della Rete Bessa *
con fotografie di Michele Lapini
e una postilla di Wu Ming
[Tradução em português aqui]
1. Distopia
«Ora come ben saprà ci sono le restrizioni, tutto bloccato, non ci possiamo fare niente!»
Quest’anno ho fatto solo supplenze intermittenti, un paio di mesi di seguito al massimo e tanti giorni sparsi. Ma da tre giorni ci sono le restrizioni. Con la chiusura delle scuole, niente più chiamate di presa in carico, niente stipendio, unica via l’indennità di disoccupazione. Ma servono gli ultimi contratti, appunto, e i rispettivi pagamenti. Che mancano.
«Non le sono arrivati gli stipendi di dicembre?»
Con quattro mesi di ritardo, sì. Come spesso, come a tant*. Sono andati a coprire il debito dei mesi precedenti. Ma poi cosa c’entra? Il punto è che devo chiedere la disoccupazione.
«Poi, insomma, lei è solo una MAD!»
MAD, Messe A Disposizione, ossia il personale docente convocato una volta che si è esaurita la graduatoria. Ti chiamano perché hai lasciato il curriculum nel posto giusto al momento giusto. Chi è convocato in questo modo rappresenta l’ultimo anello della precarietà nella scuola. Per questo motivo MAD è sinonimo di mesi passati a coprire malattie e permessi, di colleghe di ruolo che si aggrappano alla speranza di un* supplente, che progettano il lavoro in classe sulla sicurezza della tua presenza, di organizzazione del personale scolastico che galleggia scientemente sulla disponibilità costante di docenti precari*… Mi decido a prendere parola:
«La avviso che se non mi consegnate i miei contratti prenderò provvedimenti: sindacati, avvocati, diffide, messe in mora….»
«Signorina… Se le va bene ci vediamo alla Coop? Così firma i contratti e glieli consegno.»
Eccoci lì, sul muretto vicino al supermercato, tra mascherine e guanti, a fianco di una coda con carrello.
L’odio.
Non tanto nei confronti di colleghe o colleghi decisamente non affini con cui devi per forza collaborare, o di quella parte del personale scolastico che si permette di trattarti come una pezza da piedi arrivando a farti firmare il contratto alla Coop.
L’odio pulsante contro il sistema scuola, i suoi non-detti e le sue gerarchie.
Sono più di vent’anni che la scuola è in emergenza, con buchi clamorosi nel personale, con discorsi e riforme aziendaliste e ora lo schifo viene a galla. Come nella sanità, ma quella è un’altra storia… o forse no?
Ma lasciamo da parte i dubbi: #lascuolanonsiferma è andata dicendo la Ministra Azzolina, mentre qualcun* alla lotteria dei contratti ha beccato quello sbagliato e di fatto è stat* costrett* a fermarsi. E a restare a casa.
Queste assenze ovviamente pesano su chi le subisce, ma hanno l’effetto di indebolire tutta la scuola: dal resto del personale scolastico, che si trova ad avere una persona in meno su cui contare, a studentesse e studenti che con quella persona lasciata a casa avevano costruito un rapporto. È in questo contesto che si innesta l’emergenza che stiamo vivendo.
Per questo, ci siamo talmente concentrat* sulle forme di didattica online, sugli strumenti, sulle piattaforme, che rischiamo di dimenticarci delle persone, dei corpi materiali che permettono di costruire relazioni, senza i quali la didattica è impossibile, anche quando non è a distanza.
In realtà la fregatura è chiara. «Non riusciamo a portare avanti un milione di domande cartacee», ha dichiarato la ministra affermando, con suo sommo dispiacere, che quest’anno non saranno aggiornate le graduatorie, ossia le liste sulla base delle quali i/le docenti precari* trovano lavoro nella scuola. Secondo il governo, dunque, sono necessari strumenti tecnologici per reggere ogni giorno lezioni a distanza per 8,3 milioni di student*, con tanto di video, slide, immagini, ma un portale in cui ricevere dei file pdf è inimmaginabile.
L’odio.
2. Fideismo tecnologico
Sono un docente ingenuo, non so come fare DAD, didattica a distanza. Vado sul sito del ministero dell’istruzione e vedo il link: «Didattica a distanza». Clicco. Ci sono due menù: il primo è «Esperienze per la didattica a distanza», l’altro «piattaforme».
Sotto questo secondo punto sono elencate tre piattaforme: Google, Microsoft, Amazon. Tre enti privati tra i più potenti al mondo schiaffati in bella mostra. Per capire cosa questo voglia dire occorre fare un passo indietro nel ragionamento.
Nel suo intervento al parlamento la ministra dell’Istruzione ha stanziato un investimento di 85 milioni di euro per rendere possibile la didattica a distanza su tutto il territorio italiano. Dell’intera somma, solo 5 milioni sono stati dedicati alla formazione del personale. È l’unica misura economica prevista dal primo intervento della ministra. Esplicitando: prima gli strumenti e poi la garanzia economica di chi fino al giorno prima della chiusura aveva contratti precari. Il fatto che la scuola non debba gravare ulteriormente sullo Stato è dapprima implicito e poi confermato nel decreto del 6 aprile (articolo 8).
Nessun problema: in fondo le piattaforme per la didattica online suggerite dallo Stato sono ad uso gratuito e l’utilizzo, per esempio, di servizi Google è già diffuso; moltissim* insegnanti, infatti, al momento della presa di servizio sono obbligat* ad attivare l’account istituzionale su Gmail. Ma in questo momento l’accelerazione è evidente: molt* insegnanti
1) hanno usato le chat del cellulare per rientrare in contatto con le loro classi, utilizzando in molti casi l’accounto Google registrato sul loro dispositivo;
2) utilizzano Google Meet per svolgere attività sincrone come le videolezioni;
3) utilizzano Google Classroom per lo scambio di materiali; infine,
4) hanno partecipato ad attività succedanee a Consigli di Classe e Collegi Docenti su piattaforme Google.
Già i registri elettronici sono gestiti da enti privati e sono massicciamente utilizzati (perché obbligatori dal 2012), ma trascurare la forte ingerenza da parte di enti privati in un’istituzione pubblica è molto rischioso. E il fatto che ciò stia avvenendo in maniera acritica – tranne rare eccezioni – produrrà mostri.
Il silenzio acritico che accompagna questo ingresso “molecolare” del privato nella scuola pubblica è allarmante per diversi motivi. Innanzitutto il fatto che queste piattaforme siano il luogo in cui molti istituti prendono decisioni collegiali in teoria non legittime, ma pronte a diventarlo in funzione di deroghe o decisioni future. In questo modo, le major sono oggi essenziali per il funzionamento della governance scolastica.
In secondo luogo, c’è la questione della cosiddetta “privacy”, rispetto alla quale le discussioni e i contenuti delle circolari sono indietro di una ventina d’anni. Viene quasi da dire: «Scusi, ma ha mai sentito parlare di Cambridge Analytica?»
Dobbiamo cominciare a dire che pensare la privacy esclusivamente da un punto di vista individuale oggi è fortemente limitante. Il problema principale non è solo il contenuto del singolo messaggio, ma il fatto che i flussi di dati che mettiamo a disposizione rivelano le nostre abitudini, i nostri gusti, le nostre necessità a chi poi non farà altro che monetizzarli e sfruttarli per i propri interessi.
Il problema non è (solo) che il Grande Fratello ti punisce se non la pensi come lui, ma che usa i tuoi dati per capire come guadagnare su di te. Da questo punto di vista Google e Microsoft sono tutt’altro che trasparenti, tanto che dove Google è già stato ampiamente testato il dibattito è piuttosto feroce, mentre in alcuni paesi gli strumenti Google sono stati banditi dalla scuola.
«Prof, perché non usiamo Meet? È più facile!»
La questione è enorme dato che non ci sono, attualmente, piattaforme free in grado di garantire servizi altrettanto funzionanti ed efficienti, per una massa così spropositata di utenti. Tuttavia possiamo condurre alcune forme di resistenza che nessun Collegio Docenti, nessuna circolare, nessun dirigente, al momento ha il potere di negare.
Durante la trasmissione Ora di buco su Radio Onda Rossa, un professore intervistato ha chiarito molto bene i rischi dell’uso acritico delle «piattaforme tossiche», suggerendo possibili alternative. Inoltre, il dibattito su Giap in calce al post sul degoogling offre molti spunti. Ne suggeriamo alcuni:
■ Su Ethical.net si trovano numerosissimi software con standard etici decisamente più elevati rispetto a Google;
■ I software Framasoft – con cui abbiamo prodotto l’inchiesta «Scuola in emergenza» – sono più che validi;
■ Greenlight è un software opensource utile per creare “room” e convididere videolezioni.
■ Ricordatevi che potete usare Android senza ricorrere a Google.
3. Aiutiamoli a casa loro (1)
Rispetto agli studenti e alle studentesse più deboli, la ministra ha suggerito l’uso di piattaforme dal sito del Miur ma, come abbiamo detto, senza relazioni quelle piattaforme sono inutili. Per il resto la ministra ha fornito vaghe indicazioni sul non lasciare indietro nessuno, ma senza stanziare le risorse necessarie: il personale di sostegno non è stato aumentato, i corsi di italiano per stranieri – forse con la sola eccezione dei CPIA (Centri per l’Istruzione Adulti), in cui i corsi L2 hanno un peso importante – si sono interrotti, educatrici ed educatori vivono nell’inferno della relazione con la loro cooperativa. I soggetti con maggiori necessità, cui la Costituzione stessa (articolo 3) riconosce il diritto di essere aiutati, sono lasciati nell’abbandono. Per cavartela ti deve andare bene.
Mattinata per me tragicomica è stata quella in cui provavo a far iscrivere un alunno con disabilità cognitive e non italofono alla piattaforma Google ClassRoom. Per guidarlo passo passo nella serie di azioni necessarie all’iscrizione, c’è stato bisogno di 5 dispositivi: il mio cellulare si connetteva col cellulare della madre per le istruzioni vocali, il cellulare del ragazzo riprendeva lo schermo del suo computer in modo che io lo guidassi passo passo nell’esecuzione dei compiti, il mio PC controllava se l’iscrizione era avvenuta. Era tutto un «A., inquadra lì, spingi quel tasto, inventa una password, segnala su un quaderno, no aspetta quella non va bene, aspetta, hai spinto il tasto “mute” non sento più niente…»
Questa situazione è in realtà una delle migliori: il ragazzo ha accanto a sé un genitore e un’insegnante che hanno la possibilità di dedicargli diverse ore. Ma basta poco perché la situazione diventi drammaticamente diversa.
Il fatto è che il problema è molto più profondo, anche in questo caso il sistema su cui stiamo impostando la didattica a distanza è già sbagliato di suo: quando parliamo di disabilità/difficoltà di apprendimento e DAD dovremmo riflettere sul fatto che l’inclusione non si realizza solo fornendo tablet e pc (cosa tra l’altro fondamentale), ma con un ripensamento globale del modo di fare scuola. Questo genere di riflessione, nella concitazione dell’emergenza, non è ancora avvenuta ma è evidentemente necessaria. In queste settimane ogni insegnante di sostegno si sta arrangiando come può, cercando con creatività e dedizione canali comunicativi per tenere tutti dentro. Bene la creatività, bene la dedizione, ma senza un intervento sistemico che coinvolga famiglie, servizi socio-sanitari, servizi educativi, l’inclusione con la DAD non sarà del tutto raggingibile e sarà, anzi, problematica in sé.
La situazione non è migliore per le persone da poco arrivate in Italia (NAI, nella neolingua ministeriale), per le quali il rischio di abbandono scolastico è sempre alto.
Un mio studente NAI – arrivato in Italia dal Pakistan in autunno – è scomparso. La cooperativa che dovrebbe occuparsi di lui non è stata ancora contattata. Colpa del docente coordinatore della classe? colpa della funzione strumentale per gli alunni stranieri? o forse colpa della burocrazia scolastica? Fatto sta che qualcosa sui NAI va detta: il loro processo di integrazione in passato è stato delegato perlopiù al gruppo classe, che ora non c’è più.
Anche in questo caso gli sforzi si moltiplicano: insegnanti di italiano si re-inventano insegnanti di italiano L2 e aumentano il loro carico orario, i contatti docente-studente si moltiplicano «purché non si perda quanto di buono fatto». Ma senza un’immersione nel contesto linguistico, la persona vive una difficoltà quasi insormontabile. La didattica a distanza diventa quindi di per sé escludente. Eppure viene svolta all’interno di una scuola che si dice, ancora e nonostante tutto, pubblica.
Ancora una volta questi casi sono i nodi irrisolti della scuola. Metterli al centro della progettazione didattica dovrebbe essere dovere di ogni docente, soprattutto in questo momento. Ma capita che la società in cui siamo immersi tuoni dall’altra parte degli schermi facendo sentire le sue ideologie.
Le famiglie con più possibilità, quelle abituate al computer e alla connessione senza limiti, rivendicano la propria frustrazione e il proprio egoismo. Capita che genitori zelanti tormentino l’insegnante che non usa Google Classroom e che non va avanti con il “programma”: «Mica ci possiamo sempre sacrificare per chi non ce la fa».
