotto il giogo di un tiranno che ti garantisce la vita o libero a prezzo della morte di alcuni dei tuoi? Non c’è una risposta vera, ci sono risposte socialmente determinate. Al netto quindi della buffonaggine di quel cialtrone l’UK pone una questione seria, che inevitabilmente finisce con l’essere giudicata con la sensibilità, che per definizione è “socialmente determinata”.
Serve poi ricordare che, dal punto di vista “scientifico” NESSUNA delle strategie di distanziamento sociale è mai stata veramente efficace, secondo gli standard della ricerca scientifica appunto. Meglio: il distanziamento sociale sì, è efficace. Ma “distanziamento sociale” si produce con varie policie: isolamento, quarantena, chiusura delle scuole, chiusura degli ambienti di lavoro. Bene, nessuno di questi 4 “produce” da solo distanziamento sociale, senza contare l’enorme enfasi sul fattore tempo. Banalmente, si naviga a vista, e di scientifico non c’è nulla.
Salve a tutti,
intervengo molto saltuariamente nei commenti ma leggo sempre con interesse le vostre cose. Volevo segnalare un passaggio comparso sul sito phastidio.net che, come immagino sappiate, tratta di economia e politica da una posizione che direi è esattamente opposta alla vostra. Il contesto è questo (: https://phastidio.net/2020/03/12/alla-pa-servirebbe-la-cassa-integrazione-per-evitare-ipocrite-finzioni/) Zingales scrive che “Alla PA servirebbe la cassa integrazione, per evitare ipocrite finzioni”, dove le finzioni attengono al fatto che, per numerose ragioni, i dipendenti pubblici messi in lavoro agile non lavoreranno per nulla percependo lo stipendio. Chiosando l’articolo, il titolare del sito scrive: Ecco, mi sembra che di questa possibilità si sia parlato a lungo nei vostri post: estendere “in tempo di pace” le norme emergenziali di questi giorni. Per qualcuno questa possibilità sarebbe un’opportunità (peraltro non colta) per tutti e non solo per la classe egemone, per altri una deriva da evitare. Io, sinceramente, onestamente, non so. Un saluto.
Dell’articolo di Mezzadra mi sembra importante anche un altro aspetto che lui cita, ovvero il fatto che stia saltando l’austerity, con il dogma del pareggio di bilancio. Ci pensavo prima… tutta quella fretta di metterlo in costituzione e ora ci sono tutti i presupposti per battagliare sulla sua abolizione, semplicemente perché ci si rende conto che in caso di necessità va aggirato. Finalmente sta accadendo, già prima dell’emergenza virus, anche con l’arbitrario 3% di rapporto debito/PIL di cui lo stesso “inventore” sconfessa il senso. La situazione è tragica, ma per le lotte si aprono scenari inediti e forse impensabili fino a poco tempo fa, credo occorra ribadirlo, mentre sono già pronti a dare la colpa alla pandemia dell’ormai imminente crisi economica, la quale si stava preparando già da tempo, come ben sappiamo (qui Michael Roberts https://thenextrecession.wordpress.com/2020/03/15/it-was-the-virus-that-did-it/).
Intanto le reazioni internazionali dimostrano come il secolo statunitense sia ben concluso. Gli assetti geopolitici stanno mutando ed è particolarmente evidente anche alle nostre latitudini, quando la Cina concretamente invia uomini e mezzi mentre Trump si limita a dire che ci ama con un video delle frecce tricolori su twitter (!), per non parlare dell’Europa che dimostra, se ancora fosse necessario, il suo fallimento sociale prima che politico: non dimentichiamo che intanto in Grecia mandiamo forze dell’ordine da tutti i paesi UE per fermare i migranti che la Turchia fa passare col solito sistema ricattatorio.
Per ora, come detto nel DV3, il frame resta quello della «deroga» (e dell’indebitamento), non della messa in discussione. Bisogna riuscire a scardinare questo meccanismo, questa mentalità. L’Italia è un paese che funziona a deroghe, proroghe, sanatorie, condoni, tutte cose che però non hanno mai messo in discussione lo status quo e solo agli occhi di pochi ne rivelano i problemi di fondo, l’insostenibilità.
A parziare tutela di Zingaretti: come commissario per la Sanità, incarico necessario per ristrutturare “er” SSR, ha tagliato! Posti, strutture e finanziamenti, accorpando e chiudendo..
Come Presidente ha spinto almeno a livello di propaganda, invece, anche sul miglioramento del servizio, chiaramente in ottica di modernizzazione e non di sviluppo… Come per l’ ediliziai e l’ urbanistica che hanno cementificato l’ agro on base agli interessi speculativi, IMO i poteri forti ci sono anche nel settore dell’ assistenza privata e in qualche modo il modello del prof. dott. Guido Tersilli è stato accellerato anche dall’ ultimo ciclo economico. Certo non c’ è più la mutua, dal ’78 ma l’ universalità del SSN ha più di una falla.
In questo senso, di medicina sociale, Roma vedrebbe agire sinergicamente una meta- emergenza anche di danni agli utenti dei servizi ( assistenza sociale e integrata socio-sanitaria) in una area che per debito ha praticamente sospeso i Livelli Essenziali di Assistenza, inchinandosi agli effetti della legge costituzionale 1/2012 sul pareggio di Bilancio e la Costituzione e legge di stabilità, che ne hanno sancito una subalternità alle ragioni di Stato più orientate all’ economia dell’ offerta ed alla riduzione dei precedenti successi sociali .
Un saluto a tutti. Questo articolo e relativi commenti mi hanno rincuorato e turbato allo stesso tempo. Rincuorato perché, sebbene la situazione sia grave, mi é sembrato fin da subito molto vago e ambiguo questo provvedimento “restiamo a casa” e la sua applicazione a discrezione delle forze dell’ordine. Non sono l’unico (ecco il rincuore) a trovarlo intimidatorio o almeno prefigurante un padre padrone dalla dubbia capacità interpretativa. Cosa é essenziale? Quali i metri di misura?. Viene rispettata la scala di valori personali di ognuno per determinare questa essenzialità?
Turbato, va da sé, perché i molti che sembrano avere i miei stessi dubbi, raccontano di sistematici abusi, di risposte idiote da parte di agenti che gridano “lo stato sono io” (vedi Napoli) e denunciano, oltre alle problematiche evidenziate nell’articolo riguardanti il mondo del lavoro. Proporre soluzioni, consapevolezza, risposte é la via. Grazie a tutti.
Segnaliamo:
Off Topic Lab – Il diritto alla città ai tempi del colera
Grazie. So che nel mio commento ero leggermente fuori tema. Questo link é molto bello. Grazie ancora, nico
No, non era per niente fuori tema.
A proposito del vocale di un’avvocata del foro di Brescia e della sua trascrizione che stanno circolando molto almeno da un paio di giorni. Il messaggio parla delle conseguenze in caso di spostamento ritenuto ingiustificato dalle FdO. Ma lo fa in modo inesatto e, al netto delle intenzioni di chi l’ha registrato, inutilmente allarmistico. Nel messaggio si dà infatti per scontato che lo spostamento senza giustificato motivo integri senz’altro il reato di cui all’art. 650 del codice penale. Come ho cercato di spiegare nel pezzo per Jacobin e nell’altro commento che ho lasciato in questo stesso thread, le cose non stanno così.
