di Wu Ming
1. Monte Sabbiuno
2. Un reading itinerante in pieno lockdown
2b. L’apparizione della C.
3. In base a cosa hanno recluso in casa i nostri bambini?
4. L’epidemia più duratura e letale
5. Pensiero reazionario e pensiero della liberazione
6. Il «nulla più come prima»: un’iperbole antistorica e un alibi ideologico
7. Dieci punti fermi per il futuro
8. Ritorno da Sabbiuno
Il 21 aprile 2020, poco prima delle sette di sera, abbiamo preso l’autobus 52 in Piazza Cavour e siamo saliti in collina, a Monte Sabbiuno. Andandoci, non siamo usciti dai confini del comune di Bologna (il burrone col monumento ai caduti è proprio al limite), ma siamo usciti dai limiti delle norme: lontani da casa, tipologia di spostamento non prevista dal modulo di autocertificazione. Ma eravamo certi di essere nel giusto, perfino sotto l’aspetto legale.
Ci sono state diverse prese di posizione critiche da parte di giuristi sulla decretazione d’emergenza, sul caos delle ordinanze, sull’illegittimità di certe restrizioni, sull’eccessiva discrezionalità concessa alle forze dell’ordine… Qui su Giap, da settimane Luca Casarotti risponde ai dubbi e alle preoccupazioni di chi si è visto affibbiare multe in circostanze di stralunante arbitrio.
Tre ore prima che noi prendessimo il bus per Sabbiuno, l’ANSA rilanciava la lettera aperta di nove magistrati di Aosta, tra i quali il presidente del tribunale, dove si denunciava l’assurdità del perseguire chi passeggia – in special modo se lo fa nei boschi, nei campi, lungo sentieri fuori città – e della conseguente caccia all’uomo, con tanto di elicotteri o droni:
«Con estremo sconforto – soprattutto morale – abbiamo assistito – ed ancora assistiamo – ad ampi dispiegamenti di mezzi per perseguire illeciti che non esistono, poiché è manifestamente insussistente qualsiasi offesa all’interesse giuridico (e sociale) protetto»
Siamo sempre più convinti che abbia avuto luogo una truffaldina sostituzione dello stare-a-casa (dal lavoro) con lo stare-in-casa.
Grazie a quella sostituzione, la maggior parte delle fabbriche dove si lavorava senza tutele sono rimaste aperte, mentre si sono costretti milioni di persone agli arresti domiciliari, ovunque, anche in zone con zero contagi, zone di montagna o campagna, zone a bassissimo indice demografico, zone lontanissime da ogni focolaio, isole…
Quando siamo scesi dal 52, sul crinale che divide la valle del Reno da quella del Savena, ci siamo guardati intorno e ci siamo chiesti, quasi all’unisono: «Perché mai uno dovrebbe stare in casa, qui?»
Il monumento di Monte Sabbiuno ricorda i partigiani e i prigionieri politici che i nazisti fucilarono in quel luogo, a più riprese, dalla metà di dicembre del 1944, prelevandoli dal carcere di San Giovanni in Monte a Bologna. Schierati sul crinale, venivano abbattuti e lasciati rotolare fino in fondo al dirupo. Inaugurato nel 1973, Bruno Zevi ha definito questo esempio di land art «il più convincente e significativo tra le centinaia di “memorials” ai caduti della lotta partigiana europea».
Nel primo anniversario dell’assassinio di Carlo Giuliani pubblicammo su Giap – all’epoca ancora una semplice newsletter – un articolo intitolato «20 luglio 2002: Un piccolo Miracolo Laico. Excursus dal basso Appennino bolognese a piazza Alimonda, passando per…» Molti dei motivi per cui Sabbiuno esercita su di noi un fascino particolare sono raccontati in quel testo:
«a Sabbiuno c’è un monumento, un monumento che non è mai stato chiuso né monologico, che non ha davvero niente di retorico né di burocratico […] Un piccolo miracolo. Nel trentennale dell’eccidio, per co-memorare quei cento combattenti antifascisti, sul ciglio del burrone furono posati massi di piccole e medie dimensioni, ciascuno con inciso il nome di un partigiano. Quasi un intervento di “land art”, leggero e armonioso, tanto perfettamente inserito nell’ambiente circostante da apparire naturale.
[…] Quei massi parlano, li interroghi e ti danno mille risposte.»
Giù in basso, ai piedi del calanco e del contrafforte Pliocenico, lungo la sponda destra del Reno, si snoda la prima tappa della Via degli Dei. Ma vent’anni fa, quando il tracciato non era ancora completo e la prima tappa iniziava da Sasso Marconi, chi voleva partire da Piazza Maggiore, a Bologna, usciva da Porta San Mamolo, prendeva la strada dei Colli, sempre sul crinale, e usciva dalla città seguendo l’asfalto e passando accanto ai massi di Sabbiuno.
È un altro dei motivi che ci lega a quel posto e ci spinge a salire lassù – a piedi, in bici, in auto o in bus – quando ci frulla in testa qualche domanda importante.
Il 21 aprile era il 75esimo anniversario della Liberazione di Bologna. Siamo andati in pellegrinaggio a Sabbiuno per coronare la nostra prima iniziativa pubblica in città dall’inizio dell’emergenza coronavirus. E per meditare sul da farsi, sul futuro.
2. Un reading itinerante in pieno lockdown
La mattina del 21 abbiamo fatto la riunione del collettivo. Riunione fisica, non virtuale, per organizzare l’iniziativa del pomeriggio.
A partire dalle 15 e senza averlo annunciato prima, abbiamo celebrato il nostro 21 aprile con un reading itinerante in centro. Il percorso ha congiunto quattro delle librerie che avevano già riaperto. Librerie con cui abbiamo collaborato, in cui abbiamo fatto presentazioni. Nell’ordine:
■ Ubik Irnerio, in via Irnerio;
■ Modo Infoshop, in via Mascarella (nel giorno stesso dell’attesa riapertura);
■ Trame, in via Goito;
■ Giannino Stoppani, in piazza Re Enzo.
Ogni volta ci siamo messi in fila e abbiamo letto per un pubblico occasionale di 10-15 persone.
«Che sollievo, temevo che per la Liberazione nessuno facesse niente…»
«Non sembra vero di assistere di nuovo a un’iniziativa…»
«Cazzo, ci voleva!»
Durante il giro, abbiamo letto brani dai seguenti libri:
■ Cesare Pavese, La casa in collina.
■ Cesare Pavese, La luna e i falò.
Ben due titoli, perché quest’anno cade il settantennale della morte di Pavese, e proprio in quest’aprile cadeva il settantennale de La luna e i falò.
Il primo brano da La casa in collina parlava della sospensione della normalità in tempi di guerra, di come cambia la percezione delle cose, e si concludeva con la domanda: «Quando riaprono le scuole?»; il secondo, tratto dal celeberrimo finale, è una delle più belle riflessioni sulla necessità per chi sopravvive a una guerra – che è sempre guerra civile – di fare i conti con i morti, con la loro umanità, chiunque essi siano, e con la responsabilità di essere sopravvissuti al posto loro.
Il brano da La luna e i falò raccontava le conseguenze del ritrovamento, tre-quattro anni dopo la fine della guerra, di due morti repubblichini. Pavese mostra l’allargarsi di una spirale di chiacchiere diffamatorie nei confronti dei partigiani, e noi quelle chiacchiere fatte da borghesi al bar le riconosciamo: le abbiamo udite tante volte, tali e quali. Sono le stesse di oggi.
Su Pavese eravamo freschi: tra il dicembre e il febbraio scorsi ce lo siamo riletto tutto, per scrivere una prefazione alla nuova edizione Einaudi de La luna e i falò.
Poi un trittico di bolognesi:
■ Giovanna Zangrandi, I giorni veri. Diario della resistenza.
■ Renata Viganò, L’Agnese va a morire.
■ Antonio Meluschi, L’armata in barca.
Giovanna Zangrandi, pseudonimo di Alma Bevilacqua, nata a Galliera (BO), fu partigiana in Cadore durante l’annessione della provincia di Belluno al Terzo Reich.
Viganò e Meluschi, moglie e marito, fecero la Resistenza nel basso ferrarese e la raccontarono nei due romanzi che abbiamo scelto. Vivevano nella stessa via di Modo Infoshop, al civico 63/2, dove dal 2018 li commemora una targa. Sotto i loro nomi si legge: «Con loro questa casa è stata un crocevia di intellettuali e un punto di riferimento per la cultura antifascista.»
■ Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno.
Nella celebre prefazione scritta vent’anni dopo la prima uscita del romanzo, Calvino spiega le due pulsioni che lo mossero a immaginare la storia di una banda partigiana di sottoproletari non ideologizzati: affermare che l’adesione istintiva e prepolitica alla Resistenza da parte di soggetti “discutibili” era stata comunque meglio dell’acquiescenza di tante “brave” persone neutrali; sventare la tentazione agiografica sugli “eroi romantici”.
■ Beppe Fenoglio, Una questione privata.
Il brano dell’incontro tra Milton e il vecchio che gli dice: i fascisti dovete ammazzarli tutti, tutti quanti, non ne deve rimanere uno vivo. Un esempio di come a volte la “gente comune” possa essere più radicale dei militanti.
■ Albert Camus, La peste.
Il finale del romanzo di Camus lo abbiamo letto per ultimo, in piazza Re Enzo. La peste fu scritto come metafora della seconda guerra mondiale e della lotta contro il nazifascismo, e si addice perfettamente alla circostanza della lotta contro un “pestilenza” reale e contro l’autoritarismo che su di essa si edifica. Metafora e realtà collassano l’una sull’altra.
Il tutto è durato circa due ore e mezza. Sono passate un paio di autopattuglie, ma ogni volta hanno visto persone in fila, a distanza di sicurezza, svariate con le mascherine. Se nella forma stavamo rispettando le norme (stando sul limite), nella sostanza è stato il primo evento letterario e trekking urbano in città dall’inizio del lockdown.
Mentre accadeva tutto questo, in via Broccaindosso si cantava Bella ciao.
«È stato bellissimo. Abbiamo ricordato il 21 Aprile cantando “Bella ciao” in mezzo alla strada. È stato un momento incredibile. Questa cosa è stata possibile perché la mia proposta di “festeggiare” la Liberazione di Bologna è stata accolta e sostenuta da un piccolo gruppo di abitanti della mia strada. In un clima surreale ci siamo trovati tutti insieme e abbiamo messo un fiore nella corona sulla lapide del partigiano Giancarlo Romagnoli, di soli 19 anni. Nessuno si è affacciato alla finestra e noi abbiamo cantato per esorcizzare la paura, trattenendoci più possibile insieme per cantare mille volte la stessa canzone, per spezzare il silenzio, per non sentirci soli, per non avere paura.» (Sara, una delle organizzatrici)
2bis. L’apparizione della C.
Arrivando in via Goito ci siamo imbattuti nella C., una senzatetto che normalmente vive intorno alla zona universitaria, tra piazza Verdi e piazza VIII agosto. Prima del lockdown la si incontrava spesso nei locali di via Mascarella, dove entrava per sonnecchiare qualche ora. Ci si stringeva per farla sedere, le si offriva da mangiare e bere, le si dava qualche soldo, si facevano due chiacchiere… Minime azioni individuali, occasionali, discontinue, ma che insieme facevano reticolo.
Quando l’abbiamo rivista, è stato sconvolgente.
Chiusi i luoghi pubblici e svuotate le vie, i marginali, i dropout, gli homeless che vivono accanto a noi e che prima incrociavamo, sono precipitati in fondo a un pozzo. Non che prima se la passassero bene, tra angherie e Daspo urbani, ma poi sono passati dalla griglia all’altoforno. Nel primo periodo del lockdown, quando l’ubriacatura da #stareincasa era ai massimi, addirittura si sono visti i vigili di Bologna multare gli homeless perché «non erano a casa».
La C. stava accasciata sul gradino di un uscio di via Goito, in stato confusionale, farfugliante, sporchissima, incapace di alzarsi. Coi compagni presenti ci siamo consultati, c’era plv che ha chiamato l’associazione Piazza Grande, che ha avvisato l’Help Center. Speriamo che a qualcosa sia servito.
3. In base a cosa hanno recluso in casa i nostri bambini?
Due giorni dopo, il 23 aprile, uno di noi ha deciso di combinare un appuntamento tra il più piccolo dei nostri figli e un compagno di scuola alla libreria Giannino Stoppani, nel cuore di Bologna. I due settenni non si vedevano dal vivo da due mesi. Con guanti e mascherina hanno organizzato una lettura in simultanea, sfogliando due copie dello stesso libro illustrato, per poter restare a distanza. È stato il primo momento di socialità recuperata in regime di lockdown. Usciti dalla libreria i due bambini hanno giocato a rincorrersi – attenti a non prendersi mai – davanti al sacrario ai caduti in Piazza del Nettuno.
Sotto gli sguardi delle decine di partigiani e partigiane si è svolta una commovente scena di liberazione: tornare a correre all’aria aperta, recuperare il diritto allo spazio per la propria infanzia. Questo momento di libertà è idealmente dedicato a chi per mesi ha dipinto i bambini come untori perfetti, potenziali omicidi dei loro nonni; a chi già prima della pandemia li definiva
«maligni amplificatori biologici che si infettano con virus per loro innocui, li replicano potenziandoli logaritmicamente e infine li trasmettono con atroci conseguenze per l’organismo di un adulto» (Roberto Burioni, 31/03/2019);
a chi ha scatenato il panico sociale contro di loro, spingendo i genitori a murarli vivi dentro casa, in certi casi rimandando perfino importanti visite mediche o terapie per loro essenziali.
La pericolosità dei bambini è stata presa per oro colato, anche se i dati sul comportamento del Covid19 sono ancora contraddittori. Il 21 aprile scorso, il virologo dell’università di Padova Andrea Crisanti, che ha condotto lo studio sul focolaio di Vo’ Euganeo, ha fatto sapere che in quella comunità «i bambini sotto i 10 anni, seppure conviventi con infettati in grado di infettare, non si infettano. E se sono negativi non infettano». Ecco come riassume la scoperta un articolo apparso sul sito dell’Università di Padova:
«[…] nessuno dei 234 bambini al di sotto dei 10 anni, 13 dei quali hanno vissuto a contatto con positivi in grado di trasmettere l’infezione, è risultato positivo al virus. Questo dato avvalora l’ipotesi (ancora da verificare) che i più piccoli possano essere immuni al contagio per via del fatto che potrebbero non aver sviluppato ancora un numero sufficiente di recettori (Ace2), che costituiscono la porta di ingresso per il virus.»
Non significa che, in assoluto, i bambini non possano essere contagiati, come è stato riscontrato altrove, o in casi molto rari non possano anche ammalarsi, ma va messa quantomeno un’ipoteca sull’assunto che siano vettori privilegiati del virus a danno degli adulti. Questo almeno dicono i risultati sui 234 bambini testati a Vo’.
Insomma, molti aspetti delle modalità di trasmissione di questo virus non sono ancora chiari, e sarebbe davvero paradossale se un domani dovesse emergere che abbiamo segregato i bambini più piccoli per niente, con un provvedimento dettato dal panico. Tanto, non essendo parte della popolazione produttiva potevano rimanere reclusi, mentre uno dei loro genitori magari doveva continuare ad andare al lavoro grazie alle deroghe prefettizie al codice Ateco (praticamente autocertificazioni d’impresa), a prescindere da qualunque controllo effettivo sulla sicurezza sanitaria.
Intanto in Danimarca hanno riaperto gli asili e materne en plein air, e qualcuno lo propone anche in Emilia-Romagna. Qualcosa si muove. Dopo due mesi di delirante demonizzazione dell’aria aperta e di apologia dell’autoreclusione domestica, finalmente si torna alla banale constatazione che, epidemiologicamente parlando, stare all’aperto è mediamente più sicuro che stare al chiuso.
Noi siamo convinti che la segregazione in casa di bambine e bambini si potesse evitare, e con essa le sofferenze psichiche che quella reclusione ha già causato e continuerà a causare nel tempo.
Ricordiamo che, per poter fare una micragnosa passeggiata con figli/e intorno a casa si è dovuto battagliare, fare petizioni, lettere aperte e quant’altro. Governanti, governatori e sindaci hanno fatto la faccia feroce per stigmatizzare «l’ora d’aria» concessa ai bambini, vicini di casa imparanoiati insultavano i genitori dai balconi… Chi pagherà per tutto questo?
4. L’epidemia più duratura e letale
Anonimi ci segnalano che nella notte tra il 24 e il 25 aprile ignote hanno affisso cartelli accanto a molte importanti targhe e lapidi dedicate alla Resistenza bolognese.
L’azione ha toccato i quartieri Navile, Porto-Saragozza e San Donato-San Vitale ed è stata rivendicata dalla «Brigata Violet Gibson», nome già apparso in Cirenaica quando Piazzetta degli Umarells fu ribattezzata (per la seconda volta) «Piazzetta delle Partigiane». Stavolta è apparso anche un logo.
Nel 1926 l’irlandese Violet Gibson cercò di uccidere Mussolini con un colpo di pistola, riuscendo soltanto a ferirlo di striscio al naso.
I cartelli affissi stanotte recano scritte come
«(Covid)1919 – 2020
Il fascismo è l’epidemia più duratura e letale.
Il vaccino non esiste.
L’immunità di gruppo si ottiene
RESISTENDO.»
5. Pensiero reazionario e pensiero della liberazione
Re Carlo I: – La democrazia, Mr. Cromwell, fu una ridicolaggine greca, fondata sulla sciocca idea che vi siano straordinarie potenzialità in persone molto ordinarie.
Oliver Cromwell: – Sono le persone ordinarie, mio signore, quelle che più prontamente darebbero la vita in difesa del vostro regno. Semplicemente, essendo ordinarie, preferirebbero fosse loro chiesto anziché comandato.
Cromwell, regia di Ken Hughes, Columbia Pictures, 1970
Quando ti coglie una sensazione di smarrimento, è saggio tornare ai fondamentali. Per noi sono i partigiani, i resistenti, gli antifascisti che per istinto o per ideale fecero la scelta giusta anziché quella facile. Tra loro c’erano differenze e divisioni anche aspre, che avrebbero avuto conseguenze sia durante sia dopo la lotta di Liberazione. Nondimeno quegli uomini e donne, con la loro comune scelta, tracciarono un solco nella storia, ancora visibile.
In questa quarantena prolungata abbiamo registrato una gamma molto ampia di sfumature d’opinione sui comportamenti da assumere e conseguentemente di comportamenti assunti durante il lockdown “all’italiana”. Proprio perché esistono quasi tanti gradi di distanza dai Dpcm e dalle loro interpretazioni quante sono le persone occorre essere netti. Ovvero tracciare due linee di confine: una tra l’accettazione e il rifiuto della narrazione per cui stare all’aria aperta è più pericoloso che stare al chiuso, e quindi si può uscire soltanto per lavorare e acquistare beni di sostentamento; l’altra, tra l’accettazione e il rifiuto della narrazione per cui «gli italiani» sono un popolo indisciplinato e autolesionista per natura, ergo incapace di rispettare le distanze di sicurezza senza che una qualche Forza dell’Ordine lo costringa a farlo.
Queste due linee di confine rimandano rispettivamente a due discrimini sostanziali:
1. Quello tra l’accettare o il rifiutare lo slittamento da «stare a casa» a «stare in casa», slittamento avvenuto in modo così drastico soltanto da noi e, su imitazione nostra, in Spagna. Ovvero: l’aver introiettato o, al contrario, rispedito al mittente la condizione domestico-carceraria che ci viene imposta. Poco importa che l’adesione sia convinta o rassegnata, perché la differenza è tra pensarsi galeotti intenti a scontare l’ineluttabile pena, o pensarsi soggetti a una reclusione eccessiva e ingiusta, e comportarsi di conseguenza.
2. Quello tra pensiero reazionario e pensiero della liberazione. Immaginare che gli esseri umani debbano essere coscritti, conculcati, controllati, perché altrimenti, per loro natura, non sarebbero in grado di regolarsi; ovvero che debbano adeguarsi senza discutere a un modello che li trascende, che sia la Tradizione, la parola del Capo… o il parere degli Esperti. Questo è pensiero reazionario. All’opposto si pongono invece le forze che cercano di trasformare in soggetto ciò che viene considerato oggetto, perché ritengono gli esseri umani capaci di cambiare, migliorare, rendersi responsabili attraverso le relazioni, costruire soggetti collettivi, prendersi cura gli uni degli altri.
Ed è ancora questa la linea tracciata per terra. Oggi come settant’anni fa. All’improvviso ci ritroviamo tutti e tutte davanti allo specchio – magari dopo una vita passata a professarci libertari o democratici o perfino rivoluzionari – e davanti alla morte non solo evocata ma incombente, e qualcuno si accorge di essere disposto a passare sopra a tutto ciò che aveva pensato – o creduto di pensare – fino a un attimo prima. Non abbiamo potuto scoprire di che pasta intellettuale e politica eravamo fatti, prima di trovarci di fronte a una reale minaccia, e qualcuno si è trovato ad accettare di buon grado costrizione, arresti domiciliari di massa, dittatura dell’esecutivo, controllo poliziesco, senza fiatare o addirittura tifando per chi queste cose le imponeva d’imperio.
Magari ripetendosi che quest’emergenza non ha niente a che fare con le altre, con quelle che abbiamo criticato nei cicli di lotte passati ,e quindi non si può fare alcun paragone; che questo è un caso inedito, che «niente sarà più come prima»… In altre parole, giustificando la propria incoerenza. E se questo è umanamente e psichicamente comprensibile, non può esserlo – non potrà mai esserlo – sul piano politico.
6. Il «nulla più come prima»: un’iperbole antistorica e un alibi ideologico
È senz’altro importante, foucaultianamente, saper vedere le fratture dove l’abitudine fa vedere solo continuità, ma bisogna anche saper vedere le continuità dove lo shock fa vedere solo fratture.
Lo shock… o la paraculaggine. Il «niente sarà più come prima» è infatti molto utile, quando si vuole dire senza pagar dazio il contrario di quel che si diceva prima.
Poco più di un secolo fa, molti pensavano che la Grande Guerra fosse necessaria perché era «la guerra che avrebbe messo fine a tutte le guerre». Mentre finiva rapidamente la Belle Epoque, avanguardie storiche come il futurismo proclamavano il rifiuto totale del vecchio mondo. Scoppiò la guerra, e tanto netta fu la cesura che qualcuno disse: «Nulla di quanto è stato scritto e pensato finora ha più valore, nessun concetto, nessuna categoria è più utile a spiegare il nuovo mondo che nasce».
La fotta di avere un ruolo in quel mondo, la FOMO – Fear Of Missing Out – fu tale che diversi socialisti e anarchici divennero interventisti. Avevano sempre parlato di internazionalismo proletario, o quantomeno di fratellanza tra i popoli, ora invece predicavano la necessità che i proletari di un paese scannassero quelli di un altro, agli ordini delle loro classi dominanti. Nascondevano la propria incoerenza dietro un frasario che manteneva una parvenza “rivoluzionaria”, e dietro quella che oggi chiameremmo «l’emergenza».
Dopo la guerra, queste tendenze continuarono a manifestarsi, stavolta nell’adesione di ex-socialisti ed ex-sindacalisti rivoluzionari al fascismo. Che si manifestò come una vera e propria epidemia di “svolte” – anzi, di giravolte – personali in nome di una svolta più grande. Così lo descrive Emilio Lussu nella sua imprescindibile testimonianza, Marcia su Roma e dintorni.
Bisognerebbe sospettare sempre della ciclica pretesa che nulla «sia più come prima». Discontinuità totali non se ne sono mai viste, ogni discontinuità è per forza di cose parziale. A volte, poi, una “svolta” è soltanto apparente: viene percepita sul momento, percepita anche con forza, ma rimane sulla superficie degli eventi, mentre sotto i piedi e nelle menti le strutture rimangono le stesse.
Anche una discontinuità reale, indubbia nel suo manifestarsi, col passare del tempo e dopo le “scosse di attestamento” diviene oggetto di uno sguardo retrospettivo e a lunga gittata, e trova la propria collocazione nella turbolenta “continuità” del flusso storico più vasto. Succede con le guerre, con le grandi pestilenze, e persino coi passaggi da un modo di produzione all’altro.
Per tornare agli esempi di prima, oggi il futurismo è parte della tradizione, sta nei curricula insieme ai lirici greci e a Dante; centodue anni dopo la fine della Grande guerra, che avrebbe dovuto far piazza pulita di ogni concetto di prima, continuiamo a usare il “rasoio di Occam” e i sillogismi, e ad aprire le cassette degli attrezzi di Platone, Tommaso d’Aquino, Spinoza, Marx o Nietzsche, e a interrogare la grande poesia e letteratura dei secoli passati per trovare risposte sul presente. Durante l’emergenza coronavirus si è citato Manzoni come mai negli ultimi decenni.
Nemmeno le rivoluzioni più radicali segnano discontinuità totali, perché le fanno persone cresciute nel mondo di prima, e perché il nuovo assetto eredita dal mondo di prima strutture, mentalità, “debiti” di vario tipo che poi toccherà pagare. Ad esempio, l’apparato buro-poliziesco zarista e l’ideologia grande-russa sopravvissero nascosti nel marasma della Rivoluzione d’Ottobre. Le conseguenze si videro poco dopo e si continuano a vedere oggi.
Sul fatto che dopo l’emergenza coronavirus «niente sarà più come prima», abbiamo serissimi dubbi. Come ha scritto l’associazione Re:common,
«Potremmo anche tornare a leggere cosa si scrisse dopo lo scoppio della bolla della digital economy ad inizio anni 2000, dopo la crisi finanziaria delle tigri asiatiche del 1997 e dopo il lunedì nero di Wall Street del 1987. Probabilmente noteremmo proclami simili, se non uguali. Poi cosa successe dopo ognuna di queste crisi? Continuò quella lenta trasformazione a cui la “mega-macchina” della globalizzazione è soggetta da secoli, al netto di poche scosse. Si dirà, però, che questa è un’emergenza sanitaria e il tutto non nasce né da fenomeni finanziari, né economici, né sociali. Vero, ma trovata poi la cura e il vaccino, anche se forse ci vorrà più di un anno, i processi della mega-macchina continueranno, seppur con piccoli aggiustamenti. Magari fino al prossimo virus e al conseguente lockdown. Se guardiamo alle tendenze fondanti del processo di lungo termine, […] in realtà questa attuale crisi sistemica le mette tutte in rilievo, ed anzi le rafforza, senza produrre particolari rotture.»
Aggiungiamo una notazione che dovrebbe essere ovvia, ma evidentemente non lo è: la gestione politica di un’emergenza non può spuntar fuori dal nulla, priva di storia, portata avanti da improvvisi signori nessuno. A gestirla sono le istituzioni esistenti e i governanti in carica, che stanno ai loro posti perché sono successe certe cose e non altre, in un dato contesto e in un dato sistema.
La gestione dell’emergenza, dunque, non può essere incoerente con la storia politica del paese: avviene nelle condizioni create da quella storia politica. E la storia politica d’Italia si presenta come un’immane accumulazione di emergenze, e ogni singola emergenza si presenta come forma elementare dell’esercizio del potere politico in Italia.
Oggi chi ritiene che quest’emergenza sia talmente diversa dalle precedenti da giustificare lo stato di polizia non è un nostro compagno di strada ed è assai probabile che non lo sarà nemmeno nel prossimo futuro. Non importa quali siano i suoi trascorsi o le sue medaglie: se non è in grado di criticare i provvedimenti assurdi e fascistoidi a cui la popolazione di questo paese è stata sottoposta e la criminalizzazione di comportamenti innocui che ha dovuto subire, significa che è pronto ad accettare tutto ciò che nella vita ha professato di avversare.
E facilmente, come appunto un secolo fa, accadrà che ritroveremo svariati “compagni” e “compagne” su posizioni ultrareazionarie. Inconsapevolmente o ipocritamente, al lato pratico non fa molta differenza. Accadrà, purtroppo. Anzi, lo abbiamo già visto accadere sotto i nostri occhi, giorno dopo giorno durante questa quarantena prolungata.
7. Dieci punti fermi per il futuro
Saranno giorni di incertezza, ci dicono. È una situazione nuova, mai vista prima, che ha spazzato via tutti i riferimenti. Bisogna darsi il tempo di elaborare nuove categorie di pensiero. Occorre essere cauti, tenere un profilo basso, non esporsi troppo, attendere il momento più opportuno, a bocce ferme, passata la buriana, quando ci sarà da rimboccarsi le maniche.