La paura, anche legittima, per i percorsi educativi de* propr* figl* elimina i freni inibitori e scatena la lotta per la sopravvivenza. I suoi semi sono stati sparsi in un contesto che per molti era considerato la «normalità». Ma criticare quanto sta avvenendo senza criticare l’idea di «normalità» è un errore decisivo.
4. Aiutiamoli a casa loro (2)
«Io ho già iniziato con le videolezioni. Le faccio tutte così in terza ci arrivano preparati.»
«Ma hai controllato che tutti avessero un computer?»
S. non aveva il computer. Se l’è procurato da sola, a inizio marzo, mentre il resto della classe faceva lezione. Ma il computer è vecchio e non riesce a connettersi. Gli ho scritto che ora la scuola li mette a disposizione.
«Sì, sì», mi ha risposto.
Non è più andata a prenderlo.
Quando la ministra Azzolina è intervenuta in Parlamento prevedendo lo stanziamento di 85 milioni di euro per la didattica a distanza – diventata non più opzionale col decreto del 6 aprile – questa forma di insegnamento era già stata avviata in buona parte d’Italia spesso su stimolo de* dirigenti, dell’opinione pubblica in generale o del voluminoso inserto del Sole 24 ore (particolarmente interessato alla scuola, in questo periodo). In alcuni casi, divers* insegnanti, magari dotat* delle migliori intenzioni, avevano ricominciato il programma dando una parvenza di continuità scolastica, del tutto illusoria. Il sistema che è nato da questa corsa è ricco di falle, dovute in parte all’enorme squilibrio nelle possibilità di accesso alle risorse.
Non stiamo necessariamente pensando alle famiglie meno abbienti. Facciamo un’ipotesi: una famiglia di ceto medio potrebbe avere due computer in casa, di cui uno serve per un genitore per la sua attività di smart working, l’altro è conteso da fratello e sorella. Chi avrà l’accesso al computer? L’accesso sarà sempre possibile?
Lezione del sabato mattina.
Prof: «G., puoi ripetere? Non ho capito cosa hai detto.»
G. (sussurrando): «Mi scusi, non posso alzare la voce, qui accanto c’è mio fratello che sta dormendo…»
Viviamo costantemente in casa con qualcun altro. Dopo più di un mese di isolamento è già un miracolo che la gente non si accoltelli (cosa che in realtà succede, anche se le istituzioni mantengono il silenzio a riguardo. Possiamo immaginare come deve essere rilassata la contesa del pc.
Molt* student* a questo punto ricorrono al cellulare.
«Ragazzi, le vedete le slide?»
«No prof, sta laggando un casino.» [Estratto da una videolezione]
Studenti e studentesse si ritrovano così a ricevere spiegazioni magari iperaccurate e qualitatativamente alte, da un black mirror di otto centimentri per quattro. E il problema poi non si limita a studenti e studentesse: gli insegnanti, com’è noto, non sono benestanti.
Una mia collega il 31 marzo ha avvisato sul registro che la lezione saltava perché aveva finito i giga a disposizione e quindi le lezioni ricominciavano ad aprile. [Estratto da un’assemblea Rete Bessa]
5. Emozioni e lavoro
Studenti e studentesse si collegano nelle loro camere, ascoltano o partecipano alle lezioni, mentre magari accanto passano loro i papà, le mamme , fratelli o sorelle.
Per bambine e bambini delle primarie questa condivisione è d’obbligo: deve esserci sempre una persona adulta anche come tutela da un uso improprio del mezzo e della rete. Una bambina di otto anni, oltre a essere separata dalla sua classe, cioè il contesto sociale in cui ha l’opportunità di sperimentare relazioni e autonomia, si ritrova così dipendente più che mai dagli adulti e sempre condizionata dalla loro presenza nell’apprendere e nel comunicare con il mondo.
Questa condivisione dello spazio privato non giova nemmeno a chi è più adult*, privat* di quell’indipendenza pur relativa di cui gode l’adolescente a scuola. Solo che il corpo docente ancora meno di prima riesce a comprendere cosa si muove in questo mondo.
Difficilissime da intercettare sono le nuove forme di bullismo – «prof qualcuno mi caccia dall’aula e non riesco a connettermi» – o di sessismo. Impossibile interpretare i nuovi silenzi che accompagnano le lezioni. Cosa vuol dire avviare questa forma di insegnamento è descritto molto bene sul blog di CattiveMaestre. Per chi insegna l’aula si smaterializza e moltiplica allo stesso momento in un insieme di cellette fatte di pixel attraverso le quali studenti e studentesse si osservano senza interagire. Molt* non vogliono farsi vedere e spengono le loro telecamere.
Uno di loro, timidissimo, non parla nemmeno: per comunicare usa la chat. Emerge insomma un problema grosso: quello del rapporto degli adolescenti con la loro immagine e con la loro voce. Rinchiusi nelle loro cellette i ragazzi sono più soli e più esposti. Non intervengono perché manca loro la forza del gruppo, tant’è che non fanno neanche quel casino che facevano in classe e che adesso viene quasi da rimpiangere.
In questo contesto la qualità dell’insegnamento è altamente discutibile e nessun registro in ordine può essere garanzia di un argomento effettivamente svolto, anche perché le persone si ritrovano a ricevere spiegazioni senza quella partecipazione collettiva che sempre accompagna, aiuta, fortifica la crescita degli individui.
È didattica questa? Posto che di certo non possiamo rispondere convintamente di sì, una risposta univoca non c’è. Perché per rispondere a questa domanda sarebbe necessario chiedersi se fosse didattica quella di prima, quando una classe corrispondeva a decine di problematiche differenti che difficilmente potevano essere affrontate con gli strumenti a disposizione.
«Stanotte non ho dormito pensando alle videolezioni» [Tipico messaggio ansiogeno da didattica a distanza]
La soluzione però non è non far nulla, ma muovere da posizioni di buon senso. Per esempio, ricordiamoci di tenere a bada il nostro senso di frustrazione: se non otteniamo i feedback che ci auspichiamo è perché non esistono le condizioni minime perché ciò possa accadere.
Evitiamo di rispondere a questa frustrazione dicendo «I’ll work harder», come il cavallo Boxer in Animal Farm: rispondere ai messaggi e mandare mail a ogni ora, essere sempre a disposizione e in generale aumentare la nostra produttività a dismisura non è la soluzione, ma è la base di nuovi problemi.
La Ministra ha chiesto un aumento degli sforzi del corpo docente. È il messaggio perfetto per un esponente di un governo turbo liberista in perfetta linea coi governi precedenti, ma questo metodo non è salubre, né per noi, né per studentesse e studenti che apprendono un metodo di lavoro folle.
Ciò non vuol dire girarsi dall’altra parte o pretendere che tutto sia come prima. Invece di buttare in avanti il programma rallentiamo, invece che dare chili di pagine da leggere cerchiamo materiali che creino i collegamenti tra quanto si studia e quanto sta avvenendo.
Di certo, non facciamo finta che la situazione sia normale. Anche perché da questo punto di vista «non vogliamo tornare alla normalità perché la normalità era il problema».
6. Valutare e punire
«Un buon docente sa progettare verifiche a prova di copiatura o quasi, anche a distanza. E in questo momento è importante premiare chi si impegna e punire chi non si impegna, perché anche i ragazzi devono assumersi le proprie responsabilità nei confronti del paese.»
Da una riunione tra docenti online.
La proposta che dopo una buona elaborazione collettiva ci sentiamo di esplicitare è questa: da qui alla fine dell’anno basta dare voti.
Lo abbiamo scritto in un comunicato da poco pubblicato: da un po’ di tempo la scuola si è infilata in un vicolo cieco ideologico che fa della valutazione il suo perno. Diamoci una svegliata e ricordiamoci che la valutazione non è il fine della didattica.
«Non so come valutare gli errori di ortografia per quelli che scrivono al computer. E poi come fare a impedire che copino?» [Estratto da una chat tra insegnanti]
«Il prof di matematica ha deciso di filmarli durante le interrogazioni, in maniera tale che si capisca da che parte guardano mentre parlano.» [Estratto da una chat tra insegnanti]
Che valutazioni pretendiamo di dare? Con che criterio?
Le studentesse e gli studenti che dovremmo giudicare sono chius* a casa, ricevono lezioni spesso problematiche per via della connessione, per via dell’umore dell’insegnante, per via dello stress cui tutt* siamo sottopost*. E, ancora una volta, questa è la migliore delle ipotesi, perché in molti casi la persona da valutare è pigiata in casa con persone che – dopo un mese di isolamento – mal sopporta, assiste alle lezioni dal cellulare e magari sfrutta i giga del proprio abbonamento perché non ha connessione wifi illimitata.
«Io i voti li sto dando. Altrimenti i miei studenti non so come ripigliarli.» [Da una discussione durante un’assemblea della Rete Bessa]
Il fatto che la valutazione possa essere lo strumento ricattatorio cui ricorriamo per mantenere viva l’attenzione di studentesse e studenti dovrebbe metterci in allarme. Vuol dire che anche chi si ritiene immune o critico rispetto ai dogmi della scuola neoliberale in realtà non è immune e che per salvarci serve scavare a fondo negli orrori dell’attuale sistema. Ora più che mai serve rovesciare la logica cui siamo abituati e cogliere l’occasione per ripensare ai nostri metodi dentro e oltre questa emergenza. Come far tornare ad essere soggetti le studentesse e gli studenti? Come promuovere le loro qualità? Come permettere loro di superare la difficoltà? Come valorizzare il lavoro di gruppo?
Rifacendoci alla ministra e alla sua conferenza stampa del 6 aprile: non è vetusto il 6 politico, è vetusto – perché è legato alla società neoliberale che vorremmo relegare al passato – pensare che il processo educativo debba essere inserito in una logica pseudo-meritocratica che prescinde dall’ambiente educativo e di apprendimento, dove gli standard sono stabiliti a priori e giocano su un sistema di competenze preconfezionate che comportano crediti o debiti.
7. Per un manuale di autodifesa
Quando ci si interfaccia con l’ufficialità, siamo pienamente dentro la distopia.
Da un mese arrivano le comunicazioni dal preside che ha pensato bene di dare istruzioni come «step uno», «step due», «step tre» e che non posso evitare di leggere iniziando con «Italianiiiii» e una vocina un po’ nasale e pimpante:
«Stiamo vivendo una “emergenza nazionale” che cambia non solo i modi e i tempi dell’insegnamento ma anche i profili dell’Istituzione Scolastica, la configurazione del docente e le attese degli stakeholders. La locuzione “successo formativo”, ai “tempi del coronavirus”, diviene dunque sinonimo di
– implementazione dell’interesse
– implementazione della partecipazione
– implementazione dell’impegno
– espressione di responsabilità e senso civico
Vi chiedo pertanto di esprimere il massimo grado di flessibilità possibile in questa fase emergenziale … flessibilità che non si traduce unicamente nel “fare lezione in un momento e in un luogo diverso” ma nella capacità di dare un significato diverso alle pratiche ordinarie. Continuate dunque su questa direttrice. […] sarà mia premura capitalizzare il vostro impegno e valorizzare, con i fondi del bonus premiale, il vostro operato. Entro il fine settimana, sentito l’animatore digitale, vi trasmetterò le nuove linee guida per la didattica a distanza da praticare nella prossima settimana […] continuate dunque a restare connessi ….»
In un contesto in cui l’emergenza è affrontata a botte di DPCM che bypassano il Parlamento, la struttura delle scuole diventa quanto mai verticista. A volte il decisionismo della dirigenza può sembrare più efficiente nel affrontare l’emergenza, ma queste situazioni sono del tutto circostritte e instabili.
Il o la dirigente, forte di un’autorevolezza riconosciuta loro dalla riforma Renzi, si può trasformare in un despota che tenta di imporre misure e modalità. Anche qui CattiveMaestre lo spiega bene. Per come si è strutturata la scuola tale autorevolezza funziona persino in negativo, ossia nei casi in cui la dirigenza che non fornisce alcuna indicazione, lasciando mano libera all’auto-organizzazione del corpo docente.
In teoria, quest’ultimo aspetto potrebbe essere anche positivo, ma calando questo principio nella realtà di una società inquinata da decenni di discorsi feroci, colleghe e colleghi rischiano al contempo di tramutarsi nei peggiori nemici: sei di sostegno? Non hai diritto di parola. Sei supplente? Lascia parlare chi è di ruolo. Sei giovane? Che ne vuoi sapere!
Nell’attesa che qualcuno produca un manuale di autodifesa dall’apocalisse ci permettiamo alcuni consigli immediati:
■ le circolari non sono, in nessun modo, fonti di diritto;
■ la legittimità delle prese di posizione della dirigenza in questo contesto è ampiamente discutibile;
■ la legittimità di collegi tenuti online e delle decisioni prese in quelle “sedi” è altrettanto discutibile;
■ colleghi e colleghe stronzi possono serenamente essere mandati a quel paese, si dice addirittura faccia bene alla salute;
■ teniamoci stretta la libertà di insegnamento.