Giova ripeterlo: l’art. 650 punisce la trasgressione dei provvedimenti dell’autorità. Un provvedimento è un atto indirizzato a una o più persone determinate, in circostanze concrete. L’art. 650 non punisce la trasgressione di norme giuridiche, che invece sono indirizzate, si suol dire, alla generalità dei consociati (dunque non a persone determinate), e ipotizzano situazioni astratte (dunque non riguardano circostanze concrete). I dpcm dell’8, 9 e 11 marzo contengono norme giuridiche, non provvedimenti. Quindi la loro trasgressione non può integrare il reato previsto dall’art. 650. È vero, l’art. 4, comma 2 del dpcm dell’8 marzo stabilisce che la violazione degli obblighi previsti in quel decreto è punita ai sensi dell’art. 650 c.p. Ammesso e non concesso che sia pertinente, il richiamo va al limite inteso come un rimando alle sanzioni stabilite nell’art. 650 (arresto fino a 3 mesi e ammenda fino a 206 €)), non al reato in sé.
In più c’è un altro elemento di cui tenere conto. Il citato art.4, comma 2, del dpcm dell’8 marzo richiama il 650 c.p. con riferimento alla violazione degli obblighi previsti dal decreto. E l’art. 1, comma 1 lett. a) dello stesso decreto prescrive di evitare gli spostamenti ingiustificati. Il verbo evitare esprime una raccomandazione, non un obbligo. Quindi, anche soltanto limitandosi alla lettera delle disposizioni, gli spostamenti ingiustificati non potrebbero comunque essere puniti ai sensi dell’art. 650. Le denunce in tal senso si devono ritenere infondate.
Dando invece per scontato che siano fondate, il vocale in pratica suggerisce di limitare i danni, non pagando l’ammenda, aspettando la notifica di un decreto penale di condanna, e poi chiedendo di accedere al procedimento di oblazione. Anche questi suggerimenti non sono privi di inesattezze. In particolare sotto tre aspetti. Il primo: non è vero, come si dice nel messaggio, che un eventuale pagamento spontaneo dell’ammenda equivalga a esecuzione della pena, e quindi a un’ammissione di colpevolezza. Molto più semplicemente, in mancanza di una sentenza di condanna, nessuna autorità può lecitamente ricevere il pagamento di un’ammenda. Se qualcuno, a fronte di una denuncia per 650, si offrisse spontaneamente di pagare, il pagamento verrebbe rifiutato. Nessuna esecuzione di pena, nessuna ammissione di colpevolezza. Per essere eseguita, una pena deve essere prima irrogata. E solo un giudice ha il potere d’irrogarla.
Secondo aspetto: non è affatto detto, bisogna ancora ribadirlo, che a una denuncia per 650 c.p. in caso di spostamento ritenuto ingiustificato faccia necessariamente seguito un decreto penale di condanna. La denuncia potrebbe anche, e a mio avviso dovrebbe, essere archiviata: dell’archiviazione il denunciato, se non fa nulla, potrebbe non venire mai a sapere. Per conoscere se un procedimento è aperto, cioè se non è stato archiviato, va fatta una richiesta al pubblico ministero, ai sensi dell’art. 335 del codice di procedura penale.
Terzo aspetto. Nel caso la denuncia non dovesse essere archiviata, il procedimento di oblazione ha senz’altro dei vantaggi: la pena pecuniaria da pagare è ridotta alla metà, del reato non è fatta menzione nei certificati penali etc. Però non è una soluzione del tutto indolore: oltre alla pena pecuniaria ridotta della metà, infatti, vanno anche pagate le spese del procedimento, oltre al compenso per il difensore. La somma che ci si ritroverebbe a pagare in esito all’oblazione sarebbe perciò molto più alta di 103 € (cioè la metà del massimo dell’ammenda prevista nell’art. 650).
A meno che, per propri motivi, non si abbia il tempo di attendere l’esito del dibattimento, nel qual caso l’oblazione è la via migliore, la strada maestra è quella del processo ordinario, in cui si può contestare nel merito la fondatezza della denuncia. Questo sempre se, ripetiamolo ancora una volta, la denuncia non dovesse essere archiviata a monte.
“A meno che, per propri motivi, non si abbia il tempo di attendere l’esito del dibattimento, nel qual caso l’oblazione è la via migliore”; immagino che comunque in caso di mancata archiviazione, l’onorario( in caso di mancanza dei redditi per il gratuito patrocinio,) e le spese legali siano a carico del ricorrente in giudizio ordinario, anche nel caso di successo.
Sì, è così, e fai bene a farlo notare. Un processo a carico, anche nel migliore degli esiti, resta una grossa seccatura: comporta stress, sacrifici di tempo e danaro. Però mi premeva far passare il messaggio che dover pagare la pena pecuniaria non è l’esito scontato delle denunce per 650 di questi giorni, un esito a cui ci si deve rassegnare. Se si può, la fondatezza di queste denunce va messa in discussione nel merito. Nel processo o anche prima, nella fase delle indagini (una volta appreso dell’apertura del procedimento), depositando memorie difensive.
Ciao Luca, mi sono permesso di pubblicare altrove (citandoti) questo commento un po’ rivisto (spero semplificato). Spero di non aver fatto male.
Oggi a Trieste c’è il sole e un moderato borino. E’ domenica, non si può andare in giro, insomma proprio una giornata adatta a fare il bucato. In mezz’ora le lenzuola asciugano perfettamente, e profumano di sole e di vento. Bene. In giro per il rione *nessuno* ha steso i panni ad asciugare. Nessuno. E temo di sapere il perché: ormai le persone sono convinte che l’aria sia infetta, che se stendi i panni ad ascigare si infettino.
(Magicamente l’aria smette di essere infetta all’interno delle case).
Siamo solo al giorno 5 di questa quarantena, che potrebbe durare mesi e mesi e mesi.
Per fortuna si scoprono anche nicchie di microresistenza, spazi abbandonati e nascosti negli anfratti dell città, dove i bambini possano giocare all’ara aperta per una mezz’ora.
anche a Bologna c’è il sole…
…e nessuno certamente espone le sue lenzuola o le sue mutande all’aria ed al vento infetti, che diamine…
sono pochi anche quelli che espongono loro stessi all’aria esterna del balcone…
(e pur è ora un piacevole atto a farsi, senza il frastuono abituale dei mezzi che si rincorrono senza senso o la nenia dei soffioni dei giardinieri improvvisati che alzano nubi di polveri sottili e non…)
mi ero illuso che il chitarrista che l’altra sera ha cominciato a suonare dal terrazzo fosse autentico…invece era un amaro frutto del disciplinamento mediatico…
E fanno bene a crederlo, visto che i sindaci di grandi città (Milano) danno l’esempio disinfettando le strade, così quando lecchi per terra non ti prendi il coronavirus.
Mi domando anche quale sia il costo ambientale di questo spargimento massivo di disinfettante.
Misure insensate + sospensione del senso critico = giustificazioni retroattive:
https://www.bufale.net/nuovo-audio-whatsapp-coronavirus-rimane-vivo-9-giorni-sullasfalto-lasciate-le-scarpe-fuori/
(e di nuovo si tratta di un vocale Whatsapp)
Nell’articolo si sostiene che un decreto ministeriale o un decreto della presidenza del Consiglio dei Ministri sia una norma giuridica e non un provvedimento dell’autorità.
