di Piero Purich *
Cosa abbiamo vissuto dalla fine di febbraio ai primi di maggio del 2020?
In cosa è diverso il modo in cui si è gestita l’emergenza coronavirus dai modi in cui si affrontarono grandi epidemie nel passato?
Provo a gettare un primo sguardo retrospettivo, dal mio punto di vista, che è quello di uno storico. In sostanza, proverò a trovare analogie e differenze tra le politiche di contenimento del Covid-19 e le risposte ai contagi di massa verificatisi nella storia.
Premetto che purtroppo questo contributo ha due handicap di base:
1. la documentazione è limitata ai libri che ho in casa, alla mia memoria e a quello che ho potuto verificare su Internet, dal momento che le biblioteche sono ancora chiuse;
2. mi occupo principalmente di storia del Novecento, il periodo in cui, probabilmente, le epidemie hanno meno condizionato la vita dell’umanità – con la nota eccezione dell’influenza spagnola del 1918-20.
Questi gli handicap. D’altro canto, analizzare questo argomento da “novecentista” ha anche un vantaggio: il ventesimo secolo è il periodo in cui si sono sviluppate e raffinate tecniche che con questa pandemia hanno un legame strettissimo: le tecniche di propaganda e condizionamento sociale.
Le epidemie sono una costante nella storia dell’umanità. Bacilli e virus convivono con l’essere umano da sempre e periodicamente si verificano esplosioni di morbilità – peste, vaiolo, tifo, colera, influenze – che presentano alcune caratteristiche comuni: alta contagiosità, mortalità elevata, capacità di modificare profondamente il sistema sociale del periodo sia per l’alta percentuale di vittime, sia per il panico scatenato dall’epidemia nella popolazione stessa. Il Covid 19 per certi versi presenta analogie con le malattie del passato, ma ha scatenato una reazione molto peculiare, che sembra avere più somiglianze con le dinamiche di autodifesa dei regimi totalitari che coi provvedimenti sanitari adottati in precedenza.
Passiamo in rassegna le analogie e le differenze con i grandi contagi del passato.
1. Panico nella popolazione
È la reazione psicologicamente più ovvia. Quando le grandi pestilenze in passato cominciavano a mietere un numero di vittime anomalo, la paura del contagio e della morte si diffondeva tra la popolazione. I paesi si autoisolavano e rifiutavano gli scambi di beni e materie prime con altri paesi e con le città, nel timore che i mercanti o anche le merci stesse potessero portare il contagio. È una dinamica che abbiamo visto anche nel caso del Covid 19, quando – soprattutto in gennaio e febbraio – tutto ciò che proveniva dalla Cina era visto con sospetto – caso eclatante: le mascherine prodotte proprio a Wuhan.
L’autoisolamento non era solo praticato dai villaggi, ma anche dalle élites aristocratiche e borghesi. Il caso più noto è sicuramente quello dell’allegra brigata di giovani che si ritira nelle campagne fuori Firenze durante la pestilenza del 1348, situazione che fa da cornice al Decameron di Boccaccio. Il caso più simile è stato la fuga precipitosa di Berlusconi a Nizza all’inizio della pandemia.
Quanto queste misure di isolamento fossero efficaci non è dato sapere, dato che nel caso della peste il contagio era trasmesso non da un virus, ma da un bacillo di cui erano portatrici le pulci, dunque la probabilità che anche gli oggetti fossero infetti era più alta rispetto a un contagio virale. Probabilmente un villaggio autosufficiente si trovava in una situazione relativamente più sicura di un gruppo di aristocratici isolati, che necessitavano di scambi con l’esterno per ricevere derrate alimentari e altri beni di sostentamento.
Interessante il caso di papa Clemente VI, che decise di non andarsene da Avignone – dove c’erano stati 1.800 morti nei soli primi tre giorni di contagio – temendo di contrarre la malattia durante il trasferimento, e preferì barricarsi nel palazzo dei papi, completamente isolato e circondato da enormi falò – il cui calore, forse, impedì alle pulci di raggiungere il pontefice.
Ciò che però colpisce dell’attuale sindrome da panico è l’entità della paura in relazione all’ordine di grandezza dei decessi: nelle pestilenze antiche il numero delle vittime fu enorme e visibile a tutti. Riferendosi alla peste di Atene del 430 a.C., Tucidide e più tardi Lucrezio sottolineano come, a fronte di una malattia che mieteva un numero impressionante di vittime tra la cittadinanza, molti ateniesi, convinti di essere già condannati a morte, iniziarono a violare palesemente le leggi senza tenere in alcun conto le eventuali sanzioni (che peraltro, vista l’alta mortalità anche tra i tutori dell’ordine, risultavano inapplicabili), o a spendere tutti i propri averi, tanto non ci sarebbe stato un futuro per il quale valesse la pena risparmiarli.
Le dimensioni delle epidemie “storiche” sono decisamente non paragonabili a quelle della pandemia di Covid-19. Si calcola che durante la peste nera del 1348-49 Venezia perse il 60% della popolazione (cfr. William Naphy, Andrew Spicer, La peste in Europa, Il Mulino, Bologna 2006). Durante la peste del 1630 in alcune città venete la mortalità stimata fu del 60% e addirittura del 75% a Milano. Nell’epidemia del 1665-1666 morì un quinto della popolazione londinese. Nel 1679 la sola Vienna registrò 76.000 vittime e nel 1681 Praga ne ebbe 83.000. Secondo le analisi storiche più recenti i morti di spagnola in tutto il pianeta furono almeno 50 milioni. Numeri che, sia in termini relativi che assoluti, vanno decisamente oltre la mortalità del coronavirus.
Per rendersi conto della sproporzione basta una semplice prova empirica: escludendo la Lombardia – dove il virus ha fatto vere e proprie scorribande per via di gravi errori e criminali negligenze da parte del potere politico ed economico – quanti morti per coronavirus conosce personalmente ognuno di noi? Nelle epidemie storiche il panico si diffondeva per esperienza diretta, perché si vedevano morire i propri familiari, i propri vicini, gli abitanti della propria città. In questo caso, il panico lo ha diffuso l’informazione.
2. Misure di isolamento
Durante le epidemie passate le misure di isolamento erano praticamente le uniche risposte al contagio. Dell’autoisolamento volontario abbiamo già parlato. Qui invece affronteremo il discorso relativo all’isolamento coatto di persone infette o potenziali portatori di contagio.
Pare sia stata la repubblica marinara di Ragusa-Dubrovnik a varare per prima regolamenti sulla segregazione forzata di persone infette o presunte tali. Il periodo in cui gli equipaggi di navi nelle quali era in corso un contagio dovevano stare alla fonda o su scogli isolati, con la sola possibilità di ricevere viveri ed acqua dalla terraferma, era detto trentino in quanto durava un mese.
La Repubblica di Venezia perfezionò il sistema allungandolo di dieci giorni. Gli stessi termini di quarantena – quarantina in veneziano – e lazzaretto sarebbero nati a Venezia: la Serenissima fu il primo stato ad istituire ufficialmente un lazzaretto su un isola della laguna isolata fisicamente dal resto dei domini di San Marco, probabilmente per l’impossibilità di tenere in laguna troppe navi durante contagi particolarmente diffusi (cfr. Gaetano Cozzi, Storia della Repubblica di Venezia, Torino, UTET, 1986). Non è chiaro se l’isola del Lazzaretto Vecchio abbia preso il nome dall’istituto dell’isolamento o viceversa.
