di Monica Quirico e Roberto Salerno *
Il primo caso accertato di coronavirus in Svezia risale al 31 gennaio. A febbraio il contagio è ancora limitato, e “importato” dalle località sciistiche di Italia, Svizzera e Austria; a marzo il numero dei casi aumenta. Dall’inizio, è l’Agenzia per la sanità pubblica (Folkhälsomyndigheten) ad assumere la gestione della pandemia, come è normale in un paese in cui anche in situazioni di crisi sono gli enti competenti sui vari settori sociali – come il Welfare, l’immigrazione o la sanità – ad avere l’ultima parola, non il governo.
Gli epidemiologi dell’Agenzia per la sanità pubblica esplicitano dall’inizio le linee guida che orienteranno il loro approccio. Innanzitutto, chiariscono come un’epidemia – e a maggior ragione una pandemia – non sia un problema esclusivamente sanitario: la società non è un ospedale, e per affrontare una tale crisi occorre mettere in campo un ampio spettro di competenze: mediche ovviamente, ma anche economiche, sociali, psicologiche, organizzative.
Proprio per questo sottolineano come non possa esistere una strategia universale di argine al contagio, perché ogni paese deve trovare la soluzione più in sintonia con il suo contesto demografico, sociale e culturale, oltre che sanitario. Infine, indicano come obiettivo della linea svedese non il contrasto ferreo del virus, bensì il suo contenimento.
Su quest’ultimo punto ci sono state molte polemiche, perché in un primo tempo anche gli epidemiologi svedesi hanno usato l’espressione «immunità di gregge», precipitosamente ritirata dal dibattito dopo l’infelice uscita di Boris Johnson, che l’ha presentata come il sacrificio deliberato di migliaia di persone. L’idea dell’Agenzia per la sanità pubblica svedese è che il lockdown, oltre a implicare costi sociali ed economici altissimi, non protegge dal rischio di ondate di ritorno del contagio. La scelta degli svedesi è quindi quella di “controllare” la diffusione del virus, lasciandolo circolare – con molte precauzioni – nella società, in modo da non oltrepassare la capacità ospedaliera e arrivare gradualmente ad avere una maggioranza di immuni.
In tale prospettiva, è prioritario proteggere i gruppi a rischio (come gli anziani, soprattutto quelli con patologie pregresse), testando solo le persone con sintomi acuti e introducendo alcune restrizioni, ma soprattutto affidandosi a una serie di raccomandazioni; contando cioè, più che sui divieti, sulla persuasione.
Il contesto di cui parlano gli epidemiologi svedesi è quello di una società con:
■ un relativo distanziamento sociale “spontaneo”, indotto cioè dalla scarsa densità di popolazione (gli svedesi sono 10 milioni, su un territorio che è una volta e mezzo quello italiano) e dal clima;
■ uno stile di vita e una composizione dei nuclei famigliari diversi dai nostri;
■ un’alta fiducia sia verso le istituzioni sia verso gli altri genericamente intesi (un dato, questo, che salta subito agli occhi del visitatore straniero), nonostante l’ascesa del partito populista di destra, criptonazista, i Democratici di Svezia, che qualche problema segnalerà pure, nella democrazia svedese.
È in questa luce che vanno letti i provvedimenti adottati.
Come si affronta il coronavirus in Svezia
Il governo – di minoranza, composto di socialdemocratici e verdi – ha proibito gli assembramenti con più di 50 persone (fino al 29 marzo il tetto era 500); ha proibito le visite alle case di riposo (fino al 30 marzo il divieto era a discrezione dei comuni); non ha chiuso le frontiere (se non ai voli provenienti da paesi non europei, accogliendo un’indicazione dell’UE), né le attività produttive e commerciali o le scuole; tuttavia dal 10 aprile i locali che non mantengono la distanza di sicurezza tra i clienti saranno prima multati, poi chiusi, se perseverano, e gli istituti di istruzione secondaria superiore, i corsi per adulti e gli atenei sono stati invitati a partire dal 19 marzo ad adottare la didattica a distanza. È stato altresì incoraggiato il telelavoro ovunque possibile, e per tutti valgono le raccomandazioni di seguire le elementari norme igieniche, di distanziamento sociale e di prudenza: stare a casa se si hanno anche solo sintomi lievi o dubbi, non spostarsi se proprio non è necessario, ecc.
È vero, questi provvedimenti sono meno restrittivi di quelli presi negli altri paesi nordici. Norvegia, Danimarca e Finlandia hanno chiuso frontiere, scuole e negozi e posto limiti più severi agli assembramenti. La Finlandia ha inoltre messo in quarantena la provincia di Helsinki. Va forse sottolineato come queste misure siano, per le abitudini di quelle lande, decisamente draconiane. Per isolare Helsinki, si è dovuto dichiarare lo stato d’eccezione: non succedeva dalla guerra contro i sovietici tra il 1939 e il 1940.
Si noti però che nessuno di questi paesi ha chiuso le fabbriche – i luoghi in cui si presume ci sia più assembramento – né ha sospeso la libertà di movimento. Danimarca e Norvegia sono addirittura sul punto di cominciare la fase 2.
Vale la pena spendere due parole sulla comunicazione tra istituzioni e cittadini in Svezia, al tempo del coronavirus.
Ogni giorno – tranne che nel fine settimana – si tiene una conferenza stampa per aggiornare sull’andamento del contagio; l’Agenzia per la sanità pubblica è la prima a parlare, seguita dall’Ente per le politiche socio-sanitarie e dall’autorità equivalente alla nostra Protezione civile. Gli epidemiologi guardano innanzitutto al mondo, fornendo i dati della diffusione globale del virus; illustrano poi la situazione europea e infine quella svedese: numero di contagiati, ricoveri in terapia intensiva e, infine, decessi.
Nel discorso pubblico svedese sul coronavirus è del tutto assente la retorica bellicista che imperversa in quello europeo e statunitense: «in guerra contro il virus», «in trincea» ecc. Del resto, la Svezia è un paese neutrale, alieno da guerre da due secoli: qualcosa vorrà dire. Per giunta, media e istituzioni si sforzano di condividere gli «spiragli di luce», ossia le notizie incoraggianti che, negli ultimi giorni, sono venute innanzitutto da Italia e Spagna. In breve, non si punta a terrorizzare la gente in tutti i modi.
Veniamo ai dati. Al 14 aprile i casi accertati sono 11.445 (su un totale di 54.700 tamponi), ma l’Agenzia per la sanità pubblica stima che la quota della popolazione contagiata oscilli tra il 5 e il 10%. I pazienti ricoverati in terapia intensiva sono 915 e i decessi 1033; numeri in costante ascesa in termini assoluti, ma la curva, secondo i calcoli dell’Agenzia, tende ad appiattirsi.
Puntare sull’immunità diffusa senza certezza di un vaccino a breve e facendo leva sul senso di responsabilità dei cittadini è indubbiamente una scommessa rischiosa; si può sospettare che dietro si celi, più che incompetenza, una buona dose di presunzione (di essere i primi della classe) o di cinismo (non fermare l’economia: punto su cui concordano gli imprenditori e l’ultra-istituzionalizzato sindacato), e che il consenso trasversale di cui gode la linea “morbida” prepari in realtà un tiro al piccione: se le misure indicate dall’Agenzia per la sanità pubblica non dovessero funzionare, a pagare sarebbero i socialdemocratici, i quali a loro volta potrebbero scaricare la responsabilità sugli esperti.
Queste tuttavia sono, al momento, illazioni: è presto per fare bilanci, e tanto meno classifiche tra paesi.
Allora perché ci viene quotidianamente rovesciata addosso una valanga di notizie distorte, quando non clamorosamente false, sulla Svezia?
La Svezia dal buco della serratura del lockdown italiano
È il 19 marzo, con l’Italia già in clausura, che l’Ansa trasmette il primo grido di allarme: gli italiani sono preoccupati da quanto accade in Svezia. Una serie di interviste a italiani residenti in Svezia denuncia la spregiudicatezza delle istituzioni svedesi, sottolineando la differenza con l’Italia che «ha avuto coraggio e ha fatto prevalere le ragioni della salute rispetto a quelle economiche».
Nel richiamare le posizioni italiane c’è l’eco di un articolo di Roberto Buffagni molto condiviso nei social, «Epidemia coronavirus, due approcci strategici a confronto», in cui con poco amore per la complessità si sosteneva che da una parte c’era chi voleva salvare vite e dall’altra chi credeva in una logica spietatamente darwinista. Inutile dire da quale parte stava l’Italia. Anche se l’articolo si chiudeva con un poco comprensibile right or wrong is my country, non c’erano dubbi sul fatto che per Buffagni l’Italia fosse nel right.
Una settimana dopo le interviste dell’Ansa il colonnello Repubblica lancia l’offensiva, facendone subito una questione di anticonformismo scanzonato: la Svezia va controcorrente. Andrea Tarquini, la punta di diamante dell’attacco lancia in resta alla Svezia, tanto per essere chiari inizia con «Unico Paese europeo industrializzato importante, la Svezia va controcorrente sull’emergenza coronavirus».
Abbiamo provato a spiegare che le cose non stanno esattamente così, perché se è vero che le differenze con Norvegia e Finlandia ci sono, è arduo sostenere che configurino modelli differenti, considerato che le fabbriche sono aperte e che non sussistono divieti che impediscano l’attività fisica. Ovviamente il modo di procedere svedese «a molti nel mondo appare pericoloso e irresponsabile», e questi «molti» sarebbero quelli del Financial Times, che hanno parlato di «esperimento sanitario unico al mondo». Il pensoso Tarquini, spossato, chiude l’articolo amareggiato e incredulo che un governo socialdemocratico faccia come Boris Johnson e Donald Trump.
Il giorno dopo, sull’edizione cartacea, Tarquini può dilungarsi, evocando subito Finlandia e Norvegia, che avrebbero fatto diversamente, rimarcando quindi l’unicità dell’esperienza svedese resa possibile, suggerisce tra le righe, da un premier debole e da un potente epidemiologo di stato. Un racconto d’appendice in cui il popolo incastrato è rappresentato da un «gruppo di epidemiologi» che ha lanciato un appello per misure drastiche.
Il 2 aprile tocca al Corriere della sera chiedersi perché mai la Svezia continui a lasciare «tutto aperto», e i due giorni successivi Repubblica e Ansa continuano a rammaricarsi per tanta irresponsabilità mista a incapacità.
Il 5 aprile finalmente la redenzione. Curiosamente è il Corriere della Sera a stufarsi: la Svezia cambia rotta, basta col «tutto aperto»! Il premier si farà dare pieni poteri e poi vedrete, ah se vedrete. Del resto, ci informa l’Ansa, in Svezia il contagio «cresce più rapidamente che altrove», sicuramente colpa della «linea morbida».
Il 7 aprile ci siamo: la Svezia è «pronta per il lockdown», annuncia il Corriere, del resto il premier ha chiesto pieni poteri apposta. Inutile stare a sottolineare il piccolo particolare che il Riksdag – il parlamento svedese – non ci pensa neanche ad elargirli, e figurarsi quanto possa contare il fatto che questi poteri erano chiesti solo per intervenire in modo più rapido.
Ad ogni modo tutto si placa fino alla vigilia di pasqua. Il premier svedese concede un’intervista alla televisione SVT, non ha ancora finito di parlare che l’Ansa titola: «Premier Svezia, non fatto abbastanza». Cosa non si è fatto abbastanza? Ma ovvio, dice il lettore: non hanno chiuso nulla! E l’articolo lo rasserena, perché il virgolettato «mi sembra ovvio che non abbiamo fatto abbastanza» è subito dopo l’attacco del pezzo, che suona così: «Per la prima volta dall’inizio della pandemia di coronavirus il premier svedese ha ammesso di non aver fatto abbastanza. La Svezia ancora è uno dei Paesi con meno restrizioni, non c’è lockdown, bar e ristoranti sono aperti così come la maggior parte delle attività.»
Una confessione, insomma. Che non sfugge al nostro Tarquini, il quale festeggia la pasqua con un bel «mea culpa del premier svedese […] CLAMOROSA [maiuscolo non nostro, N.d.R] e vergognosamente tardiva autocritica del premier svedese, il socialdemocratico Stefan Löfven». Preso dall’entusiasmo, Tarquini si spinge fino a rivelare che le autorità sanitarie avrebbero annunciato che gli ultrasettantenni non saranno più automaticamente curati [1].
Quel che è successo veramente è che Stefan Löfven nell’intervista alla televisione svedese ha affrontato il tema della gestione delle emergenze – incluso il coronavirus – dal punto di vista delle risorse tecniche, sanitarie e organizzative, provando a condividere le colpe del suo smantellamento con i governi precedenti e più in generale con le altre istituzioni del paese. È su questo, e sulla prevenzione del contagio tra gli anziani, che il governo «non ha fatto abbastanza», non sulla sospensione della democrazia.
Può darsi che a breve la Svezia cambi strategia, tuttavia – a meno di non attribuire doti profetiche ai giornalisti italiani – quel che ci è stato raccontato fino a qui è stato, nella migliore delle ipotesi, decontestualizzato, e spesso semplicemente falsificato, facendo di un brandello di notizia – il titolo sensazionalistico di un’agenzia stampa, rigorosamente non svedese – uno scoop.
Perché solo la Svezia è additata come «eretica»?
I conti, per quanto macabri, si faranno alla fine, com’è naturale che sia. Ma non può sfuggire che mentre il governo italiano cambiava idea in continuazione, producendo una mole imponente di decreti, direttive e ordinanze, il sistema svedese ha identificato rapidamente una sorta di road map, in grado di prevedere restringimenti ulteriori via via che, eventualmente, le cose fossero peggiorate.
Che la nostra stampa mainstream abbia obiettivi diversi da quelli di fornire anche solo una parvenza di informazione corretta non vale più neanche la pena di sottolinearlo. Già prima dell’esplosione della pandemia la situazione era drammatica, con Stampa, Corriere della Sera e Repubblica che su tutte le tematiche sociali ed economiche hanno sempre assunto posizioni decisamente reazionarie appoggiandole con vere e proprie menzogne. Il fatto che tra i collaboratori di questi giornali ci siano anche persone che provano a mantenere un briciolo di deontologia non sposta di una virgola il problema, anzi, verrebbe da dire che lo peggiora, considerato che ci si serve di loro per legittimarsi. Basta osservare le posizioni assunte e il modo di riportare le notizie su tutte le questioni più rilevanti degli ultimi anni, dal TAV al problema immigrazione, dall’ordine pubblico alla recrudescenza del fascismo e l’elenco potrebbe continuare a lungo.
Ma appunto, non si deve fare l’errore di ritenere che sia stata la sciatteria dei singoli a far precipitare il quarto potere in un baratro che pare senza fondo. I giornali mainstream sono centri di potere che giocano la loro partita appoggiando pezzi di classe dirigente e, come si è detto varie volte, l’accento su chi violava le assurde e contraddittorie regole emanate di volta in volta dal governo ha avuto lo scopo ben preciso di distogliere l’attenzione dai problemi reali che hanno permesso all’epidemia di scatenarsi praticamente indisturbata.
Chiamare i medici «eroi», invece di interrogarsi seriamente sullo smantellamento del Sistema Sanitario Nazionale; il contagio nelle case di riposo “scoperto” solo quando i morti si contavano ormai a decine; lo spazio dato agli scienziati “in linea” e il confinamento di quelli che avanzavano obiezioni almeno altrettanto rigorose; la presentazione di modelli probabilistici come se fossero scienza dura, verità incontrovertibili; e soprattutto e sopra tutti, il silenzio continuo sul fatto che nelle zone martoriate dal virus gli industriali hanno fatto e fanno i loro porci comodi.
Il trattamento riservato alla Svezia rappresenta un tassello di questo disegno, serve ad assopire i dubbi, a ripetere assordantemente che «un’altra strada non c’è» e che se qualcuno si discosta dalla nostra è un irresponsabile, uno che comunque tornerà presto sui propri passi, pagando cara la deviazione dalla via maestra. Se c’è un canone ci deve essere l’eretico, ma non possono essere troppi ,perché il canone potrebbe traballare. Ecco perché la Norvegia e Finlandia si trasformano in Italie in sedicesimo, lodate per il loro rigore nonostante siano ben lontane dal modello italiano, e in parte in linea con quello svedese. Sono stati i dati di Norvegia e Finlandia – molto migliori di quelli italiani – a dirottare la scelta dell’esempio dalle parti di Stoccolma. Persino il Manifesto è caduto nella trappola della Danimarca (e Norvegia) rigorosa contrapposta alla Svezia permissiva. Questo mostra la pervasività di strategie comunicative che sono grottesche ma evidentemente sin troppo efficaci.
1. [Nota di Wu Ming:] Tarquini riferisce della selezione dei pazienti citando come fonte il Karolinska Institutet di Solna: «i sessantenni-settantenni malati e pregiudicati da altre malattie, secondo il Karolinska Institutet (massima autorità scientifica nazionale) non dovranno piú essere automaticamente curati per evitare un collasso totale delle strutture sanitarie.»
La nostra impressione è che Tarquini si rifaccia piuttosto a una fonte secondaria, cioè la pagina Facebook dell’insigne epidemiologo (e star dei social network) Pierluigi Lopalco. È stato Lopalco, il 9 aprile, a commentare un documento interno del Karolinska Institutet dandone l’interpretazione poi circolata ovunque. Lopalco ha lavorato in Svezia e conosce la lingua, ma in questo caso ha preso una “topica”.
Dal documento del KI, infatti, risulta che i criteri di etica clinica per l’accesso alle cure intensive adottati in Svezia sono gli stessi che abbiamo qui in Italia, che non sono basati soltanto sull’età anagrafica. Citiamo da un documento della SIAARTI (Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e terapia intensiva):
«Può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in [terapia intensiva]. Non si tratta di compiere scelte meramente di valore, ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone. In uno scenario di saturazione totale delle risorse intensive, decidere di mantenere un criterio [“curare prima chi arriva prima”] equivarrebbe comunque a scegliere di non curare gli eventuali pazienti successivi che rimarrebbero esclusi dalla Terapia Intensiva […] La presenza di comorbidità e lo status funzionale devono essere attentamente valutati, in aggiunta all’età anagrafica. È ipotizzabile che un decorso relativamente breve in persone sane diventi potenzialmente più lungo e quindi più [dispendioso di risorse] nel caso di pazienti anziani, fragili o con comorbidità severa.»
Molto strano che uno come Lopalco ignorasse tali criteri. Se li trova sbagliati a Stoccolma, allora dica che sono sbagliati anche a Milano o Bologna. Viceversa, se gli vanno bene qui, dovrebbero andargli bene anche là. Ma forse ha solo letto in fretta il documento del KI, concludendo che ormai, in Svezia, basti avere tot anni per esser condannati a morire di covid-19.
Una certa qual fretta da social Lopalco l’ha già dimostrata in altre occasioni. Ricordiamo quando, nella foga di perculare Boris Johnson ammalato di Covid-19, scrisse su Twitter «il virus ci vede benissimo», mentre ovunque si infettavano e morivano lavoratori, soggetti deboli, poveri ecc. Forse da lo palco gli converrebbe scendere per un po’, ché il suo mestiere è un altro e i riflettori bene non gli fanno. [WM]
Aggiornamento 15/04/2020: una diramazione del dibattito qui in calce è espressamente dedicata al contenuto di questa nota e alle differenze tra Svezia e Italia nell’accesso alla terapia intensiva durante l’emergenza coronavirus.
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* Monica Quirico, storica, è honorary research fellow presso l’Istituto di storia contemporanea della Södertörn University di Stoccolma. La sua ricerca verte sulla storia e la politica svedese, spesso in prospettiva comparata con l’Italia. Tra le sue pubblicazioni più recenti, Socialismo di frontiera. Autorganizzazione e anticapitalismo (Torino, Rosenberg & Sellier, 2018), scritto con Gianfranco Ragona.
Roberto Salerno è dottore di ricerca in Scienze Politiche e relazioni internazionali. Si è occupato di analisi dei processi decisionali e collabora con Palermograd e con la rivista di storia delle idee inTrasformazione.
Alla luce di questo reportage, non mi pare che in Svezia abbiano fatto niente di troppo diverso dall’Italia, solo che lì non si sono ritrovati un paio di province appestate prima ancora di accorgersene e possono fare appello a un senso civico che è probabilmente più diffuso ed elevato che da noi. Per questo hanno potuto lasciare le fabbriche aperte (a onor del vero hanno fatto di tutto per lasciarle aperte anche gli industriali bergamaschi, con i risultati che conosciamo) e, sul piano delle attività/libertà individuali hanno potuto puntare “più che sui divieti, sulla persuasione”. Da noi la persuasione, in presenza di una classe politica poco esemplare e poco incline alla collaborazione, è affidata alla stampa e alla televisione di regime, ma visto che sono pochi gli italiani che le seguono e ancor meno quelli disposti a fare delle rinunce spontanee in nome del bene pubblico, si fa ampio (e confuso) ricorso ai divieti. Si tratta però di differenze che possiamo soprattutto ricondurre al “contesto demografico, sociale e culturale, oltre che sanitario”. Non mi sembra quindi che la Svezia ci indichi una strada veramente alternativa a quella che stiamo seguendo noi; al momento l’unico approccio davvero alternativo a quello italiano è quello sino/coreano, in cui la coercizione viene rinforzata da una pesante intrusione dello Stato nella privacy dei cittadini.
Scusa, paoz, ma leggere che in Svezia «non hanno fatto niente di troppo diverso dall’Italia» suona lunare, proprio alla luce di quanto scritto nel reportage e pensando a cosa si è fatto qui e cosa ci succede intorno ogni giorno da molte settimane. Là si sono mossi in tutt’altro modo, a tutti i livelli, e continuano a farlo.
Straniante anche leggere che in Italia pochissime persone seguirebbero i media di regime: magari fosse, ma contrasta con tutto quel che abbiamo visto in quest’emergenza (e prima, a dire il vero). Il problema è proprio che il frame e l’agenda imposti dai media mainstream sono pervasivi. Le stesse strette autoritarie della politica e delle amministrazioni sui territori sono avvenute per adeguamento alla narrazione imposta dai media e alla pressione che ne derivava.
Dopodiché, non si tratta di dire che «dobbiamo fare come la Svezia», ma di smontare l’idea perniciosa e tutta italiana che esista un’unica via al contenimento dell’epidemia, cioè la nostra, che tutti starebbero imitando o alla quale tutti prima o poi si starebbero adeguando. Questa narrazione, ribadiamo, esiste solo in Italia a uso del pubblico italiano. Quirico e Salerno fanno notare che non solo la Svezia ha fatto altro, ma anche i paesi limitrofi che noi strumentalmente le contrapponiamo hanno fatto altro, perché i loro “pacchetti” di misure non coincidono affatto con il pacchetto all’italiana. Del resto, lo avevamo già appurato nell’inchiesta qui che il sedicente “modello Italia” non è seguito praticamente da nessuno.
Prima di leggere l’articolo avevo l’idea che gli svedesi, freddi e razionali, avessero deciso che, in mancanza di un vaccino, buona parte della popolazione avrebbe comunque contratto il virus, e si fossero limitati a proteggere gli anziani e a preparare qualche ospedale da campo per fronteggiare eventuali focolai. Invece leggo che anche loro hanno eliminato alcune delle possibili cause di assembramenti, hanno invitato a lavorare da casa, hanno addirittura deciso di limitare gli spostamenti non necessari. Che l’abbiano fatto con le raccomandazioni e solo in piccola parte coi divieti mi sembra che dipenda, più che da una strategia, da un diverso contesto socio-culturale, ben descritto nell’articolo: “una bassa densità di popolazione… uno stile di vita e una composizione dei nuclei famigliari diversi dai nostri… un’alta fiducia sia verso le istituzioni sia verso gli altri”. E, aggiungo io, dal fatto che – forse per merito, forse per semplice fortuna – non si sono ritrovati a dover seppellire mille e passa morti al giorno.
I media “ufficiali” – telegiornali e quotidiani – non sono seguiti nemmeno dalla metà di quel 50% scarso di italiani che ancora vanno a votare, e comunque si preoccupano solo di tutelare gli interessi economici dei loro editori, non certo questo traballante e sfortunato governo e la sua improvvisata strategia di contenimento del virus. Vedrete che a breve la narrazione belligerante e virusfobica, che aveva l’obiettivo di rendere l’inevitabile lockdown quanto più breve ed efficace possibile, sarà sostituita dalla spinta a rimboccarsi le maniche e a lasciarsi alle spalle gli inevitabili effetti collaterali di un virus col quale si dovrà convivere a lungo. E allora gli italiani saranno ben lieti di installare una app ficcanaso sul loro cellulare e sposare il nuovo pensiero unico che gli garantirà un’estate con spiagge affollate e discoteche gremite.
«anche loro hanno eliminato alcune delle possibili cause di assembramenti, hanno invitato a lavorare da casa, hanno addirittura deciso di limitare gli spostamenti non necessari»
Loro hanno fatto questo, noi no. Noi abbiamo messo agli arresti domiciliari (ben) più di metà della popolazione, compresi tutti i bambini e i minorenni in generale (e le conseguenze sulla loro psiche e socialità le stiamo già vedendo ma è solo l’inizio), mentre costringevamo l’altra parte di popolazione ad andare a lavorare e contagiarsi, e il criterio con cui abbiamo determinato quelle due parti ha l’aspetto di una montagna di cazzi di cane; abbiamo chiuso i parchi, criminalizzato comportamenti innocui, demonizzato (contro ogni evidenza scientifica) il mero stare all’aria aperta; abbiamo dato alle forze dell’ordine ancora più margini di arbitrio di quelli che già avevano ecc. Niente di tutto questo era «inevitabile», niente di tutto questo può trovare giustificazione nella più alta densità di popolazione, in stili di vita diversi ecc.
Sui media: confondi la loro “presa” ideologica e i frame che impongono col consenso attivo alle presenti forze politiche, mentre il fatto che un sacco di gente (ben comprensibilmente) non voti più non implica in alcun modo che sia anche immune al titolone tossico, all’agenda setting, al lasciarsi additare capi espiatori, alla “peer pressure” indotta dai media ecc. Inoltre, ti contraddici, perché prima dici che la maggioranza degli italiani non caga i media mainstream, poi dici che non appena i media mainstream diranno che è ora di cambiare modello e tracciare tutti, la maggioranza degli italiani aderirà convinta.
(dal mio profilo fb di due giorni fa)
L’ informazione di KAKANIA
È nelle emergenze che si svela l’ essenza di un popolo, dei suoi singoli, dei suoi media: non si credeva a tal punto STRAPAESE, provinciale il giornalismo italiano e le testate giornalistiche anche quelle che in tempi normali sembravano convenzionalmente accettabili: Floris, Berlinguer, Gruber e i loro affezionati amichetti gigioni ognuno caricatura di se stesso. Le falsità o mezze verità che si dicono sui paesi più avanzati del nostro fanno pena, sanno di autocensura o forse solo di ignoranza come se l’ arbasiniano ‘viaggio a Chiasso’ non fosse mai avvenuto. Sul Fatto l’unica informazione sulla pur vicina Svizzera ci viene da uno smozzicato articoletto firmato Jannulla (sic!!) che prende in giro quella nazione perché, a differenza di Kakania-Italia non terrorizza 24h i suoi sudditi e nemmeno li tiene in carcere, e l’oca giuliva poi ha la faccia tosta di confessare che due suoi figli sono in Svizzera a studiare: non a Reggio Calabria, capito? E falsità si dicono sul paese più avanzato del mondo: la Svezia, che ha preso il posto in questa italietta disperante della ‘perfida Albione’ di fascista memoria. Ma che aspettarci da giornalisti che, non lo svedese, ma l’ inglese non sanno né il francese o il tedesco (la Botteri che narra sciocchezze inutili dalla Cina conoscerà il cinese?)
Leggo il reportage e noto che:
– In Svezia non è scattata nessuna narrazione “bellica”, né caccia al capro espiatorio, né colpevolizzazione dell’untore, ma, al contrario, si è fatto appello al senso di responsabilità dei cittadini.
Ieri ero al limitare di un giardino di un quartiere di periferia insieme a mio figlio minore, con la scusa di portare derrate alimentari a mia madre, che abita lì. Lui stava raccogliendo margherite nel prato, sotto stretto controllo genitoriale, affinché non si avvicinasse a meno di due metri da chicchessia, e siamo stati cacciati via dai vigili (che per bontà loro non ci hanno multato). Scene del genere in Svezia non sono nemmeno pensabili (e così nella maggioranza dei paesi europei). Due domeniche fa invece con mio figlio maggiore sono stato rispedito a casa da una volante della GdF (la polizia tributaria) perché ero oltre i duecento metri d’ordinanza dalla nostra abitazione. Anche questo in Svezia per il momento è impensabile.
– In Svezia il governo per ora non ha ottenuto poteri straordinari dal Parlamento. Significa che il paese non è sotto dittatura dell’esecutivo. Vigono ancora le leggi e la costituzione, non scavalcabili da decreti della presidenza del consiglio. Prima di sovvertire l’ordinamento costituzionale ci pensano e ci ripensano e per il momento non lo fanno.
– In Svezia si fa affidamento sul fatto che gli svedesi tengano alla vita propria e dei propri cari. In Italia no, si dà per scontato che la gente sia irresponsabile, e che abbia bisogno dello stato di polizia e dei divieti altrimenti si ammasserebbe e si contagerebbe fino allo sterminio di massa. Sta di fatto che adesso, con l’avvio della fase 2, piaccia o no toccherà proprio fare affidamento su questo, sulla responsabilità individuale, a meno che non si voglia tenere la gente chiusa in casa ad libitum. E ovviamente si dovrà fare affidamento sul controllo genitoriale nei parchi pubblici, a meno di non voler tenere i bambini chiusi in casa un anno e più. Quindi, dovremo fare come in Svezia, non come abbiamo fatto fino ad ora.
– In Svezia come in Italia gli industriali hanno ottenuto che le fabbriche restassero aperte (in Italia ha chiuso solo una su due, in certe regioni pure meno). Ma noi ci siamo dovuti sorbire la retorica e il terrorismo mediatico del tutti a casa, quando invece metà della gente doveva ancora andare al lavoro. Al danno si è aggiunta la beffa. Sarebbe poi interessante sapere quali sono le tutele sanitarie o di distanziamento nei luoghi di lavoro in Svezia e quali quelli in Italia. Così come sarebbe curioso capire perché da noi la necessità del controllo sanzionatorio non si spinge oltre la soglia dei luoghi di lavoro, dove ce ne sarebbe bisogno, anziché per le strade semideserte delle nostre città o nelle nostre spiagge rendendoci tragicamente ridicoli all around the world.
No, direi che al netto delle innegabili differenze demografiche e culturali, non è proprio lo stesso modo di affrontare l’emergenza.
Io credo che la repubblica e gli altri giornali di cui sopra spingano proprio per una reclusione sine die, *soprattutto* per i bambini e i ragazzi. Oggi la repubblica titola a caratteri cubitali: “La scuola è finita”. Il titolo è volutamente ambiguo ed ha lo scopo evidente di seminare disperazione, di demoralizzare i cittadini. E’ un titolo oggettivamente falso, se lo prendiamo alla lettera. Non è stato al momento decretato niente riguardo a una chiusura anticipata dell’anno scolastico, e anche se le scuole dovessere restare chiuse (come edifici) fino a settembre e oltre, ciò non significa che la scuola sia finita. La scuola cntinua on line, male, con mille probelemi, fatta a cazzo per motivi tecnici (e anche per motivi intrinseci all’essenza dell’educare), ma comunque continua. E però la repubblica ci dice che la scuola è finita. Non essendoci una notizia alla base del titolo, ne inferisco che si tratta di una profezia, di una minaccia, di un auspicio addirittura. Sempre oggi, il corriere ci mostra un rendering di cubicoli di plexiglass progettati da qualche coglione di grido, che dovrebbero essere posizionati sulle spiagge per permettere di salvare la stagione turistica. Insomma: i giornali ci spiegano ogni giorno che dobbiamo rassegnarci ad avere una vita di merda per il resto dei nostri giorni. Vogliono fiaccarci, vogliono renderci depressi e passivi, incapaci di reagire alla riorganizzazione delle nostre vite ad opera del capitalismo della sorveglianza e delle piattaforme. Io sogno un’apocalisse zombie nelle sedi di tutti i giornali canaglia che avvelenano il nostro immaginario in questa situazione già brutta di suo.
«visto che sono pochi gli italiani che le seguono e ancor meno quelli disposti a fare delle rinunce spontanee in nome del bene pubblico, si fa ampio (e confuso) ricorso ai divieti»
Che poi guardando i numeri dei controllati/multati non è neanche vero, come si è scritto qui, file ordinate che manco nella ddr, e ancora le solite bugie sui furbetti della Pasquetta che poi furbetti non erano etc.
Del resto non si capisce perché in coda al supermercato si mantengano le distanze interpersonali mentre con l’accesso a piazze, parchi e spiagge gli italiani dovrebbero automaticamente impazzire e mettersi a 20cm di distanza starnutendosi in bocca.
Tirare in ballo un supposto intrinseco anarchismo italico o il familismo amorale per giustificare gli arresti domiciliari di massa è assurdo.
Infatti, la narrazione infantilizzante degli «italiani sempre indifferenti alle regole» che quindi avrebbero bisogno di più divieti e più bastonate rispetto agli altri popoli è sempre stata reazionaria, viene usata per invocare l’Uomo Forte, la disciplina calata dall’alto, la fine della presunta «ricreazione» e in generale ogni ulteriore svolta a destra nella storia del Paese.
A proposito di narrazione infantilizzante degli Italiani: due giorni fa, su Rai 3, è andata in onda la trasmissione quotidiana “FuoriTg” con una puntata dal titolo significativo “papà-sindaco”. Metto il link alla clip (durata 15 minuti circa). In una parola, l’apologia della figura del sindaco-sceriffo che, come un padre, si rivolge ai concittadini-figli “cazziandoli” per il loro bene. La puntata, in pratica, è tutta così con tanto di approvazione degli esperti in collegamento da casa.
https://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-d81413b6-978e-434a-9e8f-8694ce0c8657.html#p=0
Nel suo post La viralità del decoro, riprendendo osservazioni già fatte nel suo libro La buona educazione degli oppressi, Wolf Bukowski aveva parlato del
«malcelato godimento della classe politica locale, che si trova investita del potere pressoché illimitato di rilanciare al rialzo qualsiasi divieto previsto dalle leggi emergenziali nazionali. Nell’imporre misure prive di ogni razionalità rispetto all’epidemia agiscono tanto le personali e pubbliche paranoie e idiosincrasie, quanto il protagonismo del sindaco, frutto avvelenato della sua elezione diretta, sciaguratamente voluta dal parlamento nel 1993 (col voto favorevole dell’ex-Pci) […]
Tutto ciò avviene per mezzo di “ordinanze”, ovvero dello strumento utilizzato e abusato since 2008 contro le finte emergenze della “sicurezza urbana” e del “decoro”. Anche se apparentemente, in questo caso, l’uso delle ordinanze è giuridicamente più fondato (il sindaco è responsabile in questioni di salute pubblica), esse sono utilizzate sostanzialmente nella logica del “decoro”, e non in quella del “contenimento del contagio”. Esse accontentano, ma soprattutto provocano e amplificano, i più bassi istinti nella base elettorale; plasmano una popolazione che chiede di essere governata con la paura, non con una qualche forma di ragionevolezza (neppure con la ragione epidemiologica) […]
Siamo bambini che l’hanno fatta grossa; e politici fanaticamente neoliberisti, nella loro quasi totalità responsabili o complici (per appartenenza di partito) dello smantellamento della sanità pubblica, sono mamma e papà […] Siamo di fronte, a ben vedere, a uno di quei rari e dolorosi casi in cui sarebbe opportuna la revoca della potestà genitoriale.»