Noi, affacciati sul calanco di Sabbiuno, mentre scendeva la sera, ci dicevamo che come sempre avremmo coltivato il dubbio e interrogato le nostre contraddizioni, ma allo stesso tempo, sull’orizzonte, scorgevamo il profilo di alcune certezze e sentivamo di doverle chiamare per nome, subito, come un marinaio che grida «Terra!» dalla coffa sull’albero di maestra.
1. Non accetteremo che il prossimo DPCM imponga ancora l’obbligo di rimanere all’interno del proprio comune di residenza e di autocertificare i «validi motivi» dei propri spostamenti. Pertanto, dobbiamo immaginare fin da subito come intendiamo reagire nel caso in cui quel provvedimento venga reiterato.
L’articolo 16 della Costituzione, proprio in risposta alle pratiche fasciste del confino di polizia, garantisce che «ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza». In questo momento, l’unico «motivo di sanità» che può limitare i miei movimenti sul territorio è la necessità di mantenere una certa distanza dalle altre persone non conviventi. Per il resto, non c’è alcuna ragione sanitaria che imponga di discriminare i motivi per i quali mi muovo sul suolo pubblico, se vado a incontrare un amico mantenendo il distanziamento, a fare un presidio con un compagno di lavoro o a raccogliere ortiche per una sfoglia verde.
2. Fin dall’inizio dell’emergenza e dal primo DPCM abbiamo raccolto testimonianze e richieste d’aiuto da parte di persone che sono state sanzionate in maniera ingiusta o illegale, con l’aggiunta di trattamenti vessatori da parte delle forze dell’ordine, a causa della discrezionalità che è stata data a queste ultime nell’applicazione di norme imprecise, mal scritte, che mettono nella condizione di non sapere nemmeno se, quando e come le si sta violando. Multe molto salate che incidono in maniera pesante su persone già messe in difficoltà economica dalla situazione attuale. Occorre organizzarsi e istituire squadre d’avvocati con l’obiettivo che tutte queste sanzioni siano annullate dagli organi competenti.
[Abbiamo inserito questo punto, molto importante, dopo un commento di Mr.Skimpole, dal momento che il nostro “decalogo” conteneva in realtà solo nove punti, avendo saltato il numero sette. Quando si dice la forza di una cornice concettuale, di uno schema di pensiero…]
3. Non accetteremo che la ripresa dell’anno scolastico, a settembre, sia ancora affidata alla Didattica a Distanza. Ci sono cinque mesi di tempo per studiare, sperimentare e implementare modalità sicure per tornare in aula. Dobbiamo pretendere che non vadano sprecati. Accettare mezze soluzioni nel prossimo futuro, potrà significare l’apertura a una ristrutturazione della didattica che minaccerà la stessa vita scolastica e finanche il mantenimento del tempo pieno.
4. Non possiamo più accettare che la vita e le relazioni dei soggetti “non produttivi” vengano messe in secondo piano e addirittura dimenticate dai decreti d’emergenza. Tutelare la salute di anziani e bambini significa anche prevedere che possano avere relazioni e alternative al rimanere chiusi in casa o in prossimità delle proprie abitazioni. Lo stesso vale per altri discriminati in quanto improduttivi: senza fissa dimora, disabili, sofferenti psichici, detenuti…
5. Non accetteremo che le specificità dei singoli territori vengano scavalcate e uniformate, come se lo spazio fosse soltanto un concetto geometrico, una categoria del pensiero, e non un ecosistema. Lombardia e Basilicata non si possono trattare allo stesso modo. Montagna e pianura nemmeno. E lo stesso vale per le metropoli e i piccoli borghi, per il continente e le piccole isole, per Milano e Caprera. È assurdo, ad esempio, promulgare ordinanze che valgano per tutte le biblioteche d’Italia, o per tutte le forme di trasporto pubblico, dal bus cittadino alla corriera che raggiunge una frazione di cinquanta anime.
6. Occorre organizzarsi per riattivare al più presto la possibilità di riunirsi fisicamente per fare politica e fare cultura. Attendere che la situazione si sblocchi dall’alto comporterebbe un’attesa lunga e malsana. Affidarsi a videoconferenze, videoriunioni e videospettacoli rischia di renderla ancora più lunga. Dobbiamo inventarci luoghi e modalità nuove, che consentano di incontrarsi in sicurezza, all’aperto, in strada, nella spazio pubblico, sfruttando ogni possibilità per leggere, discutere, stare insieme.
7. Il problema della sicurezza sul lavoro non nasce con il coronavirus, ma l’emergenza dovrebbe essere l’occasione per affrontarlo finalmente da una posizione di forza. Soltanto a Bologna, le aziende che hanno lavorato in deroga, in attesa che il Prefetto si esprimesse sulla liceità della richiesta, sono 8000 – e parliamo di una città che vive(va) per lo più di terziario, università, turismo… In tutta la Regione sono 28mila. Non si può accettare che valutazioni così importanti vengano affidate ai prefetti.
8. In questi due mesi si sono attivate reti di solidarietà attiva, mutuo soccorso o carità cristiana, in favore di chi – come al solito – ha pagato l’emergenza più caro degli altri. La solidarietà è benemerita e chi l’ha resa possibile è degno della massima stima. Tuttavia è bene ricordare che la solidarietà senza conflitto è monca e rischia di diventare beneficenza o supplenza. Su queste questioni, anche recentemente, si sono prodotte tante ottime riflessioni che vanno ripescate nella loro radicalità e approfondite nei tempi che ci aspettano.
9. Una conseguenza del lockdown è stata la riduzione nel consumo di combustibili fossili. Tanti hanno sperimentato com’è respirare aria più pulita. Il collegamento tra l’incidenza del contagio e i livelli d’inquinamento è per ora soltanto un’ipotesi, ma che sembra piuttosto fondata. Lo stesso può dirsi per la correlazione tra epidemie, allevamento intensivo, disboscamento, distruzione di habitat e cambiamento climatico. Da tutte queste considerazioni, il movimento contro il surriscaldamento globale e l’ambientalismo radicale non possono che trarre nuova linfa e nuovi argomenti. Per questo non deve tardare a riprendere l’iniziativa e a ribadire il bisogno di ridurre i consumi di energia, di combustibili fossili e di carne.
10. Lo «smart working», con la scusa delle comodità che offre anche ai lavoratori, verrà difeso, implementato e imposto. È qui per rimanere. E se è stato dimostrato nei fatti che tanti spostamenti altamente veloci da una città all’altra possono non essere necessari per gestire gli affari, al tempo stesso, nei piani più bassi della gerarchia lavorativa il rischio concreto è quello di veder cancellare ogni rapporto collettivo tra chi lavora, e tra chi lavora e le imprese, in favore di rapporti individuali molto più vantaggiosi da gestire per il padronato. Di fatto, si tratterebbe di tornare a una situazione molto simile al lavoro casalingo a cottimo – con tutto lo sfruttamento che questo comportava.
8. ritorno da Sabbiuno
Dopo avere percorso il sentiero leggendo incisi sui massi i nomi dei morti di Sabbiuno, ci siamo ritrovati sull’orlo del burrone, lo sguardo prima nell’orrido sotto di noi, poi alto, verso le colline all’orizzonte.
Storie partigiane divenute cinema e letteratura. Echi di leggende millenarie. Quello di cui da sempre ci nutriamo. L’immaginario deve ridiventare carne e sangue e relazioni e contatti umani. Cuore oltre l’ostacolo, anzi, oltre il dirupo.
Abbiamo respirato a pieni polmoni l’aria umida della sera. Era tempo di tornare giù in città. Tempo di liberarsi.
Oggi, 25 aprile, ho portato dei fiori sul luogo dove hanno ucciso Giacomo Matteotti.
La Macchia della Quartarella, è un bosco al 25km della via Flaminia. Qui fu ucciso Matteotti e seppellito dai suoi assassini per 66 giorni quando fu poi fatto ritrovare. Un monumento funebre al lato della statale, invero senza molta possibilità di raccoglimento, permette di rendere omaggio ad uno dei più grandi difensori della libertà e oppositori del fascismo. Brigate partigiane presero il nome da Matteotti e combatterono fin dal 36 in Spagna.
Non potevo non portare un omaggio a questo luogo. Ho preso una piantina di fiori rossi e di buon mattino mi sono avviato a piedi per questa commemorazione. Ho pensato di lasciare anche un paio di libri e c’è stata una coincidenza incredibile. Avevo portato in cantina in certi scatoloni tanti libri che avevo intenzione di regalare ed ho aperto uno scatolone a caso per scegliere qualcosa: sono usciti fuori “Il corpo di Matteotti” del giornalista Italo Arcuri, e “I sommersi e i salvati” di Primo Levi… non so, mi è sembrato come se i libri si fossero scelti da se…
Mi sentivo pronto, ero consapevole di poter subire una sanzione, ma mi sentivo sereno. Nel certificato avevo scritto “dichiara che per motivi di necessità si reca al monumento a ricordo di Giacomo Matteotti nella ricorrenza della liberazione dal nazi-fascismo, per rendere il necessario omaggio a chi ci ha dato la libertà a prezzo della vita. Sta andando a piedi, da solo e con dispositivi di protezione, curando il distanziamento fisico. Non sussistono pertanto rischi di contagio da corona-virus”.
Al monumento non c’era nessuno, rare macchine passavano velocemente e ho avuto tempo di vivere questa commemorazione.
Mi sono sentito bene, penso che se non l’avessi fatto non me lo sarei perdonato.
Non sono passati controlli se non al ritorno sulla strada di casa quando ho incrociato una volante ma non sono stato fermato…
Buona liberazione, buon cammino a tutti e grazie!
Qui alcune foto
https://jazzcommons.home.blog/2020/04/25/25-aprile-2020/
Buongiorno a tutti,
comincio col dire che vi seguo dalla fine di Marzo circa perché ammiro molto e condivido le riflessioni che fate sullo stato dittatoriale che è venuto fuori e sulla conseguente perdita delle libertà collettive.
Venendo al 25 Aprile,non ho mai sentito mia questa festa per diversi motivi:
1)In quanto Cristiano Cattolico non ho mai trovato niente di cui festeggiare nella fine delle guerre,ovvero “eventi” che segnano la vittoria di alcuni uomini su altri uomini(non festeggio manco il 4 Novembre). Per quanto riguarda poi il se sia giusto oppure no prendere le armi in sé e difendersi chi commette atrocità e delitti sono ancora in dubbio…e non so mai se troverò una risposta.
2)Ho sempre pensato che tutti i discorsi sui Partigiani fossero vuota retorica di un branco di ruffiani,i quali sarebbero stati i primi a sostenere il fascio qualora fosse veramente tornato.
Per quanto riguarda la seconda motivazione questo periodo mi ha dimostrato quanto fossi VICINO alla verità.
Dico vicino perché,mentre la totalità delle persone “comuniste”(sono infatti Toscano) che avevo intorno(familiari,politici e via discorrendo) si sono piegate allo stato di polizia che si è manifestato,voi Wu Ming e molte persone che aderiscono alle vostre idee non avete mai arretrato di un centimetro.
Avete dimostrato una grande coerenza e,negli ultimi giorni,un grande coraggio.
Per questo,nonostante abbia idee diverse da voi su alcune cose,non posso far altro che esprimere tutto il mio rispetto e la mia stima nei vostri confronti e,ispirato da voi, “sfidare l’autorità” continuando a passeggiare all’aperto rigorosamente senza mascherina,allontanandomi anche discretamente da casa.
Proprio quello che sta succedendo oggi in tante parti d’Italia, con manifestazioni spontanee – torno proprio ora da una Piazza dell’Unità, qui in Bolognina, piena di gente – e cantate collettive e passeggiate resistenti e tante altre riappropriazioni dello spazio fisico dimostra che hai torto: proprio l’esempio della Resistenza, come spieghiamo anche nel post qui sopra, ispira a disobbedire, a forzare i limiti, a denunciare con la prassi l’assurdità dei divieti. Parti da un non sequitur – c’erano moltissimi cattolici e anche molti parroci nella guerra partigiana, ergo non è chiaro perché mai l’essere cattolici dovrebbe tenere a distanza dalla Resistenza – e prosegui con una generalizzazione inaccettabile – ci sono senz’altro ipocriti e sepolcri imbiancati tra chi celebra in modo retorico la Resistenza, ma sono di più quelli che ce l’hanno davvero a cuore – e termini con una conclusione incongrua: se noi siamo cultori della Resistenza e tu stimi il lavoro che abbiamo fatto in questi mesi, è strano concludere nel modo in cui fai tu.
Mi dispiace che il mio commento sia stato frainteso,probabilmente mi sono espresso male.
Riguardo alla generalizzazione che ho fatto volevo infatti dire che AVEVO TORTO.Pensavo infatti che tutti quelli che facevano discorsi sulla resistenza fossero degli incoerenti e degli ipocriti, poi però(guardando a voi) mi sono reso conto che non è così,che c’è qualcuno che ci crede veramente e io ho profondo rispetto verso chi ha delle idee e lotta per esse anche in momenti in cui non è facile farlo,anche se sono idee diverse dalle mie.
Questo volevo dire e se vi ho offeso in qualche modo mi dispiace,non era(e non è) mia intenzione.
Beh, allora è diverso, è una testimonianza importante e sono felice che abbiamo contribuito a farti cambiare idea.
Stamattina passeggiata resistente di famiglia. Abbiamo portato garofani alla targa che ricorda l’assassinio della partigiana Alma Vivoda al boschetto di via Pindemonte, e poi alla targa che ricorda i morti e i torturati della villa triste di via Cologna, e infine alla targa che ricorda gli ospiti della casa di riposo ebraica deportati ad Auschwitz in via Kandler. Alma Vivoda faceva parte del gruppo di giovani donne e uomini della classe operaia triestina che entrarono in clandestinità e cominciarono a collaborare con la resistenza slovena già tra la fine del 1942 e l’inizio del 1943. Le vicende di questa resistenza di confine, operaia e internazionalista, le ha raccontate Andrea Olivieri nel suo non-romanzo “Una cosa oscura senza pregio”, intrecciate alla storia della sua famiglia e a quella dello scrittore sloveno/americano Louis Adamic. Leggetelo, se non l’avete ancora fatto, perché è un gran bel libro.
Sì, “la scienza è democratica” è il mio commento all’articolo. Non nel senso di un relativismo delle opinioni (come lo intende l’argomento fantoccio del Burioni di turno), ma nel senso che tutti, studiando, possono partecipare alla conoscenza, mostrando di volta in volta, in quanto comunità, i limiti di certe misure politiche all’emergenza sanitaria. Soggetti razionali e non sudditi del Sovrano, come puntualizzato nell’articolo. Sottolineo questo punto in particolare, perché, purtroppo, sto constatando come anche nel sottobosco del web, stanno spuntando e si stanno pericolosamente diffondendo diversi gruppetti alimentati da una certa destra radicale (neofascista?) che sfrutta e strumentalizza il sentimento claustrofobico della popolazione in chiave conservatrice, o meglio da “rivoluzione conservatrice” (non è un ossimoro: ricordiamoci come nello stesso fascismo conviveva un’anima futuristica e una tradizionale). Naturalmente, la prospettiva narrativa di questi gruppetti è di tipo paranoidale, e complottista: dai chip, al controllo vaccinale del Nuovo Ordine Mondiale. Ma tale demonizzazione serve a incutere ancora più timore, a smantellare quella razionalità del soggetto, facendo appello ad elementi emotivi. In modo che alla desiderata sovversione dello status quo, si possa instaurare un Sovrano ancora più totalizzante, un Leviatano.
Bisogna partire, come state facendo, soprattutto da una seria analisi epistemologica per tre motivi: 1) Sia per la stessa comunità scientifica, dove, a differenza dei talk show televisivi, non vale il principio d’autorità: la scienza non è l’opinione dello scienziato, ma l’insieme articolato di procedure che di volta in volta vengono verificate e messe in discussione 2) serve per sottrarre i diversi argomenti fantocci di un certo mainstream liberale; dove sei complottista se non la pensi in un certo modo; e dove la scientificità si riduce a principio d’autorità 3) serve a smontare la narrazione paranoica complottista dei radicali di destra, e far appello a quella fiducia nella razionalità del soggetto che nella comunità riesce a trovare lo spazio di emancipazione politica. Anche in questo senso, la scienza è democratica. Buon 25 aprile!
@vincenzoF, il tuo commento è davvero importante, può equivalere a un undicesimo punto del decalogo. La battaglia per la democratizzazione della scienza (qualcuno aveva usato l’anglismo “empowerment del paziente”, che è un brutto anglismo ma rende l’idea di una relazione non solo attiva, ma cooperativa all’interno della cura), e quella per l’accesso alla conoscenza, agli strumenti di comprensione e valutazione, è fondamentale per tenere a distanza tanto il burionismo (“è così perché lo dico io, tu zitto e ascolta!”) quanto i diversi complottismi, che fai bene a etichettare come “rivoluzione conservatrice”, la scienza presa un tanto al chilo, laqualunque presa come fonte, il principio per cui (come il calzolaio Agostino Miciacio interpretato da Totò) se Tizio è professore nel campo X (o lo era nel tempo T), è professore a prescindere, dunque anche nei campi Y e Z (o nel tempo K). È un terreno sul quale non per caso si sono visti entrare (e poi uscire, a seconda della rendita politica) quei personaggi che ti spiegano la filosofia o l’economia o le inchieste giornalistiche in 140 caratteri (i nomi sono intuibili, li ometto per non creare grattacapi ai WM), oscillando da un lato all’altro delle fazioni politiche, ma finendo poi sempre all’estrema destra. Porre questo tema serve anche a porre la questione dell’accesso alle cure e ai vaccini contro il coronavirus, sia in termini di accesso per tutti, sia in termini di proprietà privata o meno dei brevetti, ma anche di privatizzazione proprietaria Vs cooperazione internazionale della ricerca. Già ch eè il 25 aprile, ricordo che il compagno Kim, comandante della brigata del “Sentiero dei nidi di ragno”, era Ivar Oddone, che ha passato l’intera vita a battersi per la democratizzazione della medicina e la tutela della salute sui luoghi di lavoro [https://www.epiprev.it/attualit%C3%A0/memoria-di-ivar-oddone-1923-2011]
Il “principio Miciacio” in questi giorni si sta disvelando nel dibattito in corso sulle soluzioni software per il contact tracing. Non a caso è stato Burioni a coniare il termine “no trax” – subito ripreso da seguaci e alcuni organi di informazione – che definisce il frame entro il quale inquadrare e presentare chi avanza critiche e perplessità sulle caratteristiche tecniche e sulla reale efficacia di queste app: irrazionalità e antiscienza al pari dei no vax. Ricordare che Burioni non ha nessuna competenza in materia è appello inutile e inascoltato: il presunto principio di autorità sul quale ha costruito la sua carriera mediatica è praticamente inscalfibile… In questo richiamo all’urgenza di porre dei punti fermi, alla necessità di non accettare ulteriori e irrazionali deroghe alle nostre libertà in base all’emergenza, credo rientri anche la resistenza – su basi fattuali e razionali – al “soluzionismo” tecnologico. Buon 25 aprile
Oggi passeggiata commemorativa in bicicletta in onore di Gino Bartali. In caso di controllo, avrei (auto)dichiarato: “sono uscito in bicicletta per ricordare le eroiche gesta di Gino Bartali durante la seconda guerra mondiale”.
Ne approfitto per aggiungere qualche punto al decalogo:
– Devono essere approvate norme idonee a eliminare preventivamente ogni confusione e quindi ogni possibilità di abuso da parte delle fdo (non è possibile lasciare la gente in balia di DPCM, ordinanze comunali, ordinanze regionali etc.). Si deve partire dal presupposto che sono essenziali tutte le libertà previste dalla Costituzione e ogni forma di limitazione deve essere strettamente necessaria e rigorosamente limitata nel tempo;
– Deve essere prevista la competenza a decidere, anche in via di urgenza, della magistratura ordinaria sui provvedimenti limitativi delle libertà costituzionali adottati nelle situazioni di emergenza [in questo periodo i TAR hanno praticamente legittimato qualsiasi cosa (divieti di corsa, di passeggiata etc.) e aperto la strada a sanzioni di tutti i tipi];
– Deve essere trovato il modo di coinvolgere la Corte Costituzionale nelle fasi di emergenza (non ha alcun senso escludere la partecipazione al processo decisionale e/o giudiziario dell’organo al quale la Costituzione assegna il compito di vegliare sul rispetto dei diritti fondamentali). Tra l’altro, alcuni ex giudici della Corte Costituzionale hanno già espresso parole molto chiare in merito alla assoluta insostenibilità dell’attuale sistema di gestione dell’emergenza;
– Deve essere, in ogni caso, cancellato l’ossimoro dell’autocertificazione obbligatoria (che è umiliante innanzitutto da un punto di vista logico);
– Devono essere cancellate tutte le sanzioni sinora inflitte, anche in considerazione della totale assenza di chiarezza delle normative applicate (molta gente è stata sanzionata senza neppure sapere di aver posto in essere comportamenti vietati).
Cronaca: da stamattina alle 11 sino ad ora abbiamo occupato la strada facendo una passeggiata antifascista tra san Vitale e strada Maggiore. Abbiamo ripetuto il giro parecchie volte, all’ inizio in pochissimi e poi più numerosi. Alla nostra riappropriazione della strada, in un momento di stallo in via Broccaindosso, ha partecipato un membro del collettivo Kaizen, che si trovava a passare. Raccontando a tutti i presenti come la geografia e la storia della nostra città siano il risultato della Resistenza. In moltissime strade e quartieri si trovano le tracce della battaglia per liberarci dal nazifascismo. Alla fine della passeggiata una macchina di fdo, in borghese, che ci ha seguito per tutto il tempo, ha strappato un lenzuolo su era scritto “amnistia”. Un gesto di infantile prevaricazione. Torneremo in strada oggi pomeriggio. Non carico il video qui sopra perché dovrei “convertirlo”. Dalla commemorazione ” statica” del 21 aprile siamo passati alla passeggiata nel quartiere, per rendere visibile la nostra protesta. Molti ci hanno sostenuto applaudendo dalla finestra, mettendo musica e cantando. Essere insieme ha dato a tutti la forza per prolungare un momento di resistenza collettiva.
http://www.milanotoday.it/video/polizia-via-democrito-25-aprile.html
A Milano. Poco fa. Mi scuso se lo invio così. Mi sembra importante. Ho notizie frammentarie di ciò che è successo in Pratello ed in Bolognina. Ma testimoniano del fatto che tante e tanti non vogliono farsi zittire ed imbavagliare. Noi, come dicevo, abbiamo espresso oggi un differente livello di partecipazione , passando da una fase statica ad una dinamica. Ma il ddesiderio riprendersi la propria vita ha portato spontaneamente ad affrontare questo secondo passaggio. La nostra fase due.
Questa mattina a Torre Pellice (Torino), con un semplice “promemoria” su quella che è la nostra storia, affisso giorni fa nei pressi dei cassonetti, una decina di persone si sono incontrate davanti a due lapidi che ricordano partigiani uccisi. Abbiamo preparato,letto e poi appeso alla lapide una piccola scheda storica e ci siamo salutati e salutate con Bella ciao. So che altri incontri sono avvenuti in altri luoghi storici del comune. Unico assente l’ANPI che non si è premurato neanche di passare a lasciare dei fiori, ma abbiamo provveduto anche a questo.
Da due mesi condivido non solo le vostre analisi ma anche il tempismo con cui proiettate in avanti la discussione.
Mettere punti fermi ora è essenziale, cosī come lo è trovare da subito modalità e spazi fisici per reagire se questi punti verranno disattesi.
Avevo notato, con un sorriso, che mancava il numero 7.
Mi è sembrato un invito inconsapevole ad essere più propositivi, a partecipare alla discussione ognuno con il nostro personale punto 7.
Il vuoto è già stato colmato dall’importante contributo di Mr. Skimpole.
Per quanto mi riguarda un eventuale obbligo all’aperto della mascherina sarebbe inaccettabile. Servirebbe a far passare in modo ancor più persuasivo, l’idea che lì fuori, nell’aria che respiriamo nelle strade e nelle piazze, c’è in agguato un pericolo mortale, indipendentemente dalla vicinanza delle persone. Anche per me, come per altri qui su Giap, sarebbe un teatrale simbolo di cieca obbedienza che non dovrà essere accettato.
Stamattina, in coppia, abbiamo fatto il nostro personale pellegrinaggio cercando tracce di resistenza, passata e presente.
Sull’autocertificazione, come ben suggerito da WM2, la necessità di dover rendere omaggio alla Resistenza.
Siamo andati al 63/2 di Via Mascarella (inspirati dal reading itinerante del 21 aprile). Sul marciapiede, un piccolo vasetto con dei fiori. Sull’etichetta la scritta “e questo il fiore del partigiano”. Abbiamo aggiunto una margherita raccolta in un prato.
In Cirenaica, in Via Bentivogli 42, altre due margherite, una per la targa dei partigiani, l’altra per la splendida scritta della Brigata Violet Gipson.
Le ultime margherite le abbiamo deposte in una Piazza Nettuno ormai deserta. Ci è piaciuto immaginare che quei volti avrebbero gradito i nostri semplici fiori di campo più delle corone istituzionali deposte stamattina.
Nel pomeriggio proveremo ad aggiungere i nostri passi a chi si è messo in cammino nelle strade qui vicino.
Giusto non generalizzare sui comportamenti, sulle città, sui popoli etc. Ma a volte, anzi spesso queste occasioni te le tirano fuori. Mentre voi a Bologna, e suppongo in molte zone dell’Emilia Romagna le manifestazioni per quanto piccole, spontanee, distanti fisicamente ci sono state nei giorni precedenti e soprattutto oggi, in Veneto si segnalano episodi come questi https://www.repubblica.it/cronaca/2020/04/25/news/25_aprile_la_bandiera_della_repubblica_di_salo_sventola_sullo_stadio_di_verona-254883474/
Che nausea!!! E non poteva che capitare a Verona, città irrimediabilmente fascista
Innanzitutto questo, il mio è solo uno sfogo e non aggiungerà nulla alle discussioni in corso da settimane su questo luogo dove la complessità resiste alla normalità del lockdown.
Questa mattina noi, cioè i miei due bambini e io, ci siamo riappropriati della nostra via. Abbiamo corso a perdifiato al centro della strada dalla Porta che guarda su via Stalingrado fin su dove finisce. Abbiamo salutato saltellando le lapidi che conosciamo bene, Renata e Antonio al civico 63 e poi Fabrizio proprio all’angolo con via Irnerio. Abbiamo bussato sulla saracinesca abbassata della nostra gelateria. Prima di rientrare abbiamo cantato, urlando, il mio amico Totoro e fischia il vento, infuria la bufera, scarpe rotte basta camminar!
Ora si sentono urla dalle finestre. Alcuni festosi. Altri furiosi: appesiii!
Se il lavorofurbo, le strade in mano a manipoli di sbirri fuori controllo e la propaganda mortifera dell’informazione sono qui per rimanere, ebbene è necessario disertare, oggi più che mai, la chiamata a sventolare i tricolori della presunta unità del siamo sulla stessa barca.
L’orrore è appena al di là di questa via e non è detto che usciremo migliori da queste ultime settimane. Per questo oggi abbiamo disobbedito.
Resoconto della mia mattinata. Esco di casa per recarmi alla lavanderia a gettone sull’altro lato della strada, dove sta terminando il lavaggio del piumone. Dovendo attendere all’estero, mi porto in borsa l’ultimo romanzo di Ghosh, con l’intenzione di leggerlo sulla panchina dell’aiuola spartitraffico. Caricato il piumone, guardo la panchina assolata e mi rendo conto (giuro che l’avevo rimosso) che non posso: il sindaco di Ferrara, nell’ordinanza di chiusura dei parchi pubblici, ha chiuso qualunque cosa sulla carta topografica fosse colorato di verde, comprese le aiuole spartitraffico (la cosa ha scatenato le ire di uno dei più noti troll leghisti locali, che ho così scoperto abitare nella mia strada). Ragionevolezza avrebbe richiesto una *più sobria* applicazione dei divieti, ma la sobrietà non è virtù dell’attuale governo locale. Allora decido fi sgranchirmi le gambe, il Liceo Ariosto è grosso modo a 200 metri: lì c’è la lapide che ricorda Francesco Viviani, docente antifascista, maestro di Bassani, partigiano, morto a Buchenwald, nonché spirito aleggiante ne “La macchina del vento” di WM1. Ci sarebbe anche la lapide che ricorda lo studente partigiano Ticchioni, torturato e fucilato dai nazifascisti, ma non è visibile dall’esterno. Vado a salutare Viviani, in solitudine, con la mascherina e una felpa arancio che fa tanto Guantanamo, ma è quella che ho indosso ora. Mi faccio una foto, che viene brutta ma almeno mi ricorderà che non ho potuto far nulla per ricordare Bassani negli anniversari della nascita e della morte (se non, come “questione privata”, inviare uno scritto ad alcun@ amic@), almeno Viviani l’ho ricordato. Poi torno a ritirare il bucato, mi guardo la versione di Bella Ciao di Goran Bregovich, e scopro fra i musicisti spuntare Stephan Eicher, che se lo ricordano in pochissimi, ma da bravo zingaro del reno è lì dove è logico che stia, fra gli zingari antifascisti.