Non è così.
Il potere speciale legislativo di produrre norme giuridiche spetta al governo nel caso dei decreti legge e dei decreti legislativi. Tali decreti sono leggi primarie e non provvedimenti dell’autorità.
Tuttavia se il governo emana decreti ministeriali o DPCM questi sono provvedimenti del governo in quanto rappresentante del potere esecutivo. In questo caso il governo agisce nelle vesti di autorità amministrativa, non come legislatore. Pertanto si tratta di effettivi provvedimenti dell’autorità, non di norme giuridiche.
Per potersi configurare la violazione dell’art. 650 c.p., non è sufficiente guardare alla sola denominazione dell’atto, al suo nomen iuris: a essere discriminanti sono le sue caratteristiche di generalità e astrattezza, nel qual caso l’applicazione dell’art. 650 è esclusa, o di individualità e concretezza, che definiscono la natura di un provvedimento. Cito di nuovo, come ho fatto nel pezzo per Jacobin, il commentario al codice penale curato da Emilio Dolcini e Gian Luigi Gatta: « Essendo […] necessario, ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 650, che l’inosservanza riguardi un ordine specifico impartito ad un soggetto determinato in occasione di un certo evento o di una certa circostanza, non integra il reato una disposizione regolamentare data in via preventiva ad una generalità di soggetti.» A sostegno dell’affermazione, il commentario cita due sentenze emesse dalla cassazione nel marzo e nell’agosto 2013, rispettivamente nn. 15936 e 44238.
A Mondello la polizia ferma le persone uscite per andare a correre.
http://www.palermotoday.it/cronaca/coronavirus-mondello-runner-fermati-polizia-carabinieri.html
Un assembramento di poliziotti per fermare, picchiare e immobilizzare un uomo che corre in solitaria sul lungomare.
Idea: ammazzarci di botte potrebbe essere un modo per non farci prendere il virus. Sarebbe a nostra tutela.
Se nemmeno la quarantena funziona, se nemmeno le botte funzionano, per contrastare il contagio bombarderanno col napalm le città. A nostra tutela.
Dal balcone l’ ininterrotto transumare domenicale della terza età..
I vecchini potrebbero benissino avere un respiratore coi lampeggianti come un chilo di cocaina nel cestino della bici, nessuno li infastidirebbe.
Qui i vigili, fedelissimi alla parte, inseguono (di soppiatto col gippone) i ragazzini, come fanno sempre – maledetti imbrattamuri drogati e (adesso pure) mezzi di trasporto per virus!
(un soggetto perfetto per uno sketch dei Monty Python)
(ps: quella qui sopra non è una delazione..mi sembrava un quadro grottesco esclusivamente dal punto di vista delle spiattellate grandi manovre di super controllo chesso, come quello che era evaso da un carcere del norditalia dalla finestra perchè durante il g8 2001 la polizia era tutta a genova. Una parentesi tra un lavoro e un’ altro; sono d’accordo con il commento qui sotto: ci sono cose indubbiamente questioni piu urgenti.)
In questi giorni di desolata/ desolante “pace” ( che qualcuno chiama addirittura ” ferie”), in un clima di surreale “spopolamento” urbano, incontro molti anziani che si fermano a chiacchiere, con la scusa di fare un complimento al cane.
Mi colpisce la derminata chiarezza con cui rifiutano di farsi ingabbiare in casa, di rinunciare a fare una camminata per mantenersi vitali, per evitare che le gambe,senza moto, possano indebolirsi ulteriormente. E mi colpisce come lucidamente mettano a fuoco che si sta tentando di fargli paura. E che loro paura non ne hanno. E non vogliono abbandonarsi, nell’ ultima fase della vita, ad una esistenza infelice, in preda a sentimenti irrazionali. Perché gli anziani sono spesso il contrario come ce li dipingono, visto che sono molto più in grado di molti altri di assumere quella distanza critica che gli consente di valutare le situazioni senza farsi opprimere dalle circostanze esterne.
Per contro sui social si respira un clima di avvelenamento cognitivo. In cui a colpi di slogan si riduce ogni forma di dissenso ad una pericolosa, irresponsabile sovversione.
Io continuo a pubblicare tutti gli articoli scientifici di cui mi rifornisco grazie a voi. Esponendomi allo stesso scherno che si riserva, nel migliore dei casi, a quelli che esprimono opinioni ” frivole ” ed ” infondate “…
Chissà se 48-72 ore di concatenamento #facebookdown, #whatsappdown e attacco DDOS al server del noto giornalone “democratico” farebbero calare un poco il livello di veleni, paranoie, delazioni e quant’altro. Non dico mica il finale primitivista di Fuga da Los Angeles di Carpenter, eh. Vagheggio una roba mirata, un focus preciso, una piccola pausa, un sollievo… Come quando la pioggia abbatte il livello di PM10 e permette di respirare almeno un giorno. Non sarebbe certo una soluzione strutturale, ma forse forerebbe la membrana, disperdendo un poco i miasmi.
Questa sugli anziani, a mio parere, e` una bella osservazione, quasi sperimentale, alla quale io, a causa del mio stile di vita, non potrei mai arrivare. Secondo me quello che tu noti ha a che fare con i processi ontogenetici, mi spiego: puo` essere che alcuni anziani, in questa situazione, non essendo pienamente partecipi delle dinamiche e dei meccanismi di comunicazione “online” o, come descrivi tu, “di avvelenamneto cognitivo”, stiano percorrendo un percorso di apprendimento e interpretazione della realta` diverso e alternativo, piu` propenso al dissenso. Questo probabilmente perche` i processi neuronali di una persona anziana non sono condizionabili quanto quelli di un adolescente o di un quarantenne per una questione di frequenza e intensita` di esposizione al medium, e quindi di adattamento biologico. In quanto sistemi reagenti complessi reagiscono, appunto, diversamente dalla “massa” al condzionamneto da skinnerbox nel quale ci ritroviamo.
Però attenzione, il “campione” osservato da Filo a Piombo è selezionato a monte: lei incontra persone anziane che già disobbediscono per il semplice fatto di farsi comunque la loro passeggiata. Ce ne sono molte altre che stanno in casa ad avvelenarsi con la TV generalista, che quanto a tossicità e martellante terrorismo non è certo inferiore ai social. Ve li raccomando, quanto a “processi cognitivi diversi”, certi anziani felsinei sempre ligi a qualunque diktat dell’autorità, ultrà del “decoro”, delatori patentati, sceriffi da condominio, nemici della felicità altrui…
(Poi ce ne sono altr* ancora che non escono di casa non perché non vorrebbero ma perché, per vari motivi, non possono, ma quello è un altro paio di maniche.)
Certo, le mie sono solo riflessioni di carattere empirico, nulla di razionale, riferite piu` alle dinamiche tecnologiche che all’effetiva possibilita` di dissenso da parte di questa o quella fascia di eta`. Piu` che fascia d’eta`, infatti, credo si trattera` di specie: il mio cane la sta` prendendo malissimo, non riesce piu` ad ottenere dall’umanoide la passeggiata su ordinazione, quando piu` lo desidera, tramite l’emissione di una una serie specifica di suoni, mondo cane! Sulla televisione ci sarebbe da notare soltanto che anche quella ormai e` partecipe del flusso di dati, nella versione “smart”, per almeno il 19% degli Italiani e che comunque a “dettare il ritmo” e`, specialmente per quanto riguarda le notizie, il web.