«Non è il momento di fare polemiche.»
Fra le tante cavolate lette nelle chat di docenti dell’ultimo mese e mezzo, questa frase è poco presente. È un buon segnale.
È proprio questo il momento di far polemica. Pochi giorni fa, l’ex primo ministro di un governo che non è stato colpito da asteroide – nonostante i migliori auspici – ha dichiarato in una trasmissione televisiva che la didattica online è una delle cose positive che ci porteremo a casa da questa emergenza.
E verosimilmente sarà così. Anzi, come abbiamo già scritto in un testo che ci è servito come base per scrivere questo articolo, è già così.
Per come si sta impostando, il sistema emergenziale attivato prevede una moltiplicazione del lavoro, un indebolimento di chi è già più debole, un controllo maggiore dall’alto, una frammentazione dei corpi collettivi che ostacola i percorsi educativi e favorisce l’individualismo. Bisogna impedire che questa forma emergenziale diventi stabile, come successo per altre emergenze.
Al contempo la riflessione puntuale sulla didattica a distanza deve andare di pari passo con una riflessione sul quadro in cui le difficoltà attuali si innestano: come per la sanità, anche la scuola ha bisogno di un corposo rifinanziamento se non vogliamo che l’intero sistema affondi, come per la sanità la questione della precarietà va affrontata tramite la stabilizzazione del personale, e i “soggetti a rischio”, ossia gli studenti e le studentesse che hanno bisogno del personale di sostegno e dei corsi di italiano L2, devono essere salvaguardati attraverso l’iniezione di strumenti e personale. Qualunque forma di didattica, online o meno, qualunque scuola del futuro deve ripartire da qui.
Gli anticorpi contro questa distopia vanno sviluppati subito.
By any means necessary.
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* La Rete Bessa è un collettivo di insegnanti, educatrici ed educatori nato alla fine del 2019 a Bologna, più precisamente negli ambienti della ex-Caserma Sani, lo stabile occupato da XM24 dopo lo sgombero della sede storica di via Fioravanti.
La chiusura delle scuole e lo scenario che si è aperto negli ultimi mesi hanno spinto la Rete a interrogarsi sui cambiamenti che stanno avvenendo. Uno degli strumenti utilizzati è questa inchiesta, prodotta insieme nell’ambito del progetto Ricerca Sociale in Emergenza, in cui ci si interroga su molti dei temi trattati anche in questo articolo.
Il nome BESSA è frutto di un gioco di parole. È l’invenzione della forma femminile di BES, acronimo che nel gergo burocratico della scuola si attribuisce a persone con «bisogni educativi speciali». Il sistema scolastico è innamorato degli acronimi. Bessa è anche una parola del dialetto bolognese, significa «biscia». La bessa è un canto di lotta delle mondine della bassa bolognese che esalta lo sciopero a oltranza e dice: meglio ridursi a mangiare bisce che stare con i crumiri.
Il blog della Rete Bessa è qui.
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Postilla – di Wu Ming
«Non saprei perché gli altri Paesi hanno preso una strada diversa. Secondo me, riaprire le scuole subito è rischioso perché le scuole sono un nucleo di circolazione del virus particolarmente efficiente. Credo che noi stiamo facendo bene a non riaprire le scuole, la ripartenza deve essere fatta in sicurezza».
Pierluigi Lopalco dixit e possiamo scommettere che il governo prenderà la linea senza fiatare, dato che è uno di quei due o tre virologi diventati una sorta di autorità suprema. Poco importa che a costui sfuggano le implicazioni di ordine pedagogico, psicologico, sociale della prolungata chiusura scolastica, cioè quelle di cui invece politici e governanti dovrebbero tenere conto congiuntamente alle esigenze sanitarie e di sicurezza pubblica.
Non è così difficile intuire perché altri paesi europei – che non sono stati necessariamente più reattivi in termini di tempismo e adeguatezza della risposta all’epidemia – stiano programmando la riapertura quanto meno parziale delle scuole. Partono dalla constatazione che la didattica a distanza è al massimo una mezza didattica e non può in alcun modo sostituirsi all’attività in aula – come ampiamente illustrato dall’articolo della Rete Bessa – ma anzi, può portare a danni nient’affatto semplici da recuperare. E forse considerano che una parziale riapertura prima della fine dell’anno scolastico sia precisamente l’occasione di sperimentare nuove modalità di fare scuola in sicurezza, in previsione della ripresa dopo l’estate, anche considerando che in molti prevedono una seconda ondata di contagi in autunno. Dunque anziché attendere non si sa bene cosa, si prova a reagire, con tutta la prudenza del caso. Inoltre, come ovvio, c’è una considerazione meramente economica e capitalistica: se non rimandano i figli a scuola, non possono nemmeno rimandare i genitori al lavoro, e di conseguenza non «riparte» proprio un bel niente.
In Francia è stata annunciata una parziale riapertura delle scuole dall’11 maggio, perché – parola dell’Eliseo – «troppi bambini sono privati della scuola senza aver accesso alla tecnologia digitale e non possono essere aiutati allo stesso modo dai genitori […]. Il governo dovrà stabilire regole speciali, organizzare il tempo e lo spazio in modo diverso, proteggere bene i nostri insegnanti e i nostri bambini con le attrezzature necessarie»
In Germania è stata annunciata la riapertura delle scuole il 4 maggio a cominciare dalle classi che devono sostenere gli esami di fine anno e in generale gli studenti dell’ultimo anno dei vari cicli scolastici. Si dovrà andare in aula mantenendo le distanze e quindi dividendo le classi in gruppi.
In Norvegia e Danimarca dopodomani riaprono le scuole primarie e perfino gli asili nido (vabbe’…), mentre in Olanda c’è chi ha proposto che se le scuole non dovessero riaprire, almeno si anticipi l’inizio del prossimo anno scolastico, per non perdere settimane preziose.
In Spagna – insieme all’Italia il paese europeo più devastato dall’epidemia – si sta ipotizzando che gli istituti scolastici restino aperti durante l’estate, affinché gli alunni che ne hanno bisogno possano rafforzare i contenuti curricolari, fare sport, essere seguiti, avere supporto psicologico. Il tema cruciale è quello di sventare l’abbandono scolastico dei soggetti più deboli. Essendo il paese con la più alta dispersione scolastica d’Europa, la Spagna sa che lasciare alunni e studenti fuori dalle aule da marzo a settembre potrebbe essere un disastro irreparabile per i figli delle famiglie più disagiate.
Una richiesta analoga è stata fatta anche in Italia, sottolineando un altro aspetto della faccenda. Non c’è solo il problema dell’abbandono scolastico dei figli, ma anche quello della fuoriuscita definitiva dal mondo del lavoro di tante madri, che mediamente hanno situazioni occupazionali più precarie dei padri, e che dopo mesi di stallo potrebbero non riuscire più a ricollocarsi nei rispettivi ambiti professionali.
Quando qui da noi sentiamo parlare di riapertura e ripresa delle attività lavorative e non delle scuole, viene da sospettare che il retropensiero sia proprio questo: in fondo siamo un paese in cui una donna su due non ha un impiego o fa lavori saltuari…dunque le madri possono prendersi cura dei figli e restare disoccupate; alle altre basterà dare un buono-babysitter.
In Italia infatti sappiamo che l’anno scolastico finirà, come sempre, prima che in qualunque altro paese europeo, e che si tornerà a scuola a settembre, con la speranza, pare, che sarà almeno all’inizio del mese. Staremo a vedere cosa proporrà la commissione ministeriale che ha il compito di studiare il modo per ricominciare il nuovo anno scolastico, presieduta dall’ex-assessore al lavoro e formazione dell’Emilia-Romagna, Patrizio Bianchi.
Settembre è veramente lontano e il problema non è solo quello – già grave – di non perdere nel frattempo per strada i più deboli, ma anche di recuperare la dimensione dell’apprendimento collettivo, la condivisione, e tutto ciò che costituisce la vita scolastica, senza la quale i ragazzi e le ragazze sono inevitabilmente demotivati e impoveriti.
Resta sul piatto la questione di bambini e bambine delle materne e delle primarie, ai quali è più difficile far mantenere il distanziamento. Ma nemmeno loro potranno essere tenuti fuori da scuola ad libitum, bisognerà trovare un modo per farceli tornare. È quello che già chiedono diverse petizioni.
Dopo che sono stati segregati in casa e trattati peggio dei cani per due mesi, rivendicare il diritto dei bambini alla scuola suona quasi rivoluzionario.
Ancora una volta mi stupisce il materialismo della nostra società.
In questi giorni, tutti parlano di riaprire le aziende,perché tanto il virus,a quanto abbiamo visto,ammazza solo gente messa male di salute,e noi dovremmo “mandare a rotoli la nostra economia per questi scarti della società?”,il tutto fregandosene bellamente della scuola(che non genera direttamente profitto).
Tuttavia,voi giustamente fate notare che,senza rimandare i figli sui banchi,è dura pensare di far “ripartire la nostra economia”.
Andrà dunque a finire che le scuole verranno riaperte prima di Settembre non perché sono teoricamente fondamentali per formare gli individui e farli crescere,ma perché la “non apertura” rappresenta un ostacolo al profitto…che tristezza.
«Andrà dunque a finire che le scuole verranno riaperte prima di Settembre non perché sono teoricamente fondamentali per formare gli individui e farli crescere,ma perché la “non apertura” rappresenta un ostacolo al profitto…che tristezza.»
Beh, non so. Forse sarà vero che “il nemico del mio nemico non è mio amico”, però io sono dell’idea che interessi convergenti possano essere utili.
Se riaprire le scuole “è una questione di profitto”, ma è anche e soprattutto una questione di pedagogia, di protezione dei dati dei minori, di evitare disuguaglianze, di salute fisica e mentale, allora personalmente mi fa piacere se c’è qualcuno che spinge nella medesima direzione. Almeno per sollevare il problema sui media con un peso “diverso” dal mio.
Specie se a spingere nell’altra direzione (chiusura fino a boh??) c’è una visione “a tunnel” di parte del mondo scientifico, come detto nella postilla di WM1, e buona parte di un mondo politico miope, spaventato, e incapace di programmare e pianificare aspetti collaterali importantissimi che invece altrove, da altri politici (anche se portatori dei medesimi interessi “industriali”) sono ben compresi e valutati.
Sta a noi (ad esempio ai sindacati?) far sì che se anche le scuole riapriranno solo per “non ostacolare il profitto”, la cosa venga fatta in modo corretto, con le dovute precauzioni e tutelando il diritto alla scuola.
Per quanto mi riguarda l’esperienza diretta (primarie) e indiretta (medie) della didattica on-line è veramente desolante.
Non dimentichiamoci che anche i professori sono persone e non tutti sono “illuminati”, competenti, digitalmente informati e consapevoli.
Sono evidenti disparità fra gli studenti in base alla disponibilità di computer e accesso alla rete e ho sentito mamme delle medie lamentarsi di professori che se la prendono con i ragazzi se non hanno una connessione veloce o il software adatto a compilare i compiti.
Precisiamo che la postilla non è di WM1 ma del collettivo WM al completo.
Mi spiace per il refuso. Avevo letto male e di fretta.
Uso il restante spazio necessario ad arrivare ai 550 caratteri per aggiungere una riflessione che mi è venuta ieri e che in parte è già stata evidenziata.
Con la DaD, il già difficile “flusso di informazioni” genitori – insegnanti viene ulterioremente ridotto.
Tanto per fare un esempio, come fa un insegnante a rendersi conto se la mole di compiti che dà è eccessiva? Quando ad esempio, alcuni mandano i compiti molto prima della scadenza e altri invece non riescono perché i genitori lavorano?
Mentre con un rapporto in presenza prima o poi 2 parole tra genitore e insegnante si potevano fare, per darsi un feedback e evidenziare problemi personali o generali, ora è impossibile.
Si passa (in teoria) solo più per il rappresentante di classe.
Ma anche qui, senza la possibilità per i genitori di “fare capannello” fuori dall’ingresso della scuola la mattina e discutere “dei problemi del giorno”, diventa tutto molto virtuale e asettico, e alla fine sparisce una grossa fetta di “informazione” e comunicazione.
Per ora non pare proprio che il governo italiano sia intenzionato a riaprire le scuole prima di settembre. Dopodiché possiamo processare le intenzioni, se vogliamo, ma sono sempre i fatti che vanno valutati. Chiunque abbia figli in età scolare – siano bambini o adolescenti – sa che l’attuale situazione è insostenibile. Un’apertura scaglionata anticipata, anche parziale, darebbe almeno qualche garanzia di ripresa un po’ più strutturata a settembre e consentirebbe ad alunni e studenti di riallacciare un minimo contatto con la scuola, anziché parlare con i prof da casa a casa in base a disponibilità di banda larga e computer, e al livello di competenza informatica dei prof.