P.S. Il fatto che questa narrazione sia stata “sfruttata” a destra non significa però che sia una narrazione sbagliata. Non direi che gli italiani siano indifferenti alle regole, ma certo non mostrano un senso civico all’altezza di altri paesi e diciamo una certa abitudine all’interpretazione. E questo senz’altro finisce per influire su leggi e legislazioni.
E’ un fenomeno ben evidente su piccolissimi numeri, figuriamoci su intere nazioni. Governare per gli svedesi, o per gli inglesi o per gli italiani non credo proprio sia una pratica paragonabile. Quanto questo abbia influito sulla durezza della nostra quarantena non è dato saperlo. Ma non faccio fatica a credere che determinate misure siano parse ai nostri governanti troppo “interpretabili” e quindi siano state inasprite.
Questo non significa che gli svedesi siano tutti buoni, gli italiani tutti cattivi, né giustifica alcune macroidiozie della nostra gestione.
Secondo me questa è una questione molto importante, la narrazione che “le misure sono eccessivamente restrittive MA la colpa è degli italiani furbetti, che sono dunque causa di disagio anche a quelli che rispetterebbero le norme di distanziamento anche se queste fossero più flessibili” è molto diffusa, e mi chiedo sinceramente quanto possa essere vero, mi interesserebbe un’inchiesta al riguardo. Come menziona quijana1789 le ordinate file al supermercato e la proporzione controlli/multati (da pesare con una probabile tendenza della polizia a multare anche ingiustificatamente) potrebbero essere due indici rilevanti. C’e’ poi da pensare bene al significato del senso civico; l’obbedienza alle norme in quanto tali è sicuramente scarsa nel nostro paese, anche perché visto il loro proliferare un atteggiamento di obbedienza indiscriminata sarebbe letteralmente impossibile. C’è forse una tendenza a rispettare norme giudicate di buon senso (penso al divieto a fumare nei luoghi pubblici, o appunto alle file ordinate di questi giorni) e forse anche una tendenza ossequiosa verso l’autorità, che porta a rispettare norme protocallari, a performare il rispetto delle norme percepite come emanate dall’autorità? Sarebbe interessante discuterne, il tipo di cultura civica è determinante per l’appropriatezza di diverse forme di organizzazione e dispositivi di coordinamento.
Secondo me questo discorso sul “carattere” degli Italiani e dei popoli in generale prima o poi andrebbe approfondito perché trovo sbagliato pensare che non esista del tutto, anche se dall’altra parte è facilissimo cedere negli stereotipi.
Ovviamente non sto parlando di un’ “essenza”, ma di tratti culturali, sociali e comportamentali che sono stati prodotti dalle vicende storiche e che hanno anche mille specificità regionali, locali, di classe etc…
Ciò non toglie che i provvedimenti di cui stiamo discutendo siano eccessivi, irrazionali e ipocriti e che nel momento in cui uno stato comincia a restringere la libertà dei suoi cittadini in base a stereotipi culturali o razziali la situazione è grave.
Grazie davvero per questa spiegazione. Io sto facendo una fatica enorme per spiegare ad amici e parenti in Italia che i media italiani raccontano un’immagine piuttosto sfocata di quello che accade qui. Tra l’altro trovandomi spesso nella condizione non comodissima di difendere il governo Socialdemocratico di cui non sono un gran fan in generale. Comunque un elemento che mi irrita più di altri è il totale appiattimento di qualunque dibattito sulle misure adottate in Svezia sulla questione “lock down”,tralasciando invece le misure sociali che, va dato atto, il governo ha adottato fin da subito: le modifiche alle regole sui congedi di malattia per esempio, che ha incoraggiato i lavoratori a stare a casa invece di andare a lavorare anche con sintomi molto leggeri, oppure le modifiche sull’accesso alla disoccupazione che sono state cambiate per dare la possibilità anche retroattiva di avere un reddito. Nel lungo periodo trovo persino possibile che tali misure vengano mantenute.
Mi permetto di aggiugere una postilla sulla questione “narrazione”. La mia percezione è che una punta di patriottismo ci sia anche qui, con la differenza che il patriottismo che mi sembra faccia parte della retorica di Löfven stia nel dichiarare che la Svezia non sia pronta a rinunciare ai valori democratici sui cui si basa la società. Come a dire “l’orgoglio svedese è il senso di responsabilità collettiva e il rispetto dei valori democratici e noi non siamo pronti a metterli da parte”. Nessun richiamo a guerre di nessun tipo, piuttosto una ferma presa di posizione e un continuo richiamo alla responsabilità individuale come base del benessere collettivo.
vi ringrazio per l’articolo. in effetti non mi capacito del perché la stampa italiana distorca così tanto la realtà dei fatti.
realtà dei fatti che, beninteso, è abbastanza drammatica. nell’ultima settimana il tasso di crescita è del 34% (come gli USA), i morti sono più dei paesi limitrofi e c’è la bomba delle usa pronta ad esplodere. non si hanno numeri ufficiali per il problema tamponi.
le scuole non sono tutte chiuse: hanno chiuso dall’adolescenza in su, asili e scuole primarie sono piene di bambini.
i centri di ricerca (dove io lavoro) non sono chiusi. mandano email ogni settimana dichiarando:
“dobbiamo lavorare anche per chi è malato. se hai i sintomi non venire, se pensi di poter lavorare vieni. Ad ogni modo, parlane con il tuo responsabile”
nessuna presa di posizione ufficiale, nemmeno all’indomani di un documento firmato da svariati scienziati con la richiesta di agire alla svelta (https://www.dropbox.com/s/4u37ap0d200v3xd/Öppet%20brev.pdf?dl=0)
frattanto, i dehors di medbogarplatsen (una delle piazze principali dell’isola södermalm) sono pieni nelle giornate di sole. quasi nessuno con le mascherine. capita anche di venire “scherzati” con finti colpi di tosse se invece la indossi.
per inciso, nell’ultimo mese c’è un aumento dei morti a Stoccolma di poco meno di 100 unità rispetto allo stesso periodo di un anno fa. Infine, se cerchi di parlare con qualche autoctono, la risposta è: “non capisci la Svezia” “noi qui seguiamo il governo” “meglio rischiare di prendere il virus che fermare l’economia”.
Partecipo volentieri di nuovo da Stoccolma. Non mi ripeto su quanto già detto nei commenti a precedenti articoli. Ammetto che sia l’articolo, sia gli interventi di Andrea_da_Malmoe e vaz sono molto puntuali. Anche il re, nel suo discorso alla nazione pre pasquale, ha messo in primo piano l’altruismo, la responsabilità di ogni cittadino all’interno della società, sul pensare a cosa ognuno di noi sta facendo per gli altri o se ce ne freghiamo altamente. Stasera sulla tv principale c’è stato un dibattito tra il famosissimo epidemiologo di stato Anders Tegnell e una virologa portavoce del gruppo di studiosi critici della linea tenuta. Il succo era se davvero si stia tenendo conto degli asintomatici come possibili propagatori del virus o no. Per il resto, sì i dati sono preoccupanti ma qui ripetono in continuazione che è impossibile debellare il virus e dunque l’importante è diluirne gli effetti nel tempo sia sulle persone, sia sulle unità di terapia intensiva, che comunque sono state potenziate. Inoltre, ogni volta che si pone il confronto con altri paesi ripetono che non è possibile sia per caratteristiche diverse (vedi articolo), sia perché è presto per studiare i dati. Interessante come molti colpiti dal virus e deceduti sono parte di comunità straniere trapiantate in Svezia da tempo (somali ed iracheni) che vivono in quartieri periferici ad alta densità abitativa. Per ovviare, istituzioni locali, Croce Rossa e associazionismo hanno cominciato da tempo a diffondere informazioni anche in altre lingue. Dal punto di vista sociale io continuerò a ripetere che il solo fatto di sapere di poter uscire di casa aiuta moltissimo psicologicamente e fisicamente, anche se un po’ di ansia c’è nel girare per parchi, strade e negozi, o muoversi coi mezzi (praticamente quasi vuoti). Da quanto ho capito non hanno alcuna intenzione di mettere in discussione la tutela della libertà di movimento dei cittadini sul territorio svedese come recita la Costituzione.
Ciao a tutti, intervengo solo per dire che i rilievi di Andrea, vaz e boris ci trovano concordi (credo di poter parlare anche per Monica, che è meno abituata di me a intervenire in questi contesti).
Andrea mette in rilievo una cosa che forse andava detta, e cioè il fatto che il governo ha incentivato i comportamenti virtuosi anche con interventi di sostegno al reddito. La Norvegia ha insistito moltissimo sulle misure economiche sostanzialmente di tutti i tipi, scusate la superficialità. Ha anche ragione nel ricordarci la forma di patriottismo, che lui tratta con maggiore benevolenza di quanto non facciamo noi, anche se dal pezzo magari non traspare. Questo rigurgito di nazionalismo svedese non è proprio da portare ad esempio, almeno secondo me.
Anche l’intervento di Vaz per me è prezioso, perché è importante mettere in luce e ribadire che non stiamo parlando di un posto perfetto contrapposto ad uno caciarone. I problemi ci sono e sono seri anche lì, se facciamo il “tifo” non è per una qualche forma di adesione al modello svedese quanto perché siamo legati all’idea che le emergenze si affrontano da adulti e non da ragazzini, se mi passate l’autocitazione. In Svezia le cose non vanno benissimo, è importante sottolinearlo, perché probabilmente qualche errore si sta facendo anche lì e sicuramente perché anche loro scontato le ristrutturazioni neoliberiste (semplifichiamo ancora).
Sta diventando piaggeria ma anche l’intervento di Boris per me è importante, perché mette in luce una cosa che forse non viene sottolineata troppo nel pezzo, e cioè il fatto che si sono levate molte voci critiche all’intervento del governo, fra cui alcuni epidemiologi, preoccupati da alcuni aspetti, ma non certo favorevoli al lockdown.
Grazie a tutti insomma, aggiungo solo che lo scopo principale del pezzo non è tanto mettere in luce vizi e virtù del modello svedese quanto provare a spiegare perché mai venga così tanto rozzamente attaccato.
Guarda non so dirti se si tratta di benevolenza verso il patriottismo svedese (che insomma, anche no). Di sicuro posso dirti che nell’ultimo mese e mezzo mi sono trovato incline ad apprezzare un governo che decide di non schierare la polizia nelle strade per controllare che la gente sia a distanza di sicurezza (nè tantomeno che la rinchiude in casa, visti gli appelli delle autorità sanitarie ad uscire e prender eil sole stando comunnques distanti) e che fa appello al senso di respondsabilità dei cittadini che vengongo trattati come adulti. La mia compagna (svedese) mi prende in giro dicendo che mi ho finalmente completato il mio processo di integrazione essendomi scoperto sostenitore dei socialdemocratici :-)
Grazie! Sono settimane che cerco di spiegare a chi conosco che non è come dice la stampa. Io sono in Italia ma leggo i dati e faccio una ricerca nella stampa estera, qui passano solo notizie distorte e strumentalizzate. È successo anche con il discorso di Boris Johnson. Colgo l’occasione per farvi notare che anche quello è stato distorto e che ho sprecato un sacco di energia per cercare di farlo capire. In un punto del vostro articolo ci siete cascati anche voi. Allego un link, dove analizzano il suo discorso e spiegano che anche quello è stato strumentalizzato e distorto come la faccenda Svedese.
https://medium.com/@mbolondi/cosa-ha-detto-veramente-boris-johnson-sorpresa-no-immunit%C3%A0-di-gregge-e-no-inversione-a-u-a97335ca6b72
Per quanto riguarda la strategia in UK, credo che tu abbia perso tempo nel significato più letterale dell’espressione.
Il governo aveva inizialmente pianificato una diffusione controllata del virus per consentire l’acquisizione dell’immunità’ di gregge. La loro scelta politica e’ stata descritta come derivante da questo modello di simulazione epidemiologica (https://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/medicine/sph/ide/gida-fellowships/Imperial-College-COVID19-NPI-modelling-16-03-2020.pdf.)
Successivamente la strategia e’ stata cambiata cosi come il modello di predizione usato. Anche in questo caso per dare la percezione di una scelta scientifica (la scienza e’ usata ancora una volta come feticcio) e non politica.
Ti allego due link nei quali Boris Johnson (primo ministro inglese) e Sir Patrick Vallance (UK Chief Medical Advisor) hanno spiegato la loro strategia più nel dettaglio, ed descrivendo l’immunità di gregge.
Il primo e’ la trascrizione di un’intervista a una trasmissione del mattino nel quale Boris Johnson spiega come ci sia una teoria che suggerisca di “accettare il virus a testa alta (take it on the chin) e lasciarlo diffondere nella popolazione (https://fullfact.org/health/boris-johnson-coronavirus-this-morning/) e il secondo e’ un’intervista radiofonica di Sir Patrick Vallance (https://inews.co.uk/news/health/coronavirus-sir-patrick-vallance-covid-19-herd-immunity-2449703) e si parla di “un certo livello di immunità’ di gregge”.
Entrambi gli interventi sono avvenuti prima il governo cambiasse approccio, con chiusura luoghi pubblici e quarantena, e con questi interventi in mente anche il discorso nel tuo link assume una connotazione diversa.
Buongiorno
Anche a me la notizia delle scuse e del presunto riconoscimento del modello italico presentata dai giornali prima di Pasqua mi è subito puzzata perchè strideva con i racconti di una mia amica trasferitasi in Svezia da oltre 30 anni.
Angela ingegnere gestionale a Goteborg presso la Volvo mi raccontava cose diverse.
Ho iniziato a leggere i dati e la prima sorpresa positiva è come siano presentati in maniera molto trasparente e a livello di dettaglio a differenza dei dati italiani.
Sono disponibili in excell con dettagli utilissimi per capire l’impatto dei vari provvedimenti come le fasce di età.
Ad esempio si nota subito che nella fascia fino a 19 anni (le scuole aperte sono la fascia obbligo fino a 17 anni) la percentuale contagi è bassissima quasi nulla per la mortalità.
https://www.folkhalsomyndigheten.se/smittskydd-beredskap/utbrott/aktuella-utbrott/covid-19/bekraftade-fall-i-sverige/
Ricontattata angela per sottoporgli gli articoli avevo avuto la stessa spiegazione che riportate sul vostro articolo :
Stefan Löfven aveva chiesto scusa per le RSA e aveva detto che i mezzi di protezione controllo e prevenzioneerano insufficienti
Cosa ben diversa da quella presentata dai media italiani e se un paragone va fatto con i nostri è il coraggio di amettere carenze e ritardi invece di tentare di far approvare cancellazioni di responsabilità come si è tentato di fare in Italia.
Inoltre il premoier non aveva fatto alcun accenno a un ripensamento del modello richiamando alle attenzioni sul distanziamento ad esempio nei pic nic di Pasqua.
Sulla chiusura delle industrie mi risulta invece e in particolare per la Volvo che il lavoro sia sospeso da oltre un mese.
I lavoratori a pieno stipenndio si sono autorganizzati in cooperative sociali per PRODURRE mezzi di protezione
Buongiorno, questo perché a Göteborg e in altre città il virus ha colpito di meno. A Stoccolma la situazione sta diventando seria. Sull’accessibilità dei dati, vero. Poi però non fanno tamponi. Se sei giovane e hai sintomi non ti fanno tamponi. Se non sei ospedalizzato non ti fanno tampone. Se ti fanno tampone e sei positivo, autoquarantena e niente tamponi ai familiari. Familiari che possono andare a lavoro (ho copie di email mandate da capi laboratorio al riguardo). Social distancing inesistente. Ban su assembramenti da >50 persone, ma piscine comunali e palestre aperte. La piscina più grande di Stoccolma (Eriksdalsbadet), nel we di Pasqua era piena.
Poi, probabilmente il virus colpirà meno vista la bassa densità di popolazione e, aggiungo, la migliore qualità dell’aria. Ma la capitale pagherà caro. La strategia usata dal governo svedese è sbagliata, rischiosa e inumana. Seguo sempre wu ming con interesse, stavolta mi sento di dire che i lockdown sono la soluzione migliore. I lockdown veri, non fittizi lasciando aperte il 51% delle fabbriche perché ricattati da Confindustria.
Qui dati aggiornati https://platz.se/coronavirus/?fbclid=IwAR3KHvhsXLgpM4-It2qTsPCMaHwsy52qKg6aF0IayDH6MORHYM-3_8ZWf4g&lang=en
Vaz, «lockdown» in sé non vuol dire niente, e nemmeno «lockdown vero», se non si aggiungono specificazioni. Come abbiamo più volte provato a spiegare, con l’uso generico di questo termine-ombrello i media italiani hanno cercato di omologare tra loro situazioni diversissime, dicendo che tutti i paesi stavano facendo «come l’Italia». E invece quasi nessuno ha fatto il lockdown «all’italiana», cioè gli arresti domiciliari di massa, impedendo de iure o de facto ogni attività all’aria aperta, ogni esercizio fisico, ogni uscita di casa che non fosse in linea col «produci, consuma, crepa». Abbiamo trasformato il distanziamento fisico in distanziamento sociale e poi in isolamento sociale. Abbiamo leso basilari libertà civili e ancor più basilari esigenze legate al vivere contrapposto al mero sopravvivere/vegetare. Eppure le curve di contagio di tutti i paesi sono molto simili… con la differenza che l’Italia, guarda un po’, ha la più alta mortalità in Europa.
Attenzione, perché quando ci si limita a criticare chi governa in Italia per «non aver fatto un lockdown vero», si sta solo dicendo che doveva essere messa agli arresti domiciliari anche la parte della popolazione che ha continuato a lavorare. E invece noi abbiamo sempre cercato di tenere insieme la denuncia dell’incongruità (e del classismo) del lockdown all’italiana con la critica degli arresti domiciliari. Perché evitare gli assembramenti, chiudere i luoghi pubblici rischiosi e quant’altro non ha mai avuto come logica e inevitabile conseguenza blindare viva la gente in casa. Mai. Tant’è che in molti altri paesi – compresi quelli che in Italia vengono elogiati in contrapposizione alla Svezia – non è accaduto.
Dal pulpito italiano nessuna autorità o nessun opinion maker può fare la predica ad altri e dire che la loro strategia è sbagliata.
Aggiungerei che il lockdown, se non è accompagnato da una strategia offensiva, positiva, cioè di mappatura del contagio e isolamento dei contagiati, garantisce quanto meno che tutti i conviventi e colleghi del contagiato si contagino sotto lo stesso tetto, per poi magari vederli arrivare in ospedale e intubarli quando è ormai troppo tardi. Ho il forte presentimento che sia quello che è successo in Lombardia, anche a lockdown attuato, appunto, dove infatti seguitano a morire ancora adesso.
Un’altra cosa che va fatta notare è che paesi che hanno iniziato il lockdown dopo di noi, e senza bisogno di mettere la popolazione agli arresti domicialiari, adesso programmano parziali riaperture scolastiche, differenziate e a scaglioni, per non perdere gli studenti in maggiore difficoltà e salvare almeno qualcosa dell’anno scolastico. Spagna, Francia, Danimarca, Norvegia, Germania, stanno riaprendo o programmando progressive riaperture (in certi casi perfino degli asili). In Italia si è già deciso che le scuole di ogni ordine e grado riapriranno, forse, a settembre, cioè tra quasi sei mesi. E come faranno i genitori a tornare al lavoro se avranno i figli a casa? Li affideranno ai nonni come un mese fa, per dargli il colpo di grazia…?
La differenza di approccio e la scala delle priorità si misura anche da cose come questa. In nome del lockdown all’italiana si sono cancellati i diritti civili e l’istruzione, rinviando sine die il loro ripristino.
Qua il punto non è che l’erba del vicino è più verde. Direi anzi che è alquanto giallognola. Ma in Italia non ce n’è rimasto nemmeno un filo. Qui è il deserto. E qualcuno se ne vanta.
concordo su tutto. soprattutto sul tracing e l’isolamento (che è quello che è stato fatto in Germania, sin da subito). sulle scuole aperte a settembre: è un settore che non produce, non si ha interesse a riaprirlo. non capisco nemmeno perché non pensare a riaperture in base a ciò che accade localmente (Veneto, Roma città i numeri sono buoni). l’elefante nella stanza è sempre quello: la Lombardia. La Lombardia deve essere chiusa, tutte le attività devono essere chiuse, il rischio di sviluppare un altro focolaio è altissimo, e vista la situazione del sistema sanitario vorrebbe dire un (altro) massacro
Ciao, d’accordo su quasi tutto, solo una precisazione visto che sono un paio di giorni che qui sopra lo si ripete anche se la situazione è cambiata. Per quanto valgano i dati grezzi (secondo me veramente poco) sono gli unici che abbiamo e secondo questi bisogna dire che l’Italia non è più la peggiore né per mortalità né per letalità.
Paese Pop_2019 Cases Deaths Letality Mortality Cases/milion
Italy 60100075 159516 20465 12,83 0,0341 2654,2
Spain 46736776 169496 17489 10,32 0,0374 3626,6
France 65129728 97050 14946 15,40 0,0229 1490,1
Uk 67530172 88625 11329 12,78 0,0168 1312,4
Germa 83517045 125098 2969 2,37 0,0036 1497,9
Usa 329064917 553822 21972 3,97 0,0067 1683,0
China 1433783686 83696 3351 4,00 0,0002 58,4
Swede 10036379 10948 919 8,39 0,0092 1090,8
Icelan 339031 1711 8 0,47 0,0024 5046,7
I dati di casi e deceduti sono presi dall’ultimo dei reports che la WHO pubblica giornalmente.
https://www.who.int/emergencies/diseases/novel-coronavirus-2019/situation-reports
La letalità è la percentuale dei morti sui casi riportati, la mortalità invece sulla popolazione totale.
Sull’uso dei dati, sulla loro imparzialità intrinseca così come sulla loro efficacia nel descrivere la situazione ci sarebbe da fare un discorso lunghissimo. Come ha scritto Bartezzaghi in questi giorni “I numeri sono oggettivi e dunque ingannevoli. Le parole sono ambigue e dunque oneste.”
In conclusione, grazie per tenere aperto questo spazio accogliente per le parole.
Chiedo scusa ma la formattazione non ha retto… ecco un altro problema del parlare solo con i dati. In pratica per quanto riguarda la letalità è la Francia che sta messa peggio di noi. Mentre per quanto riguarda la mortalità il dato peggiore lo ha la Spagna. Ho inserito i dati dell’Islanda perché secondo alcuni studiosi (ad esempio Ioannidis) sono quelli più indicativi vista la politica dei tamponi su un ampio campione casuale li adottata. Però anche qui ci sarebbero considerazioni ambientali e demografiche da prendere per comparare i vari dati.
Ciao Tilto, una curiosità a proposito dei problemi della lettura dei dati (che, lo ricordo a me stesso, sono incompleti NON inaffidabili, la confusione su sto punto è assurda – il Post per esempio mi pare ci capisca poco su ste robe).
Ho visto che usi il report del WHO io guardo in genere quello della Johns Hopkins https://www.arcgis.com/apps/opsdashboard/index.html#/bda7594740fd40299423467b48e9ecf6 perché mi viene più immediata la comparazione. Bene, i dati sulla Francia non coincidono in modo clamoroso: 97050 per WHO e 131362 per Johns Hopkins. Ho dato un’occhiata se la discrepanza potesse riguardare il fatto di contare i territori d’oltremare come “Francia” ma quelli sono poco più di un migliaio, ne ballano 30mila… Il che significa che anche il tasso di letalità varia, e la Francia rimane ben staccata. Ma prima o poi spero riusciremo meglio a parlare dei dati.
Ciao,
qui trovi i dati ufficiali del governo francese:
https://www.gouvernement.fr/info-coronavirus/carte-et-donnees
La somma dei casi confermati e dei guariti coincide quasi perfettamente con i dati della Jhons Hopkins.
Se interessa, e sempre ricordando la relativa affidabilità dei dati, ci sono anche i dati sui malati attualmente in rianimazione, su quelli ospedalizzati, sui decessi in ospedale e nelle case di cura e di riposo.
In Francia tra l’altro c’è stato un grosso scandalo sulla gestione delle mascherine (c’è una approfondita inchiesta di Mediapart sul tema) e nel discorso di lunedì sera Macron, in evidente calo di consensi, ha abbandonando la retorica bellica a favore di un un misto di paternalismo, vaghezza e maldestri tentativi di rassicurare il paese.
Sempre su Mediapart hanno scritto, in una sintesi che mi è apparsa adeguata, che Macron “a enfilé lundi soir le costume de l’hypnotiseur d’une France inquiète”.
.
Ciao, effettivamente per quanto riguarda i dati francesi c’è molta confusione e devo dire che ricontrollando meglio non ho trovato la quadra.
I report della WHO cosi come dell’istituto europeo per la prevenzione delle malattie (ECDC https://www.ecdc.europa.eu/en/publications-data/download-todays-data-geographic-distribution-covid-19-cases-worldwide un pò farraginoso perchè la somma la lasciano fare a te) riportano il numero più basso. Worldmeters e la John Hopkins il dato più alto. Nel link postato da Nephila in realtà non è specificato se il numero sia dei casi totali o dei casi correnti (cas confirmés dice quindi sembrerebbe i totali).
Sul sito del governo https://www.data.gouv.fr/fr/ ho trovato queste due tavole di statistiche:
1) https://www.data.gouv.fr/fr/reuses/statistiques-coronavirus-statcorona-fr/ che riporta il numero al ribasso e mostra l’alta percentuale di letalità
2) https://www.data.gouv.fr/fr/reuses/evolution-de-la-situation-epidemiologique-du-coronavirus-covid-19-en-france-tableau-de-bord-de-suivi/ che riporta il numero più alto e lo spiega così: ai numeri confermati dagli ospedali vanno aggiunti quelli registrati dalle case ci cura (EHPAD)
L’ultima spiegazione è convincente, però pare strano che organismi internzionali non si siano ancora accorti dell’errore.
In effetti anche il discorso su affidabilità o completezza dei dati dovrebbe essere affrontato prima o poi.
vaz
si i contagi a goteborg sono assolutamente minori e lo spostamento è ovviamente conseguente.
Cercavo invece conferma (o malignamente suggerivo il dubbio ) che la possibile spiegazione della minore diffusione del virus fosse dovuto l fatto che una ditta come la Volvo che lì ha sede avesse sospeso l’attività.
Mi chiedevo inoltre se il fenomeno sospensione imprese fosse solo – come mi risulta – della Volvo o anche di altre imprese.
Infine volevo evidenziare un fenomeno che mi pare importante il fatto che gli operai e i quadri si siano autorganizzati per produrre dispositivi di sicurezza con cui sostenere gli ospedali e anche di questo visto che ho una sola fonte in Norvegia volevo avere conferma.
da quello che ricordo, quasi tutte le imprese di automobili hanno sospeso la produzione. pesano le due più grandi, ovviamente: Volvo e Scania. per quanto riguarda göteborg, sicuramente ha aiutato, insieme al fatto che SJ (la trenitalia svedese) abbia sospeso i viaggi sto-got. è anche vero però che nonostante impianti abbiano chiuso a Stoccolma, qui la situazione non è migliorata, anzi. Certo è difficile avere una figura esatta del contagio vista la politica riguardo i tamponi.
ad ogni modo, la controprova l’avremo a breve. Volvo e Scania riapriranno dal prossimo lunedì (https://www.helagotland.se/ekonomi/volvoforetagen-inleder-liten-mjukstart-15786930.aspx)
siamo in piena fase esponenziale. speriamo bene.
la Svezia è a tutti gli effetti un “controllo negativo” all’esperimento pandemia. vediamo come va.
Eccellente articolo. Seguo con interesse il caso svedese e avrei qualche obiezione.
1) Visto che in Italia abbiamo dato, giustamente, del pirla a Salvini che voleva riaprire le chiese a Pasqua trovo bizzarro il permesso dell’assembramento fino a 50 persone
2) In Italia è stata denunciata la pressione, credo decisiva, degli industriali lombardi per non fare diventare zona rossa il focolaio della Bergamasca. In Svezia, grazie anche al sindacato ultra-istituzionalizzato, le fabbriche rimangono aperte. Qualcuno si preoccupa della salute dei lavoratori?
3) In una notizia su Euronews ho letto che la Svezia è agli ultimi posti in Europa per il numero di terapie intensive. Mi viene il dubbio che chi ha deciso di evitare un lockdown più deciso (rispetto al quale ho un mare di perplessità, sia chiaro) abbia un po’ scherzato col fuoco.
cordialità
Sul primo punto posso rispondere anch’io che non vivo in Svezia, sugli altri c’è già qualche elemento di risposta nei commenti ma invito altre/i a rispondere.
In Svezia c’è il divieto di organizzare eventi pubblici che prevedano l’afflusso di oltre 50 persone, e al tempo stesso c’è l’invito (non sempre rispettato, vero) ad applicare elementari misure di profilassi, comprese le distanze di sicurezza. Questo non significa tout court aver «autorizzato assembramenti fino a 50 persone», espressione che fa pensare ad ammassi di corpi e programmatica condivisione di aliti e fluidi.
Colgo l’occasione per rimarcare che il concetto di «assembramento» è problematico e sul riemergere di questo termine nell’immaginario nazionale italiano abbiamo già condiviso qualche appunto. Abbiamo parlato di «riflesso condizionato culturale», una roba pavloviana legata alla mancanza di un’elaborazione seria del fascismo. L’interpretazione che si è subito affermata viene direttamente dal ventennio, dal codice Rocco e dal regolamento delle colonie di confino, dove era «assembramento» il semplice passeggiare insieme se in numero superiore a due.
Durante l’emergenza coronavirus siamo andati addirittura più in là: è «assembramento» praticamente qualunque cosa a parte il lavorare in fabbrica e lo stare in fila davanti al supermercato. Se esco di casa con la mia compagna e mia figlia – che compie 15 anni proprio nella giornata di oggi, senza la compagnia di una straccio di amica e terribilmente giù di morale – è già assembramento, anche se viviamo insieme. Se la mia compagna si porta mia figlia a fare la spesa è già assembramento, anche se vivono insieme. Se passeggio con qualcun altro, anche a distanza di sicurezza, è già un assembramento.
Se non avessi troppi vincoli qui in Italia, farei a cambio con chiunque, vivendo in Svezia, sia scontento di come va là.
In realtà la chiesa svedese ha chiuso da sola, senza che lo stato la obbligasse a farlo. Molte funzioni religiose sono state tenute in streaming.
Le fabbriche sono tutte aperte. Lo stato consiglia di lavorare da casa quando possibile, e quando non possibile di mantenere le distanze. I datori di lavoro devono attrezzarsi per favorirle. Ovviamente c’è la richiesta di stare a casa al minimo sintomo: hanno anche tolto il primo giorno di malattia non retribuito.
Stanno aumentando molto velocemente i posti di terapia intensiva. Ovviamente, dovranno, all’occorrenza, spostare il personale da altri reparti (i letti si creano, il personale un po’ meno) e per questo sono ora più stretti nell’assegnare i posti a chi ha poche possibilità di cavarsela.
Ah, mi correggo. Le fabbriche non sono “tutte aperte”. Molte hanno chiuso per loro scelta. Il governo non le ha obbligate a farlo. Ha anche attivato immediamente meccanismi di protezione dei lavoratori e del loro salario, perché sapeva che, appunto, molte aziende avrebbero chiuso per loro scelta.
Ora devo aggiungere un po’ di caratteri per arrivare alle cinquecentocinquanta battute necessarie, ma non ci fate troppo caso. Volevo solo, appunto, correggere quello che avevo scritto sopra, che era oggettivamente incorretto in quanto scritto di fretta. 😊
innanzitutto grazie per la risposta. hai ragione, il termine “lockdown vero” è impreciso e mi scuso di averlo usato.
sulla stampa di regime sfondi (sfondate) una porta aperta. secondo me ciò che è stato fatto in Italia ha poco senso, siamo il paese con più poliziotti in giro che posti in TI. l’articolo letto qui sopra sugli abusi in divisa è paradigmatico al riguardo.
o sul virus che si diffonde in aria.
come ho scritto prima, la gestione italiana del virus ha portato al disastro lombardo, con confindustria che punta il dito contro gli allevamenti che diffondono il virus.
volevo solo dare una fotografia della Svezia oggi, e del fatto che in mezzo alle inesattezze che scrivono in Italia la situazione è piuttosto seria. tra l’altro, c’è un problema piuttosto grande di carenza di medici, almeno a Stoccolma. molti si sono messi in autoquarantena.
forse è stato più uno sfogo, mi rendo conto. penso però di parlare a nome dei tanti ricercatori che vivono qui.
quindi ecco, non volevo puntare il dito contro voi e gli utenti che hanno lasciato commenti, né sembrare acido. mi scuso se ho dato quest’impressione.
Non c’è bisogno di scusarsi, si discute e qui nessuno si offende :-)
Approfitto di questo post sulla Svezia (e sui paesi nordici in generale) per sottoporre a chi ci vive e qui scrive una domanda/riflessione. La mia impressione antropologica da due soldi da Italiano che vive in Germania è di un differente approccio al rischio in generale tra il nostro paese e l’Europa del nord. Ho l’impressione che la percentuale di rischio insita nel vivere nei paesi del nord sia molto più accettata che in italia, dove il rischio è rimosso dalla coscienza collettiva più o meno in ogni ambito del vivere (a titolo di esempio ma non esaustivo rischio sanitario, idrogeologico, etc.. ma anche il fatto che qui a Berlino bambini di sei anni vadano a scuola da soli o con gli amici, cosa impensabile in una grande città italiana.) Tanto che quando succede qualcosa e il rischio esplode in italia si parla sempre di fatalità, tragedia, etc… Ma non c’è una riflessione sistematica sulle cause di quanto successo e sul rischio che succedesse. Questo si accompagna forse ad una maggiore responsabilità individuale nel momento in cui ognuno è portatore e ricettore di rischio come nella situazione attuale.
La mia impressione è che per questa maggiore accettazione del fatto che vivere è di per sé rischioso la gestione nordeuropea dell’epidemia sia volta più alla riduzione e mitigazione del rischio di contagio che alla sua cancellazione completa, come invece si cerca di fare (futilmente) in Italia. E tra l’altro la gestione emergenziale dell’epidemia in Italia fa il paio con la non-gestione dei rischi con cui siamo molto familiari. È come se la negazione del rischio impedisca la prevenzione e forzi ad una gestione reattiva dello stesso quando esso esplode. Mi piacerebbe se qualcuno dalla Scandinavia potesse confermare/confutare questa mia impressione. Spero di non essere troppo OT, nel caso cancellate pure.
” La scelta degli svedesi è quindi quella di “controllare” la diffusione del virus, lasciandolo circolare – con molte precauzioni – nella società, in modo da non oltrepassare la capacità ospedaliera e arrivare gradualmente ad avere una maggioranza di immuni.
In tale prospettiva, è prioritario proteggere i gruppi a rischio (come gli anziani, soprattutto quelli con patologie pregresse), testando solo le persone con sintomi acuti e introducendo alcune restrizioni, ma soprattutto affidandosi a una serie di raccomandazioni; contando cioè, più che sui divieti, sulla persuasione”
Più o meno la posizione sostenuta dall’inizio da Giulio Tarro, forse il più riconosciuto ed eminente virologo italiano.