I lazzaretti, cioè luoghi isolati in cui erano relegati ammalati ritenuti pericolosi, sono storicamente attestati anche molto prima (basti pensare ai lebbrosari citati nella Bibbia), ma fu Venezia la prima ad istituirli per legge. Il Lazzaretto Vecchio – a cui poi subentrò il Lazzaretto Nuovo – era provvisto, oltre che di un ospedale (che fungeva più che altro da ospizio-dormitorio per i malati), di un nutrito posto di guardia, poi trasformato in caserma, a garanzia che i contagiati non tentassero la fuga. A dimostrazione di come le misure di isolamento siano sempre state accompagnate dalla costrizione imposta con la forza.
Quarantena e lazzaretti furono poi variamente utilizzati nel corso delle epidemie di epoca moderna e contemporanea: quasi tutte le città, in primis i porti, istituirono luoghi di quarantena isolati in cui venivano sistemati gli equipaggi delle navi che approdavano sventolando la bandiera gialla (poi sostituita da una a scacchi gialli e neri), che segnalava la presenza a bordo di infettivi.
Ciò che rende anomala l’attuale epidemia è però il principio inverso rispetto a quelle storiche: mentre in passato l’isolamento coatto era riservato ai sicuramente infetti o ai presunti portatori di contagio, nel caso del coronavirus l’obbligo di isolamento è stato esteso ai sani, che sono stati rinchiusi contemporaneamente ai contagiati o addirittura assieme ad essi. Stante l’alta percentuale di positivi asintomatici o leggermente sintomatici, non era dato sapere chi fosse positivo e chi no, e anziché investire sulle analisi – i celebri «tamponi» – le si è fatte col contagocce, solo quando le condizioni dei singoli si aggravavano.
La parsimonia nel fare i tamponi è stata giustificata col fatto che «i tamponi costano». Ma il lockdown, i provvedimenti economici emergenziali, il dispiegamento massiccio di forze dell’ordine, l’impiego di elicotteri per sorvegliare e intimorire i cittadini, sono forse costati di meno?
Interessante risulta anche il paragone con la più grave catastrofe ecologica del XX secolo, l’esplosione di uno dei reattori di Chernobyl, in cui la popolazione residente in prossimità della centrale venne completamente evacuata, ma non venne imposto alcun divieto di uscita di casa per chi abitava nelle zone al di là della cosiddetta «zona di alienazione».
3. Untori
Nella Storia della Colonna infame Manzoni narra la tragica sorte di Guglielmo Piazza, indagato come untore dall’Inquisizione. A seguito dell’aumento dei casi di peste a Milano, Piazza venne arrestato, torturato e processato. È interessante vedere come la vicenda si sviluppi in un crescendo di ferocia, da un gesto naturale (Piazza si stava riparando dalla pioggia, ma il gesto venne interpretato come diffusione del contagio dalla solita delatrice), alla denuncia, all’arresto, alla paura e all’angoscia suscitati dalla completa mancanza di informazioni sul perché dell’arresto, al panico di fronte alla tortura, all’estorsione di nomi di complici (Piazza inguaiò un altro innocente, Gian Giacomo Mora, nel tentativo di sfuggire alle torture), alla condanna dei due, all’esecuzione e addirittura alla distruzione delle loro case.
Manzoni, rendendo merito al nonno Cesare Beccaria, spiega che la tragedia dei presunti untori ebbe successo soprattutto grazie all’ignoranza popolare riguardo le cause di trasmissioni della peste.
La figura dell’untore è il tipico capro espiatorio di un’epidemia: in un contesto in cui il singolo individuo non è in grado di capire ciò che sta succedendo, è disponibile a fare la spia rispetto a qualsiasi comportamento sospetto. E così gli ebrei, il “diverso” per eccellenza del mondo medievale, divennero gli untori della peste nera, portando ai feroci massacri di Strasburgo e Colonia.
Quella dell’untore è una figura ricorrente anche nella narrazione sul Covid19: il runner, il vecchio che si faceva una passeggiata, la coppia convivente che camminava mano nella mano senza mascherina sono stati considerati i potenziali diffusori del contagio, anche quando la loro distanza dagli altri era maggiore a quella tenuta al supermercato o a quella che i poliziotti mantenevano tra loro in auto o durante i controlli.
Come nella Storia della colonna infame, il delatore, il carabiniere o il politico di turno – si pensi alla richiesta da parte dei consiglieri regionali del M5S Ilaria Dal Zovo e Cristian Sergo di impiegare i forestali per pattugliare boschi e montagne del Friuli Venezia Giulia e scovare chi non rispettava le ordinanze – rivela la propria ignoranza riguardo ai meccanismi di trasmissione del virus, e colpisce il deviante in quanto tale, non perché stia mettendo a repentaglio la propria ed altrui salute.
4. La (scomparsa della) religione
Nelle epidemie antiche le cause del contagio venivano fatte risalire all’intervento divino, all’ira di questa o quella divinità, al fatto che gli dei si schierassero con una o con un’altra fazione. L’Iliade si apre con il campo degli Achei sconvolto da una pestilenza provocata da Apollo per l’ostinato rifiuto di Agamennone di restituire la prigioniera Criseide al padre Crise, sacerdote del dio.
Tucidide e Lucrezio, entrambi troppo “razionalisti” per credere che la malattia sia espressione divina – Lucrezio peraltro è il primo autore del mondo antico che possa essere definito, in pratica, ateo – descrivono la percezione dell’ateniese medio, sconvolto dal disastro che vede attorno a sé: chi si è comportato in modo pio non capisce per quale motivo egli venga colpito allo stesso modo di chi è stato empio e blasfemo, si insinua il dubbio di essersi votato al dio sbagliato, altri pensano che gli dei abbiano abbandonato Atene o che il destino sia la distruzione della città (nel mondo greco il destino, Ananke, è una forza alla quale nemmeno gli dei possono opporsi), altri ancora immaginano che gli dei stiano favorendo Sparta, contro cui la città greca era in lotta nella Guerra del Peloponneso.
Anche nel mondo ebraico l’epidemia è un’espressione della divinità: tra le dieci piaghe d’Egitto narrate nel libro dell’Esodo almeno tre delle sventure piombate sul popolo del faraone perché impediva agli ebrei di tornare in Palestina possono essere interpretate come contagi virulenti: la morìa di bestiame, il diffondersi di pustole e ulcere nella popolazione, la strana morte di tutti i primogeniti maschi egiziani.
Con l’affermarsi del cristianesimo, più volte le pestilenze vengono considerate una punizione divina, di fronte alle quali l’unica difesa è adottare uno stile di vita più cristiano, fare penitenza e ammenda dei propri peccati. E così, sia in nelle epidemie medievali sia in quelle moderne, la risposta è la nascita di movimenti penitenziali, di flagellanti, di sette che praticano l’automortificazione, le quali attraversano l’Europa in realtà diffondendo ancor di più il contagio.
E analogamente anche le soluzione della pestilenze viene affidata a Dio (meglio: a divinità più vicina alla religiosità popolare, come la Madonna o i santi), affinché interceda presso il Padre per far finire il morbo. E per ringraziare della fine del morbo vengono edificate chiese, basiliche e santuari in onore della Madonna della Salute, a San Rocco, San Sebastiano, ecc.
La superstizione diventa addirittura letteratura quando l’ex illuminista e volterriano Manzoni, ormai fervente cattolico, riesce a trovare nella peste milanese del 1630 un imperscrutabile segno della provvidenza divina che alla fin fine appiana le traversie di Renzo e Lucia nel trionfo della giustizia e nell’eliminazione o conversione dei cattivi.
Gli ultimi rigurgiti religiosi (almeno per quanto riguarda l’Italia) di fronte a epidemie sono riscontrabili nel caso del colera a Napoli del 1973 (che peraltro fece non più di una ventina di vittime), preannunciato dal mancato scioglimento del sangue di San Gennaro.
La religione invece è la grande assente dal panorama creato dall’attuale pandemia: non più processioni, non più ira divina, non più preghiere, grazie, ex voto, e le gerarchie ecclesiastiche in linea di massima ossequiosamente prone ai dettami della politica. Solamente un papa che celebra quasi da solo i riti della pasqua, mandati in mondovisione.