PS: A proposito di adattamenti: quello della favola di cappuccetto rosso ai tempi del COVID-19 e` esilerante, grazie. Immaginavo una fine diversa, tipo “threesome” cappuccetto/lupo/guardia, ma nella vita non si puo` avere tutto. Ho provato a lasciare un commento ma non sono riuscit* a registrarmi. Grazie a Filo per la fantasia e a voi per la segnalazione.
Interessanti le riflessioni fatte da te e da Wu Ming 1 sul tema degli anziani, sul dato ontologico e sull’ apprendimento. Io credo che una certa generazione di persone sia comunque più propensa ad accreditare come ” reali” fenomeni rappresentativi di una vita e di valori più “concreti” ed inerenti a dinamiche che si riflettono nella sfera della vita quotidiana. Motivo per cui gli anziani non fruiscono (o lo fanno in maniera puramente strumentale) dei social. Rimangono radicati in una cultura della concretezza in cui l’ esplicitarsi del conflitto può non essere solo virtuale. Quello che si sta verificando sui social ha a che fare con meccanismi di competizione/ affermazione di tutti su tutti ( in una continua lotta tribale) che partono da un contesto ” virtuale” (in tutta la loro odiosa, devastante violenza) e sfociano in un contesto reale, trasformati in omologazione del pensiero. È come se i due processi fossero inversi e speculari. Le conversazioni che faccio con anziani, raramente ruotano intorno a fenomeni virtuali creati ed amplificati dai social. Le conversazioni che faccio con alcuni coetanei,spesso,fanno riferimento al mondo parallelo dei social assunti come fonte principale di informazione. La televisione nel suo essere un media verticale, dall’ alto verso il basso, senza la possibilità di invertire il flusso, risulta più ” facile ” da smascherare dei social, apparentemente così orizzontali… nessuno sui social si preoccupa mai di verificare le fonti dell’ informazione. Problema che, almeno vagamente, si poneva con la televisione. In questo panorama gli adolescenti frequentano social di regime differenti da quelli frequentati dai genitori. Social che tendono a camuffare ancora meglio l’ esistenza di un conflitto. Assegnando ad ogni fascia di età uno specifico status sociale. Disintossicarsi dalla pervasiva onnipresenza dei social sarebbe davvero ” rivoluzionario “. Come ristabilire rapporti di vita più concreti. Basati sulla capacità di gestire un confronto o un conflitto de visu.
“Rimangono radicati in una cultura della concretezza in cui l’ esplicitarsi del conflitto può non essere solo virtuale”. La tua osservazione iniziale sugli anziani io l’ho interpretata esattamante cosi`, tu l’hai detta meglio. Aggiungo solo che non sono daccordo sulla “…distanza critica che gli consente di valutare le situazioni senza farsi opprimere dalle circostanze esterne”. Se consideriamo che l’aquisizione delle esperienze quotidiane nelle strutture neurocognitive avviene in maniera diversa a seconda degli stimoli, e quindi anche delle tecnologie alle quali si e` esposti, per madri, padri e nonni il rischio e` serio e il conflitto reale rimane, come un virus, latente.
PS: nel mio precedente commento credo ti ho confuso con Filosottile, l’autrice di cappuccetto rosso ai tempi dell’emergenza. Scusa
Scusate se ve lo ricordo, ma la terza età è la fascia anagrafica dove Salvini in questi anni ha spopolato. Non è per fare generalizzazioni, ma per far notare in modo icastico che si stanno un filino idealizzando le persone anziane.
Quella parte di popolazione è bombardata da anni da programmi tv spappolacervello e campagne d’allarme sulla qualunque, qui al Navile molt* si fanno dire come pensarla sul quartiere dal Carlino o da Mazzanti o da tutt’e due, e in generale inveiscono contro i nàigher, i zìngani (da pronunciare con la z dura), i drughé… Le interviste ad anziani irranciditi che invitavano a spazzare via XM24 e pattugliare la Bolognina con l’esercito perché «ormai siamo circondati dagli islamici» ce le siamo dimenticate?
Sul fatto che la TV sia più “sgamabile” rispetto ai social quando mente o fa propaganda, sarà forse più sgamabile per noi, ma un sacco di gente si tracanna qualunque cosa venga detta e non sta certo lì a smontare i frame. Sui social la maggior parte delle persone non risale alla fonte di una notizia, ok. Ma perché, davanti alla TV risale? E in questi giorni non mi sembra proprio che la TV giochi un ruolo secondario nel seminare il terrore.
[In realtà da anni la TV e i social sono innervati l’una agli altri, fanno parte di un circuito integrato, ma siamo noi che ci imbattiamo nella TV passando per la rete (e raramente capitiamo davanti a un televisore) a vederla così. Chi invece guarda prevalentemente la TV dal televisore (e usa poco o per nulla i social) continua a fruirla più o meno come in epoca predigitale.]
Direi ch la “radicazione” del pensiero in una “concretezza”, come dice Filo a piombo, c’e` nel senso che la passeggiata abituale tiene ancorate queste persone alla loro realta`, rendendole, inconsapevolmente disobbedienti. E questo, per me e` apprezzabile. Sul resto sono assolutamente daccordo infatti, ribadisco, la scarsa esposizione ai social, al web, come l’eccessiva esposizine alla TV, li rende incapaci di riconoscere sia il vero rischio che il reale conflitto. Nessuna idealizzazzione, solo una bel po di apprensione per mio padre che si ostina a voler andare a fare l’orto.
Ma appunto, Filo a Piombo incontra un sottoinsieme di anzian*, pre-selezionato dalla sua stessa disobbedienza :-)
Apprezzo molto l’ostinazione di tuo padre: il faut cultiver notre jardin !
Ma io sono d’accordo con tutto ciò che dici, soprattutto rispetto al fatto che social e TV siano un circuito integrato, rispetto al fatto che per noi sia più facile riconoscere la falsità di alcuni mezzi di comunicazione e rispetto al fatto che gli anziani abbiano subito e subiscano un bombardamento e un brain washing più che massiccio. Trovo però più semplice comunicare e discutere con chi non si può nascondere dietro la cortina virtuale di una comunità di utenti che appare come un corpo unico e compatto, pur nella sua apparente disgregazione. Trovo più semplice sfondare o rimbalzare contro il singolo muro, seppure rinforzato da uno stolido agglomerato di pregiudizi e convinzioni infondate, invece che confrontarmi con un enorme esercito di obbedienti zombies da tastiera, impregnati da una carica virale di rabbia, violenza e frustrazione che non sono neppure in grado di riconoscere. Trovo che per alcune fasce di età, anche se impigliati nella rete della TV, sia più facile disconnettersi. Il distacco fisico dal dispositivo, per esempio quando si esce di casa per fare una passeggiata, fornisce l’ opportunità per resettare il cervello. Poi è chiaro che non basta farsi due chiacchiere per strada per coltivare il seme della resistenza.