Non mi metto fare il tifo per il virologo che mi piace di più di contro a quello che detesto, ma sta di fatto che sempre più tarro si pone, pacatamente, con riferimenti espliciti anche senza fare nomi e cognomi, come l’anti-burioni. Credo il patto trasversale per la scienza ci pensi 3 o 4 volte prima di attivare l’inquisizione contro di lui come fatto con la gismondo (per non menzionare i casi di montanari e byoblu…).
Ora sempre tarro si pronuncia sull’inutilità del vaccino. Solo che lui la testata di maggior “peso” che l’intervista é quella della fondazione Nenni. Il cardinal Burioni dice messa tutti i giorni alla cattedrale del cardinale Fazio. Credo proprio che il sistema mediatico come articolato “centro di potere” (corretta la definizione usata) si stia manifestando come un ibrido tra il ministero della verità e il sant’uffizio. Ci siamo educati, politicamente, da antagonisti, a combattere la repressione diretta, “il manganello”, come potevamo e quando andava bene. Potevamo ricordare meglio che il nazifascismo é stato in misura forse pari consenso di masse nazionalizzate. Ora che siamo nel punto d’apice della mobilitazione rinazionalizzante delle masse, forse é ora di riproporzionare il peso rispettivo di dispositivi di consenso e dispositivi di repressione nell’articolazione della governamentalità dispotica. Art
Però, per favore, mozione d’ordine, possiamo essere elastici e oltremodo laici, e arrivare molto più in là del confine della nostra zona di comfort, lo stiamo dimostrando da settimane, ma su Giap non “sdoganeremo” mai Byoblu, nemmeno implicitamente en passant. Mai.
In questo momento il rischio di un “ibrido tra il ministero della verità e il sant’uffizio” che si sta delineando (e non da oggi, ma con molta più energia e velocità oggi grazie alla crisi dovuta alla pandemia) credo sia molto reale e potenzialmente esiziale per ogni forma di opinione e di dissenso.
Questa è una delle maggiori preoccupazioni che ho.
Credo che sia necessario rifletterci.
Sono al limite inferiore di battute perché pur leggendovi da un po’ sono “nuovo” nella comunità e non vorrei uscire dal seminato o tantomeno violare la mozione d’ordine. Quindi ho cercato di essere sintetico.
Su Tarro ha fatto alcune considerazioni Girolamo De Michele qui, con annessa discussione.
Vorrei sapere da chi vive in Svezia com’è la situazione dell’informazione lì; a voi sembra ragionevole pensare che il premier si esponga a critiche sull’utilizzo della conferenza stampa, che il loro premier debba trovarsi, in una sorta di controffensiva politica e mediatica, a smentire o precisare notizie e spiegare al popolo la cattiva informazione che viene fatta? O che il loro premier possa esporsi continuamente con delle frasi autocentrate come “mi prendo tutte le responsabilità delle decisioni di questo governo”, dando un’idea davvero autocratica di cosa succeda nelle stanze di Palazzo Chigi? Inoltre, cosa arriva in Svezia sugli altri paesi?
In Italia sembra che si stesse aspettando da anni il momento in cui qualcuno, chiunque, “blastasse” la destra, i suoi simboli, le sue facce, appuntandoli al muro, mettendoli in punizione dietro la lavagna; la replica al premier arriva dall’altro “blastatore” per eccellenza, ovvero Mentana, da chi altri potrebbe arrivare? Mi sembra già che si possa parlare di “uomo forte” a causa di queste strategie di Conte che stanno sempre più nascondendo la squadra di governo e mettendo il suo faccione su tutto; il rivendicare le responsabilità soggettivamente lo rende praticamente un santo martire, alimentando la retorica secondo cui in un paese di irresponsabili, il papà che guida è necessario. In pratica, mi sembra che si stia legittimando agli occhi di populisti, destrorsi e sinistrorsi, di conseguenza legittimando anche il suo operato e rendendolo indiscutibile, grazie anche all’informazione terroristica che gira. In altri paesi, come viene gestito il discorso pubblico critico?
Tutte le distorsioni che avvengono mi sembrano il paradosso dell’uovo e della gallina: questo tipo di informazione è causa o sintomo di ciò che avviene in Italia?
Ritengo azzeccato l’intervento di Leone XXVI sulla differente percezione del rischio tra noi e i paesi nordici in generale. Amici residenti a Brema mi dicono la stessa cosa. La negazione del rischio in Italia è un fatto, per cui costruiamo sul letto dei fiumi o sulle pendici dei vulcani ma guai se qualcuno ci dice che questo potrebbe costarci la vita. Questa mentalità (fatalismo? menefreghismo? incoscienza? cattolicesimo?) calata sull’emergenza covid, si trasforma in improvviso panico da ritorno alla realtà; disabituati a gestire il rischio, a considerarlo parte normale della vita normale (guarda un po’, nel corso di una vita ci si potrebbe pure ammalare, addirittura morire), vorremmo eliminarlo con un colpo di bacchetta magica. Essere capaci di convivere col rischio, beninteso, non significa accettarlo passivamente, significa esattamente il contrario, come sostiene Leone, significa prepararsi e sapere come affrontarlo quando si presenta.
Detto questo, anche io mi auguro che qualcuno possa rispondere alle domande 2 e 3 di gigio.
Molto utili i commenti e le precisazioni in particolare di chi vive in Svezia, ma anche di chi ha corretto il tiro su Johnson; in effetti nell’articolo abbiamo messo insieme la sua dichiarazione sull’ineluttabilità di migliaia di morti e l’orientamento verso l’immunità di gregge espresso da alcuni epidemiologi inglesi.
Non abbiamo menzionato alcune cose, pure importanti, ma lo spazio è tiranno. Cerco di rispondere, anche a nome di Roberto, almeno ad alcuni punti.
In Svezia non è contemplato lo stato di eccezione (eh, già… due secoli di pace e una radicata posizione di neutralità), quindi anche volendo il governo non potrebbe assumere “pieni” poteri. Per giunta, il governo in carica in Svezia è debole, perché di minoranza. Quando ha proposto di assumere poteri straordinari, o meglio, accresciuti (ma non “pieni”!), tutti gli altri partiti (tranne i due più ributtanti: cristianodemocratici e criptonazisti) si sono opposti. Il compromesso è: il governo può adottare, dal 18 aprile al 30 giugno, provvedimenti urgenti senza passare, in prima battuta, per il Parlamento, che però è coinvolto subito perché gli viene immediatamente sottoposta la misura; se non la approva nel giro di due-tre giorni, il provvedimento viene ritirato. Fate voi il confronto con gli italici DPCM. Sulle fabbriche: alcune hanno interrotto o ridotto la produzione (tra loro Volvo e Scania), e c’è lo smart working quando possibile; tutto ciò è facilitato da misure di protezione sociale che sono universalistiche, e non, come in Italia, ritagliate sul singolo caso… ma non c’è uno stop della produzione. Ho scritto al sindacato svedese (LO) facendogli presente che i lavoratori italiani hanno scioperato per la loro salute, e chiedendo che cosa stessero facendo loro… nessuna risposta, ovviamente (e di altre mancate risposte su temi riguardanti la sicurezza dei lavoratori potrei raccontare), ma sul loro sito ci sono le linee guida per gli imprenditori, intese a garantire la sicurezza dei dipendenti. Non ho riscontri su quanto siano effettivamente applicate (nell’edilizia, ad esempio?) e quanto funzionino. Comunque vale per le fabbriche l’idea generale: se tutti fanno la loro parte, non c’è bisogno di intervenire dall’alto.
Un’altra cosa che è rimasta fuori dal pezzo è che anche parte della stampa internazionale maistream ha adottato la stessa strategia. Ancora oggi circola questo articolo https://www.independent.co.uk/news/world/europe/sweden-coronavirus-lockdown-doctor-death-certificates-latest-a9462796.html?fbclid=IwAR1qt5cC5j1-tHIaQIfY04szsrOwVNZtmCN0xsvdtWtFbOywMhNRiSiqKA0
in cui, a questo punto ovviamente, non c’è traccia del “second thoughts”. C’è il medico che dice di aver firmato tantissimi certificati di morte; l’epidemiologa che non parla di lockdown ma di mancanze che riguardano altri aspetti della gestione dell’emergenza; il matematico col suo modello.
Non possiamo che ripeterlo: non pensiamo affatto che la Svezia stia agendo in modo perfetto, ma fino ad ora sostanzialmente nessuno dice che il problema è stato non aver chiuso dentro casa le persone. Leggere in questo modo anche le critiche è totalmente sballato.
Sì in effetti è vero. L’attacco mediatico non proviene solo dall’Italia. Un esempio sono le due uscite di Trump nei giorni scorsi quando ha preso di mira la Svezia senza che nessuno glielo avesse chiesto. Nel primo intervento ha detto che la Svezia stava soffrendo moltissimo, mentre nella seconda ha affermato che se gli Usa avessero seguito la strategia svedese ora avrebbero avuto due milioni di morti. Qui è stato ovviamente ripreso dai media, ma la risposta dell’epidemiologo – non del Primo Ministro – è stata di non dar peso e ignorarlo. Postilla sui media italiani: anzitutto è bene ricordare come molti nostri conterranei qui, sin dalle prime avvisaglie, hanno posto in atto un’alzata di scudi notevole sui social, contattando media locali e italiani per denunciare quella che, a loro avviso, è una strategia che predilige l’economia alla salute (torna la dicotomia classica), chiedendo interventi “à la italiana”. Molti altri sono fuggiti in Italia con gli ultimi voli utili. Da questo polverone in poi, ho notato almeno tre/quattro tentativi di approccio ai gruppi social di FB degli italiani in Svezia da parte di giornalisti alla ricerca di persone (anche esperte o che lavorano in ambito sanitario) che avessero voluto contribuire con interviste, foto e video, tra essi anche un sedicente giornalista Mediaset che chiedeva video delle piazze e dei luoghi pubblici da poter trasmettere in tv. Tralascio la totale assenza di deontologia, nonché di professionalità. Questo per dare un quadro di come, spesso, si formano le basi di certi articoli e servizi che circolano in Italia.
Vivo in Svezia ma conosco la difficile situazione che state vivendo in Italia. Quindi credo di capire perché l’opzione del laissez faire lockdown svedese possa sembrare un’alternativa da prendere considerazione.
Il resoconto mi sembra accurato ma ho trovato un’imprecisione quando Quirico e Salerno scrivono a proposito del “contagio nelle case di riposo scoperto solo quando i morti si contavano ormai a decine”. Da quello che sappiamo in Svezia, in Italia non avete ancora scoperto il contagio nelle case di riposo. Ieri, durante la conferenza dell’Agenzia per la Salute Pubblica, siamo stati informati che “in Italia vengono contati soltanto i decessi ospedalieri”, pertanto i dati svedesi non sono comparabili a quelli italiani. In Svezia, invece, sappiamo che metà dei decessi sono avvenuti nelle case di riposo. Del resto, se il virus circola liberamente nella società finisce con l’infettare soprattutto i gruppi più vulnerabili. Ed il personale delle case di riposo qui può ancora frequentare pub o mandare i figli a scuola.
Ieri il principale quotidiano svedese ha pubblicato un intervento di 22 scienziati svedesi che invitano il governo ad introdurre misure più restrittive perché il numero dei morti (per milione di abitanti) è stato più alto che in Italia tra il 7/4 e il 9/4. Il commento del portavoce dell’Agenzia per la Salute Pubblica che ho riportato più sopra, riferito alle modalità di conteggio dei decessi in Italia, è stata proprio la risposta istituzionale a quell’articolo.
Credo che ci sia un’imprecisione anche nella nota finale. Le linee guida svedesi non sono simili a quelle italiane. La differenza è che in Svezia vengono applicate per selezionare i pazienti quando vi sono ancora posti disponibili nei reparti di terapia intensiva. A volte viene somministrata la morfina a pazienti che potrebbero sopravvivere alla terapia intensiva (https://sverigesradio.se/sida/artikel.aspx?programid=5335&artikel=7445616). C’è chi sostiene che vi sono ancora posti disponibili nei reparti di terapia intensiva proprio perché vengono già applicate queste linee guida. E sono medici svedesi e dirigenti sanitari a sostenere questo (https://kvartal.se/artiklar/hardare-prioriteringar-gors-redan-trots-att-iva-platser-star-tomma/).
Ciao Simone, rispondo sulla nota dicendo quali fonti abbiamo utilizzato. Leggendo – con un po’ di consulenza esterna e un po’ di traduzione automatica in inglese – i «Nationella principer för prioritering inom intensivvård under extraordinära förhållanden» pubblicati sul sito della Socialstyrelsen, non siamo riusciti a trovare significative differenze rispetto alle linee-guida italiane. In particolare dove dice:
«I linje med människovärdesprincipen får prioritering inte ske utifrån patientens kronologiska ålder i sig. Däremot är det tillåtet att ta hänsyn till patientens biologiska ålder, det vill säga vilken patientnytta som är möjlig given patientens biologiska tillstånd. Det innebär att en person med en låg kronologisk ålder men en hög bräcklighet kan komma att prioriteras lägre än en person med en högre kronologisk ålder men större förmåga att klara och leva vidare efter intensivvård. Prioritering får inte heller ske utifrån patientens sociala situation eller ställning, eventuell funktionsnedsättning eller utifrån huruvida patienten själv bidragit till att orsaka sitt tillstånd.»
[In linea coi principii dell’umana dignità, la priorità non è basata meramente sull’età anagrafica del paziente. È comunque ammissibile prendere in considerazione l’età biologica del paziente, cioè quale beneficio al paziente sia possibile data la sua condizione biologica. Ciò significa che una persona anagraficamente più giovane ma in condizioni più precarie può avere priorità inferiore a quella di una persona più anziana ma con più possibilità di sopportate la terapia intensiva e sopravviverle. La priorità non può nemmeno essere basata sulla situazione o posizione sociale del paziente, né su qualsivoglia disabilità e nemmmeno sul fatto se il paziente sia o meno causa della sua stessa condizione.]
Questi principii-guida, spiegati senza tecnicismi, sembrano in buona sostanza gli stessi che troviamo applicati in Italia, dove sono solo spiegati in una lingua più involuta.
E anche in Italia, a quanto ci risulta, queste linee-guida vengono seguite quando ci sono ancora posti in terapia intensiva, perché servono a prevenire la saturazione, non scattano quando si è già verificata.
Se abbiamo sbagliato qualcosa, nel leggere il documento svedese e compararlo con il suo corrispettivo italiano, segnalatecelo. Grazie.
P.S. Vorrei precisare che noi siamo per la sanità come diritto universale e gratuito, e quindi preferiremmo di gran lunga che il maggior numero auspicabile di persone potesse avere accesso alle cure intensive se ne ha bisogno, pensiamo si debba lottare perché non ci siano più «priorità» dovute a una “penuria” di servizi artificialmente creata da leggi di mercato, dall’aziendalizzazione dei sistemi sanitari. Però i media italiani non possono descrivere gli svedesi come criminali quasi alla stregua di Mengele se poi si scopre che applicano linee-guida diffusissime e applicate anche da noi.
Ciao WM1, spero converrai con me che si tratta di argomenti delicati e complessi e sarebbe opportuno non fare confusione. Premetto che io, rispetto a te, ho soltanto il vantaggio di conoscere lo svedese e di aver già consultato colleghi che si occupano di queste cose. L’ho fatto molto prima che questo post fosse pubblicato. Lavoro in università ma mi occupo di tutt’altro.
Il documento del Karolinska che hai menzionato nella nota è diverso da quello di Socialstyrelsen. Il documento del Karolinska (che è un ospedale) individua effettivamente tre fasce d’età: >80, 70-80 (problemi a + organi), 60-70 (problemi ad 1 organo). Il documento del Socialstyrelsen (che è un ente governativo nazionale) invece individua 3 gruppi di pazienti (p. 8). Il primo gruppo sono i pazienti che, secondo i medici, hanno la possibilità di sopravvivere >1 anno dopo il trattamento. Il secondo gruppo è rappresentato dai pazienti che hanno la possibilità di sopravvivere 6-12 mesi. Il terzo gruppo sono quelli che (sempre secondo i medici) non hanno possibilità di sopravvivere. Non mi sembra che avevi menzionato questo documento nella tua nota. Comunque, se vogliamo fare un raffronto con le linee guida italiane, in Italia generalmente si considera la probabilità di avere un outcome positivo a fine trattamento – non dopo un anno o sei mesi. È molto diverso in termini di selezione dei pazienti.
Comunque non avevo scritto il mio commento perché volevo iniziare una discussione tecnica con voi riguardo alle linee guida adottate nei nostri paesi. Come ho detto, si tratta di un argomento che esula dalle mie competenze. Forse non sono stato chiaro, ma volevo mettere in evidenza una differenza importante tra la Svezia e l’Italia. Secondo alcuni medici e dirigenti sanitari svedesi queste linee guida (previste per “circostanze eccezionali”) vengono già applicate anche se vi sono ancora posti liberi nei reparti di terapia intensiva. Pertanto l’accesso alle terapie intensive non viene concesso a pazienti che potrebbero sopravvivere. A me non risulta che questo sia accaduto in Italia all’inizio della pandemia quando c’erano ancora posti in terapia intensiva.
Non mi sembra che tu abbia risposto nel merito.
A me sembra di avere risposto nel merito. Il merito era un’imprecisione che rilevavi nella nostra nota: le linee-guida citate per l’Italia non sarebbero le stesse della Svezia. Ok. Ho risposto spiegando su cosa abbiamo basato la nota, linkando la fonte. Non per avere ragione a tutti i costi, ma per consentire ad altre/i di verificare, fare i propri riscontri, valutare.
Ho citato il documento Socialstyrelsen per il semplice motivo che quel documento è esplicitamente richiamato come punto di riferimento nel primissimo capoverso di quello del Karolinska pubblicato su Aftonbladet, dove lo ha letto Lopalco. Da Karolinska/Aftonbladet siamo risaliti a Socialstyrelsen.
Nel cercare di approfondire ulteriormente, mi sono imbattuto nell’articolo di un italiano in Finlandia che ha fatto più o meno lo stesso percorso a ritroso dal post di Lopalco a Socialstyrelsen, con alcune differenze non sostanziali. Mi sembra giusto, per completezza, linkarlo.
Lo dico subito: non depone a favore dell’autore l’inciso en passant improntato allo scetticismo sul surriscaldamento globale (con la solita confusione tra “tempo che fa” e clima). Questo per dire che abbiamo poco a che spartire con lui, dunque l’insofferenza per la campagna mediatica antisvedese è trasversale. Ad ogni modo, sulle asserzioni di Lopalco è andato alle fonti.
Questo è quello che cerchiamo di fare sempre anche noi: non fermarci agli articoli di stampa o consimili fonti (quando va bene) secondarie, ma andare ogni volta che è possibile alle fonti primarie e prendere in esame quelle, condividendole con chi ci legge,. Un metodo che non rende immuni dall’errore, intendiamoci, ma che ci sembra il più corretto.
Con il mio commento precedente ho cercato di spiegare la differenza tra le linee guida del Karolinska Institutet di Solna (si scrive così, e non “Solma”) e quelle redatte da Socialstyrelsen per tutta la Svezia. Queste ultime sono note da tempo, cioè prima che iniziasse la discussione (in Svezia) sul più recente documento del KI.
Lo ripeto: si tratta di documenti diversi tra loro.
Al lettore che volesse approfondire la questione, consiglio di leggere anche (e forse soprattutto) la stampa svedese, magari con l’aiuto di un traduttore automatico. Per esempio, si potrebbe partire dall’articolo su Aftonbladet menzionato più sopra da WM1 (link: https://www.aftonbladet.se/nyheter/samhalle/a/lAyePy/dokument-visar-de-prioriteras-bort-fran-intensivvard ).
Si potrebbe provare a tradurre questo estratto di quell’articolo che secondo me spiega bene le differenze tra i due documenti:
”Direktiven från Karolinska sjukhuset bygger på de riktlinjer som Socialstyrelsen har gått ut med angående intensivvård under extraordinära förhållanden, vilket coronaepidemin är. Men Socialstyrelsens riktlinjer innehåller inga detaljerade direktiv om åldersgrupper. Det står dock att det är tillåtet att ta hänsyn till patientens biologiska ålder. Prioriteringar utifrån en patients kronologiska ålder får dock inte ske”.
Fino ad adesso abbiamo provato a discutere delle differenze tra Svezia e Italia. Però fuori dai confini europei, Italia e Svezia non sembrano così diverse tra loro. Il caso svedese appare semplicemente come la massima espressione di quell’”eccezionalismo” che ha portato i governi (ma anche molti semplici cittadini) dei paesi occidentali a non considerare l’esperienza dei paesi non-occidentali nella gestione dell’epidemia. A questo proposito, consiglio la lettura di questo:
https://www.telegraphindia.com/opinion/fatal-exceptionalism-and-lack-of-humility-to-learn-from-the-asian-example/cid/1762064
Ne consiglio la lettura perché, almeno per quanto mi riguarda, la discussione che si sta svolgendo su questo blog mi sembra una manifestazione dello stesso tipo di “eccezionalismo occidentale” di cui si parla in quell’articolo.
Beh, non direi. Da settimane riportiamo e discutiamo insieme esperienze, testimonianze e analisi da Cina, Corea, India, Giappone, Taiwan, Sudafrica… La critica al lockdown «all’italiana» l’abbiamo basata anche su quel che si è imparato in Cina facendo i «corridoi sanitari» e la quarantena fuori casa dei positivi. Abbiamo linkato più volte analisi al riguardo, in molti thread.
Per il resto, apprezziamo ogni suggerimento e nuova fonte e ulteriore problematizzazione, dunque ti ringraziamo e attendiamo eventuali altri interventi.
Abbiamo aggiunto alla nota un link diretto alle tue obiezioni e precisazioni, e allo scambio che ne è seguito.
Un ulteriore “scavo”, partendo dall’articolo linkato poco sopra. Maccari scrive, senza però linkare fonti: «All’insorgere dell’emergenza, la Svezia, con un notevole investimento di risorse, ha triplicato i letti di terapia intensiva in poche settimane, e ha al momento oltre 700 posti in totale. I ricoveri attuali sono poco più di 400, stabili da diversi giorni, quindi il sistema è ancora molto capiente. Non risultano mancate ammissioni di pazienti date dall’applicazione delle raccomandazioni.»
Questo lo scriveva il 13 aprile, l’altroieri. Lo stesso giorno, stando a quel che leggo alla voce 2020 coronavirus pandemic in Sweden, «the National Board of Health and Welfare reported that the total number of ICU beds had risen to 1039, with an occupancy of 80%». C’è scritto che prima dell’emergenza i posti erano 526, quindi non risulta che siano «triplicati» come scrive Maccari. Sono “solo” quasi raddoppiati.
Non so dire su quale fonte si basi Maccari per dire che non ci sono state mancate ammissioni in base alle raccomandazioni, però sul sito del SIR (Svenska Intensivvårdsregistret) c’è l’elenco, aggiornato a cadenza quotidiana, dei ricoveri in terapia intensiva per Covid-19, con vari dati, tra cui l’età media e mediana dei pazienti, il loro genere e le percentuali di quanti oltre al Covid abbiano altre patologie.
Risulta, al momento, che ci siano stati 970 ricoverati, che l’età mediana sia 61 anni (cioè metà dei ricoverati ne ha di meno e metà ne ha di più), che il 23% dei ricoverati avesse problemi cardiovascolari o polmonari cronici, che il 4,3% avesse problemi epatici o renali cronici, e che in generale il 74,4% presentasse fattori di rischio. Questi ultimi possono includere, oltre ai già elencati, l’età avanzata (over 65), ipertensione, diabete, disabilità varie…
Ergo, soltanto il 25,6% dei ricoverati in terapia intensiva ci è entrato senza avere altre patologie o età avanzata o altri fattori di rischio. In genere sono quelli con la più alta probabilità di reggere l’impatto e sopravvivere. Se andasse come stanno dicendo certi detrattori del “modello svedese”, questa percentuale non dovrebbe essere più alta, e molto più bassa quella di chi viene ammesso alla terapia intensiva pur essendo anziano e malmesso?
Non mi sembra un quadro improntato a un terribile “darwinismo” social-sanitario, anzi, mi sembra che i dati facciano pensare – scusate l’espressione terribilmente impropria – a una certa (a mio avviso giustissima) “manica larga” nell’ammettere alla terapia intensiva.
Ancora una volta, se ho sbagliato qualcosa nel leggere i dati, i link sono lì, fate le vostre verifiche.
Chiamato in causa, intervengo – anzitutto grazie del link, che ricambierò a breve sulla mia pagina Facebook.
Riguardo alla battuta sul cambiamento climatico, vi chiedo la cortesia di passarmela come sarcasmo da autocommiserazione, visto che sono 4 giorni che nevica ininterrottamente qui al confine tra Finlandia e Svezia. (Sull’argomento si potrebbe discutere a lungo, e sarò felice di intervenire in separata sede se vorrete).
Passiamo al sodo, e cioè alla Svezia. Vi rispondo punto per punto La struttura del sistema sanitario svedese è regionale, e nessuno sa quanti letti di terapia intensiva ci fossero prima dell’inizio della pandemia, in quanto alcune regioni per motivi di privacy si rifiutavano di pubblicare dati (e ancora lo fanno). Vi cito un sondaggio fatto su 53 ospedali che rivela 480 letti, anche se a detta di molti medici solo una parte di questi erano usufruibili nello stesso momento a causa di carenza di personale.
https://sjtrem.biomedcentral.com/track/pdf/10.1186/s13049-020-0701-8
Questi letti sono stati recentemente aumentati fino a raggiungere il numero di 700, e poi (come da annuncio di ieri) 1064: https://sverigesradio.se/artikel/7452786
Ad oggi ne risultano occupati 954, quindi il sistema è apparentemente saturo al 90%.
In effetti nello scrivere l’articolo ho confuso l’aumento dei letti nella regione di Stoccolma (triplicato) con quello a livello nazionale (solo raddoppiato, come dite voi). La regione di Stoccolma, più densamente popolata, aveva meno letti per 100mila abitanti di tutte le altre, ma è stato lì che si sono concentrati i casi di CoViD-19, soprattutto nei quartieri ad alta densità di immigrati.
https://sverigesradio.se/artikel/7452140
I posti in terapia intensiva sono 1064 ma in questo numero sono contati anche gli ospedali da campo costruiti dall’esercito nelle scorse settimane (da cui il “raddoppio”). L’equipaggiamento di questi ospedali è vecchio e in parte inutilizzabile. In alcuni mancano addirittura gli allacci per acqua e fogne. I medici non sono certi di poterli utilizzare ( https://www.aftonbladet.se/nyheter/a/kJr17j/faltsjukhus-far-allvarlig-lakarkritik-leker-med-manniskors-liv ).
In generale, c’è una carenza di materiali/medicine e non ci sono fabbriche la cui produzione può essere convertita. Stanno finendo gli anestetici e si stanno utilizzando quelli per animali ( https://sverigesradio.se/sida/artikel.aspx?programid=83&artikel=7450078 ). Siamo probabilmente l’unico paese europeo in cui il personale sanitario lavora in maniche corte con i malati di Covid-19 (terza figura qui: https://vardgivarguiden.se/globalassets/kunskapsstod/vardhygien/smittamne-handlingsprogram-och-riktlinjer/omhandertagande-av-patient-med-feber-eller-luftvagssymtom.pdf ). Secondo le autorità può essere difficile lavorare con troppe protezioni ( https://www.dn.se/nyheter/sverige/lakare-och-vardpersonal-det-kanns-som-vi-offras/ ). Alcuni medici non la pensano uguale e qualcuno si è presentato in reparto con l’impermeabile. Per risparmiare i materiali è stato chiesto ai dentisti di accettare soltanto i pazienti gravi ( https://www.svd.se/risk-for-samre-tander-i-virusets-spar ).
WM1, il dato che riporti sul numero di pazienti in terapia intensiva, e l’età mediana, è corretto e potrebbe essere interpretato come proponi tu. Altrimenti può essere interpretato come ha fatto oggi la televisione di stato svedese, secondo la quale alcuni ospedali, tra cui il Karolinska Institutet (da te “giustificato”), ormai rifiutano le cure ai pazienti anziani, anche se ci sono posti disponibili:
https://www.svt.se/nyheter/inrikes/larm-om-att-patienter-prioriteras-bort-ivo-gor-tillsyn-pa-karolinska
C’è una indagine in corso da parte delle autorità. Però se fai circolare il virus liberamente e hai pochissimi posti in terapia intensiva, poi purtroppo non puoi curare tutti.
Non capisco e mi stupisco.
Io sta byoblu la conosco solo per aver visto qualche intervista la sopra….
Ma quindi la censura si può denunciare solo quando colpisce chi ci é più vicino?
Ma soprattutto:
Il messaggio é piuttosto censorio a sua volta…
“Qua questo non si fa”. Suona così.
Ho capito bene?
Mi riferisco ai termini generali della moderazione qua sopra, non mi interessa porre una questione byoblu, ne so molto poco del blog in questione… In generale, appunto, potrei essere inadatto, per cui come son spuntato posso evitare altre sortite, basta saperlo.
Ecco, il fatto che tu non conosca bene Claudio Messora aka Byoblu e il suo sito su cui pubblicano fascisti assortiti (svariati nomi in comune col giornale di Casapound) ci conferma che avvertire prima, e mettere dei paletti ben conficcati, è più che mai necessario.
È importante denunciare l’atteggiamento di Burioni & Co. in generale, ma non si può dare adito in alcun modo a mestatori e bufalari, né si può dare l’impressione che tutto sia uguale a tutto.
La nostra critica può restare acuminata e utile se rimane credibile e fondata. Non rimarrà acuminata se la smussiamo facendo mucchio con balenghe teorie della cospirazione, scemenze reazionarie, tòpoi cari alle estreme destre di tutto il mondo, pseudoscienza da ciarlatani ecc. Qui sopra niente deliri sulle scie chimiche, niente stronzate su Soros che orchestra le migrazioni, niente vaneggiamenti sui Rothschild, niente negazionismo climatico, niente idiozie sul signoraggio, niente Benetazzo, Fusaro o Totolo se non – quando è proprio necessario – per smontarne le (parola grossa) “argomentazioni”.
Nella colonna destra di questo blog c’è scritto chiaramente che qui vale la discriminante antifascista. Sul blog di Messora, che è un festival di rossobrunismi e deliri destrorsi, tale discriminante è ben lungi dal valere. Non vogliamo in alcun modo essere confusi con quella roba, e quindi era per noi imperativo chiarire che essere contro il burionismo non può voler dire stare con chiunque sia contro Burioni. Il nemico del mio nemico non è per forza mio amico.
Be…
Utile per me l’informazione su byoblu.
Condivido la valutazione sui complottisti (che comunque non son tutti uguali) e su Fusaro & Co.
Non posso tacere però che l’accostamento di Montanari ai suddetti é improprio, si condividano o meno le sue posizioni. Byoblu é stata individuata come obiettivo, da segnalare alle autorità x l’oscuramento, in quanto ha ospitato più interviste a montanari, che per chi ha militato in qualche movimento no Inc é stato, ed é, un riferimento scientifico importante.
È probabilmente, almeno in parte, lo sarà x l’approfondimento circa l’associazione tra diffusione del covid 19 e inquinamento micro e nano particelle e patologie connesse.
A prescindere dalle valutazioni sul singolo intervistato, chiunque sia, per noi è un grosso errore rilasciare interviste a Byoblu, perché poi appunto si viene percepiti come in comunella con freak assortiti e bisogna fare la fatica di districarsi (posto che lo si voglia).
Ciao,
scusa se torno sull’argomento, ma vi cito:
«È importante denunciare l’atteggiamento di Burioni & Co. in generale, ma non si può dare adito in alcun modo a mestatori e bufalari, né si può dare l’impressione che tutto sia uguale a tutto. La nostra critica può restare acuminata e utile se rimane credibile e fondata. Non rimarrà acuminata se la smussiamo facendo mucchio con balenghe teorie della cospirazione, […]ecc
[…]
A prescindere dalle valutazioni sul singolo […], per noi è un grosso errore rilasciare interviste a […], perché poi appunto si viene percepiti come in comunella con freak assortiti e bisogna fare la fatica di districarsi […].»
Ecco, grazie per averlo spiegato. Sono contento di aver credo compreso esattamente il disclaimer e le ragioni che ne stanno alla base, che qui sono molto ben spiegate.
Esiste il doppio rischio di essere strumentalizzati / sdoganare gruppi o persone con idee opposte alle proprie o “freak assortiti” come dite voi, e anche di esserne accomunati e deleggitimati.
Il mio spunto di riflessione, da persona non del tutto laica e anche un po’ ingenua, era però che così facendo si rischia di perdere “dei pezzi” di dissenso e di analisi.
Mi rendo conto alla luce di quanto sopra che sia un prezzo da pagare per poter mantenere la barra dritta e “la critica acuminata”, ma mi spiace.
Son riflessioni che facevo già anni fa, da (ormai ex) elettore del primo PD quando sono nati i 5S.
Molte delle istanze arrivate assolutamente dal basso nei primi vaffaday io le avrei sottoscritte subito, e continuo a credere che avrebbero dovuto diventare “cose” della sinistra. Invece si è buttato via il bambino con l’acqua sporca e abbiamo visto tutti come è finita (ricordo i vostri post ).
Tornando al tema nel mondo “freak” c’è molta più attenzione alle tematiche psicologiche e di controllo sociale del lockdown di quanta se ne potrà mai trovare nell’elettore medio di centro-sinistra, razionale, e debunker per hobby senza i requisiti, che però oggi, con la “paura fottuta” di quel che sta capitando, aderisce tout court a qualunque narrazione securitaria e colpevolizzante esca dai media.
Come possiamo non sprecarla e indirizzarla su una strada più razionale?
Ri-scusa, continuo perché prima ero giusto coi caratteri ma mi è scappata qualche precisazione.
A parte che deleggitimati non credo esista, volevo dire delegittimati… :)
Ma soprattutto volevo chiarire il concetto di mondo “freak” usato sopra nella mia ultima frase.
Intendo vari mondi e personaggi genericamente “new age” / “controinformazione” senza nessuna consapevole o manifesta connotazione di destra politica.
Sull’inconsapevole e eventualmente “non manifesta” non mi pronuncio perché credo che quello sia un tema estremamente scivoloso che non padroneggio del tutto.
Poi ci sono anche quelli che invece sono “consapevolmente” e manifestatamente a destra ma spero sia ovvio che quelli sono fuori dal mio campo di analisi e dalla riflessione del mio post.
Ciao.
Grazie. Purtroppo mi sto battendo contro la stessa ignoranza, visto che continuo a ricevere richieste di interventi e commenti. Abito in Svezia da 11 anni, ed è insopportabile vedere girare così tanta ignoranza da parte della stampa italiana (anche quella che dovrebbe essere affidabile).
Anche in Svezia hanno iniziato ad incazzarsi per le bugie di Repubblica e Corriere:
https://www.expressen.se/kronikorer/jennifer-wegerup/italienska-rapporteringen-om-sverige-mork-och-falsk/?fbclid=IwAR1FqgypTZACHxML9r4rhla_xKoYNRhXTpuzm5c6g5oCraUo6y0TaSvlUh0
Aggiungo un paio di interventi dal mio blog (se permessi, altrimenti rimuovete pure).
https://unitalianoinsvezia.com/2020/04/10/covid-19-ricapitolando/
https://unitalianoinsvezia.com/2020/04/12/la-disinformazione-di-repubblica/
A me hanno iniziato a fare arrabbiare gli Italiani in Svezia che si sono laureati in epidemiologia su Facebook e continuano a condividere link su link contro il governo e Tegnell E sì, lo facevo pure io all’inizio, finché non mi sono reso conto che sono cose su cui non ho alcuna competenza, e che non è il caso di aggiungere rumore su rumore alla rete.