5. La «scienza» come religione
La religione va svanendo e viene sostituita dalla scienza. Ma è una scienza con forti elementi di religiosità. Epidemiologi, medici, virologi, scienziati, ricercatori, statistici vengono considerati i depositari della verità e presentano analogie con i teologi di epoca medievale. Si esprimono in un linguaggio tecnico generalmente incomprensibile al volgo (come lo era il latino per il plebeo medievale), il quale crede a tutto ciò che essi dicono. Il popolo, non avendo le competenze tecniche per capire ciò di cui si sta parlando, crede agli scienziati con un atto di fede: «L’ha detto un virologo in tivù»; «L’ha detto un epidemiologo da Floris»; «L’ho letto su internet».
Le cose addirittura peggiorano quando, basandosi sui cosiddetti «esperti», politici e tecnici prendono decisioni totalmente illogiche e irrazionali con la giustificazione che «ce lo dicono gli scienziati» Peccato che gli scienziati siano molto spesso in disaccordo tra loro: mascherina sì, mascherina no; attività all’aperto sì, attività all’aperto no; lockdown completo, lockdown leggero, ecc. E che quando il disaccordo con la comunità scientifica mainstream è totale scattino forme di ostracismo nei confronti degli eretici, di censura mediatica e di screditamento personale con una dinamica che – a parte il rogo e, per il momento, la galera – è analoga al trattamento subito da Giordano Bruno, Jan Hus o Galileo Galilei da parte dell’inquisizione.
Eppure questa scienza, a parte l’utilizzo dei respiratori, in questo frangente non ha saputo trovare rimedi diversi da quelli che erano in uso già nel 1300: isolamento, quarantena, lazzaretti, medici con le tute di plastica al posto della palandrana lunga utilizzata durante la peste nera e le mascherine al posto della maschera a becco colma di erbe e spezie per fare da filtro.
6. Provvedimenti irrazionali
In nome della lotta al coronavirus, attività normali come passeggiare, fare jogging, tenersi mano nella mano con il proprio convivente sono improvvisamente diventate reati. I cittadini non sono stati considerati individui soggetti di diritto, bensì potenziali criminali. Nei loro confronti, da parte delle forze dell’ordine, si è applicata la presunzione di colpevolezza. Nel diritto si è creata una totale schizofrenia: l’autocertificazione – che nell’ordinamento giuridico era nata come strumento per semplificare la vita del cittadino – è stata utilizzata nella maniera più restrittiva possibile. È scattato una sorta di coprifuoco continuo, che era possibile violare solo per gravi e documentate motivazioni.
Provvedimenti che hanno rivelato una scarsa considerazione per l’intelligenza e l’istinto di sopravvivenza delle persone. Il cittadino è stato trattato come un minus habens, un individuo incapace di valutare il pericolo per sé e per gli altri, al quale deve badare lo stato. Ma questa è la dinamica tipica delle dittature, dei paesi totalitari: in questi la vita dell’individuo è regolata da obblighi, da imposizioni e dev’essere diretto e pilotato dallo Stato. Il cittadino di un paese libero, viceversa, dovrebbe essere un soggetto che sceglie, decide cosa fare della propria esistenza, stabilisce in base alla propria etica e alla propria morale.
Il controllo sociale si è avvalso dell’onnipresente polizia in strada, del monitoraggio attraverso il tracciamento elettronico, dell’uso di droni ed elicotteri e – quel che è peggio, perché mina completamente il concetto di solidarietà tra le persone – della delazione. Tecnologia e spie: le stesse tecniche utilizzate dal regime fascista, dal Terzo Reich, da Stalin, dalla Stasi.7. La forma della guerra
La propaganda mediatica dispiegata in occasione della pandemia ha sdoganato una retorica patriottarda che – sebbene in nuce già da diversi decenni – si è svelata con tutto il suo pacchiano armamentario nazional-popolare. Bandiere ai balconi, inni cantati e suonati dalle finestre, palazzi illuminati con il tricolore, martellamento continuo e propagandistico in tivù, inflazione del termine «eroe» e di metafore belliche.
Da dove nasce quest’utilizzo della guerra come linguaggio per spiegare la realtà emergenziale?
Direi che tutto discende dal crollo delle Torri gemelle, quando il giornalista Tom Brokaw della NBC se ne uscì con la dichiarazione «There has been a declaration of war by terrorists on the United States». L’espressione risultò particolarmente efficace: l’amministrazione Bush – anche per giustificare il successivo attacco contro un Iraq del tutto estraneo agli attentati – utilizzò continuamente il termine «guerra», e la frase «Siamo in guerra con il terrorismo» fu poi variamente utilizzata da Blair, da Valls, da Macron, fino a Grillo e Casaleggio che nel 2011 scrissero a due mani un libro dal titolo Siamo in guerra. Il giornalismo italiano adottò il termine applicandolo a vari altri campi: «Siamo in guerra con il clima», «Questa è una guerra» (riferito al terremoto del 2016 in centro Italia), «Combattere contro il dissesto idrogeologico è una guerra lunga e logorante»… Titoli come questi hanno sdoganato l’uso improprio del termine guerra, che in tempi di lockdown è stato usato per aumentare la sensazione di insicurezza e per creare un senso di unità nazionale, di sforzo collettivo contro un nemico comune. Insopportabile è stata la citazione dell’Inno di Mameli «Stringiamci a coorte», ma il senso è questo: siamo una nazione, troviamo l’orgoglio di essere italiani e combattiamo. Come? Rispettando le restrizioni.
Rispettare un regolamento non significa nemmeno lontanamente essere in guerra. Un ragionamento del genere sarebbe addirittura comico, se non sottendesse un risvolto tragico: chi non rispetta le regole è un nemico, dato che siamo in guerra. Dunque, in realtà, il nemico non è il virus, ma il deviante. E si ritorna alla vecchia figura dell’untore.
L’ultimo caso allarmante di epidemia verificatosi in Europa fu quella di vaiolo che nel 1972 in Kosovo contagiò poco meno di 200 persone causando 35 vittime, al quale la Jugoslavia rispose con l’imposizione di cordoni sanitari attorno a villaggi, blocchi stradali, divieto di riunioni pubbliche, possibilità di spostamento dalle zone infette solo con uno speciale lasciapassare e con un distintivo in vista, divieto di tutte le attività non essenziali, requisizione di alberghi per sistemarvi i malati, vaccinazione a tappeto dei 18 milioni di cittadini jugoslavi. La quarantena coinvolse circa 20.000 persone: è la situazione che più si avvicina a quanto stiamo vivendo oggi, ma la Provincia autonoma del Kosovo e le autorità di Belgrado si limitarono ad emettere una serie di provvedimenti d’emergenza sanitaria cercando di allarmare il meno possibile i propri cittadini (Cfr. Bogdan Vučković, Epidemija variole vere u Jugoslaviji 1972: između vlasti i javnosti, Univerzitet u Beogradu, Filozofski fakultet, Odeljenje za istoriju, 2018 – L’epidemia di variola vera in Jugoslavia 1972: tra autorità e pubblico, Università di Belgrado, Facoltà di lettere e filosofia, Dipartimento di storia, 2018). Tito non si sognò mai di accostare l’epidemia a una guerra ed in quel periodo non apparve mai in televisione per trattare la questione dell’epidemia, lasciando la parola agli esperti medici.