Alla fine chi ha avuto l’intuizione di “convocarci” per le 11 di stamane in Piazza dell’Unità ha visto giusto, perché è stato un bel momento, liberatorio, 70-80 persone hanno letto/ascoltato testi sulla resistenza di ieri e di oggi, cantato, chiacchierato, perforato il muro dell’isolamento. C’era la Digos che guardava in cagnesco, ma non è successo niente. Al mio ritorno verso casa, con la mia compagna e mia figlia, in via di Saliceto abbiamo trovato un’altra celebrazione, una quindicina di persone di fronte alla lapide per Dante Palchetti, accanto alla quale campeggiava ancora il cartello della Brigata Violet Gibson.
Ieri e oggi la Bolognina è stata attraversata da vari corpi, c’è chi ha intonato canti anarchici e partigiani unendosi alla fila di fronte alla Pam di via Corticella, chi ha attaccato cartelli, chi ha strappato volantini di fasci contro i «crimini partigiani» (c’erano in giro anche lerci figuri, insomma) ecc. I cartelli della BVG ci sono ancora tutti tranne quello in via Barbieri accanto alla lapide per Kid, che è stato strappato, anzi, raschiato via con le unghie.
Stamane anche al Pratello ci sono stati canti e letture. Non solo il Navile, che anche nel periodo più buio del’emergenza è rimasto mediamente vivibile e solidale (pochissima delazione, pochissimi tricolori), ma tutta Bologna – per quanto “a macchie di leopardo” – ha risposto bene. Da qui si riparte.
Verso sera, anche il cartello affisso presso la lapide per Dante Palchetti è stato strappato e ridotto a brandelli, come quello in via Barbieri.
Stanotte la Brigata Violet Gibson li ha ripristinati entrambi.
Ricordo di aver letto qui su Giap un commento qualche tempo fa di una persona che sosteneva di sentirsi oppressa e terrorizzata quando leggeva i vostri contenuti. Io mi sento esattamente al contrario! Sollevata e rincuorata perché avete sempre in tutti questi anni mantenuto una coerenza non scontata in un mondo di bandieruole. In questi ultimi mesi lo avete dimostrato ancora una volta e solo qui riesco a tirare un sospiro di sollievo. Avete già elencato dei punti imprescindibili sui quali non si può scendere a compromessi. Vorrei solo aggiungere che non possiamo più accettare di dover motivare i nostri spostamenti tramite autocertificazione ( una idea talmente bislacca da essere contraddittoria in sè stessa) ma neppure possono essere imposti ulteriori limiti. Non esiste passeggiare entro 500 metri anziché 200 ( ho letto pure questo). Credo che dopo il prossimo decreto, se dovessero essere imposte misure illogiche, sarà io caso di iniziare ad organizzarsi in forme più articolate e non più lasciate ad azioni di “sfida” dei singoli.
Dovremmo tenere bene a mente il decalogo. Da mettere nella cassetta degli attrezzi e tirare fuori ogni volta che, da qui ai prossimi mesi, ci verrà detto che il controllo è necessario, che dobbiamo accettare acriticamente ogni affermazione di ogni scienziato, che così è se vi pare, che “o lockdown o immuni”, che le nostre vite non saranno più le stesse, o, al contrario, che potremo continuare come se niente fosse, che medici e infermieri sono eroi, che i morti sono tanti perché in Italia ci sono tanti vecchi, che bisogna privare i nonni dei nipoti e i nipoti dei nonni.
Tireremo fuori il cacciavite n.3 quando, a settembre, ci si dirà che purtroppo si dovrà continuare con la DAD (anche perché, cosa vuole signora mia, c’è la seconda ondata). Tireremo fuori il martello numero 10 quando ci verrà detto che lo smart working è smart non a caso, che ci fa risparmiare tempo, riduce l’inquinamento e ci fa stare al passo coi tempi. Tireremo fuori la brugola n. 8 quando ci verrà detto che la supplenza, il volontariato, la solidarietà sono cose bellissime, da incentivare e premiare (tanto da meritarsi “alfieri della repubblica”).
Credo che l’attrezzo più importante del decalogo sia la premessa che lo precede: di fronte al mantra dell’incertezza, e per quanto incerti, dobbiamo avere il coraggio e la determinazione per dire quali sono le imposizioni che non siamo più disposti ad accettare, quali i dati che pretendiamo di conoscere, le misure che debbono essere prese, le dimenticanze che vanno colmate. E dobbiamo iniziare adesso, subito, a immaginare le forme di lotta che vorremmo adottare se quelle imposizioni rimarrano, quei dati ci verrano negati, qualle misure non saranno prese, ecc. Altrimenti, saremo sempre un passo in ritardo – e la narrazione dell’incertezza a questo serve. In quest’ottica, è chiaro che il decalogo può e deve diventare un elenco molto più lungo.
Noi stessi abbiamo omesso alcuni punti che ci sembrano importanti, per non infittire il discorso e approfondirlo nei commenti. Ad esempio, dobbiamo pretendere che si faccia chiarezza su quanto avvenuto nelle carceri, sui detenuti morti durante le rivolte, sulle responsabilità, Non dobbiamo permettere che quegli avvenimenti vengano dimenticati e che non si apra un’indagine. Lo dobbiamo ai tanti, troppi morti nelle mani dello Stato.
un paio d’ore, non ci saremmo mai perdonati fosse servito meno, passanti imperscrutabili, impercettibili tocchi di rosso, tanto sole, scampoli di mare (quanto ci manca), puzzo di fosso, un paio di incontri graditi, una tizia odiosa con il cane, ma odiosa eh, una chiacchierata inaspettata, rari sorrisi, una poliziotta che senza neppure scendere dall’autopattuglia e con sforzo davvero minimo date le mie proteste svogliate e l’inevitabile cascamento di braccia è riuscita a infliggerci la pena della mascherina (“la mascherina!?”, “eccola qui [mostrando il polso cui la porto legata]”, “eh, ma va indossata!”, ecc. [very bad vibrations, eh]) perché “è obbligatorio [sic] indossarla anche all’aperto [risic]”. nient’altro da segnalare, abbiamo iniziato a due passi da da qui:
“nella fiera secolare tradizione
che fece livorno ribelle sempre a tirannia
i cittadini di pontino s.marco
gente di popolo e di lavoro
con reverenza pietà e orgoglio
custodiscono la memoria dei figli generosi
che vita e sangue profusero
a contrastare la bestiale tracotanza fascista
lasciando seme prezioso al combattuto rifiorire
di libertà”
passando per (e certamente trascurando qua e là):
“il 2 agosto 1922
imperversante il furore fascista
pietro e pilade gigli
per sangue fratelli e per fede compagni
colsero qui la palma del martirio…”
“in questo edificio
accanto a molti anonimi
hanno in reclusione trascorso parte della loro vita
molti combattenti dell’antifascismo
da ilio barontini a sandro pertini…”
“tra queste mura il 21 gennaio 1921
nacque il partito comunista italiano…”
“parte del popolo
non vollero essere contro il popolo…”
“scelsero in piena coscienza
e restituirono onore e dignità all’italia…”
e poi – un volta raggiunto l’afelio (?) della nostra orbita (“salvaste l’italia non morrete mai”) abbiamo intrapreso la via del ritorno con un carniere di fotine… inguardabili, com’è nostra fiera tradizione.
l’esercito del surf
Bravi, bravi, bravi. Non ho potuto far bene come voi, ma vi incoraggio in ogni modo. Da cultore di antropologia e scienze storiche ho apprezzato particolarmente il vostro punto 6 che considero cruciale e abbozza un discorso sul dopo, che dovrà continuare. Un dopo che, a onor del vero e nonostante i pungoli di Zizek, mi appare decisamente problematico e meno promettente. È la retorica stessa del sacrificio, della “più grande emergenza dopo la seconda guerra”, termini incongrui o magniloquenti, che ha sedotto anche alcuni compagni in una febbre accelerazionista che secondo me di questi tempi è un segno di ingenuità.
Da Trento, passeggiata resistente, eravamo 4 famiglie, senza mascherina, gli adulti collegati da un filo di lana rossa che segnava la “giusta” distanza tra noi… E un cartello “201 metri”.
I bambini, ben 7, che correvano felici come non li vedevo da tempo, cantavano bella ciao a ruota (senza mai cominciare insieme, eh) e ridevano.
E io pensavo a una cosa che il mio compagno mi ripete da giorni, alla terribile responsabilità che abbiamo nei loro confronti, a quello che gli stiamo facendo privandoli del piacere vitale di stare con gli altri, all’aria aperta… Ora sono al balcone, a parlarsi con gli altri bambini dai balconi, si organizzano per giocare domani, io non li fermerò, tanto ci penserà il mio premuroso vicino a chiamare per la ennesima volta le fdo.
Per inciso, durante la passeggiata, mentre eravamo fermi a cantare, dei vigili si sono fermati e ci hanno chiesto se i gruppetti corrispondevano a nuclei familiari, abbiamo risposto di sì, e sono andati via.
A Torino, una visita alla lapide commemorativa di Renato Viola (1922-1945), con la mente a due illusionist*: Harry Houdini e Natalia Agàti. Il mio videoreportage magico è su Invidio.us:
https://invidio.us/watch?v=ML6l2Rn79sk
Era ormai qualche mese che volevo segnalare il progetto Carcerrario, e la data di oggi me ne ha dato la possibilità: il lavoro di architettura critica curato da Agàti insieme a Olimpia Fiorentino e Serena Olcuire è una lettura che entra in risonanza in modo sinistro con questa epoca di quarantena. Per saperne di più: https://carcerrario.wixsite.com/carcerrario/
Oggi ho “disobbedito”, come penso sia giusto fare quando si credono ingiuste le regole che ci vengono imposte. L’ho fatto da solo, ma la decisione è maturata leggendovi, “dialogando” con quanto veniva scritto in queste pagine. Ho preparato uno striscione su cui con la vernice rossa ho scritto: “AMO RESISTO SOGNO – E NON HO PAURA – LIBERTÀ E GIUSTIZIA SOCIALE”. L’ho fatto pensando a mio nonno Arturo, alla sua storia di partigiano di cui so poco, quel poco che ha raccontato, ossia del giorno in cui ha deciso di entrare in clandestinità. Fino a quella scelta non era un militante, ma ascoltava con curiosità i discorsi di alcuni commilitoni che parlavano di giustizia sociale. Quel giorno, quei ragazzi furono fucilati perché sorpresi a fischiettare l’Internazionale e mio nonno capì in quel momento che non aveva possibilità di scelta, che c’era una sola cosa giusta da fare: lottare per la libertà e la giustizia sociale. Questa mattina sono uscito di casa con una maglietta rossa, la kefiah al collo e lo striscione nello zaino e mi sono diretto verso una lapide partigiana nel mio quartiere. Arrivato sul posto, ho trovato due compagni e una compagna che, dopo aver deposto un fiore, si allontanavano. Li ho fermati timidamente e ho detto loro che avevo preparato uno striscione; quando l’ho srotolato erano felici e mi hanno aiutato ad appenderlo (per inciso, ho dovuto dissuadere il compagno di ottant’anni dall’arrampicarsi). Mi sono fermato per un po’ ed è stato bello, ho visto passare bambine e bambini, donne e uomini, a posare un fiore, a raccontarsi che cos’è la resistenza, a scambiarsi un saluto e un sorriso. Sono uscito solo, ma non lo ero più! Anche questo 25 aprile 2020 a Milano ci son stati “Partigiani/e in Ogni Quartiere” e, leggendo le altre testimonianze, so che ce ne sono stati in tutta Italia. Scrivo la mia esperienza per partecipare al racconto collettivo che Giap sta raccogliendo in questi giorni, e penso che sarebbe molto bello un lavoro organico che metta insieme la “disobbedienza” che oggi ha, più o meno silenziosamente, riconquistato lo spazio pubblico. Mi piacerebbe postarvi una foto, ma non so come fare. Grazie per lo spazio di pensiero che create e curate.
Non aveva vent’anni, Luciano Malgaroli, quando fu assassinato dalle SS con un colpo alla testa vicino a dove lo catturarono, al Castelluzzo, una delle borgate più alte della collina di San Giovanni, un paio di chilometri da casa mia e anche dalla casa dove visse mio papà fino a quando sposò mia mamma. Vicinissima c’è un’altra borgata, Ciò d’Mai, dove, qualche settimana dopo la morte di Luciano, avrebbero iniziato a ciclostilare Il Pioniere, uno dei più importanti giornali clandestini della Resistenza. Luciano non era solo quel giorno, con lui c’era un altro giovane che si chiamava Daniele Nello. Daniele fu più scaltro, o soltanto più fortunato. Al momento della fucilazione – i due non avevano rivelato dov’erano nascoste le armi di un lancio alleato – Daniele riuscì a colpire il braccio del boia e a scappare facendosi rotolare lungo il pendio. Oggi sono salito al Castelluzzo, volevo posare una margherita alla lapide di Luciano. Un signore che abita nella borgata si è avvicinato, mentre scattavo le fotografie. Siamo stati a distanza, certo, e abbiamo scambiato qualche parola. Mi ha detto che Luciano veniva dall’Emilia Romagna. Io non lo sapevo. ‘Buon 25 aprile’, gli ho augurato. ‘Altrettanto’. Veniva da lontano, Luciano. Guardo la sua foto, sorride, sullo sfondo si vede un corso d’acqua, oppure un lago. È appoggiato a una balaustra e sembra sereno. Non aveva vent’anni. #25Aprile2020 #Liberazione #ValPellice #SEMPREPARTIGIANI
Grazie, grazie e ancora grazie. In un giorno così importante la vostra presa di posizione è veramente importante e fa breccia in un mare di omertà, troppi silenzi, interpretazioni e varie teorie complottiste che ascolto quotidianamente dal mio terrazzo di casa.
Oggi con il mio cane Bruno abbiamo fatto un escursione “vitale” tra Morrovalle e Montecosaro tra le colline marchigiane, senza incontrare anima viva, facendo al tempo stesso un servizio pubblico che oramai svolgo da anni, senza nessun cambiamento in positivo: ho raccolto due sacchi di immondizia ai cigli delle strade nel raggio di 3 km.
Voglio ricordare questo giorno con le parole impresse sulla lapide la Cimitero Internazionale Partigiano di Pozza e d Umito nel comune di Acquasanta Terme (AS) nelle Marche.Vi sono sepolte le spoglie di 37 Caduti (36 partigiani ed 1 vittima civile): 36 morti l’11 Marzo 1944 durante l’azione nazifascista condotta sui paesi di Pozza, in cui caddero 15 jugoslavi, 11 italiani tra cui una donna e una bambina, due greco-ciprioti, due inglesi, uno statunitense. Altri antifascisti jugoslavi furono uccisi nelle vicine frazioni di Collefrattale e Arola.
La lapide recita:
CITTADINO
QUANDO VEDRAI MIA MADRE
DILLE DI NON PIANGERE
NON SONO SOLO
GIACCIONO CON ME
FRATELLI ITALIANI YUGOSLAVI
INGLESI GRECOCIPRIOTI
CHE NESSUNO ARDISCA
GETTARE DEL FANGO
SUL SANGUE SPARSO
NELLA COMUNE LOTTA
TROVANO QUI
FEDE
MADRE
PANE
FUCILI
I MORTI LOSANNO
I VIVI
NON LO DIMENTICHERANNO
FIUMI DI SANGUE
DIVISERO I POPOLI
CHE OGGI IL SACRIFICIO
DEI COMPAGNI MIGLIORI
LI UNISCA
Potete trovare il reportage fotografico qui: http://www.gentilimarco.com/carnevale-degli-zanni-umito-pozza-acquasanta-terme-ap/
Stamattina verso le 11 sono uscito di casa a piedi, munito di mascherina e di autocertificazione precompilata, con l’intento di rendere omaggio ad alcuni dei luoghi della memoria nella mia città. Ho sostato davanti alla lapide in via Caduti della Libertà, poi ho proseguito fino all’edicola all’angolo con piazza Ducale, dove ho preso “il manifesto”. Da piazza Ducale ho risalito la via del Popolo, percorrendo all’inverso un tratto del percorso del corteo di ogni 25 aprile tranne questo. All’altezza del civico 11 ho deposto una rosa (bianca) vicino alla pietra d’inciampo dedicata ad Anna Botto, una resistente uccisa nel campo di concentramento di Ravensbrück. Qui la sua storia:
http://vigevano.anpi.it/deportazione/deportazione-politica/anna-botto/
Sono arrivato sino alla porta sud del Castello, il quale è chiuso da quando è iniziata l’emergenza. Così ho ridisceso la via del Popolo e ho proseguito fino alla lapide in piazza Martiri della Liberazione. Lì l’ANPI aveva collocato una corona d’alloro.
In tutto il tragitto di andata e ritorno, durato circa un’ora, non sono stato fermato e d’altronde non ho visto guardie in giro. Mentre ripassavo vicino all’edicola ho visto un paio di compagni, che non conoscevo, piuttosto giovani, con in mano la loro copia del “manifesto”. Annoto l’episodio in quanto si tratta di una circostanza niente affatto frequente: da queste parti s’incontrano molto più spesso acquirenti del “Giornale”, di “Libero”, e via discorrendo. Ne ho tratto l’impressione – certamente soggettiva e opinabile – che oggi la piazza fosse comunque nostra.
Io oggi ho presenziato alle “celebrazioni” del Comune di cui sono amministratore. Da noi sono solitamente un evento molto partecipato, con la banda musicale, tanta gente, delegati dei comuni limitrofi, discorsi ed eventi culturali. Oggi eravamo in quattro, con la mascherina e i guanti, nel silenzio più totale, a fissarci con sguardi perplessi.
Tornato a casa ho messo insieme un’amplificazione rudimentale, sono andato su un prato, sopra al piccolo borgo dove vivo, ho preso la chitarra e ho fatto ascoltare una strofa, una almeno, partigiana, alla mia frazione. L’ho postata qui https://nitter.net/davidegastaldo/status/1254000613081460737/video/1
Da Roma mi riferiscono diversi quartieri tra cui quadraro e Pigneto… In decine si son trovati, canti… Al Pigneto ogni hanno c’é la festa autorganizzata il 25 e non hanno rinunciato, nonostante le mascherine mi raccontano un’atmosfera allegra e decompressiva.
A Orvieto striscioni clandestini disseminati in giro:
https://www.youtube.com/watch?v=Gudgpl7zSnw&feature=youtu.be
In provincia di Terni, quindi anche qui, hanno fatto un’ordinanza che prevedeva la chiusura di tutti gli esercizi salvo giornalai e farmacie.
Hanno appena ri-autorizzato il mercato alimentare in piazza, a Orvieto, da qualche giorno, però oggi restava vietato in base a questa ordinanza. Difficile non pensare a uno scopo preventivo.
Credo proprio che il primo maggio possa moltiplicare questa spinta. Credo anche che la “linea” diffusa tra compagne e compagni si stia spostando.
E in tutto questo che fa Repubblica? Da un lato, quello antifascista, celebra e dà notizia solo e soltanto di cerimonie virtuali e canti dal balcone di gente perbene, mentre dall’altro, quello fascista, segnala ogni singola svastica o celtica disegnata in giro sui monumenti ai partigiani e alla Resistenza. Con l’effetto di regalare proprio ai fascisti una vittoria “di strada” che non hanno ottenuto manco di lontano, presentando invece gli antifoascisti come un popolo di tappati in casa a smanettare sul computer e canticchiare alla finestra (oggi “Bella Ciao”, ieri l’Inno di Mameli, domani chissà).
Meno male che gli adolescenti confusi non leggono Repubblica, perché se io fossi un adolescente confuso, grazie a quel giornale e a questa cronaca intossicata avrei già scelto qual’è la parte più affascinante e determinata.
Per fortuna Gasparri, Salvini e il Messaggero rimettono le cose nella giusta prospettiva, denunciando la sovversione dell’ordine costituito da parte dei compagni romani che hanno manifestato al Pigneto. (la repressione è il nostro vaccino, cit.)
https://www.ilmessaggero.it/politica/25_aprile_cortei_roma_coronavirus_oggi_ultime_notizie-5191957.html
Comunque, come scriveva Piersante su twitter stamattina, per salvaguardare la libertà di stampa bisognerebbe chiudere il 95% dei giornali. Secondo me sarebbe meglio il 97%, ma va bene anche il 95%.
Qui raccontano cosa è successo a napoli:
“…
Il presidio più numeroso ha avuto luogo in mattinata nei pressi del ponte che sovrasta il rione Sanità, intitolato a Maddalena Cerasuolo, giovane partigiana che lo aveva difeso insieme a un gruppo di compagni dai guastatori tedeschi durante le Quattro giornate di Napoli. Un’altra manifestazione si è svolta tra Montesanto e piazza Municipio, dove palazzo San Giacomo era presidiato da un gruppo di agenti in assetto antisommossa. «Arrivati a piazza Municipio – racconta uno dei manifestanti – ci siamo posizionati alle giuste distanze, abbiamo alzato lo striscione e gliele abbiamo cantate anche al sindaco, che ha millantato un bonus per gli affitti di seicento euro, ma di accesso limitato a pochi, che comunque questi soldi non li hanno ancora visti. Il sindaco non si è fatto vedere. Quando la fanfara stava cominciando a suonare Bella Ciao per omaggiare la targa nelle mura del municipio, noi da fuori abbiamo iniziato a cantarla prima di loro. Le guardie ci hanno chiuso in cerchio, poi hanno cominciato a strattonare e infine hanno portato quattro manifestanti in questura. Tra i vari provvedimenti c’è la richiesta dell’obbligo di quarantena, ma noi non abbiamo nessuna intenzione di segregarci in casa, anche perché gran parte dei presenti sono impegnati nella distribuzione delle spese solidali. Il clima è pesante, la questura ha un atteggiamento che fino a prima della pandemia non aveva».
Nelle stesse ore a Bagnoli, proprio quando un’azione di distribuzione di mascherine nella strada principale del quartiere era appena terminata, una volante della polizia ha fermato due attivisti e gli ha notificato una multa per il non rispetto delle misure di distanziamento, e una denuncia per manifestazione non autorizzata. In strada, per la “manifestazione”, c’erano in quel momento sei persone, ferme davanti allo striscione: “Bonus spesa per tutti, stop bollette e affitti, tamponi e test di massa: liberiamoci dalla paura!”. Dai balconi dei palazzi circostanti e dai marciapiedi di viale Campi Flegrei gli abitanti del quartiere hanno rumoreggiato e inveito contro la polizia in un clima surreale”
https://napolimonitor.it/25-aprile/
Riporto, dal profilo FB di Paola Galassi, quanto accaduto a Milano oggi
“Una manciata di persone (giovani ed un anziano, dalle informazioni che ho) facenti parte delle Brigate volontarie di solidarietà, vengono fermate, malmenate e buttate a terra da poliziotti in divisa mentre, in maniera pacifica e con le dovute misure di sicurezza, stavano distribuendo fiori alle targhe dedicate ai partigiani sparse per la città. Le brigate volontarie sono gruppi che in questi mesi si stanno impegnando per far fronte all’emergenza economica, alimentare, educativa che la quarantena porta con sè – con la collaborazione ed il permesso del Comune di Milano e di associazioni che si sono messe a disposizione come formatori e mediatori – es.Emergency e Arci. Non sono gli unici, ma sono tanti, necessari, spinti da valore di solidarietà, giovanissimi e non – è importante osservarne e valorizzarne la capacità organizzativa e fattiva, è importante anche per i valori che portano con il loro operato, necessari per capire le basi su cui costruire il domani. Stamattina sono stata felice di sapere che nei giri di consegna, i fattorini hanno portato fiori alle targhe commemorative dei partigiani che combatterono per la Liberazione, cercando in qualche modo di mantenere vivo il Rito collettivo, necessario nella vita di una comunità, pur nei limiti imposti. Io non posso sapere i dettagli di ciò che è accaduto; ma penso che l’atto che questo piccolo gruppo di persone stesse facendo fosse necessario e vitale per tutti noi, come lo è portare un pacco alimentare alle famiglie che non possono più permettersi di mangiare. Lo è, perché abbiamo bisogno di nutrire la nostra identità, la nostra memoria storica, lo sviluppo del nostro corpo sociale, abbiamo bisogno ora come non mai di ricordarci la fondazione della nostra comunità.”
Qui due video dell’accaduto
https://invidio.us/watch?v=-8B6QN4tI94&feature=youtu.be&autoplay=0&continue=0&dark_mode=true&listen=0&local=1&loop=0&nojs=0&player_style=youtube&quality=dash&thin_mode=false
https://www.lapresse.it/cronaca/25_aprile_milano_tensione_tra_polizia_e_giovani_antifascisti-2603252/video/2020-04-25/
Forse qualcosa non sarà più come prima: la soggezione, non solo italiana ma da noi particolarmente radicata, per gli “esperti”, dall’esperto della divinità in giù.
Affiidare il dibattito democratico esclusivamente agli esperti significa non dibattere affatto, mettere la mordicchia ad ogni obiezione, a meno che non provenga da un altro esperto che deve comunque stare attento a quel che dice, pena la radiazione dall’albo o lo stigma accademico.
L’autore di simili prodezze lessicali: “Maligni amplificatori biologici..logaritmicamente..Atroci conseguenze” è lo stesso che ha scritto su Twitter: “Se Tarro è virologo da Nobel, io sono Miss Italia”, al che Tarro risponde: “Su una cosa ha ragione: lui deve fare solo le passerelle come Miss Italia, ma senza aprire bocca”. Insomma, roba da primedonne, e passi per Naomi Campbell ma Burioni e Tarro…Con ritardo esistenziale: buon 25 Aprile!
Sui consulenti, preudo consulenti, vice consulenti e sostituti consulenti in mano ai quali è finita l’Italia si potrebbe (e forse si dovrebbe) scrivere un trattato. Gli stessi consulenti che hanno – di fatto – concorso a spedire un intero Paese (bambini compresi) agli arresti domiciliari con tutto quel che ne è derivato sul piano repressivo/sanzionatorio, hanno inizialmente (cioè in un momento nel quale la situazione cinese era già esplosa) fornito ampie rassicurazioni in merito al fatto che in Italia andava tutto bene e, quindi, posto le basi di: Atalanta-Valencia a San Siro con 45792 spettatori e conseguente iperaffollamento di bar/ristoranti/metropolitana (“la partita zero”); hashtag e gigantografie Milano non si ferma; relativi aperitivi con ampia copertura fotografica etc.. Fortuna che c’è internet che ha buona memoria.
In realtà l’uso di un esperto piuttosto che un altro è un fatto squisitamente politico. Hanna Arendt sosteneva, nei lontani anni ’60, che il lavoro del politico è quello di ascoltare gli esperti e prendere decisioni. Ora un esperto non vale un altro. Non bisogna essere Gaston Bachelard per sapere che la scienza è un campo aperto, in continuo mutamento, dove le opinioni si confrontano e arricchiscono il progredire di una disciplina. Privilegiare l’esperto Aldo Semerari “perito tra i più autorevoli e stimati nei tribunali italiani”, uno che “era solito dormire su un letto in metallo nero, sormontato da una bandiera con la svastica e protetto dai suoi dobermann” al posto dell’esperto Franco Basaglia è frutto di una decisione politica. Da dove è saltato fuori ’sto Burioni? Chi l’ha messo dove si trova dandogli la conseguente vetrina mediatica, con atroci conseguenze?
