di Wu Ming
[English translation here – Traducción en castellano aquí – Tradução em português aqui – Deutsche Übersetzung hier.]
Tra le misure prese durante quest’emergenza, il divieto di assistere ai funerali è una delle più disumanizzanti.
In nome di quale idea di «vita» si sono prese queste misure? Nella retorica dominante in queste settimane, la vita è ridotta quasi interamente alla sopravvivenza del corpo, a scapito di ogni altra sua dimensione. In questo c’è un fortissimo connotato tanatofobico (dal greco Thanatos, morte), di paura morbosa del morire.
La tanatofobia permea la nostra società da decenni. Già nel 1975 lo storico Philippe Ariès, nel suo caposaldo Storia della morte in occidente, constavava che la morte, nelle società capitalistiche, era stata «addomesticata», burocratizzata, in parte deritualizzata e separata il più possibile dal novero dei vivi, per «evitare […] alla società il turbamento e l’emozione troppo forte» del morire, e mantenere l’idea che la vita «è sempre felice o deve averne sempre l’aria».
Nell’arrivare a ciò, proseguiva, era stato strategico «lo spostamento del luogo in cui si muore. Non si muore più in casa, in mezzo ai familiari, si muore all’ospedale, da soli […] perché è divenuto sconveniente morire a casa». La società, sosteneva, deve «accorgersi il meno possibile che la morte è passata». Ecco perché molti rituali legati al morire erano ormai ritenuti imbarazzanti e in fase di dismissione.
Già prima dello stato d’emergenza che stiamo vivendo, la ritualità legata al morire era stata ridotta al minimo. Per questo ci hanno sempre colpito così tanto le manifestazioni di un suo riemergere. Si pensi al successo mondiale di un film come Le invasioni barbariche di Denys Arcand.
Quarantacinque anni fa Ariès scriveva: «nessuno ha più la forza o la pazienza di attendere per settimane un momento [la morte, NdR] che ha perduto parte del suo significato». E di cosa racconta il film canadese del 2003 se non di un gruppo di persone che attende per settimane – in un contesto di convivialità e riemergente, laica ritualità – la morte di un amico?
Otto anni fa ci impegnammo, insieme a molte altre persone, a costruire un ambito di convivialità e laica ritualità intorno a un caro amico e compagno, Stefano Tassinari, nelle settimane che precedettero e nella cerimonia che seguì la sua morte. Molto del nostro interrogarci su questo tema risale ad allora.
Se la ritualità legata al morire era già ridotta al minimo, col divieto di assistere al funerale di un proprio caro è stata annichilita.
Già il 25 marzo scorso linkammo la bella lettera di un parroco del reggiano, don Paolo Tondelli, sgomento per le scene a cui gli toccava assistere:
«Così mi trovo davanti al cimitero, con tre figli di una madre vedova morta da sola all’ospedale perché la situazione attuale non permette l’assistenza dei malati. Loro non possono entrare al cimitero, i provvedimenti presi non lo permettono. Così piangono: non hanno potuto salutare la madre quando ha smesso di vivere, non possono salutarla neanche ora mentre viene sepolta. Ci fermiamo al cancello del cimitero, per strada, dentro di me sono amareggiato e arrabbiato, mi viene un pensiero forte: neanche un cane viene portato così alla sepoltura. Credo si sia un attimo esagerato nell’applicare le norme in questo modo, stiamo assistendo a una disumanizzazione di momenti imprescindibili della vita di ogni persona, come cristiano, come cittadino non posso tacere […]
Mi dico: stiamo cercando di difendere la vita, ma stiamo rischiando di non salvaguardare il mistero che ad essa è legato.»
«Mistero» che non è prerogativa della fede cristiana o di una sensibilità religiosa, che non coincide per forza con il credere nell’anima immortale o che altro, e sul quale ci interroghiamo tutte e tutti: cosa significa vivere? E, aggiungiamo, cosa distingue il vivere dal semplice tirare avanti o dal semplice non-morire?
Detto questo, chi è credente e osservante ha vissuto la sospensione delle cerimonie legate al culto – messe funebri comprese – come un attacco alla propria forma di vita. Non a caso, tra gli esempi di organizzazione clandestina di cui abbiamo reso conto nelle discussioni di questi giorni, c’è la prosecuzione catacombale della vita pubblica cristiana.
Abbiamo testimonianze dirette sul fatto che in molte parrocchie i fedeli hanno continuato a seguire la messa, nonostante i cartelli sui portoni dicessero che erano sospese. Il “nocciolo duro” dei parrocchiani si ritrova lo stesso, nel refettorio del convento, o nella canonica, o in sagrestia e in alcuni casi proprio in chiesa. Venti, trenta persone, richiamate per passaparola. In particolare giovedì scorso, per la Missa in coena Domini.
Lo stesso si può dire per i funerali. Anche in questo caso abbiamo testimonianze dirette di preti che hanno officiato comunque piccoli riti, coi familiari stretti, senza pubblicità.
Nei giorni scorsi, abbiamo raccolto tre tipologie di disobbedienza agli addentellati più stupidi e disumani del lockdown.
Disobbedienze individuali
Il gesto individuale è spesso invisibile ma a volte è vistoso, come nel caso del podista sulla spiaggia deserta di Pescara, braccato dalle guardie per nessun motivo che abbia il minimo fondamento epidemiologico. Un video divenuto virale, con l’effetto di mostrare l’assurdità di certe norme e della loro ottusa applicazione.
Continuare a correre è stato, oggettivamente e nel suo esito, una performance molto efficace, un’azione di resistenza e “teatro conflittuale”. L’aver continuato a correre distingue qualitativamente quell’episodio dai molti altri che abbiamo riportato su Giap, che sono “solo” testimonianze di repressione. Come ha scritto Luigi Chiarella «Yamunin», il video fa tornare alla mente
«un passaggio di Massa e Potere di Elias Canetti sull’afferrare, che è sì un gesto della mano ma anche e soprattutto è “l’atto decisivo del potere là dove esso si manifesta nel modo più evidente, dai tempi più remoti, fra gli animali e fra gli uomini”. Più avanti dice ancora – e qui arriva la parte pertinente all’episodio del runner – che “vi è tuttavia un secondo atto di potere, certo non meno essenziale anche se non così fulgido. A volte si dimentica, sotto la grandiosa impressione suscitata dall’afferrare, l’esistenza di un’azione parallela e pressoché altrettanto importante: il non lasciarsi afferrare.” Il video […] mi ha ricordato quanto potente e liberatorio sia non lasciarsi afferrare. Poi non dimentico che se si fugge lo si fa per tornare con nuove armi, però intanto c’è da non lasciarsi afferrare.»
Disobbedienze di gruppo clandestine
Sono quelle praticate, appunto, dai parrocchiani che si organizzano per andare a messa di nascosto, dai familiari di un caro estinto che si mettono d’accordo col parroco per officiare comunque un rito funebre… ma anche dai collettivi che continuano in un modo o nell’altro a fare riunioni, dalle band che continuano a fare le prove, e dai genitori che si organizzano insieme a un’insegnante per recuperare i libri di scuola dei figli. È un episodio accaduto in una città emiliana, che abbiamo raccontato qualche giorno fa.
Per recuperare i libri di una prima elementare rimasti a scuola per tutto l’ultimo mese, una maestra ha raggiunto l’istituto, portato fuori i libri nascosti in un carrellino della spesa, e li ha affidati a due genitori che vivono rispettivamente nei pressi di un fornaio e di un minimarket, così che gli altri genitori potessero recarsi a prenderli con la “copertura” dell’acquisto di generi alimentari, scongiurando eventuali multe. I libri sono stati consegnati ai singoli genitori calandoli con una corda da un balconcino e ficcati nelle buste della spesa o tra i filoni di pane, come fossero bombe a mano per la Resistenza. Così quei bambini potranno almeno seguire il programma sul libro con la maestra in telelezione e i genitori potranno avere un supporto all’inevitabile homeschooling.
Dopo una fase di shock in cui prevalevano obbedienza incondizionata e colpevolizzazione reciproca, settori di società civile – e addirittura “interzone” tra istituzioni e società civile – si stanno riorganizzando «in clandestinità». In questo riorganizzarsi è implicito che certe restrizioni siano ritenute incongrue, irrazionali, indiscriminatamente punitive.
Inoltre: all’inizio dell’emergenza le chat di genitori erano, in generale, tra i peggiori focolai di panico, cultura del sospetto, messaggi vocali tossici, inviti alla delazione. Il fatto che adesso alcune di esse siano usate per aggirare divieti deliranti – perché mai una maestra non dovrebbe poter recuperare i libri di testo rimasti in classe? perché per prelevare quei libri un papà o una mamma devono ricorrere a sotterfugi, taroccare l’autocertificazione ecc.? – è l’ennesima riprova che il “mood” è cambiato.
Disobbedienze di gruppo provocatorie
Rientra in questa casistica, per il momento rarefatta, la performance del terzetto riminese – un uomo e due donne – che faceva sesso in luoghi pubblici e metteva on line i video, conditi da insulti alle forze dell’ordine.
Queste ultime se la sono legata al dito, tanto da additare il caso come esemplarmente esecrando sui propri canali social ufficiali.
Cosa mancava, in questa catalogazione? Mancava…
…la disobbedienza di gruppo rivendicata
Una disobbedienza collettiva visibile, non più soltanto clandestina.
Per un momento abbiamo temuto che i primi a metterla in campo fossero i fascisti. Proprio sullo sgomento dei credenti di fronte alla prospettiva di una Pasqua “a porte chiuse” e senza Via Crucis cerca di fare leva Forza Nuova, che a Roma ha diffuso volantini convocando per domani, domenica 12, una processione con meta San Pietro. Il tutto accompagnato da motti come «In hoc signo vinces» e «Roma non conoscerà una Pasqua senza Cristo».
Ma non sono stati i fascisti a fare quella mossa. Sono state le compagne e i compagni di Radio Onda Rossa e del movimento romano in genere che stamattina, a S. Lorenzo, hanno salutato Salvatore Ricciardi con quella che, di fatto, è la prima manifestazione politica in strada dall’inizio dell’emergenza.
Salvatore Ricciardi, 80 anni, era un pilastro della sinistra antagonista romana. Ex-detenuto politico, per moltissimi anni si è occupato di carcere, lotte nelle carceri e condizioni dei carcerati. Lo ha fatto in alcuni libri e in innumerevoli trasmissioni su Radio Onda Rossa, che ieri gli ha dedicato un commovente speciale in diretta di quattro ore, e ha continuato a farlo fino a pochi giorni fa, sul suo blog Contromaelstrom, scrivendo di prigionia e coronavirus.
Sugli eventi di stamattina si leggono già titoli di condanna sulla stampa mainstream. Una cronaca precisa, accompagnata da importanti valutazioni, si può ascoltare in questa telefonata di una redattrice di Radio Onda Rossa:
Telefonata di Cristina di Radio Onda Rossa
Testimonianza rilasciata poche ore fa a Radio Onda d’Urto di Brescia.
Tra le altre cose, la compagna fa notare: «qui ci stanno file chilometriche davanti ai macellai, da giorni e giorni, e manco i morti si possono salutare? […] Siamo all’aria aperta, a Roma non c’è l’obbligo della mascherina e molti avevano la mascherina, erano poche persone»… eppure la polizia ha minacciato l’uso del cannone ad acqua per disperdere un rito funebre. La parte del rione in cui si è svolta la sediziosa adunata è stata chiusa e i presenti sono stati identificati.
Di scene surreali, durante quest’emergenza, ne abbiamo viste molte – oggi, per fare solo un esempio, un elicottero si è alzato in volo, sprecando palate di soldi pubblici, per cacciare da una spiaggia siciliana un singolo cittadino che passeggiava – ma l’apice di stamattina non si era ancora toccato.
Da parte nostra, chapeau e solidarietà a coloro che hanno corso e stanno correndo grossi rischi pur di rivendicare il proprio diritto di vivere insieme – nello spazio pubblico che hanno sempre attraversato coi loro corpi e riempito con le loro vite – il dolore e il lutto per la perdita di Salvo, ma anche la felicità di averlo avuto come amico e compagno.
«Perché i corpi torneranno a occupare le strade.
Perché senza i corpi non c’è Liberazione.»
Così scrivevamo ieri, pubblicando il Canto del campo di el-‘Aqila. Ribadiamo la nostra convinzione: succederà. E lo teme anche il governo: sarà un caso che proprio oggi la ministra Lamorgese metta in guardia contro «focolai di espressione estremistica»?
Nella sua telefonata, la redattrice di ROR dice che l’attuale situazione, in buona sostanza, potrebbe durare un anno e mezzo. Chi sta al potere vorrebbe fosse un anno e mezzo senza la possibilità di protestare. Sono pronti a usare strumentalmente le norme sanitarie per impedire proteste e lotte collettive. Gestire la recessione con i diritti civili sub iudice è l’ideale per chi governa.
Disobbedire a norme assurde è giusto
Facciamo notare ancora una volta che, mentre si tiene una popolazione agli arresti domiciliari, si impediscono funerali, si vieta de iure o de facto di prendere una boccata d’aria – quasi un unicum in tutto l’occidente, su questo ci segue solo la Spagna – e si colpevolizzano singole condotte come correre, uscire «senza motivo», fare «troppe volte» la spesa… Mentre si tiene in piedi questo spettacolino, l’Italia è il paese europeo con più alto tasso di mortalità da Covid-19. Con buona pace di chi ha straparlato di un «modello Italia» che gli altri paesi vorrebbero imitare.
Chi è responsabile di un tale sfascio? Rispondere non è così difficile: chi non ha stabilito per tempo un cordone sanitario intorno ad Alzano e Nembro perché il padronato non voleva; chi ha infettato gli ospedali con una serie impressionante di errori; chi ha trasformato RSA e case di riposo in luoghi di morte di massa per coronavirus. E anche chi, mentre accadeva tutto questo, ha dirottato l’attenzione su autentiche scemenze e comportamenti innocui, additando capri espiatori. Queste sì, sono state condotte colpevoli, criminali.
Ovunque nel mondo l’emergenza coronavirus è un’occasione d’oro per restringere gli spazi di libertà, regolare conti con movimenti sociali sgraditi, trarre profitti dai comportamenti a cui la popolazione è costretta, operare ristrutturazioni a danno dei più deboli ecc.
In Italia, come sovente accade, a tutto questo si aggiunge un surplus di vaneggiamenti.
L’eccezionalità del nostro “modello” di gestione dell’emergenza sta nel completo ribaltamento della stessa logica scientifica. Perché un conto è imporre – con le buone (Svezia) o con le cattive (un altro paese a caso) – il distanziamento fisico, necessario a ridurre le possibilità di contagio; un altro è blindare la popolazione nelle proprie abitazioni e impedirle di uscire se non per motivi comprovabili al cospetto delle autorità di polizia. Il salto da una cosa all’altra si è imposto insieme all’idea – infondata – che “al chiuso” si sia al sicuro dal virus, mentre “all’aperto” si sia minacciati.
Tutto quel che sappiamo di questo virus ci dice esattamente l’opposto, ovvero che le probabilità di contrarlo all’aperto sono inferiori, e se si mantiene il distanziamento addirittura quasi nulle, rispetto agli ambienti chiusi. In base a quest’ovvietà, la stragrande maggioranza dei paesi coinvolti dalla pandemia non solo non ha ritenuto necessario impedire alle persone di uscire all’aria aperta – tuttalpiù ha limitato il raggio di tale possibilità, come in Francia –, ma in certi casi lo consiglia proprio.
In Italia il suddetto raggio è, nella migliore delle ipotesi, di duecento metri dalla propria abitazione, ma ci sono comuni e regioni che lo hanno ridotto a zero metri. Per chi vive in città, un raggio del genere equivale facilmente a mezzo isolato di strade d’asfalto, per altro molto più affollabili di uno spazio aperto fuori città, se fosse dato raggiungerlo. Per chi vive in campagna, invece, o in aree scarsamente popolate, un raggio di duecento metri è altrettanto assurdo, dato che la probabilità di incontrare qualcuno e doverlo avvicinare è infinitamente più bassa che in un centro urbano.
Non solo: abbiamo visto che pochissimi paesi hanno introdotto l’obbligo di giustificare tramite autocertificazione, esibizione di scontrini della spesa, calcolo della distanza da casa tramite Google Maps, la propria presenza all’aperto. Anche questo è un passaggio importante: significa mettere la cittadinanza alla mercé delle forze dell’ordine.
Abbiamo registrato casi di persone ipertese, con tanto di prescrizione medica che raccomandava il moto quotidiano per motivi di salute, multate per €500; oppure di persone multate perché passeggiavano con la compagna incinta, alla quale il medico aveva raccomandato di camminare. L’elenco di abusi e idiozie sarebbe lungo, qui su Giap ne abbiamo collezionati davvero tanti.
L’incertezza giuridica, l’arbitrio delle forze dell’ordine, la limitazione illogica di comportamenti nient’affatto pericolosi, sono tutti elementi essenziali dello stato di polizia.
Dover rispettare una norma illogica, irrazionale, è l’esercizio d’obbedienza e sottomissione per antonomasia.
Non sarà mai «troppo presto» per ribellarsi a quest’obbligo.
Bisogna farlo, perché dopo non sia troppo tardi.
Le dichiarazioni della ministra dell’interno erano piuttosto esplicite, l’immediata applicazione di misure repressive sproporzionate a un fatto tutto sommato minimo e per nulla conflittuale (se non in termini simbolici) come quello di Roma è una conferma. Inquietante ma non sorprendente.
Intanto avrete visto la reazione del “governatore” Fontana alla parziale riapertura varata dal governo. Fomtana e Gallera, quelli che “non si poteva dichiarare la zona rossa a livello regionale” o che “bisognava comunque aspettare che lo facesse il governo”. Le librerie non potranno riaprire, ma i libri potranno essere acquistati – stabiliscono nell’ordinanza, bontà loro – negli ipermercati e tramite le piattaforme di acquisto online. Naturalmente fabbriche, logistica, call center, ecc. lavorano a pieno regime. Giusto per non far capire a chi risponda la classe dirigente lombarda. E fosse solo quella lombarda!
A Trento non puoi portare l’immondizia all’isola ecologica che sta a cinquanta metri dal portone di casa senza indossare la mascherina (da solo, all’aperto), ma in Sardegna possono ricominciare le esercitazioni militari (i missili sono meno pericolosi del virus, si sa, anche se costano un po’ più di un tampone e pure di un macchinario ospedaliero).
In compenso le sardine, Farinetti e PD, “a reti unificate”, allestiscono un meraviglioso coro propagandistico a favore del prelievo forzoso da tutti i conti correnti. La patrimoniale che colpisce tutti indistintamente e salva i veri patrimoni, alla faccia della progressività del prelievo fiscale e di altre elementari ragioni sociali e politiche. Complimenti.
Che dire? Ragionare, usare proficuamente il senso critico e condividere idee e propositi è indispensabile; non solo per capire meglio, per trovare contromisure efficaci, possibilmente collettive, ma anche per evitare che lo sconforto e – prima o poi – anche la rabbia si trasformino in gesti sconsiderati, in azioni di pura e semplice disperazione. O peggio, visto che fasci e altro ciarpame politico assortito non vedono l’ora di approfittare della situazione.
Non sarà facile venirne fuori bene.
“Mentre si tiene una popolazione agli arresti domiciliari […]l’Italia è il paese europeo con più alto tasso di mortalità da Covid-19. Con buona pace di chi ha straparlato di un «modello Italia» che gli altri paesi vorrebbero imitare.”
Questo è uno degli aspetti irritanti di tutta questa vicenda. Devo ascoltare l’inno (più volte) ad ogni spesa al supermercato, devo vedere nei vari TG che la più alta espressione di civismo è diffondere musica (meglio se il “vincerò” del nessun dorma) dal proprio balcone (pratica che fino ad un mese fa era vista come alta espressione di rompimento di…), devo leggere e sentire di medici e infermieri morti vittime del SSN sfasciato che diventano vittime del COVID. Insomma, devo sentire la retorica patriottica (patriottarda?) del quanto siamo più bravi degli altri e di quanto gli altri ci prendono a modello quando invece i numeri, l’evidenza, ci dicono che semplicemente non è vero, che gli altri (non tutti, ma la maggior parte) hanno fatto e fanno meglio di noi (Norvegia, Germania, Taiwan, Francia, Svezia, e l’elenco potrebbe continuare).
L’impressione è che le misure draconiane e irrazionali siano un paravento per mascherare la pochezza del nostro sistema che non è in grado di fare sufficienti tamponi, non è in grado di processarli, non è in grado di fare serie indagini epidemiologiche (e chi le fa viene oscurato dai Burioni), non è in grado di intervenire tempestivamente, non è in grado di coordinare 20 sistemi sanitari regionali e 8000 ordinanze sindacali quotidiane.
Forse, oltre alla convenienza politica che il sistema ha nel costringere “all’esercizio d’obbedienza e sottomissione”, c’è anche questo, c’è anche la necessità di non farci sapere, e non far sapere agli altri, che il modello Italia ha le pezze al culo.
Il 28 febbraio avevo lasciato su giap questo commento, che ripropongo tale e quale, perché oggi, vedendo il video del funerale di Ricciardi a Roma, sotto quel cielo, con quei muri di mattoni, e con gli slogan che rimbombavano liberi nelle strade, ho capito fino in fondo quel che stavo dicendo 40 giorni fa.
https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/02/diario-virale-2/#comment-33983
C’è una scena in “Pat Garrett and Billy the kid” che per me è la scena più bella, del film più bello che sia mai stato girato. E’ la scena dell’evasione di Billy dalla prigione di Lincoln. Billy, nel cesso, trova sotto la paglia una pistola che qualche compagno ha lasciato lì per lui. Mentre viene riportato in cella, spara all’aiutante dello sceriffo con la pistola, e subito dopo, con un fucile caricato a monete, al vicesceriffo (keep change, bob), un fanatico religioso che poco prima l’aveva picchiato a sangue in nome di Gesù. Lo sceriffo Pat Garrett è lontano, da qualche parte a leccare i piedi di Chisum e dei boss del cartello di Santa Fè. Per una manciata di minuti Billy è padrone assoluto della città. Il tempo è sospeso, Billy si fa sellare un cavallo, fa rifornimento di munizioni, e si allontana verso il deserto mentre i cittadini di Lincoln lo lasciano fare impauriti, e i suoi compagni in camuffa sorridono tra sè e sè. Ecco, dedico questa scena a chi fugge dal disciplinamento.
Cerco di dire due parole sulla questione funerali: secondo me la mancanza della possibilità di dare l’ultimo saluto (religioso o laico che sia), aggraverà ancora di più le condizioni psicologiche di chi rimane (sia i parenti e amici dei morti di COVID ma anche di tutti gli altri morti). Mi vengono in mente i “dispersi” in guerra o in catastrofi, insomma tutte quelle situazioni nelle quali la ritualità dell’ultimo saluto è preclusa. Quando è mancata mia mamma 7 anni fa, il funerale è stato uno dei momenti nei quali ho trovato più conforto proprio dalla vicinanza delle persone (anche persone che magari non vedevo da molto tempo). Dopo, ci ho messo più di un anno a venirne fuori. Il fatto che la nostra società ti porti a ridurre al minimo il periodo di lutto “tollerato”, non fa altro che causare depressione e altri problemi .È impensabile che dopo 3 giorni uno posso tornare al lavoro e fare come se non fosse successo niente. Io mi ricordo che nei mesi successivi non avevo voglia di lavorare né di fare alcunché, vivevo ma non provavo interesse verso nulla. Bisognerebbe parlare molto di più della morte, del dolore che ciò comporta, e riappropriarsi del diritto di soffrire (anche per un lungo periodo) per la morte dei propri cari.
Vedere il video del funerale mi ha commosso, in più oggi sono anche triste per brutte notizie ricevute e l’unica possibilità che ho avuto per dare conforto è stata una video chiamata .
Questa cosa dei corpi separati è dolorosissima, noi siamo animali sociali, abbiamo bisogno di contatto umano,di stare insieme.
Scusate lo sfogo un pò confuso, e grazie per lo spazio che offrite a tutti.
Ciao Salvo.
Premetto che non ho mai lanciato nessuna maledizione in vita mia. Non che pensi di possedere poteri occulti, è che proprio non mi appartiene. Nel mio dialetto la maledizione si chiama “ frastimu”ed alcuni di questi “frastimos” sono anche divertenti se vogliamo. Però no, non sono solita usarli. Se non in un contesto bonario. Stamane però mentre ascoltavo ( ancora) il rumore dell’elicottero dei carabinieri mi chiedevo come sia possibile che si stiano spingendo così oltre, senza ritegno. Ho pensato: “ vorrei che cadesse, senza morti, senza feriti gravi, ma che cadesse”. Lo so, non è in pensiero nobile, ma mi esaspera questo schiaffo quotidiano alla nostra libertà. Temo vogliano provocare una reazione. Non trovo altra spiegazione perché qui da me c’è davvero pochissimo movimento. E il territorio è poco esteso, si può presidiare senza bisogno di impiegare mezzi che comportano notevole spreco di denaro pubblico. Ci sono famiglie che non hanno neppure soldi per la spesa, qui la situazione occupazionale è già tragica di per sè e questi si fanno beffe di noi mettendo in campo mezzi che manco se stessero per sgominare il narcotraffico colombiano. Perché negare ai pacifici compagni di Salvo di rendergli un tributo in modo così ordinato e rispettoso? Di nuovo contro ogni logica. É tutto il giorno che mi va in loop nella testa “Liberi tutti” dei Subsonica. Ieri ero in fissa con “Rockin’ in the free world”. Sparpagliate pure tutti i vostri uomini e donne e mezzi, verrà davvero il giorno che ne renderete conto.
una parte di pensiero magico l’ho trattenuta, e mi piace pensare senza ironia che a volte le maledizioni che si tirano attaccano. Non credo i miei pensieri negativi verso tizi o Caio trasmettano chissà quale fluido, però penso magari una persona che quotidie si dimostra pessima possa alla lunga somatizzare ed ecco che si collega la maledizione al mal che coglie il soggetto della…detto questo, io penso questa emergenza possa essere stata usata b
come salvifica boccata d’aria per un sistema capitalistico che ciclicamente, per sua stessa natura, deve aggiustare i conti. Qual’e la prima misura che, irrealisticamente, è stata chiesta dal governo italiano? Altra moneta dall’aria, eurobond. Quale è stata la prima misura del governo americano ancora prima di avere una effettiva emergenza? Creazione di credito dal nulla, trigliardi di dollari che fino al giorno prima non sarebbero stati assolutamente “affordabili”.
La reazione scomposta e violenta quando non nasce dal basso viene addirittura creata ad hoc dai servizi di informazione per la sicurezza, sia nel lasciare agire elementi “deragliati” oppure, non trovandone, creandoli essa stessa, ce lo insegnano piazza fontana o le “primavere” eterodirette.
Il punto secondo me è capire fino a che punto “pensano” di tirare la corda per vedere quando arrivi la reazione. Il 3 maggio prolungheranno ancora le misure: quante persone pensi a quel punto potrebbero essere perseguite nel momento in cui disattendessero le misure? La narrazione imbastita così come è, con la salute di mezzo, è molto difficile da ribaltare, dal rifiuto degli arresti domiciliari forse allora dovremmo spostare la narrativa sulla mancanza di tutta questa emergenza sanitaria dopotutto, ma
Leggevo tempo fa che per far alzare in volo un elicottero si spendano ogni volta circa 700 euro.
È imbarazzante che sperperino tanto denaro e poi chiedano all’Europa aiuti per fronteggiare la crisi. Non si rendono conto di quanto sono ridicoli e farseschi? Oramai governanti grandi e piccoli sono tanto accecati dalla vanità da non vedere più il limite tra legittima difesa (dal virus) e omicidio colposo. E le vittime siano noi. Vittime della loro ottusità e immobilismo. La strategia è questa: tenere tutti segregati imponendo norme fantasiose nell’attesa che qualcuno più illuminato proponga la magica soluzione.
Purtroppo siamo nelle mani delle forze dell’ordine, della loro discrezionalità. l’unica arma che abbiamo è la disobbedienza di massa. Ma Gandhi diceve che finchè la paura alberga nei cuori non è possibile nessuna disobbedienza.Bisognerebbe cercare di scendere in strada per il 25 aprile, come minimo. Ma ognuno, una volta sceso in strada, dovrà essere pronto a subire la repressione. Questa è la regola del gioco.Non credo che sia impossibile nel lasso di tempo a disposizione solleticare l’idea il più possibile, lasciando al singolo ed alla sua coscienza le sue responsabilità. Non credo che festeggiando un 25 aprile in casa ci sia qualcosa da festeggiare.