La questione investe sia il versante psicologico-relazionale, sia quello meramente didattico. Se posso fare un esempio tratto dall’esperienza diretta: mio figlio in prima liceo scientifico non sta quasi svolgendo il programma di fisica (non proprio una materia secondaria) perché il prof o non è pratico o non ha voluto impratichirsi o è contrario all’idea di fare didattica a distanza. Mentre alcune materie procedono, altre rallentano o scompaiono, o devono svolgere solo la parte teorica del programma (ad esempio le materie artistiche o tecniche). Per tacere della DAD alla scuola primaria, sulla quale l’articolo della Rete Bessa dice già molto, ma potrei aggiungere aneddoti a pioggia. Mi limiterò a dire che mio figlio minore, in prima elementare, non vuole nemmeno più farla la DAD, vorrebbe che gli venissero assegnati i compiti e basta (un successone!). E ieri, parlando di questo, mi ha regalato questa massima: «Babbo, ti rendi conto che il mondo si sta affidando a una app!?».
Non aggiungo altro.
Io lo sto dicendo ovunque in tutte le salse: la DaD non esiste, semmai dovrebbero esistere LE didattichE a distanza! Al di la dell’opportunità o meno e della durata (o meno), come si fa ad affrontare la didattica dei bambini della primaria allo stesso modo e con gli stessi strumenti usati per i liceali?!
Ho un figlio al liceo che si rompe le palle ad ascoltare lezioni frontali via cellulare, non posso immaginarmi cosa accadrebbe se fosse alle elementari… Non bastasse questo non si può pensare che la didattica debba passare per il supporto di un adulto che affianca.
Insomma: con i bambini si devono usare strumenti adatti a loro! Sembra non ce ne siano o non si vogliano trovare facendo di tutta l’erba una GClassroom. Io ci lavoro da 10 anni sulla questione della formazione a distanza per i bambini, e ci lavoro insieme agli insegnanti. Gli strumenti ci sono, li abbiamo sviluppati e li usiamo! Ed i bambini ci si trovano bene: ovvio, meno bene che a scuola! Ma non si annoiano, interagiscono con l’insegnante e tra loro, hanno feedback immediati, non dipendono dai genitori per lavorare, lavorano in maniera simile a come fanno in classe… Insomma hanno uno spazio a loro misura.
Ed essendo io “della vecchia guardia” pongo massima attenzione al risparmio di banda: se sei nato con i modem e le linee analogiche ce l’hai nel sangue! Quindi non serve nemmeno la super connessione in fibra che poi in Italia arriva si e no nelle città!
Non sono così sicuro che «non è il momento di fare polemiche» sia una frase che si sente poco, di sicuro concordo sul farle, queste polemiche. Se il rischio principale è che l’emergenza di oggi diventi pretesto per prassi quotidiane domani, usiamo (parlo da docente) le riunioni più o meno ufficiali (consigli di classe, collegi docenti, ma anche mailing list esistenti e di nuova creazione) per piantare qualche paletto che serva da puntello per la ripresa futura. Facciamo mettere a verbale la dissonanza (nellamia esperienza locale prevalente, ma è una percezione soggettiva) registrata fra didattica a distanza e didattica consueta, e argomentiamola; facciamo verbalizzare le *perplessità* sull’uso delle piattaforme, la cessione dei dati sensibili – in particolare quelli dei minorenni che partecipano alle lezioni – ecc. Chiediamo che vengano attivate altenative. Insomma, precostituiamo, anche sul piano giuridico, le basi per il prossimo settembre, non sprechiamo quelle riunioni più o meno obbligatorie trasformandole in un parlatoio inutile. E cominciamo anche a chiederci, e a chiedere, alla luce di questa crisi, quale scuola vogliamo: quale didattica, quali strutture, quali strumenti, quale idea di apprendimento sono adeguati alla complessità che stiamo esperendo, dopo anni di semplificazione e riduzione del sapere a scatolette preconfezionate.
Mi riferisco al commento di Girolamo, pur aprendo un altro thread, perché penso ad una cosa specifica che ha scritto. Chiediamoci che scuola vogliamo: “quale idea di apprendimento sono adeguati alla complessità che stiamo esperendo, dopo anni di semplificazione e riduzione del sapere a scatolette preconfezionate.”
Il titolo e l’immagine di copertina del post chiariscono bene come si stia cristallizzando un processo in atto da anni a scuola e in università: l’idea che il sapere possa essere impacchettato in moduli preconfezionati. Ti prendi una cucchiaiata di questo, una di quello ed è fatto. Poi ci metto una verifichina e certifico che sei competente. Questa forma di insegnamento…sa di dado! Non favorisce l’apprendimento né la crescita, ma imbriglia il tutto in caselle e cellette.
Con la didattica a distanza, (o “didattica in assenza”) questa modalità rischia di istituzionalizzarsi ancora di più. Lo vediamo già, soprattutto per i più grandi: fatti una webinar e diventi brav@. 8 webinar fanno un corso di grammatica, brav@ sai l’italiano. Era già prima, l’illusione di un processo formativo che veniva legittimata da prove invalsi e burocrazie varie. Ora è un’illusione al cubo.
Pensare criticamente allo strumento tecnologico nella scuola vuol dire sia riflettere sull’uso dei dati e sulla sopraffazione delle tech companies su un’istituzione pubblica, che pensare alle forme di trasmissione di sapere che sono promosse.
Provo a spiegarmi meglio (avevo la videolezione anch’io). Credo sia ovvio che il sapere che sa di dado non va bene neanche a me, sono almeno 10 anni che combatto in tutte le sedi possibili (mi consentirai di “rubarti” il diagramma di flusso della minestrina di dado che hai descritto, esemplare per chiarezza). Ma è importante ricordare che gli ipotetici finanziamenti aggiuntivi alla scuola (ma anche alla sanità, al sociale, alla vita in quanto tale direi) devono essere sottoposti al vaglio critico: posto che ci siano finanziamenti, dove, e per fare cosa? Io ho l’impressione che, così come l’emergenza, costringendo un po’ tutt@ a fare DAD, costringa molti apologeti astratti di questa modalità a riconoscerne limiti e pericolosità (discorsi che fino a ieri, fatti da me, potevano essere tacciati di estremismo/luddismo, oggi vengono accolti come senso comune), così la critica al sapere preformato, precotto e predigerito si scontra con un’evidenza (o con qualcosa su cui lavorare per renderlo evidente): come fai, con quel sapere a pezzettini, a rispondere a una domanda di comprensione di una cosa complessa come il virus? Lo stesso si sarebbe potuto dire già col mutamento climatico, ma l’emergenza questo aspetto te lo sbatte in faccia. Come fai a limitare alla biologia il virus, senza connettere la biologia alla sociologia, alla politica, all’urbanistica, in una battuta all’ecologia della mente?
Ma la crisi mostra anche un sistema-paese che non sa cos’è la scienza, non sa leggere una pubblicazione scientifica (e arriviamo fino ai responsabili delle pagine dei grandi giornali), non sa come si legge e come si interpreta una statistica. Questa crisi del sapere appreso, correlata alla crisi (voluta) del sistema-istruzione, non può essere risolta con aggiustamenti o toppe: è necessario ripensare, in chiave di media durata (diciamo: per il decennio che viene), l’intera struttura dell’istruzione, a partire dalle domande-chiave sul sapere, e alle risposte che vogliamo siano date. In questo modo lo strumento tecnologico viene rimesso sui suoi piedi: ridiventa, per l’appunto, lo strumento, non lo scopo. Fino a ieri questa poteva sembrare accademia (tipo complessità Vs competenze, un bel tema da convegno), oppure una di quelle belle astrazioni che fanno enti sovranazionali tipo OCSE. Adesso, parere mio, quello che da almeno 10 anni, forse anche 20, andiamo dicendo diventa un mondo possibile, a condizione di sapercelo prendere.
Aggiungo un ultimo tema, lo nomino soltanto, ma credo sia importante. In questi giorni tutti stanno scoprendoche l’insegnamento è anche lavoro di cura: e su questo dobbiamo riflettere. Lavoro di cura significa tanto il riconoscimento di una valorizzazione, quanto la possibilità di ulteriori forme di sfruttamento (sto pensando al libro di Cristina Morini “Per amore o per forza” sulla femminilizzazione del lavoro, e a tutta la riflessione sul tema). NUDM ci ha mostrato che la scuola può e deve essere compresa nel campo della riproduzione sociale: anche questo oggi diventa un discorso praticabile (so che sono discorsi molto alla E.P. Thompson, ma io da lì vengo e così ragiono).
Per altro questa cristallizzazione mi sembra effetto (anche di) una reazione scomposta di chi, abituato ad una scuola autoritaria, nel momento in cui è privo del contesto consueto e dei consueti punti di riferimento, cerchi di ristabilire il perduto modo di fare in maniera ancora più forte: non è un caso che tanti docenti facciano interrogazioni a distanza molto più “dure” di prima. Sentono di non avere il controllo e reagiscono duramente.
Ma non è una conseguenza obbligatoria della situazione emergenziale, anzi.
In un contesto così confuso si aprono spiragli che prima non c’erano. La proposta della rete bessa di non mettere voti, in questo momento, può essere realizzata con più facilità (almeno da un punto di vista burocratico). Prima, chiunque si fosse rifiutato di valutare con numeri si sarebbe beccato delle sanzioni. Adesso abbiamo la possibilità concreta di non farlo. E, anzi, voti messi a distanza rischiano di far partire una valanga di ricorsi.
Così come, non essendo obbligati a seguire il programma, è possibile, almeno alle superiori, concordare con gli alunni i contenuti e i metodi del corso.
Paradossalmente adesso possiamo provare addirittura a dilatare la nostra libertà di insegnamento.
Non è facile, certo, e non voglio fare un discorso alla “tanto peggio tanto meglio”, ma questo potrebbe essere un buon momento per sperimentare prassi nuove.
Ho sentito Patrizio Bianchi stamane, a Radio1 RAI. Avendo già maturato – anche sulla base dell’esperienza diretta – i dubbi e le riflessioni ben esposte nel post e nei commenti qua sopra, ho ascoltato le sue risposte con curiosità, benché senza grandi aspettative.
Sorvolo in questa sede sulla pessima abitudine dei/lle giornalisti/e e dei/lle conduttori/rici italiani/e di NON fare mai la “seconda domanda”. Le dichiarazioni del neo-presidente dell’ennesima task force (anche se per pudore l’hanno chiamata “tavolo tecnico”, o qualcosa del genere) sono state a dir poco desolanti. Una retorica paternalista inascoltabile mista a genericità e fumosità da alto burocrate. Non una sola risposta sulle questioni concrete, tanto meno alcun impegno non dico a risolverle ma almeno ad affrontarle.
L’impressione è che questa emergenza abbia offerto il destro per accelerare lo smantellamento della scuola pubblica, specie nella sua dimensione ancora democratica e inclusiva. Anzi, mi pare che l’idea sia di approfittarne per risparmiare. Nessun impegno e nemmeno la minima ricezione riguardo al problema degli organici, dell’eccessivo affollamento delle classi, delle strutture obsolete e insufficienti, degli strumenti inadeguati.
In definitiva, non aspettiamoci nulla di buono. Confido che da chi nella scuola lavora emergano forme di resistenza e di controproposta.
Solo due cose veloci (che poi scappo a preparare le videolezioni…): assieme al “non è il momento di fare polemiche”, tra i docenti della scuola dove lavoro (centro di formazione professionale della Provincia di Brescia…quindi di competenza regionale) si è spesso accompagnato il “mettiamoci una mano sul cuore” ovviamente incoraggiato dalla retorica aziendale dei dirigenti (“ci vuole più cultura del lavoro e meno lamentele”) ma suffragata pure da sindacati e RSU. E via di acriticità su ogni aspetto didattico (strumenti e contenuti).
La seconda cosa che volevo segnalare è che da noi Regione Lombardia ha decretato che le videolezioni (effettuate tramite Meet di Google) sincrone debbano essere registrate nella loro interezza (60′) per eventuali future ispezioni. E anche su questo, a parte qualche domanda della Rsu in merito alla privacy e alla libertà di insegnamento (più la prima che la seconda in realtà) e subito rintuzzata dal Direttore Generale sembra che la cosa non disturbi più di tanto.
Ciao a tutte e tutti, sono un docente di un CPIA. Confermo che noi, come Centro Provinciale per l’Istruzione degli Adulti, stiamo facendo regolarmente lezione attraverso DAD agli studenti. La maggior parte di questi sono stranieri e le difficoltà che stiamo riscontrando sono molteplici. Innanzitutto abbiamo perso numerosi studenti che non riusciamo in alcun modo a contattare, mentre altri hanno problemi di alfabetizzazione sia, ovviamente, linguistica che informatica.
Inoltre vi sono problemi di natura economica: non tutti hanno un tablet o un pc, la maggior parte utilizza il cellulare; non tutti riescono ad avere una connessione wifi o sufficienti giga; molti lavorano e non riescono più a frequentare nei nuovi orari con la DAD. Segnalo che per i CPIA dal Ministero non è giunta alcuna disposizione particolare, nonostante il tipo di ”utenza” sia estremamente fragile e incline alla dispersione scolastica. Ad oggi non sappiamo nulla su come si dovrà concludere l’anno scolastico, se i ragazzi dovranno fare una tesina, se dovranno esporla attraverso una videoconferenza, oppure nulla di tutto questo.