Sia chiaro, non sono in grado di giudicare la linea adottata: non so dire se facciano bene o male. E sono felicissimo che ci sia un dibattito aperto fra _gli studiosi_.
Poi chi vivrà vedrà.
Grazie per questo commento. Sono d’accordo. Inizialmente ero molto scettico anche io, al punto da essere sono tra i più avvelenati contestatori della linea politica adottata dal governo svedese. Ma poi, pian piano, ho capito e accettato non solo la situazione, ma anche la mia ignoranza in merito. Sono stato “accecato” dai provvedimenti italiani e non perché fossero giusti tout court, in quanto lodevoli ed autentici modelli, bensì – a pensarci bene ora – perché quelli presi in Svezia erano (e sono) troppo diversi, inferiori, non degni di essere chiamati tali perché minimi. Come si legge nell’articolo, molti di noi si sono convinti che
“«un’altra strada non c’è» e che se qualcuno si discosta dalla nostra è un irresponsabile, uno che comunque tornerà presto sui propri passi, pagando cara la deviazione dalla via maestra”.
Italia e Svezia sono diverse, sotto moltissimi punti di vista e sono anche in due fasi completamente diverse dell’epidemia. Non esiste una misura esatta e una sbagliata. Esistono autorità competenti e persone che lavorano notte e giorno per un comune obiettivo. Adottano metodologie diverse, ma nessuno può arrogarsi il diritto di avere il ‘facit i handen’ e ritenersi superiore all’altro. Nessuno, in realtà, dovrebbe permettersi di speculare e infangare il duro lavoro altrui. Tegnell è discutibile, si dice, vorrei dirlo anche io, sbandierarlo ai 4 venti, ma poi penso: ma che basi concrete abbiamo per dirlo, provarlo e soprattutto sindacare sul suo lavoro? Anche io, pertanto, seguo il dibattito tra gli studiosi e sono contento, perché così posso VERAMENTE saperne di più. Ed è in base al posizionamento di Tegnell tra gli studiosi che difendo l’idea che sia discutibile. Ma è solo la mia opinione. Credo debbano farsela tutti, usando le giuste fonti…
Salve a tutti, abito in Svezia da 12 anni. Una cosa importantissima che il governo ha fatto è stata quella di raddoppiare lo stipendio agli infermieri. Senza la necessità di dover usare la parola eroi, come fatto altrove, sono stati fatti eroi dando loro l’unica medaglia che conta in questa civiltà: il denaro. Oltre a ciò hanno tolto il giorno di carenza in caso di malattia: il primo giorno di solito risultava non pagato invece ora viene pagato fino a pandemia conclusa. La Svezia è intervenuta immediatamente e con una strategia e si dimostra ancora aperta al cambiamento nel caso in cui tutto dovesse andare a quel paese. Credo che non siano per nulla arroganti ma al contrario umili al punto da dire: non ci sono studi che ci consentono di fare altrimenti. Ultimo non meno importante: il 99% degli italiani residenti in Svezia È contro le scelte svedesi. Siamo davvero in pochi a pensarla “alla svedese”.
Io sono uno di quelli che non sa come pensarla. :-)
Trovo che, non avendo le competenze, schierarsi da una parte o dall’altra sia solo una questione di tifo, istinto, non testa.. Posso solo sperare che, alla fine, abbiano ragione loro.
Come detto, sono molto contento che 22 ricercatori abbiano sollevato la questione. Spero che ne esca un buon dibattito. Spero che alla fine si facciano le scelte giuste e che la soluzione italiana si riveli la migliore per l’Italia e quella svedese la migliore per la Svezia.
Sicuramente, da Svedese (che si è messo in isolamento volontario, ma che comunque può uscire a fare una passeggiata), trovo assurde certe cose che vedo succedere in Italia, come gli insulti ai runner che se ne stanno solitari e praticano il distanziamento sociale. Cioè, capisco anche, per quanto lo trovi estremo, che lo stato non voglia fare eccezioni per evitare di dare scuse ai furbetti che fanno finta di correre per fare altro… ma la rabbia e il sangue agli occhi della gente mi fanno paura.
“Non direi che gli italiani siano indifferenti alle regole, ma certo non mostrano un senso civico all’altezza di altri paesi e diciamo una certa abitudine all’interpretazione.” Considerazioni come questa rappresentano benissimo cio` che, ricollegandomi al post precedente a questo ( https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/04/classe-operaia-e-coronavirus/ ), D.Hunter ritiene essere uno dei problemi della sinistra, anche di quella radicale: il paternalismo “inconsapevole”. L’interpretazione che l’Italiano da` della legge puo` essere arbitraria ma` cio` e` dovuto al fatto che l’Italiano e` pienamente consapevole del fatto che l’applicazione della legge, nel suo paese e` palesemente arbitraria. Il senso civico degli “altri paesi” e` un mito, non esiste e non e` mai esistito; e` una posa che i cittadini “nordici” adottano; l’atteggiamento in questi paesi “altri” e` diverso dal modo di rapportarsi verso la legge che e` comune in Italia per ragioni pratiche, di vita quotidiana; bisogna inoltre consderare i due differenti sistemi legali in uso in Italia e, per esempio, negli US of A. Insomma, chiunque abbia vissuto in un paese “nordico” per qualche tempo avra` sicuramente fatto esperienza e si sara` res* conto del fatto che a “fermare” il cittadino “straniero” e` principalmente la paura della sanzione e non un qualche innato senso civico; e` la consapevolezza che, non solo in casi di emergenza dichiarati e anche e sopratutto per la “middle class” esiste the “rule of law”.
Paura della sanzione? In Svezia? Il paese dove si punta quasi tutto sulla comunicazione?
Penso alla raccolta differenziata della spazzatura: in Italia ti vengono a controllare i sacchetti, si appostano dai bidoni e se sbagli l’orario o il contenitore ti fanno la multa. In Svezia ti dicono che devi fare la differenziata e la fai, non c’è alcuna sanzione.
L’Italia è il paese basato sulla sanzione, c’è una micro- o macro- sanzione per tutto. In Svezia ci sono molte meno regole, c’è molta più comunicazione, il senso civico viene insegnato sin da bambini. È questa la differenza!
Per conoscenza, comunicato dell’Ambasciata svedese in Italia pubblicato poco fa:
«Abbiamo notato che negli ultimi giorni si è generata una spirale di disinformazione su media autorevoli in Italia. Ad esempio, un intervista del Primo Ministro svedese Stefan Löfven alla televisione svedese è stata estrapolata dal suo contesto e citata in maniera non corretta.»
Prosegue qui.
Qui invece alcune risposte piccate del giornalista di Repubblica Andrea Tarquini a chi gli faceva notare errori e omissioni nei suoi articoli sulla Svezia.
Lo stesso Tarquini ha praticamente appena accusato su Twitter l’Ambasciata svedese di essere l’organo di una dittatura https://nitter.net/atarquini2/status/1250470503388712962?s=21
Le discussioni hanno ormai assunto un tono surreale, con lui che continua ad attaccare tutti quelli che criticano i suoi articoli, accusando una giornalista svedese di essere “filogovernativa”.
Tutti gli italiani in Svezia gli fanno notare che l’intervista a Löfven è stata riportata in maniera falsa, e lui continua a trincerarsi nel suo mantra che Repubblica fa informazione.
Madonna, che sprofondamento di registro… Siamo sul fondo del barile della retorica più vieta. Ha appena scritto: «Non ebbi paura in prigioni comuniste a Praga nè a Bucarest sotto i cecchini della Securitate, voi e le verità ufficiali svedesi non mi fate paura.»
Un effetto collaterale: l’aumento di mortalità per le malattie cardiovascolari
Ho cercato di capire come si contestualizza la mortalità per coronavirus rispetto alla mortalità in generale in Italia e rispetto agli anni precedenti, non si trova molto ma qualcosa ho trovato
Il sito Istat pubblica una serie di tabelle sui dati di mortalità in Italia, comparati con gli anni precedenti.
Sono scaricabili qui https://www.istat.it/it/archivio/240401
Nella comparazione sul solo mese di marzo19-marzo 2020 emerge un raddoppio del numero dei decessi in Italia.
Il dato è relativo a circa 1500 comuni (tabella sintetica.xls, ma si può considerare plausibile a livello nazionale). Dalla tabella “Totali regionali 2015-2019” si rileva un andamento più o meno costante negli ultimi 4 anni a livello nazionale intorno ai 50 mila decessi/anno per il mese di marzo.
Per estensione quest’anno siamo in presenza di un raddoppio della mortalità e non sembra tutta ascrivibile al virus, quali altre cause stanno determinando questo trend?
Secondo un inchiesta del sito tpi.it sono le malattie cardio vascolari.
https://www.tpi.it/cronaca/coronavirus-dimezzati-ricoveri-infarto-mortalita-tre-volte-superiore-20200411583245/
Le malattie cardiovascolari sono già la prima causa di morte in Italia e la prima causa di decesso per coronavirus per i casi con patologie pregresse.
L’elemento aggiuntivo che sembra emergere è che le persone non vanno al pronto soccorso anche in presenza di infarti, ictus, ecc).
Anche la sedentarietà, il dover stare fermi chiusi in casa accentua questi fenomeni patologici e l’aumento di mortalità. In sostanza per vietare alle persone di uscire si sta aumentando a dismisura il fenomeno delle patologie cardiovascolari. Occorrerebbe porre fine a questi assurdi divieti a camminare da soli e invece come hanno fatto nei paesi civili invitare le persone a uscire, ovviamente con tutte le precauzioni del distanziamento fisico e delle protezioni laddove servono. Manca in Italia la percezione collettiva di questa altra tragedia silenziosa che si sta consumando.
la notizia relativa ai 22 ricercatori è stata in modo molto intressante commentata in questo articolo:
https://www.expressen.se/blogg/schulman/2020/04/ett-intellektuellt-haveri/?fbclid=IwAR1It3YWxi3t4c7fOVnkbZtm4h6fqtYG1qqOfux1XpgfHVdD9p5Jx81c0Zc
Dall’altro lato comprendo ciò che dici in merito alla questione del tifo ma non concordo poichè i dati danno ragione alle scelte fatte dalla FHM. Io lavoro per lo stato e da uomo di stato comprendo e appoggio le scelte non tanto per lealtà nei confronti di chi mi paga ma più per la fiducia nel FHM che al momento, ripeto, ha effettuato scelte intelligenti dimostrando di conoscere la popolazione. La critica la farei a chi negli anni 90 / 2000 ha portato avanti politiche di integrazione che in questo momento hanno il loro peso: i somali sono infatti la popolazioni che sta pagando di più in questo virus.
Io non sono un esperto di Svezia, enuncio quello che mi sembra un principio generale: se in un paese un’epidemia è incomparabilmente più diffusa in una comunità di origine straniera perché questa vive in quartieri più affollati e in condizioni peggiori, molto più precarie e con difese immunitarie più basse, dovremmo dedurne che la colpa non è delle politiche di integrazione – concetto scivoloso e molto discutibile, che noi critichiamo, ma sarebbe questione troppo lunga da affrontare qui – bensì del fallimento di quelle politiche. Come può dirsi «integrata» una comunità la cui relegazione rispetto al resto della società viene illuminata da un’epidemia in modo tanto netto?
Concordo pienamente con te quando parli di fallimento delle politiche di integrazione: hai formulato in modo migliore ciò che era mia intenzione scrivere. Il virus ha messo in ginocchio la zona nord di Stoccolma, Järvastaden e ora si sta espandendo nella zona sud, Skärholmen: entrambe zone in cui purtroppo c’è relegazione. Tali comunità hanno uno stile di vita totalmente diverso da quello svedese. La domanda che mi sorge è però una: supponiamo che le politiche di integrazione avessero portato a dei risultati migliori: siamo noi in grado ora di affermare che il loro stile di vita si sarebbe omologato a quello svedese? Io credo di no, per lo meno per quanto riguarda le prime due generazioni di immigrati. Lo dico sulla mia pelle che da 12 anni vive ed ha famiglia qui e si crede abbastanza integrato: certe abitudini non le ho perse e probabilmente mai le perderò, come i cinesi a chinatown e gli italiani a little italy. Ad ogni modo, oltre al problema legato al fallimento delle politiche integrative, c’è un problema comunicativo: hanno comunicato “alla maniera svedese” anche a coloro che svedesi non sono ergo, la comunità somala ne ha fatto le spese. Lo stato ha ammesso che avrebbe potuto far meglio.
Vedi, il problema legato al concetto di «integrazione», secondo me, è proprio che ne discende subito un’impostazione “culturalista”, che poi vizia tutto il discorso. Non esistono, se non in una certa retorica, le «culture» come monoliti, blocchi omogenei e duri destinati a impattare l’una con l’altra, o a incastonarsi l’una accanto all’altra senza penetrarsi, come i mattoncini del Tetris. Esistono le persone concrete, che abitano in luoghi concreti, vivono e lavorano accanto ad altre persone concrete, ricevono stipendi, pagano affitti, fanno la spesa. Il problema non è «omologare X allo stile di vita Y», ma garantire a tutte le persone eguali diritti e opportunità, lottare contro discriminazioni e sfruttamento. Quando qui in Italia negli anni Dieci è partita una grande ondata di lotte nella logistica, portate avanti da migranti e italiani insieme, per strappare migliori contratti per tutti, i lavoratori non sono stati lì a chiedersi: «Abbiamo la stessa cultura?» Gli italiani non si sono detti: «Posso fare sciopero con un collega che ha un’altra cultura?» Suppongo che le possibili diffidenze iniziali siano state superate in un battibaleno, è bastato scioperare insieme. Era chiaro a tutti che le conquiste ottenute sarebbero valse per ogni collega, indipendentemente se italiano o africano, cristiano, ateo o musulmano ecc. Quale migliore «integrazione» di questa? Ma è stata un’integrazione reciproca, e non impostata in senso culturalista. Non so se mi sono fatto capire, sono anche affaticato e mi sfrigolano i neuroni, sono giornate intense queste su Giap. Ora mi fermo e festeggio il compleanno di mia figlia :-)
quello che scrivi è molto interessante ma non mi convince del tutto. Si dice che la terza generazione di immigrati sia quella realmente integrata. L’integrazione quando avviene non avviene di certo come descrivi nell’esempio da te riportato, a mo di tetris, concordo con te in questo, ma di certo non esclude una sorta di omologazione. Il parlare una lingua straniera, ad esempio, comporta la comprensione della cultura. All’inizio, quando parlavo svedese non conoscevo la cultura tanto quanto la conosco oggi e certe espressioni da me usate erano considerate fuori luogo in quanto distanti dalla cultura svedese. La tua integrazione si riferisce a una lotta comune, al perseguimento di un obiettivo condiviso. I partigiani italiani appartenevano a idee politiche diverse ma condividevano un obiettivo comune. La lotta porta a questo, al lasciar perdere certi dettagli che in altri frangenti di vita hanno più (o forse troppa) rilevanza. Lottare per integrarsi può anche significare scegliere di non essere ciò che si era e sposare una cultura nuova. Se togli invece la lotta significa omologarsi senza magari rendersene conto, come fa la terza generazione degli immigrati. Auguri a tua figlia! la mia l’ho appena messa a letto. Che bello discutere con voi. Grazie di questo spazio.
L’esempio non era inteso a omologare ogni situazione a uno sciopero, intendiamoci. Era per dire che se partiamo da una certa idea di “cultura” restiamo bloccati sulla premessa.
Riparto dall’affermazione di prima: le culture non sono “blocchi”, non hanno confini certi né esterni né al loro interno. A ben guardare, ogni cultura è in realtà un intrico di innumerevoli culture.
Ad esempio, esiste una “cultura musulmana” (o “islamica”, come molti dicono)? Spesso ci si imbatte in quest’espressione, che però non vuol dire quasi nulla. Possiamo dire che un teenager della working class di Jakarta (metropoli di quasi undici milioni di abitanti) ha la stessa cultura di una signora ottantenne di un villaggio berbero? O del principe regnante saudita, o di un bimbo di origine pakistana che vive a Milano, o di un afroamericano di New York convertito all’Islam? E un musulmano osservante di Edirne ha la stessa cultura di un “musulmano” ateo del ceto medio di Ankara? Chiaramente no. Nominalmente, i musulmani sono un miliardo e ottocento milioni, sparsi in tutti i continenti, in decine di paesi, persone diverse per nazionalità, lingua, etnia, classe sociale, genere, prospettive di vita. Uno pseudoconcetto come “cultura musulmana” non dice niente di niente su queste differenze.
Analogamente, non esiste una “cultura cristiana”.
Anche restringendo il focus e prendendo come criterio le storie nazionali, esiste davvero una “cultura italiana” unica e omogenea alla quale gli immigrati dovrebbero omologarsi? Con cosa coincide? Con la lingua, con certi usi e costumi, con la cittadinanza, con una necessaria compresenza di questi fattori? I sudtirolesi di linguamadre tedesca sono parte della cultura italiana? Oppure sono cittadini italiani ma non rientrano nella cultura italiana? E gli sloveni delle province di Udine, Gorizia e Trieste? E le seconde generazioni che non hanno la cittadinanza ma sono nate e cresciute qui e parlano l’italiano con accenti regionali, sono o no parte della cultura italiana? I ticinesi sono parte della cultura italiana? Un notaio di Aosta ha proprio la stessa cultura di un operaio in pensione di Crotone o di un pastore barbaricino? Un sottoproletario del quartiere Zen di Palermo ha la stessa cultura di un riccastro che vive sui colli di Bologna?
Ecco, se partiamo dalla “cultura” tutte queste differenze e contraddizioni scompaiono dietro un’idea piuttosto astratta di cosa tenga insieme o separi le persone, e quindi anche il problema dell’«integrazione» diventa insolubile.
Se invece partiamo dal concreto, come nell’esempio dell’esigenza di scioperare insieme – ma si potrebbero fare tanti altri esempi, i bambini di diverse provenienze nazionali che siedono sui banchi della stessa classe ecc. – forse capiremo qualcosa di più.
Volevo ricordarvi che in questo momento parlare dei dati sui casi positivi e sulla letalità della Covid19 è come parlare dei ritardi dei numeri sulle ruote del lotto.
Molte riviste hanno dichiarato di non dare neanche più i dati degli aggiornamenti quotidiani in quanto fuorvianti e spesso privi di senso:
https://www.wired.it/scienza/medicina/2020/04/03/coronavirus-numeri-protezione-civile-non-dice/
Ci sono studi che stimano che in alcuni paesi d’europa può essere già stato contagiato (ovviamente in forma asintomatica) oltre il 10% della popolazione…
il che significherebbe 6 milioni di contagiati in italia il che cambierebbe radicalmente il dato sulla letalità di questa covid. L’unica cosa sensata da chiedersi IMHO ora è se ha senso protrarre un lockdown così drastico anche in regioni dove i casi sono pochissimi.
Proprio oggi durante una lezione online di compresenza (storia e scienze) i professori ci hanno posto la questione benessere fisico/benessere psicologico e il prof di storia ci ha invitati a riflettere sulla possibilità che non esista un unico modello (italiano) di intervento. Leggere questo vostro articolo mi dà ottimi spunti. Grazie a tutti. Sofia, Liceo Scientifico. P.S. La scuola non è terminata affatto. Io faccio 5 ore di lezioni intense ogni giorno, con verifiche e interrogazioni, ricerche e cazziatoni eventuali.
Sembrerebbe che devo arrivare a 550 battute per potervi ringraziare.
GRAZIE GRAZIE GRAZIE
Vivo in Svezia dal 2016 e sono rimasto costernato dalla quantità, e qualità, della disinformazione che si è vista a proposito del paese in cui vivo sulla stampa italiana.
Credo che le lamentele – per me poco consone – di molti italiani residenti in Svezia, a cui neppure l’Ambasciatore è riuscito a porre freno con la sua missiva (qui: https://ambstoccolma.esteri.it/ambasciata_stoccolma/it/ambasciata/news/dall_ambasciata/2020/03/messaggio-dell-ambasciatore-mario_0.html ) siano state fomentate dall’accesso ai giornali italiani, che paiono essersi fatti concorrenza nel lanciare allarmi all’inizio della pandemia.
Come altri commentatori, sono stato chiamato a fare da “debunker” per molte delle fesserie circolate in Italia, su “cambi di rotta” mai avvenuti, discorsi distorti e ignoranza totale dei contenuti del “discorso alla nazione” di Löfven dell 22 marzo (disponibile anche in lingua inglese su “The Local”: https://www.thelocal.se/20200322/in-english-prime-minister-stefan-lfvens-address-to-the-nation )
Una cosa che mi lascia perplesso è il fatto che la discussione – interessante, ricca di spunti e dalla quale sto imparando molto – si sia incentrata più sulla Svezia che su quello che a me pareva essere il focus dell’articolo, e cioè come un pezzo di classe dirigente abbia svolto il suo compito di blindare il racconto del “siamo un esempio”. Forse l’ho già detto e quindi mi scuso per la ripetizione, ma a me di “difendere” la Svezia importa fino ad un certo punto. Forse non l’abbiamo messo in evidenza abbastanza ma insomma senza il classico neocorporativismo svedese non è detto che le cose sarebbero andate allo stesso modo e il confronto con Norvegia e Finlandia è abbastanza impietoso, anche se secondo me rivela più i disastri degli anni precedenti che le deficienze di oggi, che pure ci sono state.
Pure io purtroppo mi sono impelagato altrove in discussione surreali che per me fanno il paio con “preferisci Salvini al PD” quando onestamente va considerato che, chiedo scusa per la volgarità, probabilmente il nemico del mio nemico è un pezzo di merda più o meno uguale.
Secondo me il problema che abbiamo davanti è per esempio lo sbrocco di Tarquini e l’imperforabilità di questo pezzo di classe dirigente rappresentato dai giornali mainstream, che tanto danno ha fatto in passato, quasi inutile ricordarlo qui. Lo sbrocco di Tarquini è quello dell’impunità del potere e di una certa autoreferenzialità. La verità è quella che dicono le agenzie di stampa, quelle appunto del potere. Il resto è fake news, anche se pure l’ambasciata svedese finisce con l’essere costretta a intervenire. Ci fosse una via d’uscita qualcuno interverrebbe ma figuriamoci, Tarquini farà un articolo domani (o dopo) magari riprendendo l’Indipendent, poi passerà al CDS ecc. ecc.
Per difendere i propri articoli e Repubblica, da giorni Tarquini ripete che si è basato su agenzie di stampa e tv inglese e americana.
Su Twitter ha scritto: «i nostri reports su svezia con situazione sempre piú grave sono basati su agenzie di stampa (ansa e altre) e su media online come bbc e cnn».
Cioè sta ammettendo che Repubblica fa informazione di quarta mano, non rifacendosi a fonti svedesi, nemmeno secondarie (media) e figurarsi primarie (documenti ufficiali), ma a fonti che definirei addirittura “terziarie”: l’agenzia stampa che riprende in italiano, spesso capendoci poco, cose scritte in inglese, sovente da persone che non leggono lo svedese, a commento di notizie arrivate dalla Svezia e già selezionate e ingigantite secondo un preciso criterio: è così che una lettera di virologi in disaccordo col governo viene presentata quasi come una sollevazione popolare, che una frase fraintesa di un discorso del premier diventa un annuncio di svolta radicale e inizio lockdown ecc.
Insomma, secondo Tarquini dovremmo dare cinque stelle a Repubblica perché cucina (e pure male) gli avanzi di pasti già pessimi di loro.
Articolo interessante, grazie. Avrei alcune osservazioni:
1. “(…)perché se è vero che le differenze con Norvegia e Finlandia ci sono, è arduo sostenere che configurino modelli differenti, considerato che le fabbriche sono aperte e che non sussistono divieti che impediscano l’attività fisica”. Sinceramente sostenere che non siano modelli differenti è una vostra interpretazione, che pare quantomeno forzata. Le differenze di “strategie” tra Norvegia/Danimarca/Finlandia da un lato e Svezia dall’altro sono significative. E le conseguenze di questi modelli diversi si vedono anche nel numero dei decessi per milione di abitanti: 26.2 in Norvegia, 51.6 in Danimarca, 11.6 in Finlandia e 101.4 in Svezia (fonte aggiornata al 15 aprile: https://www.svt.se/datajournalistik/har-sprider-sig-coronaviruset/).
2. Le raccomandazioni di distanziamento sociale stanno dando risultati efficaci in Svezia? Da questo report sulla mobilità collettiva, potete giudicare voi soprattutto comparando la mobilità in Svezia a quella dei paesi limitrofi (fonte: https://www.google.com/covid19/mobility/). Come si evince dal report (aggiornato al 9 aprile), in Norvegia il numero di persone che va al ristorante è calato del 60%, in Svezia del 25%; il numero di persone che va (fisicamente) al lavoro è diminuito del 32% in Norvegia, del 18% in Svezia.
3. Cosa ne pensate del fatto che molte persone non possano permettersi di lavorare da casa, se non si impone una chiusura “dall’alto”? Io in Svezia ci vivo e ho la fortuna di poter lavorare da casa. I miei amici, che fanno il mio stesso lavoro qui in Svezia, in ufficio ci devono andare per forza. Questo accade perché la discrezionalità è lasciata alle singole aziende, per cui alcune consentono il lavoro da casa, altre no. Tutto ciò non crea disparità sociale, soprattutto quando le persone coinvolte appartengono a fasce deboli. Cosa ne pensate?
Le statistiche che proponi mi hanno suggerito alcune considerazioni.
La prima è che questo post mi sembra molto preciso nella descrizione delle strategie, e in effetti anche a me sembra che i modelli siano identici, anche se come spiegato sono applicati con diverso rigore. Forse, per cogliere bene il senso di questa affermazione, si dovrebbe pensare che esistono modelli radicalmente diversi, come quelli seguiti in alcuni paesi orientali (vedi Taiwan – Corea – Singapore). Ad esempio, si possono chiudere completamente i confini del paese al primo segnale di infezione, oppure privilegiare il controllo tecnologico degli spostamenti di tutti i cittadini, oppure eseguire test epidemiologici a tappeto.
Il punto comunque più importante è l’uso delle statistiche per valutare le “prestazioni” di un paese. Nel momento in cui decidiamo di scegliere una determinata quantità per la valutazione abbiamo applicato una scala di valori che non è assoluta. Il numero di morti non è l’unico parametro utilizzabile, esistono ad esempio gli “anni potenziali di vita persi”. Privilegiare uno o l’altro è anche una scelta culturale, legata alla dialettica tra qualità della vita e sacralità della vita. Quindi i numeri che presenti, pur essendo corretti, potrebbero non avere per tutti lo stesso valore. Lo stesso si può dire sui dati sulla mobilità, che proponi con il presupposto che “meno mobilità sia meglio”.
In sostanza credo che una valutazione complessiva potrà essere fatta da ciascun paese solo a posteriori, nella propria scala di valori e di aspettative rispetto all’impatto che l’epidemia avrà avuto sulla società. E quindi non potrà essere comparativa nei dettagli.
Ciao pm2001, grazie per lo spunto di riflessione. Io non ritengo né che ci sia un modello migliore di un altro, non essendo un’esperta, né che “meno mobilità sia meglio”. Vado per punti.
1. La mia critica all’articolo riguarda l’idea che i modelli adottati dai paesi scandinavi “siano identici, anche se come spiegato sono applicati con diverso rigore”, come hai scritto tu. Su questo punto non concordo. Come spiegano nell’articolo, “Norvegia, Danimarca e Finlandia hanno chiuso frontiere, scuole e negozi e posto limiti più severi agli assembramenti. La Finlandia ha inoltre messo in quarantena la provincia di Helsinki. Va forse sottolineato come queste misure siano, per le abitudini di quelle lande, decisamente draconiane. Per isolare Helsinki, si è dovuto dichiarare lo stato d’eccezione: non succedeva dalla guerra contro i sovietici tra il 1939 e il 1940.” La Svezia non ha fatto nulla di tutto ciò, anche perché, come ha spiegato il PM Löfven, la Svezia non ha un “protocollo” di emergenza in tempo di pace. A me, onestamente, le differenze tra il modello svedese e quello degli altri paesi scandinavi sembra lampante. Anzi, i cugini danesi ci tengono molto a sottolineare che loro non hanno adottato il modello “più mite” della Svezia. Fino a qualche giorno fa c’era un checkpoint sul ponte dell’Oresund, con l’esercito danese a controllare che non entrassero in Danimarca dalla Svezia persone con motivi poco validi (ora non so se sia ancora così visto che la Danimarca ha iniziato a “riaprire”- cosa che fa capire che una “chiusura” c’è stata). Se queste non sono misure draconiane, ok, semplicemente abbiamo un diverso criterio d’interpretazione, va bene così :-) Inoltre, ci tengo a sottolineare che io non sto dicendo che il “modello danese” sia migliore di quello svedese, ma a far presente l’unicità delle scelte della Svezia, anche rispetto ai “cugini” del Nord.
2. Che “meno mobilità sia meglio” non è il mio punto di vista, ma quello del Folkhälsomyndigheten (l’agenzia per la salute pubblica). Le raccomandazioni che sono state date al popolo svedese puntano a una diminuzione della mobilità e al distanziamento sociale. La scelta di aver “raccomandato” e non “imposto” è stata giustificata con l’idea di privilegiare la responsabilità individuale perché gli svedesi non sono dei bambinoni a cui dare delle punizioni. Tutto ciò è estremamente condivisibile, in un mondo ideale. La mia domanda è: sta funzionando? Gli svedesi stanno davvero riducendo la mobilità in modo significativo, allo stesso modo dei paesi che hanno misure più stringenti?
3. Le mie osservazioni nascono dal fatto che mi aspettavo un articolo sulle distorsioni della stampa italiana nel raccontare ciò che sta accadendo in Svezia, funzionali a giustificare una chiusura estrema, imposta in Italia, su cui io sono critica. Invece ho trovato una narrazione in cui, secondo me, mancano pezzi della storia e non si sottolinea abbastanza che ciò che sta accadendo in Svezia è “unico”, cosa che rende la discussione molto interessante. Inoltre, sarei curiosa di sapere cosa si pensa del fatto che, in una paese che ha lo spettro dei cripto-nazisti di Sverigedemokraterna, l’agenzia per la salute pubblica stia fornendo i dati in base al paese di nascita dei morti/infettati, in cui si nota che la maggioranza di questi, viene da paesi extra UE, Somalia in testa.
Ciao wanderer è difficile trovare una soluzione “oggettiva” sulla similitudine dei modelli. Si portano argomentazioni che si sperano convincenti, fermo restando che possono anche non essere corrette. Ti invito però a osservare il contesto in cui nasce questo pezzo, cioè in mezzo ad una discussione in cui il punto VERAMENTE (scusa il cap lock, come detto altrove non so usare il corsivo) rilevante è se le persone siano confinate a casa con la polizia pronta a mandare elicotteri e droni oppure no, uscite e fate per quanto possibile la vostra vita normale. Come ripetuto tante volte il pezzo non si interroga neanche dei “risultati” diciamo così.
Fatta la premessa devo dire che almeno uno dei tuoi argomenti secondo me è molto da rivedere e cioè quello che parte dal numero dei morti. Quello non ti dice NIENTE sul modello, ma proprio zero, ti dice solo che – oggi, speriamo anche domani – ci sono meno morti in Norvegia rispetto alla Svezia (e pure questo forse a dirla tutta ma non facciamola complicata).
Un altro argomento secondo me insufficiente è la dichiarazione delle autorità danesi, perché sono dettate non certo – e in ogni caso non solo – da analisi particolarmente raffinate.
Ma non pretendo di convincerti, sono questioni troppo lunghe, a me preme sottolineare i punti in comune a te forse no. Ad ogni modo mi pare arduo sostenere che il modello norvegese sia più simile a quello italiano che a quello svedese, siamo d’accordo su questo?
Sul resto possiamo, credo, tenerci la nostra opinione. Per me i modelli
1. Va bene, possiamo anche non considerare il numero dei morti come criterio di valutazione, hai ragione.
2. In 3 paesi scandinavi il governo ha imposto restrizioni per un tempo limitato. In Norvegia e Danimarca i confini sono stati chiusi, all’università non ci potevi andare, non c’è discrezionalità dei singoli enti. In Svezia è a discrezione degli enti locali. Il comune di Lund ha avvertito i genitori che potrebbero chiudere gli asili la prossima settimana, il comune di Malmö no. Questa è, secondo me, una differenza sostanziale. All’università di Lund ci si può andare, le biblioteche sono aperte, le aree per studiare anche, alcuni miei colleghi vanno all’università di Lund tutti i giorni. A Malmö invece no. In un paese, la Svezia, il governo ha delegato agli enti locali, alle singole aziende, le scelte sulle restrizioni. Che questo sia un bene o no lo dirà il tempo ma continuo a pensare che non sia lo stesso modello.
Scusa Wanderer ma mi sembra che i numeri che tu stai dando siano un po’ in contrasto con quelli ufficiali.
Ammesso e non concesso che questi numeri abbiano un senso e che IMHO fra poco ne vedremo delle belle (vedi articolo di ieri sera che parla del fatto che i primi risultati delle analisi sieriologiche parlano di un contagio asintomatico diffuso almeno tra il 15% della popolazione italiana come del resto in molti si aspettavano da tempo)la fonte ufficiale che raccoglie i numeri è la John Hopkins University e da queste cifre (fonte —> https://lab24.ilsole24ore.com/coronavirus/)
Svezia: 11445 contagi 0.113% della popolazione, 1033 morti.
Danimarca: 6706 contagi 0.116% della popolazione, 299 morti
Norvegia: 6623 contagi 0.122% della popolazione, 139 morti.
Quindi il contagio percentuale è uguale (leggermente superiore in norvegia e danimarca), stare ad analizzare la letalità apparente in questo momento vuol dire mettersi a parlare di tutto e di niente.
Ciao AlexJC,
Mi sembra che abbiamo riportato gli stessi numeri, io ho citato il numero di decessi per milione di abitanti, tu il numero di contagiati, però non hai menzionato il fatto che la Svezia ha effettuato 7,387 tamponi, contro i 24,020 della Norvegia e i 14,223 della Danimarca (fonte: worldometers). In ogni caso hai ragione, ho usato questi numeri per fare un confronto tra paesi limitrofi, ma non è sufficiente per capire le differenze nelle strategie messe in atto. Ho scritto un altro post sopra in risposta a robydoc sul fatto che il modello svedese sembra diverso, nella sostanza, da quello degli altri tre paesi scandinavi, proprio perché si basa su raccomandazioni e non su imposizioni, delegando la scelta su restrizioni/chiusure a singoli enti/aziende/comuni.
A prescindere dalla fonte, mi sembra strano che la svezia abbia effettuato 7.387 tamponi se i contagiati sono 11.445… non credi? :)
comunque, al di la’ del fatto che chi ha “azzeccato” la strategia si vedrà fra un bel po’ di tempo (imho, i risultati saranno più o meno tutti sullo stesso piano in termini di contagio e letalità con poche eccezioni) penso l’obiettivo dell’articolo in questione fosse quello di rilevare il fatto che la nostra stampa “da contro” a prescindere a chi assume atteggiamenti e provvedimenti diversi dalla nostra linea di lockdown.
E sinceramente non è un bello spettacolo, come non lo è stato vedere Burioni e Lopalco che festeggiano perché Boris Johnson perché contagiato.