A Palermo ieri, per celebrare il 25 aprile, durante il corso della giornata sono stati depositati dei drappi rossi in alcuni punti della città. Uno di questi, La casa del mutilato, era stato anche una delle tappe di #VivaMenilicchi
https://palermo.repubblica.it/societa/2020/04/25/foto/il_25_aprile_di_palermo_la_citta_si_colora_di_drappi_rossi-254897441/1/
Segnalo che il giorno prima, Alberto Nicolino, attore e autore teatrale milanese trapiantato a Palermo, dopo aver letto Fiabe a telefono per tutto il periodo del lockdown, è sceso nei vicoli del centro storico per leggere, alle persone che facevano la fila per comprare il pane, poesie di Gianni Rodare e di Ignazio Buttitta. Esiste un video su Fb.
In generale in questo mese a Palermo ci sono state molte iniziative, on the street. A Pasqua 4 ristoranti di Ballarò hanno offerto il pranzo a 1200 famiglie in difficoltà del quartiere.
https://www.la7.it/propagandalive/video/staffette-partigiane-a-palermo-con-moltivolti-ristorante-multietnico-sos-ballaro-e-cooperativa-25-04-2020-321473
Ma le collette alimentari vanno avanti da un un mese e mezzo e riescono ad aiutare centinaia di famiglie. Cosi come gli sportelli autorganizzati per aiutare a compilare le (farraginosissime) richieste di aiuti. Questo grazie a tantissime persone che, in un modo o nell’altro, hanno forzato il lockdown. Mantenendo le distanze, dotandosi delle protezioni necessarie, articolando un’autocertificazione, a volte anche riuscendo a strappare al Comune un’autorizzazione, si è riusciti a stare dentro le contraddizioni di alcuni quartieri, mantenendo dei presidi fisici.
Tutto questo mentre il Comune è riuscito ad erogare i primi buoni spesa soltanto la scorsa settimana. Stiamo parlando di una città in cui questo mese e mezzo di blocco totale ha avuto un effeto devastante, considerando il tasso incredibile di disoccupazione e di lavoro informale (letteralmente alla giornata), ma considerando anche che negli ultimi anni la turistificazione aveva riconvertito grossa parte del settore produttivo, adesso totalmente fermo.
Resoconto da Udine. Venerdi Piazza della Libertà, luogo che tradizionalmente ospita le manifestazioni della Liberazione, è stata lentamente cosparsa di fiori rossi accompagnati da scritte inneggianti alla Resistenza. Quatti quatti, lemme lemme, antifa della città hanno fatto una piccola trasgressione venendo fin lì a deporre un fiore che in qualche modo colmasse il vuoto che in quella piazza ci sarebbe stato il giorno dopo. Tra l’altro a Udine da sempre il 24 aprile si celebrano i partigiani di Borgo Villalta, un quartiere che ricorda i suoi 22 partigiani caduti con una lapide sulla facciata di una scuola. Fatto sta che nella notte tra venerdì e sabato, qualche merda ha pensato bene di togliere i fiori da Piazza della Libertà; amministrazione comunale leghista e nettezza urbana negano di esser state loro. Risultato: una trentina di persone decidono di tornare in piazza per portare nuovamente dei fiori. Nasce così un presidio spontaneo di un’oretta con tanto di canti partigiani sparati a palla da una finestra del terzo piano che dà sulla piazza. Passa una macchina della Polizia e poi una dei carabinieri, ma nessuno si scompone. Prima di salutarci ci guardiamo negli occhi e sorridiamo sotto le ingombranti mascherine: ieri e oggi ci siamo ripresi un pezzo di città, speriamo non sia che l’inizio! Pedalando verso casa m’è scesa qualche lacrima. La libertà è così profumata e carica di bellezza.
Mi era sfuggita questa perla di Burioni:
«[i bambini sono] maligni amplificatori biologici che si infettano con virus per loro innocui, li replicano potenziandoli logaritmicamente e infine li trasmettono con atroci conseguenze per l’organismo di un adulto» (Roberto Burioni, 31/03/2019)
Una crescita logaritmica è talmente fiacca da non essere quasi una crescita. Ho recuperato il tweet originale, e dalla discussione credo di aver capito che il prof. si fosse confuso con “crescita lineare in scala logaritmica”, che poi non è nient’altro che la crescita esponenziale.
Ora, al di là del fatto che vorrei proprio sapere cosa direbbe un neuropsichiatra infantile dei danni che può fare un medico definendo i bambini “maligni amplificatori biologici”, al di là di questo dicevo, il prof. dimostra di usare paroloni come “logaritmo” senza capirli, e solo per il loro suono minaccioso. La maggior parte delle persone a scuola si è presa dei 4 sonanti in matematica alle superiori perché gli insegnanti spesso spiegano male i logaritmi. Buttare dentro un logaritmo a cazzo di cane nel discorso serve a riattivare lo stesso frame.
Ascoltiamo gli scienziati che nulla hanno di democratico; potendosi trincerare dietro la specificità della loro disciplina, zittiscono immediatamente chi non è del settore, anche se obietta sensatamente.
La questione del logaritmo, puramente lessicale, come dice tuco non ha nulla di esatto in quel contesto, messa lì a caso, ma fa scena, e chi ascolta il luminare pensa chissà che. Ascolto termini come “logaritmo”, o “esponenziale”, o “geometrico” e subito mi figuro devastazioni numeriche, spandimenti virali su scala planetaria, miliardi di infetti che vagano come zombie nelle strade, camion pieni di bare. Ma non preoccupatevi, basta stare blindati in casa e ascoltare noi, che abbiamo studiato. E tu, che non hai studiato, rimani lì, ad ascoltare, in balia di tutto e di tutti, col povero ombrello del senso critico, del buon senso (o dell’aiuto di discussioni come quelle di questo forum).
La realtà, molto prosaica, è che il linguaggio catastrofico fa share, e dunque PIL; più uso un linguaggio altisonante più sono ricercato da chi persegue l’ascolto per vendere più pacchetti pubblicitari. La narrazione di questa pandemia non è altro che un ennesimo tassello nel mosaico liberista, dove in nome del profitto diventa normale (anzi, assurge a scienza) definire i bambini maligni amplificatori biologici, e parlare di atroci conseguenze per un adulto senza nemmeno specificare di che categoria di adulti si parla.
Per me Burioni è questo:
https://archive.is/9bdGq
Un piccolo aneddoto. Quando avevo poco più di venti anni beccai io morbillo. Una settimana con la febbre altissima ed il medico mi prescrisse l’antibiotico. Non notando miglioramenti iniziai a sfogliare un vecchio libro di un pediatra scritto negli anni ‘70. Datato, ma molto ben fatto. Uno di quei manuali che si regalano alle neo-mamme. Mi era venuto il dubbio che potesse trattarsi di una malattia esantematica. In effetti mia madre controlló dietro le orecchie ed ero arrossata. Chiamammo la guardia medica. L’esantema stava iniziando a diffondersi sul tronco. Il medico venne a visitarmi e sentenziò che si trattava di una reazione allergica al farmaco. Facemmo notare che i sintomi facevano pensare al morbillo che non avevo contratto durante l’infanzia. “‘No-concluse fermamente- può sembrare ma è un effetto collaterale dovuto all‘antibiotico”. Dopo poco mia nonna ultrà ottantenne venne a trovarmi. Appena mi vide, ancora sull’uscio esclamò in dialetto: “ questo è morbillo!” Aveva ragione. Lo confermó il medico di famiglia il giorno seguente e dopo una settimana si ammalò mia sorella. Ecco, un esempio banale che dimostra che la scienza è spesso democratica. Ci stanno propinando da mesi le teorie di questi scienziati definiti cattedratici. Credo che gli unici medici che forse in questo frangente possano dire qualcosa di interessante ed utile sono i clinici ovvero coloro che quotidianamente nei reparti stanno imparando ad affrontare le implicazioni di un virus nuovo, tra successi e fallimenti, osservando il decorso dell’infrazione e la risposta dei pazienti ai trattamenti. Il resto è per lo più un magma di chiacchiere che non si elevano molto oltre la soglia di quelle definite “ da bar”.
Il tuo aneddoto è fuori luogo. Commenti un articolo sul 25 aprile, e su come si dovrà organizzarsi per resistere in futuro, con una storia che nulla ha che vedere con forme di resistenza, anzi si tratta di un espediente che, dal punto di vista della logica, è ingannevole, in quanto propone di dimostrare una verità universale focalizzandosi su un caso particolare.
La nonna che azzecca una diagnosi non è una prova della democraticità della scienza.
La scienza è assolutamente democratica, ma per altri motivi epistemologici che non starò qui ad elencare perché non mi sembra il post adatto.
Che non fosse in topic ci arrivo anche da sola e riguardo l’epistemologia della scienza essendo cresciuta con una padre professore di filosofia credo di averne sentito vagamente parlare, solo appunto non era il luogo adatto per divagare. L’aneddoto aveva il fine di agganciarmi con un esempio banale al link sulla disputa tra Burioni ed il filosofo che, a suo dire, non meritava ascolto in quanto non sufficientemente titolato, dove titolo sta per carica accademica. Ciò detto, e chiusa la parentesi, anche io avrei voluto commemorare come tanti qui il 25 Aprile, ma non avevo nessun luogo in cui recarmi e nessuno che si unisse a me perché abito in un paese molto piccolo e le forze dell’ordine sono ovunque e non mi andava di incontrarle da sola. Ho già notato che ti inserisci nei commenti usando toni perentori. Forse, un consiglio, potresti essere tu un po’ più democratico.
Credo che Lei non abbia letto il bellissimo commento sulla scienza di VincenzoF. La lettrice Mandragola01, fa riferimento a tale commento. Infatti si tratta, sia nell’articolo che nei successivi interventi dei lettori, di un dibattito su molti argomenti. L’articolo stesso apre e chiude con l’argomento della Liberazione ed il monumento ai partigiani fucilati a Monte Sabbiuno, facendo però diretti collegamenti tra il periodo fascista ed il momento storico che stiamo vivendo, con l’avvento dell’epidemia di Covid 19.
Ma forse Lei non ha proseguito con la lettura. Ergo dovrebbe andare a fare commenti di questo genere su una piattaforma che più Le si addirebbe (ad esempio FaceBook, sicuramente più in linea con il Suo pressappochismo)
Buona giornata e, spero, buona lettura!
Le faccio notare Valeria, che il suo commento è alla stregua di ciò che Mandragola01 voleva criticare. “Dovrebbe andare a fare commenti di questo genere su una piattaforma che più Le si addirebbe (ad esempio FaceBook, sicuramente più in linea con il Suo pressappochismo)” è lo stesso tono denigratorio che usa il virologo/marchetta televisiva.
Questo modo di discutere “non può che produrre risentimento e un irrigidirsi delle posizioni. Di fronte a una tale arroganza, a un tale feticismo della gerarchia intellettuale, sempre più persone perderanno fiducia e andranno a cercare altre voci, come quelle dei bufalari e pseudoscienziati.”
Ergo l’ha fatta fuori dal vaso, ma chiudiamola qui, che con la Resistenza non ha nulla a che fare!
Gagarin, per la seconda volta in pochi giorni ci tocca farti notare che ti rivolgi alle interlocutrici – tre volte su tre erano donne – in modo aggressivo. Qui nessuno «la fa fuori dal vaso» e il post qui sopra non è solo sul 25 aprile, il commento di Mandragola puoi criticarlo ma non era OT. Ti preghiamo di non darci l’occasione per un terzo intervento. Grazie in anticipo.
Avrei accettato la critica senza rispondere, ma non ci sto a passare neanche solo lontanamente da misogino. Non avevo notato fossero tre donne e avrei risposto allo stesso modo con tre uomini.
Mi hanno invitato ad andare a commentare su fb perché pressapochista. Lo trovo ben più oltraggioso di dire di averla fatta fuori dal vaso. Va da sé che se sono apparso aggressivo in entrambe le occasioni è evidente che debba rivedere il modo in cui scrivo ;).
Tornando al 25 aprile, molte forme di resistenza attiva si sono svolte nell’etere delle radio libere. Un ottimo modo di coinvolgere i compagni con meno possibilità di uscire.
“Se sono apparso aggressivo…”??? Nel tuo commento ad un mio post qualche giorno fa non sei APPARSO aggressivo, tu ERI aggressivo. Dopo che avevo espresso profonde e molto personali preoccupazioni per mio figlio e la sua incapacita’ ad affrontare la didattica a distanza. Ma ho pensato che eri soltanto un frustrato. Il lockdown comporta moolta frustrazione. Ora pero’ leggendo tuoi altri post di oggi deduco che sei oltre ad essere frustrato semplicemente sgradevole e poco “compagno”. Non aiuti la causa e l’antifascista vero cerca sempre prima di schiacciare il fascista che c’e’ dentro di se’.
Magari sei molto giovane e non hai capito che l’aggressione malincanalata e’ molto perniciosa.
Bon, adesso Gagarin sa che deve stare più attento a come scrive, perché certi toni non sono senza conseguenze. Ci auguriamo non serva più ribadirlo. Cerchiamo di non alimentare flame. Buon proseguimento di discussione a tutte e tutti.
Il link su Burioni che ha postato Mandragola fa proprio venire la nausea, la stessa che provavo all’università quando venivi bocciato a un esame senza un valido motivo, ma per discrezionalità del professore di turno che ribadiva la sua autorità (e posizione gerarchica all’interno dell’istituzione) anche in questo modo. Questo comportamento ,paternalista e arrogante, è lo stesso dello stato che ci tratta da idioti non in grado di discernere tra comportamenti pericolosi e non, e delle fdo che si arrogano il diritto di multare a capocchia a ogni piè sospinto (come qualcuno ha raccontato “bisogna uscire da soli a comprare il giornale “,”ma viviamo insieme”,”questo non conta”..questo non conta? Conta eccome, ai fini del pericolo di contagio, non conta se si ragiona in quel modo, e perciò “si esce da soli perché lo decido io”).
Purtroppo anche tra la gente “comune” appena un pò più “studiata” di altri si notano spesso questi atteggiamenti (perché io sò io e voi non siete un ca..) e se osi esprimere un’opinione un pò critica ti bollano da “tuttologo”.
Penso che sarà sempre più dura combattere contro questi meccanismi, ma, è proprio il caso di dirlo,resistiamo!
Per tornare al 25 Aprile, nel mio piccolo comune in una sperduta valle Alpina una sparuta (2 persone) delegazione comunale ha portato un vaso di fiori e una bandiera al monumento ai caduti (36) della resistenza che abbiamo in piazza. Noi ci abitiamo proprio vicino, perciò non ho dovuto neanche violare la norma dei 200 mt per andare a rendere omaggio (e deporre un mazzolino raccolto nei campi).
Buona continuazione di resistenza a tutte e tutti!
A proposito di ieri. A Roma tanta gente in giro, da giorni il lockdown si sta lentamente sgretolando, semplicemente perchè sempre piu’ gente esce di casa, e in una citta’ di 2,8 milioni di abitanti è difficile reprimere perchè ti trovi davanti migliaia di potenziali trasgressori. Io sono andato con la mia famiglia a portare dei fiori sotto la lapide in ricordo di una vittima delle Ardeatine, a S.Lorenzo. Sui giornali si continua a lggere della “citta’ deserta”, ma questo è vero solo per le zone turistiche, dove da anni abitanti non ce ne sono piu’, e dove si concentra tra l’altro il controllo di polizia.
A proposito del “niente sara’ come prima”. Il potere con questo intende “scordatevi diritti, decisioni democratiche, controllo dell’operato dei governi (centrali/regionali/comunali). In nome dell’emergenza si decidera’ al di fuori di ogni controllo e di ogni regola. Ne ho avuto un assaggio nella mia azienda, dove per via dell’emergenza si cambiano le modalita’ di lavoro, scaricando il peso dei problemi creati dal “distanziamento fisico” interamente sui lavoratori. E questo senza nemmeno programmare interventi strutturali (ovvero acquisizione di nuovi spazi, e a Roma grazie alla crisi degli ultimi anni, gli spazi per uffici disponibili non mancano di certo). Il tutto, e questo è molto male, con l’accordo dei sindacati che su cose che ci cambiano letteralmente la vita, si sono ben guardati dal consultarci. E’ l’emergenza, ragazzi, che volete davvero discutere?
« Sui giornali si continua a leggere della “citta’ deserta”, ma questo è vero solo per le zone turistiche, dove da anni abitanti non ce ne sono piu’, e dove si concentra tra l’altro il controllo di polizia.»
Esatto, è una cosa che abbiamo fatto notare fin da subito. A Bologna il furgone della Rai è fisso in Piazza Maggiore, per poterla mostrare vuota a quasi ogni edizione del tg regionale, ma grazie al cazzo, in Piazza Maggiore non abita nessuno, e già a partire dagli anni Novanta l’ombelico storico di Bologna era stato trasformato in un salottino leccato e privo di vita vera. Se venissero al Navile o in San Donato, dovrebbero mostrare gente che passeggia, che fa jogging, che fa giocare i bambini, che chiacchiera davanti ai minimarket o nei parchi rimasti aperti (perché era fisicamente impossibile chiuderli).
Wolf Bukowski ha fatto incazzare un sacco di senzaprecedentisti facendo notare le continuità tra la gestione di quest’emergenza coronavirus e le retoriche sul “decoro”, che tra le altre cose hanno “piallato” i centri storici delle città, ma più passa il tempo e più si vede che aveva ragione.
Noi stessi nel Diario virale 2 avevamo scritto:
«Foto e racconti sui giornali descrivevano città vuote, piazze deserte. Spesso si trattava di luoghi scelti ad hoc: non i quartieri dove la gente viveva davvero, ma le strade del turismo e dello shopping. Zone in realtà già morte, al cui cadavere l’emergenza Covid veniva soltanto a togliere un dito di belletto.»
RIC parla della Brigata Violet Gibson, con focus sui cartelli affissi nel quartiere San Donato-San Vitale, di cui fa parte il rione Cirenaica.
https://resistenzeincirenaica.com/2020/04/26/ieri-mattina/
“Capiamo che è un gesto importante, lo diciamo noi per primi”. Queste sono state le prime parole che ci hanno detto i tre finanzieri che ieri, 25 Aprile 2020, alle 11:05, ci hanno fermato sotto la lapide Caduti del fascismo, al cimitero monumentale della Certosa di Bologna, mentre stavamo esercitando attivamente il nostro diritto alla memoria storica, il nostro dovere di non dimenticare e ci hanno comminato una sanzione amministrativa per aver violato il DL n.19 datato 25.03.2020: non avevamo “comprovate esigenze lavorative, di necessità né motivi di salute”.
Eravamo in due, sotto alla lapide abbiamo incontrato un’altra persona che come noi stava rendendo omaggio ai caduti “trucidati dal piombo fascista” – come recita la stessa epigrafe. In ottemperanza alle disposizioni sul distanziamento sociale, eravamo a più di un metro di distanza gli uni dagli altri, tutti muniti di apposito dispositivo di protezione individuale (la famosa mascherina), senza essere usciti addirittura dal nostro quartiere (eravamo a meno 500m da casa nostra).
A nulla sono valse queste misure e il nostro atto ci è costato, letteralmente. Lo abbiamo fatto in coscienza, assumendocene la responsabilità, e lo rifaremmo, perché crediamo nella memoria di questa giornata e siamo convinti di essere nel giusto. In un momento in cui la volontà, imposta a suon di decreti, è quella di parcellizzarci, abbiamo bisogno prima di tutto non sentirci soli e di sentire la vostra solidarietà.
Stiamo scrivendo per dare visibilità a quanto ci è accaduto e vi chiediamo di raccontare questa storia, nei modi che ritenete più opportuni: siamo convinti che la nostra sia una sanzione ingiustificata, e vogliamo farlo sapere.
Abbiamo anche un’altra richiesta: se sapete di altre persone che hanno subito questo trattamento e soprattutto di azioni collettive in risposta alle sanzioni attribuite in questa giornata, vi chiediamo di farcelo sapere, per valutare insieme con quali modalità contestare il verbale.
Bologna, 25 aprile 2020: resistenza
Sabina e Salvatore
Una primissima considerazione che si può fare anche senza leggere il verbale. Nella giornata di ieri, in tutta Italia, la stragrande maggioranza delle celebrazioni ufficiali si è svolta esattamente nello stesso modo: più persone, tra loro distanziate, hanno deposto fiori ai piedi di uno o più monumenti, di una o più lapidi. Nella città dove vivo, alla cerimonia ufficiale hanno preso parte, se non ho inteso male, sei persone. Aggiungo: diverse associazioni hanno fatto richiesta di poter a loro volta deporre fiori o comunque rendere omaggio a lapidi e monumenti che ricordano caduti partigiani. Io stesso l’ho fatto, a nome della mia sezione ANPI, e sono stato autorizzato. Anche in questo caso, gli omaggi si sono svolti in modalità che immagino identiche a quelle descritte da Sabina. Allora perché nel suo caso è stata irrogata una sanzione? In altre parole, la questione si può porre così: posto che le modalità di svolgimento sono identiche, c’è una qualche differenza giuridicamente rilevante tra un’omaggio ufficiale o autorizzato e uno spontaneo, tale da giustificare una sanzione di quello spontaneo? La risposta secondo me è no. Che soggettivamente le si reputi ragionevoli o meno, le restrizioni la cui violazione integra la sanzione amministrativa hanno per scopo il contenimento del contagio. Se le cerimonie ufficiali hanno potuto svolgersi, se associazioni come l’ANPI sono state autorizzate a portare fiori alle lapidi e ai monumenti ai partigiani, previo il rispetto delle disposizioni sul distanziamento fisico, ciò significa che l’autorità considera il gesto in sé della celebrazione e dell’omaggio un motivo giustificato dal punto di vista oggettivo. Dunque, se il motivo è giustificato per autorità e associazioni, perché non dovrebbe esserlo per i privati cittadini che fanno la stessa cosa rispettando le stesse prescrizioni sul distanziamento fisico? Forse che c’è una qualche differenza, quanto alle finalità di contenimento del contagio, tra il sindaco e il prefetto che partecipano alla cerimonia ufficiale, la compagna che in rappresentanza dell’ANPI va a mettere un fiore ai piedi del busto del primo caduto antifascista della città, e tre privati cittadini che compiono esattamente lo stesso gesto? Se il fatto è lo stesso, se identiche sono le precauzioni adottate, la qualifica di pubblico ufficiale, la carica di rappresentante di un’associazione o lo stato di privato cittadino non rilevano. Sempre di persone si tratta: tutte egualmente esposte al virus. Un fatto identico non può perciò essere consentito alle une e vietato alle altre.
Sono assolutamente d’accordo. Mi sembra un’analisi perfetta. Aggiungerei che la normativa attuale consente espressamente di frequentare (sia pure con tutte le precauzioni del caso) i luoghi di culto. Dal mio punto di vista, i luoghi (monumenti, lapidi etc.) nei quali si commemora la Resistenza sono a tutti gli effetti luoghi di culto laici, cioè nei quali è possibile rendere omaggio a valori che si pongono al vertice della gerarchia costituzionale. Troverei assurda – anche se in questo periodo le abbiamo veramente viste tutte – la decisione di un giudice che, da un lato, riconoscesse il sacrosanto diritto di un cittadino di recarsi in una chiesa e, dall’altro, negasse allo stesso cittadino il diritto di rendere omaggio ai luoghi nei quali – di fatto – è nato la Carta che ha riconosciuto i diritti e le libertà fondamentali (compresa quella di culto) sui quali si fonda la Repubblica.
In Appennino Bolognese tante sono state le sortite. Cercherò in questi giorni di mettere insieme un po’ di documentazione, unendola a quella di altre iniziative, anche solo su base personale, in altre zone d’Italia che molti amici mi hanno mandato. Ad esempio da Sassari, dove l’ANPI è rimasto (pur dopo le note polemiche) escluso dalle “celebrazioni”.
In appennino ho partecipato ad una lettura tra anziani, famiglie e bambini che hanno ritrovato una giornata di vera liberazione dalla cappa delle restrizioni. Appena prima con la mia compagna e pochi altri abbiamo fatto una breve lettura di fronte ad un cippo partigiano poco distante.
Una staffetta ha toccato con il suo percorso luoghi salienti della storia resistenziale del bolognese. Un fiore composto dai pensieri annotati su petali di carta di ogni partecipante è stato passato di stazione in stazione. Ogni “batteria” ha percorso un tragitto nei pressi della propria abitazione aggiungendo il proprio contributo, scambiandosi il testimone, magari anche raggiungendo i confini del proprio comune, anche in mezzo ad un rio, ma senza oltrepassarli.
Ma devo anche aggiungere un momento diversamente indimenticabile: 15 minuti dopo la lettura davanti al cippo io e la mia compagna tornavamo a casa a piedi, giornale sottobraccio comprato nell’edicola a fianco del suddetto cippo, in una strada di piena campagna, e una macchina di FDO ci ha fermato chiedendoci cosa stessimo facendo e dove abitassimo. Indicata la vicina abitazione e mostrando il giornale che proveniva dall’(unica) edicola ancora quasi visibile in fondo alla strada dove ci trovavamo, ci è stato detto: “ci si va uno alla volta a comprare il giornale”. “Ma viviamo insieme” – replichiamo. “Questo non c’entra”. Attorno solo i suoni della primavera e campi fioriti, sole e vento. Quando ho aggiunto sorridendo “eravamo anche a distanza di sicurezza”, perché in quel momento casualmente la mia compagna si era soffermata a guardare non so che…..si è aperto uno squarcio spazio-temporale….silenzio prolungato delle FDO che scuotevano la testa, silenzio nostro. Hanno rialzato i finestrini, forse acceso l’aria condizionata, e sono ripartiti.
La scena con l’autopattuglia sembra presa da un film di Checco Zalone che si sforza invano di fare un film alla Monty Python.
Sarebbe bello raccogliere tutte le esperienze raccontate qui e altrove in un corpus unico da divulgare. Lo sto facendo nel mio piccolo e mi pare che possa dare il proprio contributo nello spezzare l’isolamento delle iniziative “personali”.
Per quanto riguarda il “futuro” dovremmo trovare il modo anche di capire come affrontare dei cambiamenti enormi che il virus ha portato con sé e che non credo stiano facendo particolare piacere alla classe dominante, chiamiamola così. Mi riferisco soprattutto a due cose che qualsiasi variante della sinistra aveva sin qui provato a demolire con risultati inesistenti: il patto di stabilità e l’azione della BCE come prestatore di ultima istanza. Una “battaglia” che è durata almeno 15 anni è stata improvvisamente “vinta”, senza nessun merito, va sottolineato. En passant una cosa del genere mostra anche come sia sostanzialmente impossibile ritenere che un “complotto”, quand’anche ci fosse, possa davvero essere in grado di prevederne gli effetti.
Ma tornando alla questione principale, credo che si finisca sempre lì: che tipo di soggetto può da un lato fare attenzione a tenere i punti fermi e la guardia alta sul decalogo e dall’altro “attaccare” un sistema che improvvisamente ha fatto emergere punti deboli imprevisti? Domanda semplice semplice mi pare :-)
En passant, questo serve anche a comprendere che il “complotto”
Splendido reportage e riflessioni molto acute circa l’infodemia da coronavirus e la possibilità di immediata riacquisizione di spazi e libertà perdute. Temo però che nella fase 2 il più grande scoglio sarà rappresentato non tanto dalle forze dell’ordine quanto dalla “gente comune”. Lo Stato nella fase 1 ha fatto affidamento, spesso incitandolo vergognosamente, a un enorme spirito di delazione (le denunce all’aperto o il motto “vedo troppa gente in giro”). Nella fase 2 ho il presentimento che questa deriva si acuirà, in un sistema in cui le migliori sentinelle saranno gli stessi compagni di carcere (canarini dei carcerieri, passatemi il termine). È ovviamente una mossa di uno Stato meschino e cinico che di fatto, con la retorica, ostenta una fantasiosa coesione sociale, mentre in realtà mira al conflitto per emarginare la minoranza in dissenso con le misure, e distraendo la massa dalle proprie enormi responsabilità. Pertanto, credo che per riacquisire la nostra libertà di cittadini sarà necessaria una presa d’atto collettiva che scardini la narrazione dei media e delle autorità, e che anzi si faccia essa stessa narrazione di libertà (e in questo senso il vostro lavoro diaristico è già oggi fondamentale) e traini i media mainstream e il governo in un inevitabile ripristino delle libertà perdute.