Aggiungo che la scuola in carcere risulta essere totalmente esclusa da qualunque tipo di preoccupazione istituzionale, non esiste neppure la DAD (per quanto ne so), so che si cerca, molto vagamente, di far arrivare del materiale cartaceo.
Insomma il diritto allo studio non è uguale e garantito allo stesso modo per tutt*.
Mi sono un po’ informato sulla questione lezioni in carcere.
Ho raccolto un po’ di dati pubblici che sono evidenti sul carcere di Bologna, dove ci sono state diverse proteste. Finite, come sappiamo, malissimo.
Le lezioni in carcere sono saltate.
Poi le lezioni sono ricominciate, ovviamente a distanza: è un luogo affollato dove sei costretto a rimanere, ma non puoi ricevere nessuno.
Ma un carcerato ha un computer?
Quindi ecco la soluzione: una trasmissione su una radio locale (città fujiko), credo nella speranza che i detenuti sentano.
Qui la pagina: https://liberidentro.home.blog/2020/04/11/scarica-le-nostre-puntate-in-podcast/
Per non risolvere il problema carcerario, si crea tutto un gomitolo di modalità che a occhio non hanno alcun effetto materiale se non quello di far apparire che si sta facendo qualcosa , magari conquistare qualche cuore tenero che ha molta voglia di sperare che andrà tutto bene.
Vi ringrazio per lo sforzo che fate per smontare la fake news che la DAD è la soluzione alla sospensione della didattica in classe fino a “fine emergenza”.
Concordo pienamente con tutte le difficoltà riportate sia lato insegnanti sia lato studenti.
Ma il principale timore che io vedo, è che dopo 2 mesi di un’informazione mainstream basata sulla necessità della rinucia dei propri diritti in nome della sopravvivenza dei più deboli, solo una quota parte di genitori saranno disposti a rimandare i propri figli a scuola anche a Settembre, rinunciando autonomamemente al diritto allo studio senza esssere costretti da nessuno.
Da padre di 2 figlie (1a media e 3a elementare), vedo questo presupposto già prendere forma, nelle chat, e nelle brevi discussioni telefoniche: “Se non mi garantiscono, io mio figlio a scuola non lo mando fino al vaccino!”.
Spero vivamente di sbagliarmi e non di doverci trovare a lottare per i diritti dei nostri figli non solo contro chi questa scuola la sta (scellaratamente) gestendo, ma anche tra noi genitori.
L’intervento di jurdolf secondo me tocca un tasto non secondario. Mesi di media schizofrenici e titoli allarmistici hanno fatto effetto. Non saranno pochi i genitori che davvero ci penseranno due volte prima di far tornare i figli a scuola a settembre, e a poco varrà l’obbligatorietà. Il fatto è che le aule nelle quali i figli dovranno andare sono troppo spesso stanze di 20-25 mq, nelle quali trovano posto 20-25 studenti (anche 30, soprattutto nelle scuole superiori). E dopo che per mesi ti è stato detto che ti devi lavare continuamente le mani e rispettare il distanziamento fisico se vuoi salvarti, diventa difficile accettare che di punto in bianco queste misure non servano più (dando per scontato che in autunno non si avrà il vaccino). Scusate, abbiamo scherzato, adesso possiamo tornare ad accalcarci in spazi ristretti. La stessa questione è stata posta per la riapertura (o la non chiusura) delle fabbriche. In molti luoghi di lavoro si è scioperato affinché si dotassero gli operai dei DPI minimi, in altri casi si è scioperato ritenendo discriminatorio l’obbligo di andare a lavorare. L’unica cosa che a settembre sarà cambiata (forse) sarà il tasso di diffusione del virus (e tuttavia anche qui ormai si parla apertamente di seconda ondata ad ottobre).
Si pensa a turni, ad estensione degli orari e ad altre soluzioni che mettono drammaticamente in evidenza il fatto che la coperta è corta.
La DAD ha grossi limiti (tutti evidenziati splendidamente nell’articolo), il ritorno a scuola in aule piccole ha grossi limiti. Quali sono i più sopportabili? Da genitore constato che la DAD è gestibile sul breve periodo, pur com mille difficoltà, ma alla lunga diventa controproducente (e io ho solo una figlia; ho colleghi genitori con tre figli, e stanno impazzendo).
Segnalo soltanto che in Austria dal 16.03 le scuole elementari e gli asili sono chiusi ma restano aperti per le bambine e i bambini i cui genitori – a causa del lavoro o “a causa di motivi personali” – non possono restare a casa per prendersene cura. testuale: An Schulen ist der Unterricht seit 16.3. ausgesetzt. Schulen der Primarstufe und Sekundarstufe I (Volksschulen, NMS, AHS-Unterstufe, Sonderschulen) stehen nur mehr für jene Schülerinnen und Schüler offen, deren Eltern außer Haus erwerbstätig sein müssen und deren Kinder zuhause nicht betreut sind, oder für jene Schülerinnen und Schüler, deren Eltern aus anderen persönlichen Gründen die Betreuung zu Hause nicht bewerkstelligen können.
il link della pagina sul sito del ministero: https://www.sozialministerium.at/Informationen-zum-Coronavirus/Coronavirus—Aktuelle-Ma%C3%9Fnahmen.html è in tedesco ma anche mettendolo su un traduttore automatico il senso lo si capisce.
Le cose si possono fare, il punto è che o non ci arrivano oppure non vogliono. Propendo per la seconda ipotesi.
Questa mi sembra una soluzione orribile e spero che in Italia non la applicheranno mai, è una discriminazione dei bambini comunque la si guardi. Se c’è un rischio sanitario nella scuola, c’è il diritto alla salute di TUTTI i bambini e di TUTTE le loro famiglie, anche di chi non può permettersi una babysitter. Allo stesso modo c’è un diritto all’istruzione e alla socialità di TUTTI i bambini, compresi quelli che hanno uno o due genitori disoccupati o comunque che non lavorano.
Il fatto che abbiano già rinunciato ad aprire le scuole fino a fine anno (riferendosi sempre alla scuola dei “grandi” che finisce ai primi di giugno, mentre le scuole dell’infanzia continuerebbero fino al 30 e gli asili nido anche oltre) mi preoccupa molto. È inutile negare che il ritorno delle virosi stagionali dei bambini in autunno complicherà molto il ritorno a scuola, normalmente in una classe di scuola dell’infanzia ci sono la metà o più dei bambini col raffreddore e la tosse durante l’inverno e anche questo sarà un problema con cui fare i conti.
Non ho capito se la “soluzione orribile” sia quella di dare la possibilità, ai genitori che non possono prendersi cura dei bambini, di mandarli a scuola. Se così è non capisco perché. Ora, purtroppo non ho persone a cui poter chiedere direttamente se e come stia funzionando questa cosa nelle scuole elementari ma – almeno sulla carta – non la vedo “una cosa orribile”; fossero state di questo tipo le decisioni prese in Italia anziché affidarsi a un app, come ha detto lucidamente il figlio di Wu Ming 4, forse – forse – le cose andrebbero un po’ meglio.
Mi sembra di aver già spiegato il mio punto di vista. Trovo orribile dare la possibilità di frequentare la scuola SOLO ai bambini che hanno entrambi i genitori che lavorano, come se i figli dei disoccupati (o di un lavoratore e un disoccupato) non avessero altrettanto diritto ad andare a scuola. La discussione che si è sviluppata qui mi pare sia partita dai diritti dei bambini, non da quello (pur legittimo) dei genitori ad avere un posto dove mettere i propri figli. La DAD come molti qui hanno scritto sta acuendo le differenze socioeconomiche tra i bambini invece che ridurle come la scuola dovrebbe fare. Accettare a scuola solo una parte dei bambini italiani mi sembra veramente sbagliato. La scuola non è un parcheggio. E poi cosa farebbero a scuola questi bambini? Andrebbero avanti col “programma” mentre quelli a casa rimangono indietro o si trasformerebbero le scuole in un servizio di baby-sitting in cui ci si limita a sorvegliare i minori?
Non condivido il tuo punto di vista, visto che la scuola – volente o nolente – assolve anche un ruolo sociale. In altre discussioni ho trovato questa semplificazione assurda dela “scuola come parcheggio”, sono felice di non averla mai pensata nè presa in considerazione come opzione. Poi, la semplice notizia che ho riportato e cioè in Austria abbiano scelto di fare diversamente che in Italia (ribadisco che non so con quali risultati, con che grado di successo, visto che non ho conosccenti a cui poter chiedere) l’hai virata in toni pessimistici e negativi frutto di speculazioni tutte tue. Aggiungo che anche se la discussione si sta focalizzando sulla DAD sia il post che a postilla pongono giustamente l’attenzione anche sulle problematiche dei genitori. A tal proposito giusto una precisazione, per quel che vale: bambin* di genitori che “anche per motivi personali” non possono prendersene cura. Quindi persone che non hanno un computer o la connessione internet, genitori che non parlano il tedesco e quindi non possono sostenere i figli ecc. Spero di aver chiarito un po’ di più il perché ho postato quel link. Altrimenti me ne farò una ragione. Ovviamente nel caso fosse un OT mi scuso con Wu Ming.
Scusami se ti sono sembrata aggressiva. La soluzione di mandare a scuola solo i figli dei lavoratori l’ho già letta come proposta da applicare anche in Italia, non mi ricordo in quale dei mille articoli più o meno deliranti riguardanti la fase 2. Da disoccupata spero che non arriverà mai il giorno in cui dovrò dire a mio figlio che i suoi amici possono tornare a scuola ma lui non, per colpa mia che non ho ancora trovato un lavoro. Perché vista l’aria che tira, come stanno sacrificando un po’ tutto tranne la produzione, io dubito che diranno a una mamma bengalese disoccupata che non parla italiano “non ti preoccupare, visto che non parli bene italiano il bimbo te lo teniamo noi”. Penso piuttosto che la modalità sarebbe che quando iscrivi i bambini a scuola ti chiedano la partita Iva del datore di lavoro di entrambi i genitori, come fanno per le graduatorie dei nidi comunali.
Io non penso comunque che sia un argomento OT, perché se parliamo di DAD è anche interessante pensare alla possibilità che la DAD sia imposta a quella parte di bambini che possono rimanere a casa senza mettere a rischio la produzione.
Jurdolf, metà delle mamme con cui ho parlato mi ha detto esattamente quello che paventi tu, che non rimanderebbe i figli a scuola a settembre senza garanzie… Ma che garanzie volete?? Garanzie che non si ammalino, che non facciano ammalare i nonni, i genitori, che non si tocchino, non ridano con le teste vicine, non si sussurrino segreti, non mangino le patatine dallo stesso sacchetto, insomma infiliamoli in una campana di vetro, sterilizziamoli con l’amuchina, e avremo la sicurezza di figli non infetti. Psicopatici, ma senza coronavirus.
Nel frattempo la provincia di Trento ha attivato un canale per il mantenimento della relazione didattica nella scuola dell’infanzia. Una mail. Per la scuola dell’infanzia. Non so se piangere o ridere.
L’emergenza manufactured ha solo dato il pretesto per potere effettuare l’ulteriore privatizzazione dell’Istruzione, l’incremento della sorveglianza e del comando dall’alto. Lockstep.
Le videolezioni sono sorvegliate per forza essendo su piattaforme tipo google che non e’ altro che un tassello del Panopticon contemporaneo descritto bene da Edward Snowden. Io prevedo che la DAD diventera’ permanente e si puo’ dire bye bye all scuola come luogo fisico. E c’e’ chi ancora sostiene che tutto cio’ non sia stato programmato..
Aproposito dei genitori cretini che non vogliono piu’ mandare i figli a scuola finche’ non vengano vaccinati cito una frase di C.S.Lewis: “Of all tyrannies, a tyranny sincerely exercised for the good of its victims may be the most oppressive. It would be better to live under robber barons than under omnipotent moral busybodies.” C. S. Lewis.
L’abbiamo già fatta questa discussione, mojo, lo sai bene che noi non crediamo al Piano occulto, non pensiamo che sia tutto un complotto iper-coerente e deciso chissà da quanto da hidden forces ecc., non impostiamo la questione in questo modo perché non c’è bisogno di questo per attaccare il capitalismo, e quest’ultimo non ha bisogno di piani universali per rendere funzionali le crisi, lo fa da sempre, è la sua natura. We agreed to disagree, mi sembrava, invece ogni tanto ci fai le frecciate. È vero che le freccette sono sport tipicamente inglese, ma teniamolo per i pub quando riapriranno, su… Peace.
Non sarei cosi’ sicura che i pub riapriranno!
Per arrivare alle battute necessarie aggiungo che Operation Gladio era una conspiracy theory per voi? Per sconfiggere la minaccia comunista e’ accertato e riconosciuito questa op della NATO. E la NATO cos’e’ se non l’espressione imperialista del capitalismo? Il capitalismo per potere proteggersi e sporavvivere ha bisogno ogni tanto di qualche aiutino e magari la sinistra se la smettesse a respingere questa possibilita’.