In realtà proclamare una guerra senza formalizzarla è una scelta molto comoda: permette di mantenere la forma, modificando la sostanza. L’arbitrio delle forze dell’ordine è assoluto senza che esse debbano prendersi le relative responsabilità. Solo per fare un esempio: in una situazione bellica per spostarsi da un posto all’altro è necessario un lasciapassare, documento che fornisce al cittadino la certezza di poter viaggiare, dopo aver spiegato i motivi del suo spostamento. L’autocertificazione imposta durante l’emergenza coronavirus è molto meno sicura: nessuna autorità può rilasciare un documento di passaggio che sia considerato sicuramente valido da qualsiasi posto di blocco si incontri, in compenso le forze dell’ordine, a proprio arbitrio, possono considerare non validi i motivi addotti nella certificazione e comminare salatissime multe o addirittura l’arresto. Non c’è dunque la certezza giuridica dietro qualunque atto, bensì la sola discrezionalità.
Se la pandemia del Covid-19 sembra dunque avere limitate analogie con le grandi epidemie del passato per quanto riguarda l’eziologia e l’estensione del contagio, le strategie per contenerla sono simili a quelle adottate durante le pestilenze di epoca antica, medievale e moderna (sia pure con l’anomalia, già fatta notare, del mettere in quarantena i sani insieme agli ammalati). Del tutto nuovo, invece, e molto più in linea con l’apparato propagandistico degli apparati bellici e degli stati totalitari, il dispiegamento di forze messo in campo per attuare un condizionamento sociale e ottenere un consenso da parte della popolazione sulla limitazione delle libertà.
* Piero Purich, storico, è nato a Trieste nel 1968. Nel 2017 ha ripreso il cognome di famiglia, che era stato italianizzato in «Purini» durante il fascismo. Ha conseguito il dottorato all’università di Klagenfurt in Austria. Il suo lavoro più importante è Metamorfosi etniche. I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975 (KappaVu, 2014). Nella doppia veste di storico e musicista ha realizzato lo spettacolo teatrale Rifiuto la guerra. Pacifisti, renitenti, disertori, ammutinati. La grande guerra dalla parte di chi cercò di evitarla. Scrive su Giap e su Internazionale.
Grazie davvero. Spesso mi sono interrogata su cosa sarebbe venuto fuori da un confronto tra la gestione attuale dell’epidemia e quelle del passato. Intuitivamente, ipotizzavo le stesse conclusioni. Trovo estremamente difficile esprimere un dubbio assillante, su cui vorrei confrontarmi ma vi rinuncio, a causa della sua portata cinica e irrispettosa per i più: dati alla mano, questa epidemia ha una portata estremamente limitata (per fortuna, eh!) in termini di decessi. Come è possibile che abbia scatenato un panico tale da portare alcune persone a invocare addirittura misure più restrittive? I numeri compaiono ogni giorno su quotidiani e telegiornali: ogni giorno faccio un rapido calcolo e mi rendo conto delle percentuali estremamente contenute sia a livello globale sia a livello nazionale. Chiaramente non tolgo importanza alla cosa ma sento l’urgenza di un inquadramento collettivo più razionale: trovo ignobile l’ennesimo ripetersi di uno schema tutto occidentale, per cui piccole crisi (magari gestite male) vengono presentate come eventi storici e catastrofici, anche se in termini umani sono ben più trascurabili di una qualunque guerra portata dall’occidente o di una qualunque epidemia di malaria in un qualsiasi paese del terzo mondo. Per non parlare delle probabili epidemie ancora tutte da scoprire che ci aspettano se continuiamo la nostra epica “guerra” agli equilibri naturali. La catastrofe è sociale, ambientale, economica, politica (riscivoliamo nelle dittature anche in Europa): eppure, sempre e comunque,”dagli all’untore…!”.
Finisco su una nota meno disperante, suggerendo un esempio ancora più lampante di fuga edonista dagli orrori dell’epidemia: il re della Thailandia e il suo harem (https://nypost.com/2020/03/30/king-of-thailand-isolates-from-coronavirus-with-20-women/)
Saluti!
Secondo me il tuo dubbio non è né cinico, né irrispettoso, ma assolutamente legittimo.
Qual è l’effettiva portata di questa crisi? Le misure repressive messe in campo (tramite DPCM e …FAQ) rispondono a un criterio di proporzionalità?
Prima o poi qualcuno dovrà rispondere a queste domande, anche perché – in un modo o nell’altro – si dovranno tenere in considerazione, non solo i morti a causa del virus, ma anche i decessi determinati dal lock down. Quante persone non hanno potuto accedere a cure adeguate in questo periodo? Quante persone hanno subito danni permanenti (e/o sofferenze inutili) a causa del differimento sine die dei cosiddetti interventi d’elezione? Quante diagnosi precoci sono saltate?
Il tema mi sta particolarmente a cuore perché mio padre, gravemente ammalato, ha incontrato e sta incontrando enormi difficoltà per accedere alle cure e a un livello di assistenza degno di questo nome.
Sugli effetti del lock down, segnalo di nuovo i seguenti interventi, ovviamente ignorati da media e virostars nazionali.
Prof. Iannidis (Stanford):
https://youtu.be/cwPqmLoZA4s
Prof. Levitt (Nobel):
https://youtu.be/bl-sZdfLcEk
Odiatissimi scienziati tedeschi e svedesi:
https://youtu.be/bfN2JWifLCY
https://youtu.be/vrL9QKGQrWk
il mio sospetto è che la scomparsa della religione sia anche tra le cause del panico maggiore rispetto a precedenti epidemie. Gli anziani del 1918, ma pure quelli che si presero l’Asiatica negli anni 50, credevano in qualche misura in una religione che ha tra i suoi pilastri l’accettazione della volontà divina e quindi anche della morte (propria, altrui e persino dei bambini, si veda il percorso del prete ne la Peste di Camus). Gli ottantenni di una società in cui il capitalismo ha pienamente sconfitto la religione vivono nel terrore della morte e tutta la società nel terrore di STARE MALE che alla fine è l’esito più probabile del covid se lo prende uno sotto i sessant’anni.
Nel nostro romanzo Proletkult il protagonista. Aleksandr Bogdanov, va incontro alla morte in maniera serena, perché è convinto di aver dato un contributo importante all’umanità futura e pensa che l’individuo possa accettare la morte proprio attraverso la partecipazione a un’impresa collettiva, il socialismo. Il suo atteggiamento non ha alcun bisogno della religione: infatti, a dispetto delle accuse di Lenin, Bogdanov era un ateo, non un cercatore di Dio o un adepto di una nuova religione laica, come il suo amico Lunačarskij. Questo per dire che il terrore della morte che regna sovrano nella società capitalista avanzata, mi sembra figlio dell’individualismo e dell’eterno presente della merce – che cancella il futuro – molto più che della sconfitta della religione.
Come recita il testo dell’Internazionale scritto da Franco Fortini, “Chi ha compagni non morirà.”. Tanto più vasta è la comunità di cui mi sento parte e che so mi sopravviverà, tanto più sarò sereno di fronte alla morte. Tanto più sono convinto che “non c’è società, solo individui”, tanto più mi convincerò che “io sono tutto”, quindi la mia fine è la fine di tutto, con conseguente horror vacui, angoscia, tanatofobia.
È che anche la sconfitta della religione è figlia dell’individualismo e dell’eterno presente della merce del mondo capitalista. Bogdanov e i socialisti del XX secolo credevano in una prospettiva sì tutta terrena (anche se non necessariamente tutta terrestre), ma che inserirva il singolo in un flusso storico collettivo, in un movimento di menti e di corpi che trascendeva il singolo e incanalava la sua vita verso uno scopo, un telos. C’era qualcosa di religioso, certamente, in questa prospettiva. Quel verso bellissimo dell’Internazionale riscritta da Fortini è una promessa di vittoria sulla morte, dunque ha una radice relgiosa, che però viene laicizzata. Chi ha compagni non morirà non già perché rinascerà nella carne nel giorno del giudizio, ma perché la sua vita proseguirà in quella degli altri, e quanto più gli altri saranno numerosi, tanto più questa sopravvivenza sarà garantita, infatti.