Leggo stamattina che a Grugliasco (provincia di Torino, un tempo nota come la Stalingrado dell’Ovest) non si è solo in mano alla discrezionalità delle FdO, ma anche alle ronde. Che si preferisce chiamare task force, essendo un termine ormai in voga che vuol dire tutto e nulla, ma fa figo. Ci sono ex carabinieri, ma anche scout e semplici cittadini (la metà) col sindaco che invita altri cittadini a partecipare (quindi a uscire…). Pettorina rossa, tesserino fornito dalla protezione civile e possono controllare autocertificazioni e segnalare infrazioni. Vorrei mettere i link di Repubblica e de La Stampa (dove c’è anche un agghiacciante gioco di parole ronde/rondini), ma sono impedito con archive.net.
Beh, ci sono anche le ronde di bagnini in spiaggia. Non sia mai che qualcuno possa stare di fronte a centinaia di chilometri di acqua e aria aperta, respirare un po’ di ossigeno e iodio… Ci sono da mantenere le distanze di sicurezza. Su un’isola della Croazia qualcuno potrebbe starnutire, chi ci dice che le goccioline non possano arrivare in Romagna? Nonnonnò!
Lo chiamano “controllo di comunità ” http://www.comune.grugliasco.to.it/cat/notizie-dal-comune/item/7408-dall-11-aprile-parte-il-controllo-di-comunita-con-i-cittadini-volontari-che-vigileranno-tutto-il-territorio-grugliaschese-e-segnaleranno-eventuali-violazioni.html
Chissà se questi “cittadini volontari “sanno che ormai un terzo degli anziani della residenza San Giuseppe sono ormai passati a miglior vita.
Qui la notizia ormai di più una di settimana fa diceva che i morti erano 21 su 87
http://www.cinturaovest.it/wp/2020/04/01/grugliasco-morti-21-anziani-su-87-alla-casa-di-riposo-denunce-ai-carabinieri
stamattina leggevo che sono saliti a 30, e pare che anche in Piemonte ci sia stata una delibera che permette di ricoverare pazienti COVID nelle RSA.
https://ilmanifesto.it/residenze-per-anziani-la-delibera-della-vergogna/?fbclid=IwAR2sQz5Krk5Mb0vq-hfnq57f7dNaXf-2HvM_CFHSwd1XpGOlgHb9jiM7f2s
Come lo vogliamo chiamare questo “controllo di comunità” ? Fumo negli occhi ?Specchio per le allodole? Teatrino di chi non sa più dove sbattere la testa, e pur di non ammettere di non sapere cosa fare, e che sarebbe molto più dignitoso dimettersi, tira fuori queste genialate?
Secondo me dovremmo invece capitalizzare sulla possibilità senza precedenti di portarci la nostra liberal petro-democrazia giù nella fossa con tutti i poveri cristi deceduti per la miopia della nostra classe dirigente e gli interessi di classe di un bel pezzo del nostro capitale. Ci dicevano che fermare il sistema è impossibile e che il cambiamento climatico può solo essere negoziato al ribasso: in questi giorni stiamo imparando l’arma di disobbedienza civile più potente che ci sia, lo sciopero del consumo del petrolio. Se sembra una posizione troppo accellerazionista è perché lo è, ma sono confortato dal fatto che anche un pretone come Latour ora parli di gesti-barriera contro il ritorno alla petro-normalità, di cui il nostro attivismo è spesso purtroppo complice.
Per puro caso e cercando altro in rete mi sono imbattuto in questo stralcio di Benvenuti nel deserto del reale di Slavoj Zizek, libro che non ho letto peraltro, ma il pezzo anche decontestualizzato mi ha fulminato per la sua attualità e mi ha dato un brivido:
“Un imprevisto precursore della biopolitica paralegale in cui provvedimenti di tipo amministrativo stanno poco alla volta sostituendo il ruolo della Legge, è stato il regime autoritario di Alfredo Stroessner nel Paraguay negli anni Sessanta e Settanta, che ha portato la logica dello stato di emergenza a un livello di incomparabile assurdità. Durante il regime di Stroessner il Paraguay era – dal punto di vista del sistema costituzionale – una “normale” democrazia parlamentare che garantiva tutte le libertà. Dato però che (come sosteneva Stroessner) viviamo tutti in una situazione d’emergenza a causa della battaglia mondiale tra libertà e comunismo, la piena attuazione della costituzione venne procrastinata all’infinito e si proclamò un permanente stato d’emergenza, che veniva sospeso solo per un giorno ogni quattro anni, il giorno delle elezioni, di modo che potesse avere luogo una libera competizione elettorale, che legittimava il governo del partido colorado di Stroessner con una maggioranza del novanta percento, degna di tanta opposizione comunista… L’aspetto paradossale era che lo stato d’emergenza era la condizione normale, mentre le “normali” libertà democratiche erano l’eccezione realizzata solo per un tempo brevissimo…”
Del video del runner è stata fatta una “versione musicale” che trasforma l’ introduzione nella colonna sonora trionfale di Rocky, credo. L’ effetto della colonna sonora regala al solitario ribelle la palma della ” vittoria” morale.
Nel saluto a Salvo,le parole che mi risuonano in testa sono: ” e se la polizia nun ce lascia in pace…risponderemo dalle barricate”. Più o meno.
Del canto dal campo di El Aqila le parole in cui mi riconosco di più sono: non ho altra malattia che l’ infinita attesa
La mia dignità offesa
Nel post, qui sopra, si ricostruisce in un climax un percorso di disobbediente resistenza: individuale, di gruppo clandestina, provocatoria, rivendicata. E le parole di Wu ming 4 esprimono e sottolineano il paradosso di questa situazione:
Rispettare una norma illogica, irrazionale, è l’ esercizio di obbedienza e sottomissione per antonomasia.
Ognuna di queste fasi della disobbedienza deve, prima o poi, confluire in quella di gruppo rivendicata per ottenere un risultato.
Come padre separato proprio in questo weekend pasquale vivo una personale inaudita conseguenza del lockdown: anche mia figlia di 13 anni rifiuta di incontrarmi senza che indossi la mascherina e all’interno del mio appartamento pretenderebbe anche il distanziamento sociale. E’ uno dei tanti virus collaterali generati da questo clima di terrore, frutto di decisioni ottuse e scellerate. Personalmente lo vivo come un dramma perchè è uno strappo che colpisce le comunicazioni con gli affetti più cari, ed è solo uno degli esempi- magari meno gravi- di disagi e frustrazioni all’interno dell’aggregazione famigliare, nucleo delle basilari interazioni umane.
Intanto, a proposito di carcere, ci segnalano gravissime violenze contro i detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere.
Sono stordita, ogni volta che apprendo di queste situazioni non riesco ad avere reazioni, mi spaventa non riuscire a provare neppure rabbia
, solo dolore e lacrime. Questo non è il paese in cui voglio vivere. Non é il paese in cui si possa desiderare di crescere dei figli. Mi disgustano questi striscioni ai balconi, la retorica ripugnante fatta di slogans, lo stare uniti ma lontani, non abbracciarci oggi per abbracciarci domani, non passeggiare oggi per passeggiare domani. Però pestare, colpire, abusare del potere OGGI, tutto ciò non si ferma. Questa mattanza non è un caso isolato e la Diaz non è bastata agli italiani che in questo momento celebrano la Pasqua ai fornelli sorridendo e ringraziando di essere sani, di non avere la tosse, la febbre. Tutto si riduce a questo. I parametri vitali a posto, le sinapsi appiattite in un abbrutimento senza eguali.
Temo che purtroppo il primato della prima manifestazione pubblica nonostante le norme del “distanziamento sociale” resti alla destra razzista e non ai/compagni/e di radio onda rossa (senza nulla togliere al valore della loro manifestazione).
Se noi non troviamo nelle nostre ragioni politiche l’urgenza d’esprimerle, non potremo che constatare che la destra razzista, fascista, autoritaria, è più politica di noi, che corre dei rischi per affermare i suoi contenuti.
Non voglio deprimere nessun*… è una riflessione sul grado complessivo di politicizzazione dei movimenti.
«Roma, blocco anti-immigrati a Nettuno, saranno tutti sanzionati»
Come si fa a continuare a cucinare manicaretti, come si fa a ricevere continui messaggi di buone feste, come si fa a continuare a sorridere ai propri figli, come se niente fosse, come se loro non fossero persone.
Come si fa a non pensare che sono l’immagine amplificata di noi tutti chiusi in casa, la proiezione incarnata e malmenata del nostro futuro? Come si fa a non essere terrorizzati per noi “fuori” e disperati per loro “dentro”? Veramente non riesco a pensare a nulla di buono in questo momento, neanche guardando i miei figli riesco ad immaginare un futuro che non assomigli a una distopia nera e piovosa.
Non bisogna lasciarsi abbattere, se pensassimo che il futuro è solo nero e non si può far niente al riguardo non staremmo facendo tutto ‘sto lavoro di inchiesta, informazione, confronto, affinamento di prassi possibili… È verissimo che la valanga di mail e messaggi di auguri ha quasi sempre un effetto deprimente o comunque altamente smaronante… ma ce l’aveva anche prima dell’emergenza, a Natale ancor più che a Pasqua. E possiamo anche vederci un residuo ormai degradato di ritualità, e in questi giorni il desiderio di ri-strutturarsi un tempo, di mantenere punti di riferimento contro l’anomia, di non avere il calendario “normale” sostituito in toto dal calendario dell’emergenza.
E’ così. Non sempre gli auguri per le feste sono rituale vuoto. Ho appena ricevuto un messaggio di buona pasqua dalla donna che due anni fa assisteva mio padre, malato terminale. Sarei ipocrita e anche stronzo se dicessi che non mi ha commosso. Io sono ateo e anticlericale, tiro giù un porco ogni tre parole perché questa è la cultura proletaria da cui provengo: nella mia lingua le bestemmie sono punteggiatura, senza bestemmie non si capisce niente di quel che uno sta dicendo. Ma questo non mi impedisce di distinguere un messaggio di auguri vuoto da uno pieno di significato, indipendentemente dalla forma e dalla ritualità in cui è formulato.
“Le bestemmie degli Alpini non salgono in cielo”..cmq a proposito di movimenti più o meno clandestini di rifiuto dell’isolamento penso si trovi facilmente l’esempio della veglia pasquale penso in Puglia con tanto di sindaco con fascia presente, che poi ha ovviamente fatto “mea culpa” per non aver fatto disperdere dalla forza pubblica l’assembramento di 200 persone…come testimoniava qualcuno pare che le maggiori forme di organizzazione per il superamento delle misure passino dalle parrocchie, canoniche…si può sperare nella disobbendienza cattolica? Non so
Lo so che abbattersi non è una reazione feconda. Indignarsi lo è? Constatare che le persone ti inondano di ovetti sorridenti mentre senti ancora questo fottuto elicottero. Io non ho mai inviato auguri ipocriti e stereotipati, ma sono sempre stata cortese nel rispondere magari con una icona per chiudere alla svelta la parentesi. Ma questo rumore mi sta procurando una rabbia insostenibile. Apocalypse now sui cieli di un paesello sonnecchioso. Per scovare cosa? Una famiglia in campagna? Credetemi, qui non c’è nessuno in giro: nessuna macchina, nessun vociare, nulla. Pensi che sei fortunato che non sei in carcere a prendere le botte, ti fai forza così, ci sono quei disgraziati per i quali puoi versare solo lacrime, ma questo rumore è intollerabile. Dopo tutta questa acquiescenza, questa reazione prona della massa come ne usciremo? Dobbiamo tollerare tutto? È evidente che si sta creando una sorta di assuefazione al controllo che mi sconvolge. Non è più un problema di autocertificazioni, sanzioni, discorsi dai toni paternalistici. Perdonatemi, oggi sono monocorde.
Per i titolisti del Giornale «Ciao Salvo! Odio il carcere» è una «scritta choc».
Certo, loro il carcere lo amano… almeno quando ci finiscono i poveracci, i migranti, gli “indecorosi”, i manifestanti…
Invece quando rischiano di finirci i potenti, quando rischiava di finirci il padrone, erano super-garantisti.
La violenza fisica e psicologica, di stampo dittatoriale, esercitata con sadica soddisfazione dalle forze dell’ordine sui detenuti è la rappresentazione reale del momento che stiamo vivendo. La parvenza di stato democratico che si cerca ipocritamente di trasmettere all’ esterno trova sfogo in una narrazione dell’emergenza che trasforma i tutori dell’ordine in ” efficienti ” agenti della repressione del contagio. Così ogni forma di sopruso trova la sua ” giustificazione “. La violenza psicologica a cui stanno sottoponendo una intera popolazione viene fatta filtrare a piccole dosi, esercitando il buonsenso della sottomissione alle regole. Colpendo con più durezza i singoli trasgressori anche attraverso becere forme di manipolazione oltre che di sanzionamento. Si cerca, dove si può, di contenere il contagio della trasgressione col buon senso paternalistico di chi ti reprime per il tuo bene. Mentre invece nelle carceri si usa il pugno di ferro. Perché tanto, lì, in quel mondo a parte nascosto dagli occhi tutti, non hai bisogno di giustificare con nessuno la necessità delle maniere forti. È prassi consolidata. E come ” prigionieri politici” bisogna rivendicare le proprie idee. Perché questa è la differenza che passa tra un recluso ammansito all’ obbedienza ed uno consapevole della sua condizione. Ed è per questo che la disobbedienza di gruppo rivendicata deve porsi come obiettivo il rifiuto totale dell’ istituzione carceraria dell’ emergenza, per evitare di trovarci nella condizione in cui non avremo più la possibilità di esprimere ” democraticamente” il nostro dissenso. Perché intorno a noi si stanno ergendo le spesse mura del carcere. Mattone dopo mattone. Anche quando saremo tornati alla normalità. Non possiamo riporre nell’ archivio della memoria questo profondo strappo. Esattamente come non si può archiviare Genova.
Un paio di settimane fa è morto il padre di una persona a cui voglio bene. Oltre al logico dolore per la perdita si è aggiunta la pietosa contrattazione per avere la possibilità di dargli un ultimo saluto. A farla breve al funerale, se così vogliamo çhiamarlo, hanno potuto partecipare solo la moglie e la figlia. Quest’ultima è stata fermata dagli sbirri mentre si recava a piedi al cimitero e, naturalmente, ha dovuto compilare una macabra autocertificazione a cui gli zelanti tutori hanno creduto bontà loro. Qualsiasi commento mi sembra superfluo. Aggiungo però un altro piccolo aneddoto accaduto ieri mattina che va a confermare una mia personale teoria, cioè che se c’è qualche speranza di uscirne fuori (non solo dal virus, da tutto questo schifo in generale), essa è riposta nei lumpen. Ieri mattina dovevo fare la spesa,data la prospettiva di dover restare a casa almeno tre giorni, e uscendo di casa mi sono fermato a scambiare due parole con dei senzatetto che stazionano nella piazzetta sotto casa mia. Dopo avermi bonariamente perculato dato che adesso essere senza casa significa non dover sottostare alle note restrizioni, poi ho chiesto loro come si comporta la polizia nei loro confronti e mi hanno detto che i primi giorni rompevano i coglioni ma adesso sostanzialmente li lasciano in pace. Commentando poi quello che sta succedendo ho sentito tanto di quel buon senso da nutrire ancora un po’ di speranza per l’umanità dato che ultimamente questa sensazione la provo solo leggendo il vostro blog. Un saluto.
Credo che le restrizioni inutili ai fini del contenimento del contagio e il controllo maniacale del loro rispetto mi stiano facendo considerare nuovi punti di vista.
Sono sempre stata una cittadina irreprensibile, rispettosa delle leggi e delle forze dell’ordine. Per carità, sono bastian contrario per natura, trovo magagne in tutto e so che ogni gruppo umano è molto variegato, dunque ho sempre ritenuto che le leggi e la loro applicazione fossero migliorabili e che qualche tutore della legge non fosse esattamente animato da profondo senso di giustizia e amore per il prossimo. Ma, a grandi linee, non mi sono mai sentita “dall’altra parte” rispetto alla legge nel suo complesso.
In questi giorni mi sento una delinquente. Non ho violato nessuna legge, non ho fatto male a nessuno, ma faccio il tifo per chi corre sulla spiaggia o entra nel mare in bici, partecipa ai funerali o si procura libri. E gioisco quando “comprovate esigenze lavorative” mi consentono di uscire di casa (gravissimo: ci si aspetta che chi va a lavorare lo faccia col magone). La legge mi impedisce di fare ciò per cui la mia vita ha senso, cioè stare in mezzo alla natura, e senza nessun valido motivo. Lo accetterei se servisse a salvare me e gli altri, ma non è così, nonostante vogliano farmelo credere (oltre al danno, la beffa). Mai come ora mi ero resa conto di che cosa significhi appartenere a una minoranza inascoltata e vessata da una maggioranza ottusa. C’è chi vive da sempre ingiustizie con conseguenze molto peggiori e lo sapevo, ma vivere qualcosa di simile in prima persona è comunque istruttivo.
Che dite? E’ un bene? E’ un male? Non tutti sono capaci di ricorrere a una ribellione ragionata, pacifica, costruttiva. Secondo me fare in modo che la gente si senta fuorilegge è molto pericoloso, anche se nel mio caso e forse anche in altri può essere servito ad ampliare un po’ le vedute.
Attenzione: abbiamo rimosso il video del funerale di Salvo linkato dall’immagine di apertura. Ci è stato detto che tra compagne/i di Roma il nostro averlo ripreso e rilanciato ha causato qualche polemica. Niente di che, toni blandi, ma per non alimentare nulla che distolga l’attenzione dal punto che volevamo evidenziare, lo togliamo.
Il motivo della polemica è che nel video si vedevano volti di partecipanti. Non pensavamo che in questa circostanza fosse un problema, video quasi uguali erano stati diffusi da compagne/i presenti. Questo l’avevamo ricevuto via email, pensavamo con implicita richiesta di diffonderlo. Ad ogni modo, ora non c’è più. Per adesso rimane, se non causa problemi, il link a un altro video, agganciato alla seconda foto delle esequie. Se causa problemi, ce lo si faccia sapere ché togliamo pure quello.
P.S. Ci mancherebbe che, con il nome e la policy che abbiamo e con le nostre posizioni su privacy, dati, sorveglianza ecc., non fossimo sensibili al tema. Se per caso dovesse ricapitare qualcosa del genere (a chiunque capita di incespicare ogni tanto), invitiamo a scriverci direttamente e per tempo, per evitare il ritardo che si è verificato stavolta.
Aggiornamento: il secondo video è stato rimosso da chi l’aveva pubblicato, quindi togliamo il link.
Sulla ritualità/deritualizzazione della morte la letteratura è vastissima e il testo di Ariès da voi citato me ne ha richiamato alla memoria tanti altri che sarebbe davvero interessante rileggere alla luce del tempo che attraversiamo. Unanimemente uno degli aspetti che ha caratterizzato la deritualizzazione della morte in occidente negli ultimi 70 anni è stata la sua privatizzazione e la sua psicologizzazione (dimensione tutta interiorizzata e psicologica del lutto). Contemporaneamente si è assistito a una certa spettacolarizzazione, per cui da una parte la morte e il lutto sono diventati fatti privati e sempre meno socialmente codificati e protetti (di quella “protezione” di cui parlava De Martino) attraverso i riti collettivi, dall’altra hanno conosciuto grande visibilità nei media che li trattano come spettacoli (su questo aspetto cfr. Peppino Ortoleva). Se insomma già prima del virus facevamo i conti con un impoverimento delle forme di comunicazione e dei cerimoniali del lutto ed eravamo quindi già pericolosamente sol* e sguarnit* nell’affrontare un processo di elaborazione del distacco “sano”, oggi che l’atomizzazione è massima e che la ritualità è repressa il rischio di follia (l’ennesimo) è dietro l’angolo. Tutt* coloro che hanno studiato la morte e i riti funebri sanno bene che la ritualità codificata per il lutto (pure quella contemporanea oramai svuotata) svolge(va) delle funzioni ben precise -individuali e insieme collettive- e che la possibilità di esprimere la sofferenza fin quasi alla follia, serviva proprio a tenere sotto controllo la follia stessa che la perdita scatena. Oggi si capisce che proibire l’ultimo saluto ai morti non è soltanto un fatto disumano, nel senso di terribilmente crudele, ma è anche un grave colpo alla salute mentale dei vivi.
A proposito di testimonianze “oblique” vi volevo sottoporre quella di Ade Zeno il quale, oltre a essere uno scrittore, è cerimoniere di funerali laici. Nei giorni scorsi, sollecitato da Tiziano Scarpa, ha scritto un pezzo in cui racconta come sono cambiate le cose in queste settimane di pandemia nei luoghi preposti agli addii. https://www.ilprimoamore.com/blog/spip.php?article4406
Discutendo altrove, mi sono trovato a controbattere alla giustificazione di qualunque cosa purché fatta in nome del contenimento del contagio. Nella disinvoltura con cui certe affermazioni venivano proferite, avvertivo qualcosa di inquietante, che non si limitava al fatto che si tratta di accettazione acritica, ma non riuscivo pienamente identificare cosa fosse questo qualcosa, poi ho realizzato.
Fino a un paio di mesi fa c’era chi sosteneva che “in nome della lotta al terrorismo, dobbiamo chiudere le frontiere” e molta gente faceva notare che le due cose non c’entrano un cazzo. Adesso, c’è chi sostiene che “in nome della lotta all’epidemia, dobbiamo impedire alle persone di uscire di casa”, utilizzando addirittura lo stesso linguaggio (“siamo in guerra”, “momento storico difficile”, “bisogna essere responsabili”). Solo che stavolta va bene tutto. Anzi, a sostenere tutto ciò sono molti di quelli che due mesi fa sollevavano il problema.
Ecco il qualcosa di inquietante: il salto logico eterodiretto.
Mi sono reso conto che, per continuare il parallelo, frasi come “allora per te tutti i funerali andrebbero fatti” o “se non fosse vietato uscire di casa tutti si accalcherebbero per strada” sono esattamente equivalenti a “allora per te dovremmo accogliere tutti” o “se le frontiere fossero aperte arriverebbero un miliardo di africani”, noncuranti del fatto che il mondo non funziona così.
Quando alla domanda se tutti i funerali dovessero esser consentiti ho risposto che sì, magari solo con le famiglie e prendendo le dovute precauzioni -tanto, per quanti morti ci siano in questo momento, il numero di persone ai funerali resterà sempre irrisorio rispetto a quello di chi continua a lavorare in fabbrica per produrre armi, settore considerato essenziale, o nei call center per altre funzioni di certo altrettanto essenziali- mi è stato ribattuto che se si consentissero i funerali allora poi si dovrebbero consentire pure le messe, le assemblee e così via. Lo stesso ragionamento di chi “si inizia con le canne e si finisce con l’eroina”.
“Perché tutti quelli che muoiono non hanno diritto a un funerale e loro sì?”. Già, perché?
D’accordissimo con te Monsieur en rouge, e anche ammirato dalla pazienza che dimostri quando parli di queste cose.
Aggiungo un dettaglio: le argomentazioni del tipo «allora se tutti facessero…» partono sempre dal presupposto falso che esista una condizione generale-universale (in questo caso, la regolamentazione dei riti funebri) di cui i singoli casi sono attualizzazioni locali (in questo caso, i singoli funerali sarebbero applicazioni contingenti del “regolamento sui riti funebri”). Ovviamente non è così, ovviamente la vita (e anche la società) è una composizione di singolarità, il racconto ordinato-universale è sempre una costruzione a posteriori. In tempi “normali” questo sommarsi di singolarità è nascosto dal linguaggio del sociale, dal ripetersi di funzioni più o meno stabili (giornali, segmenti di Stato, Politica governativa, sindacati, …), ma nel momento dell’emergenza la singolarità delle situazioni emerge con chiarezza: non ci sarebbe nessun problema a fare i funerali, e non ci sarebbe bisogno di una legge per regolare il distanziamento sociale, LO SAPPIAMO GIA’ FARE. Non per caso la legge diventa generica e confusa quando si confronta con attività consentite ma “affollate”: come mi devo comportare al supermercato? Cosa accade se in una corsia stretta arrivano diverse persone? Nella legge non c’è scritto ma la distribuzione di cibo scorre normalmente in ogni parte d’Italia.
Nello stato d’eccezione la legge si mette a nudo, ci ripete la bugia secondo cui esisterebbe una norma PRIMA dei comportamenti, una norma senza la quale i comportamenti sarebbero impensabili… ovviamente NON è così, ovviamente abbiamo attenzione gli/le un* per gli/le altr* senza bisogno che le pratiche responsabili siano imposte per legge, ecco quindi che il regime normativo ha bisogno di un momento coercitivo per giustificare la propria esitenza.
Precisazione: sì, ci sarà sempre qualche tipo di problema a fare funerali, distanziamento sociale, qualsiasi attività collettiva… ma sono problemi che possiamo e sappiamo risolvere nella contingenza, e su questa capacità di gestire la contingenza si fonda tutta la macchina sociale, anche se poi viene sussunta e invisibilizzata.
Ecco, era una precisazione quindi è sotto il limite di parole minimo richiesto per i commenti su Giap. Per questo aggirerò la regola con un trucco, sceglierò una bella citazione e la copierò qui:
«Là dove è impossibile calcolare, occorre suggerire» M. Bloch
Eh, sull’astrazione dell’ipotetica condizione generale che non si verifica mai come è formulata basterebbe far notare che la madre di tutte queste asserzioni è, appunto, “se facessero tutti così”. Certo, se ci ammalassimo tutti insieme contemporaneamente avremmo bisogno di 60 milioni di posti letto negli ospedali, ma l’ipotesi è irrealistica se non semplicemente stupida. Ragionare come se “il mondo là fuori” (ed è il caso di dirlo visto che adesso stiamo tutti scrivendo e leggendo da casa, presumo) fosse affollato da gente che non vede l’ora di riversarsi in strada ad abbracciare chiunque incontri e diffondere il contagio (con qualche motivo imperscrutabile, poi, come ogni buon profilo di untore) è solo paranoia. Si tratta proprio di una questione di realismo: se stasera fosse sospeso quello che pare essere un coprifuoco, è evidente che nessuno andrebbe ad abbracciare nessuno, con l’aria che tira, l’ansia e la paura diffusa.
Riguardo allo sviluppo delle pratiche nella contingenza, sono d’accordo. Infatti, come accennato nel mio commento precedente, la risposta alla domanda “allora dovremmo consentire tutti i funerali?” secondo me deve essere “sì”, e lo dico pure non essendo esperto di epidemiologia né di rituali né di funerali. Mi pare stia proprio sfuggendo la necessità di costruire e promuovere un’etica differente da quella dominante, senza riportare qualsiasi cosa al piano pragmatico, visto che farlo implica spostare il discorso e sviarlo dai principi etici di fondo che dovrebbero guidarlo. Così come non so nei dettagli tecnici organizzativi come “si accolgono tutti”, non so neanche come si trova una soluzione per piangere i morti durante un’epidemia, ma davanti a quelle domande so che devo rispondere “sì”. Il “come” si trova nella contingenza e infatti, come rivelato dalle testimonianze raccolte in questo post e non solo, lo si sta cominciando a trovare.
Ah, ultima cosa: la pazienza ce l’ho perché mi arrischio a fare questi discorsi raramente, forse purtroppo. Ma almeno così risparmio le forze per quando lo ritengo veramente imprescindibile!
Sul blog Insorgenze, un resoconto dettagliato degli eventi di ieri mattina a San Lorenzo, e galleria di foto della militarizzazione del quartiere (con tanto di elicottero).