(con tutto quello che posso pensare politicamente di Boris Johnson)
Ciao AlexJC,
ho specificato in un commento che è finito in fondo (non so perché) che il numero di tamponi che ho riportato è calcolato per milione di abitanti. Quindi circa 7,000 tamponi per milione di abitanti in Svezia, contro i circa 24,000 per milione di abitanti della Norvegia.
In ogni caso, ti faccio notare che non solo la stampa italiana ha “dato contro” al modello svedese ma sono fioriti articoli su tante riviste inglesi (Guardian in primis) che criticano fortemente l’approccio svedese, distorcendo molte cose (eccone uno: https://www.theguardian.com/world/2020/mar/23/swedish-pm-warned-russian-roulette-covid-19-strategy-herd-immunity). Questo non per giustificare la stampa italiana, lungi da me, ma per far presente che l’approccio svedese, unico nel suo genere, sta suscitando critiche dai media internazionali, non solo italiani. Mi sarebbe piaciuto leggere un accenno anche a questo nell’articolo..
4. Cosa ne pensate del fatto che tanti scienziati e ricercatori che lavorano in Svezia hanno fortemente criticato l’attuale strategia messa in atto da Folkhälsomyndigheten (l’agenzia per la salute pubblica) (metto solo un articolo, ma ce ne sono parecchi: https://www.dn.se/debatt/folkhalsomyndigheten-har-misslyckats-nu-maste-politikerna-gripa-in/?fbclid=IwAR2DzjpDNA7eT2ZVleH7EIPlooNg3xJGzmhwRAfS0LkHCu5Af6AjQA-i9tg)?
5. Cosa ne pensate del fatto che Folkhälsomyndigheten stia fornendo i dati su contagiati/morti in base alla provenienza delle persone, e.g., x morti originari della Somalia, y morti originari del Pakistan (fonte: https://lakartidningen.se/aktuellt/nyheter/2020/04/utlandsfodda-ar-overrepresenterade-bland-de-smittade/?fbclid=IwAR39fjB_pBGEbAKGY7YSROkxnKtwIAUkNNyQyMOKOqFQXqa_TvZARnoSiwY)? Vi faccio notare che il grafico a cui si riferisce l’articolo è stato fornito proprio da Folkhälsomyndigheten.
Queste sono solo alcune questioni spinose che non menzionate nel vostro articolo. Purtroppo, anche voi seguite la vostra narrazione. Per quanto riguarda le osservazioni che avete fatto sugli articoli imbarazzanti di Repubblica e di altri giornali, sono d’accordo al 100%. Sono altrettanto d’accordo con voi sulla follia degli arresti domiciliari imposti in Italia e della “narrazione bellica”.
Grazie e saluti.
Delle critiche. Io – credo anche Monica – non penso che Svezia=buona. Leggo e cerco di capire, spero che vada bene ma immagino che anche lì si facciano degli errori. Non intendo sposare il governo svedese né il suo premier. Vedo che c’è una lettera di 22 ricercatori e vedo che ci sono risposte di due scienziati alla lettera (https://www.dn.se/debatt/de-22-forskarnas-resonemang-ar-ovetenskapligt/ e https://www.expressen.se/kultur/victor-malm/coronahaveristerna-ar-en-skam-for-sverige/ ) ma non voglio diventare un esperto del dibattito svedese. Come detto sopra a me interessa il ruolo svolto dalla stampa italiana, che ancora oggi continua a ripetere che “si basa sulle notizie che arrivano dalle agenzie di stampa e dai media online”, mica sulle fonti originarie. (che poi dice uno bestemmia…)
Ciao robydoc,
al di là di strategie e modelli, entro nel merito della questione “media”.
Voi sostenete che la stampa italiana abbia deformato ciò che sta avvenendo in Svezia per convenienza. Avete ragione. Però non dite, nel vostro articolo, che la stampa svedese ma anche l’agenzia della salute pubblica svedese, hanno fatto la stessa cosa con qualche settimana di anticipo. Per settimane, stampa e agenzia della salute pubblica hanno usato impietosamente le statistiche su morti e contagiati in Italia, nonché informazioni selezionate ed edulcorate, per sostenere la bontà delle proprie scelte. Al punto che l’ambasciatore italiano in Svezia è intervenuto con una lettera aperta (se servono fonti le posto, ma si trova tutto facilmente), così come è intervenuto per mettere in luce la disinformazione che circola sui media italiani a proposito della Svezia.
Grazie e saluti.
ho notato ultimamente questa tendenza: Repubblica e Corriere mi pareva che fossero immuni dai cosiddetti titoli “clickbait”, tipici di carta igienica come Libero o Il Foglio. In questo periodo di quarantena mi è parso invece di notare l’utilizzo di questa spregevole tecnica anche da parte dei quotidiani più istituzionali, si può dire che alla fine sia diventato un normale metodo di comunicazione? quanti articoli ci si è dovuti sorbire da parte di Gramellini & Co. sulla finta democrazia della rete, dell’ignoranza digitale, del diritto di parola dato agli imbecilli… per poi utilizzare gli stessi brand dei più beceri aizzatori e odiatori?
come scrivete, alla fine si faranno i conti, ma temo che noi siamo già messi molto peggio rispetto agli amici svedesi
Davanti al virus tutta la stampa italiana più “quotata” sta facendo un lavoro tra il pessimo ed il disonesto. Ieri, per esempio, il corriere ha fatto uscire un pezzo nel quale si chiedeva perché ci fossero pochi, cito testualmente, “neri nelle terapie intensive bergamasche” e difendendo questa domanda come legittima e con argomentazioni a metà tra razzismo ed imperialismo. Al di là del virus, con il quale stiamo cercando di farci i conti nel nostro piccolo spazio individuale, la situazione evidenzia quanto sia palese l’appiattimento della narrazione da mass media su posizioni vuote ed, il più delle volte, insignificanti sotto qualsiasi punto di vista. Tutti abbiamo fame di notizie sul virus ma è piuttosto complesso trovarne di significative, è impossibile trovare una narrazione che prenda in considerazione, per esempio, la prospettiva psicologica di chi si ammala; è tutto un continuo stigmatizzare chi non sta “a casa” e sciorinare dati sconclusionati che han poco significato di per sé. Questo, ovviamente, si riflette anche sulla narrazione istituzionale, che sciorina dati e non ha proposte per un futuro di convivenza con la malattia diverse dal “chiudere tutto finché non si trova un vaccino”.
Sono pienamente d’accordo con analisi. Vivendo nei ultimi anni tra Svezia e Italia ho notato differenze culturali molte abissali. Loro (svedesi) opzioni la furbizia e non vantano mai anche quando e palese la loro superiorità!!!
Per esperienza diretta ho notato che loro prescrivono antibiotici con una restrizione che per un italiano sembra una discriminazione!!!
Italiani quasi su tutti i gruppi sui social media criticano “il sistema” svedese spesso e volentieri e non ho mai capito il perché(per esempio il fatto che non perscrivono le medicine come in Italia o la loro politica sociale e integrazione culturale dei immigranti) per non perlate della stampa italiana come viene riportato in questo pubblicazione.
PARTE 1
Che il lockdown sia l’unica strada possibile non è il mio punto di vista ma l’articolo contiene tantissime imprecisioni sulla situazione svedese. È un punto di vista che vorrebbe criticare i media mainstream italiani e finisce con lo sposare acriticamente la linea governativa e dei media mainstream svedesi:
1. “uno stile di vita e una composizione dei nuclei famigliari diversi dai nostri”. Vero. Per gli svedesi. Le aree di Stoccolma più colpite sono Tensta, Rynkeby, Skärholmen e Södertalje. I quartieri ghetto. Tanto che tra i deceduti c’è una sovra-rappresentazione di persone nate in Somalia, Turchia e Iraq. Si parla molto dei limiti linguistici ma poco del fatto che sono comunità in cui gli anziani vivono insieme ai giovani e che la maggioranza fa lavori che non permettono di lavorare da casa.
2. “stare a casa se si hanno anche solo sintomi lievi o dubbi” ma si può tornare a lavoro o a scuola due giorni dopo la fine dei sintomi e, nel frattempo, i familiari di persone infette possono continuare a lavorare ed andare a scuola purché loro stessi non abbiano sintomi. Il discorso sugli asintomatici viene ancora messo in discussione dalle autorità svedesi.
3. LINEE GUIDA SULLE TERAPIE INTESIVE. Verissimo come dice l’articolo che esistono ovunque. La differenza è che, dopo un’ispezione della scorsa settimana, è stato segnalato di non seguire le direttive alla lettera mentre c’erano ancora 70 posti di terapia intensiva liberi. Ad alcune persone è stata negata la terapia intensiva pur essendoci la possibilità (posso citare le fonti se serve). C’è un ospedale da campo costruito, pronto da settimane e non utilizzato. La direttrice delle terapie intensive del Sahlgrenska, ospedale di Gothenburg, si è dimessa per non sottostare alle direttive.
…
PARTE 2
4. “un relativo distanziamento sociale spontaneo”. Introdotto solo il primo aprile. Fino a quel giorno non si parlava di distanziamento sociale ma di “stare a casa se stai male”. Ad oggi nessuno usa mascherine, le distanze nei supermercati non sono quasi mai rispettate e dei 90 ristoranti controllati la scorsa settimana circa 16 non rispettava le direttive, ma non sono stati fatti chiudere. I campionati di calcio non professionistici ricominciano questo weekend. Le autorità consigliano di incontrarsi all’aria aperta piuttosto che nei locali e molti non rispettano le distanze pensando che all’aria aperta non contino.
5. “Norvegia, Danimarca e Finlandia hanno chiuso frontiere, scuole e negozi” e come sta andando? Svezia 1,203 morti (119 su milione di abitanti) Norvegia 150 morti (28 su milione), Danimarca 309 (53 su milione), Finlandia 73 morti (13 su milione). Cosa succedere nel lungo termine è difficile da sapere ma i dati ad oggi sono questi.
6. “Gli epidemiologi dell’Agenzia per la sanità pubblica esplicitano dall’inizio le linee guida”. Nonostante centinaia di persone di ritorno da viaggi sulle Alpi, per settimane all’inizio di Marzo le indicazioni sono limitate al lavarsi le mani e tossire sul gomito, stare a casa solo se si hanno sintomi e se si è anche stati in Italia o Paesi colpiti dal virus. Ignorando gli asintomatici.
7. “Per affrontare una tale crisi occorre mettere in campo un ampio spettro di competenze”. Centinaia di esperti in tutti i campi della scienza chiedono da settimane delucidazioni sui calcoli, mai palesati, alla base della strategia (Dagens Nyheter, “L’istituto sanitario nazionale deve smettere di nascondere i fatti”) e hanno chiesto di poter dire la loro riguardo le previsioni. È stato promesso un pool di scienziati mai messo in atto.
…
PARTE 3 (scusate la lunghezza!)
8. “In tale prospettiva, è prioritario proteggere i gruppi a rischio (come gli anziani)”. Come? Ad oggi 172 su 313 case per anziani a Stoccolma presentano casi, le morti sono costante aumento. I direttori di queste strutture hanno lamentato il fatto che il personale non viene testato (Dagens Nyheter) poiché fino a pochi giorni fa si testavano solo i casi ospedalieri e il materiale di protezione non era sufficiente. Ci sono decine di articoli di anziani con supporto domiciliare che si lamentano perché chi li aiuta non prende precauzioni e non mette mascherine. Diversi casi di anziani morti con sintomi da covid-19 lasciati per settimane senza test e senza cure specifiche.
9. “contando cioè, più che sui divieti, sulla persuasione” Verissimo. Basandosi su discorsi iper nazionalisti e pieni di orgoglio dovuti ad un sentimento condiviso di “fiducia” nelle isituzioni. Le foto di Stoccolma fino al weekend prima di Pasqua e i numeri degli spostamenti forniti da Google sul mese di Marzo indicano una realtà diversa. Alcuni divieti lo dimostrano: divieto di andare a sciare (hanno fatto chiudere gli impianti sciistici) e divieto di visitare gli anziani (introdotto quando hanno intuito che il consiglio non bastasse) su tutti.
10. “ad adottare la didattica a distanza” infatti solo dalle scuole superiori (16+), dalle medie in giù continuano tutte aperte. Una lettera firmata da 900 insegnanti denuncia come sia impossibile per loro rispettare le norme di distanziamento sociale in contesti scolastici. Insegnanti con patologie a rischio devono continuare a lavorare. Ci sono scuole che minacciano di sospendere i ragazzi che non vengono mandati a scuola dalle famiglie. Famiglie in cui a volte figurano elementi in gruppi a rischio.
11. “Ogni giorno – tranne che nel fine settimana – si tiene una conferenza stampa per aggiornare sull’andamento del contagio” non è vero che nel fine settimana non ci sia la conferenza stampa, c’è sempre. Ma i dati non sono attendibili perché tendono ad arrivare il lunedì successivo dalla maggioranza delle regioni. Nel weekend di Pasqua i dati sono stati ritenuti non attendibili dal sabato al martedì, 4 giorni sono tantissimi in un contesto emergenziale.
…
PARTE 4 (ultima)
12. “il sistema svedese ha identificato rapidamente una sorta di road map” non si tiene conto di: dichiarazioni iniziali (non arriverà in Svezia; non si espanderà in tutto il Paese; non è più di un’influenza), dietrofront sui test (da “non conta sapere se sono 345 o 348 infetti” a “faremo 100 mila test a settimana”) ed altri punti simili che, seguendo la timeline, danno l’impressione di una strategia volta a confermare l’idea iniziale piuttosto che una road map precisa fin dall’inizio.
13. “Questo mostra la pervasività di strategie comunicative che sono grottesche ma evidentemente sin troppo efficaci.” Questa frase potrebbe essere usata per la strategia svedese stessa. Ieri sono stati superati i mille morti e le notizie erano sulla positività della curva. È morta una donna incinta (due giorni prima l’ambulanza le aveva consigliato di stare a casa perché “più sicuro”) e la notizia data da ETC, giornale socialista, non è stata riportata dai media mainstream. Un giornalista tedesco che fa domande incalzanti a Tegnell è finito più volte sulle news come bastian contrario, come se non fosse quello semplicemente il suo lavoro. Il 70% della popolazione è d’accordo con la strategia governativa, il consenso dei socialisti è salito…
Chiedo scusa per la lunghezza e chiedo scusa agli autori se sembro pedante. Sarei stato d’accordo se la strategia svedese fosse stata senza lockdown ma: con l’obbligo di stare a casa se si vive con una persona malata di coronavirus, con test sulle persone che fanno lavori chiave, con una popolazione informata sulla gravità della malattia e sull’importanza delle distanze. Ma così non è.
Nota personale: io insegno italiano ad adulti e anziani, contratto ad ore. La mia scuola non ha chiuso fino a fine marzo. Io avrei dovuto insegnare in classi con 15 persone una vicina all’altra di cui molti over 60 come nulla fosse. Tutto ciò prendendo i mezzi pubblici tutti i giorni. Ho deciso di non farlo, organizzando gli altri insegnanti e, per settimane, sono rimasto a casa non pagato. Ora insegno online ma molte altre persone devono andare a lavorare e non possono rifiutarsi. Vorrei dilungarmi sulla questione di classe ma penso di aver rubato fin troppo tempo.
1) “[…] settori sociali – come il Welfare, l’immigrazione o la sanità – ad avere l’ultima parola, non il governo” siamo sicuri che questo sia necessariamente positivo? Vorrei farvi tonare che state difendendo una tecnicizzazione della politica (o, ancora peggio, una de-politicizzazione della tecnica), e con ciò l’ultraliberista teoria del nudge (Il sociologo Morozov ne parla qui: https://www.internazionale.it/opinione/evgeny-morozov/2020/04/13/emergenza-sanitaria-totalitarismo) .
2) ”un’alta fiducia sia verso le istituzioni[…]” Sono marxista e antifascista e mi son sempre chiesto se Sverige Demokraterna sia la piu grande minaccia alla democrazia svedese, oppure se sia il sistema-partito-Socialdemocrazia che, per intenderci, in termini di egemonia nel Paese è qualcosa di molto simile alla Democrazia Cristiana della prima repubblica, ma senza il controbilanciamento del PCI e, soprattutto, senza quel conglomerato di collettivi, movimenti etc della così detta ”Nuova Sinistra”. (Immaginate un Paese quasi totalmente privo di controcultura, movimenti, collettivi, librerie indipendenti).
3) Detto ciò, la vostra critica alla narrazione che i media italiani fanno della Svezia é in parte giusta: penso ad esempio a quando Repubblica scrisse che c’é stato un pentimento e un’inversione di marcia della strategia di Louven: una fake news bella e buona. Voglio inoltre specificare che ho condiviso le vostre analisi circa l’assurdità delle regole della quarantena in Italia e che sono lontanissimo dal supportare il governo italiano. Ma questo non significa che supporti la linea ”eretica di Stoccolma”, infatti (e qui entro piu nel merito):
4) Da un lato (giustamente) criticate i media e il governo italiani perché runners venivano additati come nemici, ma nel frattempo le fabbriche venivano lasciate aperte per gli interessi di Confindustria (sic!), ma poi sembrate lodare “gli eretici di Stoccolma” i quali, in termini di difesa degli interessi padronali, hanno fatto e stanno facendo molto peggio del governo italiano: hanno lasciato (quasi) tutto aperto!
Non posso fare un commento troppo breve altrimenti non passa il filtro ma in realtà il concetto è breve: sono d’accordo con te al 100%. L’appunto che fai sul partito socialista che somiglia alla DC, l’assenza di controcultura etc. è il mio cruccio da quando vivo qui e non avevo trovato nessuno che lo condividesse. Forse perché non conosco nessun altro marxista italiano a Stoccolma! Se vivi qui mi farebbe piacere scambiarci i contatti. Il resto dei miei appunti all’articolo sono qui sopra (una lagna ma non sono riuscito a essere tanto sintetico quanto te), se avessi letto prima il tuo commento mi sarei limitato a meno parole.
Non ci stancheremo mai di ripeterlo (giuro, l’ho detto almeno altre dieci volte, anche prima di scrivere questo pezzo): non c’è nessun’adesione alla politica svedese, e io sono ben consapevole che senza il neocorporativismo questa posizione se la sognavano e che i sindacati sono stati muti sulla difesa dei lavoratori dal contagio. Ma qui interessava un’altra cosa.Pensa che prima di pubblicare il pezzo ci eravamo confrontati sulla necessità di marcare più chiaramente questo nostro distacco, decidendo poi di aggiungere un paio di righe (fatto) ed eventualmente precisare nei commenti. Col senno di poi avremmo dovuto fare di più.
Ciao robydoc, grazie di aver chiarito che l’articolo non vuole aderire alla politica svedese.
Tuttavia, Gianmarco dellaCasa vi ha fatto notare delle inesattezze e delle omissioni che sono comunque rilevanti. Inoltre, se avete dovuto ripetere “almeno altre dieci volte” che l’articolo non aderisce al modello svedese, significa che questo è il messaggio che passa. Noi lettori abbiamo la responsabilità di capire cosa scrivete ma se in molti abbiamo avuto la stessa impressione, due domande dovreste farvele anche voi.
Comunque Andrea Tarquini […] ha frainteso l’intervista al PM svedese […] per poter dire che la strategia italiana è quella giusta. E con lui, gli altri giornalisti italiani che hanno rilanciato la stessa notizia. Però perdona la mia franchezza, in questo articolo, voi avete affrontato la questione “Svezia” in modo parziale, omettendo troppe cose importanti, come alcuni di noi vi stanno facendo notare. Per cui si ha l’impressione che anche voi abbiate aderito a una narrazione, in cui c’è, da una parte, la Svezia con la sua road map, avulsa dalla retorica bellicista (ma con una retorica iper-nazionalista sul popolo superiore che fa veramente paura e di cui non avete parlato) e dall’altra, l’Italia e la sua “narrazione bellica”. Personalmente, la trovo una visione semplicistica.
I vostri interventi hanno aggiunto pezzi importanti di narrazione, arricchendo un quadro davvero complesso e meno uniforme di quanto non possa sembrare dall’ esterno. A me però era abbastanza chiaro che non ci fosse intenzione di promuovere il modello svedese. L’ accanimento della stampa italiana nei confronti di questo ” modello ” è però particolarmente significativo. Stamattina, a gran voce, un piccolo campione forse non statisticamente rappresentativo di un modo di pensare, ( durante il microfono aperto dedicato agli ascoltatori di una trasmissione radiofonica), invocava a gran voce il tracciamento degli spostamenti come prerogativa di un rientro alla normalità. La sovrapposizione fra dispositivi di controllo e misure di contenimento della pandemia è, ormai, perfettamente compiuta, accettata ed introiettata. Forse questo articolo voleva sottolineare anche questo aspetto dell’ emergenza che abbiamo qui in Italia. Facendolo emergere da un confronto col paese che la stampa nazionale ha preso più di mira.
Quando Roberto ha detto di aver ripetuto una decina di volte il disclaimer si riferiva ad altre discussioni, avvenute altrove e prima dell’uscita di questo articolo, dove peraltro lui e Monica hanno scritto che nell’approccio svedese ci sono anche senso di superiorità e cinismo, e dove si dice chiaramente che non interessa fare l’apologia della Svezia perché il punto è smontare l’idea impostasi in Italia che ci sia un blocco di paesi “ortodossi” dei quali noi saremmo il capofila se non il faro, e un solo paese “eretico”, la Svezia, da diffamare.
Approfitto per dire che il tuo commento è scritto in un modo che fornisce a Tarquini appigli per un’eventuale querela, tocca togliere un epiteto e un inciso. Noi abbiamo una lunga storia di minacce legali, negli ultimi 22 anni siamo sempre riusciti a schivare querele perché cerchiamo di essere tanto radicali nei comtenuti quanto inappuntabili nell’espressione.
A Wu Ming1, grazie per la risposta.
1. non sapevo che nel suo commento, robydoc si riferisse ad altre discussioni o ad altri articoli, ma mi limitavo a commentare quello che ho letto nell’articolo pubblicato qui.
2. Grazie per aver omesso, dal mio commento, affermazioni a rischio di querela, avete fatto benissimo e ci starò più attenta.
3. In ogni caso, ribadisco, come ho scritto sopra, che gli autori dell’articolo hanno contrapposto una narrazione bellicista che circola sulla stampa mainstream italiana a una narrazione non-bellicista della Svezia, omettendo però alcune cose fondamentali, come 1) la loro narrazione ultra-nazionalista, per cui agli svedesi sono sufficienti delle raccomandazioni e non servono imposizioni perché le regole le sanno rispettare, loro (domanda: è vero? Sta funzionando? I dati sulla mobilità dovrebbero dare un’idea della cosa); 2) la diffusione di dati sul paese di nascita di contagiati e morti, da parte dell’Agenzia della salute pubblica, che i giornali stanno usando per “ricordarci” che i morti da Covid sono principalmente immigrati (fonte: https://lakartidningen.se/aktuellt/nyheter/2020/04/utlandsfodda-ar-overrepresenterade-bland-de-smittade/?fbclid=IwAR39fjB_pBGEbAKGY7YSROkxnKtwIAUkNNyQyMOKOqFQXqa_TvZARnoSiwY). Inoltre, ci sono molte altre questioni fondamentali sulla tutela dei lavoratori (se non imponi un lockdown dall’alto, la discrezionalità è lasciata ad aziende/manager ecc.), sulle disuguaglianze sociali che queste scelte stanno causando, che però capisco che non potevate affrontare in questo articolo. Comunque, vi ringrazio sinceramente del dibattito che avete stimolato, che mi ha dato modo di riflettere su alcune cose su cui avevo un’opinione diversa.
Cerco di rispondere a Gianmarco restando nei limiti di spazio. Nel commento che ho postato ieri avevo scritto (ma non ci stava, e l’ho cancellato) che ci sono due aspetti della “strategia svedese” che mi lasciano molto perplessa: la convinzione che gli asintomatici non siano contagiosi, e che i contagiosi lo siano per 4-5 giorni, poi il rischio va a scemare. Insomma, il contrario di quello che dicono gli epidemiologi italiani e non solo. Tegnell, incalzato l’altro ieri sul punto, ha risposto: “del resto, non è che noi vogliamo ARRESTARE il contagio. Molto rischioso; ma dobbiamo pensare che medici e politici di tutti i partiti mandino la popolazione al macello? Sulla questione della terapia intensiva: io mi sono riguardata le notizie, compresi i link che ha mandato Simone; mi pare che ci siano pareri discordi, qualcuno dice che queste linee guide sono già state applicate, qualcuno smentisce. Da profana, mi chiedo: perché dovrebbero applicarle, se hanno ancora posti liberi (come Älvsjö)? Segue…
Su altri punti sorvolo perché c’è stato un malinteso (quando abbiamo scritto che “dall’inizio la FHM ha esplicitato le sue linee guida” non intendevamo che lo ha fatto tempestivamente, ma che, quando ha cominciato ad affrontare la pandemia, ha reso chiaro quale era il suo approccio – che qui invece è cambiato tre volte al giorno, all’inizio, con fior di virologi che ci dicevano: è poco più di un’influenza, e politici che andavano allegramente a prendere l’aperitivo con i sodali o costringevano malcapitati diplomatici stranieri a mangiare la pizza gomito a gomito. Non è che NON cambiare idea sia una virtù, naturalmente; ma almeno in Svezia si è capito come intendeva muoversi la FHM.
La sovrarappresentazione degli immigrati (in particolare di alcune etnie) tra i contagiati mi è ben presente, anche perché mi sono occupata in passato, della scellerata politica di segregazione residenziale degli immigrati portata avanti innanzitutto dai socialdemocratici… Però, ripeto, se ci mettevamo anche a fare l’analisi socio-demografica dei contagiati avremmo avuto bisogno di un articolo a parte. Segue / 2
Mi permetto di segnalare anche questo nel caso fosse sfuggito.
https://archive.is/IGrVj
Si tratta si un articolo prodotto da una pagina gestita da ricercatori che si pone l’obiettivo di una corretta divulgazione dei dati, nell’ottica del rispettabile principio della condivisione della conoscenza. Mi viene però spontaneo chiedere quali dati? Quale interpretazione dei dati? E soprattutto è possibile parlare dei dati e basta prescindendo da una critica politica delle misure? Come se l’unico parametro di riferimento rimasto (anche in molti ambiti della c.d. sinistra radicale o militante) fosse il vecchio adagio sulla neutralità della scienza…
Premessa perché i padroni di casa, giustamente, ci tengono: evita per favore di linkare FB. Detto questo grazie della segnalazione, ma sui dati ci sarebbe da fare articolo a parte. Mi pare sia già molto difficile orientarsi, ma pensare che ci riescano i giornalisti (generally speaking) è puro ottimismo… Comunque nei commenti ci sono varie ipotesi alternative, e la solita risposta (falsa): TUTTI gli epidemiologi del mondo ecc ecc. Viene da chiedersi che chissà quale mestiere pensa faccia uno che ha il titolo di “epidemiologo di stato”… Anche quello apparso con Johnson non è che fosse proprio l’ultimo scalcagnato della terra e uno dei più influenti e famosi dice queste cose qui: https://www.statnews.com/2020/03/17/a-fiasco-in-the-making-as-the-coronavirus-pandemic-takes-hold-we-are-making-decisions-without-reliable-data/
Non appena uno di noi sarà di nuovo al computer (abbiamo appena visitato insieme una delle librerie bolognesi che ha già riaperto) sostituiremo il link a Facebook con il link a una copia della pagina salvata su archive.is, com’è la prassi su questo blog.
Ok grazie. Scusate leggo gli articoli ma normalmente non commento e non conoscevo questa norma.
Vorrei rispondere a Robydoc. Il mio commento non era diretto a richiamare l’urgenza di un’indagine sui dati, ma al contrario a richiamare proprio la necessità di una critica della centralità assunta dalle statistiche sull’epidemia anche nei contesti di quello che dovrebbe essere il pensiero libero. Qualche anno fa mi ricordo che uno degli assi della critica dell’esistente passasse per la demolizione delle logiche attuariali e delle sue basi epistemologiche e politiche.
Oggi siamo esattamente all’opposto: L’accettazione acritica di questa centralità epistemologica è alla base secondo me di tutti i fraintendimenti successivi, relativi alla auto-spoliazione delle più elementari libertà. E con ciò chiaramente non voglio dire che non dobbiamo tirare le somme e fare tutte le previsioni che la scienza ci permette di fare, questo mi pare scontato.
Infine, sul grado di osservanza delle raccomandazioni da parte degli svedesi ci sono opinioni molto diverse. Gianmarco non è certo l’unico a raccontare di affollamenti ecc., anche dalla Scania arrivano notizie simili; però da Stoccolma amici e amiche non solo svedesi mi dicono che le misure funzionano, anche se con delle falle. Questo per ricordare che non ci siamo basati solo sull’informazione ufficiale, ma anche sui contatti che ho là. Notare che sono tutte persone con posizioni critiche sull’attuale stato del modello svedese, chi da una posizione più “liberale”, chi da sinistra. E aggiungo che almeno in Svezia c’è un dibattito (le lettere degli epidemiologi dissidenti, ecc.); qui ogni voce fuori dal coro è zittita con i 20 mila morti. A proposito dei decessi: negli ultimi giorni la Svezia (10 milioni di abitanti) ne ha avuti in media 60 al giorno (quelli pasquali registrati con ritardo); ieri il Piemonte (poco più di 4 milioni) ne ha avuti 95, DOPO 35 GIORNI DI QUARANTENA. E’ per questo che non capisco bene cosa intendano i media italiani quando scrivono che in Svezia il numero di morti cresce drammaticamente!! Però su questa macabra contabilità non intendo più tornare, vorrei solo spiegazioni, dagli esperti italiani…
Infine infine, i limiti del modello svedese (di ciò che ne resta) a fronte della precarizzazione del lavoro, dell’immigrazione ecc. – in breve, i limiti DI CLASSE (e genere ed etnia?) – sono uno dei temi caldi del dibattito, spero che Gianmarco voglia raccontarci prima o poi (se non in questa sede, in un’occasione successiva) la sua esperienza. E’ chiaro che un sistema di protezione sociale modellato sul lavoro fisso deve essere ripensato radicalmente, oggi, se vuole reggere. Ma sappiamo che “modello nordico” è ormai un brand utilizzato anche da liberali e conservatori…
Ringrazio entrambi delle risposte, capisco benissimo dalle biografie che condividiamo una visione politica abbastanza simile e spero si sia capito che non c’è nessun astio da parte mia. Intuisco che non viviate qui, giusto? Per me, abitando a Stoccolma e basandomi sulla mia esperienza diretta nonché sulla lettura delle notizie giorno per giorno, alcuni dei punti di cui parlate nei commenti sono il fulcro della questione mentre nel vostro articolo restano periferici se non proprio non menzionati. I punti deboli della teoria di Tegnell, i decessi tra gli immigrati, il non rispetto del distanziamento sociale, i precari che ci pensano due volte a stare a casa con minimi sintomi, le motivazioni economico-politiche dietro le scelte governative etc. per me sono abbastanza dirimenti. Magari è perché, vivendo qui, le sento come più vicine. Non voglio personalizzare la questione, lungi da me, ma conoscendo alcune famiglie delle aree di Stoccolma più colpite ho fatto fatica a non commentare il mio pensiero. Mi fa male sentire il modo in cui stanno trattando la questione etnica, spero che voi ne parlerete in futuro (è un problema simile ovunque purtroppo). Io ci sto lavorando per altri progetti personali e ovviamente sono disponibile a parlarne in ogni momento. Comunque grazie del vostro tempo e scusate per la lunghezza dei commenti.
Vivo in Svezia da quasi 6 anni e sono d’accordo con le osservazioni di Gianmarco (trovo utili anche le precisazioni di Monica che sono seguite).
Come Roberto ha ribadito, è vero, questo non è un pezzo di lode alla Svezia, ma di critica alle scelte italiane e a come la stampa italiana ha distorto la situazione svedese a della narrazione dominante. Ma anche io ho delle perplessità su come la situazione in Svezia viene presentata, e questo può inficiare in parte l’argomentazione principale.
La stampa italiana ha distorto e ingigantito diverse cose, ma non è l’unica. La Svezia è spesso rappresentata dai media internazionali come un animale strano, da esaltare o screditare a giorni alterni: basti pensare a come sono state raccontate la crisi dei rifugiati, l’ultima campagna elettorale, l’ascesa della destra nazionalista. Già allora Tarquini si sdilinquiva sulla “morte del modello svedese” (https://www.repubblica.it/esteri/2018/09/25/news/svezia_al_via_il_voto_della_sfiducia_al_governo_si_chiude_l_era_del_modello_socialdemocratico-207298027/). Io nel mio piccolo, da solo e insieme a mia moglie, ho provato a contrastare quella narrazione distorta sul Manifesto e su Sbilanciamoci (se interessa: https://ilmanifesto.it/svezia-la-destra-avanza-insieme-alle-diseguaglianze/ oppure http://sbilanciamoci.info/crisi-svezia-la-ciambella-socialdemocratica/).
Però questa distorsione non è un’invenzione recente della stampa italiana. E’ presente anche sulla stampa anglofona (soprattutto USA) e ha una lunga storia, dalle critiche di Eisenhower alla socialdemocrazia svedese, passando per il tropo dello “Swedish sin” negli anni della liberazione sessuale, fino ai tweet di Trump e le no-go-zones dove sarebbe in vigore la sharia (il quartiere di Uppsala dove abito sarebbe, immagino, una di queste zone). Ne ha scritto un libro interessante Paul Rapacioli, fondatore di The Local Sweden (giornale online in inglese): trovate dei video su Youtube in inglese in cui presenta la sua argomentazione.
In definitiva, anche se questa attitudine dei media italiani è utilizzata per legittimare l’approccio italiano screditando il suo presunto contrario, leggerla solo in questi termini è fuorviante. La tendenza è più antica, più diffusa e più radicata.
(segue)
Questa rappresentazione esterna gioca sull’idea di “eccezionalismo svedese” che ha un certo successo da queste parti, in versioni più o meno nazionaliste (sto provando a scriverne). All’inizio voi accennate al diverso stile di vita e agli alti livelli di fiducia che caratterizzerebbero la società svedese. C’è una parte di verità: ma c’è anche, come ha osservato Gianmarco, una manipolazione, da parte di politici e media svedesi, di quella che è una consolidata autorappresentazione più che una concreta diversità (che sarebbe da dimostrare dati alla mano, ammesso che sia possibile). Non dimentichiamo che le statistiche di Transparency International sulla corruzione – spesso citate – o le rilevazioni del World Values Survey sui livelli di fiducia sono basati sulla percezione degli intervistati, non su un diverso funzionamento materiale (perdonate la semplificazione) della società.
Il discorso per cui le autorità si fidano dei cittadini e contano sulla loro autoresponsabilizzazione è pieno di contraddizioni. Intanto perché su altri settori è evidente che non è così (dall’interventismo dei servizi sociali nella vita familiare, alla legge sul consenso sessuale, fino alle scelte proibizioniste in tema di alcol e droghe leggere). Ma anche perché lo stesso Tegnell, dopo aver sostenuto che gli svedesi non hanno bisogno di ingiunzioni legali e seguono spontaneamente le raccomandazioni, ha anche aggiunto che l’alto numero di trasgressioni nei paesi con approcci “hard” dimostrerebbe che la Svezia fa bene: se ponesse divieti, la gente troverebbe il modo di aggirarli (!).