riguardo i processi neuronali degli adolescenti e degli adulti, è utile questo articolo di Vinckier, Gaillard, Palminteri et al. sulle differenze nell’ apprendimento:
https://www.academia.edu/26427669/The_Computational_Development_of_Reinforcement_Learning_during_Adolescence
Sempre in relazione agli anziani e a come sia facile, on-line to, “lose focus” e passare velocemente dal come/cosa al chi: 65,000 tweets relativi al cosidetto boomer-remover ( https://www.newsweek.com/boomer-remover-meme-trends-virus-coronavirus-social-media-covid-19-baby-boomers-1492190 )
Puntuale c’è chi ne approfitta proponendo il classico “scatto in avanti”.
https://www.corriere.it/economia/consumi/20_marzo_15/come-battere-pandemia-il-tracciamento-dati-grazie-compagnie-telefoniche-51c0497c-661c-11ea-a287-bbde7409af03.shtml?refresh_ce-cp
boh, io sono di ritorno da una passeggiata a villa Ghigi – eremo di Ronzano – Osservanza ed era pieno. Addirittura sul sentiero tra via di Gaibola e l’Osservanza, che non ci incontro mai nessuno, ho incrociato almeno 5 gruppetti di persone. Pare che tutti i bolognesi fossero sui colli oggi pomeriggio – o almeno un bel po’. (Villa Ghigi non è chiusa per fortuna)
Non so se vale come test di resistenza, ma di buon senso, secondo me, sì
Idem sul Lungo Navile ieri. Io sto uscendo tutti i giorni e finora non mi hanno ancora fermato. Vediamo adesso, sto per uscire di sera.
Di sera col buio il virus è più pericoloso.
Ieri jogging con mio figlio (anni 14) su Lungoreno (Barca/ Borgo Panigale), molta gente ma al massimo a due, niente gruppi…. anche se temo vogliano aggiungere l’area intorno al Cs Barca a quelle da chiudere.
Non mi hanno fermato neanche stasera. Da giorni continuiamo a fare le prove col Bhutan Clan in “clandestinità”. Siamo a questo punto: per poter provare, le band devono darsi alla macchia.
Non proviamo più al Vag61, per non creare problemi al centro sociale: si rischia di fornire appigli a vicini malintenzionati (e molto intenzionati a chiamare la forza pubblica). Ci siamo spostati altrove. Si trattava di trovare un edificio dove fosse ragionevolmente certa l’assenza di delatori. L’abbiamo trovato. Stasera ci siamo spostati in tre per raggiungerlo, uno da un altro quartiere. Il bassista è arrivato con lo strumento in spalla, se fosse passata una pattuglia lo avrebbe notato a due isolati di distanza.
Abbiamo provato per due ore, facendo anche The Man Comes Around di Johnny Cash, molto calzante al clima di questi giorni: «There’s a man going around taking names / And he decides who to free and who to blame…»
Quando ce ne siamo andati, siamo usciti in strada insieme, ci siamo salutati e separati solo dopo un isolato, abbiamo incrociato altre persone… In altre zone del paese, ma anche in altri punti della città, ci avrebbero fermati per molto meno.
Oggi nella via dove abito è passata un’auto della Protezione civile che sparava dall’altoparlante messaggi fuorvianti, diceva che non bisogna uscire di casa, tout court, roba che nei decreti e nelle applicative non c’è, persino il Viminale ha dovuto chiarire che non c’è alcun divieto di passeggiata (e ci mancherebbe).
E gente che passeggia ce n’è, spesso ci si incrocia e si dice «buongiorno», come durante le escursioni in montagna. Se incroci qualcuno, vuol dire che avete qualcosa in comune. Quel “comune” è la base minima da cui ripartire per provare a uscire da questo incubo.
Ho sentito al telefono mia madre che, con una punta di disperazione, mi diceva che anche da loro passa la polizia a far terrorismo psicologico col megafono. I miei genitori avevano l’abitudine di fare una decina di km a piedi ogni giorno, e non oso immaginare come usciranno da un mese di inattività forzata
Voglio parlare di una “cavolata” (ma magari qualcuno non la conosceva. Magari a qualcuno può essere di ispirazione). Ispirata da questo tweet:
https://nitter.net/ClaireLSutton/status/1239171116268208128
In effetti l’osservazione è calzante. Scarfolk, per chi non la conoscesse, è una piccola cittadina immaginaria dell’Inghilterra, in cui, negli anni ’70, le autorità locali, nella fattispecie lo Scarfolk Council, diramavano comunicati inquietanti, ma soprattutto vaghi, contraddittori e fondamentalmente inutili (finiscono invariabilmente con “For more information please reread”) su una serie pressoché interminabile di pericoli sovrannaturali. Nato come un blog:
https://scarfolk.blogspot.com/
… e diventato poi una serie di libri illustrati
Lo seguo praticamente da quando esiste, ma mi sembra solo ora, finalmente, di apprezzarne l’umorismo. Anzi, al netto dell’inutilità e dell’ambiguità, preferisco il tono franco dei comunicati dello Scarfolk Council (che ricalcano, per quanto possa ricordare, vere campagne di pubblicità progresso del secolo scorso) a quello compagnone delle autorità del 2020
Segnaliamo che anche Yamunin, costretto a casa con la febbre e nel frattempo licenziato, tiene un suo Diario virale da Vienna.
Segnalo episodi riferiti da amici e conoscenti a Bolgna:
Fermata, e pesantemente redarguita, ragazza con cane a San Michele in Bosco
Chiamata polizia, da zelanti cittadini, per presunti assembramenti di persone al Palasport e in via del Piombo
Fermato amico che andava a fare la spesa, gli è stato chiesto per quale motivo fosse in giro
Minacciata ( sempre da zelante cittadino delatore) amica che si è introdotta a mezzanotte al parco del Barone Rampante, transennato
con strisce da scena del crimine
Intanto in Israele: https://www.timesofisrael.com/government-okays-mass-surveillance-of-israelis-phones-to-curb-coronavirus/
[…] come spiegato qui e qui (ma ci tornerò sopra), questo potrebbe essere vero, per un lungo periodo di tempo, anche dal […]
Mi solleva molto leggervi, vista la comprensibile difficoltà a mantenere vivo il senso critico in questi giorni e la tendenza diffusa a farsi prendere dalla paura irrazionale (non tanto di morire quanto di far morire, paura paradossale ma che si è insinuata anche un po’ in me come in tanti altri).
Penso che sia necessario riflettere sull’emergenza e soprattutto trovare delle strategie per contrastare apertamente questo stato di polizia e delatori che si è creato.
Ma sul piano della concretezza, al di là delle comprensibili critiche alla gestione precedente e a quella attuale improvvisata, cosa si può fare?
Io non mi fido di Burioni come di altri suoi simili, ma mi fido di amici medici che sostengono la necessità, allo stato attuale delle cose, di misure forti e immediate per rallentare il contagio (senza ovviamente giustificare l’esercito per le strade) vista la situazione negli ospedali che è già insostenibile e che lo sarà ancora di più nei prossimi giorni.
Quindi al di là di quello che poteva essere e non è stato, arrivati a questo punto in cui gli ospedali stanno realmente rimandando operazioni e cure considerate non urgenti, quale potrebbe essere un’alternativa a ciò che si sta facendo secondo voi? Sia a livello governativo (alcune richieste, ad esempio ricorrere alle cliniche private pare siano state accettate) sia a livello di comportamento individuale (in che misura è necessario attenersi alle indicazioni e in che misura invece no)?