Mi è capitato di studiare situazioni di conflitto definite a bassa intensità in cui i funerali o altre commemorazioni funebri come i riti della “novena” non erano possibili oppure se venivano celebrati segnalavano e sancivano l’appartenenza dei presenti a certe fazioni in guerra. Chi vi prendeva parte sapeva quindi di infrangere leggi non scritte o di quieto vivere e sapeva di “associarsi” a dinamiche dalle quali molti altri volevano invece rimanere fuori. “Gli spiriti” senza dimora di ogni lato popolavano però una molteplicità di racconti locali sulla perdita e sul disequilibrio, sulla malattia e sulla follia tanto da non permettere mai la vittoria della vita o delle autorità ancestrali sulla morte o la guerra. In molti casi questa impossibilità produceva anche pratiche del ricordo che riguardavano la vendetta o il regolamento dei conti per permettere ai morti di “riposare in pace”. Così facendo però, i cicli della violenza non trovavano mai ragioni sufficienti per interrompersi e parevano anzi ripetersi in un eterno ritorno delle stesse ragioni e delle stesse pratiche. In giorni in cui l’esorcismo mediatico nazionale cerca di ricostruire una comunità intorno al maggiore dramma nonchè fallimento post-bellico italiano, ho riflettuto molto sul racconto di Salvatore Ricciardi che avete proposto. Sono andato a leggermi meglio la sua storia e mi sono chiesto dove mi trovassi: nella giusta opposizione a un’ulteriore esagerazione italica del paternalismo di Stato o nel mezzo di una strumentalizzazione politica? Ho mandato in giro il post di insorgenze per studiarne gli effetti provocati alla Garfinkel (anche ai miei poveri genitori agli arresti domiciliari per il loro bene) e poi ho capito che “lo spettacolo” che avete creato è stato il migliore funerale possibile per il defunto cui avete riconosciuto un’imperitura capacità di lotta e di messa in discussione di ogni status quo.
Lascio per la riflessione e gli archivi un articolo di Internazionale di qualche giorno fa che racconta meglio delle mie parole alcune delle complessità riguardo alla “necessità del rito” di questi giorni:
https://www.internazionale.it/reportage/annalisa-camilli/2020/04/01/coronavirus-psicologi-medici-infermieri
Non c’è nessuna notizia disponibile su nessun giornale nazionale o locale sull’annunciata manifestazione di Forza Nuova a Roma che doveva infrangere le regole e neanche il sito di Forza Nuova da notizie in proposito (c’è stata? nun c’è stata? hanno cambiato idea? Li hanno arrestati tutti?)… cosa un po’ strana visto che fino a venerdì il “fessaggero” nella versione on line riportava le seguenti parole: “Forza Nuova nei giorni scorsi aveva annunciato una processione fino alla Basilica che è stata ovviamente vietata dal Questore Carmine Esposito ma il gruppo ha intenzione comunque di sfilare per le strade il giorno di Pasqua. La manifestazione dovrebbe partire alle 11 da via Paisiello per raggiunge poi San Pietro. A controllare l’intero percorso sarà la Digos.” —> https://www.ilmessaggero.it/roma/news/via_crucis_senza_fedeli_controlli_anche_di_notte_contro_l_esodo_di_pasqua-5164017.html
(Ero proprio curioso di vedere la digos che controllava lo svolgimento di una manifestazione negata dal questore)
Nel frattempo invece si rivela un’altra epica bufala diffusa con sprezzo del ridicolo dal sito repubblica.it quella delle code sulla pontina: da gustare il ridimensionamento della notizia on line che ricorda tanto quello del “Il virus è nell’aria!” sparato a caratteri cubitali e scomparso nel giro di due ore. (il titolo, non il virus che si è sempre fatto i cazzi suoi).
https://nitter.net/FabioMassi/status/1249315368369299456
E via, anche la pasqua in quarantena è andata, ora attendiamo le bufale della pasquetta.
Si, non ricordo la fonte. Ma erano forse in sei e hanno trovato la Digos ad attenderli, sono stati accompagnati in Questura ed identificati. Ho letto un trafiletto, provo a cercarlo nella cronologia.
Ad ogni modo una roba molto sottotono, confesso che ovviamente li aborro ma mi hanno fatto quasi pena per la mestizia con cui la loro “impresa” si è conclusa. Ben altro impatto il tributo a Salvatore Ricciardi. Il virus ha fornito al Viminale una bella scusa, non c’è che dire, per militarizzare gli spazi pubblici e bollare qualunque momento di socialità ( dai funerali alle manifestazioni). Le forme di aggregazione consentite domo appunto quelle delle forze dell’ordine e dei lavoratoti in fabbriche, capannoni e cantieri. Li hanno già l’immunitá di gregge.
Grazie a voi ragazzi per la lucidità d’analisi.
Oggi mi è successo per la prima volta di confrontarmi in maniera abbastanza colorita con familiari sul tema di come la gestione dell’emergenza stia venendo amministrata dalla classe dirigente. Riscontravo da parte loro la larga approvazione nei confronti delle misure che andava a braccetto con il profondo stigma nei confronti di chi si approfittava delle concessioni ai runner per violare il sacro coprifuoco. Non so se a qualcuno o qualcuna qui sia capitato di imbattervisi, ma come si smuove, come si incrina questa consolidata mentalità del dalli al furbetto? Qualifica che nell’immaginario comune è la principale per i proprio compaesani, il principale flagello e nemico da debellare per gli onesti lavoratori. Perché secondo me anche qui si racchiude la drammatica miopia di tanti che non vogliono vedere per propria scelta da dove provengono le più criminose responsabilità.
Guarda seppia, io all’inizio ho litigato con praticamente tutti, lunghissimi scambi su wathsapp, linkavo articoli, quelli qui su giap e molti altri, leggevano sì e no il titolo, con mio fratello ci siamo chiusi il telefono praticamente in faccia… E mi sembrava di girare a vuoto, continuavano a mandarmi notizie di gente sorpresa a fare la spesa 2 volte nella stessa giornata, a dirmi che giù ( la mia famiglia è in Sicilia) sono tutti furbetti…e però alla fine, quando stremata ho deposto le armi, qualcuno ha cambiato idea, senza darmi soddisfazione, eh, ma ho visto che il tono dei post sui social era cambiato, e persino qualcuno dei genitori della chat di scuola, in generale terribile, mi ha scritto in privato per dirmi che la pensa come me, anche se non ha il coraggio di dirlo pubblicamente.
Non so se significhi qualcosa, ma ho deciso che continuo a smaronare tutti con link e articoli che decostruiscono la narrazione dominante, magari un seme qua e la attecchisce.
una strategia che ha funzionato molto bene è stato spiegare che l’isolamento così estremo è inutile e che paesi europei che riescono a controllare l’epidemia meglio di noi non lo richiedono. Poi la lettura di questo estratto delle regole applicate in Austria, che sono quasi commoventi per chiarezza e razionalità:
“L’attività motoria e sportiva all’aperto è consentita, ma non in gruppo (solo con i familiari con cui si convive) e a distanza di sicurezza di almeno un metro da altre persone. Sono previste sanzioni per i contravventori. Per recarsi in luoghi in cui effettuare passeggiate è consentito l’utilizzo dell’automobile ma non dei mezzi pubblici.”
A questo punto chi privilegia “la giustizia” capisce che il furbetto non è un assassino potenziale e quindi inizia a empatizzare con lui. Difficilmente cambierà idea chi privilegia “la legge” e ritiene che infrangere una regola sia comunque più grave che infettare i concittadini, però qualche dubbio sull’utilità delle restrizioni magari viene.
Messaggio di servizio: pm2001, hai posta in buchetta.
Ti capisco Seppia.
Anche a me è capitato di discutere con familiari e amici su quello che sta succedendo, e mi è capitato anche di litigare.
Nella mia limitata esperienza cercare di convincere con argomenti razionali è servito a poco, ma ripeto, questa è solo la mia esperienza.
Al massimo ho dato una spintarella a persone che già per conto loro si erano messe a ragionare guardandosi introno e piano piano sono arrivate ad aprire gli occhi sull’assurdità della situazione, un po’come ha scritto @amari.
Il problema secondo me è che siamo in una fase oggettivamente grave, che comprensibilmente genera ansia, disorientamento e paura, e in più a questo stato psicologico devi aggiungerci il bombardamento mediatico e tutte le fallacie del “senso comune” che già ci portiamo dietro un po’ tutti purtroppo.
Purtroppo devo ammettere che anch’io inconsciamente ho interiorizzato molto di questo clima e nonostante cerchi di razionalizzare mi ritrovo a giudicare dentro di me le persone che incrocio per strada, a chiedermi perché sono in giro e a provare un sottile disagio se vedo qualcosa che assomiglia a un famigerato “assembramento”.
Ho notato che diverse volte nelle discussioni è emerso il tema delle fallacie logiche e dei luoghi comuni, che forse varrebbe al pena approfondire di più con un post ad hoc (è solo un suggerimento), perché sono difficilissimi da smontare e fanno arenare le discussioni.
Tra quelle che sono emerse mi vengono in mente:
“Se tutti facessero così…”
“E’ colpa tua se la gente va in terapia intensiva”
“Facendo questi sacrifici si sconfigge il virus”
“Gli italiani fanno sempre i furbi e non sono gente seria, quindi ci vuole l’esercito”
“Ma siccome anche l’esercito è fatto di italiani tutto finirà a tarallucci e vino”
“Se io sono tappato in casa, perché tu devi uscire?”
“Non è questo il momento di criticare, ci penseremo dopo”
“C’è gente che sta molto peggio di noi, quindi non ti lamentare”
etc…
Io credo che, proprio perché molte delle reazioni dei “fiduciosi” sono di natura prettamente emotiva e legate alla paura nuda e cruda (per se, per i propri cari, di morire da soli o di non poter salutare chi si ama), le argomentazioni logiche siano impotenti a smuovere le persone.
Anche perché argomentazioni logiche o pseudologiche vengono comunque messe in campo dai media e dal corredo di esperti e seminatori di paura.
Credo quindi (senza sapere però “come” fare) che sia necessario controargomentare sullo stesso piano emotivo.
Ad esempio io credo che qui si sia relativamente “immuni” alla perdita di locica causata dalle paure più strettamente sanitarie, perchè magari più preoccupati di altre “paure”, come quelle legate a un futuro distopico.
Comunque, noto che i più fiduciosi e osservanti, dopo settimane di lockdown senza vederne una fine stanno passando alla frustrazione e allo sconforto, come era inevitabile. Eppure continuano a negarsi “il conforto” di ragionamenti come quelli riportati qui.
Aggiornamento:
ho avuto l’idea di ripetere le ricerche sul tema dopo aver azzerato la cronologia e le varie cache dal pc, o come diavolo si chiamano, mi appare finalmente la notizia: https://www.adnkronos.com/fatti/cronaca/2020/04/12/tentano-marcia-verso-san-pietro-fermati-militanti-forza-nuova_JnLkRJVfZQYUAjXYKqIfzN.html
(cosa bisogna fare per fare una ricerca fruttuosa in rete… io rimango un’internettaro e non un internettista come ci si diceva all’alba del web… ma mi sembra che tutto sia dannatamente più complicato nel fare le ricerche on line rispetto a dieci anni fa, scusate l’OT)
Abbiamo inserito nel post una foto scattata dall’alto che fa capire il livello di militarizzazione del quartiere ieri mattina a S. Lorenzo.
Questa mattina, durante il solito giro in bicicletta con i miei due gemelli seienni in 20 mq di cortile ho aperto il cancellone e siamo usciti, così, senza mascherine, senza guanti, senza caschi, con addirittura mia figlia sulla bici con me, dietro, in piedi, come si faceva da ragazzini. Abbiamo imboccato la strada deserta e fatto il giro dell’isolato, dieci minuti in tutto. Ho incrociato lo sguardo delle persone sui balconi e mi sono sentito un delinquente. Lungo il percorso abbiamo incrociato una macchina dei carabinieri e ho temuto il peggio, tra l’altro visto che non era una uscita premeditata non avevo documenti con me. Invece ci sono sfilati accanto guardandoci da dietro le loro mascherine. Mi è andata bene, ma non so se avrò ancora l’audacia di farlo… E mi viene una gran rabbia perché a parte qui, quelli che sento pensano tutti che questi arresti domiciliari siano cosa buona e giusta. Grazie per aver creato questa isola di senno e buon senso
Il Primo Ministro di Malta, Robert Abela, sta esortando i cittadini a rimanere in salute andando a fare una passeggiata o una corsa da soli o al massimo in coppia.
Abela ha dichiarato che, a meno che le persone non rientrino nel gruppo vulnerabile, che includeva persone di età superiore ai 65 anni, dovrebbero esercitarsi e non passare 24 ore al chiuso in casa. Mentre sono all’esterno, dovrebbero seguire le linee guida di allontanamento sociale, ha aggiunto.
https://timesofmalta.com/articles/view/go-for-a-walk-on-your-own-or-in-pairs-to-keep-healthy-robert-abela.783584
Ciao Frank, è una notizia un po’ vecchia – il pezzo è del 5 aprile – e le cose sono un po’ cambiate, anche se non radicalmente. Gli “assembramenti” sono ridotti a 3 e c’è stato qualche mugugno per la prima giornata di sole vero (venerdì) con le spiagge del nordovest un po’ affollate (anche se tutti rigorosamente a distanza). Per Pasqua si sono raccomandati di non fare picnic e di evitare pranzi collettivi.
Il Times oggi ha fatto una di queste cose incommentabili che evidentemente non sono una specialità italiana, cioè l’intervista al figlio di uno dei tre morti (92, 84 e 79 anni, tutti con patologie precedenti molto gravi) che ovviamente si è lamentato della mancanza di rispetto, legando l’essere andati in spiaggia con la morte in isolamento del padre. Che per carità, rispettabilissimo il dolore, as usual sono i giornali che proprio sono impossibili da definire senza essere perseguiti dalla legge.
Quello che più mi turba delle misure restrittive di questo periodo è la sproporzione fra la rigidità e “fermezza” del cosiddetto distanziamento sociale – già il termine la dice lunga – e il tergiversare del governo sulle misure sanitarie di contenimento del virus: mascherine e DPI che non arrivano agli ospedali, gestione folle dei contagiati spediti a curarsi nelle RSA, tamponi che si fanno solo ai casi conclamati, screening sierologici che non arrivano, monitoraggio degli spostamenti su cui si discute, si discute, si discute… il tutto condito con un apparato di propaganda impressionante. Non c’è ormai giornale mainstream o tv generalista che non sia solidamente schierato con il governo e le voci dissenzienti sono relegate a sparuta minoranza.
Ci vedo, in filigrana, un intento repressivo e persecutorio che molto si avvicina ai modi delle dittature “soft” stile ungherese o turco: il clima emergenziale indotto ed esasperato ad arte che diventa l’occasione di togliere libertà, di umiliare e vessare la popolazione, di abituare la gente al controllo sociale, alla rinuncia a libertà fondamentali, all’ubbidienza e al silenzio.
Che in certi, estremi casi si possa ricorrere a misure restrittive è comprensibile – evacuare forzatamente un edificio pericolante durante un terremoto – ma se poi la gente evacuata la lascio crepare di freddo in mezzo alla strada allora la storia diventa assai diversa.
In ultimo ci aggiungerei alcuni atti del nostro Presidente del Consiglio che non lasciano intravedere nulla di buono. A partire dall’attacco in diretta alle opposizioni; non che Salvini e Meloni rappresentino fulgidi esempi di ideali democratici, ma utilizzare un’occasione ufficiale e il proprio ruolo istituzionale per attaccare gli avversari testimonia un’idea di potere inquietante. Proseguendo con la nomina della “commissione Colao” che contrappone un gruppo di “super-esperti” alle prerogative del Parlamento. E, come nota di colore finale, è già la seconda volta che gli sento usare la formula “mi assumo la responsabilità politica”, parole con cui Mussolini rivendicò l’omicidio Matteotti e sancì l’inizio ufficiale della dittatura fascista.
Permettetemi di esprimere il punto di vista di un medico che lavora in Pronto Soccorso nel Nord Italia. Per quanto riguarda la letalità e la mortalità del virus, questo sarebbe accaduto , temo, indipendentemente dalle misure coercitive. E questo perchè è stata fatta carne di porco delle sanità pubblica. Non solo per via dei tagli, ma anche per un uso scellerato da parte dell’utenza. Come si può pensare di parlare di sanità pubblica gratuita sempre se le persone accedono al Pronto Soccorso alle 4 di mattina per una cistite presente da 6 giorni, per una distorsione di caviglia e in ambulanza per km per il flemmone dell’indice della mano? Ho fatto degli esempi limite ma, vi assicuro, nell’epoca preCoVID19 erano all’ordine del giorno. La sanità per le cose davvero serie, che sono le urgenze VERE, i ricoveri e gli interventi chirurgici con relativa degenza sono GIA’ pagate dalla collettività. Ho lavorato anni in chirurgia generale, non ho mai consegnato il conto da pagare assieme alla lettera di dimissioni. Quando sento vaneggiare di sanità pubblica per tutti e gratis per ogni cosa mi viene la pelle d’oca.
Detto ciò,su questo sito è stata descritta bene realmente la quarantena, e quali sono i rischi legali. Ma che alternative c’erano? Le cose, anche se lentamente, stanno funzionando.Tralasciamo per un attimo la questione delle famiglie che restano comunque a contatto stretto e le situazioni di violenza domestica. Avrete visto sicuramente persone in macchina e in bici da sole con guanti e mascherina. Fanno ridere per non piangere. D’altronde siamo un Paese in cui il Ministero della Salute è dovuto intervenire avvertendo che i gargarismi con la candeggina non proteggono dal virus. Proprio i Wu Ming ci insegnano che l’ignoranza in Italia è a livelli fantascientifici. Segno evidente di quanti boccaloni ci siano in giro e di quanto poco è stato compreso delle reali misure di contenimento. Se fossero state blande, quante persone in più contagiate avremmo avuto? Già così sono sottostimate come ha ben descritto Matteo Villa. Poi da medico sono il primo a dire che passeggiate e sgambate in bici fanno bene al fisico e all’animo e BISOGNAVA permetterle, anche ben più dei 200 metri da casa.
Al di la’ del fatto che di alternative ne sono state indicate parecchie, basta leggere gli articoli e i commenti a me più che ogni “abuso” della sanità pubblica (Cistite alle 4 del mattino, beh… se peggiora e si hanno fitte dolorose secondo lei dove si dovrebbe andare se le c.d. “guardie mediche” sono state tolte tutte o quasi?) lei scrive: “Quando sento vaneggiare di sanità pubblica per tutti e gratis per ogni cosa mi viene la pelle d’oca.”
Ecco, a me la pelle d’oca viene sentendo che queste parole sono quelle di un medico che lavora in un p.s. del nord italia.
A questo punto ci sarebbe da chiedersi qual’è la funzione dello Stato (che meriti la S maiuscola) secondo lei. Ma penso che già conosciamo bene le risposte.
Anch’io ho trovato quella frase, nella capitolazione all’ordine del discorso neoliberale che esprime, inquietante.
Le guardie mediche per fortuna esistono ancora, anche se poche, ma se la sintomatologia dura da 6 giorni, perchè ridursi ad andare di notte in Pronto Soccorso? In Pronto Soccorso per definizione non mandiamo via nessuno, è ovvio, e valutiamo tutti dimettendo ( o ricoverando). Il tutto messo per iscritto. In ogni caso la cistite in senso stretto ( la degenerazione è la pielonefrite ma è una patologia che pur condividendo l’eziologia ha un trattamento ben distinto) non è un’urgenza che determina pericolo di vita. Può benissimo essere trattata dal medico di base. Se la cosa non è urgente, si paga il ticket, perchè il Pronto Soccorso serve per le urgenze. In tempi normali se tutti quelli con cistite, influenza o altro si rivolgessero al pronto soccorso, nessun ospedale potrebbe reggere. Oppure si sarebbero code ed attese da tempi biblici, soprattutto negli hub ( che già ci sono anche per questo motivo). Rivolgersi al dipartimento di urgenza per una cosa gestibile ampiamente dal medico di base è profondamente sbagliato. Altrimenti a questo punto invece, come sarebbe corretto,investire sulla sanità territoriale,la si abolisce del tutto. La prova è che ora, in tempi di epidemia CoVID,abbiamo avuto un pressochè azzeramento di questo tipo di accessi, senza che le guardie mediche abbiano notato un afflusso maggiore. Comunque facile estrapolare una frase senza il resto. Ho scritto anche che le urgenze vere, ricoveri e interventi chirurgici elettivi e non sono già gratuiti per tutti, giustamente, senza distinzione.
Cerco di esplicarle meglio il mio pensiero.
In primis le assicuro che le “c.d. “guardie mediche” in moltissime province la mia inclusa sono totalmente scomparse e la maggior parte di quelle sopravvissute quando ci vai non ti aprono neanche la porta e si limitano a dirti “vada al pronto soccorso” dal citofono.
1) Il problema del nostro SSN non è la Covid19, la COvid19 è stata quella che ne ha svelato gli enormi problemi pregressi. Quando l’Espresso ha pubblicato questa mia lettera le cui reazioni disgustate dai medici come lei può legger e in calce (disgustate verso di me ovvio) http://lettere-e-risposte.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/03/25/un-giorno-al-pronto-soccorso/ era l’anno scorso. Se un Sistema non regge lo “status normale” figuriamoci s epuò reggere le emergenze.
2) Scusi se glie lo dico, ma da tossicologo (non certo da fanatico delle pseudoscienze) , voi medici dovreste cominciare a capire che l’assistenza medica non si presta solo a chi arriva al pronto soccorso con l’ambulanza con il femore di fuori in stile E.R.
Al di là dei casi “clinici” (comunque spesso dovuti all’irreperibilità dei medici di base) chi viene al pronto soccorso ha bisogno di aiuto e gli va dato. Perché le assicuro che ne facciamo tutti molto volentieri a meno di venirci. Se lo Stato non può fornirmi un minimo di assistenza lo dichiari e cominci a restituirmi la parte delle tasse che va alla sanità, visto che dobbiamo fare da soli.
Ho sbagliato ad usare l’avverbio fortunatamente, visto che in realtà sono di pochissimo aiuto, per non dire nessuno, a noi del Pronto Soccorso, proprio per i motivi di cui hai scritto.
Ho letto la lettera. Purtroppo sono cose che non dovrebbero accadere. Ma caro Alex, nessuno dubita che una caduta necessiti di una visita accurata,di una terapia non solo analgesica, di osservazione oltre che di radiografie urgenti in una persona anziana. Non stiamo parlando infatti di una distorsione di un ragazzino che gioca a calcio con gli amici. Ma è proprio quello il punto. Poniamoci in una situazione normale, senza epidemia. Più del 85% dei casi che si vedono in pronto soccorso non dovrebbero stare lì. Ecco perchè cè il sovraccarico. A partire proprio dalla distorsione di caviglia dei ragazzini, per fare un esempio. Diciamoci la verità: quante volte abbiamo preso calci e botte giocando a calcio con gli amici quando eravamo ragazzini noi? Tutti i giorni delle vacanze estive. Quante volte siamo finiti in pronto soccorso? Solo se con evidenti fratture, e quindi per la maggior parte di noi significa 0 volte. Facile dire che bisogna essere empatici o di aiuto. Ma se la quasi totalità viene per problemi non urgenti ( mi ricordo una domenica mattina in cui nelle prime due ore ho solo visto gente con artrosi) oltre agli inveitabili errori di sottovalutazione,rimangono spazio e tempo per l’assistenza non solo sanitari verso le persone? Tutti questi accessi non sono un abuso del servizio?
L’esempio che fai (quello delle distorsioni alle caviglie) permette di allargare l’ordine del discorso: nel regime di “responsabilità” pervasivo, i piccoli infortuni sono spesso un problema nell’organizzazione di attività collettive; «chi si prende la responsabilità se qualcuno si fa male» è la frase più comune quando si parla di regolamenti scolastici.
Questo ha prodotto una paura sociale diffusa, quindi perché quando si arriva a un piccolo infortunio in spiaggia, quei ragazzi dovrebbero accollarsi in maniera totalmente individuale (o al massimo in famiglia) quel dubbio e quell’ansia che sentono intorno a loro? Tutti i saperi di prossimità su come gestire il corpo vengono continuamente ridicolizzati, quindi perché non andare al PS? E mi dirai: la soluzione è il medico di base. Ma anche i medici di base sarebbero sovraccaricati se venissero *davvero* usati per tutto ciò a cui si suppone che possano servire.
Il punto è che tra “ciò a cui la sanità serve per diritto” e “ciò per cui la sanità viene utilizzata”, non può esistere una norma regolatrice, ma solo una sensibilità. E il terreno della sensibilità non si risolve con le considerazioni degli esperti, ma con gli immaginari condivisi. Oggi – e mi sembra davvero l’aspetto più importante anche dell’articolo qui sopra – l’immaginario dominante è di una socialità sanitaria, controllata e tanatofobica. Il covid-19 sta accentuando e non risolvendo questo problema.
La regolamentazione della quarantena instilla la paura di un nemico invisibile, una paura che serve a colmare dei vuoti spirituali oltre che a governare la popolazione. Chi cerca di risolvere differentemente questi aspetti spirituali (onorando un rito funebre) viene criminalizzato. Perché allora stupirsi se il medico è il referente per ogni cosa? E’ nell’ordine delle cose che ciò avvenga. La soluzione è la cessione del sapere-potere medico a fasce larghe di popolazione
Guarda credo che hai sbagliato proprio esempio, lo sport adolescenziale è uno dei casi in cui occorre andare spesso al pronto soccorso. Dato che ho giocato a pallone (ed anche a basket) ininterrottamente dai 7-8 anni fino ai 22, percorrendo tutti i campi di provincia dai pulcini fino all’inferno della terza categoria, ti garantisco che none era infrequente, fino ai miei vent’anni quindi diciamo 1995 finire al pronto soccorso. Io ci sono stato 4 volte SOLO per quelle cause, due volte per le distorsioni al ginocchio, una per quella alla caviglia e una a causa di una gomitata che mi aveva aperto lo zigomo. Poi abbiamo accompagnato di corsa con mio padre un coetaneo quattordicenne che non smetteva di piangere dopo una pallonata alla nuca e un’altra volta un amico con il metacarpo fratturato. In tutte queste storie (ed altre, fa cui due cadute con il motorino) non mi era mai capitato di stare al p.s. per più di tre ore e soprattutto non mi era mai capitato di aspettare 5-6 ore perché un medico ti visitasse come invece è successo lo scorso anno con mia madre.
E’ ovvio che la colpa della situazione è anche della carenza dei medici di base (a proposito com’è che continuiamo a mantenere il numero chiuso a medicina se mancano i medici?), ma si torna sempre lì. Io non ti dico come e dove lo Stato deve garantire l’assistenza a tutti. Ti dico che lo DEVE fare, se poi dobbiamo potenziare i p.s. e/o le guardie mediche e/o i medici di base, parliamone.
Però, scusa, se «più del 85% dei casi che si vedono in pronto soccorso non dovrebbero stare lì» significa che qualcosa non funziona nelle strutture, non nelle scelte individuali di quel ben 85%.
Da una parte c’è l’aspetto segnalato da Mattia, la paura per la «responsabilità», a ben pensarci frutto dello stesso ricorso eccessivo alle cause legali che colpisce i medici. Il ragazzo ha una banale storta, chi «si prende la responsabilità» di non farlo visitare approfonditamente? Nessuno, e quindi si corre al PS, intasandolo.
Dall’altra c’è una difficoltà sempre maggiore nel fruire del welfare sanitario di base. Le guardie mediche sono state ridotte, i medici di base costretti a consociarsi tra loro e spesso spinti a centralizzare e condividere studi (prima ben distribuiti sul territorio), le visite a domicilio sono rarissime, l’anticamera senza appuntamento (che è la cosa più sensata per il paziente, che difficilmente riesce a programmare quando starà male) prassi minoritaria, impensabile dopo il Covid. Anche qui però, siccome l’andazzo è generalizzato, non mi sento di dire che l’85% o forse il 99% dei medici di base sbaglia, o è poco disponibile eccetera: evidentemente ci sono motivi strutturali che hanno indirizzato verso un progressivo irrigidimento nei confronti del paziente.
Per non parlare del fatto che il PS consente in alcuni casi di bypassare il processo di impegnativa – prenotazione – visita specialistica. Processo che può durare mesi ed è stato circondato (parlo per l’Emilia-R, altrove non so) da una prassi colpevolizzante tipo: «se non disdici per tempo ti faccio la multa», «se non ritiri gli esiti ti spello vivo», e non sto ovviamente dicendo che è giusto non disdire se non puoi andare o fregarsene degli esiti, ma siccome la vita è un casino e tutto può succedere, costruire degli spauracchi spinge le persone a sviluppare un disagio verso la prassi che dorvebbe essere incentivata (impegnativa + prenotazione + visita programmata) e a ridursi, infine, a dover andare al PS. [continua]
[segue] Ho sempre trovato sospetta la prassi di sanzione (pagamento del ticket senza prestazione) sulle visite non disdette (tra l’altro la punizione c’era già: ti tocca farti fare un’altra impegnativa!), e questo per due motivi:
1) la quota di persone che non si presentano in un sistema complesso è quasi perfettamente prevedibile, quindi armonizzabile senza difficoltà:
2) il fatto che ogni tanto qualcuno non si presentasse poteva essere un momento per tirare il fiato per gli operatori, o ridurre i ritardi che spesso si accumulano, e quindi era persino “funzionale” nei grandi numeri (ma disfuzionale allo sfruttamento privatistico della manodopera sanitaria, ovviamente).