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esatto io ho le stesse inquietudini. per esempio mio figlio con l’allergia che viene guardato ogni volta che starnutisce come se fosse l’untore, ha 8 anni. e poi la pressione sociale perché faccia uso di quello che sta diventando il nuovo simbolo dell’adesione al racconto mainstream, la “museruola/mascherina” che nella maggior parte dei casi non serve o è addirittura controproducente, ma ti inquadra tra quelli decorosi e responsabili, quindi una sorta di simbolo di sottomissione all’autorità scientifica. se penso sempre al mio bimbo allergico, che dovrebbe stare con la museruola, senza toccarsi la faccia mai, starnutendovi dentro… in estate… e che è soggetto a ciò che la gente in preda a questa psicosi non si farà scrupoli di dirgli. mi è già successo al supermercato di essere rimproverato davanti a lui perché lo portavo senza mascherina, io ho risposto a dovere ma il bimbo non è scemo e capisce il rifiuto, tanto che al supermercato non ci è voluto più entrare.. avremo a che fare con atteggiamenti e situazioni che si dovranno affrontare di petto. io al supermercato ho risposto seccato che: “la vostra paura di morire non può supporre la sospensione delle nostre vite ed dei nostri diritti”. parafrasando parole che ho letto anche qua. poi ho tirato dritto tra lo sconcerto generale. almeno a tal proposito leggo questi studi confortanti, e molto significativi, citati nel post, quello francese e quello di Vò, che supportano la tesi che i bimbi non contagino e non si contagino. speriamo che con il passare delle settimane la psicosi scemi.
ieri mattina, ho preso e sono uscito di casa per andare a mettere tre fiori bianchi e un foglietto con scritto “evviva il coraggio e chi lo sa portare” alla targa che ricorda tre giovani partigiani caduti l’8 aprile 45 (al Giambellino a Milano). un piccolo gesto solitario, che però ha avuto come effetto collaterale di spingermi a saperne di più su di loro. I tre, più o meno sui vent’anni, Paschini, Frazzei e Migliavacca, furono arrestati, torturati e fucilati oppure trucidati in loco, le fonti che ho trovato non concordano. Su un punto, però, c’è accordo: furono uccisi “in seguito a delazione”.
L’ho trovato, fatti i dovuti distinguo e proporzioni, appropriato a uno degli aspetti che più detesto dall’inizio di questa situazione. Lo metto qui perché condivido, oltre allo splendido post di ieri, il pensiero preoccupato espresso qui sopra, in particolare riguardo i “nuovi untori” minori di 18 anni.
Ieri al Quadraro di Roma si è svolto questo flash mob. Una performance di strada per celebrare il 25 aprile, ma anche per ribadire la “presenza” degli abitanti del quartiere. Gettare la spazzatura, fare un giro in bici, rimboccare l’acqua dell’auto, trasportare viveri per la casa delle donne: distanziando i corpi ma intrecciando le voci, la strada è tornata ad essere un piccolo palcoscenico dove ricordare, raccontare e “raccordare” esperienze.
https://youtu.be/x67Z20vy9ic
Non era un’azione annunciata, tuttavia il messaggio è stato recepito e (a giudicare dagli applausi) anche sostenuto. E’ stato l’unico momento di celebrazione della giornata. Alle 15, infatti, la tanto annunciata cantata dai balconi non ha avuto seguito. All’ultimo piano di una palazzina, oltre il silenzio dei balconi col tricolore, un lungo striscione di 14 metri: «Mai dimenticare, mai perdonare: partigiani e partigiane sempre».
Ieri, 25 aprile, decidiamo come tant+ di tornare in strada: prepariamo uno striscione. La scritta recita: ‘Immuni a ogni fascismo Resistenti sempre’. Qualche dubbio su dove affiggerlo. Ci troviamo in Murri, vicini a porta Santo Stefano. La prima proposta, data la vicinanza, è di appendere lo striscione sulla porta di Atlantide. Ci confrontiamo però sull’esigenza di contaminare la strada in cui viviamo e decidiamo di realizzare la nostra azione in viale Oriani. Scendiamo in strada. Sono passate le 13.15: c’è silenzio, i balconi sono vuoti e la strada è deserta. Data la distanza di un metro tra noi, occupiamo piu spazio del previsto. Stendiamo lo striscione tra due pali, scherziamo: ‘Qui durerà al massimo due ore!’. Mentre lo leghiamo, un adolescente passa in bicicletta e ci urla: ‘Vergogna!’. Due signore, per la via, seguono attentamente i nostri movimenti, solidali. Una donna e un bambino passano, lui sgambetta beato, lei solleva in alto il pugno. Il resto tace. Steso lo striscione, iniziamo a cantare ‘Bella ciao’. Durante il canto una tra noi, più distante, urla: ‘Più forte! Più forte!’. Cantiamo più forte. Non capiamo subito il perché. Accade che da due balconi viene intonata faccetta nera, da uno un uomo fa il saluto romano. Ci viene intimato di rientrare in casa e di smetterla. Rispondiamo prontamente e con forza. Mentre rientriamo verso casa una donna dal suo balcone ci dice che ‘questo, purtroppo, è un quartiere storicamente fascista’. Dopo una ventina di minuti, dalla finestra, sentiamo dei forti rumori provenire dalla strada. Scendiamo di nuovo. Da diversi balconi, a gran volume, qualcuno sta intonando ‘Bella ciao’, si torna a cantare, questa volta tutt+ insieme, dai balconi alla strada dove non siamo più sol+. Nel frattempo notiamo che lo striscione non c’è più: avevamo sbagliato il nostro pronostico, non è rimasto appeso nemmeno per mezz’ora. In compenso viale Oriani ha risposto con forza e con gioia alla manifesta presenza dei due vicini fascisti: i corpi per le strade, come sempre, invitano a prendere posizione e svelano alleanze. Oriani, insomma, resiste e dunque, esiste. E forse quartieri come questo hanno davvero bisogno di azioni che li costringano a (r)esistere.
Buona Liberazione, anche oggi.
Anche io vi ringrazio, sia il collettivo che i commenti a seguito. Non ho mai scritto prima ma, dopo aver letto questo ennesimo articolo ‘scalpitante’, sento il bisogno condividere con voi la decisione di ‘disobbedienza civile’ in forma di pellegrinaggio. Costi quel che costi, dopo tanti mesi di ‘buona condotta’, insieme a mia moglie e figlia di un anno e mezzo faremo (o cercheremo di fare), con partenza 4 Maggio spaccato, un anello di 150 km intorno alle colline della nostra città. Camminare adesso, zaino e spalla e muniti di tenda, dopo tanti mesi di freno, paura, rumore mediatico, confusione e stagnazione, ci sembra l’atto più sincero, essenziale, naturale e giusto. Si parla dell’associazione tra particolato e virus, e dunque camminiamo. Si ripete di evitare l’assembramento, di coprirci il volto e di ‘scordare l’ora di punta’, siamo d’accordissimi: ci perderemo nel verde. Se nei rifugi non ci faranno dormire, pianteremo la tenda. Se ci chiederanno di allontanarci, lo faremo volentieri. Siamo fortunati: siamo entrambi studenti e a pochi chilometri dalla città abbiamo solo bellezza, e tra questa bellezza amici che posso raggiungerci facilmente. Ma l’importante è partire.
Come questo sito ha aiutato me e la mia famiglia a trovare speranza di un ‘senno’ e del ‘senso’ in mezzo ad un coro assordante di sofismi e propaganda, credo che questo nostro messaggio, che solo qui pubblicizzo, possa qui offrire spunto ad altri ‘pellegrini’. Non vi diciamo dove di preciso(!) ma sappiate che vi aspettiamo, sul Sentiero.
Bellissimo. Mi avete fatto venire la pelle d’oca e la voglia di incamminarmi, di tornare a “cantare la mappa” anche fuori dai confini del comune di Bologna, dove i nostri percorsi sono rimasti dal principio del lockdown, perfino quando siamo saliti a Sabbiuno.
Senza la strada, senza i piedi sul sentiero noi non siamo niente.
Luca Casarotti, nel suo intervento su Jacobin Italia intitolato «La memoria è sempre di parte», smonta la retorica dell’«unità nazionale contro il virus», evidenziandone la continuità con un’altra narrazione tossica, quella incentrata sulla «memoria condivisa» (all’interno della quale la «guerra contro il virus» si sta già incastonando). E anche nel suo pezzo, come nel nostro, si parla della Grande guerra, da un’angolatura diversa ma complementare.
https://jacobinitalia.it/la-memoria-e-sempre-di-parte/
Già che ci siamo, segnaliamo un altro intervento molto importante, quello di Alessandro Canella, redattore di Radio Città Fujiko, emittente indipendente di Bologna, che l’altro giorno ha provato a trarre un primo bilancio complessivo su come si è gestita l’emergenza coronavirus in Italia:
Il «modello Italia» è solo propaganda: è un disastro
Un breve stralcio:
«Durante la fase acuta dell’epidemia in Italia, forse allo scopo di rassicurare una popolazione allarmata, più di un rappresentate istituzionale ha definito l’approccio alla pandemia tenuto dal nostro Paese come un “modello”, che le stesse organizzazioni sanitarie internazionali avrebbero apprezzato.
Mettendo in fila tutto ciò che abbiamo rilevato in questi due mesi, però, si scopre che non esiste alcun modello Italia, dal momento che, pur in un quadro normativo che presto è diventato nazionale, ci sono stati conflitti istituzionali e divergenze da territorio a territorio, ma soprattutto che l’esperienza italiana non è certamente da seguire per i disastri che ha prodotto in tutti i campi: quello sanitario, quello organizzativo ed economico, quello della protezione sociale, quello della sorveglianza e quello democratico.»
Anche quest’articolo della sociologa Maria Luisa Bianco apparso su «Volere la luna» cerca di isolare alcuni punti fermi. Avremmo osservazioni da fare su alcuni passaggi, ma nel complesso merita di essere letto:
Covid-19: la gestione dell’epidemia, un’analisi controcorrente
Un breve stralcio:
«[…] i decisori, anziché modellare le loro politiche di salute pubblica sull’evidenza del “chi e dove” l’epidemia stesse colpendo, prima non hanno ostacolato il moltiplicarsi dei focolai in ospedali e RSA inadeguati per impianti e personale; poi, caduti nel panico per l’appello degli anestesisti davanti all’insufficienza dei posti in terapia intensiva, hanno […] imprigionato in casa sessanta milioni di cittadini, i bambini, gli adolescenti, gli adulti, gli anziani in salute, tutte categorie di persone che non hanno mai incontrato rischi apprezzabili di ammalarsi gravemente. Gli unici che sarebbero dovuti essere protetti, le persone fragili, i disabili gravi, gli anziani già ricoverati, sono rimasti completamente abbandonati a infettarsi e morire, privati perfino del conforto dei loro parenti.»
Apprezzo da anni articoli e libri ma non credo di avere mai commentato (in compenso comperai a suo tempo l’esperimento di ebook da aggiungere alla cassetta degli attrezzi e ho una sezione di biblioteca composta da ispirazioni prese da qui).
Abito a Bruxelles e ho voluto fare un omaggio alla resistenza locale in occasione del 25 Aprile. Ho quindi cercato un monumento alla Resistenza e sono finito a studiare come si è evoluta in Belgio: la ricchezza della resistenza civile e come il Fronte dell’Indipendenza di egemonia del PCB tenesse a freno il conservatorismo dell’Armata segreta militare, e sono arrivato a vedere come l'”unità nazionale” abbia schiacciato tutto ciò amalgamandolo in supporto al Regno, nascondendo gli uccisi in occasioni di manifestazioni post-belliche, fino a che spontaneamente gli eredi di resistenti comunisti ebraici ora rivendicano una scelta identitaria scevra da schieramenti che ritengono permetta di parlare a tutti. Ma, esattamente, la memoria è sempre di parte o rischia di diventare vuoto contenitore troppo facilmente riempibile di sostanze diverse fino a deformarsi, da gettare, diranno.
Ho trovato un monumento dopo avere faticato un poco, che la maggior parte son semplicemente “ai morti”: a qualche km di distanza, in un giardino a loro dedicato dell’Università Libera c’è una composizione dedicata a un gruppo di sabotatori di origine della stessa, “e a tutti coloro che, al di là delle barriere ideologiche,si sono levati contro la negazione dell’uomo e al silenzio imposto al pensiero umano”. Canticchiavo i “ribelli della montagna” lungo la strada e ho spiegato a una coppia di passaggio cosa ci facessi in raccoglimento nel giardino con le panche coperte di nastri per non far sedercisi sopra.
A posteriori avrei potuto fare di più (per il Primo Maggio ho proposto un visita a tema ad altri :), colgo l’idea dei dieci punti e ci sto riflettendo condividendoli personalizzandoli con compagn* locali.
In solidarietà, un Lupacchiotto
Ieri con la mia compagna incinta di due mesi abbiamo deciso di violare il lockdown per andare in via del Pratello a Bologna. Nell’autocertificazione ho scritto “andare a comprare il mensile Linus nell’edicola di Lino” che non è la più vicina a casa mia. Nel dubbio, ci siamo portati pure i due cani. Le motivazioni non avrebbero retto alla prova dei finanzieri citati in un commento precedente ma quando ci siamo messi a pensare a come siamo ridotti nel doverci fare tali paranoie, abbiamo detto bona lé e siamo partiti. Prima tappa in via Frassinago, dove c’è l’immagine a memoria di Arduino Bondi, ucciso a 18 anni, partigiano col nome di battaglia di Furio. In questi giorni per strada nascono fiori, gliene abbiamo lasciato qualcuno. Arriviamo all’incrocio tra via Pietralata e il Pratello e incontriamo un amico, poi altri due. Non riesco a descrivervi la gioia provata nel fermarci a parlare in mezzo ad altra gente, comunque distanziata. Insieme alla gioia c’è stata però una sorta di inquietudine che mi faceva faticare ad ascoltare con attenzione per più di due-tre minuti, come se fossi rapito da una preoccupazione di sottofondo. (Oggi ho capito che potevano essere le maledizioni dei fardelli d’Italia di cui parla il noto quotidiano locale https://www.ilrestodelcarlino.it/bologna/cronaca/25-aprile-coronavirus-1.5123397). Mentre gli altri continuano a parlare mi fermo in fila da Lino. Ha finito il Manifesto, prendo Linus di Aprile e Internazionale e ci salutiamo. Passiamo in piazza San Francesco e andiamo al museo della Resistenza. E’ chiuso ma qualcuno ha lasciato dei fiori e un cartoncino con la scritta “Viva la Resistenza”. Torniamo a casa. Verso le 17 l’elicottero della polizia che dalla mattina girava in centro passa sopra casa nostra, si avvicina troppo ai tetti di fronte. Lo fotografo con il teleobiettivo e lo invio a Zic, per far notare in che modo bisogna spendere i soldi per far fare un giretto a sorveglianti alati. Parlando con alcuni amici della nostra esperienza ho avuto esempi sia di pensiero reazionario sia di pensiero della liberazione e conto sul fatto che anche i compagni che sono in questo periodo schiavi del primo torneranno dalla giusta parte. Solidarietà a Sabina e Salvatore per la sanzione ingiusta. Ciao.
E’ il mio primo commento qui sopra e mi attacco a questo post per esprimere tanta ammirazione per voi. Mi pento di essere stato sopraffatto dalla paura e di non essere venuto anch’io al Pratello. E’ stato un errore, adesso lo capisco.
Paura di essere multato, certo. Insieme a un male inteso senso civico. Senso civico per cosa? Per rispetto a questo Stato che impone regole cervellotiche ed ambigue? Ad una regione il cui presidente si lamenta che non ci sia stata imposta la mascherina, chiamiamola pure museruola o bavaglio, anche all’aria aperta, anche se siamo da soli?
Credo che ribellarsi, in modo pacifico e non violento, sia l’unica strada per non disperdere la libertà per la quale molti italiani hanno sacrificato la gioventù e la vita.
Grazie ai compagni che gestiscono questo blog che ho scoperto solo di recente e che mi sta facendo aprire gli occhi.
Paolo
Anche noi, moglie figlioletta di quattro mesi e io, siamo andati a rendere omaggio ai caduti sul muro della Certosa di Bologna e in via Irma Bandiera. Ci siamo andati senza foglietti strani e a volto scoperto. Come per altro ha fatto anche Mattarella: basta guardare il video intero e non le foto che, in maniera ovviamente e deliberatamente parziale, lo ritraggono mascherato (mentre sta per salire in macchina). Anche lui, per rendere omaggio, si è scoperto il viso. Ma non è questo il motivo principale del mio intervento. Volevo dire che è stato bello vedere tante coppie come noi (almeno quattro nei venti minuti che siamo stati lì) darsi compostamente il cambio per lasciare un fiore alla memoria di “Mimma”. Mi sono chiesto chi fosse Violet Gibson e grazie a voi ora lo so. Però… come scrive Lip, anche io ho sentito quella strana ansia “di sottofondo”. Con mia moglie ne parliamo da diverse settimane: è questa la sensazione strisciante che ci sta tenendo a casa, questa paura che si è annidata dentro nel corso della quarantena e che chissà quanto tempo ci porteremo dentro. A questa paura vogliamo e dobbiamo ribellarci. Ci hanno detto che “resistere” quest’anno vuol dire starcene buoni, smorzare i toni delle nostre passioni e alzare indefinitamente il nostro livello di sopportazione (delle leggi “fatte per il nostro bene”, degli arbitrii delle forze del disordine, dei licenziamenti etc. etc.). Ma resistere non è questo. Ho intervistato molte partigiane e partigiani e tutti mi hanno detto la stessa cosa: resistere è ribellarsi e lottare contro le ingiustizie. Punto. Allora dobbiamo, come proponete voi, trovare delle modalità di resistenza. Questo sito per esempio ci sta aiutando a restare vivi. Anche se c’è un prezzo da pagare: da vivi, stare reclusi è molto, ma molto più difficile. Però, mi dico tutti i giorni, meglio soffrire che vivere come zombie. Ciao a tutti*
Buongiorno, è sempre bello leggervi.
Io abito a Milano, dove ci sono stati alcuni eventi qua e là, io personalmente mi sono trovato con tre amici, abbiamo cantato, bevuto una birra, chiacchierato in strada con persone delle più diverse.
Devo dire che leggere i commenti agli articoli è una parte sempre piacevole e importante, almeno io mi metto sempre a spulciare i commenti che sono veramente preziosi.
Volevo dire due, forse tre cose.
1-il decalogo è puntuale come spesso accade quando i Wu Ming cercano di dare una linea o di mettere un punto. Tutti i punti hanno il loro peso, ma è solo tenendoli insieme che possiamo ragionare su ipotesi liberatorie.
2- Anche a Milano si avverte uno sgretolamento del confino sanitario, più per noia o per esigenze di vario genere che per coscienza politica. Direi che molti iniziano a capire che il pericolo è al chiuso, e non all’aperto. Per altro ieri parlando in piazza con le persone in giro, quando tiravamo fuori l’argomento per il quale persone che già convivono a casa possono uscire senza la necessità di stare lontano tra di loro, perché è evidente sia così; molte persone hanno raccontato di come questo argomento non venga sempre compreso dalla polizia. Cioè alcuni sono stati redarguiti perché, con la moglie o chi per essa con cui convivono, stavano a braccetto in strada o comunque vicini, cosa che invece è lecito fare e credo utile, per mostrare un po di senso e amore in questo clima di distanziamento sociale.
3- Purtroppo sono poche le voci che dubitano e vengono amplificate. Quindi dobbiamo sempre di più, ognuno anche nel proprio piccolo, amplificare questo decalogo. Molte persone sono chiuse in questa cappa informativa che sta creando mostri assetati di controllo e paranoia, persone che invocano interventi autoritari senza rendersi conto che sarebbero poi loro a subirli, a soffrirne, ad essere controllati e bloccati.
Che la liberazione continui, perché liberarsi è un processo in movimento, non un qualcosa di statico.
grazie, un saluto, Nicola.
io conosco compagn* più realisti del più realista del re, calat* nella parte del/la “martire che soffre per le vittime della pandemia ” fino al punto che dicono che non usciranno di casa neppure nella fase 2.Discorsi come: ” la fase 2 è una truffa, è solo confindustria che vuole riaprire mentre il virus é ancora dappertutto, ci vuole più lockdown non meno” etc
insomma vogliono rimanere sepolti vivi dentro casa fino a marcire, cosa si può risponde a discorsi del genere?
(non ho superato il limite minimo di battute, aggiungo questo sperando di passare il filtro)
La domanda, per quel che mi riguarda, è un’altra: abbiamo bisogno di «compagn*» così, qua fuori?
Parliamo di gente che pretende di combattere contro Confindustria… blindandosi in casa, e finge di non capire che, anche o soprattutto per fare gli interessi di Confindustria, in Italia si è lasciato aperto molto di ciò che doveva essere chiuso e chiuso molto di ciò che poteva e doveva restare aperto.
Senza discernere, senza disaggregare il «lockdown», continuando a parlarne come se fosse un concetto unico e inscindibile, non si può capire cos’è successo nella «fase 1», e quindi, ovviamente, non si può capire nulla della «fase 2».
Che apporto potrebbero mai dare costoro a una qualsivoglia prassi di liberazione, dopo aver dato queste belle prove di conformismo, intruppamento, imbozzolamento paranoide, paura morbosa di morire, quando non di vera e propria mentalità da delatore, di voglia di linciaggio, di punizione esemplare per l’untore?
Qui in Emilia di uno che si dice compagno ma si comporta all’opposto diciamo: «Più che cumpàgn l’è cumpàgn a chi èter». Più che compagno, è compagno [cioè uguale] a quegli altri [gli avversari politici].
Se vogliono rimanere chiusi in casa, io dico: ci rimangano. Personalmente, non ne sentirò la mancanza.
«Abbiamo proibito l’attività fisica non perché sia la situazione più a rischio ma perché volevamo dare il senso di un regime molto stringente.»
Davide Baruffi, sottosegretario alla presidenza della regione Emilia-Romagna, dichiarazione del 22/04/2020, corsivo nostro.
A doppia riprova di quanto cerchiamo di dire da due mesi: che molti divieti erano «teatro politico» e nulla più, e che nei discorsi della nostra classe politica emergono espressioni che hanno valore di lapsus.
Come Merola aveva paragonato le persone che continuavano a passeggiare o fare jogging a «sacche di resistenza» da debellare, parlando quindi dal punto di vista di una forza di occupazione, così Baruffi parla di «regime molto stringente», mentre dice che certi divieti non avevano motivazioni razionali legate al contagio ma finalità di disciplinamento, a prescindere dalla pericolosità dell’attività vietata.
That’s incredible!!! Scusa se lo scrivo in English ma a me suona cosi. Che lo ammetta poi serenamente alla luce del sole e’, per me, INCREDIBLE. E il popolo si accoda APPARENTEMENTE o fa finta di farlo secondo me e abbassa la testa davanti a questi che impongono un “regime stringente” privo di necessita’ scientifica e poi lo stesso popolo fa la faccia (oscurata da odiosa mascherina)feroce con chi, come me, non mette la mascherina perche’ antiscientifica e controproducente. In UK si continua a dire che la mascherina non serve se non per gli infetti e chi accudisce gli infetti perche’: “the Science doesn’t back it (l’uso) up”. Cioe’ che la scienza non comprova l’utilita’.
Anche oggi vengo importunata alla coop da un uomo perche’ non ho la mascherina e quando dico che non e’ obbligatoria mi farfuglia qualcosa parlando di “buon senso” ma l’uso insensato della mascherina e’ l’aspetto piu’ visibile in tutti i sensi del “regime molto stringente” che va contro il buon senso.
Meno male che qui ci siano delle persone ancora razionali e logiche se no potrei pensare che tutti in Italia siano infetti dal virus della stupidita’ elettiva.
Ringrazio sto Baruffi comumque di aver esplicitato e svelato il punto cruciale..
P.S mi dispiace molto leggere della morte di Giulietto Chiesa. L’ho seguito proprio ieri in una conferenza online sul bisogno di liberarsi dal virus delle guerre e NATO.
Mozione d’ordine: cestineremo o eviteremo di sbloccare qualunque commento cerchi di far partire qui un flame su Giulietto Chiesa. Ci sono già stati due tentativi. Cosa pensassimo di molte teorie che promuoveva, e delle frequentazioni e alleanze che hanno caratterizzato la sua attività da almeno una quindicina d’anni a questa parte, è noto o facilmente ricostruibile. Ma non è questa la sede, nom vogliamo alcun OT su di lui, e non è certo nello stile di questo blog la canea che stiamo stoppando in anticipo.
In altri termini, un’istituzione pubblica ha introdotto una norma (dalla quale sono derivate gravi sanzioni) non per perseguire un legittimo fine ma solo per dare il senso di un pericolo maggiore di quello reale. E non hanno alcun problema ad ammetterlo! Ma la cosa più grave, a mio parere, è che tale uso manifestamente strumentale del diritto è stato avallato dai tribunali amministrativi, che hanno legittimato ogni tipo di divieto introdotto dalle regioni (compreso quello relativo all’attività motoria). Questo è il motivo per il quale in un mio precedente commento ho elencato tra le priorità quella di trasferire ogni competenza alla magistratura ordinaria. Mi conforta, da questo punto di vista, la (sensatissima) lettera dei magistrati aostani che si sono soffermati proprio sull’assurdità del divieto in questione.
Riguardo il punto sub 1) indiscrezioni delle agenzie di stampa parlano di un mantenimento dell’obbligo di autocertificazione con il grottesco risvolto che saranno semplicemente aggiunte delle voci. Che so, andare a trovare un parente ( stretto). Specificheranno anche il concetto di “stretto”? Ai sensi del codice civile? Ma è tutto assurdo! Per ipotesi potrei avere un affine cui sono più legata che ad un parente prossimo. L’obbligo di giustificare gli spostamenti andrà di pari passo con l’ormai noto atteggiamento dei controllori che si arrogheranno il diritto di sindacare se quello spostamento sia o meno legittimo. Con la conseguenza che continueremo ad uscire con quello strisciante ed insopportabile senso di oppressione che almeno per quanto mi riguarda non riesco a scrollarmi di dosso.
Io propongo di adottare la tattica Švejk e di compilare autocertificazioni iperdettagliate, tipo: dichiaro di essere uscito di casa alle 14:21, di aver percorso via Pallino camminando lentamente per assaporare il profumo dei tigli in fiore. Di aver poi svoltato per via Capitello, camminando all’ombra delle vecchie mura medievali, e fermandomi più volte ad osservare il muschio tra i mattoni. L’idea iniziale era di raggiungere piazza Carlino, per salutare l’edicolante, un vecchio amico di mia sorella, che tre anni fa ha mollato il lavoro in fonderia e si è comprato per l’appunto il chiosco dell’edicola in piazza Carlino, e anche un orto subito fuori città, in cui coltiva dell’ottimo radicchio. Ma strada facendo ho cambiato idea… ecc. ecc.
I tuoi dubbi sono i miei. I propri compagn*, se non conviventi, saranno trattati come parenti stretti oppure no? Vista l’aria che tira, credo proprio di no. (Tempo fa su Twitter lessi un discorso di questo tipo liquidato come “migliaia di morti e pensano ai fidanzatini”). Speriamo che le anticipazioni siano solo voci (ne dubito) e che almeno per gli spostamenti all’interno della regione quel foglietto non ci sia, perché il senso di oppressione che cita Mandragola01, associato alla preoccupazione per il virus, rende tutto meno sopportabile. Nel frattempo qualche “grande giornale” (La Stampa) guarda alla tanto criticata Svezia con toni già diversi. Vedremo.
«Migliaia di morti e questi pensano a [completare la frase a piacimento]» è uno dei clichés più tossici e odiosi di questa fase. Chiunque l’ha proferito dovrebbe disinfettarsi la bocca prima ancora delle mani. Dovrebbe fare i gargarismi con l’amuchina.
L’aspetto più schifoso è che dietro questa semplificazione estrema ( “ migliaia di morti e pensano a…”) nel 99% dei casi non si cela alcuna empatia o partecipazione al dolore altrui. Solo una grande paura di infettarsi e la comoda e servile adesione alla narrazione dominante, emozioni veicolate dall’endemico ( mi spiace dirlo) substrato fascista che alberga negli italiani come un virus latente nell’organismo. Altrimenti questo principio dovrebbe valere sempre, eppure raramente ho udito discorsi del genere di fronte ad immani tragedie che ogni giorno si consumano lontano da noi. Hanno forse costoro rinunciato ad una cena o ad una festa perché un ragazzino che tentava di fuggire dal suo paese è annegato nei nostri mari con addosso, cucita nella giacca, la propria pagella? Se mai hanno ascoltato o letto la notizia avranno scosso le spalle e la loro giornata non ne sarà stata certo condizionata . Per la fase 2, la fase 3…la 4, per il futuro teniamo a mente che l’egoismo di questi esseri non svanirà e questa faccenda non li renderà migliori.