Grazie delle risposte molto belle (e già che ci siamo grazie anche di aver scritto Proletkult, libro che ho amato molto). La mia personale visione della morte è analoga a quella che presentate – per farla breve quando mi sono trovato a spiegare cosa ne pensavo della vita dopo la morte a mia figlia le ho detto che i morti sopravvivono in quello che lasciano in noi e noi sopravviveremo in quello che avremo fatto per le altre persone. Ma come dice giustamente WM4 questa prospettiva è possibile solo in una visione collettiva della vita che è antitetica all’individualismo e all’eterno presente della merce. Più il senso comune aderisce all’ideologia capitalista più la morte terrorizza perchè gli altri non esistono e se esistono preferisci non lasciargli niente. Questo si è visto bene nel terrore totale scatenato da questa pandemia.
Forse è ot, ma riguardo alla morte questo è il pensiero più bello che abbia mai letto. Vorrei avere la serenità di questo personaggio, mentre ne sono ben lungi. Ma come si dice, bisogna pur partire da qualcosa…
“When I die, I can breathe back the breath that made me live. I can give back to the world all that I didn’t do. All that I might have been and couldn’t be. All the choices I didn’t make. All the things I lost and spent and wasted. I can give them back to the world. To the lives that haven’t been lived yet. That will be my gift back to the world that gave me the life I did live, the love I loved, the breath I breathed.” (Ursula K. Le Guin).
Spinoza lo dice in modo appena diverso: l’uomo saggio a nulla meno che alla morte pensa, perché il suo pensiero è meditazione sulla vita, non sulla morte. Per il filosofo significa in primo luogo che larga parte della nostra mente è eterna, e di questo noi possiamo anche avere esperienza: è eterna nel duplice senso che appartiene all’eternità, e che è parte di una comunità che, in sé, non è contingente ma eterna – e dunque avrebbe potuto sottoscrivere che chi ha compagni non morirà. In secondo luogo, che la singola mente, ovvero il singolo individuo (per Spinoza mente e corpo, spirito e materia sono due facce della stessa medaglia, mi scuso per la banalizzazione) ha dignità non per quello che è, ma per la potenza, cioè la possibilità, che esprime: per quello che può essere e divenire, non per quello che in questo contingente momento è. E questo lo potrebbe sottoscrivere Marx, che ha detto la stessa cosa nel 1844, e l’ha ridetta in tarda età, dunque senza cesure fra gioventù e maturità “scientifica”. Dunque (qui parlo io, ma credo di rimanere nel solco dello spinozismo), anche la vita dell’individuo conta, perchè la sua scomparsa priverebbe non solo il singolo di ciò che sarebbe potuto divenire, ma anche il suo prossimo (un prossimo che si estende all’intera comunità, in potenza) delle relazioni che potrebbero non solo arricchirlo, ma aumentarne la potenza. Allora preservare la vita, rifiutando ad esempio il suicidio, è un atto d’amore verso chi ci è caro (qui parlo con le parole di Leopardi), ed è per questo che, pur nella convinzione che “chi ha compagni non morirà”, la perdita della persona cara ci addolora di un dolore che non è mera paura della morte individuale. Se è troppa filosofia, bastano i Pink Floyd di “Fearless”, che sfocia nel coro “You’ll never walk alone” (canzone che ha una gran bella storia, peraltro).
Al di là del fatto che la filosofia non è mai troppa (semmai abbiamo il problema che la filosofia sia considerata troppo poco) volevo dire soltanto che Spinoza mi è empatico. Sembra abbia pubblicato testi senza il suo nome per evitare di farsi incenerire. Tempi difficili oggi come ieri. Decise inoltre di disconnettersi dalla pseudonarrazione religioseggiante (dicono abbia scritto il testo “i tre impostori”. Per i tempi testo rischiosetto direi. Non saprei dire se l’abbia sul serio scritto lui però nel dubbio l’ho studiato con attenzione. Tanto l’autore è indifferente. È importante la concettualizzazione). Ha confutato praticamente le scritture bibliche (la bibbia è altra “narrazione corrente” che eliminerei definitivamente volentieri). Che mentre leggevo le sue confutazioni mi dicevo: “finalmente. Grazie”. E rischiò. Grande filosofo. Ve ne è moltissimi di grandi filosofi. Riportiamoli in vita
Conservo da tempo i ritagli di La Repubblica sul «Vivere fino a 120 anni», «La città futura per gli over100», «La scoperta del [qualcosa: gene, elisir, dieta…] della longevità»…
L’interesse del quotidiano inizialmente era motivato molto banalmente: giustificare il grande impegno dei governi «amici» (quelli col Pd) nell’innalzare il limite dell’età pensionabile. «Ehi lettori, visto che camperemo fino ai 120 anni andare in pensione a 68 anni è una pacchia, hai praticamente metà vita davanti!» era il messaggio implicito.
Poi ovviamente la cosa è diventata un genere a sé, la pseudoscienza de il Corriere ha rilanciato con i 300 anni ( https://archive.is/7qlMG ); Il Saggiatore pubblica «Gli Immortali», viaggio «nei luoghi in cui scienziati, politici e visionari stanno lavorando per renderci eterni»…
La narrazione dell’eternità è legata in più modi a quella dei viaggi spaziali: nel fatto che se campiamo così tanto diventiamo troppi, e abbiamo bisogno di terraformare (=devastare) un altro pianeta; nel fatto che l’immortalità individuale si *completa* nell’immortalità di specie, che diventando *multiplanetaria* non rischia più l’estinzione; nella tecnologia dell’ibernazione per i lunghi viaggi, ovvero della quasimorte per la vita quasieterna altrove.
A ritroso, questo liquame ideologico giustifica:
a) il fatto che ce ne possiamo fottere del pianeta Terra, tanto di pianeti ne abbiamo quanti ci pare, no?
b) il fatto che possiamo desiderare l’immortalità e spingere, sulle stesse pagine, canali e discorsi politici, l’incremento demografico. Il «crescete e moltiplicatevi» biblico, che aveva come contrappeso la mortalità invidiuale, diventa un iperliberista «crescete e moltiplicatevi e non crepate più».
sub-b) Questo hype impedisce di prendere sul serio il principale motivo *interiore* per cui le persone in occidente fanno pochi figli, ovvero la disperazione (= mancanza di speranza) che pervade le nostre vite, disperazione che le performance da esaltati dei vari Elon Musk o Beppe Sala servono pateticamente a nascondere.
Dovremo approfondire un bel po’ di queste robe, per capire su un piano di *vissuto filosofico* cosa diavolo è successo con il Covid-19.
perdonatemi se abbasso drasticamente il livello del dibattito, ma a volte i cortocircuiti tra livelli e generi sono stimolanti.