L’impressione negativa è confermata da modo in cui è stata comunicata la decisione, che in sostanza suggerisce che la colpa delle lunghe liste di attesa non è dello smantellamento del sistema, ma di chi – di solito per motivi seri, perché da uno specialista uno ci tiene ad andarci – non si presenta alla visita: https://salute.regione.emilia-romagna.it/campagne/tempi-dattesa-per-visite-ed-esami/insieme-per-una-sanita-piu-veloce
Al solito: dare la responsabilità all’individuo (utente – consumatore – paziente), per assolvere preventivamente la classe politica.
Rispondo a Wolf AlexJC contemporaneamente. Non ho sbagliato esempio, ho giocato anche io a calcio. Ho parlato infatti “tra amici”, non in ambito agonistico, dove invece i traumi di una certa importanza sono frequenti. Parlo attraverso gli esempi, che vi posso assicurare che in tempi normali sono all’ordine del giorno. Ragazzini che camminano normalmente vengono per distorsioni di caviglia che palesemente non hanno determinato fratture ma i genitori insistono a tal punto che la radiografia, nemmeno fosse la panacea e soprattutto facesse bene, gliela fai. Se non c’è frattura,è giusto che paghi il ticket. Si è abusato di un servizio di urgenza per una cosa che di urgente non ha nulla. Wolf dice”Il ragazzo ha una hi «si prende la responsabilità» di non farlo visitare approfonditamente? Nessuno, e quindi si corre al PS, intasandolo”. Ma Santo Cielo, se sono un medico di base coscienzioso lo visito e lo mando con ìn una semplice impegnativa a fare una radiografia urgente, bypassando tutta la trafila. Dove è la difficoltà di agire così? Per inciso,anche”la gamba gonfia” sospetta per trombosi può essere gestita dal curante, mediante eparina ad alto dosaggio e invio per doppler non urgente ma a breve.
Idem per un’altra grande protagonista, in tempi normali,del PS. La lombalgia. A parte quelli che davvero sono bloccati, la stragrande maggioranza ha il dolore da due se non tre mesi, arco di tempo in cui ben si sono guardati dal parlarne con il curante per farsi prescrivere terapia o una bella RMN. Non è libera scelta questa, quella di trascurarsi, e poi un bel giorno andare in pronto soccorso, per di più impropriamente? Davvero pensate che un agire così debba essere coperto in tutto e per tutto dalla collettività?
[continua] Per Cugino di Alf. Presentarsi per una laringite non febbrile in pronto soccorso, specie se un hub, non credo che porti via poco tempo. A meno che non ci sia un ambulatorio dedicato ai codici bianchi. E già questo la dice lunga sul fatto che si utilizzi il PS per cose non urgenti, dato che i codici bianchi per definizione sono così. Quanto alla sala d’aspetto del PS, lì invece è tutta gente sana?
Dici anche “C’è poco da stupirsi se quando a qualcuno viene qualche “dubbio” o problema di salute minimamente un po’ più serio vada direttamente al pronto soccorso, dove almeno se serve un esame viene fatto sul momento.” Oddio non mi stupisco ma mi fa cadere le braccia scusa. Se il curante è un minimo capace, sarà lui a mandare il paziente in PS in caso di sospetto, altrimenti per ogni sintomo c’è un relativo quadro grave o urgente, persino un dolore ai polsi può nascondere un infarto. Allora cosa facciamo, se ho male al polso vado direttamente in PS? Questione numero chiuso. Il problema non sono i maturati che accedono alla facoltà di medicina, il numero di chi si iscrive passando il test è più che sufficiente per il fabbisogno. E’ il numero di borse che è scandalosamente piccolo e la retribuzione bassa, ben inferiore al resto d’Europa, oltre che un metodo molto più serio per formare la gente
Scrivi: «Non è libera scelta questa, quella di trascurarsi, e poi un bel giorno andare in pronto soccorso, per di più impropriamente?». Non è questo il punto della mia obiezione.
1) Se, come dici tu stesso, l’85% delle persone si reca al PS impropriamente (non è importante la percentuale, ma capiamoci: un gran numero) il problema non può essere di malafede o sciatteria o abuso personale, ma di organizzazione del sistema. Altrimenti la proporzione non sarebbe quella.
2) L’accesso al medico di base è diventato via via più difficile e “scoraggiante” negli ultimi anni, e anche questo non voglio ridurlo a una questione di privilegi corporativi. Ma è un dato di fatto.
Questi due problemi, che messi insieme creano un bel casino nelle strutture pensate per le emergenze, devono avere risposte organizzative, non goffi tentativi di colpevolizzare il singolo da parte delle istituzioni (come fa la regione ER, attribuendo le lunghe liste d’attesa a chi, per circostanze il più delle volte immagino sensate, non si presenta all’appuntamento col medico).
Bisogna mettere le istituzioni di fronte al disastro da loro creato nella sanità pubblica, ma abbandonarsi alle narrative individualizzanti e colpevolizzanti rischia di spuntare ogni arma di cui si dispone, e di fornire loro un alibi infallibile. Questo l’invito che ti faccio.
Pur nell’imposibilità di completare il quadro, aggiungo un altro elemento: in molti contratti di lavoro, persino nel settore pubblico, i permessi per visita medica sono diventati permessi da “recuperare”, come se un* fosse uscit* dal lavoro per comprare in anticipo i regali di natale, non per prevenire o curare malanni.
Anche questo elemento (odioso) disincentiva la frequentazione della sala d’attesa del proprio medico di base, e spinge a favore del «trascurarsi»; e quindi alla lunga spinge verso l’abuso del PS. Oltre che ridurre la prevenzione delle malattie e la loro diagnosi precoce.
Faccio l’esempio a me più vicino, cioè la chirurgia generale, avendoci lavorato. Per quanto riguarda le liste di attesa, l’unica soluzione è ampliare a dismisura gli ambulatori territoriali ( la prima visita si può persino evitare di farla in ospedale, non è necessario, riservando alla struttura solo quelle urgenti) e convogliare poi tutti quelli che necessitano di un intervento chirurgico in centri grossi e selezionati ( sono un fautore della chirurgia solo nei centri grossi) dove l’assistenza e la degenza a tutto tondo possono essere ottimali, e portando fuori dall’ospedale anche le visite di controllo. Certo che no che il problema non sono quelli che disdicono. Per essere vera una cosa del genere, bisognerebbe avere una percentuale inverosimile di disdette, dell’ordine del 20-30% ogni giorno, non mi pare possibile una cosa del genere, vorrebbe dire che un quinto o un terzo sono richieste inutili. E’ una puttanata bella e buona, ed è stato detto in piena malafede. La percentuale di accessi impropri è elevata, certo il numero di 85 casi su 100 è una stima. Il sistema è deficitario, pochi dubbi su quello. In Veneto si permettono orari ridicoli , visite su appuntamento anche in caso di febbre ( febbre intendo nell’era preCOVID, addirittura a 15 giorni è capitato di vedere) e il livello, assistenziale ma anche, spiace dirlo, professionale di tanti medici del territorio è molto basso ( non faccio nomi ovviamente ma ho assistito a un ictus con plegia completa scambiata per un dolore articolare e un’influenza scambiata per uno scompenso cardiaco). Però accanto a questo grave problema, che ha portato alla situazione attuale, c’è sicuramente anche molta sciatteria. Non è oggettivamente accettabile valutare una persona di mezza età e costui non sappia che medicine prende e perchè le prende ( cosa molto più comune di quanto si pensi). In questo caso il sistema c’entra poco.
E poi, a proposito di dati di fatto,con l’epidemia questi accessi si sono praticamente azzerati. Ma davvero. Segno che tanti venivano in PS più che per problemi veri quasi per “fare il tagliando”, anche perchè ad oggi i medici del territorio hanno molta difficoltà nelle visite domiciliari ma non solo, stante la carenza di DPI.Carenza che tra parentesi, è ben lontana dall’essere risolta, e che è un aspetto che andrà comunque sviscerato alla luce dei 105 medici morti in questa epidemi, molti dei quali medici di base, che hanno continuato a lavorare non in sicurezza.
A quanto ho riscontrato io nel mio giro di amicizie e conoscenze, in queste settimane non si è andati più al pronto soccorso, o ci si è andati molto di meno essenzialmente per due motivi:
1) per paura di assembrarsi, visto il messaggio «se si sta insieme ci si contagia»;
2) per senso di responsabilità, visto il messaggio «siate responsabili, la sanità è intasata»;
Non penso che si possa inferire a ritroso, dal calo di accessi al p.s., che prima ci si andasse per motivi futili.
Giustissima osservazione di wolfbukowski.
Dove abito io andare dal medico di base per una laringite e per farsi prescrivere il relativo antibiotico significa dedicare mezza giornata, minimo, in sala d’aspetto con altri malati.
Mezza giornata che nel mio caso non paga nessuno.
I medici di base che permettono di fissare un appuntamento con prenotazione telefonica sono relativamente pochi, con qualche caso di eccellenza fra i pediatri. In qualche caso qualcuno aveva già sperimentato la possibilità di rinnovare le ricette e altri adempimenti “burocratici” via mail, salvo poi passare a ritirare l’originale in studio.
Inoltre verissima la questione della “medicina difensiva”.
Se vai dal medico per qualche problema che non sia il semplice mal di gola —> antibiotico, sai già che dovrai fare parecchi esami, con l’iter impegnativa – esame – ritiro referti, nuova visita dal medico di base (e altra mezza giornata) per decodifica referti e prenotazione di eventuali nuovi esami, impegnativa e così via.
C’è poco da stupirsi se quando a qualcuno viene qualche “dubbio” o problema di salute minimamente un po’ più serio vada direttamente al pronto soccorso, dove almeno se serve un esame viene fatto sul momento.
Della questione della gente che intasa i PS ne sento parlare da anni, da nord a sud e da est a ovest della penisola. Devo ammettere di non averci mai capito granché. Ma se quando abbiamo un problema di salute piccolo o grande, reale o presunto, culturalmente preferiamo rivolgerci al PS, posto che a qualcuno dobbiamo rivolgerci, che problema c’è a rinforzare i PPSS, aggregando a questi ad esempio le guardie mediche, dirottandovi le risorse che non vengono utilizzate altrove?
Non è che il problema è di ordine simbolico e che il PS rappresenta in modo più viscerale la forma collettiva e strutturata della sanità pubblica, al contrario di quella individuale del medico curante?
Le guardie mediche sono una realtà talmente depotenziata e ridotta che ormai bisogna solo abolirla, e manca poco (non sarà una gran perdita). Come dici tu si può anche dirottare tutto in ospedale, ma a quel punto si abdica totalmente all’idea di medicina e sanità territoriale. E non è questa la strada giusta secondo me. A mio parere l’ospedale deve servire solo per quadri acuti, quadri urgenti e diagnostica invasiva. Tutto il resto può essere demandato al territorio. Affermi poi che è un problema culturale, ma direi più malcostume perchè tanti fanno così. Ma la mission del PS è totalmente diversa: è affrontare le urgenze, non ogni tipo di problema sanitario. Ma dato che c’è questo malcostume,a quel punto, caro utente, non ti lamentare delle tante ore di attesa ( https://www.qdmnotizie.it/jesi-i-disagi-sanita-infuocata-lettera-aperta-degli-operatori-del-pronto-soccorso/). Non tutti i casi gravi possono essere urgenti. Mi spiace sempre argomentare per esempi, ma così è più semplice: una emoftoe o una rettorragia possono essere benissimo il segno di una neoplasia polmonare o retto – colica ( anzi spesso è così). Ma a meno che non siano imponenti rivolgersi al PS non serve, crea solo intasamento. Non è compito di noi del PS fare una diagnostica così accurata ( per intenderci una TAC stadiante è uno studio differente dal punto di vista parametrico di una TAC urgente per un trauma) che preveda anche metodiche invasive che DEVONO, devono essere programmate. Anche perchè uno studio clinico può prevedere diverse tipologie di esami.
Rispondo a Wu Ming 1 sul calo di accessi. Posso assicurare che c’è stato effettivamente un calo generalizzato, sicuramente dettato da comprensione e paura, con punte di 2/3 di accessi in meno in alcune realtà. I futili motivi sono da anni una piaga dei PS ( e tra l’altro ho notato che più è futile il motivo, più c’è la tendenza a lamentarsi delle ore di attesa). Non ho i dati degli ospedali di Bologna dove magari il calo numeri è stato limitato ma essendo il Maggiore un mega hub che convoglia molte urgenze da tutta la Regione, in primis i traumi, immagino che prima di rivolgersi in ospedali così grandi a meno che uno non stia veramente male ci pensa parecchio, altrimenti le ore di attesa possono essere davvero tante. In Veneto gli hub di riferimento che sono Borgo Trento a Verona e l’Azienda Ospedaliera di Padova hanno avuto un calo impressionante dal punto di vista numerico ( parliamo di ospedali che arrivano in tempi normali a fare 300 accessi al giorno). Una buona quota di questi accessi è sicuramente utenza che si presentava per motivi magari anche reali ( non esistono solo i futili motivi) ma che non sono strettamente urgenti.
E poi: se l’ accesso al medico di base e alla guardia medica è così difficile molti, come me, preferiscono non andarci. Con la conseguenza di andare malati al lavoro pur di non dover ricorrere al medico. Mi sembra che la descrizione del paziente medio piagnone che fai, non corrisponda alla realtà. Un sacco di persone ” rinunciano ” a rivolgersi al proprio medico. Le strutture sul territorio non funzionano. Questo alimenta poi i luoghi comuni di cui parli sui pazienti che invece di i individuare la causa sistemica del mal funzionamento e della mala gestione se la prendono con altri pazienti. Ed alimenta anche un idea di pseudoscienza/ pseudomedicina fai da te.
Ok, Lupo, quello che stai dicendo è che, a meno che non si stia per morire, non bisogna intasare i pronto soccorso. Ignorando completamente il fatto che prendere un appuntamento dal medico di base è difficile come chiedere una udienza al papa. Soprattutto se hai una certa ” urgenza “. Ignorando il fatto che la maggior parte dei medici di base non visita. Ha con il paziente un rapporto da asettico burocrate e che, spesso, trattano i pazienti come noiosi ipocondriaci con un atteggiamento di sufficienza ingiustificabile. Ignorando il fatto che la guardia medica è un servizio fittizio di rappresentanza sul territorio, quasi completamente svuotato della sua funzione. Sai che io, ormai, non mi rivolgo neanche più al medico. Se ho la cistite vado direttamente in farmacia. E parlo con la farmacista. Questo è il risultato di una sanità esistente solo sulla carta, che forma generazioni di medici incompetenti dal punto di vista professionale e umano. Non so che faccia abbia il mio medico di base. Ma posso assicurarti che con tibia e perone rotti e con le vertigini posizionali non è venuto a visitarmi per le vertigini. Avrei dovuto chiamare un’ autoambulanza e farmi portare al pronto soccorso? Non l’ho fatto. Ma a cosa serve il sistema sanitario nazionale se ognuno scarica sugli altri le proprie responsabilità? È solo una domanda provocatoria. Ovviamente.
Non estremizziamo adesso. Non ho detto ” a meno che uno non stia morendo”. Ho voluto puntare sul focus che molte persone ormai bypassano direttamente il medico di base presentandosi direttamente in PS. I motivi possono essere svariati e purtroppo l’incompetenza dei medici condotti, come in tutte le categorie, nessuna esclusa, ha la sua parte. In tal senso, infatti,il tuo esempio calza a pennello. Le vertigini sono un problema serio, che DEVE essere valutato in PS. Ci sono le vertigini posizionali che passano con una somministrazione di levosulpiride, ma tante che invece necessitano di osservazione clinica oltre alla terapia quando non di una TAC per escludere problemi seri ( e in alcuni selezionati casi persino il ricovero). Una indempienza così è GRAVE “Avrei dovuto chiamare un’ autoambulanza e farmi portare al pronto soccorso? Non l’ho fatto” Avresti dovuto assolutamente. Dove lavoro mi è capitato di tenere in osservazione un’intera notte una donna con vertigini che non passavano. La medicina territoriale non funziona? Verissimo, poco da controbattere. Però a fronte di medici di base non complianti per non dire incompetenti, ce ne sono che lavorano e bene. Se uno non è soddisfatto può sempre cambiarlo, anche perchè, aldilà di problemi sanitari più o meno gravi, a tutti capita di ammalarsi. Se non si ha un filo diretto con il curante, anche un semplice certificato può essere difficoltoso da ottenere
Scusate, mozione d’ordine. Questa sotto-discussione sul pronto soccorso si è ormai frammentata in più rami, è indubbiamente importante ma è andata sempre più OT, o almeno sempre più lontano dal focus del post e della discussione principale. Per ora chiudiamola, grazie.
Ciao Lupo81, spiegami, da medico ( e non sono sarcastica!) quale sia il nesso tra misure imponenti ed indifferenziate attuate sul territorio sul piano della coercizione e della repressione e contenimento effettivo della diffusione del virus. Io temo che la maggior parte delle persone che ora sta blindata in casa a far foto e video a coloro che osano andare per strada sia composta da individui che lanciano la spazzatura nelle cunette o che fino a ieri ( e probabilmente riprenderanno a farlo un domani ammesso e non concesso che abbiano smesso) starnutivano e tossivamo senza coprirsi il volto. Io non voglio essere trattata alla stregua di una criminale, con il rumore perenne dell’elicottero sopra la mia testa che mi sembra di essere in un B-movie ambientato in Vietnam, non accetto che un carabiniere con la conoscenze mediche di un criceto mi intimi di indossare la mascherina nel deserto e senza anima viva presente nel raggio di chilometri. Tanto zelante dispiegamento delle forze dell’ordine reputi sia davvero solo espressione di una riposta di carattere “sanitario” e non, piuttosto, una affermazione di autorità con pochi precedenti per come è generalizzata? Il concetto di salute che viene evocato per giustificare la dimensione limbica in cui sono state relegate le nostre libertà, si riduce a non contrarre il Coronavirus? Quello di “ salute” è un concerto molto più complesso dell’avere solo parametri vitali nella norma. Dirai: se non hai quelli il resto te lo sogni, però saprai molto meglio di me che le nostre emozioni e sensazioni non sono paradigmi astratti: determinano e/o sono determinate da complesse reazioni biochimiche ( basti pensare al ruolo degli ormoni e come la secrezione di questi sia influenzata da molteplici fattori), se vivo in uno stato di angoscia causato dalle costrizioni senza logica impostemi posso definirmi davvero in salute? Scusa se sembra che i miei toni siano polemici, non é ovviamente a te che é rivolto l’astio. Anzi, trovo interessante un parere espresso da un “tecnico” ( passami il termine).
E scusate se rispondo a me stessa, ma il limite di battute non mi consentiva di porre la domanda nel commento sopra…cosa intendi quando parli di “pelle d’oca” che ti coglie a proposito sei discorsi sulla sanità gratis? Il paese con una delle più elevate pressioni fiscali al mondo ( attuata sui poveracci, si badi) non dovrebbe neppure garantire servizi essenziali come le prestazioni sanitarie? Non abbiamo un vero welfare, abbiamo distrutto la sanità intesa in senso decentrato e capillare sul territorio e a cos’altro dovremmo rinunciare? Anche se forse hai ragione: la sanità gratis non esiste da tempo se per vedersi erogare una prestazione si deve attendere un anno, a meno che non si paghi un bel ticket intramoenia.
Ci sono prestazioni e prestazioni. Intendo dire che per statuto su tutte le questioni veramente importanti riguardo alla salute è già carico della collettività. Intendo ricoveri programmati ed urgenti sia in ambito internistico che chirurgico, visite di controllo a 30 giorni dalla dimissione,visite di controllo per patologie, terapia in day hospital come chemio, trasfusioni,infusioni di farmaci particolari. Non facciamo finta di niente. Ho fatto alcuni esempi, tutti visti nelle notti di guardia, di problemi che di urgente non hanno nulla, che vanno ad intasare una macchina già con i suoi problemi come il Pronto Soccorso (ambulanza per un giradito o per una distorsione di caviglia gridano vendetta) e che per evitare che si ripetano è giusto far pagare la prestazione. Se tutti facessero così ( e sappiamo che succederebbe), avremmo un sistema ingestibile
Sono due questioni diverse ma legate. Un virus che si trasmette per via respiratoria per definizione ha una altissima diffusibilità. Un virus che si è dimostrato essere pandemico e letale necessita di misure straordinarie di contenimento. Nello studio pubblicato da Matteo Villa si dimostra chiaramente quanto il virus sia diffuso, compresi i positivi asintomtici che restano il veicolo più pericoloso ( e allo stesso tempo sottostimato). Quasi dieci volte più dei dati ufficiali. A nessuno piace lo stare blindati in casa, ma nel momento in cui il normale vivere civile ( ed intendo tutto, anche la scuola e gli asili in quanto i bambini, pur essendo fortunatamente de facto immuni, restano comunque un veicolo) purtroppo è il miglior viatico per il dilagare dell’epidemia, almeno nella fase più acuta il cordone sanitario resta l’unica valida alternativa davvero fattibile ( vorrei sapere quali sono le alternative evocate in un precedente commento, e sapere se davvero sono applicabili). Nessuno qui sottovaluta il lato politico della cosa,che va tematizzata e soprattutto una volta finito tuttova ripreso, anche a forza, lo spazio pubblico. Ma su quello non mi addentro in maniera tecnica. Leggo quello che scrivono i giuristi e cerco di comprendere a fondo, anche se non è semplice visti gli inevitabili rimandi alle leggi.
L’esempio del carabiniere che intima la mascherina è un caso limite ( è capitato anche a me e il fatto che fossi medico ha portato il solerte funzionario quantomeno ad ascoltare ciò che avevo da dire sul fatto che non avessi addosso la mascherina) che va stigmatizzato. E’ evidente che se uno passeggia da solo non ha bisogno della mascherina, idem se va in giro in bici. La mascherina non serve in luoghi aperti se tutti manteniamo le distanze, serve nei luoghi chiusi che abitualmente si frequentano ( in primis i supermercati). Il giorno 8 marzo, 24 ore prima dell’effettivo lockdown ho visto persone nella città in cui vivo ammassarsi in strada come se non ci fosse un domani, segno che davvero si era capito gran poco della questione.
Dal momento che quasi nessuno al mondo ha adottato lo stesso «pacchetto» di provvedimenti che abbiamo adottato noi – che mette insieme norme sensate con altre del tutto assurde, restrizioni fondate con divieti del tutto incongrui e puramente spettacolari – vuol dire che le alternative ci sono eccome e vengono pure praticate.
Se poi pensiamo all’impressionante catena di errori, omissioni, stronzate e negligenze criminali che ha fatto esplodere l’epidemia in Lombardia, con ripercussioni a valanga in tutto il Paese, è ben difficile accettare l’idea che «in fondo è andata bene» e che si doveva fare come si è fatto.
Ma io soprattutto voglio evidenziare questo virgolettato:
«E’ evidente che se uno passeggia da solo non ha bisogno della mascherina, idem se va in giro in bici.»
Dovrebbe essere evidente, ma – questo è il punto – non lo è affatto.
Ti sei accorto di cosa sta succedendo da settimane nelle città e paesi d’Italia? Ti sei accorto della caccia all’untore? Ti sei accorto che «passeggiare» è stato equiparato né più né meno al delinquere, e che in bici ti fermano? Ti sei accorto che in alcune zone basta non avere la mascherina per attirarsi addosso riprovazione e rabbia?
Tutto questo succede perché c’è l’esigenza di stornare e disperdere in un tutti-contro-tutti responsabilità che invece stanno in alto e sono anche precisamente individuabili.
Di questo stiamo parlando da settimane. Questo è il focus di molte discussioni qui. E il delirio securitario che ha portato a demonizzare chiunque sia per strada è il focus di questa discussione.
Infine, non ne posso più del «ne parleremo dopo». Ne parliamo adesso.
Certo che bisogna parlarne adesso, anche perchè se il dopo intendiamo la normalità, è ben lontana allo stato attuale. E le mascherine sono la questione visivamente più evidente. Le responsabilità apicali chissà per quanto tempo si cercherà di occultarle ( la storia dell’emendamento è solo un maldestro tentativo). Certamente addentrarsi nel particolare delle misure da adottare, sarebbe stato meglio. Speriamo che ora, nella fantomatica fase due, queste cose che stiamo dicendo entrino nel discorso
“Se poi pensiamo all’impressionante catena di errori, omissioni, stronzate e negligenze criminali che ha fatto esplodere l’epidemia in Lombardia…”. Nessuno la nega, nessuna stima per le scelte di Fontana, che si è dimostrato, semplicemente, un incompetente. Basta leggere gli articoli di Fabrizio Gatti, ricolaggine e tragedia allo stesso tempo. Ma gli errori compiuti, a mio parere, non cambiano il fatto che determinate misure di contenimento dovevano esser attuate. Gli errori sono stati nella gestione politica, non nel fatto che le contromisure dovessero essere, almeno nelle linee generali, quelle. Quanto alla caccia all’untore anche io ho preso parole nelle poche evasioni che mi sono concesso ( già faccio turni su turni con tutta la bardatura addosso, già vedo poco la mia compagna per via del rischio, lasciatemi almeno la bicicletta!) e che per principio, quando sono in giro, non uso la mascherina. Proprio perchè inutile. Per inciso, ho trovato molto interessanti i vostri post che fanno luce sugli aspetti non sanitari della questione. Il mio commento voleva essere solo un breve focus sul fatto che, almeno a prima vista, alternative da attuare rapidamente, non ce ne fossero tante e sul fatto che, pur essendo una vera occasione per ripensare il SSN in senso più umano, non per questo bisogna lanciarsi con proposte utopistiche. Essendo in prima linea, fino allo scoppio dell’epidemia vedevo tutto ciò che non va sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista dell’utenza
In Francia, da marzo 2019 sono in corso forti proteste del personale sanitario, medici ed infermieri, contro i continui tagli al servizio sanitario nazionale, anche con clamorosi scioperi nei pronto soccorsi.
Chiedevano riforme, fondi, più posti letto, più personale, migliori condizioni per i lavoratori e per i pazienti.
Subito prima dell’emergenza del Covid-19, in autunno e fino a gennaio, si sono dimessi dalle funzioni amministrative centinaio di primari e altri medici, lanciando messaggi pubblici chiari e comprensibili. La ministra della salute Agnès Buzyn, ha più volte promesso di prendere provvedimenti, senza però intervenire in alcun modo.
In Francia davvero nessuno, in buona fede, può affermare di ignorare che il sistema sanitario pubblico era al collasso ben prima di questa emergenza e le responsabilità politiche dei tagli degli ultimi anni sono all’ordine del giorno.
Forse anche qui da noi, chi è stato testimone diretto del progressivo deterioramento degli ospedali pubblici dovrebbe alzare la voce in modo che tutti possano sentirla.
Sarebbe un buon momento per cominciare.
La mia opinione personale è che l’intera retorica del medico-eroe, compreso l’annunciato bonus di 1000 euro per il personale sanitario annunciato da Bonaccini, serva più a tacitare la discussione sui problemi strutturali del SSN che a gratificare i lavoratori che hanno dovuto gestire l’emergenza in condizioni inaccettabili.
Un grande problema è sicuramente che la spoliazione del SSN è stata lenta ma inesorabile, tanto da farla passare sotto silenzio. I medici ed in generale gli operatori non hanno fatto grancassa come i metalmeccanici in passato ed è stato un errore. Forse per spocchia, forse no, ma sta di fatto che è così. Sono d’accordo che sarebbe un buon modo per ricominciare. Solo che,tanto per dirne una, la tematica tagli va ( scusate il gioco di parole) vivisezionata, non necessariamente tagliare un servizio ospedaliero ( badate bene non territoriale, ma ospedaliero,) sia necessariamente un male. Pensate solo alla chirurgia: chi soffre di un male grave,andrà a farsi operare dove quel tipo di operazione è routinaria, non dove l’attività è sporadica. Penso soprattutto, ma non solo, a chirurgie delicatissime come pancreas e fegato. In pratica solo nei centri grossi, dove hanno la capacità, non solo chirurgica, ma di tutta la rete assistenziale, di fare tutto. Quanto al bonus di Bonaccini, non serve criticare sempre tutto. Perchè guardare sempre un potenziale doppio fine e doppio gioco? In Emilia Romagna siete fortunati, avete la miglior sanità dell’urgenza, in primis il Maggiore, da molto tempo ( i congressi sul trauma sono quasi solo organizzati dai colleghi del Maggiore),centri di eccellenza come il Bellaria e il Rizzoli ( ho avuto a che fare con il Bellaria, giù il cappello, davvero), gente esperta e motivata. Premiare in questo momento ci sta. Non è certo colpa di Bonaccini, ma della politica nazionale, e in fondo anche nostra di operatori sanitari, se medici ed infermieri sono i peggio pagati d’Europa e le scuole di specializzazione sono spesso delle barzellette
Bisogna parlarne adesso, altroché, degli aspetti giuridici e civili della risposta securitaria e poliziesca. Perché il “dopo” non è affatto chiaro dove vada collocato e chi lo decreterà. “Dopo” potrebbe essere quando verrà trovato un vaccino. Potrebbe essere tra un anno o due. E un anno o due a diritti civili sospesi segnerebbe un punto di non ritorno, soprattutto per un paese la cui cultura politica diffusa non è mai stata campionessa di tali diritti. Proviamo a immaginare cosa significherà affrontare la recessione economica micidiale che ci attende in un regime di diritti limitati e forse avremo una vaga prospettiva dei rischi che stiamo correndo.