Chi sta governando quest’emergenza ci ha ficcate tutti in una grande trappola, ma qualcosa si può e si deve fare.
Prima di tutto, bisognerebbe cercare tutt* insieme modi non sensazionalistici di fare informazione sul virus, soffiando via la cappa di miasmi che i media ci tengono sopra le teste. L’insistenza feticistica sul numero di contagiati, sul numero di decessi e sul tasso di letalità, in questo momento, è uno degli aspetti più tossici, intossicanti, terrorizzanti dell’infodemia che stiamo subendo. Sono numeri decontestualizzati, mai scomposti, mai sviscerati.
[Se ho ben capito, in Corea del Sud contano tra i morti di Covid-19 solo quelli che non avevano già patologie gravi. Chiedo conferma a chi ne sa perché questa cosa l’ho sentita ma non trovo fonti. Se fosse vero, sarebbe un criterio sensato. Mi hanno anche detto che in Germania quando comunicano un decesso collegato al covid-19, specificano chiaramente di quale altra patologia soffrisse la deceduta o il deceduto. Chiedo conferma anche di questo.]
Dopodiché va detto chiaro e forte che c’è contenimento e «contenimento», non è tutto uguale a tutto.
Nel post successivo a questo, Wolf dice che non si è pensato nemmeno per un momento a cercare un punto d’equilibrio tra esigenze di contenimento dell’epidemia e tutela di elementari diritti e libertà.
Chi sminuisce queste libertà e le riduce al «cazzeggio» è un mentecatto pericoloso. Come ben sintetizzava un articolo uscito sull’Avvenire pochi giorni fa, «questi decreti hanno messo in campo la più intensa limitazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione dal momento in cui questa è in vigore, cioè da 72 anni a questa parte: non è solo limitata la libertà di circolazione, ma anche quella di riunione, così come il diritto all’istruzione, il diritto al lavoro e la libertà di iniziativa economica, nonché, almeno in parte la libertà di manifestazione del pensiero, la libertà religiosa e la stessa libertà personale, pur con una serie di meccanismi di flessibilizzazione dei divieti e delle prescrizioni che in taluni casi li riducono a mere raccomandazioni».
La «flessibilizzazione» in realtà si è dimostrata dannosa, perché – come spiega Casarotti – sta dando adito a più arbitrio e a più restrizioni, e non stiamo più parlando di «mere raccomandazioni». Sulla decretazione d’emergenza, forze dell’ordine e amministrazioni regionali e comunali stanno aggiungendo ulteriori strati su strati su strati di divieti decisi a favore di media e social media, “nerboruti” ma frequentemente del tutto irrazionali. E sempre vessatori.
Per obbligare chi governa l’emergenza a fare marcia indietro e riestendere fondamentali spazi di libertà occorre che monti l’insofferenza almeno verso i provvedimenti più irrazionali e inutilmente muscolari. Il livello di insofferenza deve superare il livello di paranoia, altrimenti non abbiamo margini sufficienti per agire.
Adesso sono passati solo pochi giorni, e la maggioranza delle persone spera che gli arresti domiciliari finiscano il 3 aprile. La verità è che, con i governanti stessi chiusi nella loro trappola retorica e con il principio del “lockdown” che viene imitato anche in altri paesi europei, non c’è nessun motivo per attribuire alla data «3 aprile» né valore né senso. Questi arresti domiciliari potrebbero durare indefinitamente, per mesi e mesi.
Per il momento il terrore inculcato dai media e una propaganda nazionalista di infimo conio coprono ancora – sebbene già a stento – il disagio. Ma l’incoerenza dei provvedimenti ha già causato rivolte e scioperi selvaggi, e la trasgressione diffusa delle norme più demenziali ha già scatenato l’ira di tecnocrati, commissari, amministratori e influencer.
Pensano davvero di poter tenere decine di milioni di persone inchiavardate in casa sine die?
Pensano di poter mettere toppe per decreto alle voragini che si aprono nella vita delle persone, nei loro affetti, nella loro possibilità di avere un reddito?
Pensano di poter tenere separate a lungo solo con la riprovazione morale pilotata e con la minaccia poliziesca coppie che si amano, famiglie amputate, amicizie, progetti?
Questa situazione non è gestibile, è pericolosissima per qualunque idea sensata di democrazia, e soprattutto non ha uno sbocco. E se pensiamo alle sofferenze psichiche che causerà, con conseguenze potenzialmente distruttive di legami sociali e vite umane, potrebbe fare persino più vittime dell’epidemia stessa.
La strategia imboccata sembra non stia nemmeno fermando il contagio, almeno a sentire gli stessi apologeti dei lockdown, che però danno la colpa non a misure mal concepite e incoerenti, ma a presunti «furbetti» e «irresponsabili». La responsabilità dell’epidemia viene individualizzata, come quando ti dicono che la colpa del cambiamento climatico è tua, dei tuoi cattivi consumi.
Lottare contro le imposizioni più insensate, discriminatorie, classiste, tra l’altro, è un modo di salvaguardare il concetto stesso di «contenimento», che altrimenti, quando la gente s’incazzerà e disobbedirà in massa, rischia di finire giù nel cesso insieme alle porcherie fatte in suo nome.
Questo per quanto riguarda l’aspetto “negativo”, destituente, delle lotte che è necessario fare. La pars construens è ancora più importante: lottare per rafforzare la sanità pubblica, invertendo il trend neoliberale che dal 1992 in avanti ha sfasciato il Servizio Sanitario Nazionale. Sanità come servizio davvero universale e gratuito. Abolire l’intra moenia. Riaprire ospedali nei territori che ne sono stati privati per via di dubbie «razionalizzazioni». Più reparti di terapia intensiva per affrontare le prossime emergenze. Quanto alla sanità privata, in quest’occasione ci si è appellati al “buon cuore” di quelle strutture, la loro disponibilità ad aiutare la collettività è su base volontaria. Andrebbero requisite e basta. E non basta: dovremmo reclamarne a gran voce la nazionalizzazione.
Chiaramente, quanto appena detto sulla sanità non si può mettere in pratica se non si toglie dalla Costituzione l’immondizia relativa al «pareggio di bilancio» aggiunta ai tempi del governo Monti, e in generale non si lotta per destituire il «patto di stabilità» e fare a brandelli i «parametri europei» da Maastricht in avanti.
P.S. Su Euronomade c’è un bell’articolo di Chiara Giorgi che racconta da quali lotte nacque il Servizio Sanitario Nazionale.
Ecco Chiara Giorgi ha colto in pieno il nocciolo del problema:
“La catastrofe del coronavirus e della sua diffusione, non solo ci impone una spietata riflessione sui tagli alla sanità fatti negli ultimi trenta anni, su quelle politiche di privatizzazione e di mercificazione di sanità e welfare di cui si nutre il neoliberalismo da anni; ma ci riporta alle origini storiche e alle ragioni dello strumento che oggi è maggiormente investito dall’emergenza: il Servizio Sanitario Nazionale.