E’ dall’inizio dell’ossessione per il contagio, accompagnata dall’ossessivo imperativo di *proteggersi* (parola che ormai mi fa venire i brufoli) che mi gira in testa un refrain, ma solo un paio di giorni fa l’ho messo a fuoco e i ritagli di Repubblica di Wolf me lo rimandano. Si tratta di un vecchio carosello, penso che la maggior parte di questa platea non lo ricordi perché sete più giovani di me – io ho 60 anni: andò in onda nel 1973-74 Era lo sketch del signor Conservini, un maniaco dell’igiene che girava per strada con una tuta di cellophane sopra i vestiti e la testa costantemente dentro una teca di vetro “per conservarsi” e incartocciava tutti i mobili di casa. Ovviamente glie ne capitavano di tutti i colori e alla fine la domestica lo riportava alla ragione Togliendo d’autorità le copertine dai mobili perché il doril mobili era più efficace che non tenerli “protetti”. Il jingle faceva “Conservini, ma cosa combini!?”
https://carosello.tv/serie/conservini-cosa-combini/
Ecco, mi pare che il sig. Conservini, partorito da un pubblicitario nel 1973, fosse profetico nel cogliere un elemento di paranoia già visibile nella società industriale
Forse è scomparsa la religione, ma di sicuro non è scomparsa l’attitudine alla penitenza. Sono convinto che molte misure assurde dal punto di vista della profilassi sanitaria siano state, forse inconsapevolmente, concepite come forma di penitenza collettiva. Penso al divieto di produzione e vendita di pizze margherite (le focacce bianche invece erano ok), al divieto di vendita di pennarelli, alle perquisizioni nelle borse della spesa alla ricerca di beni voluttuari (come ad esempio bottiglie di vino) e conseguenti pesantissime multe, al divieto di incontrare persone con cui non si abbiano legami di sangue o con cui si sia legalmente sposat*, al divieto di fermarsi per guardare il panorama o per scaldarsi al sole… e potrei portare mille altri esempi. Del resto Conte è devoto di padre pio, e ci è andata bene che non abbia istituito l’obbligo di stimmate. Qualche giorno fa alcune ragazze a Milano erano uscite a ballare in strada per qualche minuto, con le mascherine e a distanza di sicurezza, e l’indignazione social è scattata inesorabile, a partire dal sindaco Sala, mister milanononsiferma. Una compagna ha commentato dicendo che ormai la gente ha il cilicio nel cervello.
Non è una reazione tipica di chi è stat* ed è abusat*, quella di caricarsi di sensi di colpa, di trovare giustificazioni agli abusi subiti e perfino di aiutare i propri aguzzini?
E questo ultimo incredibile abuso collettivo che stiamo tutti subendo apparentemente quasi senza fiatare andrà a caricarci – collettivamente – di ulteriori sensi di colpa. Stiamo puntando dritto filato verso uno stato di PTSD globale da cui sarà ben difficile emergere, visto che i “terapeuti” che dovrebbero aiutarci ad uscirne sono anche coloro che in primis ci hanno somministrato lo shock.
Sull’uso di sensi di colpa, ricatti morali & affini nella gestione della pandemia, perlomeno in Italia, c’è materiale per diversi tomi. Alla luce di questo splendido articolo, mi chiedo se l’aspetto propriamente paternalistico e ricattatorio di molta comunicazione governativa verso i cittadini rappresenti un unicum ed un precedente o se in altri contesti pandemici si sia già adottato. Dire, semplificando, “Se ami il tuo paese armati e annienta il nemico/invasore” è tipica propaganda bellica, slogan in tempi di guerra, ma sostenere “Se ami l’Italia, rispetta le regole” innesca un ricatto pseudo-genitoriale del tipo “Se vuoi bene alla mamma finisci i broccoletti”, o dinamiche di coppia manipolatorie “Se mi ami allora devi…”. Non si parla da pari a pari, non si sollecita il senso di responsabilità, si attua un ricatto morale verso dei cittadini/bambini, quindi incapaci di badare a sé stessi. Esistono precedenti, o è un’innovazione legata al Covid19?
Il potere ha fatto e sta facendo anche più e peggio che un ricatto morale. Sta creando una serie di veri e propri doppi legami (double bind), cioè di ricatti in cui però qualunque cosa tu faccia ti fotti. Ad esempio: “ti diamo il permesso di uscire, ma tu non devi uscire perché se esci saremo obbligati a impedirti di uscire”. Oppure: “siamo tutti uniti e ci vogliamo tanto bene perché siamo italiani”, poi esci di casa e ti ritrovi un soldato che ti punta addosso un fucile da guerra e ti dice senza mezzi termini che sei un nemico. A ben vedere, tutta la comunicazione in questi mesi è stata di questo tipo, e come spiega Bateson, una comunicazione di questo tipo è schizofrenogena.
Già, e spesso il doppio legame non è nemmeno esplicito, così da lasciare una zona grigia in cui l’arbitrio (delle forze dell’ordine) prospera, generando uno stato d’ansia più o meno costante. A costo di sembrare complottista, credo ci sia davvero da chiedersi se tutto ciò sia causato ‘solo’ da totale incompetenza comunicativa (assieme a scelte politiche improntate allo scaricabarile) o se non vi sia dietro un qualche tipo di disegno volto ad assoggettare psicologicamente sempre più la popolazione, “infantilizzandola”, rendendola via via più fragile e dipendente. Parafrasando Berne, “a che gioco giocano?”.
(1/2) @tuco @upuaut
Qualche tempo fa mi sono imbattuto in una pagina di wikipedia (en) che parlava di “double bind” e ricordo di aver letto l’esempio di un genitore che parla amorevolmente al figlio e quando il figlio tenta un abbraccio il genitore si tira indietro. Veniva spiegato che questa reazione spiazza completamente e crea un blocco di comunicazione/espressione.
Ho letto su giap di recente (in vari articoli e commenti) di “doppio legame” e mi interesserebbe approfondire.
Mi domando: Possibile che M5S, che tramite Conte gestisce il messaggio del governo, sia così sprovveduto da incorrere in doppio legame così spesso?
A me pare che si stiano approfittando un po’ troppo dell’ “aurea” di incompetenti e “novellini” e cerchino di spacciare per semplice incompetenza quella che in realtà potrebbe essere una ben definita strategia comunicativa. Troppo spesso emerge il doppio legame, nei discorsi e nelle leggi dell’ emergenza covid.
A mio parere, sul piano comunicativo, M5s è sempre più simile alla Lega. Sappiamo da tempo che la lega fa parte di quell’alleanza politica di Bannon (Johnson, Trump, Orban, Salvini) e dell’altro tipo che ha in mano i dati di Cambridge analytica e li ha usati per influenzare le votazioni in USA, la Brexit, elezioni in Ungheria e Italia.
Subito dopo le elezioni politiche in Italia Bannon si è incontrato con Casaleggio in Italia, non è azzardato pensare che M5S e trumpiani/salviniani/ecc siano sulla stessa barca e che i remi siano strategie comunicative basate sulle conoscenze psico/comportamentali umane estratte dai dati di Cambridge analytica.
Faccio un’ipotesi:
Doppio legame studiato a tavolino come strategia per spiazzare e (come nell’esempio di comunicazione famigliare citato prima) per troncare la comunicazione tramite shock. Ha un preciso scopo di creare discontinuità rispetto alle normali dinamiche di discussione politica.
Insomma costituire un nuovo contesto, spiazzante, in cui non sia possibile ribattere (o che comunque disorienti al punto da tardare/rimandare ogni risposta. Insomma: doppio legame fa guadagnare tempo, in un certo modo limita la prontezza di riflessi, ad esempio limita le manifestazioni).
(2/2)
Come fa una popolazione a ribattere prontamente, quando le dichiarazioni del governo sono così palesemente grottesche (e la situazione da esse creata è grottesca)? Si rimane spiazzati (abbraccio rifiutato), non si sa come ribattere,
Le leggi di lockdown sono “barbarie politica” allo stato puro. Incutono terrore, perchè con una persona adulta puoi ragionare sempre … ma questo governo ha fatto dichiarazioni e leggi vistosamente senza cognizione di causa: io come cittadino mi son sentito come governato da bambini ubriachi armati di mitra, cioè gente pericolosa con cui non puoi ragionare.
C’è proprio la sensazione di un muro tra popolo e governo. Non c’è comunicazione e viene dato il messaggio che “decidiamo noi e basta”.
Ha una sorta di “effetto ipnotico-spiazzante”. Interdice l’interlocutore, che in questo caso è il popolo.
Oltre a questo ci hanno dimostrato e comunicato, in 2 mesi e mezzo di lockdown, che hanno i mezzi tecnologici e militari per reprimere ogni opposizione (han mostrato i muscoli).