Non c’è nessun problema ad ammettere che Bonaccini è stato un po’ meno “sborone” (a Bulaggna si dice così) di altri governatori. Però, come abbiamo detto in precedenza, Bonaccini ha tenuto a farsi notare facendoci notare che lui non si faceva notare, ma parlava con i fatti. Ognuno sceglie la propria strategia comunicativa in base anche al proprio elettorato.
Venendo invece alle questioni più importanti che sollevi…
1) L’abuso del pronto soccorso può essere un malcostume consolidatosi nel tempo, ma forse andrebbe messo in relazione con il sovraccarico dei medici di base, con la sparizione dei presidi medici territoriali, con la chiusura di ambulatori e ospedali. Soprattutto la popolazione anziana di questo paese (che è tantissima) ricorre con disinvoltura al Pronto Soccorso perché brama assistenza medica, che spesso andrebbe letta come rassicurazione psicologica. Forse si dovrebbe lavorare (cioè investire denaro pubblico) per il ripristino di presidi medici extra-ospedalieri per chi non ha cose gravi, piuttosto che farsi venire la pelle d’oca a sentir parlare di “sanità pubblica per tutti gratis”, che rimane uno dei caposaldi di civiltà più importanti raggiunto nella storia umana.
2) Con l’ignoranza degli italiani e la loro incapacità di disciplinarsi si è giustificato tutto l’apparato coercitivo messo in campo dal governo e dai governatori. Ora, è indubbiamente vero che le forme delle relazioni interpersonali di noi europei, e latini in particolare, passano moltissimo dal contatto fisico (strette di mano, baci, abbracci, ecc.), e in questo gli estremo-orientali sono forse un po’ avvantaggiati nel gestire il distanziamento; ma è altrettanto vero che in questo mese abbiamo visto file ordinatissime fuori dai supermercati, degne della vecchia Germania Est e dell’URSS. Tant’è che i “furbetti” che vediamo perseguiti o multati dalle forze dell’ordine sono persone che assumono comportamenti del tutto innocui (runner, genitori che portano i figli a prendere una boccata d’aria, pensionati che si riposano un momento su una panchina, ecc.). Anche la fila di auto prodotta fuori Roma l’altro ieri, grazie al posto di blocco della polizia, contava, pare, 1.500 automobili, di cui solo un centinaio erano ingiustificate a stare lì. In una città di quasi cinque milioni di abitanti è come dire niente.
Io questa fantomatica e innata indisciplina italica non l’ho proprio vista in atto. Anzi, tutto il contrario: il patriottismo dello state-a-casa unito al terrorismo mediatico ha funzionato benissimo finan che a farci obbedire a comandi illogici e insensati. E adesso che deve iniziare la cosiddetta “fase 2” – perché deve iniziare, non puoi tenere un paese bloccato per mesi e mesi – il problema ti si ripresenta tale e quale. L’unica cosa su cui puoi scommettere è proprio l’informazione corretta, l’autodisciplina e il senso di responsabilità: ingresso contingentato negli esercizi commerciali, utilizzo dei guanti se si tocca la merce, mascherina se lo spazio è al di sotto di una certa metratura, ecc. Non c’è altro modo per tornare a vivere. Non possiamo restare murati vivi dentro casa in attesa che il virus passi, dobbiamo imparare a conviverci, perché potrebbe volerci un anno e mezzo per debellarlo.
Abbiamo sfottuto il ridicolo Boris Johnson quando ha detto “salutate i vostri cari” e noi non siamo stati in grado di fare molto altro che… salutare i nostri cari.
Abbiamo sfottuto il premier svedese quando si è appellato al senso di responsabilità dei cittadini… e adesso siamo noi che dobbiamo farlo, se vogliamo uscirne.
Le favole autoconsolatorie e le narrazioni tossiche vanno abbandonate. Altrimenti sarà l’idiozia a ucciderci, non il virus.
Il malcostume è talmente radicato che avrà tanti motivi. Su una cosa dubito: “il sovraccarico dei medici di base”. Non so di preciso come sia la situazione in Emilia Romagna, ma in Veneto parlerei proprio di malcostume dei medici di base, che spesso ricevono, giuro, su appuntamento ( intendo visite e non per le impegnative), fanno orari ridicoli ma soprattutto non si aggiornano. Faccio due esempi, limite ma due esempi veri: un dolore di stomaco con esami positivi per Helicobacter non trattato perchè “era estate” un mal di gola da tonsillite inviato per valutazione per una terapia antibiotica ( che quando prescritta è spessisimo sottodosata). Riguardo alla sanità gratis per tutti, vi prego non estrapolate la frase ma ho già spiegato cosa intendo. Devo dire che ho notato anche io una diffusa disciplina, per fortuna. Ma non è quello il punto: ci sarebbero state delle alternative vere e applicabili più blande per far passare il messaggio? Ne dubito. Certo, questo determina gravi problemi. E state a dimostrarlo proprio voi Wu Ming, altrimenti i post dal diario virale in poi non sarebbero esistiti. Ho voluto solo esprimere il parere tecnico di chi, tra le altre cose, ha spedito in rianimazione gente di 40 anni e che ha dovuto gestire colleghi della stessa equipe. D’accordissimo che la fase 2, avendo scavallato il picco della curva epidemiologica sarà delicatissimo. Un po’ per il plateau che c’è sempre, un po’ perchè bisogna in qualche modo ripartire. Informazione corretta:speriamo che finisca sto brulicare di fake news ( i gargarismi con la candeggina…) finisca, ma ho timore che non sarà così. Quanto all’estero, dove non subito si è attivato il lockdown i governanti hanno di corsa cambiato idea e in Paesi come la Nuova Zelanda che sono stati rapidi a partire con questa idea si sono trovati con pochi contagiati. Quanto a Bonaccini, non è nemmeno paragonabile a gente come Fontana e Zaia. Strategia politica? Può darsi, ma in concreto qualcosa ha fatto e sta facendo.
«dove non subito si è attivato il lockdown i governanti hanno di corsa cambiato idea»
Questa è una caricatura indifferenziata in stile Repubblica. Da un mese qui ci si sbatte collettivamente per smontarla.
«Lockdown» in sé, senza specificazioni, non vuol dire nulla, in molti paesi hanno chiuso le scuole e varie attività ma non i parchi e hanno consigliato di uscire all’aria aperta; in altri hanno chiuso spazi che noi invece abbiamo lasciato aperti e lasciato aperti spazi che noi invece abbiamo chiuso.
Quasi da nessuna parte in Europa si è blindata tout court la gente in casa, demonizzando mediaticamente l’uscita all’aria aperta «senza motivo». Su questo ci ha seguito solo la Spagna. Inoltre, il ricorso all’autocertificazione, su cui noi abbiamo incentrato tutto, all’estero è rarissimo.
Quasi nessuno è arrivato ai nostri estremi e alla nostra paranoia. Se avessimo ragione noi e torto gli altri, dovremmo essere il paese con la mortalità più bassa. Invece, toh, siamo quello con la mortalità più alta. Ma, istigati ogni giorno da una martellante disinformazione su quello che succede altrove, pensiamo di poter dare lezioni al mondo, pensiamo che gli altri paesi «alla fine hanno fatto come noi». Che è falso.
Scusami Lupo81, ma il tuo commento mi suona come l’ennesimo gioco al ribasso sulle responsabilità dello stato in cui versa il sistema sanitario nazionale. Affermare che si sia giunti a questo sfacelo “ […] anche per un uso scellerato dell’utenza[…]” mi sembra l’ennesimo cliché,luogo comune, stereotipo sul rapporto tra gli italiani e la sanità’ pubblica e quanto meno andrebbe argomentato col rischio di finire OT. Detto questo se non sbaglio i medici di base a cui ricorrere per la famigerata cistite hanno bacini d’utenza che possono arrivare fino a 1500 pazienti annoverando tra questi una popolazione invecchiata e con malattie croniche : che sbattimento farsi visitare dal proprio medico quando cominciano i primi sintomi della cistite tipo “ signur che bruciore durante la minzione “. A parte poi il principio di universalità del nostro sistema sanitario come sottolineato da altri utenti affermi che “ i wu ming ci insegnano che l’ignoranza è a livelli fantascientifici…” al contrario i wu ming e i frequentatori di questo blog hanno testimoniato che la disinformazione e la mistificazione della realtà dei media mainstream hanno agito in nome e per conto di chi ha gestito questa emergenza riversando sui cittadini e sulle cittadine la responsabilità dei contagi. È vero come diceva un utente qualche giorno fa rileggere le pagine di René Girard fa capire quali meccanismi si celino dietro la costruzione di un capro espiatorio nei momenti di crisi e conseguente emergenza. Che la popolazione non abbia reagito in modo immediato all’ordine di restare chiusi in casa ma ci abbia impiegato alcuni giorni per metabolizzare una restrizione così forte sulle proprie libertà individuali mi sembra il minimo. Che il malcostume sia diffuso in tanti ambiti sociali compreso quello sanitario poi questa è cosa risaputa che se affrontata qui rischia di far cadere la discussione in un calderone di banalità inutili
Poi chiudiamo, chè si sta finendo OT. Non tutti i medici di base hanno 1500 utenti,solo i “massimalisti”. Nessuno li obbliga ma lo stipendio è proporzionale. Se li accetti, allora te ne devi prendere cura, in primis avendo degli orari adeguati. E se sono 1500 tra cronici, oncologici ed anziani, ci sarà un bel da fare. Quando ho accennato all’ignoranza mi riferivo più alle loro lunghe discussioni su Twitter con personaggi che erano convinti di Mussolini creatore della previdenza e dello statuto dei lavoratori, agganciandolo al fatto che è girata la fake news ( tanto da dover essere smentita persino dal Ministero) che i gargarismi con la candeggina fossero di aiuto. La radice di chi crede a sta roba è la stessa, ne sono certo. Ho fatto degli esempi sulla mia esperienza, ma troppi hanno equivocato. Ho parlato di cistite vista alle 4 con sintomatologia presente da 6, diconsi 6 giorni. Domanda: perchè in una settimana non si è andati dal proprio curante? E ribadisco, se tutti facessero così, e se tutto fosse sempre e solo a carico della collettività, il collasso sarebbe istantaneo. Spero di non dover tornare sull’argomento. Non sono banalità se viste nello specifico. Se la stragrande maggioranza degli accessi nei Pronto Soccorso sono casi del genere, non fai altro che demotivare il personale, metti in un angolo formazione e aggiornamenti, butti via una marea di soldi pubblici in esami che si fanno anche per medicina difensiva. Uno dei problemi nei primi tempi dell’epidemia è stata la difficoltà di gestire adeguatamente così tante persone con sintomi respiratori gravi, per mancanza di posti nelle astanterie, per mancanza di dispositivi come le C-PAP e di allenamento, perchè prima il percorso di pazienti così prevedeva uno stazionamento minimo nei Pronto Soccorso e il passaggio rapido nelle UTI, mentre ora anche i PS sono diventati dei luoghi di semintensiva, spesso per periodi non brevi. Con tutti i rischi del caso. Non volevo far deviare la discussione, volevo far notare il punto di vista di medico dell’emergenza. Che a malincuore vede di buon occhio e come inevitabile la scelta della quarantena ( intesa in sè non, ribadisco, con tutte le criticità giustamente evidenziate).
Post scriptum Anche se sarò criticato, ftemi spezzare una lancia per Bonaccini. In Lombardia e Veneto Fontana e Zaia sono sempre in tv a sparare e fare cazzate, come quella della fantomatica inaugurazione, finta naturalmente, di un ospedale alla Fiera assolutamente inutile ( https://it.businessinsider.com/lospedale-in-fiera-non-aggiunge-posti-alle-terapie-intensive-di-milano-era-meglio-potenziare-lesistente-i-dubbi-dei-medici/?fbclid=IwAR2zh-X3PrC2xi5heJ9ZBjyt4pkktuCiELYpMIUXggxUJoQCGcQgsT7FVfo). Mentre Bonaccini, pur alle prese con una situazione difficile anche dal punto di vista dei conti pubblici ha stabilito che tutti gli operatori sanitari verranno premiati . Non solo, si è anche attivato per essere disponibile per le altre regioni ( https://www.facebook.com/476250932907074/posts/unaltra-straordinaria-lezione-lennesima-da-parte-di-questo-grande-governatore-ch/779579849240846/).
Carissimo, capisco che la situazione sanitaria è senza precedenti, così come lo stress mentale che genera, ma la sua frase
“Quando sento vaneggiare di sanità pubblica per tutti e gratis per ogni cosa mi viene la pelle d’oca”
impone una riflessione linguistica in particolare sul verbo vaneggiare.
Per mio conto ritengo non coretto l’uso del predetto verbo che ha, quale significato convenzionale, anche il “fantasticare”.
In Italia, come lei ben saprà, vige il sistema sanitario universalistico, ed è una realtà e non una ipotesi da alterazione febbrile o altro.
Nel sistema mutualistico puro, vedi US, i buchi neri dell’assistenza sanitaria, dalla cistite al Covid-19 sono di estrema attualità emergenziale.
La costruzione della retorica securitaria attorno a una emergenza sanitaria è impressionante. La strumentazione di sorveglianza messa in azione in questa occasione è già operativa, e il ministro degli Interni come promesso la userà per “prevenire” il dissenso politico. Siamo già molto oltre il semplice esperimento.
Tuttavia: se era possibile, e io credo di sì, una risposta comunitaria e non securitaria all’emergenza sanitaria, la risposta a questa costruzione quale deve essere?
Fare virologia disobbediente (“non è vero che ci infetta all’aperto”) mi sembra sbagliato. Riproduce invertendolo il paradigma per cui “è il virus che detta le regole”.
Credo che andrebbero sfruttati tutti gli spazi possibili della comunicazione per denunciare e smontare il discorso patriottico-securitario. Andare in giro per strada può eroicizzare la nostra autostima red esorcizzare il nostro senso di impotenza, ma non smonta un bel nulla.
Michele, certo che era possibile «una risposta comunitaria e non securitaria all’emergenza sanitaria». In molti paesi infatti è stato ed è così. A tutt’oggi i paesi che sono riusciti a superare la fase 1 con meno decessi sono stati Corea, Giappone e Taiwan, che non hanno adottato il lockdown duro. Paesi densissimamente popolati e con popolazione anziana, tra l’altro. Forse sarebbe opportuno osservare quelli, invece di gufare gli svedesi, sperando che a loro vada peggio che a noi (e io dubito che sarà così).
Però, scusa, se non smonti le balle come fai a smontare il discorso patriottico-securitario? Se un individuo è disposto ad accettare il ribaltamento di ciò che dicono la scienza e la logica, e cioè che all’aperto sei più al sicuro che al chiuso, è un po’ come quando in 1984 O’Brien mostra a Winston quattro dita e gli chiede: “Qui ci sono cinque dita? Ne vedi cinque?” e quello risponde di sì. Come fai oggi a non dire che le dita sono quattro e che basta contare?
Qua davvero, Michele, non ce ne frega nulla di eroicizzare qualcuno o titillare l’autostima di chicchessia. Abbiamo riportato una serie di esempi per dimostrare che esistono pratiche e momenti di disobbedienza civile e che queste stesse pratiche rappresentano una critica concreta all’illogicità e incoerenza delle ordinanze: la mettono in mostra. Non vedo davvero come questo possa essere contrapposto alla denuncia e allo smontaggio del discorso patriottico-securitario, che per quanto ci riguarda procede di pari passo. Infatti stiamo ripetendo da settimane che
1) è falso che tutti fanno come l’Italia, anzi, non possiamo essere di esempio per nessuno;
2) la nostra debacle per il momento è stata superata soltanto dagli Stati Uniti, cioè un paese di 330 milioni di abitanti privi di una copertura sanitaria universale.
Più che sventolare il tricolore bisognerebbe vergognarsi, no?
Sono d’accordo, a intuito (ma preferirei che lo dicessero dei medici non dei giornalisti l degli scrittori) ti contagi più facilmente al supermercato e in fabbrica che nel parco, e c’è un dippiù di coprifuoco che fa paura e ha una chiara funzione propagandistica e persuasiva, destinata a produrre un riflesso d’ordine anche dopo l”emergenza: se non lavori o compri, devi stare a casa.
Detto questo, insisto, sfidare in questo momento i divieti con passeggiate disobbedienti non smonta niente, e offre facilissimo pretesto alla frustrazione ben coltivata contro i “traditori della patria antivirus”, che è purtroppo una retorica vincente. Bisogna aggredire quella retorica in un altro modo. IMHO
Però, Michele, qui non stiamo parlando “solo” di passeggiate – e secondo me sottovaluti quante persone le stiano facendo e quante le faranno, sempre di più, perché c’è un comune sentire che, seppure ancora minoritario, cresce – ma di momenti più strutturati, e rivendicati, come l’ultimo saluto a Salvatore Ricciardi.
Quanto al fatto che il virus non sia «nell’aria, là fuori», che negli spazi aperti ci siano minori probabilità di contrarlo, che ossigenarsi e fare attività fisica faccia bene anche alle difese immunitarie, lo hanno specificato molte volte vari scienziati, medici e organizzazioni sanitarie, i cui pareri e documenti abbiamo riportato qui nelle scorse settimane.
Io penso che anche le “passeggiate disobbedienti” servano. In primo luogo a se stessi, e poi agli altri: servono a ricordarsi, e a ricordare, che molte cose non sono vietate. Con l’eccezione di alcune regioni, non è vietato passeggiare, non è vietato correre né andare in bicicletta, non è vietato recarsi su una spiaggia e non è nemmeno vietato uscire di casa. Se questi comportamenti sono stati sanzionati in quanto tali, lo si deve al totale arbitrio consegnato alle forze dell’ordine. La differenza è fondamentale. Allo stesso modo, posto che il virus non sparirà stando in casa, incontrare altre persone (osservando le dovute cautele), serve a ricordarsi che la vita sociale è una necessità tanto quanto dormire e nutrirsi.
Totalmente d’accordo.
Alcune osservazioni:
1) Corea, Giappone e Taiwan han basato la loro strategia su gps tracking e big data analysis, che sono molto invasive della privacy e potenzialmente inquietanti. Inoltre, queste sono culture molto diverse dalla nostra, con molto più distanziamento sociale di base e l’abitudine a usare mascherine già presente. In Svezia, dove la gente è culturalmente molto rispettosa delle regole, stanno iniziando ad avere problemi. La diffusione aumenta e non si arresta. L’unica differenza è che la Svezia, dato il basso livello di popolazione e l’alta “ricchezza” può gestire (per ora) molto meglio degli altri paesi.
2) Sappiamo di fatto ancora poco dei meccanismi di diffusione del virus. Una risposta efficace ad una pandemia deve essere collettiva e rigida. Perfettamente d’accordo sul fatto che il clima di repressione sia a dir poco odioso, ma onestamente io non mi sentirei al sicuro a sapere che tutti se ne vanno in giro dicendosi “massì stiamo a 3 metri di distanza”. Psicologicamente non siamo in grado di rispettare rigide regole di distanziamento, ed è molto più sicuro stare a casa per un paio di mesi. Cosa faremmo, per assurdo, se invece di un’influenza polmonare ci fosse un virus letale che uccide all’istante? Usciremmo al parco rivendicando la nostra libertà individuale? Non penso proprio. Non esiste una risposta a questa crisi che sia pienamente rispettosa delle libertà individuali. Questo è un problema intrinseco alle pandemie. Detto ciò, la stretta repressiva è come al solito cieca e irrazionale per molti versi, come dimostrerebbero i funerali. Tuttavia, come impedire alle persone di abbracciarsi e piangere insieme durante un momento come un funerale? È una triste realtà, almeno così mi sembra a voler analizzare la questione con lucidità e calma, senza lasciarsi andare a spinte emozionali.
3) che razza di senso ha dire che si sta più al sicuro all’aperto che al chiuso? Affermare ciò in questa discussione è strumentale. Chiaro che se metti 50 persone all’aperto e 50 al chiuso, il virus si diffonde molto di più al chiuso. Peccato che in un lockdown le 50 persone son separate in gruppi da 1-5 persone al chiuso, isolate le une dalle altre e hai 0 contagi
Scusa, Motrix, però siamo ancora una volta al cliché degli «italiani indisciplinati», incapaci di dominarsi e di capire da soli che se c’è un’epidemia in corso meglio stare distanti e quindi ci vogliono i divieti, le proibizioni, la disciplina dura. Con quest’argomentazione, in Italia, si è giustificata ogni schifezza.
Riguardo al punto 1, qui abbiamo espresso più volte critiche nei confronti di ipotesi di tecno-tracciamento e controllo ossessivo degli spostamenti dei cittadini. È un terreno accidentato, una questione impostata male fin dalle premesse. Però faccio notare che anche in Italia si stanno controllando ossessivamente gli spostamenti dei cittadini, anche qui si sta violando la privacy, con i droni che vengono a stanarti anche nei boschi (usati dai vigili illegalmente, peraltro), la polizia che controlla una a una le “seconde case” per vedere che non ci sia dentro nessuno, o sale sul tetto privato di un edificio dove chi vive in quell’edificio sta facendo una grigliata, e le ronde di delatori attivi, l’aggressivo “controllo di vicinato”… Tutto questo insieme agli arresti domiciliari anziché in alternativa a questi. Come al solito, riusciamo a mettere insieme gli aspetti peggiori di tutti i modelli.
Riguardo al punto 3: che la quarantena “fai-da-te” aumenta i contagi lo dicono da un pezzo i medici cinesi, forti della loro esperienza. Non sto a ri-citare per la ennesima volta le fonti, non si può sempre ripetere tutto da capo. Quando in Cina se ne sono accorti, hanno fatto i «corridoi sanitari» e allestito strutture per la quarantena fuori casa dei positivi. Noi non abbiamo fatto niente di tutto questo, abbiamo puntato tutto sullo «state in casa». Ma se non sai chi è positivo e chi no, e se non ti fanno il tampone finché non sei a rischio di tirare i cracchi, chiudere tutti in casa, positivi e non, aumenta il numero di contagiati. Anche perché, al contempo, ti impegni ad abbassare le difese immunitarie delle persone, che non possono più passeggiare, correre, ossigenarsi, prendere il sole e la vitamina D, non possono fare due chiacchiere nemmeno a tre metri di distanza, non possono uscire di casa se l’uscita non è in linea col produci-consuma-crepa del capitalismo: o vai al supermercato, o vai a farti sfruttare, o non vai da nessuna parte. E ci sono sedicenti “anticapitalisti” che sono pure d’accordo!
Questa situazione, poi, sta facendo schizzare verso l’alto anche un sacco di altre patologie – su tutte quelle cardiovascolari – e malesseri, fisici e psichici. I TSO sono già aumentati in modo vertiginoso. Vogliamo parlare anche dei suicidi (quelli di adesso e quelli futuri), dei femminicidi da paranoia virus, degli sbroccamenti vari? Lo pagheremo caro, tutto questo. Pagheremo cara questa buffonata autoritaria e squallida.
Grazie per la risposta. Il mio discorso non era limitato agli italiani. Semplicemente ritengo che nelle città sia nella pratica molto difficile stare sempre a 3 metri di distanza da tutti (ma poi, basteranno sti 3 metri?) e limitare la diffusione, con tutta la buona volontà di questo mondo. E parlo anche per il sottoscritto. Già solo per fare due chiacchiere, come dici tu, 3 metri sono davvero tanti. Mi piacerebbe molto credere che tutti si comporterebbero a dovere, ma la realtà è che sarebbe un bel casino, proprio per la nostra natura sociale. Più si limitano le occasioni di incontro, meglio è. Eliminarle del tutto, no. E comunque si parla di qualche mese, non 5 anni. Sono contrario ad una segregazione completa che causa molti problemi, come giustamente hai descritto. È un approccio cieco e molto rozzo. Va precisato però che la passeggiatina per la vitamina C si può fare, stando vicini a dove si abita. Poi vabbè si può discutere su come si potrebbe organizzare di poter andare al parco ogni tanto ecc…
Non capisco cosa intendi quando dici che la quarantena “fai-da-te” aumenta I casi. Mi risulta che li diminuisca anzi di molto. All’interno delle case il rischio contagio è ovviamente molto alto a prescindere, con o senza lockdown. Ma senza lockdown aumentano di molto le probabilità di prendere il virus anche da altre persone al di fuori del proprio nucleo familiare no? In Cina hanno imposto un lockdown che non ha eguali, ancora più severo di quello italiano. E il tasso di contagio globale è più che dimezzato in meno di una settimana dal lockdown. E questo lo dicono mille fonti internazionali diverse, non Repubblica. I paesi che hanno adottato screening si sono mossi per tempo, e la Cina ha potuto iniziare a farlo piano piano solo dopo avere attivato un massiccio lockdown. E con un’immensa macchina organizzativa diretta dallo stato autoritario.
Andrebbero applicate altre misure e metodi in aggiunta alla quarantena? D’accordissimo. Sarebbero dovute esser applicate prima? Senz’altro. Avremmo potuto evitare questa situazione, che è misera, ma pur sempre molto meno misera di una pandemia incontrollata. Giusto e sacrosanto mantenere alta la guardia contro la repressione, in ogni caso. Io sto a casa quanto posso, in ogni caso.
Al volo solo per poche precisazioni, il resto domani (o da parte di qualcun altro, altrimenti diventa una roba a due, inoltre, lo so che non è colpa tua, ma davvero io non ne posso più di ripetere le stesse cose).
In Cina – a prescindere da ogni altra considerazione e da tutto il male che possiamo pensare del regime e dei sistemi autoritari e repressivi vigenti in quel Paese – non hanno chiuso a doppia mandata tutta la nazione. Hanno fatto la zona rossa intorno alla provincia dove c’erano i focolai. Come se noi avessimo chiuso la val Seriana, cosa che invece non abbiamo fatto. Al che in Italia ti rispondono: «Sì, ma quella provincia aveva gli stessi abitanti dell’Italia». Solo che non c’entra niente, è una fallacia logica. Avrà anche avuto gli stessi abitanti dell’Italia, ma intorno ce n’erano un altro miliardo e trecento milioni e rotti. Oltre a chiudere lo Hubei, poi, i cinesi hanno fatto un sacco di altre cose, alcune hanno funzionato molto bene. Se prendiamo in esame ciascuna di esse, risulta che noi abbiamo fatto il contrario.
Una di queste cose fatte a rovescio è proprio la quarantena-fai-da-te, che rispetto alla quarantena fuori casa garantisce una costanza dei contagi. È stato grazie alla quarantena fuori casa dei contagiati che in Cina la fase acuta è finita in tempi più rapidi.
Ma quando parliamo dell’Italia il punto più importante è un altro: chiudere i luoghi di assembramento non ha affatto per conseguenza logica blindare la gente in casa. Tant’è che quasi solo in Italia si è impedito, di diritto o di fatto, alla gente di fare attività fisica, passeggiare, prendere una boccata d’aria. In quasi tutti gli altri paesi non solo queste cose sono consentite, ma addirittura incoraggiate. Perché non c’è virologo in buona fede né medico né organizzazione sanitaria né paper epidemiologico a sostegno del dogma imposto qui, ovvero che «là fuori» è pericoloso, mamma mia. È una cazzata, il virus non è una nube velenosa, si trasmette per contatto diretto, per esalazione.
Noi abbiamo fatto la faccia feroce e imposto misure draconiane per colmare un drammatico vuoto di progettualità nella risposta all’epidemia, e abbiamo colpevolizzato comportamenti innocui perché servivano capri espiatori da additare, in modo da dirottare l’indignazione, allontanandola dai veri responsabili di questa situazione, cioè la classe politica che prima ha devastato sanità e welfare poi non ha saputo predisporre nulla per fronteggiare l’epidemia, e i padroni che hanno impedito di fare il lockdown localizzato dove serviva.