L’impressione che la FHM abbia una strategia lungimirante e coerente è soprattutto, secondo me, dovuta a questa rappresentazione e al modo poco conflittuale con cui si fa informazione in Svezia. In realtà la confusione sulle cifre e sui ritardi nella loro registrazione è notevole, gli errori nelle case di riposo sono stati flagranti, il dibattito sulla contagiosità dei non sintomatici è surreale. Se ne discute anche qui, ma si procede per minimi riaggiustamenti e quasi nessun giornalista strilla troppo forte – purtroppo, aggiungo io, a differenza del caso UK – sulle palesi incoerenze della comunicazione istituzionale.
(segue)
Provo a concludere qui e mi scuso per la lunghezza. Sono completamente d’accordo con la vostra idea di decostruire l’eccezionalismo svedese – per come è stato costruito sui media italiani e internazionali – tenendo conto, oltre che delle differenze, anche delle similitudini tra la Svezia e gli altri paesi (in particolare gli altri paesi nordici). Come ha sostenuto Wu Ming 1 (mi pare), il “lockdown (totale)” di per sé non vuol dire nulla: c’è uno spettro di possibili misure di distanziamento, e gli stati scelgono di combinarle in modo diverso. La Svezia è sicuramente vicina a uno degli estremi di questo spettro, ma si tratta di un continuum e non di una radicale polarità.
Però bisognerebbe fare attenzione a non riproporre lo stesso eccezionalismo guardando all’Italia, come hanno fatto anche diversi commentatori svedesi sottolineando il carattere “totalitario” delle misure in Italia e dipigendo la Svezia, tra il serio e il faceto, come l’ultimo bastione del liberalismo: ad esempio, https://www.spectator.co.uk/article/no-lockdown-please-w-re-swedish. Ci sono diversi paesi, spesso i più in difficoltà o colpiti dal contagio, che hanno adottato misure simili a quelle italiane: Spagna, Grecia, Francia e Belgio hanno forme piuttosto radicali di lockdown, magari prevedendo qualche possibilità in più per uscire, ma anche dichiarando lo stato d’assedio e dispiegando l’esercito (Spagna), imponendo un’autorizzazione via sms e quindi rendendo potenzialmente tracciabili i movimenti dei cittadini (Grecia), oppure in alcune regioni o comuni limitando le uscite ad alcune fasce orarie (Francia). A me sembra fondamentale poter continuare a discutere, confrontare e criticare i singoli provvedimenti e gli eventuali abusi (sull’abuso dei decreti ad esempio si è dibattuto parecchio tra giuristi: http://www.questionegiustizia.it/articolo/lo-stato-democratico-di-diritto-alla-prova-del-contagio_27-03-2020.php). Arrivare a concluderne che ci siamo trasformati in uno stato autoritario o di polizia tout court sarebbe invece superficiale quasi quanto gli articoli di Tarquini sulla Svezia, o gli svarioni nazionalisti di diversi editorialisti svedesi sui tabloid maggiormente diffusi (Aftonbladet e Expressen).
EDIT: il numero di tamponi che ho inserito è per milione di abitanti (e.g., 7,387 tamponi per milione di abitanti).
Adesso devo scrivere altro sennò non mi pubblicano un commento troppo breve. Comunque sul fatto che analizzare il tasso di decessi per valutare l’efficacia dei modelli, hai ragione, ad oggi è prematuro. Infatti non ho più citato “dati” negli altri commenti.
Questo non cambia la sostanza della mia argomentazione principale, cioè che la Svezia stia gestendo la crisi in un modo sostanzialmente diverso dagli altri paesi, incluso il resto della Scandinavia, visto che Danimarca, Norvegia e Finlandia hanno attuato restrizioni, chiusure (di scuole, università) e messo in quarantena alcune zone nelle scorse settimane. Restrizioni e chiusure che stanno iniziando ad allentare da pochi giorni. La Svezia non ha fatto nulla di tutto ciò, lasciando la discrezionalità agli enti locali. Ha solo limitato gli assembramenti a un massimo di 50 persone e vietato, recentemente, le visite nelle case di riposo.
Giuste le osservazioni sull’atteggiamento dei media italiani, ma per rimarcarne gli errori non c’è bisogno di riabilitare la Svezia. Ci sono un paio di aspetti sottovalutati, fra cui ne cito alcuni:
– Se Danimarca e Norvegia in proporzione hanno un decimo (circa) dei morti svedesi, ci sarà pure un motivo. Possiamo parlarne per ore, ma più di 1000 morti con tutto quel vantaggio (rispetto ad es. all’Italia) è un crimine a livelli lombardi, punto e basta.
– Si continua a dipingere la Svezia esclusivamente come quel Paese bucolico e iperboreo dove la gente si incontra per caso mentre passeggia nei boschi. Beh, quello che sfugge a molti è che la Svezia è anche (in maniera non indifferente) tutta quella fascia di immigrati che vivono nei sobborghi delle grandi città, stipati in monolocali dove convivono membri di due o tre generazioni, e che costituiscono una parte molto rilevante degli infettati. In più, questi immigrati non hanno la fortuna di poter fare smart working, perché sono principalmente impiegati in lavori a contatto col pubblico, quindi continuano ad essere veicolo di contagio.
– Un altro punto riguarda il rispetto OCD degli svedesi per la forma. Negli ospedali e nelle case di riposo si continua a imporre al personale di NON usare mascherine “per non spaventare”.
Ripeto: spunti molto interessanti e anche condivisibili sui nostri media (e di altri Paesi), ma non c’è bisogno di “farsi convincere” che la Svezia stia toppando clamorosamente.
Il primo punto del tuo commento è già stato più che discusso, ha ricevuto risposte molto articolate, gran parte di chi sta dibattendo qui ha convenuto che il mero conto dei morti non fa capire niente, di per sé non rappresenta un criterio, invitiamo dunque a non bloccare la discussione sempre sulle stesse cose. Anche sul fatto che la Svezia non è l’Eden e nemmeno Shangri-La e che c’è razzismo e ci sono comunità immigrate che vivono in condizioni di relegazione e discriminazione e si ammalano di più si è già detto. Riguardo al tuo terzo punto, cioè al fatto che si imporrebbe al personale di NON portare le mascherine, per capire meglio la cosa potresti citare le fonti? Così ci orientiamo tutti meglio. Grazie.
A parte il fatto caro dk che a parer mio stai sbagliando tono e termini, qui non si tratta di “toppare”.
Forse non è stato abbastanza ripetuto un concetto abbastanza fondamentale, le misure di distanziamento fisico tramite isolamento generalizzato (lockdown) servono SOLO ad abbassare la curva del contagio e NON a diminuire il numero di contagi. Questo significa che se da noi è stato ritenuto necessario farlo è perché sapevamo di non avere abbastanza posti in terapia intensiva o per meglio dire, che la risposta del SSN sarebbe stata insufficiente di fronte ad un picco alto.
Se un paese ritiene di essere in grado di poter affrontare un picco alto allora, per l’economia (ma non solo, anche per i danni fisici e psicologici da lockdown generalizzato cosa di cui noi pagheremo un conto salatissimo e continuiamo a non rendercene conto appieno imho), allora la scelta di far smaltire prima il virus è del tutto legittima.
Del resto la questione se affrontare un epidemia senza vaccino in modo so long o so high è un dibattito del tutto aperto… nel caso di un SSN sufficiente.
Ora a parte il fatto che bisognerebbe tenere presente che la Svezia ha circa il doppio degli abitanti sia della Danimarca che della Norvegia prima di citare numeri, non mi sembra che in questo momento ci giungano notizie (se qualcuno le ha sentite lo dica) di ospedali svedesi in crisi per il numero di ricoveri.
Vi suggerirei di fare i conti alla fine per stabilire chi ha toppato e meno, e comunque se proprio dovete far questo tipo di discorsi tenete presente che peggio di noi Italiani ha fatto solo la Spagna secondo i primi studi: https://www.linkiesta.it/2020/04/coronavirus-covid-19-italia-classifica/
Un’ osservazione sulla questione delle informazioni circolate sulla stampa italiana. Parlando di ciò che ha scritto Tarquini, gli autori dell’articolo scrivono: “Ovviamente il modo di procedere svedese «a molti nel mondo appare pericoloso e irresponsabile», e questi «molti» sarebbero quelli del Financial Times, che hanno parlato di «esperimento sanitario unico al mondo».” Ritengo sia vero che il modo di procedere svedese abbia sollevato molte polemiche e destato preoccupazione, a livello nazionale e internazionale, in quanto:
1. Oltre 2000 ricercatori, scienziati, dottorandi, specialisti in diverse discipline, che lavorano in Svezia, hanno firmato una petizione per chiedere misure più restrittive (https://www.dn.se/nyheter/sverige/forskare-i-upprop-till-regeringen/);
2. 22 ricercatori e scienziati svedesi, che lavorano in ambito medico, hanno scritto una lettera aperta a un quotidiano svedese, chiedendo misure più rigorose (https://www.dn.se/debatt/folkhalsomyndigheten-har-misslyckats-nu-maste-politikerna-gripa-in/?fbclid=IwAR2DzjpDNA7eT2ZVleH7EIPlooNg3xJGzmhwRAfS0LkHCu5Af6AjQA-i9tg)
[SEGUE]
3. “Quelli” dell’OMS, durante un’intervista alla CNN, hanno detto che è “imperativo” che la Svezia “increase measures to control spread of the virus, prepare and increase capacity of the health system to cope, ensure physical distancing and communicate the why and how of all measures to the population.” (https://edition.cnn.com/2020/04/10/europe/sweden-lockdown-turmp-intl/index.html)
4. The Lancet, una rivista medica, ha scritto che “initial slow response in countries such as the UK, the USA, and Sweden now looks increasingly poorly judged.” (https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(20)30686-3/fulltext)
5. “quelli” della stampa anglofona, tra cui il Guardian, che ha parlato di “roulette russa” (https://www.theguardian.com/world/2020/mar/23/swedish-pm-warned-russian-roulette-covid-19-strategy-herd-immunity), The Sun, Forbes, The Washington Post e “quelli” della stampa francese, come Le Figaro, che scrive: “Les conférences de presse de l’Agence suédoise de santé, à Stockholm, sont de plus en plus surréalistes” (https://www.lefigaro.fr/international/covid-19-la-strategie-suedoise-critiquee-20200408), e potrei continuare ma mi placo :-)
Pertanto sarebbe interessante chiedersi perché il modello svedese abbia sollevato tante polemiche, non solo sulla stampa italiana.
La lettera dei 22 è già stata citata/linkata molte volte. Sono anche già state linkate risposte critiche di altri scienziati svedesi a quella lettera, e controargomentazioni varie, anche rivolte alla petizione dei 2000. Direi che questi dati sono assunti, possiamo anche procedere oltre, perché sennò questa lettera, anche oltre le intenzioni di chi la cita, diventa una specie di tavola con incisa la Legge, mentre è stata uno dei tanti contributi a un dibattito tra posizioni diverse, perché come abbiamo già appurato varie volte, non esiste consenso unanime tra virologi ed epidemiologi riguardo a questo virus, e soprattutto virologi, epidemiologi and the likes non hanno la formazione per valutare le ricadute sociali, politiche, economiche di questa o quella misura, per quello bisogna mettere in campo altri saperi. Da settimane sembra che l’unico sapere di cui tenere conto quando un virus si diffonde nella società sia quello del virologo, ma così resta fuori la società.
Riguardo al secondo punto, credo sia utile appurare se sui media internazionali siano usciti anche articoli e servizi sulla Svezia meno perentori, e se il livello qualitativo della copertura fosse lo stesso dei pezzi di Tarquini o fosse più alto.
In ogni caso, il fatto che una strategia susciti diffusa riprovazione non ci dice nulla sulla sua efficacia: ci dice solo che è controintuitiva rispetto al senso comune che si è affermato, che però non per forza ha ragione, men che meno è per forza razionale. Io trovo moltissimo di eclatantemente irrazionale nella strategia italiana, ad esempio, e molte falle nel concetto onnicomprensivo di «lockdown» che si è imposto. In tempi di emergenza – tanto più se l’emergenza è una pericolosa epidemia, un nemico invisibile ecc. – ogni idea controintuitiva rispetto al senso comune è destinata a incontrare ostilità, ma è anche vero che la situazione può rovesciarsi rapidamente, e il senso comune di ieri sembrare all’improvviso il top del contro-intuivo, e la strategia più famigerata rivelarsi migliore di quella più gettonata.
Ad ogni modo, tocca ripetere per l’ennesima volta che il punto non è dire se la strategia svedese sia o meno la panacea, o almeno se sia migliore di quella italiana. Tertium datur: potrebbero anche fare schifo entrambe. Il punto è che da noi si è presa di mira la Svezia con particolare accanimento – descrivendola come sideralmente distante dai paesi circostanti, che a loro volta sono stati descritti come vicinissimi all’Italia – per poter dire che «tutti gli altri fanno come l’Italia». In realtà basta andare a vedere le misure prese paese per paese per vedere che nessuno dei “pacchetti” di provvedimenti allestiti altrove è uguale a quello italiano, che è un’accozzaglia di carabattole autoritarie, divieti deliranti e misure giuste in linea di principio ma tardive o applicate male, da settimane ne analizziamo le incongruenze articolo dopo articolo, inchiesta collettiva dopo inchiesta collettiva. Da quale pulpito, precisamente, l’Italia può dare lezioni alla Svezia?
Infine, notazione generale: su Giap non facciamo apologie di nessuno stato, di nessun capitalismo, di nessuna socialdemocrazia, e nemmeno di nessun popolo. Ogni cosa che pubblichiamo va letta alla luce della nostra critica alla società capitalistica, alla divisione della società in classi, alle relazioni di potere. Sulla gestione dell’emergenza coronavirus facciamo inchiesta in quest’ottica, e ogni contributo che decidiamo di pubblicare è coerente con tale ottica.
Scusami, Wu Ming 1, ma io nel mio precedente post non ho mai scritto che la strategia svedese sia sbagliata, lo ripeto di nuovo, ma che abbia suscitato polemiche anche sulla stampa internazionale.
Ovviamente sono usciti anche articoli meno perentori, ma questo è accaduto anche in Italia, per esempio sul Sole 24 ore (https://www.ilsole24ore.com/art/il-modello-svedese-lockdown-volontario-aiuti-fino-9percento-del-pil-ADnfnSH).
Inoltre, qui si sta sottolineando come la stampa italiana stia dipingendo la Svezia come eretica e io sto controbattendo che anche la stampa mainstream di altri paesi ha fatto la stessa cosa e ho riportato alcuni riferimenti.
Tu scrivi che “Il punto è che da noi si è presa di mira la Svezia con particolare accanimento – descrivendola come sideralmente distante dai paesi circostanti, che a loro volta sono stati descritti come vicinissimi all’Italia – per poter dire che «tutti gli altri fanno come l’Italia».”
Io ti sto ribattendo solo che questo prendere di mira la Svezia non è avvenuto solo in Italia, ma anche su giornali in UK, in Francia e non solo, sottolineando come la Svezia sia sideralmente diversa dal resto del mondo, come stia giocando alla roulette russa (Guardian), stia effettuando un esperimento sulla pelle dei propri cittadini (Financial Times), e di come le riunioni della sua agenzia della salute pubblica siano surreali (Le Figaro). Anche la Cina ha attaccato la Svezia dicendo che ha una strategia di “capitolazione” (https://sverigesradio.se/sida/artikel.aspx?programid=2054&artikel=7429323).
Io non concordo né nella forma né nella sostanza con queste critiche, ma ci dicono che c’è un problema di “comprensione” di quello che sta accadendo in Svezia, che va al di là del confronto con il modello italiano. Per cui sarebbe interessante discutere di questo aspetto.
Non ho detto che tu hai descritto la strategia svedese come sbagliata ma che nessuno di noi l’ha tout court descritta come giusta, è diverso.
Sul resto, provo davvero a spiegarmi come meglio posso:
il sottotitolo dell’articolo è «come e perché la stampa italiana disinforma su Svezia e coronavirus».
C’è un come (gli articoli alla Tarquini) e c’è un perché (serve a tenere in piedi la finzione del “modello Italia” imitato in tutto il mondo).
Anche media di altri paesi hanno disinformato sulla Svezia. Se il loro “come” può avere molte similarità con il “come” dei media italiani – che del resto si appoggiano sempre a fonti secondarie estere e fanno informazione di risulta – il perché dev’essere certamente diverso, perché dubito che la motivazione del Figaro sia quella di reggere il moccolo all’Italia su quant’è fica la sua decretazione emergenziale. Sbaglio, a pensare così?
Lo scopo dell’articolo era spiegare a lettori italiani quale sia la motivazione specifica dei media mainstream italiani nell’attaccare la Svezia con tanto zelo. Non sono i soli a farlo, ma sono i soli a farlo con quella motivazione. Che è quella che interessava mostrare.
Anche capire come e perché media mainstream di altri paesi disinformino sulla Svezia è importante. Non era il focus dell’articolo qui sopra, ma sviscerare la cosa può arricchire la discussione in calce. Non vedo contrapposizione tra le due cose. Se mi concentro sui media italiani non vuol dire che non mi freghi nulla degli altri.
Scusa, Wu Ming1, mi ero persa questo tuo commento.
1. “Lo scopo dell’articolo era spiegare a lettori italiani quale sia la motivazione specifica dei media mainstream italiani nell’attaccare la Svezia con tanto zelo. Non sono i soli a farlo, ma sono i soli a farlo con quella motivazione. Che è quella che interessava mostrare.” > Quindi tu escluderesti completamente la possibilità che la stampa inglese, francese o americana in cui sono apparsi parecchi articoli critici sulla Svezia (che magari, messi insieme, creano una narrazione), con toni anche pesanti e informazioni parziali, abbia “frainteso” ciò che sta accadendo in Svezia per supportare la validità delle restrizioni in atto nei propri rispettivi paesi? In particolare in UK, dove c’è stato un cambio di rotta del governo per cui farebbe comodo, ad alcuni, poter fare il confronto con un modello diverso, la “roulette russa”, per giustificare questo cambio di rotta verso misure più restrittive? Io non ho una risposta, ma non ho la tua stessa certezza nel dire che non sia così. Sarebbe interessante sentire il punto di vista di un “Wu Ming francese” o inglese…
2. Nei commenti precedenti avevi scritto che un giornalista italiano di cui si è parlato ampiamente, ha detto di essersi basato, nel descrivere la situazione svedese, su agenzie di stampa inglesi e americane. Questo mi fa pensare che andrebbe capito se non siano proprio queste agenzie inglesi e americane ad aver costruito una certa narrazione della Svezia, adottata poi anche da alcuni giornalisti italiani. Per esempio, l’annuncio di un imminente lockdown in Svezia è circolato su un articolo del Guardian, pubblicato il 5 aprile (“Sweden prepares for possible tighter coronavirus measures as deaths rise”). Proprio in questo articolo, si contrappone il modello svedese con i “tough lockdowns” di Danimarca/Norvegia e si sottolinea che la strategia svedese stia ricevendo “increasingly heavy fire from some of the country’s health experts”. E ci sono diversi articoli sulla stampa inglese, americana e francese, precedenti a questo, su questa linea. Io penso che tutto questo sia rilevante per il vostro discorso.
[CONTINUA]
Rispondere al punto 1 è facile: no, non lo escludo affatto, anzi, è plausibilissimo. Però il nostro focus in questo frangente era sull’Italia, sull’agenda setting italiano, sulle costruzioni ideologiche italiane.
Rispondere al punto 2 è ancora più facile: l’informazione italiana sull’estero, come detto, è quasi sempre “di risulta”, di seconda mano quando va bene. Poi ci mettiamo del nostro, un sovrappiù di guitteria, di “colore”, di personalismi (non so se un qualunque giornalista tedesco avrebbe risposto alle critiche come fa Tarquini). Questo modo di fare informazione è incastonato in un sistema-Paese, che sta gestendo l’emergenza coronavirus in un modo che si inserisce nella tendenza continentale ma al tempo stesso presenta peculiarità, peculiarità che stiamo indagando. Non so il perché della difficoltà a capire quest’approccio, ci sembra sia abbastanza chiaro a chi ha letto finora i nostri post, è un approccio che portiamo avanti metodicamente da settimane e settimane, inchiesta dopo inchiesta, post dopo post.
3. Comunque neanche io vedo contrapposizione, mi sto solo facendo delle domande sull’unicità di quello che sta accadendo sulla stampa italiana. Magari è davvero unico, ma servirebbe approfondire quello che sta accadendo altrove per poterlo dire senza ombra di dubbio. E questo credo sia importante anche per capire il “perché”: la stampa italiana sta davvero costruendo una narrazione ad hoc oppure ha “solo” adottato e adattato una narrazione che circola già su certa stampa estera che viene usata come fonte?
4. Infine, e qui chiudo davvero, alcuni commentatori, me inclusa, hanno fatto notare che per sostenere certe argomentazioni sulla disinformazione della stampa italiana, gli autori dell’articolo hanno FORSE fornito una visione di ciò che sta accadendo in Svezia un po’ troppo “pacifica” (vedi i commenti postati sopra).
Grazie e saluti :-)
Un’ultima osservazione: tu chiedi da quale pulpito, l’Italia, possa dare lezioni alla Svezia. Su almeno una questione può farlo, secondo me, ed ha a che fare proprio con la vostra critica alla società capitalistica e alla divisione della società in classi.
Come già ha fatto notare matteoiamma, gli “eretici di Stoccolma” hanno lasciato che la scelta di chiudere ricadesse sulle singole fabbriche, università, aziende, scuole private. Questo per tutelare proprio gli interessi di chi ha in mano il potere.
Questo è un dramma per tutti i lavoratori più fragili che non possono permettersi il lusso dello smart-working, che le aziende non sono “costrette”, ma invitate, a proporre. E anche per i lavoratori nelle categorie a rischio, la cui salute non è tutelata. Non mi pare un caso che proprio il Sole 24 ore difenda le scelte svedesi.
Guarda che, dietro le apparenze, è quello che è accaduto anche in Italia, solo con maggiore ipocrisia.
Non solo Confindustria ha dettato al governo la lista dei codici Ateco che potevano continuare a operare, ma anche a moltissime imprese che avrebbero dovuto chiudere è stato possibile continuare la produzione, con un semplice escamotage: bastava fare richiesta di deroga al Prefetto e la fabbrica restava aperta.
Lo ripeto mettendoci un corsivo così si capisce cosa intendo: bastava fare richiesta di deroga. Non era nemmeno necessaria la deroga stessa, perché mentre il Prefetto valutava, intanto la fabbrica restava aperta. In dubio pro domino, abbiamo scritto. Nel dubbio, a favore del padrone.
E la richiesta è stata quasi sempre accettata: 32.000 deroghe in Lombardia, 28.000 in Emilia-Romagna… Non ho sotto mano i dati delle altre regioni ma sicuramente i numeri saranno altissimi.
Col risultato che oltre il 52% delle imprese ha continuato a operare, e una vasta moltitudine di lavoratori a contagiarsi e contagiare.
Ergo, Wanderer, non solo gli «eretici di Stoccolma» – definizione con cui riassumiamo l’approccio dei media mainstream, non la facciamo nostra – ma anche gli «ortodossi di Roma e Milano» hanno «lasciato che la scelta di chiudere ricadesse sulle singole fabbriche», e anche in Italia questo è stato un dramma per i lavoratori.
Ribadisco: da che pulpito l’Italia può dare lezioni alla Svezia?
Scrivo quest’ultimo commento, poi lascio spazio ad altri.
Hai ragione, in Italia Confindustria ha dettato le regole del gioco sulla (non) chiusura delle imprese.
In Svezia hanno semplicemente lasciato la discrezionalità su (quasi) TUTTO (scusa il maiuscolo) ai “manager”, non solo le imprese, ma anche le università (pubbliche), le scuole superiori ecc. Come ha scritto Gianmarco sopra, 900 insegnanti hanno inviato una lettera perché non possono rispettare le misure di distanziamento sociale negli asili e i lavoratori che fanno parte delle categorie a rischio non sono tutelati perché le mascherine, all’asilo, non le possono mettere. I lavoratori che stanno a contatto con il pubblico hanno gli stessi problemi. Comunque altri commentatori hanno ampiamente discusso questo aspetto, per cui mi fermo qui.
Mi intrometto con un’osservazione: a me sembra che, in queste dinamiche, il modello svedese sia meno subdolo. In Italia l’industria che continua a lavorare si fa scudo proprio dietro alla processualità legata al governo che accorda la deroga, il messaggio che viene fatto passare è “il governo ci ha detto di continuare”, soprattutto se letto in controluce alla chiusura obbligata di qualsiasi altro fronte socio-lavorativo; in un certo senso le proteste dal basso vengono disperse tra il puntare il dito contro le aziende ed anche contro il governo, sembra un po’ lo schiaffo del soldato.
Al contrario, la Svezia mette di fronte datori di lavoro e lavoratori, in un clima che è antitetico al “lockdown all’italiana” già discusso; mi sembra un modo molto più diretto ed efficace di avere e riconoscere responsabilità. Nel panorama del conflitto, mi sembra uno schema molto più “sano”, per quanto sempre nel criticabile come tutto ciò che espone le parti sociali più deboli.
Da Stoccolma.
Nell’articolo si descrive la strategia del governo italiano come un’improvvisazione continua e quella svedese come coerente e razionale.
1. E’ incongruo paragonare le situazioni in cui si sono trovate Italia e Svezia: la prima ha scoperto il paziente 1 quando il contagio si era diffuso nella popolazione già da settimane, per cui ci si è trovati quasi subito in una situazione emergenziale; la Svezia invece ha visto i casi “gocciolare” ad uno ad uno (quelli che tornavano dalle Alpi) e ha – incoscientemente a mio avviso, vista anche l’esperienza italiana – evitato ogni forma di quarantena che non riguardasse i sintomatici, in una fase in cui misure prudenziali avrebbero avuto un impatto sociale minimo e rallentato molto la diffusione successiva del contagio (tra l’altro: Melodifestivalen vi dice qualcosa?). La lista delle fess… inesattezze dette da Tegnell in quella fase è lunga e le faq di FHM quantomeno votate all’imprudenza… Ovviamente delle gravi carenze ci sono state anche in Italia, ma ci si trovava in in tutt’altra situazione (il che non assolve da una serie di altre ingiustificabili responsabilità, vedi RSA).
2. Paragonare la situazione tra Italia e Svezia è incongruo perché se in Italia non si fosse introdotto il lockdown rapidamente, sarebbe stata letteralmente una strage nel centro-sud. Amici che lavorano al PS a Roma mi dicevano che c’erano scarsità di posti letto già in una fase precoce dell’epidemia; se si fosse diffuso il contagio anche solo allo stesso ritmo presente a Roma subito dopo l’introduzione del lockdown, sarebbe stato una catastrofe. A questo pensino i critici della decisione del governo italiano. [continua…]
[…continua] 3. Si descrive la strategia di Boris Johnson in UK in maniera erronea (qualcuno stava parlando di disinformazione?), come è stato fatto pressoché dappertutto. Io quella conferenza stampa l’ho ascoltata, era una strategia – giusta o sbagliata che fosse – coerente e ben argomentata; è stata descritta come cinica (prepariamoci a perdere i nostri parenti) e unicamente basata sull’immunità di gregge (cosa falsa). Come dire: se stai criticando la disinformazione altrui, magari cerca di non farne nemmeno tu che scrivi.
4. La disinformazione dei giornali italiani sulla Svezia è stata madornale. Però non siamo – ohimé – soli in questo: anche in altri paesi hanno fatto esattamente lo stesso. Allora o il complotto è internazionale o non c’è nessun complotto, ma superficialità, impreparazione, ignoranza, mancanza di professionalità, etc. Ovviamente le differenze culturali e di stile comunicativo tra Svezia e Italia non aiutano (ad es. in Italia chi non segue le indicazioni governative è un idiota, un delinquente, etc.; in Svezia è “una persona che non ha capito”, cit. di Tegnell di qualche giorno fa). L’altro giorno mi ha contattato una giornalista di RadioRai e l’ho trovata professionale e disponibile ad un ascolto attento e scevro da pregiudizi.
5. Descrivere l’approccio Svedese come non troppo dissimile da quello degli altri paesi scandinavi è, più che una forzatura, un mettersi il prosciutto davanti agli occhi.
Emanuele.
Purtroppo ci tocca invitare chi sta per intervenire a leggersi tutta la discussione, anche se lunga. Il rischio è di sollevare punti già discussi o anche stradiscussi, col rischio di generare tedio in chi sta seguendo gli scambi. Il rischio è che molti saltino a pie’ pari il nuovo commento, che magari invece, accanto a cose già scritte, contiene nuovi spunti, che però in questo modo vengono persi.
Sull’uso generico e indifferenziato della parola «lockdown» per intendere cose molto diverse tra loro ci siamo già espressi diverse volte, dire che in Italia «il lockdown» ha funzionato significa mettere insieme misure giuste (ma tardive o mal applicate) e altre completamente sballate che hanno fatto e continueranno a fare danni a lunga e anche lunghissima gittata. Solo che non si discerne criticamente, si dice genericamente «il lockdown», e così, a fine emergenza, sarà tutto un post hoc ergo propter hoc (dopo le misure il contagio è calato quindi è tutto merito delle misure) e un non sequitur (se la misura X era giusta allora era giusto anche il divieto Y introdotto dallo stesso decreto) e altre fallacie logiche che impediranno di comprendere cosa sia accaduto.
scusa Emanuele, provo a risponderti sul punto “5 – Descrivere l’approccio Svedese come non troppo dissimile da quello degli altri paesi scandinavi è, più che una forzatura, un mettersi il prosciutto davanti agli occhi.”
Temo che questa differenza di percezione, che emerge in modo più o meno colorito in diversi commenti, sia l’effetto di un equivoco di fondo tra senso tecnico e senso comune sulla valutazione di una prescrizione. Provo a fare un esempio ipotetico: se devo descrivere in un modello matematico il distanziamento umano, posso definire come parametro il “numero di persone che un singolo incontra in un giorno”. Il modello poi potrebbe studiare il diffondersi dell’epidemia al variare di questo parametro tra 0 e 1000. In questo contesto è evidente che lo stesso parametro descrive restrizioni molto diverse: andiamo dall’isolamento totale (0 persone incontrate), a un lock-down rigido (diciamo 5 persone incontrate), oppure sempre meno rigido (per esempio 50 persone incontrate) e così via. Quindi lo stesso approccio modellistico può descrivere situazioni percepite nel senso comune come una progressione “draconiane-rigide-lassiste”. Un modello radicalmente diverso dal punto di vista tecnico potrebbe invece studiare l’effetto della somministrazione a tappeto di test epidemiologici, introducendo anche nuovi parametri.
In sostanza, qualunque comparazione tra situazioni diverse è molto complessa perchè richiede in primo luogo di accordarsi su una scala comune di valori. In una discussione interdisciplinare questo aspetto rischia di diventare prevalente.
Vediamo se alcune cose aiutano, chiedo scusa in anticipo perché sarò un po’ brusco.
1. Il fatto che le critiche non siano solo italiane non significa niente. Esistono circuiti internazionali, network, chiamateli come volete, che si rimpallano le stesse notizie. A noi qui premeva raccontare la nostra interpretazione della notizia “Svezia sbaglia” all’interno di una strategia politica italiana. Cosa ne fanno della stessa identica notizia altrove è un altro argomento, un altro articolo.
2. Ci sono modi e modi per dire “non sono d’accordo”. Io penso che chi dica che sia una forzatura paragonare i modelli scandinavi ha pochissima dimestichezza con le comparazioni. Ciò non toglie che forse ha ragione. Ciò non toglie che secondo me no. Fossimo altrove ci scontreremmo con altre armi – sto parlando di aule di seminari e bibliografie – qui non si può. Rafforzare il concetto con modi sgradevoli a che serve esattamente? Ci siamo capiti direi, chi legge ha gli elementi per farsi la propria opinione.
3. Le esperienze personali, ai miei occhi, non valgono quasi niente. Gli italiani in Svezia esprimono pareri e – chi l’avrebbe mai detto – questi pareri non coincidono. Uno dei due autori conosce la Svezia in modo molto approfondito e ci vive gran parte del tempo, molta gente che vive in Svezia – a spanne la maggioranza di quelli che fin qui l’hanno letto – trova l’articolo perfetto; altri hanno ritenuto di dover precisare qualcosa. Altri ancora che non va bene. Questo non dice niente sull’articolo ma appunto dice che la categoria “italiano in Svezia” non da patenti di particolare competenza. –>
–> 4. Il fatto di non voler entrare nell’argomento specifico “chi ha fatto meglio” è solo perché continuo a pensare che l’argomento sia OT. Ma se ci entro, con tutto il rispetto, c’è da mettersi le mani nei capelli per il modo con cui vengono citati morti, contagiati, conseguenze del lockdown e non so cos’altro.
5. Ho la fortuna di avere una certa competenza in alcune cose, di saper discernere in altre. Guardare lo studio dell’Imperial College e giudicarlo posso farlo da solo e riconoscere l’aria di casa dei modelli astratti, dipendenti dalle assunzioni. Non solo, ma potrei persino spiegare a cosa servono “davvero” quei modelli. Di nuovo, l’argomento è OT, ma di nuovo, mi pare che qui venga trattato con una certa superficialità.
6. Tegnell dirà fesserie, ma questo non lo dimostra il parere di altri, lo dimostrano, eventualmente, gli studi che lo smentiscono. Ci sono? Vi rispondo io, non ci sono. Se avrà detto fesserie lo sapremo tra un anno, forse di più, quando verosimilmente a molti di quelli che adesso lo criticano non gliene fregherà più una mazza. Se anche Gesù Cristo fatto persona scendendo dalla croce gli dicesse cretino per me non sarebbe sufficiente se non mi facesse vedere come e dove.
7. Quando si dice “io non difendo il modello svedese (anche) perché non so chi ha ragione e chi no” voglio dire una cosa che forse dovevo precisare prima: non lo so perché non lo sa nessuno. E anche questo, allo stesso modo delle fesserie di non so chi, lo sapremo in un futuro non proprio prossimo.
Io non mi illudo certo che questo chiuderà il discorso, ci mancherebbe altro. Ma comprenderete se a certe cose, che fin qui ho evitato di definire sciocchezze ma insomma, non replicherò più. Ho avuto lo spazio per esprimere il mio parere e per spiegarmi, per me può bastare così.
Ah, io sono un italiano che vive a Malta, dove si può andare al mare, al supermercato, correre, mangiare una pizza sulla panchina, fare dei picnic, far incontrare mia figlia con una sua amichetta. Chissà che significa.
Nel frattempo WM1 aveva detto molto meglio di me alcune cose sovrapponibili alle mie. Ne approfitto per segnalare l’UNICA cosa che regge dal punto di vista scientifico su temi che io posso “padroneggiare” (credo ci siano molti lavori validi su questioni più specificamente mediche sulle quali ovviamente non posso dire nulla):
https://onlinelibrary.wiley.com/doi/pdf/10.1111/eci.13222
L’ho trovato qui fra l’altro. Forse non è inutile dire che se avete studi da segnalare li leggerò con piacere, opinioni di “istituti prestigiosi” o di stampa varie per me basta così, grazie.
L’autore di Stanford che citi critica le “extreme measures” in maniera generalizzata, focalizzandosi su quelle prive di sufficiente letteratura a supporto. Il riferimento è soprattutto all’uso indiscriminato delle mascherine su cui non sembra esserci chiarezza e convergenza nel mondo accademico. Il fatto che solo le “misure di igiene” siano state abbondantemente studiate (lode al mitico Semmelweis) non è indicativo di niente a riguardo dei “lockdowns”.Le conseguenze economiche ormai le conosciamo tutte ormai. Ho trovato l’articolo un insieme di esercizi ginnici di raccomandazione accademica sul valore delle evidence-based measures.