Sull’obbligo di autocertificazione, meraviglioso ossimoro partorito dai sottili giuristi al potere, sono d’accordo con Mandragola01: l’eventuale aggiunta di voci poco chiare non potrà che aprire la strada a ulteriori abusi. Penso che lo stesso senso di oppressione abbia a che fare con (eufemismo) la poca chiarezza delle norme (aggravata dall’iperativismo delle regioni, che ha trasformato il quadro normativo in un’opera degna di Mondrian). Molta gente è arrivata al punto di non uscire di casa semplicemente perché non sa bene cosa può fare (vedi anche il discorso sui 200 mt appena affrontato) e non ha alcuna voglia di mettersi a litigare con le fdo. Se avessi più stima dei soggetti al potere direi che la loro strategia è quella del confondi et impera. Ma visto che di stima di costoro non ne ho nessuna, continuo a pensare che si tratti di semplice confusione, a tutti i livelli, e di assenza di ogni capacità di affrontare i problemi.
Purtroppo in conferenza stampo ha confermato. A parte il lavoro l’unica apertura è quella per le visite ai parenti entro la regione, e una finta sui parchi, a numero contingentato e con l’autorizzazione ai sindaci a chiuderli se non sono in grado di garantire il rispetto delle norme (che è ovviamente impossibile garantire, e quindi i sindaci per pararsi il culo li chiuderanno)
https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/26/coronavirus-conte-fase-2-dal-4-maggio-ma-mantenere-le-distanze-ok-a-ristoranti-da-asporto-sport-individuale-manifatturiero-e-cantieri/5782872/
Nel nostro condominio (Roma zona Rebibbia) c’è stata una piccola cerimonia auto organizzata. Nel cortile che dà sulla piazza una ventina di condomini, una bandiera, una coroncina fatta con l’alloro e qualche fiore delle piante del cortile. Da un balcone la musica: bella ciao, el pueblo unido, la marsigliese, l’inno di Mameli (eh lo so…) e un po’ di canzoni regionali. Poi la registrazione dell’annuncio di Sandro Pertini del 25 aprile. Tanta gente affacciata dai palazzi intorno, tutti nel cortile contenti di incontrarsi e salutarsi e godersi un po’ di sole insieme e un po’ di commozione alla musica e alle parole. Magari a voi (e anche un po’ a me) sembrerà una festa della pro loco, però c’era una genuina voglia di far sì che non fosse una giornata come le altre. Di stare insieme (anche se con le mascherine e un pochino distanti) e uscire di casa. Poi io mi sono incamminato verso la lapide commemorativa dei caduti della resistenza di montesacro a qualche chilometro da casa.
Non ho mai letto un vostro libro. Non ho mai letto i vostri articoli.
Ho iniziato a metà Marzo col sito ed inizierò a leggere i vostri libri.
Se nei primi scritti ero quasi d’accordo su tutto , in questo ultimo ,lo sono totalmente. E adesso anche in quelli passati. Complimenti per la narrativa e per tutti i punti che spero in molti , almeno a Bologna , condivideranno.
Una cosa di poco conto : trovo ridicolo e allarmante che ad oggi, 26 Aprile , in Emilia Romagna non sia stato concesso di spostarsi nemmeno nei 200 metri da casa.
Quante persone , spaventate , sono rimaste in casa fino ad oggi?
Quante persone sono state multate per essere rimaste nei paraggi di casa?
Ciao, grazie dell’apprezzamento. Riguardo allo spostarsi in Emilia-Romagna, questo è un classico caso in cui si fa in modo che le persone si immaginino divieti e limiti che in realtà sulla carta non ci sono. Questa “autonormazione” fa molto comodo a chi governa, legifera, dispone, sanziona ecc.
Non si contano le persone, qui a Bologna, a cui ho sentito dire che c’è il limite dei 200 metri da casa. Ne erano davvero convinte, e rispettavano quel limite con zelo, solo che… quel limite non c’è!
I 200 metri sono una leggenda metropolitana. In Emilia-Romagna non è mai, dico mai, stato specificato quel limite. Non è scritto in nessuna ordinanza regionale, né in alcuna circolare interpretativa, e non è nemmeno a monte nei dpcm nazionali. C’è sempre stato scritto solo «in prossimità dell’abitazione».
La credenza nel limite di 200 metri, molto probabilmente, si è diffusa “viralmente” proprio perché la vaghezza dell’indicazione ha permesso grande discrezionalità alle forze dell’ordine. Nei primissimi giorni avranno fermato qualcuno/a, che avrà chiesto lumi sul perché non potesse trovarsi dove si trovava, dal momento che casa sua era vicina, e la pattuglia avrà risposto con una tipica supercazzola, dicendo che «prossimità» significa 200 metri. E dal momento che in Veneto quel limite era stato messo nero su bianco, è stato facile credere che valesse anche in E-R.
P.S. Naturalmente, il divieto di superare una distanza-limite di 200, 300 o 500 metri da casa non ha alcuna motivazione epidemiologica reale. Superare o meno quella distanza non corrisponde in nessun modo a una maggiore o minore possibilità di essere contagiati. Non c’è proprio correlazione, figurarsi causalità. Si tratta di divieti in gran parte autoreferenziali, finalizzati al vietare.
Trovo a dir poco fondamentale lo sforzo di lucidità che chiedete al lettore e la profondità stessa degli articoli con cui state accompagnando la quarantena e quale miglior articolo di questo, che è una prima riflessione “compiuta”, al giro di boa, per ringraziarvi?
Ho gironzolato per Torino, guidandomi con il sito dell’istoreto, scoprendo avvenimenti, targhe scomparse di cui rimane traccia solo sul sito, insieme alle persone a cui erano dedicate. Ricordare anche quei “fantasmi” l’ho trovato importante.
All’orizzonte di via Cigna una macchina della polizia transitava a passo d’uomo, guardando la quantità “eccessiva” di persone che, come me, passeggiavano, diretti chissà dove. L’andatura era eccessivamente lenta, scrutatoria, ma la possibilità di scendere e fermare qualcuno probabilmente non è sembrata ragionevole. In quel momento la paura più grande che ho avuto è stata legata al fatto che provavo disagio, avendo interiorizzato il messaggio che mi metteva al posto sbagliato nei confronti della comunità e di chi era con me.
Una coppia di signori di origini nordafricane di mezza età o anche più mi ha incrociato sul marciapiede ed uno dei due, sorridendo ed oltrepassandomi, mi ha detto “se ci beccano, ci fanno un culo così!” forse spinto a commentare dal fatto che il mio occhio miope stava cercando di prevedere in maniera mal occultata le sagaci mosse delle forze dell’ordine. Mentre l’auto sterzava e si dirigeva infine lungo la strada nella nostra direzione, mi sono girato per sorridere e guardare meglio quel tipo che mi aveva ricollegato con quella comunità che pensavo, colpevolmente, di rappresentare. La polizia è passata oltre, perdendosi verso Aurora.
Il mio terribile atto di microcriminalità era passato impunito, il saggio signore che camminava ingobbito, ignorando del tutto il fatto che mi fossi girato a cercarlo, si era reso mio complice, quasi mandante: se mi faranno il culo, sarà anche per lui.
Ho ripreso il telefono in mano ed ho continuato a cercare informazioni sulle strade che mi circondavano, dirigendomi verso casa.
A mio modo ho partecipato anche io ai festeggiamenti del 25 aprile. Era giusto, era importante. Non mi dilungo.
Rileggendo il decalogo ho però l’impressione che sfugga un punto che in altri post mi sembrava fosse la premessa fondamentale.
Tutto quello che si farà da qui in avanti, sarà inutile senza pretendere una messa in sicurezza dei luoghi in cui il virus si diffonde di più, provocando più danni: ospedali e rsa. Personalmente sento l’assenza di un focus forte e di parte sulla gestione di questi luoghi, ma credo sia fondamentale.
Se non si fa chiarezza sulla sicurezza delle strutture, credo che anche il migliore dei governi possibili rischi di mandare tutto in vacca per negligenza o per panico.
È vero che il punto potrebbe rientrare nella “sicurezza sul lavoro”, ma credo che la questione sia specifica per la sua rilevanza. Sul diritto alla salute non lascerei troppi sottintesi.
Ad oggi, se non sbaglio, non risulta che ci sia un protocollo unico rispetto a questi luoghi su tutto il territorio e che questo protocollo sia opportunamente finanziato. Assumere personale (che è quello che si è fatto) non è sinonimo di garanzia: come si organizzano i turni? Gli spazi? Le persone infettate? In caso di epidemia, bastano gli ospedali che abbiamo o tocca aprirne altri? È possibile fare formazione al personale, visto che è del tutto probabile ci saranno nuovi aumenti dei casi? Tanto più che si è capito che il virus è in evoluzione.
Parlando di esigenze politiche, anche col migliore dei governi possibile, mi sa che senza il diritto alla salute rischiamo di… “non andare da nessuna parte”.
È giustissimo non lasciare sottintesi sul diritto alla salute, sul quale, è vero, abbiamo insistito molto e sul quale dobbiamo insistere ancora di più nella «fase 2». Quella nel post è una lista di «alcune certezze che sentivamo di dover chiamare per nome subito», certezze su cosa noi – proprio noi tre che eravamo su a Sabbiuno, e da lì allargando a chiunque sia d’accordo – non siamo disposti ad accettare nella nuova fase della gestione dell’emergenza. È una lista per nulla esaustiva e non è compiuta in sé: il termine «decalogo» è venuto fuori nei commenti ma noi non lo abbiamo chiamato così. È dunque ben lungi dall’essere una «piattaforma rivendicativa» o programma politico. Non siamo nemmeno “titolati” a scriverne uno. L’ideale sarebbe che ciascuna persona mettesse giù quale certezza sente più urgente chiamare per nome, cosa sente di non potere/dovere più accettare.
Ciao. Sono anni che vi leggo. Libri e blog. Tutto estremamente lucido, che fa impressione. Non ho mai commentato su giap, penso per vergogna o incapacità di formulare pensieri compiuti.
Volevo sottolineare l’importanza del punto 5. Per me almeno è cruciale, perchè senza avere in testa che si parla di spazi diversi è assolutamente impossibile capirsi, tra “noi”, e parlando ad “altri”. Sto in un paese dell’alta pianura padana, sotto il lago di Garda. Nessuna città propriamente detta a meno di trenta km. Impossibile capirsi con persone che stanno in città, la percezione è assolutamente diversa.
Sulla nostra pelle noi residenti di campagna abbiamo visto applicare al nostro territorio misure pensate per le città, con la scusa del “se è una regola deve valere per tutti”. A me, fortunato cassintegrato in deroga, tocca fregare le FdO andando a passeggiare alle due di notte. Resta l’amaro di non riuscire a coltivare terreno fertile per una forma di disobbedienza più condivisa.
Vivo in un paesino dell’Appennino Centrale che si stava svuotando già da anni,pochi negozi,l’edicola ha chiuso quest’anno,la quarantena a parte chiudere i bar non ha modificato di molto il paesaggio,era già da tempo che non si vedeva troppa gente per strada. Sono d’accordo sulla necessità di fare una differenza di territori, di spazi. Perché un paesino che si basa principalmente sulle attività agropastorali deve stare alle stesse regole di una città di 2 milioni di abitanti. Ad esempio ci si potrebbe basare, la butto lì, sulla densità abitativa, così bassa nei territori di montagna, abbandonati da tempo. Forse questo virus come un liquido rivelatore sta solo mettendo in evidenza situazioni che esistevano già. Ora noi siamo anche fortunati perché abbiamo avuto la concessione di poterci recare nei nostri orti. Tuttavia non potrei andarci con la mia nipotina di 5 anni, ma piuttosto che vederla rimbecillire davanti a troppi cartoni preferisco portarla con me nella natura, con tutta la paura di una multa o delle maldicenze di paese, sensazione che sarà difficile togliersi di dosso, anche quando tutto ciò finirà. Per non parlare della piccola, ormai istruita a non dare nell’occhio quando si esce. Profilo basso, non correre né urlare, in pratica fare finta di non esistere finché non si entra in macchina. Proprio così. Ormai ci si sta abituando e io me ne sento responsabile.
Ci sono stati casi di multe fatte a persone che tornavano con un mazzetto di asparagi da una passeggiata nel bosco da soli. Anche a causa della delazione di alcuni cittadini terrorizzati, il cui unico contatto col mondo esterno sta diventando ormai solo la televisione. In questo contesto trovo assurdo che i decreti non considerino i luoghi della cultura, non dico i teatri, ma almeno i musei e le biblioteche, di fondamentale importanza. Il prestito bibliotecario sarebbe un servizio importante in questo momento per quelli che non hanno una libreria a disposizione, o per chi non vuole contribuire al massacro di Amazon.
O Perché si può fare la fila al supermercato e non la si può fare davanti ai musei con ingressi magari organizzati a scaglioni?
Vi ringrazio per essere luogo di riflessione quotidiana
Ieri mattina, di ritorno dal turno di notte, ho reso omaggio in solitaria a 3 lapidi.
La prima a Val della Torre, proprio di fianco al cancello della comunità dove lavoro,
le altre due nel mio quartiere di Torino.
Vedere la desolazione del Sacrario del Martinetto, luogo in cui vennero fucilati 61 tra partigiani e antifascisti, strideva col ricordo della manifestazione di un anno fa, quando quel luogo era gremito di persone.
Rincasando, l’ultima sosta, a poche centinaia di metri dal mio civico:
lapide che ricorda il martirio di una partigiana sotto la quale una mano ispirata aveva affisso un ritratto della stessa.
Ero in auto ed ho notato un’altra macchina con due tipi torvi, che mi guardavano male dopo che avevo svoltato in una traversa, nei pressi del mio portone.
Per farla breve, mentre guidavo in cerca di parcheggio, l’auto di prima mi si è parata davanti ad un incrocio sbarrandomi la strada.
Pensavo a due tamarri, incazzati perché, mi dicevo, forse non avevo messo la freccia.
Non era un’auto civetta?
Mi han lasciato andare senza chiedermi l’autocertificazione, dopo che ho detto di essere di ritorno dal lavoro… però che angoscia.
Un grazie a voi per avermi ispirato con i vostri scritti.
Scrivo per la prima volta qui dopo anni che vi leggo con interesse, soprattutto i vostri libri. E’ solo recentemente che ho imparato ad apprezzare il vostro lavoro su Giap, in un periodo in cui le persone lucide sono molto poche. Scrivo dopo l’ennesima conferenza stampa del presidente del consiglio, nauseato ormai da tanta sfacciata sicumera, insipienza e paternalismo offensivo. I toni e le parole sono imbarazzanti: il governo “permetterà” e “consentirà”, ma attenzione, “dobbiamo evitare il rischio che il contagio torni a diffondersi”: c’è già il nuovo spauracchio. E poi: “se vuoi bene all’Italia devi evitare la diffusione del contagio” (scaricabarile?). Toccherà tenere bene a mente il decalogo e sudarcelo punto per punto: uno a caso, il 2. Nuovo dpcm, nuova autocertificazione (di un paese morto, ormai), nuovi appigli arbitrari per poter appioppare sanzioni. Conte dice: “Non possiamo permetterci di dire che si esce liberamente, non è un liberi tutti. Comprendiamo che questo regime restrittivo è limitante, ma deve esserci un motivo per spostarsi.” Agghiacciante. Come se non ci si spostasse sempre per un motivo, anche quando si fa una semplice (ma ormai è tutt’altro che semplice) passeggiata. Anche riguardo al 5 e al 7 non ho sentito progressi di sorta, neppure riguardo al 4: consentite “visite mirate” ai propri familiari, come in carcere , ma ai bambini è ancora vietato socializzare tra loro.
Non più libertà riconosciute dalla Costituzione, ma libertà concesse dal sovrano e dal suo manipolo di tecnocrati. Misure sproporzionate e territorialmente indistinte. Misure rinnovate con qualche aggiunta in omaggio all’italico familismo. Chi non ha un familiare non può spostarsi né essere ricordato durante un esequie funebre. La libertà di culto nuovamente calpestata – finalmente si leva qualche timida protesta – insieme all’inviolabilità del domicilio. Non è possibile invitare un amico, un fidanzato, un amante a casa propria se non attraverso escamotages e false autodichiarazioni. Clausole normative vuote e indeterminate e tali perciò da consentire agevolmente abusi da parte di coloro che sono forti con i deboli e deboli con i forti. Se è vero che “Nulla sarà come prima“, sarà bene che, di fronte a tanta demenziale tracotanza, donne e uomini di questo paese inizino a mobilitarsi, in primo luogo rivolgendosi con fiducia alla Giustizia. Nessun commento sul lavoro. La rabbia è troppa. Grazie Burione
Concordo. Quello che ci viene richiesto non è rispetto delle norme ma soggezione. Perché devo poter incontrare la zia che non vedo da anni e non l’amante? Perché devo poter tornare nella famiglia da cui magari sono fuggit*, e non dall’amic* più importante? Non c’è nessuna ratio. In tutto questo penso ai miei studenti. Una ieri aspettava la grazia di rivedere il fidanzato, mi ha telefonato alle dieci di sera in lacrime. Perché andare dai miei genitori sarebbe meno pericoloso per la salute pubblica che rivedere un’altra persona cara? Perché si insiste alla cieca sulla chiusura delle scuole? Oggi farò video-lezioni sul 25 aprile. Cercheremo di capire insieme cosa vuol dire “liberazione”. Cosa sono i diritti costituzionali. Leggeremo Calvino e Pavese. Ho molta rabbia che devo trasformare in azione, azione d’amore, azione collettiva, come riesce a me, cultura. Sennò scoppio.
«Misure rinnovate con qualche aggiunta in omaggio all’italico familismo.»
Esattamente. Se la tua “famiglia”, la tua rete di affetti, non si esaurisce nella famiglia di sangue – la famigia dell’oleografia tradizionale e reazionaria, la famiglia che coincide con l’albero genealogico, la famiglia del familismo, l’unica famiglia che può immaginarsi un autodichiarato cultore di padre Pio quale è il nostro PdC – cazzi tuoi. Se da tempo la tua famiglia di sangue non è più al centro delle tue relazioni, come è per moltissima gente, sei fottut*. Se la tua famiglia di sangue ti ha respinto, cazzi tuoi. Non hai diritto al ricongiungimento con le persone che sono la tua famiglia di fatto.
È proprio così. Si ingegnano per consentire celebrazioni religiose e non fanno assolutamente nulla per consentire l’insegnamento nelle scuole. Prevedono diritti solo per le famiglie religiosamente riconosciute. Non hanno alcuna sensibilità per le categorie in situazioni difficili, penso a vittime di violenza domestica, alla comunità lgbtq e a tutt* coloro che vengono respinti proprio per il loro essere dalla loro “famiglia naturale”. Penso semplicemente a due compagn* che non essendo sposati non hanno alcun diritto da far valere per ricongiungersi.
Bisogna violare queste regole illegittime. Dare il buon esempio e far sentire meno soli coloro che vorrebbero violarle ma hanno paura!
ho fatto un rapido censimento mentale: tra le mie conoscenze sull’intero territorio nazionale (compresi me e la mia compagna: io ho famiglia dall’altra parte del tirreno, lei solo lontanuccia) sono in netta minoranza quelli che potranno fare visita a qualcuno. una divorziata straniera a chi mai potrà fare visita? e un “trapiantato” single? e un “trapiantato” sigle e pure gay? e una tizia che ha appena perso la madre e non ha un altro straccio di parente al mondo? e tutti loro/noi, potendo scegliere, chi vorrebbero/vorremmo rivedere per primi?
Una repubblica fondata sui “congiunti”. La sciocca scelta familista del governo italiano.
https://www.wired.it/attualita/politica/2020/04/27/coronavirus-fase-due-congiunti-famiglie/
Se c’è una cosa che, scusate il termine, mi fa incaz****, è che ogni giorno devo affrontare discorsi di questi tipo con amici o colleghi: “ perché tu cosa avresti fatto, non è mica semplice, troppo comodo parlare…”. Di una cosa sono certa: non avrei potuto fare peggio.
Se riguardo gli aspetti economici della crisi che inevitabilmente ci toccherà sono consapevole siano necessari interventi da parte di persone qualificate e che non sia alla portata di tutti muoversi nell’ambito dei delicati equilibri comunitari, le altre implicazioni possono essere affrontate con criteri ben diversi. Uno su tutti quelli meramente sanitario: a costituire pericolo sono circostanze come gran numero di persone soprattutto in luogo chiuso? Si, ed è un dato incontrovertibile. Ne consegue che se ai consentono ricongiungimenti tra persone deve valere come linea guida la libertà di incontrare coloro cui siamo legati da un vincolo affettivo, non declinabile in termini che coincidano con il c.c. ( mi pare di sentire la definizione di impresa familiare) o con la morale bigotta e impregnata da retaggi da Santa inquisizione.
È possibile celebrare i funerali? Nulla di più semplice, si pone un limite di persone in base alla capienza del luogo scelto ( laico o religioso) e stop. O già si prefigurano scene di agenti di polizia municipale che ti chiedono di autocertificare il tuo grado di parentela con i il defunto prima di ammetterti alla funzione? Si deve manifestare? Ammesso pure che distanti e mascherine laddove non ci sia distanza. Pare che il PdC ( mi rifiuto di ascoltarlo) abbia creato un nuovo motto è abbia raccomandato di stare lontano dai nostri cari se li amiamo mantenendo un metro di distanza a casa. È una burla o lo ha detto davvero?
qui puoi scaricare i sottotioli (generati automaticamente da youtube) dell’omelia di ieri. è una collezione di perle: https://downsub.com/?url=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DtXxQBLNZZqA
se vuoi bene all’italia devi
evitare il rischio che il contagio si
diffonda come lo puoi fare
non bisogna mai avvicinarsi bisogna
rispettare distanze in sicurezza almeno
un metro
…
siamo tutti affrontando una prova molto
dura anche nei prossimi mesi ci aspetta
una sfida molto complessa e mi rendo
conto che molti di voi
dopo varie settimane di rinunce di
privazioni vorrebbero un definitivo a
allentamento delle misure delle
restrizioni delle varie raccomandazioni
possiamo quindi anche reagire
negativamente in questa fase
potremmo affidarci a risentimento perché
no alla rabbia a ricercare un colpevole
potremmo prendercela con chiunque gli
capiti a tiro in famiglia con i
familiari con l’europa con il governo
con i politici con le regioni con la
stampa
non mancano le occasioni non manca
l’elenco oppure invece possiamo operare
un altra scelta scacciare via rabbia
risentimento pensare a cosa ciascuno di
noi può fare per risollevare questa
nostra comunità per consentire una più
rapida ripresa dipende da noi dal
compito che ciascuno di noi si sentirà
di svolgere ciascuno di noi tutti
indistintamente
https://downsub.com/?url=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DtXxQBLNZZqA
Arriva puntuale la smentita di Conte, che “precisa” che con “congiunti” si intendono anche compagn*, fidanzat* e in generale affetti stabili. Il solito gioco di comunicazioni fumose, che permettono di rimangiarsi quanto detto poche ore prima. Possiamo però portarci via due considerazioni rapide: la prima è l’ennesimo fallimento di immaginazione e comunicativo. Da un lato non sono riusciti ad immaginarsi una famiglia diversa da quella del mulino bianco, come giustamente segnalato anche in altri commenti, dall’altro lato la dichiarazione sui congiunti faceva riferimento appunto ad un termine che non definiva niente di preciso, tanto che è stato interpretato come familiari diretti o come familiari fino al 6° grado. Come ci si deve comportare di fronte a dichiarazioni che non sono nemmeno interpretabili? La risposta più probabile è che la scelta sarebbe di nuovo stata nelle mani dei governatori, sindaci e forze dell’ordine.
La seconda considerazione è che, credo non sia solo una mia impressione, non sia una vera “precisazione” ma un vero e proprio dietrofront del PdC di fronte a un malcontento che serpeggiava fin dai primi minuti dopo la dichiarazione di ieri sera. Senza voler togliere nulla alle manifestazioni fisiche, e sottolineando la necessità di definire delle nuove forme di protesta, possibile che questa politica fatta a misura di social network, possa essere influenzata a ritroso anche da un uso focalizzato dei mezzi tecnologici? In altre parole, chi dobbiamo ringraziare per questo dietrofront?
Speriamo tutti sia un dietrofront, ma aspettiamo la circolare interpretativa e poi le mitologiche FAQ che sono ormai assurte al rango di fonti del diritto. Mi domando: costui sarebbe avvocato e docente universitario? Vero è che in Italia la produzione normativa è poderosa, ma qui stiamo arrivando a superare in pochi mesi almeno 100 anni di norme, compresi i regi decreti. Delle due l’una: o agiscono in malafede per rendere talmente scivoloso il terreno che le persone evitano di avventurarsi per non finire in balia di qualche pattugliatore oppure nell’ufficio legislativo del PdC sono tutti ubriachi.
Speriamo non si inventino che per “fidanzati” si intendono solo coloro che hanno già fatto le pubblicazioni! Pazzesco che stiamo qui a cavillare su queste stronz****per colpa di certi azzeccagarbugli.
Per unirmi poi a molti di voi è davvero sconfortante assistere, a parte le iniziative di compagn* qui testimoniate, alla totale assenza di una parte politica realmente contrapposta alla destra che già invoca la piazza con il rischio si appropri di una battaglia che non ha gli strumenti culturali e soprattutto etici per combattere.
Tre considerazione sull’ultimo capolavoro logico-giuridico che ci è stato ficcato in gola.
La prima: FAQ. Ha ragione Mandragola01, si tratta ormai di fonti del diritto a tutti gli effetti, e in particolare di Fonti Atipiche Qualificate (acr. FAQ). Fonti atipiche, perché non riconducibili alle (antiquate, poco duttili) categorie tradizionali. Qualificate, chiaramente, per l’autorevolezza della Fonte e perché riflettono la nota dottrina costituzionalistica Conte/Di Maio/Bonafede.
La seconda. Qualcuno è in grado di spiegare come sarà possibile dimostrare la stabilità di un affetto ai fini dell’esercizio della libertà di circolazione? E’ sufficiente un album fotografico? Vanno bene i WA degli ultimi 3 mesi?
La terza. Se non ho capito male, – ma vi prego di correggermi se sbaglio -, a partire dal prossimo 4 maggio sarà possibile praticare attività motoria anche lontano da casa (fermo il rispetto delle distanze interpersonali e il divieto di sconfinare il altre regioni). Al riguardo, mi chiedo come si potrà ancora censurare chi esce, ad esempio, a fare un giro più o meno lungo in bicicletta, visto che “attività motoria”, nel caso della bicicletta, significa semplicemente pedalare (non mi risulta, infatti, sia stata fissata una velocità minima né un particolare dress code per i ciclisti…).
è certamente un dietrofront da mugugno, ma il malcontento sui social non ha denti, non ti libera, ti paralizza in casa invece che farti rosolare al sole, non esorcizza l’atomizzazione , le scuole per droni e lo smartcottimo, non ti dà un tetto se non ce l’hai già, non tiene in riga i parassiti, non li contiene proprio, non abolisce il privilegio, non espande i diritti, li rattrappisce e li atrofizza, non genera solidarietà e coscienza di classe, non sanifica sanità, giustizia, istruzione…, non mette a terra gli elicotteri acca.zo, non mette fifa al poliziotto, non ripesca dallo sprofondo la cultura e i migranti dalle onde, ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. ecc. al limite, con il tempo, mentre pigramente svanisce l’aroma di covid dal particolato (che, lo sappiamo tutti, al naturale era così squisito), alimenta il fasccismo, ma non il molliccio fascismo virtuale, il fascismo quello vero, così duro che sembra di ca..are mascherine.