Un comunista Olandese ha appiccato il fuoco alla Reichstag pure?
Ci vediamo a giocare a freccette su Google Meet, comrades.
Scusate l’OT, ma la storia di Gladio è proprio la dimostrazione che le teorie cospirazioniste impediscono di capire l’origine e la natura delle cose. Gladio comincia a formarsi molto prima del ’49, senza chiamarsi ancora Gladio. Comincia a formarsi nell’inverno ’44-’45, a guerra ancora in corso, quando gli inglesi e gli americani decidono di disarmare o comunque depotenziare i partigiani comunisti, appoggiando nel contempo le componenti più conservatrici della resistenza, e cercando accordi sottobanco con fascisti pronti a fare il salto della quaglia. Succede con modalità molto diverse in Grecia, in Belgio, in Francia, in Italia. Lo scopo è quello di impedire che la resistenza si dispieghi come lotta di classe e porti alla rivoluzione. All’epoca succede tutto alla luce del sole, e a un certo punto lo stesso Stalin lascia fare, perché nel frattempo è stato siglato l’accordo di Yalta. In particolare in Italia il primo nucleo della futura Gladio nasce in Friuli dalla fusione di elementi osovani ed elementi della X MAS. Non era una cospirazione, era qualcosa di inscritto nella logica della lotta di classe e nella sua declinazione geopolitica nel dopoguerra. Dopodiché per ovvi motivi l’azione di Gladio durante la guerra fredda avviene sotto copertura, l’organizzazione si inabissa. Ma non c’è stato nessun momento, durante gli anni settanta, in cui non si avesse ben chiaro, nelle sue grandi linee, il collegamento tra vecchio fascismo, nuovo fascismo, e imperialismo americano. Fine OT.
p.s. è anche liberatorio ogni tanto parlare di qualcosa di diverso dal virus, perché ormai da due mesi il refrain è
virus e il resto scompare
virus e il resto scompare
virus e il resto scompare
virus e il resto scompare
Certo che i complotti esistono, ma in un’accezione molto più terra-terra e contraddittoria di quanto creda il complottismo.
Un complotto è in fondo una cosa molto semplice: c’è un complotto ogni volta che almeno due persone si mettono d’accordo per nuocere ad almeno una terza persona all’insaputa di quest’ultima.
Devono essere almeno due perché uno non complotta da solo; devono agire all’insaputa della persona che ne trarrà danno, e infine l’azione dev’essere effettivamente finalizzata a nuocere.
Se mi metto d’accordo con mio fratello per organizzare la festa a sorpresa per il compleanno di mio padre, non sto complottando contro mio padre, perché siamo in due e confabuliamo in segreto, ma l’azione non è finalizzata a nuocere a mio padre. Anche se la festa viene una merda e in quel frangente lui si rompe una gamba, non era comunque un complotto, perché il fine non era quello.
Sulla distinzione tra i complotti veri (limitati, imperfetti, contraddittori ecc.) e il Complotto immaginato dal complottismo (perfetto, coerentissimo, profetico, tentacolarissimo, illimitato, eterno ecc.) rimando a quel che scrivevo nell’inchiesta in due puntate apparsa su Internazionale nel 2018:
https://www.internazionale.it/reportage/wu-ming-1/2018/10/15/teorie-complotto-qanon
Fine OT.
Aggiungo una riflessione. Si parla pochissimo di un dettaglio “insignificante”: a prescindere da tutti i limiti, se la DAD si sta facendo, è perché lo Stato ha de facto espropriato, per ragioni di pubblica utilità, beni e servizi personali degli insegnanti. Perché pagati con il reddito disponibile al netto delle imposte dirette e al lordo delle imposte indirette, senza sgravio degli oneri. Sono a tutti gli effetti beni di consumo di proprietà del privato cittadino. Che il cittadino sia un dipendente dello Stato, giuridicamente è irrilevante. Offerto il mio servizio pubblico, il mio reddito netto è privato. E tutto ciò che viene acquistato con questo reddito netto è e deve essere tutelato come proprietà privata ai sensi dell’art. 42 della Costituzione. Articolo che prevede sì, l’espropriazione della proprietà privata per ragioni di pubblica utilità, ma dietro un congruo indennizzo. Perché nella Repubblica Italiana la proprietà privata è tutelata dalla Costituzione.
Tranne quella degli insegnanti. Nei decreti ci si è limitati ad usare un ambiguo presente indicativo: “il personale docente assicura comunque le prestazioni didattiche nelle modalita’ a distanza, utilizzando strumenti informatici o tecnologici a disposizione” (DM 22 del 8/4/19). Ovvio, una formulazione più impositiva sarebbe stata a tutti gli effetti una violazione dell’art. 42 della Costituzione.
Però sono state date linee di indirizzo ai dirigenti scolastici per spingere la DAD verso una metodologia (in leggera violazione con l’art. 33 della Costituzione). È vero, molti dirigenti scolastici si sono ben guardati dal dare disposizioni perentorie. Eppure si legge di continue pressioni sulla metodologia: la videolezione sincrona o asincrona. Qualche dirigente scolastico si è spinto anche oltre. In un contesto in cui, per quieto vivere o per ignoranza o perché così fan tutti, la maggior parte degli insegnanti si ritrova nella condizione di espropriato senza indennizzo dei propri beni personali e della privacy della propria abitazione.
Diamo merito a tutti quelli che hanno dato la spinta al carrozzone della DAD. Tanto ci sono i paria della Scuola, gli insegnanti, che provvedono a trainare il carrozzone.
bè, l’espropriazione di beni e servizi personali non è affatto limitata alla scuola, ma puoi tranquillamente estenderla a quasi tutta la pubblica amministrazione. Io per esempio lavoro alla ausl come impiegata amministrativa è da subito c’è stata una pressione soft ma insistente a lavorare da casa, ma… col tuo pc, il tuo telefono e la tua connessione. E lo stesso è successo un po’ dappertutto.
E’ proprio grazie questo che ho potuto continuare a lavorare in ufficio, potendo quindi uscire con l’autorizzazione del caposervizio, perché i due pc che abbiamo in casa servono ai figli che ovviamente sono in DaD!
Mi pare che tra testo e commenti abbiate messo in luce tanti aspetti fondamentali. Purtroppo in questa fase mi sono sentita dire di mettere da parte perplessità e “lamentele sindacali” (e me lo hanno detto persone che si definivano di sinistra) perché in emergenza non è il momento di parlare. La lotta on alcun* collegh* è quotidiana. Privacy:non c’è solo la mia. Le immagini degli studenti girano nelle case, chi vede cosa? Cosa ne fa? Ma se lo dico sono una che rema contro. Modalità di lezione:il tutto diventa sempre più prescrittivo. Risorse: ci ricordano dei 500 euro. Ma, uno, e i/le precar*? E due: ma erano per la formazione, o per l’uso di piattaforme proprietarie per provare a garantire un diritto che lo Stato sta negando? Potrei aggiungere altro. Sui voti: oggi discussione con collega che chiede perché non adottiamo le belle griglie del liceo vicino. Impegno, netiquette, puntualità. Mi imbizzarrisco. Mi dicono che “il ministro ha implicitamente detto che dobbiamo valutare”. Mi fermo.
@Silviabag: quanto ti ricordano dei 500 euro (che sono circa 10 euro a settimana), tu rinfresca loro la memoria ricordando che fino al 2010 avevamo la detraibilità dei beni acquistati per ragioni professionali, dai libri (per aggiornarci) ai PC. Per inciso, quell’anno lì ho comprato il fisso dal quale sto digitando, con i miei soldi, e la successiva finanziaria mi ha tolto la possibilità di detrarre il 20% della spesa. Quindi il bonus non ha fatto altro che rimetterci in tasca una parte dei soldi che ci erano stati tolti. Oltretutto, non esiste alcun obbligo contrattuale di possedere un PC, ma un tot di cose (a partire dal corso obbligatorio per i neoimmessi in ruolo) si possono fare solo da computer. Fino a ieri la risposta era: se non lo avete a casa, potete usare quelli della scuola.
A proposito di valutazione, il Movimento di Cooperazione Educativa – che peraltro aveva già (ri)lanciato la campagna “Voti a perdere” per la modifica del decreto 62 e l’abolizione del voto numerico a ottobre scorso – ha elaborato una proposta di delibera da far approvare ai collegi docenti sulla inapplicabilità della valutazione sommativa a maggior ragione durante questa Didattica dell’emergenza (perché Didattica a distanza è un ossimoro).
Trovate qui le motivazioni e il documento: http://www.mce-fimem.it/abbiamo-bisogno-di-scuola-non-di-voti/
Mi sembra una campagna parecchio interessante.
Avete già casi di risposte?
Si sono aperte già discussioni in merito?
La valutazione docimologica è già poco sensata di suo, ma in questo periodo è ancora meno intelligente. Per me la questione valutativa andrebbe eliminata,ma ci sono casi ancora più specifici che secondo me vanno evidenziati.
A livello di esperienza personale è impressionenate il calo che in questo periodo hanno avuto studentesse e studenti brav@ o anche bravissim@, ma con una forte empatia. Sono le persone che, forse più di altre, crescono stando in classe. Valutare ora significherebbe, penalizzare chi ha questa qualità che è del tutto positiva.
Aggiungo il caso di student@ che non sono madrelingua italiana: bravissim@ o meno in questo periodo stanno ricevendo una mazzata da cui è dura che si riprendano. Già in generale sono penalizzat@ dalla valutazione, ora è anche peggio
Salve! A me non risulta obbligatorio l’uso del registro elettronico: non lo sarà fino a quando non verrà attuato il piano di dematerializzazione contemplato dal decreto legge del luglio 2012, piano di dematerializzazione di cui oramai si è persa ogni traccia. Una sentenza della Cass. pena. Sez. V, Sent., (ud. 02-07-2019) 21-11-2019, n. 47241, analizzando il caso di reato di falsità in atti, ha infatti affermato la non obbligatorietà del registro elettronico in quanto il D.L. n. 95 del 2012, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 135, aveva introdotto, per le istituzioni scolastiche e i docenti, l’obbligo di dotarsi di registro elettronico a decorrere dall’anno scolastico 2012-2013, prevedendo che il Ministero di Istruzione, Università e Ricerca predisponesse entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto un piano per la dematerializzazione delle procedure amministrative in materia di istruzione, università e ricerca e dei rapporti con le comunità dei docenti, del personale, studenti e famiglie; di fatto questo piano non è stato attuato vanificando così il processo normativo e rendendo non obbligatorio l’utilizzo del registro e pagelle elettroniche, da qui la relativa conseguenza che in molte scuole si usano sia il registro elettronico che quello cartaceo.
Salve a tutti/e.
Mi sono da poco registrato e nella scuola ho passato alcuni anni bellissimi.
Colgo quindi l’occasione di questo thread per scrivere un commento, estremamente generico, da non addetto ai lavori (anzi, da non addetto al lavoro, ché vivo senza lavorare…40 mq senza riscaldamento).
Credo che la scuola rimarrà’ ancora, per lo meno a medio termine, legata alla fisicità’ della classe. In Homo Deus, Yuval Noah Harari parla della futura, possibile, in certi casi (zone remote dell’Australia) sperimentata, sostituzione degli insegnanti con l’AI. Ecco, non penso che ciò’ avverrà’ in un’orizzonte degli eventi prevedibile.
Quanto all’uso di tecnologie informatiche…mah, ai miei tempi (anni Zero) le classi erano come quelle che avevo frequentato da studente. Per far vedere un film ai ragazzi bisognava prenotare un televisore anni ’80 che funzionava con cassette VHS.
Mi sarebbe piaciuto poter portare Youtube in classe e, più’ in generale, usare il computer.
Una voce di Wikipedia vista in varie lingue trovo che sia molto utile dal punto di vista didattico.
Durante questo periodo, troppo lungo, di isteria tanatofobica e liberticida questo Blog e’ stato per me un’isola felice. Grazie per quello che fate. Tanto ho tagliato (ho scoperto che avevo scritto 2400 caratteri = 4 minuti) che..Saluti!
Un’esperienza un po’ eccentrica: con un’associazione di migranti di Bologna (Sopra i ponti) da alcuni anni gestiamo un progetto di supporto a donne migranti particolarmente fragili socialmente, cioè andiamo proprio a cercare quelle che sono casalinghe e in molti casi hanno una bassa scolarità pregressa, a volte analfabete: insomma persone che magari abitano qui da anni, hanno figli, a volte ne hanno cresciuti diversi, e sanno sì e no poche parole di italiano, escono pochissimo di casa e sono in tutto dipendenti dai mariti. Con il “pretesto” di imparare l’italiano offriamo un’occasione per uscire di casa, crearsi una rete relazionale, partecipare a uno spazio di parola, recuperare un’identità non solo familiare.