Tutto quello che vuoi, ma 1. sul lockdowns non ci sono evidenze da nessuna parte (un po’ di studi li ho ripartati in http://www.intrasformazione.com/index.php/intrasformazione/article/view/434/pdf?fbclid=IwAR07YLp6kyXfDIcja0pTlPuPx35PxfG2x7WmWmLx5T8_PEmerdTf0cn-kUU e 2. questo è un articolo scientifico, non delle opinioni o un modello predittivo basato su assunzioni assurde. Poi dipende anche dalla sensibilità che si ha verso i diversi tipi di contributo e quello che si usa per. Per dire, per me sono i modellini degli esercizi ginnici. Mi permetto un po’ di pedanteria e di consigliare un classico, nel caso non l’aveste mai letto, “il posto del disordine” di Raymond Boudon
1. Secondo me invece qualcosa significa. Che cosa fanno altrove (cioé, sui media non italiani) della stessa notizia è sicuramente un altro tema, e non intendevo dire che dovete occuparvi di tutto. Ma se una delle vostre tesi è che questo specifico – e pessimo, siamo d’accordo – trattamento mediatico della Svezia è costruito ad arte espressamente per corroborare una narrazione italiana sulla superiorità morale del lockdown nostrano (narrazione che sicuramente esiste)… beh, a me pare che questo non si possa dire, o che sia un’interpretazione incompleta.
Cristiano, io però contesto l’idea che chiunque indaghi le peculiarità di una situazione stia facendo «eccezionalismo». Noi non abbiamo mai detto che l’Italia è “fuori dal mondo”, sappiamo che quanto accade qui è parte di una tendenza continentale e planetaria.
Il lavoro di problematizzazione e smontaggio che stiamo facendo consiste nel mostrare che certe recrudescenze e riflessi condizionati collettivi, un certo mix di – so che la parola ha certe connotazioni e incrostazioni, facciamo a capirci – “bizantinismi” e autoritarismo che produce divieti deliranti (spesso de facto e non de iure), un certo caos normativo che dà massima discrezionalità alle forze dell’ordine, un certo proliferare di mussolinismi in sedicesimo tra governatori e sindaci, ecco, tutto questo è peculiarmente italiano, legato alla nostra storia. Non a caso è riemerso con prepotenza il termine «assembramento», quintessenzialmente fascista, legato alla storia della repressione in questo Paese. Nel quale viviamo e col quale dobbiamo fare i conti ogni giorno.
Tutte queste constatazioni, questi rilanci finalizzati a capire sempre meglio, li facciamo non a priori, ma a posteriori, dopo aver raccolto testimonianze, fatto confronti, discusso con voi ecc. È a posteriori, dopo un lavoro di inchiesta collettiva, empirico finché si vuole ma non insignificante, che abbiamo detto: il pacchetto di provvedimenti – de iure e de facto – “all’italiana” è peculiare e riflette le peculiarità del nostro Paese.
Tutto questo crea un clima che ineluttabilmente, sistemicamente produce un certo sguardo sulla Svezia, e produce i Tarquini. Con la linea che i nostri media mainstream hanno adottato fin dall’inizio, e con la pessima qualità della nostra informazione, un certo modo di descrivere la Svezia è logicamente conseguente. Non credo che un comitato ristretto di gestori della crisi si sia seduto a tavolino e abbia dettato la circolare: «Per far brillare la nostra decretazione d’emergenza è necessario svolgere un certo lavoro di diffamazione del premier svedese». Non attribuirci complottismi, sai bene che il nostro approccio è alieno dall’eccessivo sottolineare l’intenzionalità dei soggetti in campo.
Non vi imputo nessun complottismo, ci mancherebbe. Però, se l’obiettivo è individuare dinamiche sistemiche e non l’intenzionalità degli attori sociali, a maggior ragione diventa urgente analizzare i fattori strutturali nella loro complessità, confrontare le strategie politiche e tecniche di contenimento del virus nelle loro analogie e differenze, e provare a tracciarne i percorsi accidentati con la maggiore cura possibile prima di applicare un filtro interpretativo troppo onnicomprensivo, specialmente se si collega a qualche forma di specificità nazionale (o culturale, o religiosa, ecc.). Qualcosa di simile a Latour e gli STS, diciamo.
L’attuale situazione ha messo in moto un enorme meccanismo di competizione (di immagine e geopolitica) tra governi, paradossalmente ancora più forte in contesti come l’UE dove ci si potrebbe aspettare di primo acchito meccanismi più cooperativi. Forse questo ha stimolato le analisi alla Buffagni che aiuterebbero chi le legge a spiegare questa differenza di comportamenti. Sarà perché io sento di aver fatto il pieno, sui media svedesi e italiani, di interpretazioni culturaliste e deterministe, che il mio livello di allarme si è alzato; ma non vorrei che l’idea di “ineluttabilità” e di “riflessi incondizionati” collettivi vi esponga allo stesso rischio. Così come non leggerei immediatamente Johnson con la lente del colonialismo britannico o qualsiasi reazione dei paesi nordici con l’eugenetica (pur avendovi linkato una articolo qui sotto che propone in parte una simile interpretazione).
Il colonialismo fa parte della storia britannica tanto quanto il fascismo (e il colonialismo) della nostra e l’eugenetica di quella svedese, e non possono non aver lasciato traccia nell’assetto giuridico, nella memoria storica e l’immaginario collettivo, e in molto altro. Ma le risposte elaborate dai diversi paesi dipendono da un sacco di altri fattori (il dibattito nell’epidemiologia e le diverse scuole di pensiero, i canali di circolazione delle teorie scientifiche, l’emulazione nelle risposte politiche, dinamiche competitive, ecc.) e dubito che sia sempre possibile fornirne un’interpretazione coerente con le rispettive storie politiche.
Noi però non stiamo leggendo nulla «immediatamente». Non c’è un aprioristico «filtro onnicomprensivo», anzi, abbiamo provato a far passare la lettura di quest’emergenza attraverso molti filtri, moltiplicando gli ambiti da interrogare, le angolature e testimonianze. Non credo proprio che stiamo peccando di eccezionalismo, né di eccessivo determinismo, né di culturalismo, né tantomeno di alcuna forma di monocausalismo, non stiamo dicendo che tutti gli aspetti della gestione dell’emergenza coronavirus in Italia hanno una matrice, semplicemente che ci sono peculiarità. La gestione dell’emergenza avviene all’interno della costituzione materiale del paese.
Ogni paese ha la sua costituzione materiale: un insieme complesso di relazioni sociali, rapporti di forza, modi di esercitare il potere che non ha, non può avere alcun preciso corrispettivo in altri paesi, perché è il risultato di precisi scontri storici, di esperienze vissute e rielaborate (o accantonate) collettivamente. Il groppo fascista che non va né su né giù è una di queste esperienze, ed è quindi uno degli esempi possibili, ma saremmo ben scemi se sostenessimo che tutta questa fase si può leggere in quella chiave.
Sarai d’accordo, spero, sul fatto che un corrispettivo di Vincenzo De Luca, del suo modo di gestire questa fase, del suo modo di comunicare, del groviglio di interessi che ha prodotto un personaggio del genere, in Svezia non esiste, non può esistere. Per cambiare campo di ricerca, in Italia non esiste un corrispettivo del sostrato socioculturale che ha portato Svezia e Norvegia ad avere oltre il 90% delle band di black metal esistenti al mondo… Ma queste sono, o dovrebbero essere, ovvietà.
A conti fatti, mi sembra che stiamo dicendo in due modi diversi più o meno la stessa cosa, il disaccordo da parte mia è solo sull’ultima frase: «dubito che sia sempre possibile fornirne un’interpretazione coerente con le rispettive storie politiche». Io, al contrario, penso sia sempre possibile, perché la gestione politica di un’emergenza del genere non può spuntar fuori dal nulla, priva di storia, gestita da improvvisi signori nessuno. È gestita dalle istituzioni esistenti e dai governanti in carica, che sono in carica perché sono successe certe cose in un certo contesto. La gestione, dunque, non può essere incoerente con la storia politica del paese: avviene nelle condizioni create da quella storia politica.
Tuttalpiù si può produrre, a qualche livello, discontinuità con quella storia, ma è una cosa diversa, e in ogni caso, al momento non sembra il caso qui in Italia, dove per ora – a dispetto del cliché «nulla è più come prima» – l’emergenza sta prolungando i fili di prima, confermando gli squilibri di prima, riproponendo in forma esasperata i tic di sempre.
Ho trovato un articolo interessante sulla posizione svedese, qui: https://www.nationalreview.com/2020/04/coronavirus-response-sweden-avoids-isolation-economic-ruin/
La questione fondamentale, ovvero: “funzionano le misure di lockdown?” per la scienza vera è di fatto tuttora aperta.
Traduco qui la chiusura dell’articolo:
La natura sa come fare, gente. Abbiamo affrontato nuovi virus per generazioni. Il modo migliore è quello di permettere ai giovani e sani – quelli per i quali il virus è raramente fatale – di sviluppare anticorpi e l’immunità del gregge per proteggere i fragili e i malati. Con il passare del tempo, diventerà più chiaro che le misure di isolamento sociale come quelle in Svizzera e in Norvegia ottengono molto poco in termini di riduzione dei decessi o delle malattie, anche se distruggono le economie locali e nazionali – aumentando la miseria, il dolore, la morte e le malattie da altre cause, mentre la vita delle persone viene sconvolta e il futuro viene distrutto.
La National Review è una rivista conservatrice, turboliberista, a suo tempo reaganiana e oggi portavoce di quei repubblicani classici che odiano Trump. L’articolo che citi si inserisce probabilmente in una battaglia tra opposti think tank della destra americana: Trump attacca la Svezia, la National Review finisce per fare l’elogio della socialdemocrazia svedese. Il che è un bel paradosso, da qualunque prospettiva lo si guardi.
A questo proposito, dopo aver evitato per un po’ il termine, l’epidemiologo capo Anders Tegnell ha di nuovo dichiarato, ieri in un’intervista alla tv norvegese, che entro fine maggio a Stoccolma potrebbe essere raggiunta l’ “immunità di gregge” (https://www.expressen.se/tv/nyheter/coronaviruset/tegnell-kan-bli-flockimmunitet-i-stockholm-i-maj/).
Sul carattere “neoliberista” o reazionario delle risposte basate sull’immunità di gregge, si è scritto parecchio in inglese: segnalo https://thequarantimes.wordpress.com/2020/03/19/herd-immunity-is-epidemiological-neoliberalism/ e anche, in una prospettiva diversa (più storica, sulla febbre gialla nel sud schiavista degli Stati Uniti): https://www.nytimes.com/2020/04/12/opinion/coronavirus-immunity-passports.html?smid=tw-share .
«Immunità di gregge» è un’espressione orrenda, un frame che presuppone un pastore, cani che fanno da guardiani, bestie in cattività ridotte a meri complementi oggetto, ricettori passivi delle scelte del pastore e dell’industria che sta dietro il pastore. Il fatto che si sia scelta quest’espressione zootecnica anziché «immunità diffusa» o «immunità sociale» o «immunità collettiva» dice già molto. E però…
…Però quando si trattava di blastare i no vax – coi quali non voglio essere confuso, intendiamoci, io e la mia compagna abbiamo fatto fare a nostra figlia tutte le vaccinazioni – tutti gli “illuministi”, i liberal, i burioniani, le repubbliche e le stampe, tutti usavano con indifferenza, anzi, con entusiasmo, e sistematicamente, l’espressione «immunità di gregge», descrivendo di fatto la società come un’azienda zootecnica e gli umani come ovini prigionieri. È stato durante quella “culture war” che è passato nella cultura un concetto positivo di «gregge», metafora che invece era sempre stata usata con intento dispregiativo, per denunciare il conformismo.
Se descrivi gli umani come pecore, non diventa del tutto logico che a un certo punto, possano essere chiusi nell’ovile con un semplice dpcm del pastore?
Forse è solo un mio divertissement, non lo so, ma io lavoro con le parole, e le parole non sono neutrali, le metafore attivano frame, e i frame aiutano a orientare condotte.
Cristiano, l’articolo di the quarantine però è pessimo, sembra scritto da Repubblica. La figura che mostra il numero di posti letto in terapia intensiva (che come ho detto altrove è uno dei dati complicati da trattare) è tratta da un paper del 2012, otto anni fa…
Quello del NYT è più interessante ma faccio un po’ fatica a trasferire quel caso ai giorni nostri, senza contare che la premessa da cui parte mi pare un po’ diversa da quello che stiamo discutendo qui (forse vagamente più simile alle cose che dice Burgio, per quanto sembri paradossale…). Le conclusioni poi le sottoscriviamo tutti, figuriamoci, ma sembrano descrivere quello che sta succedendo in Italia no?
E’ possibile che “immunità di gregge” sia un’espressione tecnica?
Ma tralasciando gli eventuali tecnicismi, l’espressione in sé mi fa pensare alla lotta per la sopravvivenza, dove rimane il più forte. Dal punto di vista evolutivo sarebbe senz’altro una strategia vincente, e se lasciassimo diffondere il virus, fra qualche anno ne uscirebbe un’umanità più forte. È la tattica che, per forza di cose, venne usata con la peste nera nel XIV secolo, che in quasi 10 anni (se non ricordo male) produsse decine di milioni di vittime in Europa.
Per estensione, la lotta nella quale vince il più forte non è altro che la pratica del capitalismo (CristianoL lo ha segnalato come neoliberismo epidemiologico, espressione azzeccata, anche se l’articolo in sé, come dice robydoc, è discutibile). Aggiungerei di un capitalismo di stampo calvinista. Ricorderete come Calvino collegasse il successo economico della persona con la salvezza eterna, implicitamente sostenendo che se non eri in grado di emergere (magari non facendoti troppi scrupoli per raggiungere i tuoi scopi) non meritavi il paradiso. Non a caso, a mio parere, i primi ad accennare all’immunità di gregge come strategia difensiva sono stati i britannici.
Il capitale mal sopporta le politiche sociali, e dunque è legittimo tentare di far passare la cura come anacronistico e inutile assistenzialismo a beneficio di soggetti che, troppo deboli per essere funzionali alla produzione, non meritano nemmeno il paradiso, figurarsi rimanere ancora su questa terra.
Però non vorrei permanesse un equivoco di fondo: l’immunità diffusa è il fine ultimo di tutte le strategie con cui si affronta un’epidemia. Questa realtà di fatto è stata messa in ombra dalle polemiche dopo il primo annuncio di Johnson, ma qualunque epidemiologo potrà confermarla. Le divergenze sono sul come e quando arrivarci, su tempistica e strumenti.
P.S Certo che “immunità di gregge” è l’espressione “tecnica”. Coniata in ambito scientifico, da lì è stata ripresa acriticamente nella cultura generale, senza riflettere sulla mentalità che la metafora scelta rivela né sui potenziali effetti in termini di “framing the debate”.
Mi sembra però di capire che non esistano esempi noti di raggiungimento dell’immunità diffusa senza vaccinazioni, ed è questo il motivo della critica alla strategia dell’immunità di gregge. Un articolo sul tema può essere questo: http://archive.vn/VYyyt
Un piccolo test che si può fare è cercare con un motore di ricerca “herd immunity -coronavirus”. In questo modo si trovano contributi precedenti all’attuale situazione: tutti sembrano introdurre l’immunità di gregge solo nel contesto di una spiegazione dell’efficacia dei vaccini. In altre parole l’immunità di gregge prima del COVID-19 sembra essere stata utilizzata come argomento pro-vaccinazione (lo ha scritto anche qualcuno in un commento qui nel blog) e mai a sostegno di una strategia del lasciar diffondere una infezione. Questo spiega forse la controversia.
La notazione riguardava il pessimo framing implicito nell’espressione «herd immunity», in qualunque contesto la si usi. La scienza che si occupa di queste cose è la linguistica cognitiva. George Lakoff avrebbe molto da dire, credo, sulle conseguenze di questa metafora: l’essere umano come bestia in cattività che ha bisogno di pastori/mandriani. E infatti si sta discutendo di come metterci il marchio a fuoco, delle condizioni in cui farci uscire dalla stalla/ovile, e in tutto questo noi siamo solo ricettori passivi di decisioni prese da chi governa la mandria.
Quest’espressione è nata nel 1923, ma fino alle “culture wars” sui vaccini degli anni Dieci del XX secolo è rimasta più o meno confinata all’ambito sanitario e scientifico. Quando ne è uscita, è stata adottata senza soffermarsi sull’implicita “scenarizzazione”.
Certo che esistono esempi di immunità diffusa senza vaccinazioni, è il modo in cui si sono sempre superate le epidemie prima che esistessero i vaccini (contro i contagi da virus) e gli antibiotici (contro i contagi da batteri patogeni). I virus esistono soltanto dal XIX secolo e gli antibiotici soltanto dalla seconda metà del XX secolo, il tempo di un battito di ciglia se paragoniamo a una giornata il periodo in cui sono esistite comunità umane. Da quando esistono comunità umane si è sviluppata immunità di comunità a questo o quel virus o germe patogeno. E quando gruppi di umani immuni hanno portato con sé questo o quel virus o germe in zone dove vivevano gruppi di umani non immuni – come, ad esempio, durante la colonizzazione europea delle Americhe – ci sono state ecatombi.
L’oggetto del dibattito socio-epidemiologico durante un’epidemia per cui non esisteva vaccino non è mai stato la possibilità che prima o poi si raggiungesse un’immunità diffusa. Già il senso comune prescientifico e l’esperienza diretta mostravano che da un certo punto in avanti la gente s’ammalava di meno e poi non s’ammalava più. Il problema è sempre stato come contenere il numero di morti nel frattempo. Persino dalla peste nera si usciva, a un certo punto, ma intanto era successo il finimondo. Quello è il problema.
Ieri l’Ambasciata di Svezia ha pubblicato una pacatissima lettera dove spiegava il problema dei tanti equivoci e forzature sparati in prima pagina dai giornali italiani.
Ne riporto un brano, dove si evince benissimo il tono della lettera:
“La Svezia condivide gli stessi obiettivi di tutti gli altri paesi: salvare vite e proteggere la salute pubblica. Stiamo affrontando molte sfide comuni anche ad altri paesi: l’entità e la velocità di diffusione del virus e la pressione sul sistema sanitario nazionale. Stiamo usando strumenti simili alla maggior parte degli altri paesi, promuovendo il distanziamento sociale, la protezione delle persone vulnerabili e i gruppi a rischio, effettuando test e rafforzando il sistema sanitario per far fronte alla pandemia. Lavorare da casa quando è possibile, evitare i mezzi pubblici e i luoghi affollati, limitare i contatti con altre persone e restare in casa al minimo segno di raffreddore, sono solo alcune delle misure di contenimento adottate in Svezia”, sottolinea la rappresentanza diplomatica svedese a Roma, rimarcando che “l’attenzione del governo è sempre stata quella di garantire, sulla base del parere delle autorità competenti, che vengano prese le misure giuste al momento giusto per proteggere innanzitutto la salute e la sicurezza della popolazione”.
Per tutta risposta il Corriere della Sera titola “La rabbia degli Svedesi: “Non ci avete capiti!” — non ce la possiamo fare.
https://www.corriere.it/esteri/20_aprile_16/coronavirus-rabbia-svedesi-voi-italiani-non-ci-avete-capito-0e67e12c-7fd4-11ea-8804-717fbf79e066.shtml
Grazie per avere segnalato l’articolo ben fatto e molto informativo del Corriere. Magari il titolo non è dei più felici, ma l’articolo è buono. Forse potevano titolarlo “La rabbia degli Italiani che vivono in Svezia”, sarebbe stato più in linea coi contenuti (i commenti indignati che vi si riportano sono, mi pare di capire, di Italiani residenti in Svezia; il resto dell’articolo fa invece, e anche molto serenamente un’analisi della situazione; e poi chissenefrega). E comunque, voler paragonare due posti così diversi, Italia e Svezia, non ha per niente senso. Se il grande obiettivo di questo post (e della mole di commenti che ne ha fatto seguito) era di segnalare l’errore giornalistico di Andrea Tarquini – e in generale la ricerca, da parte dei media allineati, di argomenti utili a giustificare il lockdown all’Italiana e tutte le vergogne messe in fila da Governo e Regioni in queste ultime settimane – allora bene, obiettivo colpito e affondato. Certo però 170 commenti sul “modello svedese” (che no, non lo potrete mai vedere in Italia, per mille motivi) e soli 25 commenti a un intervento molto più importante sulla condizione della classe operaia durante l’epidemia, non è forse sintomo di qualcosa? Non sarebbe ora di spostare il dibattito da questioni “tecniche/epidemiologiche” (meglio prendere aria o isolarsi in casa?) alla grande questione politica di operare le scelte più corrette – più politicamente corrette – adesso che viene finalmente il tempo per la riapertura?
Per noi che li pubblichiamo tutti i post sono ugualmente importanti, non stabiliamo gerarchie, sono tutte esplorazioni dello stesso macrotema da diverse angolature. Dopodiché, non possiamo obbligare nessuno a commentare un post anziché un altro o in aggiunta a un altro, chi viene qui decide liberamente su cosa esprimersi. Non possiamo fare diversamente.
“Nature’s got this one folks! La Natura sa come fare gente”. Cosi` si chiude il pezzo della National Review Americana linkato sopra. L’idea che esista una Natura (con la N maiuscola) separata dall’uomo e che questa ci possa essere nemica e` uno dei piu` grossi problemi se non il cardine sul quale ruotano tutte le narrazioni guerrafondaie che sopporto da settimane. Ormai e` passata l’idea che il genere umano debba combattere un virus che la natura ha generato (magari con il contributo dell’uomo) e che per combatterlo dobbiamo esclusivamente trovare “l’arma giusta” o il decreto legislativo piu` appropriato…e cosi` partono discussioni infinite su chi abbia escogitato il sistema migliore, se la Svezia faccia bene o male, quando e se in Italia la gente sbottera` etc. con tanto di link a…wait for it….Repubblica o la National Review. Sembra che sempre piu` “compagni” stiano perdendo la capacita` fondamentale di riconoscere le intelaiature nelle quali la dittatura della sicurezza ha bisogno di inserire il nostro futuro. Abbagliati dalla paura, intontiti dalla sedentarieta` forzata ci si sta` pian pianino abituando tutt* ad accettare concetti fascisti senza rendersene conto. Forse ricontestuallizare la situazione puo` aiutare: non esiste una natura che sta` la` fuori ma una biosfera che ci “contiene” e non e` di Svezia vs UK vs Italia o di neoliberismo vs socialismo che ci si deve occupare (come ricorda Bifo lo stile di vita americano “is not up for debate”) ma di ecologia e simbiosi, di aiuto reciproco perche` e` in corso un lento ma inesorabile processo di “purificazione”. Scusate se suona come una lagna. Non lo e`.
Certo, si può raggiungere l’immunità diffusa naturalmente o per vaccinazione.
Le divergenze su tempistica e strumenti sono storia recente. Senza rievocare questa storia, visto l’impatto sulla salute del COVID, forse sarà meglio raggiungere l’immunità per vaccinazione. Considerati i dati di mortalità e letalità, se lasciassimo fare alla natura, anche con tutte le misure di distanziamento e buon senso, alla fine il prezzo sarebbe insostenibile. Questo non significa che bisogna rimanere passivi ad aspettare un vaccino che forse arriverà ma forse anche no.
Certo, la tentazione di trasformare COVID nella scopa del sistema potrebbe essere allettante. D’altra parte esiste chi considera la guerra (guerreggiata) una sana misura di igiene, da praticare di tanto in tanto.
PS La natura che sta la fuori E’ la biosfera che ci contiene, e ovviamente non è di nessuno ed è di tutti. Ma la biologia dentro la biosfera è uguale per tutti. Il virus in sé è quanto di più democratico ci possa essere (sono stati colpiti principi, re e primi ministri). Quello che non è democratico è la cura, è l’accesso alle cure, e in questo senso il dibattito neoliberismo vs socialismo non credo sia inutile. E se ho frainteso quello che volevi dire, dude, ti chiedo venia.
No scusa Marcello ma la natura non sta` “la fuori”. Il concetto di natura e` una costruzione della nostra psiche ed e` il momento di rendersene conto, per necessita` di sopravvivenza ma anche perche` e` un idea che fomenta solo divisioni, odio e razzismo. Non vogglio andare OT ricordando che, per esempio, secondo certe ideologie certi atteggiamenti sessuali sarebbero “contro natura” . Inoltre, chi ti da` la certezza che come specie “raggiungeremo” necessariamente l’immunita` e in piu` “naturalmente”. Anche questa e` un illusione, una costruzione della fantasia, e al momento rappresenta un rischio che, certo, si puo` anche accettare di correre ma sarebbe arrogante (in termini di specie non tua individuale) pensare che, in quanto esseri umani, la scamperemo, basta sapersi sacrificare. E` una narrazione bellica, semplificata, del noi contro il virus di esseri, pensanti, che si rifiutano, non so` se per pigirzia intellettuale ma credo, nel caso della politica, piu` per incompetenza, di confrontarsi con la realta` e un autentico pensiero ecologico perche` questo richiede una de-costruzione del pensiero corrente e una totale revisione del linguaggio che puo` portare ad un radicale cambiamento nei rapporti tra umani.
I CORSI e i (brutti) RICORSI
(grandezza del Manzoni, variazioni su tema di A.A.)
L’Italietta dei Promessi Sposi a scuola ci pareva remota e irreale, (specie a confronto con le folgoranti Operette Morali di Leopardi pubblicate nello stesso anno!). Invece chi ne avrebbe previsto una rilettura di una attualità addirittura giornalistica? I contenuti ritornano intatti, di corsa!
I bravi strafottenti; il linguaggio delle ‘gride’; i consulti e i responsi dei vari Azzecca-garbugli; espropri ai forni; bisbigli, prediche, minacce, delazioni, spie, “largo, largo, figlioli, a casa”; disegno scellerato; ricerca di istigatori, arresto di sospettati; visite pastorali; la crisi, la fame; il poverismo dei nobili in abiti dimessi; la PESTE e dunque avvisi contrastanti e disattesi, provvedimenti sempre tardivi e inefficaci, credulità, incredulità, dispute, demonizzazioni, incompetenza, incapacità, sfiducia; e la DISORGANIZZAZIONE DEGLI OSPEDALI (“un’altra ardua impresa quella di assicurare il servizio” e “ogni cosa in confusione, per la trascuratezza e la connivenza”); e i deliri di popolo e dei dotti; e segni sui muri e “dàlli all’untore” e “va, va, povero untorello”; e inquisizioni, indignazioni, sospetti, delazioni, orrori, macchinazioni, processi senza indizi e “la rabbia contro pericoli oscuri, che, impaziente di trovare un oggetto, afferrava quello che le veniva messo davanti” e “quell’ignoranza che non è una scusa ma una colpa”!
Cosa abbiamo imparato noi? A prendere terribilmente sul serio i corsi e i ricorsi storici italiani, chiamandoli anzi col loro vero nome: COSTANTI ANTROPOLOGICHE!
Scusa, Lionheart, tocca farti notare che questi non sono veri e propri commenti al post, né sono risposte ad altri commenti. Sono articoli scritti per altre destinazioni e riportati anche qui, senza agganci. Preferiremmo che il thread non fosse usato in questo modo.
Volavo basso, e forse mi sono espresso male. Quando parlo di natura non intendo la costruzione tutta umana del concetto (hai ragione, dude, ad evidenziare la cosa, per cui alcune pratiche vengono considerate contro natura) usata strumentalmente per scopi politici.
Intendo quella natura nella quale ci sono fenomeni governati da leggi ineluttabili e imprescindibili (che so, l’aurora boreale è un fenomeno naturale in sé, che esisterebbe lo stesso, con o senza la specie umana sul pianeta terra, la scienza naturale che non crea nulla, scopre quello che già esiste) per cui in presenza di un virus trasmissibile da uomo a uomo può capitare di ammalarsi.
In questo senso è un meccanismo naturale, ossia indipendente dalla volontà o dalla soggettività umana, quello per cui se il 90% della popolazione si ammala si sviluppa una immunità di cui beneficia quella stessa popolazione. Questa immunità può essere raggiunta senza fare niente (e questa è una presa d’atto della evidenza scientifica), o sintetizzando un presidio artificiale. La discussione partita dal pezzo della National Review riguardava, a mio parere, il confronto fra queste due tesi. E ritengo che il lasciar fare alla natura come tale sia un atteggiamento tipico del capitale, che tende ad applicare il darwinismo alle cose umane (nella fattispecie, sopravvive il più forte e che gli altri si fottano) senza perdersi dietro quisquilie etiche (questo si, sarebbe arrogante, e in questo senso tipicamente capitalista), mentre il cercare di contenere la malattia, anche a prezzo di sacrifici, sia un atteggiamento più da stato sociale. La discussione su qualità ed efficienza di questo stato sociale (in Italia), poi, ci porterebbe davvero OT.
“Questa immunità può essere raggiunta senza fare niente”. Resta da capire che tipo di immunita` vogliamo sviluppare, in qualita` di specie umana, perche` esiste la “Natura”, concetto pericoloso, ed esistono eventi naturali con i quali dobbiamo essere in grado di rapportarci non tentare di combattere, dominare o addirittura ignorare. Ricordiamoci che il mettere in relazione metaforicamente il corpo umano e il “corpo politico” e` una tecnica retorica tipica dei discorsi nazionalisti che concettualizzano il “corpo politico” come se fosse un corpo biologico, avanzando l’idea che la salute di quest’ultimo e quindi anche di quello politico, sia una priorita` morale da perseguire ad ogni costo, anche quello del sacrificio personale, magari non della vita (siamo nel 21esimo) ma di diritti civili costati, quelli si, sacrifici, lotte e resistenze. Al netto dei fatti, oggi, nessuno ha certezze su questo virus e sul suo sviluppo. Non ne hanno i virologi come non ne hanno i legislatori, Italiani o Scandinavi. Pensarla diversamente significa dare credito ad assurdi complottismi. In Svezia, come in Italia, ci si sta` limitando a gestire una crisi che e` e sara` sopratutto economica, oltre che sanitaria; si fanno esperimenti vari mirati a disciplinare il corpo politico attraverso l’utilizzo di dispositivi autoritari, con gradazioni diverse a seconda dei paesi, ignorando completamente il fatto che oggi, nel capitalocene, non ha senso occuparsi di economia senza relazionarla con l’ecologia.Non vorrei ripetermi ma e` davvero necessario un lavoro di revisione delle nostre priorita`, investire tempo e denaro nella ricerca filosofica e ontologica, non soltanto scientifica, che coinvolga il maggior numero di persone possibile, atutti i livelli. Chiediamo divulgazione pubblica di cultura boicottando da subito tutti quei “luoghi” che fanno disinformazione. Un utopia? Certo, ma di gran lunga preferibile alla distopia che stiamo vivendo.
Anche io In Svezia, dal 2006. Prima degli articoli italiani, ho visto come su fb nei vari gruppi di italiani in Svezia ci fossero sempre più gente con critiche assurde perché da non-esperti e che non capivano quanto detto. Ho sempre incontrato italiani residenti che insultano e disprezzano gli svedesi, rifiutando tutti gli aspetti della società. Le stesse dinamiche ora col virus. Robe del tipo gente che contatta l’ambasciata e/o la farnesina per chiedere il rimpatrio in Italia.
Carl Bildt ha detto recentemente che magari in Svezia si pensa troppo spesso che le sfighe ci sono, che brutto, ma nel resto del mondo e non arrivano qui. Folkhälsomyndigheten, però, non si atteggia da infallibile. Sa che magari qualcosa sta sbagliando e sa che i conti si faranno tra qualche anno. Viene criticato (quei 22…) perché accusato di essere superficiale nell’importanza del contagio asintomatico. Magari verrà fuori che Folkhälsomyndigheten si sbaglia ma sicuramente non c’è una classe politica che deve mostrare “di fare” per forza qualcosa, provvedimenti a tutti i costi, fare declami, nuovi pdf per autocertificazioni, drone, nuovi untori, ecc ecc sapete anche voi quanta “voglia di far vedere che si fa” ci sia in Italia.
Folkhälsomyndigheten guarda ad oggi soprattutto ai contagiati nuovi giornalieri e ai posti occupati in terapia intensiva. I tamponi ad oggi sono fatti più che altro a chi va in ospedale. Sono quindi due numeri che indicano lo stato di pressione del sistema sanitario. Folkhälsomyndigheten dice che tutte le analisi epidemiologiche verranno fatte a tempo debito. Ora vogliono fare analisi per predire ed evitare eventuale collasso del sistema sanitario.
Sia Danimarca che Norvegia stanno ora riaprendo e, perlomeno in Danimarca, il corrispettivo di Folkhälsomyndigheten si era espresso scettico sulla chiusura degli asili e dei confini che comunque i politici danesi hanno voluto chiudere. Decisioni scientifiche vs decisioni politiche. Ci sta che non siano allineate ma importante è esserne consapevoli.
Poiché è fresca di ieri, ritengo utile alla discussione quest’intervista (in inglese) a un consulente del governo svedese per la risposta alla pandemia: https://unherd.com/thepost/coming-up-epidemiologist-prof-johan-giesecke-shares-lessons-from-sweden/
In sintesi, il professor Johan Giesecke, consulente del governo svedese e consigliere del direttore generale dell’OMS, così risponde:
Le politiche di lockdown del Regno Unito e di altri paesi europei non sono basate su evidenze
La politica corretta è proteggere solo i soggetti più anziani e vulnerabili
Questo alla fine porterà all’immunità di gregge come “sottoprodotto” della strategia (ma non ne è l’obiettivo)
La risposta iniziale del Regno Unito, prima della “inversione a U”, era migliore di quella attuale
Il documento dell’Imperial College era “non molto buono” e non si è mai visto un articolo non pubblicato avere un così grande impatto politico
Quel documento era troppo pessimista
Quel tipo di modelli costituisce comunque una base dubbia per le politiche pubbliche
L’appiattimento della curva è dovuto alla morte precoce dei più vulnerabili tanto quanto al lockdown
I risultati finali fra un anno saranno simili per tutti i paesi
Covid-19 è una “malattia lieve” e simile all’influenza, ed è stata la novità della malattia a spaventare le persone.
Il tasso di mortalità effettivo di Covid-19 si rivelerà intorno allo 0,1%
Quando saranno disponibili i test sierologici di massa si vedrà che almeno il 50% della popolazione del Regno Unito e della Svezia è già stato contagiato
Non ho letto l’articolo ma non dubito del riassunto si swann matassa. Mi vengono alcune considerazioni da profano della materia. Se costui avesse ragione, un governo coscienzioso prenderebbe tutte le misure possibili per far ammalare il più rapidamente possibile la maggior parte possibile della popolazione. Prenderebbe dei positivi e li inzipperebbe in un palazzetto dello sport insieme ad altre 20.000 persone, tutti i giorni in tutte le città, riempirebbe in maniera coatta ogni buco presente sul territorio.
Invece tutti i governi hanno fatto il contrario, chi più chi meno, con forme diverse e intensità diverse ma sono andati tutti nella direzione del contenimento.
Ho l’impressione che l’atteggiamento di Giesecke sia quello tipico dell’integralista che non si pone nessun altro tipo di questione che esuli dalla purezza della sua disciplina.