Aldilà della eccessiva severità delle misure, nei giorni e nelle settimane che hanno preceduto il picco c’è stata una tale quantità di casi nelle regioni più colpite (segno di come il virus già fosse ampiamente in circolazione) che estremi o non estremi, la mortalità sarebbe stata altissima ugualmente. Diverso è il caso in cui avessimo avuto un numero maggiore di posti di terapia intensiva e magari se la risposta, sanitaria prima che sociale, a protezione degli operatori fosse stata immediata, perchè l’urto sarebbe stato minore. Di fatto, per un numero imprecisato di giorni, ma comunque tanti, tutti gli operatori sanitari e i pazienti che si sono presentati in pronto soccorso indipendentemente dal motivo, non essendoci ancora in maniera capillare percorsi differenziati, hanno creato tanti casi veicolo che hanno determinato la diffusione fuori controllo
Qua in FVG da 35 giorni non possiamo uscire di casa per nessun motivo eccetto andare a lavorare in fabbrica o fare la spesa. Ci sono 200 morti ufficiali, più di metà dei quali in casa di riposo. Da subito chi lavora nelle case di riposo aveva lanciato l’allarme, ma il bubbone è scoppiato solo ora, sulla scia di quello lombardo. E solo oggi a qualcuno è venuto in mente di fare il tampone anche ai normali residenti dei condomini dove si trovano le case di riposo (sì, le case di riposo non sono solo belle case in stile austroungarico, ma anche anonimi appartamentti riattati all’interno di normali condomini). Sorge il vago dubbio che qualcosa sia andato *molto* storto e che le esibizioni muscolari dei milti coi dobermann e i fucili da guerra che rastrellano le strade a caccia di mamme col passeggino siano un diversivo (e anche un gioco dell’ozak, visto che parliamo di Trieste).
Scusa, ma a proposito di occupare lo spazio pubblico anche se per fini diversi da quelli di cui alla riflessione scaturita dall’episodio di San Lorenzo a Roma… leggo questo:
https://archive.is/6fItz
E mi fugge un particolare: Zaia avrebbe “concesso” ( Grazie, Sua Maestà) i pic-nic all’aperto in occasione del 25 Aprile ( sic) e 1 Maggio. Stupita leggo la notizia ma a quel punto emerge che sarebbero consentiti solo nella proprietà privata e limitatamente al nucleo familiare residente. Ciò che mi chiedo è: ma perché, ad oggi una famiglia non può accendere un barbecue nel proprio giardino e mangiare fuori? Forse mi sfugge qualcosa, magari ho pensato che l’allentamento si riferisse alla possibilità di raggiungere un orto di proprietà, ma la specificazione “ residente” sembra restringere appunto al luogo inteso come residenza. Sembra una questione stupida lo so, ma davvero non arrivo a capire se sia vietato simulare un pic nic sul prato di casa ( per chi ha la fortuna di averlo). Perché saremmo oltre la soglia del lecito ( da parte loro).
È questo che noi cerchiamo di fare notare: proprio perché è stata commessa una clamorosa serie di errori – alcuni interessati, come la tardiva chiusura delle fabbriche nella Lombardia orientale, altri frutto della sottovalutazione del virus, come appunto l’assenza di percorsi ospedalieri differenziati – si è ricorso a provvedimenti draconiani, dettati dal panico e dalla necessità di mettere una toppa. Toppa che però è stata più spettacolare e moralistica che sostanziale. Perché mentre a tutti veniva imposto di non uscire più di casa, mentre i passeggiatori venivano additati come criminali, metà delle imprese italiane (metà, sì) sono rimaste aperte, senza che nessuno verificasse concretamente se avessero adottato le precauzioni sanitarie necessarie. E soltanto adesso si inizia ad accettare il fatto che se stiamo in fila distanziati per entrare in un supermercato o in un luogo di lavoro, lo stesso possiamo e dovremo fare in qualcunque altro esercizio commerciale o luogo pubblico. Gira e rigira, come ho già detto, si torna alla responsabililtà della cittadinanza. Non è stare in casa che ci salva, ma stare a distanza di sicurezza. E in questo non tutto il paese è uguale, perché ci sono molte zone in cui la prossimità e la densità abitativa è irrisoria rispetto alle città. Trattare la Basilicata o la Sardegna alla stessa stregua della Lombardia è sciocco e dannoso.
Tutto questo, poi, nella speranza che nel frattempo si sia lavorato per adeguare gli ospedali, dotare il personale medico e paramedico delle necessarie protezioni, controllata la sicurezza sui luoghi di lavoro, pensato a un modo di riaprire le scuole a settembre (magari dividendo le classi su due turni)… Insomma anche senza pretendere l’efficienza coreana, speriamo non si debba constatare che la strategia italiana è stata quella dello “struzzo”, meglio nota come “a dda passa’ a’ nuttata”. Perché allora la notte diventerà davvero lunga.
Più posti in terapia intensiva non avrebbero fatto granché. Le cose che sarebbero servite, da quello che ho letto in giro (documenterò le fonti, promesso), sono:
– tamponi, tamponi, tamponi
– ricovero dei positivi non gravi, e terapie per evitare che peggiorino (in fase acuta, gli antivirali fanno più danni che benefici)
– maschere elastomeriche lavabili, di cui ne serve solo una a persona, ad vitam
Il contact tracing è meglio non farlo. A che serve sapere che sei entrato in contatto con un positivo? Il tampone non te lo fanno, ricoverarti non ti ricoverano, senza certificato medico non puoi smettere di andare a lavorare, e se la tua zona dovesse essere riconosciuta come un focolaio attivo, di sicuro non verrà chiusa con la celerità necessaria
Riguardo alle misure precauzionali per la popolazione, è vero che il virus è rilevabile fino a N giorni nell’aria e su vari tipi di superfici, ma è anche vero che:
– solo perché il virus è rilevabile, non è detto che diffonda il contagio: non è che uno lecca le suole delle scarpe o gli scatoloni di Amazon. Basta lavarsi le mani
– solo perché il virus è rilevabile, non è detto che ci sia. Studi molto citati rilevano solo la presenza di RNA virale, cioè solo il ripieno morbidissimo del virus, senza il guscio croccantissimo che è indispensabile per la trasmissione
– il contagio non è binario, “positivo” o “negativo”: c’è un vero e proprio spettro. L’ho scoperto di recente, ma così come per i veleni e le radiazioni, esistono dosi sicure o pericolose dei virus: sotto una certa dose virale, non ci si contagia; a una dose superiore si sarà portatori sani; la dose aumenta, e aumenta la gravità dei sintomi, e sotto una certa soglia, il pericolo è ridotto. Vale per molti virus, sicuramente per l’influenza, non si sa per certo sul SARS-CoV-2, ma è lecito supporlo. Una bassa dose virale (ad esempio, uno solo dei terribili incidenti con cui la gente cerca di terrorizzarsi a vicenda, tipo qualcuno che tossisce nella tua direzione mentre cammini per strada) potrebbe non avere alcun effetto negativo, anzi, ti potrebbe immunizzare
Ceterum autem censeo che il “lockdown duro” servirà solo a causare un secondo picco autunnale, come fu per la spagnola del 1918
E ora, le fonti:
“Più posti in terapia intensiva”, “secondo picco”: fonte che ho già citato più volte, il rapporto dell’Imperial College di Londra, vecchio di un mese che sembra un anno, che, scartati numerosi approci rivelatisi deludenti (tra cui l’aumento di letti di terapia intensiva) suggerisce la costruzione graduale di un’immunità di gregge tramite lockdown periodici, basati non su una cadenza temporale ma su parametri che misurino lo stress del sistema sanitario
Su “tamponi, tamponi, tamponi” e “ricovero dei positivi” non ho fonti specifiche, ma sono le indicazioni date dai cinesi in base alla loro esperienza
“maschere elastomeriche lavabili”: gli ospedali che attualmente usano mascherine N95 usa-e-getta potrebbero fare un salto di qualità – e risparmiare – sostituendole con maschere riutilizzabili con filtri intercambiabili, che gli sono superiori in quasi ogni modo. I difetti: bisogna imparare a indossarle correttamente, vanno disinfettate religiosamente, e i filtri cambiati regolarmente. Se non si può formare adeguatamente gli staff, forse sono meglio quelle usa-e-getta (che però prima o poi finiscono)
“in fase acuta, gli antivirali fanno più danni che benefici”: sembra che sia così per la clorochina, ma non abbiamo fonti certe. Abbiamo solo un piccolissimo programma in Brasile – che prevedeva solo 81 soggetti senza gruppo di controllo, che non è stato portato a termine e i cui risultati non sono ancora stati pubblicati ufficialmente – , in cui la clorochina ha manifestato solo i suoi gravi effetti collaterali senza mostrare benefici apparenti. Sull’idrossiclorochina, che dovrebbe essere più sicura, abbiamo solo trial ancora meno significativi: 30 pazienti in Cina, 42 in Francia
[continua]
E infine, arrivò lo studio sull’idrossiclorochina, che mette una lapide anche su quella potenziale cura, con buona pace di chi ci sperava (tra cui Trump). Come sempre, non si tratta di un vero e proprio trial clinico (difficile farlo in modo etico con una malattia così letale e senza una cura nota), e i risultati sono solo preliminari, ma promettono male:
“Researchers analyzed medical records of 368 male veterans hospitalized with confirmed coronavirus infection at Veterans Health Administration medical centers who died or were discharged by April 11.
About 28% who were given hydroxychloroquine plus usual care died, versus 11% of those getting routine care alone. About 22% of those getting the drug plus azithromycin died too, but the difference between that group and usual care was not considered large enough to rule out other factors that could have affected survival.
Hydroxychloroquine made no difference in the need for a breathing machine, either.
Researchers did not track side effects, but noted a hint that hydroxychloroquine might have damaged other organs. The drug has long been known to have potentially serious side effects, including altering the heartbeat in a way that could lead to sudden death.”
Da qualche parte (manca la fonte, mi spiace) avevo letto che gli antivirali potrebbero essere utili in funzione preventiva, ma come terapia sembrano completamente inutili
Per non fare solo commenti da virologa della domenica, aggiungerò che continuo a notare, con grandissimo dispiacere, che gli americani sono come intrappolati assieme al loro presidente in una gabbia retorica da lui creata. Anche i più feroci oppositori di Trump sono come costretti a usare le sue parole, e le loro argomentazioni possono essere solo l’opposto di quelle di Trump: se Trump sostiene l’uso di idrossiclorochina come terapia, tu oppositore devi opporti, anche senza prove, anche usando le prove sbagliate (come gli studi sulla clorochina); se Trump dice che la priorità dovrebbe essere l’economia, tu devi sostenere che venga imposto il lockdown assoluto, anche se fino all’altro ieri suonavi l’allarme per il razzismo e la militarizzazione della polizia; ecc.
[continua]
“rilevabile fino a N giorni”: lo studio ormai è arcinoto e citatissimo
“non è detto che diffonda il contagio”: c’è un consenso totale sulle proprietà profilattiche del lavarsi frequentemente le mani e non toccarsi la faccia
“non è detto che ci sia”: è noto che la presenza di RNA virale è una misura pessimistica ed estremamente imprecisa della presenza effettiva di virus. Esempio pratico: in uno studio condotto a Heinsberg, l’epicentro dell’epidemia in Germania, sono stati effettuati tamponi sulle superfici interne delle abitazioni di malati accertati. I campioni raccolti su telecomandi, lavandini, maniglie delle porte, eccetera risultavano positivi, ma non era possibile coltivarli in laboratorio: segno che il virus era “morto”, inattivo. Caveat: l’autore dello studio, Hendrick Streeck, mi sta antipatico a pelle (troppo VIP, troppo mediatico), e altri risultati del suo studio sono stati messi in discussione. Lo studio americano sulla presenza di virus su vari tipi di superfici, invece, sembra basarsi su un’effettiva coltivazione di virus, e quindi sarebbe affidabile. Basta comunque lavarsi le mani
“dose virale”: anche qui gli studiosi preferiscono non sbilanciarsi, perché si parla di malattie pericolose con cui è impossibile fare esperimenti controllati senza mettere a rischio la vita dei soggetti. Ma è noto che non solo serve una certa dose minima di virus per poter essere contagiati, ma anche che in molte malattie simili a COVID-19 la dose è proporzionale alla gravità dei sintomi: valeva per la SARS, valeva per la MERS, vale per l’influenza
In Germania, i cui posti di terapia intensiva sono stimati tra i 6 e i 7 il numero di quelli italiani hanno permesso, al netto dell’opacità dei dati trasmessi, una migliore risposta all’emergenza.E permetteranno una migliore risposta in caso di seconda ondata. In Italia si è dovuto costruire ospedali da campo,convertire pronti soccorso, sale operatorie e reparti normali per la degenza intensiva, semi intensiva e ordinaria di malati CoVID19,stravolgendo completamente la mission di interi ospedali e mandando in sofferenza hub e ospedali moderni come quello di Bergamo.Tant’è che vi sono stati persino trasferimenti di malati italiani non solo in altre regioni, ma persino in Austria e appunto Germania. Senza contare che in questo modo anche l’attività ordinaria è stata ridotta,in primis gli interventi chirurgici di natura oncologica. I tamponi avrebbero avuto senso all’inizio, non nel pieno dell’epidemia visto l’alto numero di falsi negativi. Infatti in molti protocolli interni ospedalieri il risultato del tampone,come importanza, viene dopo la clinica,l’imaging radiologico e gli esami ematochmici. Ricovero dei positivi non gravi. Ottima idea: non hai sintomi respiratori, una febbricola ampiamente gestibile ma ti ricovero lo stesso, rischiando una superinfezione e magari altre infezioni ospedaliere multiresistenti. Lo studio dell’Imperial College ha molti bug https://threadreaderapp.com/thread/1244898762365054977.html
Numero di decessi alto anche senza il lockdown https://twitter.com/emmevilla/status/1252933222104735744
Lockdown che anche su questo blog non è mai stato messo in discussione di per sè, così come le norme sul distanziamento. Sono state messi in discussione la fretta con cui sono state scritte le norme e gli abusi conseguenti. Perchè è evidente che ci sono tutta una serie di comportamenti che attuiamo nella normalità che non determinano alcun rischio, ma il messaggio che è passato è stato di altro tipo: il confinamento a casa in tutto e per tutto. Ma a quel punto il livello di discussione è di altro tipo, non certo sanitario, ma politico e culturale.
Avete già detto tutto. Vorrei solo aggiungere un dato, a proposito di morti e della sanità migliore del mondo, a cui non so dare una risposta.
E’ estrapolato dai soliti bollettini delle 18, per cui al 12 aprile la situazione era questa:
Veneto : rapporto deceduti/contagiati .
856/14077 = 6,08 %
Emilia Romagna : rapporto deceduti /contagiati.
2564/20098 = 12,7 %
Numero Tamponi
Veneto : 198.442
Emilia Romagna : 96.704.
Aggiungo di aver votato per Bonaccini. Non con piacere, e usando il voto disgiunto per votare un’altra lista, solo per non fare vincere la Lega. Tra le due opzioni, continuo a preferire il meno peggio, o quello che forse mi illudo sia tale.
Ma articoli come quelli di Lorenzo Tosa, intellettuale organico al potere come pochi, presentano una realtà parziale.
Non mente. Ma non dice tutto.
Ovviamente non sono contenta che qui da noi si muoia di più.
Voglio solo far notare che spesso, chi ha scelto una parte politica, vede il buono quando c’è e ignora il resto. Per cui si critica moltissimo, e giustamente, la gestione di Fontana in Lombardia e si esalta quella di Bonaccini in Emilia, perchè sta, diciamo, più simpatico.
A proposito di numeri. Già è stato detto in altre parti del blog: i numeri ufficiali sono l’unica base sulla quale discutere perché è l’unica che c’è, e dunque si fa di necessità virtù, tuttavia sono pochissimo indicativi. Nella mia regione il numero di contagiati è un’altalena quotidiana perché è un’altalena quotidiana il numero di tamponi. Se oggi si facessero zero tamponi avremmo zero contagiati, se si facessero 10.000 tamponi avremmo mille contagiati. È una banalità (e perdonate l’intervento banale), ma è su questa banalità che stiamo impostando il nuovo stile di vita di una nazione. La parcellizzazione delle politiche sanitarie porta anche a questo.
E’ così. Queti numeri in effetti non ci dicono molto. Non ci dicono chi sono questi contagiati, dove si contagiano e come mai, che noi, qui, ce lo siamo già detto varie volte, ma il resto del mondo guarda solo ai numeri.
Di solito il lunedì non festivo ci sono meno casi, perchè di domenica si fanno meno tamponi.
Ponevo l’accento sulla mortalità perchè oltre a non capire come mai questa differenza, e ad essere in definitiva la morte l’oggetto del post, è per quella che continua a esserci tanta solidarietà con chi “ci guida”. La gente ha una fottuta paura di morire.
La capisco.
Personalmente non dò alla vita un valore assoluto e se questo stile dovesse durare non la considero degna di essere vissuta. Resisto perchè sto in campagna, diciamo al confino, e la situazione è più tranquilla. In questi giorni di Pasqua, forse perchè erano tutti a presidiare i confini, non ho visto alcun tipo di polizia e ciò mi è piaciuto non poco. Anche se poi vedono uno girare da solo in una stradina in collina passano e vanno. Ma non si può mai sapere, e stiamo comunque tutti sul chi vive.
Io ne parlo con tutti coloro con cui vedo che posso, e dopo attenta analisi dell’interlocutore, ne scrivo nel mio piccolo, non siamo soli. Ma la maggior parte degli italiani è stata terrorizzata a dovere.
Poi chiudiamo, chè si sta finendo OT. Non tutti i medici di base hanno 1500 utenti,solo i “massimalisti”. Nessuno li obbliga ma lo stipendio è proporzionale. Se li accetti, allora te ne devi prendere cura, in primis avendo degli orari adeguati. E se sono 1500 tra cronici, oncologici ed anziani, ci sarà un bel da fare. Quando ho accennato all’ignoranza mi riferivo più alle loro lunghe discussioni su Twitter con personaggi che erano convinti di Mussolini creatore della previdenza e dello statuto dei lavoratori, agganciandolo al fatto che è girata la fake news ( tanto da dover essere smentita persino dal Ministero) che i gargarismi con la candeggina fossero di aiuto. La radice di chi crede a sta roba è la stessa, ne sono certo. Ho fatto degli esempi sulla mia esperienza, ma troppi hanno equivocato. Ho parlato di cistite vista alle 4 con sintomatologia presente da 6, diconsi 6 giorni. Domanda: perchè in una settimana non si è andati dal proprio curante? E ribadisco, se tutti facessero così, e se tutto fosse sempre e solo a carico della collettività, il collasso sarebbe istantaneo. Spero di non dover tornare sull’argomento. Non sono banalità se viste nello specifico. Se la stragrande maggioranza degli accessi nei Pronto Soccorso sono casi del genere, non fai altro che demotivare il personale, metti in un angolo formazione e aggiornamenti, butti via una marea di soldi pubblici in esami che si fanno anche per medicina difensiva. Uno dei problemi nei primi tempi dell’epidemia è stata la difficoltà di gestire adeguatamente così tante persone con sintomi respiratori gravi, per mancanza di posti nelle astanterie, per mancanza di dispositivi come le C-PAP e di allenamento, perchè prima il percorso di pazienti così prevedeva uno stazionamento minimo nei Pronto Soccorso e il passaggio rapido nelle UTI, mentre ora anche i PS sono diventati dei luoghi di semintensiva, spesso per periodi non brevi. Con tutti i rischi del caso. Non volevo far deviare la discussione, volevo far notare il punto di vista di medico dell’emergenza. Che a malincuore vede di buon occhio e come inevitabile la scelta della quarantena ( intesa in sè non, ribadisco, con tutte le criticità giustamente evidenziate).
A proposito di rappresentazione teatrale, questo testo mi pare c’entri, perché è scritto da una persona “moderata” probabilmente col senso dello stato e della legalità. Si chiama Monica Livigni, e parla dell’intervento della polizia allo Sperone, quartiere di Palermo che non è noto come lo Zen ma non ha niente da invidiargli.
Vivo nel quartiere dello Sperone da 37 anni, ovvero da quando sono nata. Vivo di fronte i palazzi incriminati da 12.
Non è un quartiere facile, anzi, è molto difficile.
Abbiamo provato a portare, nel nostro piccolo, un po’ di legalità e ne abbiamo anche pagato le conseguenze.
È un quartiere che detesto, in cui vive molta gente per bene, ma anche moltissimi criminali.
Eppure non riesco a non guardare con enorme pena tutta questa situazione.
Non indignazione, non rabbia, ma pena.
Mai avevo assistito ad un simile impiego di forze dell’ordine.
Mai.
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I bambini su quei tetti, ve lo posso garantire, ci salgono pure da soli.
I bambini vanno in giro sulle bici elettriche -avete presente quelle che sembrano motorini? Quelle – da soli portando dietro bambini anche più piccoli di loro.
Lo spaccio è noto a tutti.
Parrebbe anche la prostituzione.
Abbiamo avuto anche le lotte clandestine tra cani.
Dio solo sa cosa vedono i bambini che vivono in quei palazzi.
Nel mio quartiere ci vive gente abbandonata a se stessa.
Se, in altri tempi qualcuno avesse segnalato le stesse cose (casino, fumo che invade le case, minorenni in pericolo e varie ed eventuali) la risposta sarebbe stata: “Eh. Lo sappiamo. Non possiamo farci nulla”.
Ma non sono cose che conosco perché me le hanno raccontate, lo so perché quelle risposte sono state date a me.
Se chiami per segnalare una lite – e credetemi che qui le liti sono di un certo peso, perché scendono in campo intere fazioni- la risposta è quella.
Se tu sei in auto con i tuoi tre bambini piccoli che (per fortuna) dormono, ed è sera tardi e non puoi rientrare a casa tua perché c’è una “lite” in corso, puoi solo aspettare in auto che le acque si calmino perché la risposta che ricevi, chiamando la polizia, è sempre quella “Eh. Lo sappiamo. Avete ragione. Ma non possiamo fare nulla”.
E allora un po’ di rabbia ti viene.
E un po’ di rabbia mi è venuta pure ieri, perché sinceramente la prima cosa che ho pensato è stata “ma allora ci potete fare qualcosa!”.
Sì, lo so c’è una pandemia, un casino, etc etc.
Lo so.
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Ma prima cosa c’era?
Solo una fetta della popolazione che evidentemente non merita impegno.
E poi mi chiedo: che cosa gli hanno fatto? Tamponi? Sono stati trattenuti? Che è stato?
Dopo la dispersione, le generalità prese ai pochi trovati che, riportando testuali parole di un gruppo di ragazzi del mio residence, se ne saranno bellamente fottuti perché “tanto sono già segnalati”, che accadrà?
Sono stati tutta la giornata a gozzovigliare e qualora avessero qualunque tipo di virus se li saranno belli e scambiati ben prima che arrivasse la polizia.
Qui prodest tutto il casino di ieri?
Gli toglieranno i figli perché si sono improvvisamente accorti che sti ragazzini vivono in un contesto non sano?
È da sempre così!
Sempre.
Cosa è cambiato adesso?
Sono la prima ad aver invocato l’arrivo dell’esercito, lo sterminio di massa, la peste bubbonica concentrata in quei palazzi che mi hanno fatto arrabbiare, indignare, spaventare più e più volte.
Ma lo sapete che c’è?
Che da quando viviamo in questa situazione fuori dal reale io provo pena per loro.
Perché non ne hanno colpa.
Tutto questo è solo la dimostrazione che se non c’è uno stato che si occupa anche degli ultimi, non si va da nessuna parte.
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Perché non è l’esercito che serve ma la cura.
In uno stato di disagio socioculturale ed economico come quello di questo quartiere, ci vuole cultura.
È necessario educare, perché solo educando crei coscienza.
È necessaria la scuola, è necessario un impegno del servizio sociale inteso come aiuto alle famiglie, è necessario affiancare le famiglie nella crescita dei figli.
È necessario insegnare la legalità.
È necessario un programma di recupero.
È necessario lavoro.
Se cali dall’alto una regola hai più probabilità che quella regola venga infranta, che si trovi il modo per aggirarla, anche solo per il fatto che sia tu Stato ad impormela.
Se rendi la regola condivisa, accettata, se hai creato un substrato in cui quella regola possa mettere radici, non hai bisogno dell’esercito.
Ieri non è stata un’ impresa eroica delle forze dell’ordine, è stata la dimostrazione del fallimento dello Stato.
E non me ne frega niente se mi dite che sono la solita fricchettona di sinistra che sogna un mondo utopico, scendete qui in basso e poi ne riparliamo.
Un altro diritto sospeso riguarda le informazioni relative alle condizioni delle persone ricoverate nelle strutture sanitarie e/o ospiti di quelle socio-sanitarie. Informazioni che spesso non arrivano alle famiglie, o meglio arriva l’ultima, quella che non si vorrebbe mai sentire. Le testimonianze soggettive di questa “informazione mancata” sono tantissime. Da ieri ce n’è una collettiva, che rivendica il diritto di cui scrivevo sopra; a Forlì i familiari della RSA Zangheri si sono trovati, insieme, per avere notizie: https://www.ilrestodelcarlino.it/forl%C3%AC/cronaca/casa-riposo-zangheri-coronavirus-1.5107045
Anche Agamben nella sua rubrica, ormai settimanale, per Quodlibet ragiona sul (non) rapporto con la morte e i suoi rituali durante l’emergenza e giustamente fa notare che, non accadeva dai tempi di Antigone, che i cadaveri venissero bruciati senza funerale.
“Il primo punto, forse il più grave, concerne i corpi delle persone morte. Come abbiamo potuto accettare, soltanto in nome di un rischio che non era possibile precisare, che le persone che ci sono care e degli esseri umani in generale non soltanto morissero da soli, ma che – cosa che non era mai avvenuta prima nella storia, da Antigone a oggi – che i loro cadaveri fossero bruciati senza un funerale?”
L’articolo è qui. https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-una-domanda?fbclid=IwAR2WrlW0S27haKmw06L_hoy_INhf1qC0Likshgg4u-Z1t04r3t0SpBqU_co
Certo che Agamben potrebbe dedicare più attenzione a quel che scrivono gli altri, per evitare sfondoni come questo:
«Un’altra categoria che è venuta meno ai propri compiti è quella dei giuristi. Siamo da tempo abituati all’uso sconsiderato dei decreti di urgenza attraverso i quali di fatto il potere esecutivo si sostituisce a quello legislativo, abolendo quel principio della separazione dei poteri che definisce la democrazia. Ma in questo caso ogni limite è stato superato, e si ha l’impressione che le parole del primo ministro e del capo della protezione civile abbiano, come si diceva per quelle del Führer, immediatamente valore di legge. E non si vede come, esaurito il limite di validità temporale dei decreti di urgenza, le limitazioni della libertà potranno essere, come si annuncia, mantenute. Con quali dispositivi giuridici? Con uno stato di eccezione permanente? È compito dei giuristi verificare che le regole della costituzione siano rispettate, ma i giuristi tacciono. Quare silete iuristae in munere vestro?»
Di interventi di giuriste e giuristi ce ne sono stati eccome, non solo quelli di Luca Casarotti pubblicati qui su Giap e su Jacobin Italia, ma tutti quelli che abbiamo linkato e commentato in queste settimane, si sono espressi avvocati, magistrati, costituzionalisti, filosofi del diritto, sia su siti specializzati sia su siti di informazione e perfino, ancorché raramente, sulla stampa mainstream.
https://www.ildubbio.news/2020/04/14/cassese-la-pandemia-non-e-una-guerra-pieni-poteri-al-governo-sono-illegittimi/
Cassese è molto vicino al Colle e si dice che parli per conto del Quirinale. Credo che più passerà il tempo più inizieranno ad esprimersi anche coloro che dicevano: “ora non è il momento”. Per me il momento invece avrebbe dovuto essere SUBITO e forse non ci troveremmo in uno stato di polizia a tutti gli effetti con inseguimenti ad opera di elicotteri e droni degni di Hollywood e noi poveracci a doverci giustificare come latitanti. Anche esponenti del mondo dell’arte e della cultura stanno uscendo dal guscio e non vorrei aver preso un abbaglio ma ho percepito che i giornali più asserviti da qualche giorno facciano titoli meno sensazionalistici e diano spazio anche a qualche voce ed editoriale meno allineato ai soliti toni. Potrei sbagliare ma spero sia un segnale.