La spesa sanitaria pubblica in Italia rappresenta oggi il 6,5% del PIL, in linea con la media OCSE, ma in termini pro capite il SSN spende la metà della Germania. Calcolando la spesa in termini reali, al netto dell’inflazione, dopo un aumento in linea con gli altri paesi sino al 2009, le risorse pro capite per la sanità pubblica italiana nel 2018 sono cadute del 10%, mentre in Francia e in Germania sono aumentate del 20% (Ufficio parlamentare di bilancio, 2019). Questi dati fotografano l’entità della riduzione delle risorse pubbliche particolarmente grave in un paese ad alto invecchiamento della popolazione. È questo l’effetto delle politiche di austerità introdotte a partire dalla crisi del 2008, ma è anche il riflesso della più complessiva controrivoluzione neoliberista, segnata da spinte alla privatizzazione e alla trasformazione in merce di salute, istruzione, ricerca, cultura, ambiente, affermatasi a partire dagli Ottanta.”
Per chi come me è già in forte insofferenza, il nocciolo è qui:
Per obbligare chi governa l’emergenza a fare marcia indietro e riestendere fondamentali spazi di libertà occorre che monti l’insofferenza almeno verso i provvedimenti più irrazionali e inutilmente muscolari. Il livello di insofferenza deve superare il livello di paranoia, altrimenti non abbiamo margini sufficienti per agire.
Chi sono quelli che possono scavallare il livello? Ipotizzo:
– quelli che stanno lavorando, ai livelli sociali più bassi
– gli studenti e in genere i giovani
– gli intellettuali (se ci sono)
– molti piccoli imprenditorini il cui lavoro ha una notevole parte nei contatti
– le persone psicologicamente più instabili
– i drogati (in generale, anche quelli drogati di palestra, i worckohlich ecc.
…….
…
Scusa Roberto se rispondo anche qui, ma dal punto di vista tecnico ci sono diverse cose che non mi tornano.
Questa situazione (…) potrebbe fare persino più vittime dell’epidemia stessa
L’Imperial College stima per il Regno Unito 550.000 morti. Se “rilassassimo” le misure di contenimento, non c’è ragione per immaginare ordini di grandezza diversi in Italia. Stai veramente suggerendo che suicidi/femminicidi/danni economici possano fare più di mezzo milione di morti? Sono certo di no.
https://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/medicine/sph/ide/gida-fellowships/Imperial-College-COVID19-NPI-modelling-16-03-2020.pdf
La strategia imboccata sembra non stia nemmeno fermando il contagio
Non ho idea da dove tu stia prendendo questa informazione. Ma in Cina il lockdown sembra aver funzionato, quindi delle due l’una: o i cinesi stanno fornendo al mondo dei dati falsi, oppure le misure di contenimento nostrane, qualora effettivamente non altrettanto efficaci, andrebbero inasprite. Comunque credo sia semplicemente troppo presto: mi sembra che nessuno degli scienziati “seri” per il momento si sia sbilanciato a fornire delle date; tra quelli “meno esperti” ma che “masticano numeri”, in diversi si stanno dilettando da settimane ad analizzare i dati. Alcuni post sono “chiusi” e non li posso linkare, sembra che comunque la fase “esponenziale” sia stata abbandonata in Lombardia. Qui (https://naturalstupidity.ghost.io/quando-vedremo-leffetto-del-lockdown/) una stima che prevede che un cambiamento non si possa osservare prima del 21 marzo. Personalmente aggiungo che purtroppo non ha senso ragionare su un aggregato italiano, ma occorre ragionare zona per zona (ad esempio non sarebbe sorprendente se si vedesse un peggioramento “al sud” come effetto “ritardato” degli spostamenti di massa).
Anche se si concorda, non porterei ad esempio l’Avvenire. Credo stiano facendo semplicemente interessi “di bottega”, come emblematico dalla “passeggiata del Papa” e dalla scelta di riaprire le chiese. Evidenzia bene oggi sul Fatto Quotidiano (sorry per la fonte) Marco Marzano: 1) Tenendo aperte le porte (…) la Chiesa richiede che i suoi servigi siano trattati come “essenziali” e imprescindibili, al pari di quelli alimentari e sanitari 2) C’è la paura che i fedeli, lontani dal momento collettivo, scoprano che non c’è bisogno della “mediazione” dei sacerdoti e si può percorrere una spiritualità individuale.
Per quanto riguarda il discorso sul requisire sanità privata, Andrea Capocci sul Manifesto argomenta che in realtà in gran parte è già stata utilizzata più o meno “spontaneamente”, ma soprattutto che i posti in terapia intensiva privati sono pochi (in diverse Regioni addirittura sono presenti solo nel pubblico,
https://nitter.net/andcapocci/status/1239824290083565569#m).
Interessante anche qui (https://ctpiacenza.org/pubblico-e-privato-in-mezzo-le-lotte-per-rendere-tutto-comune/) Un sistema interamente pubblico e finanziato adeguatamente avrebbe retto meglio l’epidemia? Sicuramente avrebbe retto meglio. Va detto tuttavia che anche il migliore dei sistemi sanitari pubblici non può per definizione reggere l’urto di una maxiemergenza come questa. Ovunque nel mondo i posti in rianimazione sarebbero finiti.
Per quanto magari la crisi in corso possa rendere più evidenti determinate cose, la critica alle privatizzazioni e ai tagli vale “in tempo di pace” senza “bisogno” di utilizzare l’emergenza: è uno scandalo a prescindere.
Enrico, tu qualche giorno fa te n’eri andato, avvolto in una nube di frasette sarcastiche, facendo la parte dell’incompreso e premurandoti di farci sapere che il focus da noi scelto non ti interessava, che questa era casa nostra e giustamente lo decidevamo noi di cosa occuparci e come ecc. Questo dopo che non eri riuscito a far passare il bizzarro principio secondo cui, sul nostro blog, avremmo dovuto occuparci di quel che importava a te e nel modo in cui volevi tu (cioè identico a quello del mainstream). E, soprattutto, dopo averci tediate e tediati a morte. Il tutto senza risparmiarci vari argomenti straw-man e mossette alquanto detestabili, come quando hai usato contro di noi virgolettati-dentro-virgolettati di Davide Grasso che se la prendeva con tutt’altra gente. E senza dimenticare che eri partito accusandoci di disonestà intellettuale.
Bon, dopo un’uscita di scena come quella, coerenza vorrebbe che rien ne va plus. Non si capisce perché tu sia di nuovo qui, né perché mai dovremmo tornare a discutere con te, stare lì a spiegare ai terzi che ci leggono gli equivoci che generi coi tuoi morceaux choisis ecc.. Torni qui perché hai sviluppato una dipendenza? Noi non siamo pusher e non siamo nemmeno il Sert. Un minimo di coerenza e di dignità, per favore. Hai tanti altri posti dove discutere dentro il frame che piace a te, sul web non ne mancano.
[…] delle nostre voci, le analisi e e le riflessioni. Ancora una volta è imprescindibile Giap, dai consigli di resistenza all’emergenza, al primo dei due post di Wolf Bukowski, appena pubblicato, il cui lavoro sul decoro torna più che […]
A Parigi hanno chiuso i parchi, in una città dove un sacco di gente vive in 10mq. Speravo in una gestione più sensata ma niente sembra già un cauchemar, un incubo. Macron un paio di giorni fa aveva detto che non avremmo rinunciato a niente, alla faccia del cazzo.