Che è un po’ come se un governo dicesse chiaramente e senza vergogna “Ti è piaciuto il ‘900 ? Bene, ora si torna all’800, io so io e voi non contate un cXXXo”.
Questa frase è inconcepibile in un paese democratico. La spaccatura nasce proprio perchè il governo si è palesato come antidemocratico.
Il passaggio da leggi non scritte a leggi scritte ha permesso al cittadino di difendersi da accuse pretestuose (“così è scritto le regole son chiare, non son perseguibile”). Col lockdown si introducono in un paese “democratico” caratteristiche tipiche di monarchi dispotici di tempi antichi (del tipo “io sono la legge e la pronuncio, interpreto e applico io”).
Il governo pronuncia ( Comunicazione a reti unificate. ) la legge a voce, tramite Conte (potere legislativo).
Interpreta la legge (le FAQ. potere giudiziario).
La applica (circolari del min dell’Interno. potere esecutivo).
Divisione dei poteri, zero.
Re/zar/ecc comunque lo si chiami è qualcosa di spiazzante, in una democrazia. Questo spiazzamento ha effetti sulle persone.
Mi scuso per la lunghezza dei commenti.
La tua descrizione degli effetti del «doppio legame», dell’esito paralizzante della comunicazione contraddittoria, contiene molti spunti. Il problema è che non c’è alcun nesso logico tra questo e ipotizzare che il M5S sia controllato da Bannon e sia parte di un complotto insieme alla Lega per portare avanti un piano di psy-op predisposto addirittura subito dopo le ultime politiche, psy-op di cui il «doppio legame» di cui sopra sarebbe elemento fondamentale ecc. Non cè bisogno di nulla di tutto questo per smontare, criticare, denunciare politiche emergenziali e shock economy del capitalismo. Anzi, questo genere di “salti” dal dato di fatto alle “intenzioni occulte”, questo barocchismo dei ragionamenti, immancabilmente rovina anche ciò che di buono si scrive.
Sarebbe in qualche modo consolante se il “doppio legame” della comunicazione governativa fosse stato studiato a tavolino. Invece basta andare in un parco la domenica pomeriggio o a una festa di compleanno di bimbi delle elementari per accorgersi che il “doppio legame” è la cifra dei rapporti genitori- figli e a partire da lì, plasma qualunque altra comunicazione asimettrica o basata sull’autorità. Intendo dire che la stragrande maggioranza delle persone non è in grado di esercitare una qualche forma di autorità, di potere o di gerarchia senza ricorrere al doppio legame. Lo schema concettuale con cui ci raccontiamo la politica istituzionale si basa sulla metafora Stato = famiglia, governo = genitori, ecc. E’ triste dirlo, non ci consola, ma il governo ricorre al doppio legame in maniera non dissimile da moltissimi genitori, ovvero ispirandosi ai genitori (ogni governante ai propri, a sé stesso come genitore, ecc.).
Per antigogna. Il tuo ragionamento potrebbe essere interessante se avessimo a che fare con menti sottili impregnate di cultura alta, abituate a ragionare, riflettere, pianificare, a fare Politica.
Una delle menti più sottili del M5S è Luigi di Maio, e ho detto tutto, come diceva Peppino de Filippo. Le dichiarazioni dei parlamentari o dei ministri sono tutte uguali, dischi rotti che ripetono a memoria una lezioncina da ABC della comunicazione, altro che fine strategia. E questo nelle interviste ai giornali o in quelle preregistrate in TV. Quando devono parlare a ruota libera è il delirio (Azzolina è emblematica). Non siamo di fronte a bambini col mitra, ma a bambini e basta. Forse si può intravvedere il doppio legame di cui parli, ma quando c’è è semplicemente una fuga dalle responsabilità, quella di chi ha esaurito la poesiola, non sa più cosa fare o cosa dire e scappa. Ovvio che spiazzi, dato che da un esponente dell’intellighenzia ti aspetti qualcosa di illuminante, qualcosa alla quale tu non penseresti (anche se sai che ti sta fregando), invece ti trovi di fronte a uno che ti dice quello che ti dice Mario al bar, con le stesse parole. Questa è stata la vera strategia, che ha funzionato fino a ieri. Oggi non più.
@Marcello07
Concordo sul “disco rotto”. Tutti all’unisono esprimono lo stesso script. Noto inoltre che, come nello scorso governo, ci sono 2 partiti al potere e parla solo uno (prima, Lega-M5s, parlava solo Salvini(lega), ora M5S-PD e parla quasi solo Conte(m5s)). Spesso qui si è parlato del ruolo filogovernativo di Repubblica.
Vorrei sottolinerare che c’è anche IlFattoQuotidiano che è spiccatamente filogovernativo e filo-m5s (pure un mio famigliare elettore m5s, fino alle scorse elezioni politiche se ne è accorto). Questo aspetto non va sottovalutato, siccome ilfatto è stato percepito da molti, negli anni, come giornale “di opposizione” all’interno del mainstream (ruolo acquisito nei tempi degli scontri mediatici Berlusconi-Travaglio-Luttazzi). Ora è la “pravda” di questo governo, con “diari dalla quarantena” fin dai primi giorni, che elogiano il lockdown e con articoli del tono “tanto lo smartphone già ci traccia, sa tutto di noi, che problemi vi crea l’app immuni” e altri esempi che risparmio.
“Bambini col mitra” nel senso di “dare un mitra in mano ad un bambino”, immagine terrificante. In questo caso il mitra è il ruolo di governo.
Questi hanno “pieni poteri” e si vede il modo incoscente in cui li usano. (Sono nato in Italia, ora mi trovo in un paese quasi cileno)
“di fronte a uno che ti dice quello che ti dice Mario al bar”
Ecco, l’aspetto “Conte sindaco d’Italia”. Che tratta problemi complessi (il rispetto dei diritti costituzionali) con superficialità (“ordinanze” dcpm) e sopra di lui non c’è altri a cui appellarsi. Se un sindaco fa una ordinanza assurda e illegale (come nel mio paese lo scorso sindaco [lega->fdi->casaclown], vietò di parlare altre lingue –> Ricorso al TAR –> giudizio di incostituzionalità) può esser annullata. Ma in questo caso?
L’Italia è alla mercè di gente che, pare, non sapere cosa sta facendo e non c’è modo di tutelarsi da questo tramite ricorsi (a chi appellarsi per avere un giudizio costituzionale sulla regolarità dei dcpm?)
@WM1 Non ipotizzavo complotti ci mancherebbe
Solo che m5s si comporta più o meno come si sarebbe comportata la lega al suo posto. In questo c’è totale continuità. Sembra che la lega non se ne sia mai andata dal governo.
L’acuirsi del doppio legame nella comunicazione governativa di quest’emergenza si spiega quindi con l’acuirsi del paternalismo di scienziati e ministri. Presidente del Consiglio & Co. sono, in questa fase, più genitori che mai perché più che mai il potere si giustifica trattando i cittadini da adolescenti, per scaricare su questi irresponsabili le proprie responsabilità.
La creazione di un doppio legame è anche una delle tecniche utilizzate con maggior efficacia dai poliziotti (il famoso gioco del poliziotto buono e del poliziotto cattivo, a volte interpretati dallo stesso poliziotto). C’è un monologo di Gian Maria Volontè nell’ “Indagine su un cittadino…”, in cui lui spiega a Florinda Bolkan come funziona un interrogatorio: il punto chiave è quello di infantilizzare l’interrogato, farlo sentire bambino, in modo che il poliziotto diventi il padre, cioè Dio. Nel film la nemesi si ha in un altro flashback, quando Florinda Bolkan dice a Gian Maria Volontè
che è “come un bambino”, mette a nudo la sua inadeguatezza di uomo e innesca il suo crollo psichico, sancendo però così la propria condanna a morte.
p.s. più ci penso e più sono sconcertato dal fatto che compagni cresciti con questi film e nel contesto che li ha prodotti non siano in grado di riconoscere i dispositivi del potere che stanno agendo nel contesto di questa emergenza sanitaria.