Con l’ottimismo della volontà abbiamo tentato di riagganciarle a distanza, ma la partecipazione è crollata a una o due persone per collegamenti brevi e senza video, ne parliamo qui: http://www.ascuolacolmarsupio.it/la-distanza-distanzia-frammenti-dal-matrix-della-dad/
E’ un caso particolare, ma è anche sconcertante la superficialità con la quale la questione della DaD viene affrontata. Ci sono mille situazioni diverse che non possono essere ridotte allo studente ideale degli ultimi anni di liceo, maturo, motivato e ben dotato di strumentazioni tecnologiche e con docenti aggiornati, flessibili e motivati, l’unica figura per la quale la DaD ha un qualche senso che certo non riassume l’intero mondo della scuola.
Ad esempio sui miei due figli, 18 e 21 anni, la DaD ha ricadute molto diverse: la più piccola, ultimo anno di liceo classico tutto sommato sta lavorando, devo riconoscere, i suoi insegnanti si sono dimostrati molto ragionevoli, flessibili nell’adattare programmi e metodi e nel non fissarsi con i voti e le verifiche – in pratica ormai le fanno in comunella usando contemporaneamente pc e cellulare e suppongo che lo sappiano anche i prof che quindi glie le danno – immagino – per tenerli allenati.
Il grande invece, al primo anno di accademia di belle arti in pratica ha finito l’anno a fine gennaio, il secondo semestre non è mai iniziato. Certo, formalmente diversi corsi sono passati in DaD, ma ve l’immaginate un corso di incisione virtuale? da loro anche i corsi più teorici, come storia dell’arte, possono prevedere copie o elaborazioni di opere e insomma, la DaD è stata un impoverimento drastico. Probabilmente in qualche modo daranno la possibilità di sostenere gli esami, ma è una vera presa in giro.
Invece i pareri dei suoi amici universitari è positivo: soprattutto i pendolari si risparmiano di andare a Ravenna, Forlì o Cesena per assistere a una lezione frontale con altre 200 persone e vi assistono nella loro camera, più rilassati e concentrati.
Le situazioni possono essere le più diverse, non ha senso non tenerne conto
La didattica a distanza è, inevitabilmente, classista, oltre a non favorire la relazione. Ma gli aspetti inquietanti sono molteplici e vanno specificati. Si spinge in questo modo sempre più la classe dei docenti verso un concetto “meritocratico” sia in termini di valutazione, che, di auto-valutazione. Il docente 65 enne che non ha mai potuto usufruire di formazione sulle nuove tecnologie diventa obsoleto e viene marginalizzato come lo studente che non ha sufficienti giga da utilizzare o vive in 60 mq insieme ad altre 4 persone. Questi due esempi sono tipologie molto diffuse, con sfumature diverse, nell’universo scolastico. Inoltre la valutazione e la verifica, in assenza di un controllo dell’ambiente didattico ( non siamo in classe, non so se il mio alunno è stanco, depresso, annoiato ecc) sono categorie totalmente prive di significato docimologico ma prima di tutto legale. Come poco legali sono scrutini e riunioni fatte su meet, in quanto per nulla “private”.
Chapeau per il nickname, preso da uno dei miei romanzi del cuore.
Scusate davvero l’OT. Mi rendo conto che non importerà a nessuno e capirò se non riceverò alcuna risposta. Ma la curiosità è tanta e da appassionato lettore del genere volevo sapere da Wu Ming 1 che ne pensa di Hammett.
Quello che penso io è:
Chandler ha scritto il tipo di ragazzo che voleva essere, Hammett ha scritto il tipo di ragazzo che aveva paura di essere. I libri di Chandler sono incoerenti. Hammett è coerente. Chandler è tutto incentrato sui furbi, sulle similitudini, sulla costante satira, sulla costruzione del cavaliere. Hammett parla del mondo tutto maschile di mendacia e avidità. Hammett è stato tremendamente importante per me. Dopo di lui soltanto Ellroy mi ha appassionato tanto.
Mi sono trovato a riflettere sulla condizione di compiacente abbandono dei bambini. Non solo perdono tempo e luoghi propri alla loro condizione, ma pure un’occasione di educazione e responsabilizzazione al corretto modo di affrontare razionalmente un’emergenza sanitaria. Sì lascia invece spazio a un tanto subdolo, quanto spaventoso “virus-cattivo-che-c’è-là-fuori”, quasi si trattasse di un’entità biologica capace di autonome decisioni e deliberatamente malvagia.
Sono francamente preoccupato che questa pandemia possa gettare le fondamenta per dei bambini (e poi adulti) impauriti dalle malattie infettive, irrazionalmente impauriti, fobici senza una percezione aderente alla realtà, ma solo memori di narrazioni tossiche e sbagliate. O, ancor peggio, talmente impavidi, per reazione uguale e contraria alla condizione castrante in cui si sono trovati, da non riconoscere i rischi oggettivi delle malattie infettive.
Segnalo un articolo apparso su doppiozero in cui Matteo Di Gesù fa delle considerazioni su
L’università pubblica a diatanza, non molto distanti da quanto detto qui:
“Ma, a proposito di “distanza”, sempre quello che sta accadendo dal punto di vista dell’università neoliberista, mi è saltato agli occhi un dettaglio evidente, fino ad ora colpevolmente trascurato: i mezzi e i canali per colmare questa distanza sono privati (appartengono alle corporation informatiche e telefoniche) e rispondono a logiche di mercato; a ben guardare perfino questa distanza stessa, questo spazio virtuale (e materiale) è già, di fatto, privatizzato.
L’università pubblica, di conseguenza, non solo è un cliente munifico di queste multinazionali, ma, trasferendosi di fatto su piattaforme proprietarie, rischia di trasformarsi in una sorta di gigantesco agente di commercio al loro servizio, essendo un ente che dispone di una enorme platea di utenti da consegnare a chi gli strumenti per colmare questa “distanza”, molto semplicemente, li detiene e li mette in vendita”.
https://www.doppiozero.com/materiali/luniversita-pubblica-distanza
Sono convinto che come trattiamo infanzia e adolescenza sia una delle cose piu’ atroci di questo Stato di Emergenza. Ho scritto un testo per condividerlo su un gruppo facebook di insegnanti precari e vedere le reazioni. La vostra riflessione esprime meglio di me concetti necessari. Grazie
La parte che vorrei condividere riguarda cos’è l’istruzione pubblica, se crediamo che questa abbia ancora un senso, e cosa non può la didattica a distanza.
Per i ragazzi portatori di handicap è uno degli ultimi spazi in cui fanno parte di una comunità, fuori dalla scuola saranno corpi inutili e spesso soli.
La scuola vorrebbe essere un luogo in cui si danno strumenti e opportunità in modo sostanzialmente democratico. Ecco questo la DAD non puo’.
Detto questo conosco colleghi che hanno avuto idee brillanti da applicare in DAD a cui va la mia stima.
Rimane la questione aperta di come terminare un anno scolastico interrotto dall’oggi al domani.
Se mi permettete lascerei il link del mio contributo (https://demo.codimd.org/s/B175mmSu8#).
Il fine è volutamente provocatorio e fingo una fede di Stato che in realtà non posseggo. Se mi avessero proposto a me da studente di restare a scuola un anno di piu’ avrei fatto barricate.
“«Il prof di matematica ha deciso di filmarli durante le interrogazioni, in maniera tale che si capisca da che parte guardano mentre parlano.» [Estratto da una chat tra insegnanti]”
Al Politecnico di *** stanno sviluppando un software di riconoscimento facciale in grado di controllare i movimenti degli occhi degli studenti durante gli esami universitari on-line, e di garantire così che gli studenti non copino. In varie università si sta dibattendo se e come utilizzare questo software.
Stiamo entrando rapidamente del mondo di Blade Runner. Bisogna controllare gli occhi degli studenti per scoprire se sono umani oppure “lavori in pelle”.
So che parlare di vaccinazione qui pare sia tabu’ ma sara’ sempre piu’ un argomento che non si puo’ ignorare. L’intreccio tra vaccini e biometrica sara’ THE topic du jour. Altroche’ Blade Runner.
https://www.biometricupdate.com/201909/id2020-and-partners-launch-program-to-provide-digital-id-with-vaccines
Tornando all’argomento la maestra di mio figlio 9enne dice che lui affetto da ADHD e’ esonerato a frequentare le videolezioni cosi e’ sempre piu’ emarginato e penalizzato. Ho insistito che vi partecipasse ma effettivamente non riesce a seguirle e rimane sempre piu’ indietro rispetto agli altri.
I link di alternative a google ecc per le videolezioni ho mandato alle maestre ma dicono che la scuola impone l’utilizzo di google.
Due considerazioni:
Non penso proprio che esista un argomento tabù su giap. Penso piuttosto che tu abbia rotto il cazzo con sta teoria del supercomplotto e dei vaccini come male assoluto. È sotto più di qualche articolo che commenti sempre allo stesso modo, qualsiasi sia il tema dell’articolo. Ti hanno già risposto più volte e forse io sarò quello più stronzo di tutti, ma se ancora non l’avessi capito, i tuoi discorsi qui non attaccano.
L’appartenenza a classi sociali diverse ha risvolti sempre più evidenti. Non mi va giù la questione che siano piattaforme private ad aver monopolizzato l’emergenza. Non incolpo certo gli insegnanti o gli alunni che digitalmente non sono in grado di stare dietro a certi aspetti, ma l’utilizzo di piattaforme open-source e libere dal profitto, non dipende dal singolo utilizzatore finale, ma da scelte politiche. Se tanto c’è da apprendere l’utilizzo di strumenti nuovi, preferisco che la scuola e gli studenti si cimentino in strumenti che non scaveranno nei loro dati personali per ricavarne profitto. Sento sempre di più che stiamo perdendo molte delle libertà individuali che avevamo, sento le cinghie del controllo che si stringono: applicazioni per valutare gli spostamenti, videosorveglianza, droni, riconoscimento facciale. Dietro c’è la stessa logica, quella capitalista del vivi per consumare. Abitudini, contatti, luoghi e spostamenti di migliaia di studenti alla mercé di multinazionali. Tutto con la giustificazione dello stato di emergenza, uno stato di emergenza che non finisce mai e cha lascia i suoi strascichi per sempre.
Credo che di violenza, fisica e verbale, di questi tempi se ne stia vedendo pure troppa. Non è piacevole leggere questa bellissima riflessione sulla didattica a distanza ed a corollario gli interessanti e profondi commenti di molti docenti e genitori e poi incappare in un commento con questi toni. Tra l’altro non spetta a nessuno di noi richiamare l’attenzione sulla necessità di stare on topic o di non insistere oltremodo su certi argomenti non essendo i “ padroni di casa”. Mojo ha espresso un suo pensiero, condivisibile o meno, ripetuto o meno, ma si può replicare con una obiezione o semplicemente, se non interessa, non replicare.
Gagarin, anche noi abbiamo ribadito a Mojo che su Giap complottismo e novax brisa, zero, però c’è modo e modo, questi non sono toni utili, così si fanno partire flame e gli OT si allungano invece di accorciarsi.
Hammett e Chandler secondo me appartengono a due categorie letterarie completamente diverse. Il primo è uno scrittore di gialli/noir, il secondo fa alta letteratura. L’intelaiatura narrativa di Chandler, il mondo un cui Marlowe si comporta e agisce non hanno niente a che fare con i metodi alla “Poirot” . Lo stesso Hammett è un validissimo giallista mentre Chandler è solo un romanziere. ” Sono un tipaccio importante, Marlowe. Guadagno denaro a palate. Devo guadagnare molti quattrini per ungere gli individui che vanno unti se si vogliono fare soldi per ungerli ” Una tautologia che spiega il capitalismo
Salve, sono un insegnante anch’io, anch’io coinvolto in questa pericolosa accelerazione verso una scuola “smart”, verso il definitivo compimento di una “rivoluzione dall’alto” all’insegna di slogan e nominalismi fritti.
Gli insegnanti sono sottoposti da anni a un mostruoso lavaggio del cervello, che in questi mesi di arresti domiciliari sta diventando una vera e propria “sanificazione”.
Quello che più mi pesa, è vedere come il nostro senso civico e spirito di servizio finiscono per essere le funi con le quali ci portiamo un bel Cavallo dentro le mura di Troia.
In occasione di un “collegio docenti” virtuale ho scritto un documento che, nel suo piccolo, mi pare in sintonia con quanto dite qui.
Per chi lo volesse leggere, ecco il link:
https://marcoindrigo.wordpress.com/2020/04/13/didattica-rivoluzione/
Gagarin, scusa se mi permetto, il tuo commento nei confronti di Mojo è di una violenza sproporzionata. Potevi dirle quello che le hai detto senza trascendere in maniera volgare. Se aumentiamo in questo modo i toni, il confronto prende una piega incivile. Inoltre non consideri che ognuno di noi, a causa di questa situazione difficilissima, ha dei motivi personali e concreti di esasperazione. Mojo non ha comunque utilizzato un tono offensivo. Dopo sei passato, come se niente fosse, ad una comparazione fra Chandler ed Hammett… credo che una opinione differente dalla tua e dalla mia arricchisca il confronto. Se rimaniamo in quattro a pensarla nella stessa maniera, non ci guadagna niente nessuno.