Ora è vietato l’acquisto di quaderni e mutande.
https://milano.repubblica.it/cronaca/2020/03/16/news/coronavirus_esselunga_vietato_comprare_beni_cancelleria_giardinaggio-251448360/?ref=RHPPTP-BH-I251441460-C12-P5-S1.4-T1
Quindi:
1) i bambini che non hanno un computer non possono nemmeno fare i compiti alla vecchia maniera sul quaderno
2) se uno si caga addosso e ha bisogno di mutande si attacca al cazzo
Diventa sempre più difficile far finta di non vedere che in queste ordinanze si sovrappongono due livelli: quello sanitario, e un livello altro, un livello dove c’è qualcosa di buio, qualcosa di molto brutto.
Le misure anti-coronavirus nella mia testa sono state, fin da subito, un contagio al pari di quello del coronavirus. Ho provato a immaginare i sintomi, ho cercato notizie dei primi focolai, ho seguito la sua diffusione (mea culpa, lo ammetto: la mia prima reazione è stata di giocare con almeno una mossa di anticipo contro questo meta-virus, e fare scorte di nascosto). Ci doveva essere già quell’idea nella mia testa, ma è stato quando Conte ha dipinto il paese di rosso, il 9 marzo, che s’è concretizzata
Questa iniziativa dell’Esselunga (sarà un caso che proprio l’Esselunga?) non sarà un’episodio isolato. Forse si potrebbe fare una mappa per tracciare l’evoluzione del contagio. O un calendario dell’avvento postdatato, che conti abusi e capricci di potere, giorno per giorno (dubito che mancherà il materiale), fino al fatidico Holy Virusmas del 3 aprile
Ciao a tutti,
vi leggo da un po’ di anni ma non ho mai commentato. Volevo provarci oggi sull’onda “dell’emergenza” aggiungendomi al coro di chi racconta la propria esperienza. Lo faccio qua anche se vedo che è uscito un nuovo post.
Io sono un libero professionista in campo ambientale (partita IVA vera, per quanto piccola) e la mia principale preoccupazione (per ora) è di non poter andare a lavorare (prima), e di non avere lavoro da fare (poi).
I racconti che ho letto sul blog di gente controllata e denunciata perché “girava a piedi senza motivo” mi hanno inquietato parecchio e mi accorgo che il primo controllo è proprio quello sociale, del vicino di casa che ti guarda storto se esci, vedo il panico montare fra gente normalmente distaccata e per ora sono più spaventato da questo (e dalle possibili interpretazioni “arbitrarie” di cui si parla nell’ultimo post sul “decoro”) che dall’epidemia in sè.
Adesso giro in macchina con il modulo compilato e qualche documento che attesti la mia attività lavorativa (sono autonomo quindi in caso di controllo non c’è nessuno a cui telefonare che confermi la veridicità delle mie dichiarazioni).
Avrei voluto fare un commento più lungo perché i diari virali mi hanno fatto fare un sacco di riflessioni che vorrei condividere anche sul fatto che quest’emergenza (alcune “soluzioni” all’emergenza) è qua per restare, ma mi manca il tempo e la capacità di sintesi per mettere giù un pensiero coerente: magari la prossima volta.
Vedo che c’è già parecchio materiale di discussione nell’ultimo post uscito.
Finalmente stamattina mi son fatta coraggio, ho preso il pupo e sono uscita, destinazione spiaggia (cinque minuti in auto per arrivare), con una duplice ansia, quella di prossimità, i parenti che abitano qui avrebbero potuto sentirmi e chiedermi dove stessi andando e perché fossi così incosciente (ho già subito terzi gradi simili la scorsa settimana, prima di murarmi dentro), e quella pubblica: “se mi fermano che gli racconto?” Ad ogni modo arrivo sulla strada del mare e a destra vedo una pattuglia della municipale, poco male, un punto della spiaggia vale l’altro, parcheggio e scendo in riva al mare. Il bambino si è divertito, ha giocato con le pietre, io mi sono rilassata, ho fatto un po’ di telefonate a persone care ricevendo feedback contraddittori: padrino che mi dice di stare dentro perché il virus è nell’aria e ancora non abbiamo visto niente, zia materna che mi raccomanda di lavare bene le mani tornata a casa, senza toccare il rubinetto ma usando un tovagliolo per aprirlo(!) però contenta che io esca e porti fuori il bambino. Poi lui si toglie le scarpe e le getta in acqua, toglie le calze e fa lo stesso, io mi bagno almeno una gamba per recuperarli ma non riesco ad arrabbiarmi. E’ liberatorio, quasi. Con maggiore serenità, incredibile, torniamo a casa. Devo dire che il coraggio me lo grazie anche a questi spazi, perché come si diceva bene sopra, non finirà presto, potrebbe essere indefinito e occorre combattere da subito la “mentalità guardiacaccesca”.
Volevo ringraziare tutt* voi anche condividendo questo link preso da Morozov su Twitter che raccoglie diversi scritti sugli effetti politici, economici e sociali del coronavirus: https://covid19syllabus.substack.com/p/the-politics-of-covid-19-readings
Ciao a tutti. Spero nessuno lo abbia già fatto altrimenti mi scuso. Vi chiedo se avete letto la considerazione di questo neurologo bolognese e cosa ne pensate.
[Ps.tra le altre cose sono un funzionario Fiom modena e oggi in un’azienda il Padrone ha chiamato i carabinieri per intimidire l’rls che stava protestando per le condizioni di sicurezza in fabbrica sul tema coronavirus. Gli effetti meravigliosi, anche solo indotti, degli accordi confederali e dei decreti sicurezza di Conte per l’emergenza sanitaria. A breve ovviamente comunicato stampa in merito.]
“Il COVID-19 è un virus “respiratorio”. Le vie d’ingresso sono principalmente la bocca ed il naso. Poi, la congiuntiva e la via orofecale. Le vie che creano maggiori complicanze sono la bocca ed il naso. Il naso è anche causa di interessamento delle terminazioni periferiche nervose del nervo olfattivo (anosmia, ageusia). Via questa che il virus predilige, oltre quella sinaptica dei chemorecettori del polmone, per entrare e devastare anche il nostro sistema nervoso centrale. Ci sono numeri casi di distress respiratori che avvengono in modo improvviso con una incapacità di regolazione della respirazione spontanea da danno nucleare bulbare Insomma, sarebbe bastato fornire a tutti una mascherina chirurgica, come hanno fatti i cinesi, per limitare la carica virale specie degli asintomatici (sono circa il 70%). Avremmo salvato anche tanti nonni. Occorreva indossarla obbligatoriamente. Invece no, hanno chiuso piazze e scuole e non nasi e bocche. I risultati sono questi. Non solo, gli altri paesi europei ci seguono. Il disastro sarà immane. Noi sanitari, poi, vittime sacrificali lanciate nelle trincee senza DPI a combattere una guerra virale di tipo nucleare. Spero che dopo la fine di questo film horror i nodi verranno al pettine. Resistiamo! Tanto apprezzamento per chi è in prima linea. Villanova Marcello. Neurologo, Bologna”
[…] che si stanno organizzando per la consegna a domicilio. Sin da subito alcuni si sono ingegnati per trovare strategie di resistenza senza rinunciare alle precauzioni per evitare il contagio: spedire i libri, consegnarli […]