Ma anche l’epidemiologo che si rinchiudesse nella sua campana di vetro dovrebbe spiegare alcune cose:
1. Chi te lo dice che l’appiattimento della curva è dovuto alla morte precoce dei più vulnerabili tanto quanto al lockdown?
2. Chi glielo spiega agli oltre 50.000 morti che sono morti di febbre? L’influenza stagionale uccide, lo sappiamo, ma non con questa rapidità.
3. Chi te lo dice che il tasso di mortalità effettivo di Covid-19 si rivelerà intorno allo 0,1%? Perchè ipotizzi che il 50% della popolazione è contagiato senza saperlo?
4. Chi te lo dice che quando saranno disponibili i test sierologici di massa si vedrà che almeno il 50% della popolazione del Regno Unito e della Svezia è già stato contagiato? E questo numero è indipendente dalle politiche di contenimento?
Magari le misure di lockdown non sono basate su evidenze, come sostiene, ma non mi sembra che le sue affermazioni abbiano fondamenta di solido cemento armato. Piuttosto, quanto afferma sembra basato sui conti della serva (epidemiologica) per cui è ovvio per tutti che raggiungere l’immunità di gregge (come sottoprodotto o meno) sia la strategia più efficace sul lungo termine per la conservazione della specie.
Marcello, a prescindere da qualunque cosa si possa pensare dell’intervista, questa tua conclusione non sta in piedi:
«Se costui avesse ragione, un governo coscienzioso prenderebbe tutte le misure possibili per far ammalare il più rapidamente possibile la maggior parte possibile della popolazione. Prenderebbe dei positivi e li inzipperebbe in un palazzetto dello sport insieme ad altre 20.000 persone, tutti i giorni in tutte le città, riempirebbe in maniera coatta ogni buco presente sul territorio.»
È un paralogismo, uno scenario così non consegue affatto da quelle premesse. Nessuno, nemmeno il più convinto apologeta del raggiungimento rapido della “herd immunity” ha proposto di creare apposta le condizioni per sterminare col virus una spropositata quantità di persone, non sbrachiamo, su.
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Ho ascoltato l’intervista, la ho trovata molto interessante e l’atteggiamento di Giesecke molto umano, quanto più lontano da quello dello scienziato nella sua torre di avorio. Secondo lui bisogna anche tenere conto degli effetti dei lockdown sulla stabilità democratica di un paese. Ha anche detto che è socialmente importante che i ragazzi che si devono diplomare possano tornare subito a scuola per completare il loro percorso scolastico.
Per quanto riguarda le tue domande:
1. L’osservazione fatta da Giesecke è tecnicamente verificabile, e quindi scientifica. Come ha spiegato nel video, si potrà capire sui dati della mortalità annuale.
2. Il bilancio dell’influenza stagionale si fa dopo 1 anno, senza bollettini giornalieri e titoli sui giornali. Senza cercare di ridurre la portata del dramma attuale, ma solo per approfondimento, ti segnalo che in Italia la mortalità invernale nel 2017 è stata il 100% maggiore di quella estiva (http://www.deplazio.net/images/stories/SISMG/SISMG_COVID19.pdf pagina 12). Probabilmente senza un vaccino avremmo ogni anno un bilancio molto più pesante. Tieni conto che il ministero della salute lo raccomanda con un target di copertura del 95% per la fascia sopra i 65 anni http://www.salute.gov.it/portale/influenza/dettaglioContenutiInfluenza.jsp?lingua=italiano&id=679&area=influenza&menu=vuoto. La copertura complessiva è più bassa, ma credo che cresca con l’età, ad esempio nella mia zona viene fatto al 100% degli anziani nelle case di riposo.
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3. Lo stesso gruppo dell’Imperial College che ha suggerito la risposta inglese al coronavirus ha stimato al 30 marzo una incidenza del 10% di infetti in Italia (pagina 6 di questo report):
https://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/medicine/sph/ide/gida-fellowships/Imperial-College-COVID19-Europe-estimates-and-NPI-impact-30-03-2020.pdf
Anche se sono numeri ottenuti a partire da ipotesi molto specifiche, valgono esattamente quanto le loro previsioni sulla mortalità attesa in Gran Bretagna.
4. Nel video Giesecke spiega che il fatto che moltissime persone siano completamente asintomatiche permette al contagio di diffondersi su grandi numeri. Questo numero sarebbe indipendente dalla politiche di contenimento perchè queste rallentano solo la diffusione, migliorando la risposta del servizio sanitario, ma non la possono arrestare. Quindi il punto di arrivo sarà simile per tutti.
Ciao pm2001, a proposito della tua ultima considerazione, ho letto commenti di persone che ritengono che il lockdown sia efficace proprio in termini di estinzione del virus (!!!) E non di mero rallentamento della sua diffusione, con effetti che potrebbero risultare molto controproducenti, in termini di nuovi focolai. Molte persone sono davvero convinte che il lockdown sia la Soluzione del problema. Anche questo è un pericolosissimo effetto collaterale della disinformazione mediatica. Per ottenere maggior presa di questo discorso, ci si spinge a dire che se il numero dei morti e dei contagiati non è ” diminuito ” dipende dal fatto che sono entrati in contatto col virus prima dell’inizio della quarantena. E che il virus ha tempi di ” incubazione” lunghissimi. Io non ho avuto modo di verificare se questa informazione abbia un minimo fondamento scientifico ma mi pare l’ ultima trovata per giustificare l’ inefficacia dell’isolamento, non sapendo più come difendere ad oltranza questa misura e come continuare a giustificare la repressione poliziesca.
E’ un’intervista televisiva (e già così dura 35 minuti), non un lavoro scientifico, quindi sì, è ovvio che ci sono molti aspetti da approfondire e sulla cui validità discutere. Però ci sono alcuni fatti. Il primo è che un canale informativo inglese dia voce alla “versione” svedese, in modo diretto, cosa che in Italia non mi risulta sia mai avvenuto. Il secondo è che i modelli di predizione – su tutti quello dell’Imperial College, che come si diceva non è mai neanche passato al vaglio del peer-review – stanno determinando, insieme all’approccio “ideologico” cinese, le politiche di contenimento, e li si sta assumendo come verità incontestabili, quali non sono per definizione. Il terzo fatto è che il lockdown di per sé ritarda la diffusione, non la impedisce: appena allentate le misure, l’infezione riparte da dove si era fermata, finché l’immunità non è diffusa; pertanto è evidente che, se non affiancato o seguito immediatamente da altri provvedimenti, è inutile quando non del tutto dannoso.
Dal punto di vista umano, mi ha colpito in particolare la risata incredula di Giesecke quando l’intervistatore gli ha spiegato che ai più il lockdown sembra “piacere”. Dovrebbe far riflettere.
Segnalo https://www.corriere.it/economia/lavoro/20_aprile_19/coronavirus-chiudersi-casa-fermare-industrie-aiuta-davvero-contenerlo-studio-italiano-39e61048-8232-11ea-afba-f0dcf1bf9a9f.shtml
“(…)qualsiasi misura restrittiva applicata dopo i primi 17 giorni (come la chiusura delle industrie o i divieti alla libertà di movimento dei cittadini) incide poco o nulla sull’andamento dei contagi e sul numero finale delle vittime.
E’ questo il risultato di una serie di studi avviati da un team internazionale di scienziati a guida italiana, sfociati in un modello predittivo delle vittime estremamente preciso, che coincide in tutti i Paesi, anche in quelli dove le industrie non sono mai state chiuse e i cittadini sono liberi di muoversi, come la Germania o la Svezia. “
Sull’immunità di gregge (rispondo qui sia a Wu Ming 1 che a Marcello07 e a robydoc).
Il frame del gregge non piace neppure a me ed è problematico (si dice così anche in altre lingue però). Puntualizzo che nell’articolo su Tegnell che ho postato, il tabloid titolava su “flockimmunitet” (immunità di gregge) mentre il virgolettato di Tegnell non usava la parola “gregge” (nelle prime fasi della crisi però l’avevano usata anche lui e i suoi colleghi).
Io mi ponevo su un piano diverso (quello che approfondisce anche Marcello07), e cioè sulle implicazioni politiche: è vero, il raggiungimento dell’immunità è un elemento (forse non IL fine ultimo) in tutte le strategie, ma fa una bella differenza come ci si arriva, se parliamo di immunità attraverso i vaccini o invece attraverso il contagio, e se sia il principio centrale, implicito o esplicito, nella reazione politica a un’epidemia.
L’articolo su Quarantimes lascia a desiderare su molti punti ma era per evidenziare i possibili legami con capitalismo neoliberista e darwinismo sociale. Altri articoli critici, anche questi non perfetti in tutto (ad esempio il richiamo all’eugenetica mi lascia dubbioso, ma su quello e sull’eccezionalismo magari rispondo a Wu Ming 1 altrove), li trovate qui: https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/apr/17/herd-immunity-is-a-fatal-strategy-we-should-avoid-at-all-costs oppure https://www.aljazeera.com/indepth/opinion/coronavirus-herd-immunity-eugenics-market-200414104531234.html
Detesto la moralizzazione del dibattito sui vaccini. Ma se non vi piace il dogmatismo di Burioni (io lo trovo pessimo), dovreste vedere il livello di tecnicizzazione del dibattito e le semplificazioni in molti (non tutti per fortuna) media svedesi. Come ho scritto altrove (https://www.coronatimes.net/trust-science-sweden-covid19/), le culture wars attorno ai no-vax hanno introdotto una dose notevole di fact checking e divulgazione scientifica sulla blogosfera e sui social in lingua italiana, per cui ora il dibattito tra scienziati è più aperto e vivace (anche se non più esente da semplificazioni e moralismi) che altrove. Mia interpretazione, ovvio.
Certo che si dice così anche nelle altre lingue, il concetto non è nato in Italia, l’espressione è stata coniata nel 1923, usata per la prima volta in questo paper dei batteriologi inglesi W.W.C. Topley e (Sir) G.S. Wilson, entrambi membri della Royal Society.
Vorrei segnalare un ennesimo caso simile: oggi La Repubblica pubblica “Giappone a rischio strage. I forzati dell’ufficio non riescono a stare a casa. Cultura del lavoro e burocrazia, ma senza il distanziamento si rischiano 400 mila morti” (si può vedere solo il titolo, il resto è a pagamento).
Peccato che “distanziamento” non significhi necessariamente “stare a casa” e che il Giappone sia dei paesi colpiti uno tra i messi meglio. Sicuramente molto, molto meglio dell’Italia, dove si sta molto di più a casa e per la quale non vengono date stime su quanti morti si rischiano in totale. Ma tutto questo non ha importanza per il sensazionalismo provinciale del giornalismo italiano, che esprime la voce del potere politico ed economico. In realtà, ai padroni andrebbe benissimo una linea comportamentale come quella adottata dalle tante persone che in Giappone non riescono a fare a meno del lavoro, ma perché tanto accanimento se non per tacciare di “eresia” i paesi che non prendono le stesse identiche misure dell’Italia o le persone che non si comportano secondo i dettami stabiliti dalla dottrina italiana, con l’obiettivo di convincersi che invece qui da noi stiamo facendo “la cosa giusta”?
Vero WM1, la mia era una estremizzazione e una provocazione, un maldestro tentativo di sbeffeggiare affermazioni che ritengo un po’ boriose. È ovvio che nessuno intende infettare le persone di proposito. Il fatto è che se oggi, in mancanza di un vaccino, si dice che la strategia migliore per raggiungere la herd immunity non è il contenimento, mi chiedo qual è (e, si badi, è stato detto innumerevoli volte qui, contenimento non è da intendere tutti chiusi in casa). Giesecke afferma che è la tutela dei più vulnerabili, e si ferma qui. Sostenere che perseguire programmaticamente il laissez-faire è una buona strategia, non vuole dire che si intende infettare apposta le persone, ma è qualcosa che ci si avvicina.
Forse mi sono lasciato impressionare dalla dichiarazione di Johnson e quindi ho sviluppato un pregiudizio nei confronti dell’immunità di gregge, ma la initial UK response, before the “180 degree U-turn” che secondo Giesecke era un approccio migliore del lockdown era, se non erro, lasciare che il virus colpisse il 70% della popolazione. Raggiunte queste condizioni mi sembra difficile anche proteggere i più vulnerabili. Giesecke, come Johnson prima di lui, sembra credere che si possa raggiungere questa percentuale in maniera indolore, o al prezzo, accettabile, di qualche decina di migliaia di morti.
Quello che mi riesce difficile accettare è il darwinismo sociale sotteso a queste affermazioni, che si intreccia con quello che qualcuno (forse CristianoL se non ricordo male, o robydoc), in un intervento precedente, ha chiamato neoliberismo epidemiologico.
Ma Giesecke non si ferma affatto a dire che bisogna proteggere sol i vulnerabili. Lui è fra i consulenti del governo, e il governo non si è limitato a “non chiudere”. Le scuole superiori e le università sono chiuse, il lavoro da casa è stato favorito e incoraggiato, gli anziani sono incoraggiati a restare a casa, sono vietati raduni di oltre 50 persone, le stazioni sciistiche sono chiuse, ristoranti e bar consentono solo il servizio al tavolo, i negozi di alimentari hanno installato divisori in vetro tra clienti e cassieri. Giesecke sottolinea che i conti si faranno tra un anno, perché chi ha operato il lockdown dovrà vedersela con le onde di infezione successive all’allentamento delle misure.
Qualche decina di migliaia sono il prezzo che paghiamo per la “semplice” influenza;tra il 2016 ed il 2017 per esempio (anno in verità record), sono stati stimati circa 20.000 morti in Italia, e questo in presenza di un vaccino che, pur formulato sul virus dell’anno prima, dà comunque una certa copertura.
Quindi mi chiedo, di fronte ad un virus nuovo, per cui non abbiamo né anticorpi ne vaccino, possiamo realisticamente aspettarci di avere meno morti?
A meno che non pensiamo che mettere agli arresti domiciliari, ed ora con la fase 2 ai lavori forzati, un intero paese possa effettivamente spaventare a morte il virus…
Per Amari: anche un grafico che mi aveva mandato una mia amica svedese stimava a 25mila le vittime dell’influenza nella stagione 2016-17. La fonte dichiarata è l’OMS, ma cercando online su fonti italiane non ho trovato conferme di questo dato. Le vittime “dirette” dell’influenza negli ultimi anni in Italia oscillano tra le 400 e le 600 all’anno, le “indirette” (a seconda di come si calcolano) tra le 4mila e le 10mila all’anno. Vedi: https://www.agi.it/fact-checking/news/2020-02-26/coronavirus-influenza-stagionale-7231278/
In tutti i casi, decisamente meno delle 20mila o 25mila della stagione 2016-2017 (a meno che non si sommino due anni solari, ma perché farlo?).
Inoltre, diverse elaborazioni grafiche che confrontano la mortalità generale osservata in queste ultime settimane e quella attesa in base alla media degli anni scorsi mostrano già importanti differenze:
https://www.epicentro.iss.it/influenza/flunews#mortalita .
Un documento ufficiale che spiega bene come si calcola l’eccesso di mortalità è http://www.deplazio.net/images/stories/SISMG/SISMG_COVID19.pdf
a pagina 12 i dati annuali con l”anomalia” della stagione 2016-17
Aggiungo alle vostre considerazioni un paio di dati, penso che mettere la “scala” ai numeri aiuti le persone a ragionare con più serenità:
ogni anno in Italia muoiono circa 600 mila persone
ogni anno in Italia muoiono più di 70 mila persone per malattie legate al fumo http://archive.is/J4PBN
Finisco con il far notare (per superare i limiti dei caratteri) la contraddizione di una ordinanza che, in nome della nostra salute, ci impedisce di fare una passeggiata ma ci permette di uscire per andare a comperare le sigarette.
Possiamo per favore smettere di cadere in fallacie logiche del tipo “in Italia muoiono X persone all’anno di Y” nel vano tentativo di relativizzare questa pandemia? Lo stesso argomento lo si sosteneva maliziosamente nei primi anni dell’HIV nel chiaro tentativo di delegittimare richieste di più investimenti nella sanità e ricerca da parte di gruppi ritenuti cittadini di seconda classe. La mortalità del COVID è quella che è in Italia (e varia a seconda del paese) perché migliaia di persone sono tenute artificialmente in vita fino a guarigione. Tutte le altre malattie con cui si ha il vizio di comparare virus respiratori non portano ad un simile intasamento delle intensive con ricadute su sale operatorie a altri spazi di terapia ospedaliera, cosa che ovviamente incide sulla mortalità generale e non da COVID. Fin quando banalizzeremo l’impatto che questo virus ha su quel poco che ci rimane di diritto alla salute (e il correlato diritto degli ospedalieri a non vedere decuplicato il proprio rischio sul lavoro) non andremo molto lontani nella pianificazione della fase 2. Su flock/herd, c’è una differenza semantica importante, richiedendo un flock (solitamente un gregge di pecore) misure più soft nel tentativo di indirizzarlo, mentre una herd (solitamente una mandria di bovini) misure più coercitive, o almeno così sembra essere percepito il differente approccio svedese dall’inghilterra.
sono ben consapevole che le vittime del covid sono la parte più visibile di una malattia che assorbe quasi tutte le energie del servizio sanitario e conosco anche lo stress e le ansie degli operatori. Penso comunque che il contesto sia sempre importante quando si analizza di una situazione, perchè assegnare valori Assoluti fa perdere di vista la complessità di un problema e ne favorisce la strumentalizzazione. In questo thread stavamo commentando una intervista a Giesecke, quindi l’ambito si era ristretto all’utilizzo del numero di morti per valutare approcci diversi al lockdown. In particolare Giesecke ha affermato che un conteggio “fair” dovrebbe tenere conto di tutto quello che succederà in un anno intero, perchè secondo lui dei lockdown molto rigidi sono controproducenti, apparentemente efficaci nel breve termine ma essenzialmente dei vicoli ciechi da cui è difficile uscire.
Sulle banalizzazioni, io non ho trovato altro luogo dove potere condividere opinioni e discutere apertamente con persone che vogliano andare oltre al lumino acceso sul davanzale come sostegno a medici e infermieri. In altri post ho letto e a volte scritto di aziendalizzazione della sanità pubblica, della preminenza dei privati accreditati nella sanità non di urgenza, degli operatori che hanno dovuto colmare le carenze ed i ritardi burocratici con il loro sacrificio personale.
Per quanto riguarda la pianificazione della mitica “fase 2”, penso che dovrebbe partire dalla presa di coscienza pubblica di come le scelte politiche degli ultimi 20 anni hanno condizionato l’evolversi della “fase 1”, che francamente in Italia mi sembra tutt’altro che finita.
Un commento in seguito alle notizie che oggi leggo dalla Svezia e alla conferenza di FHM delle 14:00.
1) Si legge che la Danimarca dal 11 maggio permetterà raggruppamenti fino a 500 persone (la Svezia ora max 50). 2) Si legge che von der Leyen dall’Europa dice che vacanze europee non sono una impossibilità premesse le norme di igiene vigenti.
Alla richiesta di commentare queste due notizie, Wallensten (assistente epidemiologo di stato che si alterna con Tegnell e almeno un’altra esperta nelle conferenza quotidiana) risponde dicendo che: 1) la Svezia non intende cambiare la sua linea nel breve periodo, non hanno fretta, siamo in plateau circa la diffusione del virus e bisogna stare molto attenti 2) è pessimista che viaggi all’estero per vacanze si possano già effettuare questa estate (pensiero già espresso da Tegnell).
Per un momento sembrerebbe quasi che gli eretici di Stoccolma potrebbero essere nel prossimo futuro più stringenti e restrittivi di altri. A me che dice tutto ciò? Che tutte le parole lette negli articoli sulla Svezia erano parole inutili – a prescindere da quello che succederà. La strategia di uno stato va valutata nel lungo periodo, cosa che FHM ripete dall’inizio e che nessun sembra (vuole?) capire. Inoltre mi si conferma che la Svezia intende avere misure che siano veramente sostenibili nel lungo periodo – sia a livello psicologico che economico con gli interventi statali (oggi intervento statale per assicurare lavoro estivo ai giovani studenti che spesso contano sui lavori estivi nel turismo come parte integrante della loro economia annuale).
Per chi vuole sentire Wallensten che risponde in inglese sulla strategia svedese, https://youtu.be/nPdrMAPBgPM?t=1965
Coronavirus, l’Oms: “Svezia modello per il ritorno alla normalità”
L’Organizzazione mondiale della Sanità indica il Paese nordico – che ha raggiunto i 20mila contagi – come esempio per la fase 2. E risponde ancora una volta alle accuse Usa: “Abbiamo reagito in tempo”
Svezia sì, Svezia no. Tutti a parlare del Paese nordico e del suo controverso soft lockdown. L’organizzazione mondiale della Sanità invece non ha dubbi, e durante il consueto briefing sulla pandemia ha spiazzato la comunità internazionale. “La gente pensa che la Svezia non abbia fatto nulla, non potrebbe essere più falso”, ha detto il capo del Programma di emergenze sanitarie, Mike Ryan. E ha continuato: “La Svezia ha messo in atto misure di salute pubblica molto forti. Quello che hanno fatto di diverso è che si sono basati su un rapporto di fiducia con la cittadinanza”.
Secondo Ryan gli svedesi sono passati direttamente alla fase di convivenza con il virus, la famosa “fase 2” che tutto il mondo si sta preparando a realizzare. “Se dobbiamo arrivare a un nuovo modello di vita di ritorno alla società senza nuovi lockdown, penso che la Svezia possa essere un esempio da seguire”. Insomma, in Svezia “stanno capendo come convivere con il virus in tempo reale, il loro modello è un strategia forte di controllo e una forte fiducia e collaborazione da parte della comunità. Vedremo se sarà un modello di pieno successo o meno”.
Rispetto al resto del mondo, ben lontano dall’aver impostato un approccio lassista, la Svezia – che ieri ha annunciato di aver raggiunto i 20mila casi di Covid 19 – ha applicato “una forte strategia di sanità pubblica, puntando sulle misure di igiene, di distanziamento, proteggendo le persone nelle residenze assistenziali”. Lo snodo cruciale “è stato il rapporto con la popolazione, che ha avuto una forte volontà di aderire al distanziamento fisico e di auto-regolarsi. In più, il sistema sanitario è sempre rimasto al giusto livello di capacità di risposta all’emergenza”, ha aggiunto Ryan.
Mah, avevo visto e sono lieto però ne approfitto per ribadire ancora una volta che il nostro punto non era questo, quanto quello di mostrare che agendo in condizioni di incertezza ci si dovrebbe pensare 100 e 100 volte (e poi soprassedere) nel togliere libertà alle persone producendo disagi criminali a tutte le categorie più deboli del paese.
Siccome temo l’andamento di queste discussioni, potrebbe persino capitarci adesso di dover specificare che non basta aver avuto un minimo di decenza con le libertà democratiche per essere considerati lungimiranti. Gli svedesi hanno fatto casini enormi proprio nelle residenze assistenziali fra l’altro. La mia impressione è che anche questa nota dell’OMS (che poi: chi? è ufficiale? è un membro? un consulente? il presidente?) ci dice più di come si gestisce la comunicazione che qualcosa sull’epidemia.
Inoltre pare di capire che il governo Conte non piaccia più tanto e quindi la “riabilitazione svedese” sarebbe funzionale a questo, mica ad informare.
Il problema sta piuttosto, secondo me, tra i “nostri”. Ieri il Manifesto si è bevuto serenamente la questione del peggioramento in Germania, oggi un comunicato di rifondazione idem. Roba che uno studente di statistica elementare ti spiega in due minuti sembra difficilissima da comprendere. Difficile non farsi prendere dallo sconforto
quoto tutto, come si diceva un tempo, fai bene a ribadire, altroche, prima di fare quel che ha fatto un primo ministro (e un governatore, e un sindaco) dovrebbe ca.arsi sotto al solo pensiero delle conseguenze.
enormi casini gli svedesi con le residenze no dai, casinetti al limite, casinini, soprattutto se fai paragoni con l’italia. è andata peggio agli immigrati mi sa.
la dichiarazione, anche secondo me sbandierata in funzione anti contea, è (cito) del capo del Programma di emergenze sanitarie, Mike Ryan
“rifonda” si beve tutto. tutto. tutto cinquecinquanta la gallina canta.
Su Atlante, magazine dell’Enciclopedia Treccani, un’interessante riflessione a partire dalla disinformazione nostrana sulla Svezia.
Storie virali. Furore in Svezia – di Gino Satta
Ecco come continua oggi – 10 maggio del 2020 – ad operare la macchina della disinformazione sulla Svezia: Senza lockdown, stessi morti degli anni scorsi, ma per la stampa italiana nel paese scandinavo è in atto un’ecatombe. I dati ufficiali dei primi 4 mesi dell’anno smentiscono gli scienziati “televisivi” e la stampa di regime.
Il servizio di inchiesta al seguente link:
http://www.micheleschinella.it/san/coronavirus-e-propaganda-del-terrore-la-svezia-senza-lockdown-piange-gli-stessi-morti-degli-anni-scorsi-ma-i-giornali-italiani-continuano-a-rappresentare-lapocalisse-dati-primi-4-mesi-li-smentiscono/
Excess mortality in Sweden has continued to fall since its peak in mid-April, figures from national statistics agency Statistics Sweden show. Excess mortality refers to the difference between the number deaths on a specific day, week or month, compared to the historical average for that time. Statistics Sweden measured the deaths on a given week in 2020, compared with the 2015-2019 average for that week.
It is a useful figure to look at in the context of the coronavirus, because not all deaths linked to the virus will show up in official statistics — the Public Health Agency counts those where the patient tested positive for the virus, while the National Board of Health and Welfare counts those where the virus was listed as a cause of death.
The peak in excess mortality was in the week of April 6th-12th, when 2,554 people died in the country. That was the highest figure since the turn of the millennium, as The Local reported when the figures were first shared.
Since then, excess mortality has fallen, but there are still more people dying than in the same period in previous years. In the week ending May 3rd, in Stockholm and Östergötland the excess mortality was more than 50 percent higher than the average for the previous five years.
https://www.thelocal.se/20200310/timeline-how-the-coronavirus-has-developed-in-sweden
l’eccesso di mortalità c’è eccome, non capisco la volontà di inventarsi dati a caso.
Commento al volo.
Leggo ora del decreto del governo Conte 16 maggio. Leggo che dal 18 maggio ci potrà muovere liberamente nella propria regione e forse dal 3 giugno tra regioni diverse. Dal 18 maggio si può vedere chi si vuole.
In Svezia durante questa settimana il governo ha deciso lo “sconsiglio ufficiale” di fare viaggi interni di più di due ore di macchina da casa (perché se non stai bene torni in fretta a casa e non pesi su altre sanità regionali). Continua lo sconsiglio di visita di anziani (=tra cui i nonni), incontri sociali in gruppo (feste ecc) e bisogna continuare a limitare i propri contatti sociali al minimo. Mascherine innominate.
A inizio giugno usciranno le direttive per l’estate ma John Carlson (capo di FHM) ha già detto che nonostante tanti paesi europei parlino di exit strategy qui siamo ben lontani da exit. L’approccio solo apparentemente lasso svedese continua stringendo un pochino le direttive quando la maggior parte le smolla.
Le differenze con l’Italia sono grandi, per certi versi è più stringente qui (spostamenti, nonni, vedi chi vuoi)…
Aggiunta che mi ero perso.
Italia: ok viaggiare verso estero dal 3.
Svezia: sconsiglio di viaggiare all’estero esteso dal ministero degli Esteri fino al 15 giugno per ora, anche per evitare cittadini bloccati in condizioni complicato. Sembra che verrà esteso anche dopo. Qui si prospettano vacanze vicino a casa propria.
Sembra proprio che le direttive restrittive non si allentino.
Ci sta che ci siano scelte così diverse dati i due mesi diversi passati. Il mio punto è come sia limitante dire che in Svezia si faccia poco o che si viva quasi come al solito.
Non ci fare troppo caso, c’è gente che crede che la differenza di provvedimenti con la Norvegia sia enorme…
Per raggiungere il solito numero di caratteri comincio a segnalare il caso di Malta, che per chi non lo sapesse è lo stato più densamente popolato d’Europa. Mai lockdown, passeggiate e mare liberi, chiusura delle scuole e di vari uffici, nessun obbligo di mascherine, divieto di stare in più di 5 persone, primo ministro che dice “io posso controllare fuori, non a casa vostra in quanti siete, ma regolatevi”. Risultato? 600 contagiati, 6 morti, età media intorno ai 90, tutti molto malati, mai nessun problema in terapia intensiva. Adesso hanno aumentato i tamponi e da tre giorni sono tornati a doppia cifra come contagiati (cioè 14).
In generale, il numero di nuovi ricoverati in terapia intensiva è in caduta costante da un mese. Il picco a Stoccolma sembra passato. A Stoccolma riportano dagli ospedali da una decina di giorni un effettivo calo della pressione. Regioni dove i numeri sembravano stare per esplodere tipo Stoccolma (Göteborg e adiacenti a Stoccolma) non hanno avuto l’esplosione. Resto Svezia (tra cui Malmö, terza città) calmo dall’inizio. Mai con meno del 20% di disponibilità di posti liberi in terapia intensiva (media nazionale).
Purtroppo quasi 4000 morti.
Dacci oggi la nostra Svezia quotidiana. Pare che il numero di morti per milione degli svedesi sia diventato il più alto del mondo. Io non so più quante volte ho detto che sti numeri non contano niente e manco mi ricordo più tutti i motivi. Me ne vengono in mente tre: considerato come si è diffuso il virus (cioè non omogeneamente sul territorio ma per focolai) le connsiderazioni su scala nazionale non valgono niente; non sappiamo niente di come si contano i morti in giro per il mondo; un paragone al limite andrebbe fatto con la mortalità generale. E poi quello che proprio dispero di far capire: i conti si fanno alla fine. E chissà quanti altri ne scordo. Ah, ringrazio tutti per non farmi mancare gli aggiornamenti del Financial Times, ma ribadisco che a me il governo svedese mi fa un pelo meno simpatia di tutti quelli che non sopporto.
A distanza da un mese dalla pubblicazione di questo contributo ed alla luce delle vistose differenze con i paesi confinanti in termini di casi confermati e di decessi, come dobbiamo interpretare tali differenze? Se dal l’unto di vista degli interventi delle autorità ci sono poche differenze tra questi paesi, cosa ha portato ad un maggior numero di casi in Svezia?
Avreste modo di integrare il contributo o di proporne uno muovono con questo tipo di valutazione?
L’approccio che riscontrate nella stampa italiana, o in parte di essa, non è dissimile da quello adottato dai mezzi di informazione britannici. Tanto è vero che sino alla lettura del vostro contributo ignoravo che le gli interventi adottato in Svezia differissero di poco da quelli dgli altri paesi nordici. Stante che non tutti abbiamo contatti diretti in ogni paese né abbiamo modo di ascoltare o leggere le informazioni alla fonte in lingue poco diffuse, diventa facile prender per buone le notizie filtrate dai mezzi di informazione locali.
Simone la mia opinione l’ho appena espressa, posso articolarla meglio ma sostanzialmente resta quella: dal punto di vista della ocnoscenza reale del fenomeno un lavoro di questo tipo richiede molto tempo e va fatto solo alla fine. Diverso se l’obiettivo conoscitivo, diciamo così, è finalizzato a prendere decisioni di qualche tipo. Il problema è che su questioni così rilevanti le decisioni non vengono preso “razionalmente” (qualsiasi cosa voglia dire questo termine; io lo intendo come una scalta tra opzioni con percentuali diverse di probabilità), ma è la risultante dei rapporti di forza.
Se invece, come noi, abbiamo come obiettivo solo sapere VERAMENTE cosa sarebbe stato meglio, allora non possiamo che attendere.
Ancora prima di addentrarmi in ipotesi, dovremmo conoscere meglio almeno come si è diffuso il fenomeno. In città? Tra anziani? Persone già con patologie preesistenti? In che misura? Le aree in cui non si è praticamente diffuso quali caratteristiche hanno? Qual è il trend di mortalità di queste zone? Com’è il sistema sanitario? Che livello di competenza avevano?
Fatto questo (ma sono sicuro di avere scordato molte domande) potremmo avanzare delle ipotesi. Dopo alcune domande potremmo addirittura avere delle risposte soddisfacenti. Fai finta che la mortalità complessiva tra questi paesi sia sostanzialmente uguale (il datto riportato è solo quello dovuto a COVID), che ne deduciamo? Considera che variazioni ampie a volte sono normali scostamenti statistici, ma facciamo finta che non lo siano, rimane che parliamo di numeri bassi, rispetto ad altre cause di morte.
Io lo capisco che questo navigare nell’incertezza non è rasserenante, ma io penso che le nostre idee su questa questione dovremmo farcele a partire da altro, come appunto si fa qui ormai da tre mesi. Più contagi, meno morti, dipendono da tante cose. Il lockdown è impensabile che non serva, il problema è quanto è costato, non se ha ridotto o meno il contagio, quello l’ha fatto sicuramente. Era l’unica strada? No, non lo era, perché tanti hanno fatto diversmente e i risultati sono contraddittori. Significa una sola cosa: il problema era altrove.
Segnalo che Monica Quirico, la coautrice di questo pezzo, ha pubblicato quest’articolo https://volerelaluna.it/mondo/2020/05/29/la-svezia-e-i-media-al-tempo-della-pandemia/?fbclid=IwAR1r1u5bwNcK-rL_1CtO7ahWsPIa5I0AoYFVJ2cUpcTWRvRLX0StCNQtgRU
L’articolo è importante per svariati motivi. Secondo me il principale è che ragiona sul “come se” fossero plausibili le considerazioni sugli effetti del lockdown mancato. Come detto varie volte ci sono vari motivi per cui è senza senso, il 30 maggio 2020, fare la macabra comparazione sui morti, ne ricordo tre: la scala nazionale su cui si fanno i conteggi; il momento in cui il conteggio viene effettuato (una cosa è il 30 aprile, un’altra il 30 giugno, un’altra ancora il 30 novembre); come si contano i morti.
A prescindere da questo si ribadisce un’altra cosa che qui abbiamo detto varie volte: l’interesse per come la Svezia ha affrontato il coronavirus non si è MAI trasformato in un elogio per il sistema sanitario svedese. Più in generale, non ha mai implicato un giudizio meno che severamente critico per le politiche dei governi socialdemocratici svedesi degli ultimi 30 anni.
E’ un po’ stucchevole e forse mi sono pure un po’ incarognito, ma qui il direttore dell’Istituto di sanità pubblica norvegese dice sostanzialmente che lockdown o meno il virus non avrebbe fatto troppi danni.
https://strategika.fr/2020/05/29/norvege-le-confinement-netait-pas-necessaire-contre-le-coronavirus/?fbclid=IwAR2uL6a2kJWxYNcgq6YXOejgcY154RIjhSHeogt4ZMZlPJ4bWzu-AXiRHmE
Alcuni passaggi a me danno i brividi a chi ha parlato a vanvera per tre mesi dovrebbero suggerire almeno un silenzio lungo lo stesso periodo di tempo passato a fare cagnara e spargere terrore.
“le virus ne s’est jamais propagé aussi vite qu’on le craignait et était déjà en voie de disparition lorsque le verrouillage a été ordonné”
« Notre évaluation actuelle était qu’on pouvait probablement obtenir le même effet – et éviter une partie des répercussions malheureuses – en ne fermant pas»[2]. Il est important de l’admettre, dit-elle, car si les niveaux d’infection augmentent à nouveau – ou si une deuxième vague frappe en hiver – il faut être brutalement honnête sur la non-efficacité du confinement.”