Leggo che la posizione di Agamben è stata, senza imbarazzo per il ridicolo, assimilata a quella di Fontana, ignorando che Xi e Fontana sono il dritto e il rovescio della stessa medaglia, la gestione disciplinare o in alternativa il dispositivo governamentale. Tertium non datur.
Strano accusa, è proprio il caso di dirlo, al filosofo che da anni lavora e frequenta il concetto di inoperosità.
La questione riguarda quello a cui stiamo andando incontro e che ormai è prossimo, quindi non può essere eluso, ovvero il rientro nei luoghi di lavoro con l’estensione sine die di uno stato di eccezione.
Non è un problema di lavoro e produzione ma di forma di vita.
Attenzione: qui Agamben mica si riferiva all’esprimere opinioni, valutazioni, o anche critiche pubbliche, qui si riferisce ad atti giuridicamente concreti, oppure al limite a prese di posizioni istituzionali in grado di creare un vero dibattito. Ai poeti e ai filosofi basta il dire, le altre categorie devono agire, se vogliono esistere. Non sto dicendo che i contributi qui su Giap non abbiano valore, al contrario, ma appunto qui siamo a casa di poeti, non di giuristi, e quando gli amici fin dall’inizio ci spiegavano le incredibili anomalie dei vari decreti tutto ciò aveva senso nel costituirsi di una coscienza collettiva fra noi lettori. In tal caso Agamben se conoscesse questo spazio avrebbe potuto dire: l’unica eccezione al silenzio assordante proveniva da poeti bolognesi…
Parla di silenzio dei giuristi, che invero non c’è stato, non del tutto. Su Giap non scrivono solo poeti (in senso lato, visto che noi scriviamo prevalentemente prosa), noi abbiamo ospitato articoli di giuristi, e ne abbiamo segnalati svariati altri.
Aggiungo che la parola «poesia» deriva dal verbo greco ποιέω, che vuol dire proprio «fare» :-)
Ti ripeto che il silenzio dei giuristi sarebbe stato rotto non dal loro opinare ma da atti reali, tipo interventi della corte costituzionale o chi per lei. Questo intendeva Agamben. Interventi interni all’apparato, si parla di scontro fra poteri, non basta dire ad un’intervista che sei contrario, che hai dubbi di costituzionalità ecc. Questo lo facciamo noi in un contesto come questo che è un contesto dove si riflette. Ci tengo a dirtelo perché, a mia conoscenza, dall’inizio di questa emergenza ci sono stati, sul piano concettuale, pochissimi intellettuali rimasti lucidi, i più noti siete voi ed Agamben. Tra l’altra, se è vero che tu sei di ispirazione marxista e io hegeliana, Agamben è molto più vicino a te che a me, io ne sono un forte critico, eppure è l’unico filosofo italiano che pensa all’emergenza in termini filosofici.
(Solo per precisione: il fare della poesia non è un fare nel senso di azione, ma di atto, non è un agire nei confronti di un fine, ma un porre in essere, e con poesia intendo il dire poetico, il romanzo, la prosa, le canzoni)
Non c’è scritto questo. Si rivolge genericamente ai «giuristi», non ai magistrati, non a istituzioni del potere giudiziario. Un giurista è un esperto/studioso di diritto. Agamben scrive che i giuristi hanno «taciuto», col che vuol dire che si attendeva parole, pareri, analisi, giudizi, che però non ha letto né ascoltato, e io ho fatto notare che invece certe cose sono state dette e scritte.
O Agamben non ha chiaro cosa sia un giurista, ma non credo proprio, oppure tu hai interpretato quello che ha scritto in un’accezione più ristretta e specifica di quella che intendeva lui.
Sul fatto che il fare letterario non «ponga in essere» e non abbia un fine, boh, non capisco in base a cosa tu dica una cosa del genere, ma fermiamoci qui che sennà si va troppo OT.
Il tema della poesia è decisamente OT infatti (ma sei tu che l’hai tirato fuori spacciando un po’ ingenuamente l’etimologia per il significato), ma quello di Agamben non è OT. Ora. guarda bene il testo che tu stesso hai citato, te lo rifaccio vedere:
Un’altra categoria che è venuta meno ai propri compiti è quella dei giuristi. Siamo da tempo abituati all’uso sconsiderato dei decreti di urgenza attraverso i quali di fatto il potere esecutivo si sostituisce a quello legislativo, abolendo quel principio della separazione dei poteri che definisce la democrazia.(…) È compito dei giuristi verificare che le regole della costituzione siano rispettate, ma i giuristi tacciono. Quare silete iuristae in munere vestro?
Si parla di poteri dello stato, si parla di compito di verifica della costituzione. Vedi un po’ tu.
Un giurista è uno studioso ed esperto del diritto.
I costituzionalisti non sono la Corte costituzionale, ma una sotto-categoria dei giuristi il cui focus di studio ed expertise è il dettato costituzionale.
Che poi i magistrati siano anche, nel loro modo specifico, giuristi è ovvio, che i magistrati della Corte costituzionale siano dei costituzionalisti è ovvio, ma non tutti i giuristi sono magistrati, anzi, e non tutti i costituzionalisti fanno parte della Corte costituzionale, mi sembra incredibile dover far notare simili banalità. Esiste il mondo accademico del diritto, coi suoi dipartimenti universitari, le sue riviste specializzate, i suoi convegni, la sua sfera di comunicazione, il suo rapporto con l’opinione pubblica.
Agamben si rivolge ai giuristi e scrive «è compito dei giuristi verificare che le regole della costituzione siano rispettate», col che si riferisce al vaglio critico e al pubblico scrutinio degli atti del governo da parte di chi si occupa di diritto. Vaglio critico e pubblico scrutinio che secondo lui sono mancati del tutto, e infatti parla di «silenzio dei giuristi».
Da nessuna parte, ma proprio da nessuna parte di quel paragrafetto di Agamben c’è un riferimento ad atti istituzionali o interventi della Corte costituzionale. Non mi è chiaro quest’accanirsi a voler leggere nelle frasi chiarissime di Agamben quello che vuoi tu anziché quel che c’è scritto letteralmente. Non mi è chiaro il fine di questa polemica.
Wu Ming 1, nessuna polemica, si sta discutendo su di una interpretazione: a te sembra ovvia la tua, a me no. Avevo letto qualche giorno fa un commento di uno di voi in cui si diceva che qui nessuno si offende, ma si discute. Ora, nella situazione generale in cui siamo, ove peraltro siamo dalla stessa parte, chi decide di non subire la situazione ma di riflettere per comprendere, si trova un tema che si articola in tante altre tematiche, un groviglio di questioni che qui su Giap si cerca di seguire. Fra queste articolazioni spunta questo pezzo di Agamben. Ora, se io e te siamo in disaccordo su questa interpretazione è un problema? se uno dissente da una tua interpretazione sta facendo polemica? no, sta discutendo, poi forse a te l’argomento sembrerà ozioso, a me no, perché si tratta dell’unico filosofo che si è “ingaggiato” in una lotta per comprendere cosa sta succedendo. Tra l’altro con grande coraggio, perché ha scelto un format di discorso brevissimo, dove le singole parole sono estremamente pesate, ed essendo il suo un approccio filosofico, esprime il senso universale dei concetti che usa. Dice: i giuristi, ma se usava termini oggettivanti poteva dire: la giurisprudenza. Il concetto era lo stesso. Comunque chiudo qui il mio intervento. E grazie a Luca per le sue ottime riflessioni qui sotto.
Agamben è laureato in giurisprudenza. Del diritto gli è probabilmente più familiare la storia che l’aspetto attuale: (al netto della loro pertinenza, basti pensare agli innumerevoli riferimenti al diritto romano disseminati non solo in homo sacer, ma anche in moltissimi altri suoi scritti genealogici. Tutto questo per dire che, quando parla di diritto, Agamben non si trova su un terreno sconosciuto. Se nel suo testo si riferisse all’intervento del dispositivo giuridico nel contrastare il ricorso alla decretazione emergenziale, il suo ragionamento batterebbe contro un dato di fatto: volenti o nolenti, un giudizio di costituzionalità non è qualcosa che s’istituisce nello spazio d’un mattino (la durata media di un procedimento davanti alla corte costituzionale è di 6/8 mesi). A questo va aggiunto che l’attività giudiziaria, da cui origina la stragrande maggioranza delle eccezioni d’incostituzionalità, è anch’essa sospesa. Se Agamben queste cose le sa, e non c’è motivo per pensare che non le sappia, è ragionevole interpretare il passaggio del suo testo come un riferimento più alla presa di parola che all’azione immediata del potere giudiziario. Tant’è che anche la citazione che chiude il brano (ripresa, vale la pena di notarlo, da Schmitt) insiste su quest’aspetto: è vero che compare il termine munus, ma munus, nel senso in cui l’intendeva l’autore parafrasato, cioè Alberico Gentili, non significa incarico pubblico, ma in senso più generale impegno (potremmo dire “etico) che deriva dal ruolo ricoperto dal giurista in società.
Luca, detto come va detto: Agamben è un solipsista abituato a fare delle fonti, delle etimologie e delle citazioni quel che più gli aggrada. Metodo che può funzionare in un contesto nel quale, purtroppo, continua a valere il principio di autorità (quante volte mi sono trovato a discutere su Benjamin con chi non sentiva ragioni rispetto alla pagina di Benjamin perché “lo aveva detto Agamben” – e lo stesso per altri autori) e non sempre si vanno a verificare le fonti.
Nel dibattito odierno, dove tocca scendere dal cielo delle idee alla dura materialità dei fatti, questo metodo mostra tutti i suoi limiti. Un esempio? I cadaveri bruciati senza funerale, “cosa che non era mai avvenuta prima nella storia, da Antigone a oggi”: basta scorrere le cronache della peste del 1630 – dal Ripamonti, la fonte principale di Manzoni, al Ghirardelli, cronista del “Memorando contagio” a Bergamo nel 1630, per verificare che l’affermazione è falsa (e potrei citare anche esempi dell’antichità, come sai: con buona pace dell’ippocratica “unità della nostra esperienza vitale, che è sempre inseparabilmente insieme corporea e spirituale”, i romani fecero ben di peggio ai cadaveri dei cartaginesi. [segue]
Non solo tu, ma molti giuristi sono intervenuti, ci sono stati addirittura dei Call for papers. E lo stesso si può, e si deve dire, per il resto del suo intervento: puoi avversare quanto vuoi – a giusta ragione, sia chiaro – la decretazione d’emergenza, ma in tutta franchezza l’analogia col Führerprinzip è una pessima iperbole, che non serve alla critica dei DPCM, e sminuisce la gravità del principio hitleriano. Del resto, l’intero testo di Agamben è improntato al “è così perché così a me pare, e io ho ragione”: comincia dicendo che se ci pensate vi accorgete che è come dico io, prosegue con il trucco argomentativo della domanda retorica che contiene nell aformulazione la risposta, e conclude con la sconcertante analogia – a proposito di imbarazzo per il senso del ridicolo – fra chi non la pensa come lui e Eichmann. Dimenticando, per inciso, che lui ha passato una vita a citare Heidegger, che aveva in tasca la stessa tessera di partito di Eichmann: è la fallacia del “sei nazista perché sei vegetariano come Hitler”, certo, ma la usa lui, e finisce per ricaderci dentro. Fatto è che se la storia dell’Occidente è una lunga decadenza – gratta sotto l’heideggeriano e finisci per trovarti a colazione da Spengler), allora di questa decadenza va rigettato tutto, compresa la medicina moderna. Resta che con uno che ti paragona ad Eichmann se non concordi con lui non c’è spazio di discussione, perché è lui stesso che lo nega. Il che non è tanto un danno rispetto a discutere del pensiero di Agamben: è un danno per l’oggetto del discorso, che estremizzato e trattato così finisce per essere gettato via assieme all’acqua sporca dell’agambenismo.
The Funeral of Salvatore Ricciardi: Celebrating a friend and comrade, while taking over public space again
by Wu Ming, translated into English by Ill Will Editions.
Sobre el funeral de Salvatore Ricciardi. Despedirse de un amigo y un compañero, volver a ocupar el espacio público
Wu Ming, traducción en castellano por Pedro Castrillo
Sobre o funeral de Salvatore Ricciardi. Despedida de um amigo e companheiro, voltar a ocupar o espaço público
Tradução em português no blog Situação.
Oggi il Corriere titola che in quella che diventerà la mitologica “fase 2” ai ragazzi “sarà impedito” di riunirsi all’aperto o al chiuso in gruppi superiori a due, tre persone al massimo e comunque sempre a distanza. E che ci saranno limitazioni agli spostamenti per gli over 70. Notare: la forbice è esattamente tale da includere nell’altro insieme chi appartiene alla fascia di età propria della forza lavoro. In pratica il Governo, o meglio sarebbe dire il Presidente del Consiglio con la sua task force, pensa di recludere tutti per quanto attiene gli svaghi e la socialità ed aprire le gabbie per consentire di raggiungere i luoghi di lavoro. L’espressione “sarà impedito” è raccapricciante. Starò vaneggiando, non so, ma non riesco a non vedere come si stia utilizzando un evento naturale per limitare al massimo l’aggregazione, ergo la forma più efficace di contestazione e messa in discussione del sistema. Ogni protesta dovrà esprimersi in modalità differenti da quelle della occupazione dello spazio pubblico e quindi sarà necessariamente meno incisiva.
Ciao Mandragola, non potremo prescindere dalla riappropriazione dello spazio pubblico se vogliamo essere liberi. Stamattina una mia amica si consolava, pensando tristemente, che ora può svegliarsi più tardi…fino a quando non lo faranno con le sirene per andare al lavoro. Nessuno di noi, tre mesi fa, immaginava lontanamente di piombare di colpo in questo incubo. Ma ci si potrebbe risvegliare anche con l’assalto ai forni. È particolarmente faticoso rappresentare a chi non vive in Italia la gravità della situazione perché è enormemente faticoso, anche qui, sollevare il velo (o meglio la cappa) della distorsione mediatica.
Ieri a Torino due auto e due jeep dei carabinieri hanno inscenato una vera e propria retata per arrestare e multare un compagno del Centro Sociale Gabrio, reo di aver distribuito un volantino, davanti a un supermercato, per la raccolta di beni di prima necessità SOSpesa, organizzata in favore delle persone in difficoltà economica.
Qui il racconto di quello che è accaduto: https://gabrio.noblogs.org/post/2020/04/17/storie_di_ordinaria_represione/
Nonostante episodi come questo, c’è chi si ostina a scrivere che quelle della mobilità, della “corsetta”, della “passeggiatina”, dei parchi, dell’aria aperta per i bambini, sono tutte questioni da borghesucci annoiati del proprio salotto, diritti individuali da circolino di Illuministi, ai quali un vero rivoluzionario dovrebbe rispondere “Pfui!”. A me pare invece che quelle questioni, prese nell’insieme di tutti i problemi sollevati dall’emergenza, mostrino in maniera evidente che l’intera popolazione – e alcuni soggetti molto più di altri, come sempre – in questo momento è sottoposta all’arbitrio indiscriminato delle forze dell’ordine, senza nemmeno la possibilità di sapere come e quando sta infrangendo una legge.
Mi chiedo per quanto tempo ancora una situazione simile – che per me si chiama: stato di polizia – sarà considerata accettabile, chinando il capo o scrollando le spalle, perché in fondo, che t’aspettavi?, niente di nuovo sotto il sole di’Italia.
Posso dire che ne ho i coglioni pieni? I borghesi con la villa sull’Appia Antica, o l’attico a Montenapo, o la terrazza su Piazza Navona non si lamentano del divieto di uscire. Anzi, postano video di merda con l’hashtag iorestoacasa. Oppure, come il sindaco di Trieste, prendono per il culo i povery che non si sono dati abbastanza da fare in vita loro per meritarsi una villa vista mare. Chi patisce la reclusione sono i proletari, costretti a vivere in quattro in 50 mq, senza balcone, senza cortile condominiale, e magari coi vicini infami che chiamano le guardie se li vedono passeggiare per 20 metri fuori dall’uscio del condominio. E però magicamente smettono di essere veicolo di infezione quando devono andare a lavorare.
L’ATTIVISMO IN UNA STANZA
Quando sei in videoriunione con me
questo mondo non ha più alberi
ma pareti, pareti infinite, quando sei
in assemblea virtuale con me
il cielo azzurro sopra noi
non esiste più
c’è ‘sto soffitto viola e noi,
noi restiamo qui
tappati in casa
come se non ci fosse più
più niente a parte il virus…
Ascolto Spotify
mi sembra un argano
che solleva il morale
crollato al suolo
non so a te
ma sicuramente a me.
Al suolo.
Al suolo.
La nave ha una rotta precisa: ci porta dritti verso “il dopo”. L’emergenza è quello che
è… (non è mica un crimine da poco) non resta senza scopo. Non può non finir male: avranno trovato una chiave moderna (una Yale?). Cazzo, “dopo” saremo mooolto più avanti:
avremo nuovi vacccini immunizzanti … contro ogni diverso rapporto sociale… dal capitale.
Forse c’è solo la strada su cui possiamo contare
Forse la strada è l’unica salvezza
Forse c’è solo la voglia e il bisogno di uscire
di esporsi nella strada, nella piazza
perché il giudizio universale
non passa per le case
e gli angeli non danno appuntamenti (e se proprio…mai alle diciotto)
Forse bisogna ritornare nella strada
nella strada per conoscere chi siamo.
.
Devo dire una “fesseria” che pure però non mi pare di aver letto da nessuna parte: le videoconferenze sono un pessimo medium per sostituire riunioni lavorative e sociali. Banalmente: può parlare una sola persona alla volta, perché tutte le persone parlano allo stesso volume. Non c’è nessuna dimensione spaziale, non posso bisbigliare alla persona seduta accanto, non posso fare capannello con due-tre persone per parlare d’altro. No, una persona parla, gli altri ascoltano (o più spesso, si estraniano). Essendo un medium completamente diverso dal trovarsi faccia a faccia, necessariamente avrà contenuti diversi
Senza la presenza fisica, manca completamente la conversazione incidentale, non funzionale al lavoro. Manca il social grooming, le frasi di circostanza e altre banalità che nella specie umana svolgono lo stesso ruolo dello spulciamento reciproco in altre specie di primati. Io coi miei colleghi avevo un rapporto, superficiale certo, ma un rapporto, e non ce l’ho più, e non so quando li rivedrò e che sarà rimasto del nostro rapporto allora
Si potrà piangere la morte della società stessa, o dobbiamo sempre e solo ringraziare di essere vivi?
Perfettamente d’accordo, ne parlavo qui:
«Un’altra precondizione è ritenere che videoriunioni e assemblee virtuali siano palliativi, o comunque forme a cui siamo costretti obtorto collo, che dovrebbero lasciarci fortemente insoddisfatti e desiderosi di tornare a fare quelle vere. Videoriunioni ne abbiamo dovute fare tutti, ma c’è chi lo ha fatto senza farsele piacere per forza, e chi invece ne ha parlato con entusiasmo, con spreco di retorica e toni e titoli roboanti. E invece ha ragione Bascetta quando evoca l’immagine del «parlatorio del carcere», ha ragione Ginevra Bompiani quando scrive che è grazie a videoriunioni e videochiamate che sono riusciti a tenerci reclusi, ha ragione Filo Sottile quando, come premessa del suo spettacolo on line Pesci rossi, dice: “Fare spettacoli così È UNA MERDA”.
Spacchiamo il vetro del parlatorio, è ora di tornare per strada. In forme, per ora, diverse da quelle di prima, ma che sono comunque un tornare in strada.»
All’inizio di tutta questa m*** ho sentito una compagna, molto più grande di me, moglie di un rifugiato politico fuggito dalla dittatura cilena. Mi aspettavo di condividere con lei il turbamento per lo stato di cose, per questo strisciante utilizzo della forza per reprimere comportamenti innocui dal punto di vista sanitario con il pretesto della tutela della salute. Mi ha stupito cogliere che in realtà fosse più preoccupata del dilagare della epidemia ( solo di quello) tanto che la sua unica nota di disappunto è stata per B.J. che era pronto a sacrificare il suo popolo in nome del più becero capitalismo. Ho chiuso li. Pochi giorni dopo mi chiama un compagno, uno di quelli che le lotte le ha fatte davvero. Troverò una sponda, mi dico, invece mi parla del fatto che per lui, affetto da serie patologie croniche, rimanere a casa fosse consigliabile. L’altro giorno ha iniziato ad inondarmi di messaggi con proposte per la celebrazione per il 25 Aprile. Non li ho neppure letti. Non ho la loro esperienza di militanza in anni duri, ma se 25 Aprile significa cantare dai balconi “ Bella ciao” mentre 100 metri più in là un rifugiato, un clandestino, un senzatetto, un compagno che distribuisce volantini è vittima di un abuso, mi dispiace ma passo. A quel punto riflettiamo su dove stiamo andando a finire, forse è più proficuo, per rispetto di chi in nome della libertà c’è morto. Come ha detto una giovane che chiede di poter sbarcare in Italia: “ fatemi approdare, la Libia è peggio del Coronavirus…”. Giratevi pure dall’altra parte, continuate a sfornare torte mentre si instaura lo stato di polizia.
Non sono mai stato un “attivista” e il mio essere di sinistra si esaurisce nel voto e nel polemizzare più con altri “di sinistra” che con il resto del mondo.
Mi sono anche già qualificato in altri post come “quello che se serve si mette pure la mascherina” pur di evitare il giudizio dei vicini di casa (non era esattamente così, prendiamola come un’iperbole).
Non credo neanche di potermi definire “working class”, e di sicuro non sono percepito come tale, però la cosa che stai segnalando, che è emersa fin dai primi post, l’ho notata da tempo e con quest’epidemia sta solo diventando più evidente.
Come diceva WM1 molti post fa, c’è un antifascismo esistenziale che non necessariamente coincide con un antifascismo politico.
Credo che la storia sia “circolare”, che le cose ritornino, ma se tornassero sotto la stessa forma, non ci sarebbe problemi a riconoscerle come tali e prendere le dovute contromisure.
Fa un po’ sorridere che quanti in epoca di governo gialloverde dicevano esattamente questo (le cose non tornano nella stessa forma), oggi non riconoscano la contingenza in atto.
La chiave, come già detto, è il “tipo” di emergenza e ciò su cui impatta.
Paura di morire.
Sono emozioni, non ragionamenti. La persona teoricamente più avveduta e razionale, con tutti gli strumenti anche dovuti ad anni di politica, è impotente di fronte a emozioni come quelle suscitate da questa crisi e alla proprie automatiche risposte.
Tutti normalmente hanno paura di morire ( è un sentimento primitivo con cui dobbiamo convivere ogni giorno, che trova ospitalità in un cassetto chiuso a chiave del nostro cervello) ma,se vivessimo la nostra esistenza immersi costantemente in questa paura, non saremmo più in grado di fare nulla. Totalmente paralizzati da questa consapevolezza. Come in una sorta di freezing. Esistono oggi tante persone che non possono abbandonarsi alla narrazione mediatica della paura di morire perché costrette ad andare a lavorare. Quindi, evidentemente, c’è spazio per la razionalità e per confinare la paura. È la routine che te lo impone. Poi c’è la rabbia, che è un sentimento che può sovrastare la paura quando l’ interesse in gioco è la sopravvivenza. Quando percepisci che non ci sono alternative e che rimanere paralizzati comporta comunque la “morte”. Per alcuni di noi è così perché non hanno scelto di essere di sinistra, si sono semplicemente trovati da una certa parte della barricata invece che dall’altra.
Sono d’accordo, ma forse per le mie troppe “mani avanti” non mi sono fatto capire, cercherò di essere più schematico:
– tutti abbiamo paura di morire, certo, io per primo (e sarebbe forse “patologico” chi non ne avesse);
– alcuni devono affrontare questa paura e farsela passare per lavorare, più di altri, ok (ma non era questo il punto);
-ma, cosa secondo me più importante, alcuni ne vengono più “immobilizzati” e a causa di questa diventano meno razionali di altri.
– questo “blocco” del ragionamento e questa incapacità di criticare ad esempio le scelte sbagliate del governo o la deriva securitaria e colpevolizzante colpisce *trasversalmente* agli schieramenti politici, tanto che come già detto altrove e come dice Mandragola01 qui sopra, gente con lunga militanza ne è completamente sopraffatta.
(Questo secondo me perché ognuno di noi ha qualche punto “più sensibile di altri”. E, per citare Harry Potter, il “Molliccio” non assume con tutti la stessa forma…)
Quindi, mi chiedo, visto che il diverso modo di reagire alla paura è trasversale, se oggi “il nemico” è la paura, occorre forse cercare alleanze trasveralmente ?
Sicuramente occorre quantomeno adottare strategie di comunicazione che “rinuncino” a convincere gli altri sul piano razionale, puntando molto di più a convincere sul piano emotivo.
La paura ha una origine ( in una precisa area cerebrale, tanto che chi ha lesioni in quell’area non avverte timore neppure di fronte ad un pericolo attuale) ed un fine ( generare una reazione). La paura della morte che conduce alla messa in atto di comportamenti tesi a preservare la vita sull’onda del più innato degli istinti ovvero quella della sopravvivenza va contestualizzata. In termini molto spiccioli: se so che un asteroide sta per abbattersi sulla atmosfera non è per decreto che rimango a casa bensì perché percepisco un pericolo concreto contro cui posso adottare misure adeguate. Rintanarmi in un bunker è quella più intelligente. Se la fuori c’è un virus invece so che non lo becco varcando la soglia di casa. Rischio se vado ad un concerto e mi accalco sopra centinaia di persone, rischio se in ufficio partecipo ad una riunione in una stanza dove sostiamo in venti con me le finestre chiuse. Rischio se salgo su un aereo gremito. Quindi mi adatto e rifuggo le occasioni di pericolo, ovvio, nei limiti del possibile. Pertanto accetto e comprendo la paralisi che questa paura genera ma non è possibile che non si riesca a collocarla nella giusta dimensione fino a piegarsi così docilmente di fronte alle imposizioni di questo tempo. Lo spazio pubblico ci viene negato e mi sarei aspettata da chi si professava “combattente” in nome dei diritti degli oppressi almeno una critica in fase iniziale e successivamente altresì proposte concrete per riappropriarsi di ciò che è nostro ai sensi della Costituzione e della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Ma forse la loro era una militanza da salotto. I maghi del governo attorniati dalla corte dei super esperti delineano la fase 2… e già si parla di concessioni ( non diritti). Si potrà tornare a fare sport anche oltre i 200 metri da casa, da soli e per il tempo strettamente necessario. Quindi, se si esce di casa alle 4:00 del mattino per andare a lavoro e di torna alle 20:00 ( e non è un caso di scuola) tutto nella norma, se invece si vuole godere del sole con i figli o compagni NO! VIETATO. In fabbrica si può andare, mentre scendere in piazza, sulla strada, manifestare per ciò si ritiene opportuno con distanze e mascherine VIETATO.
Rispondo a Mandragola01. Io ho idee ancora non così chiare sul tutto; ho paura, ma non tanta, ho soprattutto rabbia. Anche con una certa sedicente “sinistra” che si data ai toni oracolari – ritorno della natura, contatto con il proprio sé, ne usciremo migliori. Ho litigato con persone care e alcuni professori universitari con cui avevo lavorato. Io sono una privilegiata che ha lavoro ma la paura, umanamente comprensibile, non mi fa scordare che poter “stare in casa” è un privilegio. Ho parlato delle violenze domestiche, dei porti chiusi, del fatto che comunque tant* vanno a lavoro in condizioni peggiori di prima. Ho parlato dei rischi connessi anche “solo” a questa separazione dei soggetti, più in difficoltà di prima a incontrarsi e unirsi nella rabbia per farla diventare lotta. Non ho trovato risposte che mi comvincessero. Molto, molto triste.
Francamente non mi sarei mai aspettato in un luogo come questo un commento bieco e volgare come quello qui sopra di Girolamo, costituito solo da invettive contro un pensatore che evidentemente non comprende, perché evidentemente l'”intelligenti pauca” non gli appartiene. La volgarità esplode nel giudizio su Heidegger, su cui è meglio sorvolare, ma che converrebbe quanto meno de-nigrare in senso letterale, per non farsi accomunare a simili idiozie. Quando qualcuno esordisce dicendo che “tocca scendere dal cielo delle idee alla dura materialità dei fatti” non possiamo che aspettarci opinioni del peggior senso comune. Fossi in Wu MIng prenderei le distanze da tali sciocchezze.