Mio bisnonno fu arrestato innumerevoli volte per pura disobbedienza al regime fascista. Se non abbiamo il coraggio di prenderci una o più multe, rinneghiamo le lotte partigiane e l’opposizione al fascismo e poniamo le premesse perché quella storia si ripeta. Non adottare escamotages, ma autocertificare proprio che ci si sposta: a) ai sensi dell’art. 16 della Costituzione, che prevale su un DPCM illegittimo e insensato come sottolineato da eminenti giuristi; b) esercitando lo stesso diritto di resistenza dei nostri avi; c) riservandoci di adire un giudice che si trovi così di fronte alla scelta di reprimere la Resistenza e disconoscere la Costituzione stessa. Questa è la teoria. È istigazione a disobbedire alle leggi? I nostri nonni andavano in carcere, appunto. Quanto alla pratica, rifiutata in partenza l’obiezione reazionaria del “va’ avanti tu altrimenti è come dire armiamoci e partite”, Lenin non era Jan Palach (per fortuna). Fare gli eroi da soli è facile solo per chi ha i soldi e quindi del tutto inutile. Agire non è possibile a partenza dall’atomizzazione sociale su cui si fonda da sempre la società borghese e che viene *appositamente* esasperata in questo frangente. Serve pertanto un’organizzazione diffusa per formare subito massa, anche se non potrà già essere massa critica per le prime linee. La rivoluzione costa sempre sangue, non è mai “pacifica” in senso grillista (con buona pace del Gandhi, evocato sempre a sproposito, fatto passare per un santo mentre era un fuorilegge). Abbiamo già aspettato il 3 aprile, il 13 aprile e il 4 maggio, è già tardi, se aspettiamo anche il 18 maggio senza muovere un dito sarà finita.
Ho letto con interesse i vostri post in questa ennesima emergenza italiana. Vorrei concentrarmi sul punto 3 del decalogo:
“studiare, sperimentare e implementare modalità sicure per tornare in aula”. Si potrebbero sperimentare inoltre forme di didattica all’aperto! Negli ultimi anni sono nati molti progetti di Asili nel bosco, però sono quasi tutti privati. Il mio auspicio è che questa sia l’occasione, dal momento che all’aperto i rischi di contagio si riducono, per muoversi anche come scuola pubblica in quella direzione. Sarebbe bello se i parchi e le aree verdi delle nostre città diventassero delle aule all’aperto.
Adesso la stagione aiuta, andiamo verso l’estate e il caldo, penso che almeno per i più piccoli (scuola dell’infanzia e al limite primaria) che non sono troppo legati ad un apprendimento sui libri un’esperienza ludico/didattica di scuola all’aria aperta sarebbe salutare per il corpo e per la mente (mens sana in corpore sano, appunto).
Portarli fuori a vedere le piante, a capire come si coltiva un campo, spiegare loro il ciclo della vita, le stagioni… sia chiaro parlo da non insegnante, non educatore, non psicologo… ma semplicemente da padre la cui figlia è ormai maggiorenne… quindi sono ricordi ormai lontani per me. Ma penso che un’esperienza didattica di questo tipo, a rischio contagio praticamente nullo, sarebbe assai più formativa per i bambini (e gratificante per il corpo docente) che non passare ore davanti ad un computer.
Salve a tutt*. Vorrei contribuire anch’io, non perchè creda che la mia esperienza sia particolarmente significativa, ma perchè leggere le tante testimonianze sotto ai vostri post di gente che non accetta questa situazione mi ha veramente aiutato a non perdere la bussola e la speranza in questi giorni. Abito in Veneto, in un paesino vicino ai monti. Sabato pomeriggio, dopo un tentennamento durato più giorni, non sapendo neanche bene se il limite dei 200 m fosse ancora in vigore o no (ma tanto, è tutto relativo), con l’elicottero che continuava a passare e ripassare sopra il paese, vado a fare un giro per i soliti sentieri dietro casa. Non me lo aspettavo, ma ho incrociato tantissime persone, quasi tutte senza mascherina (soprattutto anziani), famiglie, coppie, singoli che facevano una delle cose più normali che si possano fare, camminare. L’incontro fisico con queste persone mi ha dato un sollievo, direi quasi una forza incredibile. Non ho potuto fare a meno di pensare che lo scopo di questa quarantena sia quello di isolare fisicamente le persone, e non per ragioni sanitarie. La mezza disperazione in cui ero precipitato in pochi giorni di isolamento totale (abito da solo) si è molto ridimensionata dopo che ho incrociato i primi esseri umani che si comportavano da esseri umani godendosi l’aria aperta e la luce del sole. Ho paura che i vari provvedimenti in parte abbiano lo scopo di privarci di questo. Vedere tante persone (e ripeto, soprattutto “deboli” vecchi) che infrangono la legge senza obbiettivamente fare del male a nessuno mi fa sperare che non sia tutto perduto.
Io non so se questo Governo sia in mano ai tecnocrati o se finga di esserlo ma siamo ormai loro ostaggi. L’altro giorno ho letto l’intervista ad un membro di una delle 2000 task forces nominate dal PdC. Alla timida domanda del giornalista circa il fatto che bambini e ragazzi fossero stati completamente dimenticati il “luminare” ha risposto più o meno in questi termini: “ Eh no, è l’esatto contrario, infatti vedete che io che sono un pediatra sono stato chiamato a collaborare, segno che il Governo pone grande attenzione a chi appartiene a queste fasce d’età” ( non sono le testuali parole ma la risposta è stata questa). E via a spiegare che riaprire le scuole è troppo pericoloso perché i ragazzi non sanno stare distanti e comunque sono un veicolo importante del virus e non è vero che hanno forme blande…e qui il passaggio che più mi ha sdegnato. Ha citato il caso di una bimba di 5 mesi, piccola vittima negli USA. Ora, che chiunque possa ammalarsi e sviluppare sintomi molto seri è assodato, ma sarebbe come dire che un arresto cardiaco può colpirti solo oltre i 50 anni. No, può colpirti a qualunque età ma le probabilità a 20 sono statisticamente assai inferiori. Questa creaturina soffriva di problemi cardiaci e con questo non voglio dire che non stringa il cuore a leggere la notizia. Però mi ha indignato l’uso perverso che il medico citato ha fatto dell’episodio traslandolo come esempio della pericolosità del virus e andando così a toccare le corde delle più grandi paure per un genitore. Hai figli? Ebbene, sappi che in America una bimba di 5 mesi… vuoi davvero che le scuole riaprano? Pensaci bene perché può accadere questo. Io credo che questi siano discorsi CRIMINALI. Solo in un paese incivile si può pensare che l’insegnamento possa essere accantonato sine die. Ops, scusate. Non fa PIL.
La “fase 2” ufficiale è un topolino storpio partorito da una montagna di retorica. Va praticata una “fase 2” reale. I comportamenti quotidiani di moltissime persone sono già ben più avanti di quel poco che “magnanimamente” consente il nuovo dpcm. La situazione è «a macchie di leopardo»: in alcune “macchie” lo #stareincasa domina ancora incontrastato, ma in altre si sta sgretolando e in alcune si è addirittura già sgretolato. Bisogna estendere le buone pratiche, con il racconto e con l’esempio.
Tieni presente che le zone a bassa densità di popolazione, in questo, sono di nuovo penalizzate: se in città qualcuno ti segue, nei paesi fai solo il matto del villaggio. Ma tieni presente soprattutto che, nel silenzio mediatico (il racconto si legge soltanto qui e in pochi altri luoghi), gli esempi non risaltano e il processo è rallentato. Si profila cioè la stessa situazione del contrasto al virus. Di qui al 18 maggio ci sarà uno sgretolamento generale a partire dalle macchie di leopardo? non credo. E allora verrà prima un altro decreto che rimanderà tutto alla fine di giugno. È verissimo che l’oppressione è un virus molto più pericoloso di quello che pretende di combattere, e infatti ne condivide anche le caratteristiche: è più veloce.
https://archive.is/2kE0c
Questo è Il prof. Bassetti. Ricapitolando: Tarro no, troppo ombre, Lopalco & c. si dato che spargono abbastanza terrore si rivolgono a noi ignoranti con toni profetici che si legittimano da sè senza bisogno di contraddittorio.
Bassetti sta in corsia e non mi sembra che il suo discorso sia esasperato in un senso o in un altro. Però constata che questo clima da stato di polizia é ormai in contrasto con i dati epidemiologici. I reparti respirano perciò prudenza, ma tutto il resto è sproporzionato ed ingiustificato. Concordo con Andru. Accettare l’ennesimo DPCM significa che in futuro diventerà lecito qualunque provvedimento limitativo adottato in virtù di supposte emergenze sanitarie. Basteranno tre influenze complicate o un afflusso eccessivo in P.S. per una data patologia infettiva e sara automatica la prigionia a discrezione di questo o quel sindaco o presidente di regione. Perché è più semplice che investire nella medicina territoriale, nella formazione del personale sanitario e nella piena operatività delle strutture.
nei paesi metti in croce, minacci e fai vergornare di se stesso il sindaco che tu e i tuoi familiari conoscete da quando era bambino, che abita a un metro da te, finché non mette giudizio, metti sotto pressione con petizioni, richieste e domande personali e collettive, continue e ininterrotte, il comandante dei carabinieri, quello della polizia locale, dei barracelli…
ps
a proposito di barracelli, se no non riesco ad arrivare a 550…
mandragola, mi pare tu scelga sempre con scrupolo le parole che usi ed è forse proprio per questo che non riesco a digerire la cosa: per favore, non è “il tuo dialetto”, ma “la nostra lingua”.
Hai ragione lallegrochirurgo. Chiedo venia. Presa dall’esasperazione del momento e focalizzata sulle attuali tematiche non ho prestato attenzione a quello che non è certo un dettaglio. Mi pare di capire da ciò che scrivi che ti muovi in un contesto simile al mio, ovvero, se non rurale, comunque di paese. Paradossalmente e con una punta di egoismo pensavo che la mia ( o nostra) condizione avrebbe costituto una sorta di privilegio. Non usando mezzi pubblici, vivendo in luoghi scarsamente popolati e di per sè “ isolati” dove per vedere facce nuove devi aspettare Luglio/Agosto ero convinta che avrei vissuto più o meno come prima eccetto S.W. e palestra. Invece ho scoperto che i controlli sono stati molto serrati e sopratutto che uscire significa davvero trovarsi da soli e non poter assaporare neppure il sollievo di incontrare qualcuno che come te vuole spezzare questo cortocircuito fisico e mentale che ci è stato imposto.
1. e pensa che io il sardo neppure lo parlo, lo capisco male e basta :-)
2. macché, né rurale, né di paese, né sardo :-( però, se i ricordi non mi ingannano, se gli rompi l’anima o sottoposto alla pressione giusta, da calibrare caso per caso e volta per volta, o anche dietro semplice e gentile ma ferma richiesta – dipende dalla persona – un/a sindaco/a di paese per calcolo o quieto vivere ti fa pure un’ordinanza ad personam se serve.
3. sarà difficile incontrarlo, ma non ci credo che non ci sia proprio nessuno nessuno, in un paese sardo poi, che non voglia spezzare l’assedio, magari come atto di mera balentia (troppi non mi sa)
4. hai ricordi degli anni settanta? o degli anni ottanta? o dell’operazione forza paris (di quella ne ho vissuto solo un pezzetto)? i nugoli di elicotteri (quelli dei vip, quelli antincendio, quelli antianonima, quelli antibarbagiarossa, quelli militari e basta, quelli a cazzo, quelli in più per fare contento cossiga in vacanza)? e le esercitazioni, e le bombe e le controbombe e osposidda, e i posti di blocco nei posti più assurdi e gli interrogatori volanti e le bande chiodate e le mitragliette spianate e le pistole puntate alla tempia? quella situazione sì che era una noia, quella tua attuale al confronto fa invidia, scherzo eh :-)
l’esercito del surf
@lallegrochirurgo: sì, forse… Nei paesi c’è omertà, gente che preferisce sempre farsi «i cazzi suoi», se no, essendo costretta a viverci, poi paga le conseguenze. L’amministrazione comunale è eletta di fatto in perpetuo, perché ben che vada si formano due liste che si scambiano le poltrone, e mal che vada vince sempre la stessa, il sindaco non si vergogna certo per la tua (unica) firma in calce a una petizione: la prende e la butta nel cesso, pardon, gabinetto. E il problema non è quasi mai muoversi in paese, ma uscirne, dato che dentro non c’è niente, i negozi operano da monopolisti, le frequentazioni sono arretrate e anguste. Il paradosso, che rende la situazione ancora più grave, è che nelle medesime realtà del virus spesso non c’è neanche l’ombra. Ma soprattutto, è sempre il tempo che gioca contro. Ora che al sindaco viene la faccia rossa, Conte ha tirato fuori altri tre decreti.
Bisogna estendere le buone pratiche, con il racconto e con l’esempio.
bisogna manifestare, va bene trasformare le file davanti alle librerie in happeening, ma bisogna mettersi in fila anche davanti ai posti chiusi, davanti alle scuole, davanti aglia asili, davanti alle biblioteche, ai parchi, alle spiagge, ai musei, ai dipartimenti universitai. bisogna fare la fila e chiedere udienza dove non la faresti mai. davanti ai municipi, davanti alle questure, davanti alle prefetture. bisogna fare judo concettuale forse: accettare il frame della guerra e sfruttarne tutta la forza. se è una guerra vanno additati come criminali di guerra (e appesi) i criminali diguerra, i responsabili della dissoluzione sanitaria finale, i boia delle rsa, i sadici collaborazionisti della repubblica virale italiana, le fottute spie a nord e a sud della linea zotica, i generali sanguinari e inetti.
il cln/l’esercito del surf
La terrificante buffonata degli esami di stato che verranno fatti in presenza mi sembra un altro bel punto. Dopo un bel cappello in cui ha commentato l’età avanzata degli insegnanti e il rischio troppo grande di riportarli in aula, ecco che si fa in modo di pensare a un lungo sistema di conferenze singole con probabilmente molti genitori, magari gli stessi che riprenderanno a lavorare, costretti ad accompagnare i figli a scuola per un esame già dichiarato inutile, dopo mesi di assoluta inefficienza e incuria didattica.
La conclusione reazionaria ad un processo di disgregazione sociale, educativa e culturale, rispettando il motto che mi avevano goliardicamente insegnato quando suonavo liscio: “l’importante è che l’inizio e la fine siano giusti, poi in mezzo va bene tutto”.
Grazie Wu Ming, vi leggo sempre e non ho mai commentato, come molti altri, ma adesso è importante. Siete un faro. Sono friulana e lavoro a Venezia, il 25 Aprile ho fatto una passeggiata plurichilometrica fino ai Giardini della Biennale per un omaggio al Monumento alla Partigiana, passando per tanti luoghi della Resistenza. Il Ghetto, Cannaregio, il Teatro Goldoni, Riva dei Sette Martiri… senza autocertificazione, che mi fornissero loro il foglio; ma non mi ha fermata nessuno, la polizia era troppo impegnata a scorrazzare su e giù per i canali con le moto d’acqua in maniera del tutto inutile. E poi chissà come, nel pomeriggio, è successo questo: https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/04/25/blitz-forza-nuova-venezia-con-manichini-appesi-una-dittatura-sanitaria_sFvYaH37SgHOE6OehCzZEK.html Sono con voi e la vostra lucidità anche sul resto del discorso, naturalmente. Dieci punti da cui non si prescinde. Non so, cosa dovremmo fare? Chiamare i vigili, carabinieri e affini per fare da babysitter ai bambini mentre si va a lavorare? Portarglieli direttamente in caserma? Visto che la vigilanza (assurda) del cittadini pare sia l’unico servizio garantito dallo Stato (niente scuola, niente sanità, niente risposte economiche). Per dire. Grazie ancora e mandi.
Finalmente una serie di punti pratici per il futuro, qualcuno che si permette di sbilanciarsi – ha detto bene chi sopra citava il bisnonno arrestato dai fascisti.
Una mia personale aggiunta al punto 8 sulla solidarietà:
Per me dobbiamo cogliere la palla al balzo e dimostrare che la vera solidarietà è globale, politica, sistemica (come sistemici sono i problemi quale il virus), mai limitata a uno specifico ambito.
Vivendo in un paese tradizionalmente più liberista (UK), e quindi più prono al collegamento Solidarietà –> Charities, ma mai –> Politics, ho visto di persona come di botto fottersene qualcosa degli altri ha di nuovo senso. E la stessa rinnovata scoperta che, toh, il mio problema è il tuo, l’ho avvertita anche dall’italia, da amici in Europa, da gente che conosco e lavora in charities in altri posti.
Sarebbe interessante evidenziare con punti altrettanto pratici le varie contraddizioni di questa “solidarietà a rubinetto”, assieme alle varie eminenti stronzate che ci propinano. Con superficialità mi vengono in mente:
Liberismo –> Non chiedere i tuo 800 euro allo stato (e ne conosco di sfruttati che credono al “Mercato”)
Sovranismi –> Indaghiamo su cosa è successo nelle aziende bergamasche nella fase 1 o riportiamo le spese per la sanità con trends, e vediamo un po se l’unico tuo problema è l’Olanda
Gli africani portano le malattie –> vediamo chi le ha portate queste epidemie (colera in Haiti regalo dell’ONU, etc)
Con stima,
Francesco
Ho visto ieri Bonaccini su FB esultare per la data del 4 Maggio quando però da oggi riaprirà tutti i settori citati. Tu vai dal governo a proporre il 4 Maggio ma in Emilia Romagna riapri il 27 Aprile? La verità è che la FASE 2 per le aziende inizia oggi e per le persone il 4 Maggio. Ma non possono dirlo apertamente.
Cosa dire dell’intervista di ieri a Bonomi dall’Annunziata?
Parla di troppe sigle sindacali ai tavoli , di esigenza di cambiare i contratti ( agghiacciante) , assolve le imprese sulla sicurezza prendendosela coi sindacati.
Eccolo qui il cambiamento.
Mi ricollego al punto 4 per sottolineare che ieri nessuno ha parlato dei detenuti. Ancora nessuna parola sulle carceri e sulla situazione atroce in cui si trovano. Uno Stato civile degno di tal nome non può non preoccuparsi dei detenuti. Non so come stanno proseguendo le rivolte all’interno degli istituti, so che molte sono state represse dalla violenza delle guardie.
Oggi è l’anniversario della morte di Gramsci dopo anni di prigionia fascista. Nel ricordarlo ho voluto esprimere la mia solidarietà ai carcerati.
P.S. Chiedo davvero scusa, sono nuova del blog e non volevo certo creare disagi. So che i destinatari delle mie scuse capiranno.
Condividiamo queste parole:
“Oggi chi ritiene che quest’emergenza sia talmente diversa dalle precedenti da giustificare lo stato di polizia non è un nostro compagno di strada ed è assai probabile che non lo sarà nemmeno nel prossimo futuro. Non importa quali siano i suoi trascorsi o le sue medaglie: se non è in grado di criticare i provvedimenti assurdi e fascistoidi a cui la popolazione di questo paese è stata sottoposta e la criminalizzazione di comportamenti innocui che ha dovuto subire, significa che è pronto ad accettare tutto ciò che nella vita ha professato di avversare.
E facilmente, come appunto un secolo fa, accadrà che ritroveremo svariati “compagni” e “compagne” su posizioni ultrareazionarie. Inconsapevolmente o ipocritamente, al lato pratico non fa molta differenza. Accadrà, purtroppo. Anzi, lo abbiamo già visto accadere sotto i nostri occhi, giorno dopo giorno durante questa quarantena prolungata.”
Ci sembra abbastanza chiaro che stanno testando, tra le molte altre cose, fino a che punto possono arrivare prima che…
Vi giriamo anche queste nostre riflessioni sulla morte della Repubblica (forse mai nata)
: https://www.archeologiafilosofica.it/in-morte-della-repubblica-italiana/
Per Bonaccini il decreto di ieri è troppo lasco, lui vuole l’obbligo di mascherina anche all’aria aperta. Bisogna far vedere che si soffre, bisogna sudare e ansimare.
Pochi giorni fa i nostri amministratori regionali, per bocca del sottosegretario alla presidenza, hanno ammesso di aver vietato l’attività fisica non basandosi su evidenze scientifiche, non per motivi epidemiologici, ma solo per «dare il senso di un regime stringente». L’obbligo di mascherina all’aria aperta – dove nella stragrande maggioranza delle circostanze non serve a nulla e anzi può persino fare danni – sarebbe coerente con quell’approccio.
Teatro politico. Incentivi alla superstizione di massa («il virus è ovunque!»). Conclamato divorzio tra scienza e provvedimenti presi.
La popolazione emiliano-romagnola si lascerà mettere la museruola?
Credo che l’imposizione della museruola anche all’aperto, anche con il caldo, anche in periodo di allergie che rendono insopportabile qualunque cosa ti sfiori solamente il naso e la faccia (so di cosa parlo) sarebbe un ulteriore sopruso di questo regime da operetta, di questa gara fra stato centrale, regioni e comuni per chi fa i decreti e le ordinanze più assurdi ed ingiustamente vessatori che ci siano.
Credo che sia dovere di chi ancora crede nella libertà e nella democrazia ribellarsi a questa imposizione della mascherina, come a tutti i divieti che si sono succeduti negli ultimi due mesi, dalla proibizione a portar fuori i bambini a quella di praticare sport e perfino a quella di stare all’aria aperta da soli, su una spiaggia deserta oppure in campagna.
Vi chiedo se ci sono iniziative di lotta in tal senso e come fare ad aderirvi.
Grazie.
Paolo
Ha fatto molto discutere la posizione espressa dall’ex ministro delle finanze tedesco Schauble secondo il quale non è accettabile protrarre ad oltranza le limitazioni in atto perché la salute non può essere anteposta alla dignità umana. Non penso che questo concetto sia sbagliato ed anzi ritengo che una umanità “disumanizzata” e privata della dignità dei singoli individui sia un prezzo troppo alto da pagare per mantenersi vivi in senso puramente medico. Molti di noi in questo tempo stanno sperimentando cosa significhi veder calpestata la propria dignità: quando dobbiamo nascondere una nipotina In macchina come racconta frankaya; quando ci viene chiesto di consegnare uno scontrino per dimostrare la ragione del nostro abbandono del rifugio ( o prigione) domestico; quando veniamo malmenati dentro un carcere come da sempre accade ma forse, in questo periodo di tensione, ancor più spesso; quando ci viene impedito di abbracciare e consolare un* amic* che ha perso un genitore; quando rimbalziamo sui muri di gomma che si stanno ergendo ovunque. Invano cerchiamo di spiegare che non vogliamo annientare l’umanità o contribuire all sua estinzione nè che disonoriamo le vittime di un virus infido, ma sempre meno di quello che si è già insinuato nell’operato di chi ci governa a suon di bacchettate e divieti illogici. La nostra dignità viene prima di tutto. Non si può arretrare su questo o rassegnarsi a non ribadirlo ed infatti ognuno dei punti per il futuro esemplificati dai WM è un piccolo paletto che segna il perimetro entro il quale non possiamo ammettere lo sconfinamento dello Stato.
Mi è venuta voglia di rileggere un libro che è stato,incidentalmente, citato qui. Marlowe dopo un pestaggio della polizia dice al capitano Gregorius:…a nessuno piace tradire un amico, ma con voi io non tradirei neanche un nemico. Siete non soltanto un gorilla, ma un incompetente […] non vi direi neppure che ora segna l’ orologio a muro del vostro ufficio.
La fase due è già iniziata da un bel pezzo per chiunque sapesse da che parte stare. Se qualcuno prima di noi non avesse disobbedito, ci sarebbe ancora il regime fascista. Prendere una posizione è una cosa faticosa in termini fisici e mentali. Ma forse come, per Marlowe, ormai inevitabile.
Sulla riapertura delle scuole. La leggenda della validita’ lezioni a distanza è durata poco, ormai anche la stampa mainstream ammette che la DaD è inefficace e classista, dato che favorisce chi viene da un ambiente “bene”e “colto”. Ma una parte degli insegnanti, in maniera comprensibile, ha paura a rientrare in classe. Questo grazie alla campagna martellante di terrore che è stata fatta, ma anche per il dato oggettivo che molti insegnanti sono oltre i 60, e magari hanno anche qualche acciacco serio. Grazie alle varie riforme delle pensioni e dulcis in fundo alla legge Fornero, oggi abbiamo un corpo docente, e in generale una classe lavoratrice, molto vecchia, mentre i giovani stanno fuori dal lavoro e soprattutto fuori dai lavori “buoni”. E questo amplia i problemi creati dai Covid, e inoltre è difficile sostenere che bisogna lavorare fino a 68 anni salvo poi scoprire che dai 60 sei piu’ a rischio.
Ora quello che mi da’ piu’ fastidio e’ che questo tema sia diventato uno di cavalli di battaglia dei fascisti. La legge Fornero l’ha votata anche e per prima la Lega, ma oggi la difendono solo il PD & Associati. Su questo tema, come su quello della liberta’ lesa dal lockdown, si stanno regalando in maniera sciagurata ampie praterie alla destra piu’ o meno fascista, in Italia come in altri paesi. Non mi rassegno al fatto che le liberta’ costituzionali siano diventate cose di poco conto anche in ambienti fino a ieri insospettabili.
A proposito di Burioni. Qualcuno dovrebbe spiegargli che la sua frase sui bambini è del tutto sbagliata se voleva dire che i bambini sono dei moltiplicatori di virus. Lui li chiama “maligni amplificatori biologici che si infettano con virus per loro innocui, li replicano potenziandoli logaritmicamente”, beh si da’ il caso che il logaritmo sia una funzione che cresce molto lentamente, molto piu’ lentamente di una retta, ma forse Burioni ha confuso il logaritmo con l’esponenziale, che è la funzione inversa del logaritmo, e quella sì che cresce in fretta. Puo’ controllare su qualunque manuale di matematica. Per uno che da’ lezioni a tutti da settimane, non c’è male.
Da Torino, mi unisco a coloro che hanno condiviso qui i propri “festeggiamenti” individuali o familiari per il 25 Aprile, per socializzarli almeno ex post.
Avendo cercato senza successo di coordinare un’azione con altri compagn*, la mattina siamo andati, io, la mia compagna e i nostri due bambini (3 e 5 anni) a lasciare dei fiori e un cartello alla lapide del partigiano Nicola Grosa, davanti al Palazzo di (in)Giustizia. Il cartello dice “la libertà si logora se non la usi” (da “Sei wachsam” di Reinhard Mey). Uno sconosciuto con bambina si è avvicinato solidarizzando e i bambini hanno giocato insieme. Un runner passando ci ha avvisati della presenza di poliziotti in borghese non distante. Insomma, abbiamo notato un clima di forte solidarietà tra i “disobbedienti individuali”.
Abbiamo poi proseguito fino a Piazza Benefica (1,1 km da casa) e abbiamo addobbato gli alberi della piazza con altri due cartelli, incitanti ad una riconquista delle libertà basilari. Raggiunti dalle FdO mentre i bambini facevano merenda nella piazzetta, siamo stati redarguiti in maniera molto più blanda di altre volte.
Nel pomeriggio abbiamo fatto un giro in bici (cosa che abbiamo continuato a fare quasi quotidianamente dall’inizio dell’emergenza) e abbiamo ripulito dalla propaganda fascista una zona del quartiere infestata da manifesti sulle foibe e altre simili amenità.
Attaccare cartelli per la città è una piccola forma di protesta che, mi sembra, si potrebbe incrementare. Ha tutti i limiti dell’azione individuale, ma almeno esce dalla sfera virtuale e tuttavia comporta scarsissimo rischio, quindi potrebbe coinvolgere anche i meno “audaci”. Ci vorrebbe poco a coordinarsi per dare un minimo di unitarietà all’azione. Così, a latere della necessità di riprendersi collettivamente le strade e le piazze.(D’altronde qui a Torino qualcuno si è preso la briga di attacchinare manifesti inneggianti alla “mascherina sempre e comunque”. Dispiace lasciare i muri e i piloni a questo tipo di esternazioni).
Aggiungo un piccolo commento che spero non finisca fuori tema: il tipo di azioni e rivendicazioni di cui si parla nel “decalogo” (salvo il punto 9) e di cui si sta discutendo nei commenti rientrano per la maggior parte nella sfera delle strategie di resistenza. Sebbene queste siano imprescindibili e propedeutiche a qualsiasi altra cosa, a me pare che siamo – se possibile – ancora più in ritardo nell’elaborazione di “strategie di attacco”, intendendo con ciò strategie per il rilancio di lotte anticapitaliste o per una vigorosa iniezione di anticapitalismo nelle lotte esistenti. La situazione socio-economica e politica determinata dalla pandemia ha allargato di molto la “zona di sviluppo prossimale” della coscienza di classe, per dirla con un termine psico-pedagogico, ovvero ha reso molto più tangibile la contraddizione tra modo di produzione capitalistico e soddisfazione dei bisogni sociali, anche per persone che non sono mai state compagn* ma che per sensibilità e vissuto sono predispost* a diventarlo, se i/le militanti riescono a fare un lavoro politico intelligente e tempestivo. Ecco, di questo lavoro per far fare un salto di qualità alle rivendicazioni e non limitarsi a reclamare welfare mi sembra ci sia la necessità di discutere maggiormente. Non è che io abbia idee geniali da proporre, ma se il 25 Aprile è stata un’ottima occasione per avviare una discussione sulle strategie di resistenza, forse il primo maggio potrà essere l’occasione per avviare un confronto sulle strategie d’attacco.