Quello che impressiona (fra le tante cose) è che questa cosa della DAD venga fatta passare come smart (come dice marco indrigo). Non sei in grado di districarti fra app, tablet, meet, classroom e SW vari? Sei inadeguato. I tuoi figli non apprendono a sufficienza sulle “piattaforme”? Questo perché sei tu che non riesci a spiegarlo, dunque sei inadeguato, non sei al passo con i tempi. E se non sei al passo con i tempi è giusto che tu e i tuoi figli rimaniate indietro, perché questa è la società della competizione, è il capitalismo baby. Ed è stato sottolineato più volte, anche in altre discussioni del forum, che questa competizione (necessariamente senza esclusione di colpi) venga sempre più disinvoltamente contrabbandata sotto l’etichetta di meritocrazia. Quando, al termine di tutta questa vicenda, ci ritroveremo necessariamente con bimbi/ragazzi che avranno raggiunto livelli molto diversi tra loro di profitto, con differenze molto più ampie di quelle che ci sarebbero state con la scuola “normale”, ci verrà detto che è il risultato non della disparità di mezzi e di condizioni, ma della forza di volontà, della capacità di adattamento, della flessibilità, in una parola, del merito.
Il dramma è che si replica, qui, quello che già accade da diversi anni, non solo nella scuola, ovviamente, ma nella società in generale: la selezione naturale come pratica ovvia. La differenza è la velocità con cui accade. E molti interventi hanno già evidenziato come questa accelerazione rischi di portarci oltre il punto di non ritorno.
Hammett e Chandler secondo me appartengono a due categorie letterarie completamente diverse. Il primo è uno scrittore di gialli/noir, il secondo fa alta letteratura. L’intelaiatura narrativa di Chandler, il mondo un cui Marlowe si comporta e agisce non hanno niente a che fare con i metodi alla “Poirot” . Lo stesso Hammett è un validissimo giallista mentre Chandler è solo un romanziere. ” Sono un tipaccio importante, Marlowe. Guadagno denaro a palate. Devo guadagnare molti quattrini per ungere gli individui che vanno unti se si vogliono fare soldi per ungerli ” Una tautologia che spiega il capitalismo
Chiudiamola qui però, come OT è plateale :-)
Scrivo per segnalare, poiché il pingback mi è stato confermato che non funziona, un mio post che parla principalmente della app Immuni e che però si occupa anche della DAD: https://sweepsy.wordpress.com/2020/04/20/immuni-ma-non-alla-sorveglianza/
Ne approfitto per ringraziare tutt*, i Wu Ming in particolare e la grande comunità dei giapsters per rendere questo blog speciale e necessario. (Nelle prime fasi di questa emergenza nell’emergenza sono rimasta colpita dal numero di ringraziamenti rivolti a questo blog, ma più passa il tempo più ne comprendo i motivi profondi).
ciao.
L’articolo è prezioso. dall’inizio di tutta questa vicenda covid il collasso della scuola come di altri apparati o enti o boh dello Stato è stato per tutti uno degli elementi di shock. almeno credo nel senso che mai come la vicenda scuola mostra la totale indifferenza dello Stato verso i cittadini e tutto il suo inseguire invece una propaganda tossica volta a creare solo indeterminatezza, paura, impotenza.
Una delle cose che più mi preoccupa riguardo ai miei figli, ma ovviamente in generale, è il destino vero e propria della socialità se questa situazione diventerà o sarà la normalità per persone piccole (i bambini) che non hanno vissuto un prima del covid, cioè insomma che non hanno mai vissuto gli spazi della città o della campagna liberamente. ovviamente spero che qesta situazione non andrà avanti anni, o mesi, ma sentire parlare di controllo dei rapporti cociali, di mappatura digitale di spostamenti etc.. vedere osannato il modello cinese, che, voglio dire, rimane un modello da dittatura senza se e senza ma, mi spaventa proprio perché il punto è indottrinare le persone e i più piccoli sono per molti versi i più fragili. Sono convinto che una ribellione biologica all’assenza di socialità sia un fattore certo. l’umanità e l’uomo sono animali sociali, e credo che il tentativo di cancellare qesta cosa sia destinato a fallire biologicamente, se capite cosa intendo. però la violenza è sempre tanta e non fa bene. I danni, il senso di solitudine, il sentire la mancanza di qualcosa come il tempo assieme ci rendono molto più soli e fragili. Boh… oscillo tra la disobbedienza totale e la consapevolezza che effettivamente questa malattia esiste e non è facile trovare strategie per avere un minimo di sicurezza. grazie. vi leggo dai tempi di Q. un saluto. Nicola
E’ rivoltante (dovrebbe spingere alla rivolta) il fatto che la DaD sia diventata obbligatoria: il sistema si appropria di forme avanzate e creative di autorganizzazione, il capitale ne trae profitto.
La scuola parcheggio, mantiene la sua funzione di in/trattenimento.
Rivolte studentesche nessuna, solo renitenze individuali. Convergenti gli alunni, soddisfatti di insegnare agli insegnanti le delizie dello smartphone. Pura nemesi dei cellulari: sequestrati sono i professori.
Fine delle interrogazioni e dei penosi colloqui. Gli studenti protestano quiz di Kahoot! : velocità, punteggio, classifica e sacrosanta attitudine a prendere sportivamente i risultati. Per i contenuti indifferenza totale, effetto Rovazzi. Conta la valutazione, comune, incrollabile, consolante certezza del voto: il vero insegnamento, i soldi di una slot.
Per le maturità i quiz come quelli della patente e dei concorsi: solo per un pubblico adulto.
Sarà un algoritmo a governare quanti e quali studenti contattare, a che ora e per quanti minuti, sincronizzando i dispositivi con l’app, per consegnare la lezione pacco. I docenti come bravi corrieri di Amazon.
La transizione prevede una figura con residuale potere discrezionale: l’insegnante – buyer.
Presto impareranno a scegliere quale lezione e quale verifica, da un menù disponibile in rete, sugli scaffali di Enti formativi, Case editrici o associazioni, collettivi più o meno generosi e bene intenzionati. Molto meglio, più affidabili e preferiti dall’Istituzione saranno comunque i prodotti di un’industria anche mediocre, piuttosto che quelli di un incerto artigianato. Poi proibiti come le merende: solo pacchetti sterilizzati.
Imparare a fare la spesa richiede “integrazione delle competenze”, tempo per svilupparle e training diversi.
Tale configurazione del ruolo sarà riservata al rango elevato, per i licei, più o meno largamente intesi. Per gradi inferiori sarà tempo di agili professionalità, regionalizzate e sottopagate, come gli educatori delle cooperative: condizionate al servizio dell’utente, alla soddisfazione del consumatore, al gradimento delle famiglie. Smart!
Vorrei unirmi a coloro che qui hanno il dolore nell’unghia: faccio docenza in una media del sud e tra momenti sincopati d’incazzature varie e poco oblio ho buttato giù qualcosa settimane fa che, a mio avviso, fa il paio (sin dal titolo) con il “mood” pestilenziale che oramai attanaglia i molti lavoratori della scuola. Soltanto uno stralcio: ” […] Nella sua illusione ottica di prossimità, la distanza (distanziamento) dei corpi nella coppia docenti-alunni, apre una prateria ai medium, la cui gratuità, ove mai fosse illimitata, è garanzia di prelievo biopolitico degli affetti, ecc. Poco importa qui ricordare quali siano le società di servizi, i colossi informatici; la mission è vendere, scambiare dati, per meglio affinare la profilazione della platea di futuri consumatori/governati. Dentro la cornice epidemica, l’istruzione scolastica, nella forma della cura formativa a distanza, diviene produzione deterritorializzata di pre-(i)scrizioni (accountability to learn) di linguaggio (matematico-scientifico, scritto-orale, artistico, motorio), messi a valore dalle piattaforme, che ne costituiscono la condizione di possibilità. «La macchina si adatta alla debolezza dell’uomo, per fare dell’uomo debole una macchina» (Marx, Grundrisse). L’epidemia ha unicamente creato le condizioni favorevoli (dentro una tendenza governamentale europea ventennale), perché si potesse catturare la dismisura (leggi eccedenza) della vita (lavoro vivo nella triade docenti-alunni-genitori), distendendola sull’intera produzione e riproduzione sociale privatizzata (lavoro morto del capitale). La pratica del cosiddetto lavoro agile (o smart working) disciplinato dal DPCM dell’11 marzo 2020, ne rappresenta il quadro normativo.”
Qui il pezzo intero: https://operavivamagazine.org/una-pentola-a-pressione/
P.S. Concordo appieno con le aperture critiche messe in luce da Girolamo.
È stato seminato il terrore con una martellante campagna tesa a fare rispettare le rigidissime misure anti contagio. E l’obiettivo è stato raggiunto. Venuto però improcrastinabile porsi il problema della riapertura delle scuole il problema diventa insormontabile, nell’immediato. Si prende tempo, sopravvalutando gli esiti di una didattica a distanza, e recitando il nuovo mantra: le scuole apriranno in sicurezza. Nondimeno si sostiene che il virus continuerà a circolare a lungo, ancora in assenza di cure e/o vaccini da utilizzare nell’immediato su larga scala. Vi è una evidente contraddizione. La signora ministra non è il Padreterno e la sicurezza promessa non potrà garantirla. Immagino i bambini che dovranno decodificare le espressioni di volti mascherati, una ricostruzione della gestalt facciale in cui una parte è stata oscurata, una nuova prossemica in cui tanta parte di linguaggio viene cancellata o sostituita. E immagino il delirio quando a un qualsiasi bambino della classe verrà da tossire o avrà la febbre…
Ci siamo, è ufficiale (ufficioso).
Il ministro Azzolina ha dichiarato in Parlamento che a settembre si riprenderà con una modalità mista lezioni frontali in presenza, lezioni online. Ossia, in questi 4 mesi di tempo non si farà assolutamente nulla di quello che si potrebbe fare per rendere la scuola meno classista: non si procederà ad assumere le decine di migliaia di insegnanti precari, non si procederà a svolgere i vari concorsoni perennemente in cantiere, non si procederà a pescare dalle graduatorie, non si procederà ad assumere il personale ATA, non si procederà ad adeguare l’edilizia scolastica. Insomma, non si farà nulla per consentire il distanziamento degli alunni/studenti assicurando loro le lezioni in presenza. Meglio spendere i soldi nell’aggiornare le piattaforme e nell’acquistare salvifici tablet che forse non verranno mai distribuiti.
E quei tre giorni a settimana nei quali gli studenti rimarranno a casa? Nessun problema, congedi parentali, sussidi per baby sitter, e contributi covid sono già pronti. Pare che la protezione civile procederà anche alla distribuzione di nonni, a breve il form per fare richiesta sul sito dell’inps. E vi prego di perdonare lo sconcio sarcasmo.
Alla luce di questo, e delle politiche annunciate da Cuomo (si veda il bell’articolo della Klein https://theintercept.com/2020/05/08/andrew-cuomo-eric-schmidt-coronavirus-tech-shock-doctrine/) credo che la lotta alla DAD sia una di quelle cruciali dei prossimi mesi. Grazie anche alle riflessioni qui su Giap io sto chiedendo ai miei studenti di non registrare le mie lezioni – il progetto di sostituire i docenti precari all’università con corsi su video è così chiaro da essere sfacciato. Inoltre oggi è scoppiata la rivolta Anti-DAD dei genitori di classe di mia figlia, che non sono certo un nucleo di combattenti per il comunismo. Riflettiamo e organizziamoci.
Io ho amiche molto più giovani di me che sono alle prese con la didattica a distanza in università e sono molto sconfortate, sia per la qualità dell’insegnamento che per l’ oggettivo impoverimento del rapporto umano.Pur essendo persone allenate ad alti livelli di concentrazione,trovano faticoso,inutile e noioso seguire le lezioni così. Molti studenti non pagheranno un affitto in un’ altra città per seguire da casa la didattica a distanza. Per chi, come me, ha frequentato il Dams, l’ idea di che la dimensione teatrale non si possa realizzare sul piano della rappresentazione è del tutto inconcepibile.
Anche se l’articolo è un po’ datato in questi tempi di grande produzione di riflessioni qui su Giap, posto qui per restare on topic questa petizione che mi pare importante, un sassolino lanciato nello stagno della dad e della sua probabile estensione, seppur in forma mista, al nuovo anno scolastico, almeno per quel che riguarda l’istruzione superiore. Un’eventualità che andrebbe scongiurata e contro la quale i sindacati dovrebbero impegnarsi in una battaglia campale. Ma non si vede nulla del genere all’orizzonte, almeno per il momento…
https://www.change.org/p/segreteria-azzolina-istruzione-it-iotornoascuola
Questo post è stato tradotto in portoghese dal collettivo brasiliano Voz Rouca BH:
E daí, EAD? Apontamentos para não se dar mal na escola durante e após a emergência do Coronavírus