Non condividiamo la tua lettura del commento di Girolamo, ergo non vediamo per quale motivo dovremmo prendere qualsivoglia distanza. Sono argomentazioni, con tanto di esempi. Quando qualcuno esordisce con «Francamente non mi sarei mai aspettato in un luogo come questo un commento bieco e volgare come», leggiamo sempre quel che segue con un certo preconcetto, che sovente viene confermato. È la tua risposta a essere un’invettiva, peraltro imbarazzante per i toni da fan. Alle nostre orecchie già «pensatore» è un termine imbarazzante. In ogni caso, questo non è un thread su Agamben, non ci interessa leggere qui né elogi né insulti, siamo da tempo OT. Ho tenuto a far notare che Agamben scrive di un «silenzio dei giuristi» che non c’è stato, il resto non c’entra più un cazzo. Piantiamola. Questa è una discussione su come riprendersi lo spazio pubblico a partire da un esempio, il funerale di un compagno morto.
In effetti hai ragione, il tono della mia risposta era fuori luogo, e mi scuso. Girolamo fa bene a dire quello che vuole, e di Agamben in fondo, chi se ne frega? ma non eravamo OT, e ti spiego perché: che abbia ragione tu o no su Agamben, il fatto è che nessun organo istituzionale ha fatto nulla. Questo mi interessa. Perché io sono in una condizione sociale per cui posso anche prendere una multa, per cui faccio serenamente le mie trasgressioni, ma molte persone che conosco sono bloccate dal rischio della multa. Ora, io mi sono molto rasserenato quando ho letto un mese fa gli interventi di Luca e altri che dimostravano il forte rischio di incostituzionalità dei decreti, ma un conto è l’esternazione dei giuristi (nel senso di wu ming 1) un altro l’esternazione di un organo istituzionale. Se vogliamo recuperare uno spazio pubblico dobbiamo tener conto di questo. La multa è di circa 400 euro risolvibile se pagata subito in 280 euro credo o giù di lì. Per molti sottrarre 280 euro all’economia del mese è molto dura. Infine, se non ricordo male, ci fu un organo istituzionale che si espresse, un Tribunale della Liguria, o qualcosa del genere. Credo in seguito ad esso si trasformò l’ammenda da penale ad amministrativa. Questo solo per dire che ben diverso è se parla il giurista come figura culturale e il giurista come figura istituzionale.
Non so se questo è il luogo giusto per dirlo ma visto che da più parti si è detto che è uno dei pochi luoghi in cui si ragiona mi chiedo e vi chiedo se è proprio impensabile lanciare una grande manifestazione di per il 25 aprile. Quale data migliore della “Liberazione”? Sarebbe devastante, ma i dati la giustificano, la prima fase dell’epidemia sostanzialmente non c’è più da almeno 10, forse 15 giorni, i provvedimenti che tuttora attanagliano il paese sono del tutto slegati dalla realtà oggettiva. Se proprio si teme “la fuga in avanti” magari si potrebbe lasciar fuori la Lombardia, e ovviamente mostrare un grande senso di responsabilità stando tutti quanti distanziati e le inutili mascherine a sto punto sarebbero persino una protezione, ma non dal virus. Boh, la butto lì, va a sapere.
Il problema principale è che chiunque chiami una manifestazione del genere si prende una responsabilità importante rispetto al suo svolgimento (distanziamento fisico) e alla sicurezza delle persone (non tanto per il virus, quanto per le sanzioni, gli arresti, ecc.) E’ una responsabilità che non possono prendersi 3, 4, 20 cani sciolti. Servirebbe un “noi” già costituito e, ovviamente, coeso rispetto all’obiettivo. Un “noi” che al momento, in tutta franchezza, non si vede all’orizzonte. Quindi sì, noi – nel senso di noi 3 – sicuramente faremo qualcosa per il 25 aprile e anche per il 21, la Liberazione di Bologna, ma di sicuro non abbiamo le spalle abbastanza robuste per sobbarcarci la responsabilità di un festeggiamento collettivo della Liberazione.
Abbiamo deciso di non annunciare nulla, faremo un’iniziativa pubblica a sorpresa, come andrà andrà, e poi racconteremo. Ci prendiamo responsabilità solo per noi stessi, non per altre/i.
– Let’s go.
…
– Why not.
Ancora una volta ci troviamo lì :-)
Su telegram circola una cosa un po’ sospetta (per via del richiamo al tricolore) rilanciata – temo senza troppi controlli – da ambienti di PaP (NON PaP). Il testo è questo (c’è il richiamo al tricolore che inquieta ma parla di “italiani e stranieri uniti in unico popolo”. Anche questa cosa che le reazioni sarebbero arrivate non da ambienti di “sinistra” pare azzeccata. Ecco il testo (spezzato in due per via del solito problema delle battute)
Con questo grido invitiamo tutti coloro che vogliono essere LIBERI!
Liberi di andare dove gli pare come da costituzione, che non vogliono più subire questa continua violazione psicologica tramite mainstream, che si oppongono ad ogni forma di violenza e regime dittatoriale, che non vogliono più subire le prepotenze del governo tramite vessazioni, che rifiutano ogni tipo di violazione della privacy per mezzo di video accusatori e spionaggio da parte di vicini di casa e o abitazione. –>
–>
Siamo quella parte d’Italia che non si arrende, quella parte della popolazione che non è più succube di mainstream e continue violenze psicologiche, quella parte di popolazione che vuole chiarezza e verità da parte di veri esperti e non dai soliti noti virologi di poco conto e task force inadeguate.
Noi come popolo non riconosciamo il presidente del consiglio Conte, un presidente non eletto e scelto abusivamente contro il volere del popolo e quindi riteniamo nulli i suoi decreti incostituzionali, di regime dittatoriale in nome di un virus che probabilmente è già stato debellato.
In questi 2 mesi siamo passati da una chiusura precauzionale di 20 giorni a una vera dittatura con conseguente fallimento economico, sociale e relazionale. Siamo dentro al più grande esperimento politico di terrorismo psicologico di massa su larga scala mondiale e i popoli di alcuni paesi come Brasile, Belgio, America-Michigan, Ucraina, Germania-Berlino e molti altri si stanno ribellando scendendo in strada ed esprimendo il loro dissenso a questo regime dittatoriale mascherato da lockdown!
Ora più che mai il mondo aspetta un messaggio forte e chiaro anche dal nostro paese, dobbiamo farlo per noi stessi, per i nostri figli, per la nostra libertà e per il nostro futuro!
Prepariamoci senza violenza, SCENDIAMO IN STRADA con cartelloni e manifesti, con fischietti e megafoni, con le auto e clacson, senza nessun simbolo politico perché ricordatevi che i politici ci hanno tradito!
Uniamoci sotto il nostro tricolore per amore nostro e del nostro paese, tutti uniti italiani e stranieri come un unico popolo, un popolo sovrano!
A occhio e croce, la fonte d’ispirazione mi sembrano i Gilet gialli.
Gira voce che la cosa sia organizzata da giri vicini a forza nuova, che sono riusciti a reclutare anche gente ingenua in buona fede. Questo succede perché la quasi totalità della sinistra, in tutte le sue declinazioni, nemmeno il mugugno ha considerato ammissibile, nei confronti di questa contenzione di massa. Hai figli che stanno male perché non possono uscire all’aperto e vedere i loro amici? In realtà sei tu che malsopporti il sacro lockdown e proietti sui tuoi figli il tuo desiderio piccoloborghese di bere un campari. Allora è ovvio che il primo fascio che ti dà ipocritamente un po’ di ascolto, se non hai una preparazione e una convinzione politica profonda ti si piglia in due agili mosse. E mica dico che si dovrebbe organizzare cose, eh. Dico che anche solo un minimo sindacale di empatia per chi sta vedendo la sua vita implodere in un cubicolo di 50mq sarebbe qualcosa di meno reazionario dell’accelerazionismo da mosche cocchiere del virus.
Sì, la cosa è confermata. Roberto Fiore ha chiamato in piazza il popolo italiano sotto il segno del tricolore il 25 aprile.
Ennesimo tentativo, dopo il flop pasquale, di capitalizzare l’insofferenza e la rabbia sempre più diffuse.
Fiore a parte, è come dici tu: il fatto che ampi settori dei movimenti si siano automarginalizzati con l’adesione acritica – o troppo poco critica – all’ideologia dello #stareincasa oggi impedisce di incontrare questa rabbia, o anche solo di capirla. Provano a farlo i fascisti, non so con quanto successo. Al momento è un rumore sordo che sale, è qualcosa di ancora troppo inarticolato, di imprevedibile.
Che il mood stesse gradualmente cambiando lo stavamo segnalando da un pezzo. Adesso il cambiamento sembra avere subito un’accelerazione. Da giorni riscontriamo che in molte discussioni on line di «gente normale» – usiamo quest’espressione non in contrapposizione agli «anormali» ma per dire che non parliamo di ambiti militanti – chi difende lo #stareincasa si ritrova per la prima volta in minoranza, soprattutto con il crescere degli abusi in divisa.
A titolo di esempio linko questa discussione sulla situazione in Sardegna sotto un post del giornalista radiotelevisivo Vito Biolchini, ma la cosa si può riscontrare anche sotto alcuni dei post più recenti sui profili social del governo.
Penso che dietro l’angolo potrebbe esserci qualcosa tipo Gilets Jaunes, purtroppo però più simile ai forconi, perché quanto già detto sull’assenza dei movimenti italiani impedisce quel lavoro che i movimenti francesi hanno fatto, il surf trasversale dentro l’ondata dei GJ.
In ogni caso, non si può disertare oltre lo spazio pubblico, bisogna tornare nelle città, praticare strade e piazze. Per il 25 aprile, che dire? Vogliamo farcelo scippare dai fascisti? Che cento fiori sboccino. Magari non tutti avranno il profumo che più ci piace, ma sempre meglio che cantare dal balcone col tricolore come dice di fare l’ANPI nazionale, che è quanto di più regressivo e fuori fase io riesca a immaginare in un momento così.
«Questo succede perché la quasi totalità della sinistra, in tutte le sue declinazioni, nemmeno il mugugno ha considerato ammissibile, nei confronti di questa contenzione di massa.»
Mi trovo assolutamente d’accordo e secondo me il punto sta proprio nella parola “empatia”.
Che in buona sostanza per me è un sentimento (la capacità di “sentire” i sentimenti altrui) e NON un ragionamento.
Il punto che sto cercando di sollevare da un po’ è:
perché «la totalità della sinistra» non si è discostata neanche un po’ dal resto della società nella reazione a quest’emergenza?
(cito WM1 sotto: «l’adesione acritica – o troppo poco critica – all’ideologia dello #stareincasa oggi impedisce di incontrare questa rabbia, o anche solo di capirla.»)
Secondo me perché questa mancanza di empatia (che è cronica verso gli altri e verso situazioni “diverse” dalla propria) è stata diretta anzitutto verso se stessi.
Cioè, fra chi avrebbe dovuto ragionare a 360° (escluso quindi questo spazio) non ci si è accorti di un “bias”, come dite qui (e spero di usare questo temine propriamente) importante: questa situazione tocca corde emotive e paure profonde, come già ampiamente detto, e anche le misure adottate toccano corde profondissime.
In conseguenza di questo bias non riconosciuto anche tutti i ragionamenti che sono usciti erano viziati dalla paura.
Le persone che pensavano di ragionare e di essere “sopra” gli stolti che non ragionano e che si “assembrano al parco”, in realtà non stavano “veramente” ragionando o comunque lo stavano facendo con tutta una parte del cervello che lampeggiava di rosso con scritto “alert – moriremo tutti”.
Quale ragionamento lucido e quale critica allo #stareacasa ci si dovrebbe aspettare da uno (di sinistra o meno, non importa) che prende per buona la “procedura per entrare e uscire da casa” (un fake che era girato su WhatsApp, poi sbufalato, ma che io ho visto sullo stato di un sacco di gente laureata)?
Scusa, Cugino di Alf, guarda che alla sinistra di cui parli tu, non è che gli manca l’empatia. È che proprio non gliene frega un cazzo. Non gliene frega niente di difendere i più deboli e gli oppressi e sono anni che ci propinano la narrazione malsana e tossica del ” va tutto bene” ( per loro). I poveri non esistono! Gli operai e gli sfruttati non esistono! I precari… chi sono? I rider?… ma perché pure questi ‘mo vogliono dei diritti!? Ma per favore, tutti ‘sti rompiballe fissati coi diritti. No! Prima i doveri, che quelli bisogna adempierli anche a costo di dare la vita ( la nostra, ovviamente).
Ma non ti sembra, con grande spreco di generosità e buona fede, di trovargli un alibi ( quello della paura) che giustifica le loro peggiori malefatte? Se hanno paura, perché non hanno chiesto la chiusura delle fabbriche? Erano paralizzati dalla paura perfino di parlare? Rappresentare qualcuno significa portare avanti le sue richieste, rischiare, farsi carico dei suoi bisogni. A me sembra che sappiano bene quali interessi difendere. L’ empatia non c’entra niente quando sei in malafede. Questo se ti stavi riferendo alla sinistra governativa. Altro discorso per le realtà di movimento che non sono immuni manco loro dalla malafede e dalla disonestà intellettuale. Che sono doppiamente colpevoli, non solo per non avere prodotto una narrazione differente da quella dominante ma per averla anche somministrata a piccole dosi, ma in quantità massicce, proprio nelle ultime riserve indiane rimaste. A partire dall’ ideologia del decoro. E adesso ci troviamo fra queste macerie. E tutto da ricostruire. Tutto.
Ciao, no, no, non mi riferivo alla sinistra “governativa”, mi riferivo alla “Sinistra-Sinistra” e di movimento e rispondevo al commento di Tuco che ho anche in parte citato.
E non era mia intenzione consapevole quella di “fornire un alibi” a nessuno :-)
La riflessione voleva essere uno strumento di critica per segnalare che l’aspetto emotivo in chi prende una decisione in teoria razionale (per sè o per altri, “decisione” privata o pubblica) è importante.
Intendevo che se si vuole prendere delle decisioni “veramente” razionali, bisogna prima riconoscere in se stessi le componenti emotive che quelle decisioni potrebbero influenzarle, in modo da “fargli la tara” e “aggiustare il tiro”.
Questo è secondo me evidente in tutto il discorso di come si è giunti allo “stare IN casa” invece dello “stare A casa”, così come declinato in Italia.
Se negli altri paesi è stato diverso uno dei motivi oltre al “pavloviano” riflesso autoritario tutto nostrano, è stato anche il peso dell’emotività nelle decisioni che avrebbero dovuto essere razionali.
La convocazione ha una chat nazionale su Telegram che al momento ha circa 20.000 iscritti.
https://t.me/scendiamoinstradail25aprile
Secondo me sei fin troppo ottimista. Tutti i nostri 20mila morti, diciamo pure 40mila alla luce dell’eccesso di mortalità che si vede in tutto il nord Italia, derivano da un unico evento di immissione del virus a Gennaio in nord Italia. Quello che è cambiato da allora è che il virus si diffonde un po’ di meno per fortuna, una persona contagia circa solo un’altra in Lombardia, ma ora è diffuso e presente in pianta stabile su gran parte del territorio. Ora, lasciando da parte il fatto che il fallimento della fase 1 all’italiana è attestato dal fatto che a scapito di stringenti misure draconiane ci siano ancora circa 3000 nuovi casi al giorno, spingere per la riapertura ora significherebbe indurre la ripresa dei contagi a partire da ogni persona infetta e con pochi sintomi. Voglio ricordarti che nel caso specifico della pandemia da influenza Spagnola del 1918, fu proprio la seconda ondata a causare il maggior numero di vittime. I dati NON giustificano la tua idea, gli unici che la giustificano sono i tanti borghesucci che tentano di riprendere la produzione a ogni costo.
Secondo, le mascherine non sono inutili. La mascherine sono essenziali per garantire la giusta protezione delle categorie a rischio nei mesi che abbiamo di fronte a noi: in un mondo perfetto tutti gli operatori sanitari e altre persone molto esposte (tipo operat* di cassa) dovrebbero avere a loro disposizione una maschera con filtro, mentre ogni persona dovrebbe avere a disposizione mascherine chirurgiche impermeabili usa e getta da portare sempre con se per poi indossarle quando entra in un edificio (luogo di lavoro, negozi…).
Ora una manifestazione con centinaia di persone affollate in strada sarebbe un rischio. Il rischio di chi passeggia per strada è di fatto nullo finché si cammina a 2 metri di distanza da altre persone in assenza di tosse o starnuti, il caso delle manifestazioni a cui sono abituato io invece è completamente diverso. In teoria sarebbe possibile garantire un basso rischio di contagio per tutt* le persone partecipanti, in realtà si rischia con l’intervento delle forze del disordine di creare un pericoloso assembramento e di riportare a casa qualche brutta sorpresa.
Non so se sei tu che ha trasferito questo su twitter, ad ogni modo rispondo a entrambi, anche se penso che resteremo in disaccordo.
Io parto da quelli che sono gli unici dati certi: il virus lo prendi solo se le famose goccioline arrivano in qualche modo in uno dei tuoi orifizi. Questo succede solo se parli a meno di 2 m di distanza da un’altra persone e se, dopo aver toccato alcune superfici, non ti lavi le mani. Ci sono remotissime possibilità che possa succedere in altro modo, ma nessuno vive secondo “le remotissime possibilità”.
Se te lo prendi adesso, nella maggior parte d’Italia (secondo me ovunque ma facciamo 18 su 20?), sono in grado di curarti in qualche modo. Se non hai patologie pregresse le probabilità che tu possa morire sono prossime allo 0. Di nuovo: non si vive secondo “remotissime possibilità”. Gli ospedali non sono in sofferenza da nessuna parte, se non (forse ma diamolo per buono) in Lombardia e Piemonte.
L’idea della manifestazione è l’idea della manifestazione. L’apertura è un’altra cosa e andrebbe fatta seriamente, come detto più volte è ridicolo tenere la gente in casa e le fabbriche aperte, devi fare il contrario e aprire solo dove sono garantite tutte le misure di sicurezza. Il ragionamento che “siccome nelle fabbriche fanno quello che cazzo vogliono noi restiamo a casa” non è manco un ragionamento, è una cosa senza senso.
La manifestazione andrebbe fatta almeno (almeno) a partire da Roma in giù, dicendo alle persone anziane e con patologie di non partecipare.
Visto che ci sono: l’esempio della spagnola non credo c’entri, la seconda ondata fece danni perché la prima non ci misero manco mano, non mi pare sia questo il caso.
Sulle mascherine inutile aggiungere la mia opinione, la questione qui è stata sviscerata in modo soddisfacente.
Non pretendo di convincerti, ma i dati sono questi, non altri.
Visto che ci sono ricordo che è molto molto verosimile che ci sarà l’aumento dei contagi non appena si allenteranno i cordoni. Il punto è capire bene cosa chiedere, e almeno due cose andrebbero dette: non si chiude la gente in casa e non si possono trattare allo stesso modo territori diversi. Trovo incredibile (no, non è vero, conosco i miei polli) che la cosa che si è premurato di dire Conte è che ci sarà un provvedimento unico. Dobbiamo almeno noi cercare di disarticolare questa discussione insensata e distinguere situazione per situazione. Anche smettendola per esempio di continuare a dare dati aggregati.
Io lo preciso ma preferirei che lo sforzo di contestualizzazione lo facesse chi legge: dire “gli ospedali non sono in sofferenza tranne” è ovviamente rispetto alla fase acuta di fine marzo e prescinde dalla normale “sofferenza” a cui sono costretti da cose cui abbiamo via via accennato qui e lì, come la continua riduzione delle risorse, lo smantellamento dei reparti, la mancata programmazione della medicina di prossimità eccetera eccetera. Ovviamente avere 2635 posti di malattia intensiva occupati (è il dato di oggi) non è uno scherzo ma altrettanto ovviamente rispetto ai 4068 del 3 aprile è un mondo abbastanza diverso. Se poi ci si mette che 1500 di questi sono in Lombardia, Emilia e Piemonte si capisce (credo, ma ogni tanto dispero) che il resto d’Italia è in condizioni di respirare quasi agevolmente.
Pike, Dutch e Thornton.
E dalla Bolognina nel frattempo arriva Rentstrike.
http://www.bolognatoday.it/cronaca/affitto-sciopero-bolognina.html
Dalla Voce di Pinerolo arriva il video della protesta solitaria di una donna al mercato che grida: questa è dittatura
https://invidio.us/watch?v=-eLLE7xegDY
Qualcuno alla fine del video cerca di zittirla ma il video termina proprio su quella frase, l’ interesse s’appunta sulla rabbia che esprime la donna. In questo isolamento chiunque sollevi la sua voce passa per un pazzo. Visto che già hanno provveduto a cucirti addosso l’ etichetta di criminale. È quello che il potere sempre fa, non potendoti incriminare per ciò che pensi, trova un capo d’accusa. Inventa un reato.
No, questi sono Pike, Dutch e Lyle Gorch :-) Deke Thornton è l’ex della banda passato alla legge che dà loro la caccia. Oggi è pieno, di gente come lui. Thornton ha almeno la scusante di essere sotto ricatto, e infatti appena può si sgancia e si riunisce al branco meticcio che nasce dalle ceneri del wild bunch.
Già. È proprio così. Almeno lui ha una scusante. Però interessante la scelta del western “crepuscolare”. 1969 (?) Qualcosa forse si sta muovendo dove meno ce lo si aspetta. Si. Sono tutti “cani sciolti”. Perché manca un “noi” già costituito e coeso. La “scadenza” del 25 aprile avrebbe dovuto richiamare nella memoria dei ” rivoluzionari da salotto “, come li ha definiti Mandragola, almeno un moto di orgoglio. Invece tutto tace, a parte le voci dei singoli che, qua e là, rompono il silenzio. Chissà che tante piccole crepe non possano incrinare e frantumare il ” vaso”. A questo proposito trovo che l’ aggettivo ” coatto” abbia un che di caricaturale, per l’ accezione che ha assunto. Ma che riferito alla solidarietà acquisti un senso compiuto. Quello della coesione del gruppo, quello del ” noi”.
Oggi episodio di repressione ma anche di protesta popolare al quartiere Aurora di Torino, in corso Giulio Cesare. L’ennesimo fermo di polizia violento ha fatto scendere in strada decine di persone, per contestare le fdo. C’erano anche quattro compagne/i, ora a loro volta in stato di fermo.
Riportiamo il comunicato di Macerie Maceri:
La violenza ormai a briglia sciolta della polizia si è manifestata oggi in maniera esemplificativa in un fermo che aveva il sapore di un’aggressione. Così chiara che in interi isolati di c.so Giulio Cesare a Torino le persone vedendo la scena non sono rimaste zitte e molte sono scese in strada. Tra loro anche quattro compagni buttati a terra, trascinati e portati via da un esercito velocemente giunto a reprimere la situazione. Decine e decine di individui in strada e centinaia dalle finestre hanno inscenato una vera e propria protesta nonostante le difficoltà perché c’è un limite di sopportazione all’ingiustizia e ciò che è accaduto questo pomeriggio lo dimostra.
Ora in strada non c’è più nessuno.
Ciò che è accaduto non passerà però in sordina.
Presto aggiornamenti sui compagni portati via dalle fdo.
Giordana, Marifra, Samu e Daniele liberi!
Tutti liberi, tutte libere!
Ecco un video di quanto accaduto in corso Giulio Cesare a Torino:
Io l’ho pubblicato. Spero che lo vedano più persone possibile. Spero che qualcuno trovi il coraggio di parlare pubblicamente. Di esprimere una posizione su quello che sta succedendo. I miei video a Bologna sono girati così ma da una distanza molto maggiore. Nessuno però si è affacciato alle finestre per contestare l’ operazione squadrista dei carabinieri che disperdevano un piccolo gruppo di ragazzi africani. Qui almeno qualcuno ha avuto il coraggio di protestare dal balcone. Mi sembra un copione scritto. Sempre con le stesse battute. Con le fdo che ripetono sempre lo stesso disco. È davvero inquietante. Bisogna reagire alla paura.
La stampa ha già iniziato a far girare le prime ricostruzioni distorte dell’episodio di Torino. Ovviamente si tratta dei soliti anarchici agitatori e provocatori. Ovviamente le fdo stavano sventando uno scippo. Ovviamente i politici locali,e non, hanno già espresso una netta condanna. Il massiccio dispiegamento di fdo non insospettisce nessuno. A nessuno sembra un intervento sproporzionato per uno scippo. Anzi assolutamente giustificato dalla circostanza eccezionale che stiamo vivendo. Insomma: tutto normale. Solo qualche pazzo agitatore che da i numeri…
L’apparato repressivo messo in atto dallo stato sta mostrando tutta la sua ferocia. Qualcosa di simile si è verificata oggi anche a Catania. Gira un video in cui si vedono le stesse modalità utilizzate dalle fdo a Torino: un uomo con mascherina circondato da una decina di agenti di polizia che gli intimano non si capisce cosa, non sembra armato e sul posto sopraggiungono in successione altre volanti della polizia. Sul video di Torino il primo articolo l’ho letto sul piu’ noto quotidiano napoletano on line. Naturalmente la versione raccontata è completamente distesa su quella probabilmente fornita dalle stesse fdo. Si parla di uno scippo ai danni di un anziano da parte di due ragazzi.
Si. Addirittura la versione ( se non ricordo male) del Messaggero mette in campo tutti i cliché possibili ed immaginabili, contemporaneamente: rom, extracomunitari e anarchici. In altri articoli si parla di scippatori, con tanto di nazionalità in bella mostra, e si suggeriscono capi di imputazione e accusa per i pericolosi anarchici. Viene dato per scontato che non esiste motivo per la protesta e che si è intralciato il lavoro delle forze dell’ordine. Come può sembrare ” normale ” la militarizzazione del quartiere per due ” scippatori”? Manco si trattasse di una operazione contro il narcotraffico. Nell’ episodio che ho vissuto io a Bologna, i carabinieri mi hanno chiesto che bisogno avevo di filmare. Mi hanno detto che tutte le loro operazioni sono ” tracciate ” e devono che sono tenuti a redigere un “resoconto”. Quindi non c’è bisogno di testimoni. Loro non devono rendere conto a nessuno se non ai loro superiori. E la certezza di non doversi sottoporre al “giudizio della legge”, al giudizio politico e di godere di sostanziale impunità contribuisce ad aumentare il grado di inutile e pericolosa spettacolarizzazione di questi interventi.
Ho letto le stesse cose anche sull’ansa, che riporta anche le parole della Appendino: “Quelli di oggi sono gesti non etichettabili solo come palese ignoranza, ma come ferma volontà di vanificare gli sforzi collettivi e di mettere a rischio la salute di tutti. Nel peggiore dei momenti possibili. Mentre da settimane milioni di cittadini stanno facendo sacrifici enormi per tutta la comunità”. A dirlo la sindaca di Torino, Chiara Appendino, che esprime “la più ferma condanna mia e della Città” rispetto agli episodi avvenuti in corso Giulio Cesare ” e auspica “che i responsabili possano rispondere dei loro gesti”.
Occhio che questo episodio può diventare bollente.
Il caso di Catania penso che sia questo. Alla fine, s’è scoperto che era un uomo con disturbi mentali (almeno spero, dal fatto che è stato messo in TSO) che non aveva pagato il biglietto dell’autobus
A Sassari invece è successo questo
Nei commenti a questi episodi, su Twitter, vedo finalmente in minoranza la posizione di piena fiducia per gli agenti di PS. Non è il caso di cantar vittoria però: è in minoranza solo perché le vittime della violenza sbirresca stavolta sono italiane. Molti commenti chiedono “dov’erano le pattuglie e i droni quando chiedevamo di arrestare gli spacciatori”
Segnaliamo:
Sulla (non) celebrazione dei funerali in tempo di Peste – di Francesca Barca
Nel mio quartiere di Bologna, fra gennaio e febbraio, è successa una cosa incredibile: Karim tossicodipendente da eroina e senza tetto è morto. È andato in pronto soccorso con le sue gambe, quando ha capito che stava per morire. Era ormai troppo debole per sopravvivere ad una vita infernale come la sua. Abbiamo rintracciato la sua mamma adottiva, abbiamo celebrato il suo funerale ( io non ho partecipato ma ho scritto una lettera). C’era tutto il quartiere, perfino quelle istituzioni che volevano cancellare la sua presenza. Ma gli abitanti del quartiere hanno anche chiesto che fosse piantato un albero, è a porta Mazzini. C’è una epigrafe di legno con incisa la data in cui è stato piantato l’albero ed il suo nome. E’ nostro dovere non dimenticarci mai di lui,per questo gli è stata data una degna sepoltura ed un funerale.