Da sostenitore del metodo scientifico quale mi ritengo da sempre, ho cercato di riassumere qui i fatti evidenti dai semplici numeri di questi tre mesi di epidemia. Sinceramente non so perché i siti di divulgazione scientifica, anche quelli più affidabili si stiano facendo le pippe mentali su questioni meno che minimali.
“A pensar male si fa peccato ma ci si azzecca” diceva un vecchio nemico… ecco diciamo che continuo a non spiegarmelo il comportamento di alcuni “divulgatori”, via… manteniamo un po’ di diplomazia.
http://www.civiltalaica.it/cms/index.php/la-scienza-ai-tempi-della-covid19-in-italia-non-e-pervenuta.html
Noi ci stiamo provando al lanciare la palla oltre il lockdown, soprattutto quello mentale. Le parole di Wu Ming in queste settimane ci sono state preziose. Dalla nostra presentazione: “I dieci punti che leggerete e che formano il Decreto della Liberazione mirano a togliere credito a qualsiasi dogmatismo o presunta verità oggettiva imposta dall’alto, favoriscono la pluralità delle idee in ogni accezione possibile, riconoscono a cittadine e cittadini la facoltà di scegliere per il bene loro, dei loro cari e della più ampia comunità, e mettono a loro disposizione beni e risorse di fatto pubblici.”
https://molitemovimento.wordpress.com/2020/04/25/decreto-della-liberazione/
“Il Movimento per la Liberazione dalla Tecnocrazia è per ora il frutto delle riflessioni urgenti di un gruppo di persone che ha sentito la necessità di immaginare una via d’uscita dalla situazione d’emergenza causata dal Covid19, e in generale dalla globalizzazione neoliberista.” https://molitemovimento.wordpress.com/about/
Fra pochi giorni è il primo maggio e mai come in questo periodo ritengo importante raccogliere l’eredità che le lotte del passato ci hanno consegnato. Questa situazione sta evidenziando le contraddizioni del sistema economico che regola la nostra società inasprendo una crisi che lascerà molti/e senza lavoro, la risposta emergenziale intacca le risorse dello stato, lo porta ad emettere maggior debito ed è tutt’altro che peregrina l’idea che alle richieste post emergenziali di riforme strutturali per ampliare il welfare la risposta sarà : non ci sono soldi. Penso sia importante che il primo maggio si trovi la forza per “urlare” insieme che l’avevamo pur detto: RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO A PARITA’ DI SALARIO, SUBITO! Le condizioni ci sono e sono sotto agli occhi di tutti: Questa situazione sta generando una riduzione degli orari di lavoro a medio-lungo termine e oltre a generar debito mette mano al monte ferie dei lavoratori e delle lavoratrici. Questa situazione sta mettendo sotto gli occhi di tutti/e che i ritmi e i modi di lavoro attuali sono umanamente ed ecologicamente insostenibili, che generano fragilità e non benessere. In Italia non ci sono riduzioni dell’orario di lavoro da cinquant’anni. L’orario di lavoro è superiore a quello della maggior parte dei paesi europei. Forse sono andato OT, ma sono veramente convinto che sia un punto importante da mettere all’ordine del giorno delle lotte nella fase 2 e 3.
Sono assolutamente d’accordo. Credo che quella per la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario sia una rivendicazione di fondamentale importanza nell’ambito di quelle che nel commento poco sopra chiamavo “strategie d’attacco”, distinguendole dalle strategie di resistenza.
Penso che la lotta per la riduzione dell’orario di lavoro da un lato possa trovare oggi consensi impensabili fino a pochi mesi fa, e dall’altro sia fondamentale per uscire dal compatibilismo che caratterizza molte delle rivendicazioni formulate fin qui in risposta alla crisi attuale. E anche secondo me il primo maggio potrebbe essere il momento per ricominciare a ragionare seriamente su questo tipo di lotta.
“LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI/E!” lo sento urlare da quando sono piccolo e, coi mezzi che ho a disposizione, lo farò anche questo primo maggio. Come il 25 aprile, farò uno striscione, e questa volta scriverò “LAVORARE MENO, LAVORARE TUTTI/E! – RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO A PARITA’ DI SALARIO – REDDITO DI BASE” e lo attaccherò nel mio quartiere. Questa volta sto preparando anche dei piccoli manifesti che attaccherò durante le mie escursioni. Sarebbe bello trovare delle “strategie d’attacco collettive”: “escursioni” con le stesse parole d’ordine sparse per l’Italia, mailbombing ai sindacati e al Ministro del lavoro e alle politiche sociali, e altro. Turandomi il naso, ho creato una pagina Facebook sul tema, per uscire dall’”autismo” in cui questa situazione mi ha condannato e da cui finora trovo sollievo quasi solo su queste pagine.
Io ho sempre preferito la versione con il «meno» nella “cuspide” dello slogan: «LAVORARE TUTTI/E, LAVORARE MENO!» :-)
Non l’avevo mai sentito e ora lo preferisco anch’io:) si avvicina di più al “ne travaillez jamais” del “noioso” che, pur essendo davvero morto, ha ancora molto da dire sulla situazione attuale dalla critica degli “esperti” spettacolari alla cristallizzazione delle immagini nel pensiero unico che il terrore attuale sta generando. Per raggiungere il minimo di battute, che ritengo più che legittimo, gioco detournando il titolo di un libro: “Psicogeografia di un interno” potrebbe essere un titolo molto rappresentativo in questi giorni:)
Oggi Repubblica ha in home page un’intervista a Crisanti, che in questo momento ha assunto un ruolo più autorevole del troppo discusso tipo di quell’ospedale privato. Il titolo è “Sbagliato riaprire tutto e subito, ora fare test a tappeto”. L’articolo è a pagamento, quindi molti si fermeranno al titolo. Ne dedurranno che anche secondo Crisanti la Fase 2 va bene così, non troppo dissimile dalla fase 1. Nell’intervista Crisanti risponde alla domanda:
“Lei non riaprirebbe il 4 maggio?”
“Non in queste condizioni. I numeri sono uguali ai giorni del lockdown”
Poi si passa ad un’altra domanda:
Come si dovrebbe agire per individuare i focolai nella Fase 2?
“Ci vogliono diagnosi fatte via telefono. Vanno geolocalizzati i possibili casi e con software che già esistono si può capire se in una certa area si sta formando un cluster. Se si ha questo sospetto, si chiude l’area e si fanno tamponi a tutti, come a Vo’. L’unica cosa che funziona”.
E il lockdown?
Vediamo cosa dice Crisanti, forse il fratello, all’ADNkronos https://www.adnkronos.com/salute/sanita/2020/04/27/virologo-crisanti-scelte-fase-illogiche-che-caldo-salvi_xuXp80x7UnTYJ0BAWDlvjK.html?refresh_ce
Già il titolo è “Fase 2 scelte illogiche”. L’articolo non è pagamento e si può leggere che “Ci si è mossi senza considerare le differenze regionali, senza valutazioni del rischio. E’ chiaro che il rischio è diverso tra regione e regione e non è uno dei fattori che viene valutato. In conclusione, nell’equazione che si sta utilizzando non entra la valutazione del rischio”.
Quale sarebbe stato un modo alternativo di procedere? “Il metodo alternativo – risponde Crisanti – era aprire in un primo gruppo di regioni, con situazioni differenti a livello epidemiologico e sociale e con diverse capacità di risposta, per capire quale dinamica si sarebbe innescata. In questo modo avremmo potuto testare la capacità di reazione, differenziare e gradualmente aprire tutto il resto”.
No comment.
Penso che repubblica.it sia leggermente fuori controllo, oppure è il governo di cui lei è portavoce ad essere completamente fuori controllo. Insomma qualcuno è impazzito e non hanno ancora riaperto il lotto per giocare i numeri che danno:
riaprire le scuole porterebbe 50mila persone in terapia intensiva! (dato che in genere ci va al massimo il 5% di pazienti significa che la riapertura delle scuole significa 1 milione di nuovi contagiati…
http://archive.is/yzm1s
Io ho imparato a diffidare all’istante di qualunque articolo abbia come titolo (o cominci con) «il report che ha convinto [nome di governante a piacere]».
Vabbè mi stavo guardando lo studio, poi mi sono fatto due calcoli più rapidi. In terapia intensiva oggi c’è il 2% circa dei positivi, o se preferite l’1% di tutti i contagiati. 151mila significherebbe qualcosa come 15 milioni di contagiati, 75 volte il numero di oggi, dopo due mesi di inferno (che va bene sottostimati ma insomma il dato sta scendendo con una certa rapidità, siamo a poco meno dell’11% circa dei “tamponati” e dovrebbe arrivare almeno al 5, cioè massimo 3 milioni…). Per arrivare ai caratteri potrei usare forse qualche bestemmia, ma magari così va già bene, tanto è tutto uno scherzo mi sa
Oggi poi sono tutti invasati perché in Germania ( dove peraltro non sono state adottate misure eguali alle nostre come qui è ben noto) l’indice R0 sarebbe risalito ad 1. Per cui è un pullulare di titoli enfatici ( che poi non si capisce cosa ci sia da esultare, piuttosto si dovrebbe essere ben lieti del contrario ma evidentemente certi soggetti sono masochisti), addirittura qualche testata titola “ riesplosione dell’epidemia”. Come già accaduto nel caso della Svezia non si riesce a rassegnarsi al fatto agli altri paesi non importa un fico secco di imitarci e si finisce quasi per tifare per il virus… che follia. Intanto, per inciso, altri costituzionalisti ( tra cui l’ ex Presidente della Consulta) affermano a chiare lettere che i DPCM non sono lo strumento attraverso cui si può intervenire sulle libertà garantite dal nostro ordinamento e l’attuale Presidente sottolinea come non esista un “diritto speciale per tempi eccezionali”. L’unica eccezione è la dichiarazione dello stato di guerra, ma per quanto si insista sulla sovrapposizione tra i due accadimenti ( addirittura in relazione al numero delle vittime) con largo utilizzo del gergo bellico, è evidente che non siamo in guerra.
E naturalmente anche il peggioramente dei dati tedeschi non è vero, oggi R0 era 0,9 mentre ieri era 1: https://www.rki.de/DE/Content/InfAZ/N/Neuartiges_Coronavirus/Situationsberichte/2020-04-28-en.pdf?__blob=publicationFile
Ma l’assurdo non è tanto questo quanto a) pensare che non sia naturale una risalita dei contagi con l’aumento dei contatti tra le persone e b) pensare che in 48 ore sia possibile vedere effetti particolari.
A proposito della seconda questione segnalo una lunga lettera di giuristi al PDC, che è sostanzialmente introvabile se non nei canali “complottisti” e su FB. Con pazienza ho trovato qualcosa qui https://www.triesteallnews.it/2020/04/23/fragilita-del-sistema-costituzionale-e-emergenza/ ma è curioso – o forse no – che non si riesca a trovare facilmente.
Mi aggancio a Mandragora e Robydoc. Da dopo il 25 percepisco un clima ancora più cupo dei giorni più bui del virus, come se si volesse terrorizzare ulteriormente (e come se ce ne fosse bisogno). La notizia della Germania data in modo da collegare l’aumento R0 direttamente alle riaperture, quella della Francia data evidenziando la chiusura della Ligue1 e il posticipo della riapertura scolastica, senza dare lo stesso risalto al fatto che comunque le scuole sei più piccoli ricominceranno e che l’autocertificazione resta solo per gli spostamenti a più di 100 km dalla residenza. Per non parlare degli studi con numeri terrificanti buttati lì acriticamente. È come la goccia nella tortura cinese che alla fine buca la fronte: personalmente mi ha bucato il cranio.
PS nota di colore. Ho visto per errore un minuto di Otto e mezzo. Rezza spiegava il discorso del virus indebolito dal caldo dicendo che i virus respiratori d’estate girano meno perché c’è ciò che stiamo facendo adesso (il distanziamento sociale!) con scuole chiuse, e fin qui ok, e uffici che chiudono. Ma quali diamine di uffici e aziende chiudono tutta l’estate?
Se per clima più cupo intendi un tono più mortifero e violento dell’informazione mainstream, è vero, dopo che il nuovo dpcm ha suscitato critiche trasversali i media più “governisti” hanno reagito a suon di bufale terroristiche (soprattutto con oggetto i bambini). Ma se per clima più cupo intendi quello generale, direi di no, mi sembra che nella società la situazione sia cambiata in meglio, nel senso che non vedo più l’egemonia incontrastata della narrazione dominante, non vedo l’acquiescenza e l’obbedienza acritica che si vedeva nei giorni più plumbei, quelli di marzo e dei primi di aprile.
Sì, intendevo il tono dei media mainstream e quello dei politici stessi, visto che le due cose paiono ormai così compenetrate sa essere indistinguibili. Trovo tutto questo anche particolarmente violento, lo sto decisamente patendo.
Sul clima generale non mi sarei permesso di intervenire proprio perché ne so poco, ma leggendo qua e là colgo anche io qualcosa di diverso (e meno male). Speriamo che “in alto” se ne prenda atto e, soprattutto, si finisca di vedere le persone esclusivamente come qualcosa che sembra non vedere l’ora di fare dei party o che vuole uscire solo perché a casa si rompe. È insultante.
tra l’altro sempre Crisanti ha detto che dallo studio epidemiologico a tappeto fatto a Vo’ Euganeo sembrerebbe addirittura che i bambini sotto i 10 anni non si infettino – cioè non sarebbero portatori sani, quelli di Vo’ sono risultati sempre negativi, anche quando conviventi con familiari infettivi:
https://www.globalist.it/science/2020/04/21/il-virologo-crisanti-dallo-studio-su-vo-euganeo-emerge-che-i-bambini-non-si-infettano-e-non-infettano-2056690.html
Immagino che sarebbe necessario e prudente approfondire, però perché dare per scontato che le scuole debbano per forza essere l’ultima cosa a riprendere?
Intanto a Trieste è successo il patatrac. Forza Nuova ha convocato una “manifestazione apolitica” contro il lockdown il 9 maggio, millantando che sarà autorizzata dalla questura. Sicuramente non sarà autorizzata, ma l’ USB dei metallurgici e anche quella dei portuali, tramite i loro profili social, hanno espresso apprezzamento per l’iniziativa, lasciando intendere che aderirebbero. Sono abbastanza convinto che alla fine non ne faranno niente. Ma ciò non toglie che stia succedendo quello che si temeva: i fasci si stanno muovendo per cavalcare a modo loro il tremendo disagio in cui stanno vivendo migliaia di lavoratori (sia in quanto lavoratori sia in quanto persone, perché nel volantino si fa esplicito riferimento alle vessazioni subite ad opera della polizia e alla situazione di cattività in cui vivono le famiglie). Le rivendicazioni però alla fine ricomprendono in buona parte anche quelle di confindustria, in pratica la riapertura di tutte le attività produttive. Questo dimostra che le persecuzioni contro i singoli nella loro vita personale e il lassismo del governo verso le imprese sono due facce della stessa medaglia e si alimentano a vicenda. E dimostra anche il tragico errore politico commesso da gran parte della sinistra – anche di movimento – nel non volersi mettere in ascolto del disagio e della disperazione causati dal lockdown, e nel bollare come capriccio borghese ogni segno di insofferenza verso la cattività.
Forza Nuova che va contro gli sbirri… tutto fa brodo per loro.
Per questo è importante per me mantenere un dibattito equilibrato intorno alle libertà a cui possiamo fare a meno: per loro le messe, per noi la possibilità di farsi una camminata lontano da altra gente. Le rivendicazioni sembrerebbero simili – critica all’ingiustificato stato poliziesco – ma a guardare bene le proposte sono molto diverse. Noi per il buonsenso, loro per ammassare gente in chiesa, senza niente sottrarre al sentimento legittimo di voler pregare.
Boh, per me sarà importante distanziarsi da questa gente e far capire che nessuno di noi (credo) chiede più libertà a scapito della salute altrui.
Magari fosse come dici tu. Delle messe non c’è traccia nel loro comunicato. Invece c’è scritto:
“Stop alla repressione e all’intimidazione dei cittadini utilizzando mezzi che finora non sono stati dispiegati per contrastare la malavita e per il controllo del territorio (pensiamo ai droni per i runner nel bosco o agli elicotteri per grigliate in spiaggia!)
No alle app di tracciamento perché sono il vero cavallo di Troia per attuare un controllo invasivo della popolazione.”
e ancora
“si smetta di regolamentare con DPCM e ordinanze in contrasto tra lora la vita sociale e la vita privata in tutte le sue sfaccettature (finendo per creare situazioni assurde per le quali sul lungomare si può andare in bici o a piedi, per nuotare, ma guai a stendersi per prendere il sole!).”
E poi le rivendicazioni economiche, un pastone interclassista:
“Aiuti concreti e a fondo perduto dallo Stato per i liberi professionisti, per le aziende, per le attività produttive e per le industrie, per gli artigiani e le realtà agricole, per i disoccupati e i lavoratori stagionali (come attuato in altri paesi UE)
L’immediata erogazione della Cassa integrazione straordinaria promessa e non ancora ottenuta
Un anno di tregua fiscale per i cittadini italiani
L’immediata erogazione di aiuti alle famiglie con figli per far fronte ai costi da sostenere per baby-sitter durante la chiusura delle scuole che chiediamo vengano riaperte a settembre senza se e senza ma
L’ allungamento dei tempi di restituzione delle linee di credito a 15 anni almeno (perché i 25 mila euro in fase di erogazione non devono servire a pagare le tasse tra qualche mese!)”
Per concludere con un appello ecumenico alla triestinità:
“Volete sapere chi c’è dietro a tutto questo?
Nessun partito politico che sia Forza Nuova o x il TLT o chicchessia.
Non ci sono dietro sindacati .
Ci siamo solo NOI triestini, il popolo stufo di questi soprusi.
I TRIESTINI che si ribellano a questa linea dello Stato.
Non ci stiamo a veder fallire famiglie imprenditori e veder bruciati sacrifici decennali da chi non sa riconoscere la nostra responsabilità civile e umana.
Forza TRIESTINI lottiamo per il futuro nostro e dei nostri figli.”
Purtroppo è vero che la sinistra ha lasciato campo libero ai fasci, magari in certi casi anche in buona fede anteponendo la giusta tutela della salute alle proprie lotte.
Ma questo atteggiamento di “non disturbare il manovratore”, questa accettazione supina di restrizioni anche quando esse sono palesemente assurde (si veda la messa al bando delle attività sportive all’aperto e delle semplici passeggiate) alla fine è stata vissuta e vista come un abbandono da parte di tante persone impaurite, sole, che o non lavorano oppure lo fanno chiuse in casa, senza alcun momento di contatto e di confronto con altri lavoratori. E, naturalmente, la destra ci si è infilata in questo vuoto, presentandosi come la vera paladina dei lavoratori isolati e dimenticati.
Vedo grosse, grossissime colpe da parte della sinistra italiana in questo.
Oddio, a me è arrivato in forma completamente diversa e più stringata e molto neutra come tono che quasi puzzava più da confindustria e italia viva. Solo una sorta di sesto senso politico me lo aveva fatto puzzare di fasciume, tanto è vero che mi è arrivato da una persona di csx completamente ignara della cosa. Sta di fatto che secondo me non è classificabile tout court come una roba di FN, ma è una roba più composita e complessa probabilmente eterodireta da FN e settori di Confindustria. Dentro ci sono bottegai di ogni sorta, con orientamenti politici molto vari che vanno dal fascismo di FN all’indipendentismo triestino a forme strane di populismo radicale come AgiamoAdesso (quando dicono ossessivamente “Noi siamo il popolo” mi ricordano quasi il “Noi siamo i Borg. Le vostre peculiarità biologiche e tecnologiche saranno assimilate. La resistenza è inutile.” di Star Trek)una sorta di melma piccoloborghese fascioide e populista che va a pescare a strascico nel mare della confusione, dello scoramento e della frustrazione dovuti alla situazione di isolamento e di abbandono che sentono in molti. Spero vivamente che l’iniziativa che abbiamo messo su per il primo maggio aiuti a dare un senso più costruttivo e consapevole alla situazione che stiamo vivendo
Il frame “noi siamo il popolo” ricorre anche nella chat telegram nazionale che invocava manifestazioni il 25 e nelle sue costole locali. La composizione è strana ed eterogenea a non sembrano chat di forza nuova o neofascisti, comunque presenti e moderatamente attivi in chat. Il sentimento dominante è l’insoddisfazione e la sfiducia nei confronti del governo, le analisi spaziano dal complottismo (a base soprattutto Q Anon) a tentativi di controinformazione. Provano a organizzare altre manifestazioni la data che ricorre più spesso è il 2 giugno in supporto al generale Pappalardo. Scrivo di getto dal telefono, se l’argomento interessa provo ad approfondirlo meglio.
A proposito di QAnon, nell’aprile 2019 ho svolto una lezione di due ore sull’argomento all’Università Roma 2 (Tor Vergata), nell’ambito del mio corso di Giornalismo culturale, che ho tenuto solo per lo scorso anno accademico.
Avevo caricato il video in due parti sul canale YouTube della Wu Ming Foundation, oggi abbandonato dopo che abbiamo fatto degoogling. Erano video «unlisted», reperibili solo da studentesse e studenti del corso. Visto che in questa fase QAnon è tornato a far parlare di sé, beh, tanto vale segnalarli. Eccoli:
Il caso QAnon – prima parte
Il caso QAnon – seconda parte
Oggi l’ USB-Trieste ha smentito (preso le distanze da) l’adesione di alcune strutture di fabbrica a questa presunta manifestazione. In compenso il piccolo dà ampio risalto a questo pseudo-evento, che di fatto è nato su facebook ma dal virtuale rischia di spostarsi nel reale grazie alla cinghia di trasmissione dei quotidiani locali, online e cartacei.
Ormai siamo immersi in una sorta di schizofrenia reazionaria. Sembra ci sia un certo sadismo nel reiterare ordinanze senza senso. In Campania ultimo esempio in ordine di tempo: secondo l’ordinanza numero 39 del 25 aprile al punto 6 si stabilisce che con decorrenza dal 27 aprile 2020 e fino al 3 maggio 2020 […] è consentito svolgere individualmente attività motoria all’aperto, ove compatibile con l’uso obbligatorio della mascherina in prossimità della propria abitazione, e comunque con obbligo di distanziamento di almeno due metri da ogni altra persona- salvo che si tratti di soggetti appartenenti allo stesso nucleo convivente- nelle seguenti fasce orarie: 6,30-8,30/ 19,00-22,00. L’ora x scatta all’alba di lunedì 27 aprile anno covid 2020. I Runners si riversano sul * lungomare liberato* consistente in un ampia area di fascia costiera lunga oltre 3 chilometri completamente pedonalizzata.Si mantengono le distanze di minimo 2 metri gli uni dagli altri, molti hanno le mascherine, non ci sono assembramenti nel senso che non si vedono capannelli di persone ferme. Le immagini riprese dagli inviati di repubblica & co vengono riproposte su molti quotidiani e il tam tam si amplifica sui social. Fino a giungere all’attenzione del lider maximo della regione che da buon pater familiae scatena la punizione nei confronti dei suoi figli indisciplinati. Martedì 28 aprile con una nota di chiarimento si precisa che:”consentendo l’ordinanza in menzione esclusivamente di svolgere individualmente attività motoria all’ aperto ove compatibile con l’uso obbligatorio della mascherina, non risulta permesso svolgere attività di corsa, footing , jogging in quanto dette attività sono incompatibili con l’ uso della mascherina perche pericolose ove svolte con copertura di naso e bocca e tenuto conto che chi esercita tali attivita emette micro goccioline di saliva ( droplet) potenziali fonti di contagio.” Si potrà passeggiare però. Grazie al caxxo,!
Eppur si muove!
Prima dei fasci come riportato da Tuco a Trieste ci si mobilita per il primo maggio. Sarà per forza di cose una sorta di mobilitazione ” diffusa”, ma perfettamente legale dato che si va a inserire nelle pieghe di ciò che è consentito fare. Era proprio quello che avevo auspicato in un diversi commenti qualche tempo fa. L’appello sta già girando e domani sarà pronto l’evento sui social. Spero che serva da esempio anche per altre realtà.
Venerdì sarà il 1° maggio: invitiamo tutte e tutti a scendere in strada per la propria passeggiata, dalle ore 11, con un cartello o un altro messaggio visibile: vogliamo riprenderci lo spazio fisico, riconoscerci seppur distanziati e rompere l’isolamento del virtuale.
L’emergenza e la crisi che stiamo attraversando hanno reso ancora più evidenti le profonde ingiustizie di una società in cui il 5% più ricco della popolazione possiede quanto il 90% più povero (in pratica, hanno più soldi di tutti noi messi assieme). I soldi ci sono.
LA NOSTRA SALUTE VIENE PRIMA DEI LORO PROFITTI: esigiamo sicurezza sul lavoro e reali tutele sanitarie.
BASTA CON LE PRIVATIZZAZIONI: pretendiamo servizi sociali e sanitari territoriali gratuiti e per tutt*.
NON SIAMO TUTT* SULLA STESSA BARCA, CHE LA CRISI LA PAGHINO I RICCHI: vogliamo salari dignitosi e un reddito di quarantena per chi è a casa, si trovino i soldi tassando i grandi patrimoni.
RISPETTIAMO I DIRITTI DI BAMBIN* E RAGAZZ*: per un reale diritto all’istruzione vogliamo investimenti e soluzioni, non scaricabarile sulle famiglie e sulle donne
BASTA CON L’ARBITRIO DELLE FORZE DELL’ORDINE: no alla colpevolizzazione dei comportamenti individuali e dei movimenti sociali e solidali
Invitiamo chi vuole e può a passare a lasciare una testimonianza in Campo San Giacomo, luogo storico di partenza del corteo del Primo Maggio.
Rete triestina per il 1°maggio 2020
EVVIVA:) io aggiungerei: LAVORARE TUTTI/E,LAVORARE MENO! RIDUZIONE DELLO STIPENDIO A PARITÀ DI SALARIO, agganciare gli stipendi al loro potere d’acquisto e sostituirei reddito di quarantena con reddito di base, c’è già un bel movimento in tal senso con bin e altri. Partiamo all’attacco e non rimaniamo sulla difensiva, in fondo lo sappiamo che le crisi son di sistema e questo non è che un episodio. È il primo maggio, giornata di lotta istituita più di 100 anni fa come giorno di lotta dei lavoratori per la riduzione dell’orario di lavoro e trovo la cosa più che attuale. Nel commercio si lavorerà ad orari ridotti per chissà quanto e rispondono con casse straordinarie (se e quando arriveranno) e poi? Questa crisi la pagheremo noi lavoratori. È il momento di presentare il conto, prima che lo facciano loro: RIDUZIONE DELL’ORARIO DI LAVORO A PARITÀ DI SALARIO, REDDITO DI BASE.
[…] La «diffusione di pratiche anti-infettive condivise», ovvero una responsabilità che ci si assume nei confronti di sé e degli altri, modulata in base al contesto e fatta di prassi concrete, si trova agli antipodi del tipo di «responsabilità individuale» che viene costantemente evocata dall’inizio di questa crisi, fondata invece sul rispetto «responsabile» di norme spesso prive di ogni ratio, come – ne parlano ancora una volta i Wu Ming nella postilla qui sotto – l’obbligo di mascherina all’aperto o il divieto di sport individuale). […]
Su Alpinismo Molotov, raccolta di testimonianze sul 25 aprile e le «resistenti evasioni» avvenute quel giorno.
«Ci volevano chiuse e chiusi in casa, anche nella giornata della Festa della liberazione dal nazifascismo. L’invito era ai festeggiamenti “virtuali”, il massimo concesso – per chi poteva accedere a un balcone (un balcone! Come non associarlo, il 25 aprile, a quello di piazza Venezia a Roma, altare del verbo fascista durante il Ventennio?) – l’esposizione del tricolore, l’intonazione di Bella ciao.
Ma l’occasione ha fatto fremere i corpi e tremare le gambe…»
http://www.alpinismomolotov.org/wordpress/2020/04/29/25-aprile-2020-resistenti-evasioni-prima-puntata/