Non è detto che non li riconoscano, anzi, probabilmente li colgono anche loro questi dispositivi. Ma non ci danno peso, o comunque li considerano elementi meno rilevanti rispetto all’oscura immensità della morte (per citare un titolo di Carlotto). Davanti ai morti ogni rilievo passa in secondo piano. Conseguentemente dare a noi dei “complottisti” è un modo per evitare di pensare di essere state le cavie di un esperimento sociale di massa, non certo pianificato, ma prodottosi nel corso degli eventi, che farà precedente, sia per la gestione delle future emergenze sia per la gestione dell’ordinario (la DAD è qui per restare, almeno nelle scuole superiori e all’università, ed è solo un esempio).
La peste nera fu terribile, le epidemie elencate nell’articolo falcidiarono intere città. I numeri, come sottolineato anche dall’autore dell’articolo, non sono nemmeno lontanamente paragonabili. Allora perché oggi tutto questo terrore? Provo a fare qualche ipotesi, magari semplicistica.
Secoli fa un sessantenne era vecchio, metteva in conto di essere vicino alla morte; oggi un sessantenne può aspettarsi altri vent’anni di vita, la morte non la mette nel conto;
il ruolo dell’informazione, descritto alla perfezione nell’articolo. Aggiungo che l’informazione nel sistema del profitto deve per forza di cose alzare i toni, deve creare scalpore, in una corsa concorrenziale a creare angoscia, perché il sensazionalismo, lo sappiamo, fa audience;
l’”Ananke” citato dall’autore, oggi ha sempre meno spazio. In una società abituata a dominare sé stessa, che vuole ognuno padrone del proprio futuro, l’idea che ci sia qualcosa (il caso, o comunque un evento che non possiamo governare appieno) che determina le nostre vite, letteralmente ci terrorizza (un esempio forse insignificante: ogni anno, ad ottobre, cominciamo ad essere bombardati da pubblicità di antiinfluenzali che ci invitano a stroncare senza pietà la febbre al primo sintomo, così da non fermarci, e non essere costretti a rinunciare alle nostre vite belle, piene ed entusiasmanti nemmeno per due giorni);
la religione; penso che neuro e WM2 e WM4 individuino due concause del rifiuto della morte, che non si contrappongono; cent’anni fa vi era ancora un sentimento (religioso) di rassegnazione di fronte all’inevitabile, che oggi si è trasformato in frustrazione dell’individuo che, votato per tutta la vita all’onnipotente dio merce, scopre che c’è qualcosa che non può essere ad esso assoggettato;
secoli fa non esistevano sistemi sanitari che rischiavano di collassare di fronte a migliaia di morti. Mr skimpole ha evidenziato il tema della paura o della impossibilità di curarsi o di essere assistiti per altre patologie, causata dagli ospedali saturi di malati da covid.
Grazie, innanzitutto. L’isolamento sarebbe totale se non potessi trovare rifugio nella lucidità di pensiero di quesra comunità. Mi ha molto impressionato il confronto tra i costi degli spettacolari voli d’elicottero con tamponi e test sierologici. E che si possa impunemente portare avanti azioni tanto insensate. Io non ho effettuato l’associazione, è vero, ma non ho competenze di economista. Possibile che in nessun grado della scala gerarchica sia rimbalzato un dubbio che risalendo come un embolo non abbia fatto esclamare ai vertici: no, dai, così è troppo, vedrai che così se ne accorgono.
Ho notato subito l’uso massivo della terminologia di guerra e mi ha fatto pensare a una cosa sola: ricostruzione. Da quando ho imparato la nozione di pacifismo strumentale penso subito che da qc parte a qualcuno arriveranno tanti soldi per le nuove possibilità che la distruzione di un sistema economico ha creato. Mi vengono in mente i ristoranti, hotel, negozi che saranno acquisiti a prezzo stracciati da chi ha tanto denaro contante da offrire in cambio. ‘L’eterno presente delle merci’, cito da uno dei commenti, inoltre, ha forse bisogno di un mercato più dinamico di quello che, almeno nella Vecchia Europa, almeno alla fine di determinati cicli, raggiunge una sua saturazione? La corsa all’accaparramento di generi alimentari e di ulteriori dispositivi digitali per lavorare o studiare da casa hanno subito un netto incremento e mi viene da pensare che nei prossimi mesi acquistare (per chi ancora può disporre di un potere d’acquisto) sarà una delle reazioni più marcate e celebrative della fine della clausura. ‘Lunedì comincia la fase 2 e non ho niente da mettermi’ scriveva il buon Osho su Twitter. Le mie sono ipotesi, rimango volentieri in ascolto di chi ne sa di più di cicli economici e azione sui cicli economici da parte dei player mondiali del capitalismo.
Alcune osservazioni su un articolo di piacevole lettura e, soprattutto, di notevole impegno critico nel decostruire una poli-narrazione intossicante più del virus. Ottima la trattazione della “Scienza” come religione.
“Lucrezia è il primo autore del mondo antico che possa essere definito, in pratica, ateo”. Sarebbe stato meglio aggiungere al mondo antico “occidentale”.
Dopo l’interessante contributo di antropologia culturale pubblicato giorni fa, mi sembra doveroso notare che il jainismo, di origine indiana, è una religione atea. Il fondatore del jainismo. Mahavira, sarebbe vissuto circa 2600 B.P ma secondo studiosi recenti (non condizionati dal pessimo concetto di “epoca assiale” di Jasper) il jainismo è molto pi antico.
Bertrand Russel, contrariamente ad un’abitudine inveterata di scrivere storie della filosofia occidentale intitolandole “Storia della Filosofia”, scrisse una “Storia della Filosofia Occidentale”, significando che il pensiero riflessivo occidentale è una parte del pensiero umano, non il tutto.
I filosofi jaina hanno anche elaborato “dimostrazioni” della non-esistenza della divinità (celebre l’esempio del vasaio che fa il vaso e del dio che fa l’universo. Secondo loro è un paragone che non si può fare perché tra vaso e universo non c’e’ analogia, quindi neanche tra Vasaio e Dio).
L’uso della parola “guerra”, per descriver realtà non direttamente ascrivibili all’attività bellica in senso stretto, non nasce con l’attacco terroristico alle Torri Gemelle
La “guerra alle droghe” (War on Drugs), iniziata dall’infausto Richard Nixon negli anni ’70 (“Il termine è stato popolarizzato dai media dopo una conferenza stampa, data il 18 giugno 1971” wiki) e che ha decuplicato la popolazione carceraria degli Stati Uniti e destabilizzato interi stati dell’America Latina, è infatti più vecchia.
Da antropologo indianista mi sento di dover intervenire su questo punto.
Per prima cosa, Mahavira è un personaggio storico, vissuto nel 6 sec. a.C., e probabilmente, secondo alcune fonti, il Buddha stesso, nella sua ricerca del sentiero verso la verità, lo ha “frequentato’. Egli è il sistematizzatore del pensiero jainista, e forse intendevi indicare Adinath, il primo dei 24 tirthankara, di cui Mahavira è l’utlimo, che sono i “saggi” che hanno seganto la via (aperto un guado, letteralmente, nel ciclo delle rinascite, samsara, che segna il sentiero per la salvezza).
Dire che il jainismo è una religione “atea” è vero solo se si problematizza il concetto di ateismo. Una delle cose cui l’antropologia ha quasi completamente rinunciato, per fortuna, è l’utilizzo del tempo lineare, vuoto e naturalizzato delle scienze naturali (anche se ora la fisica sul tempo ha le cose più interessanti da dire) per fare classifiche e stabilire scale di valori. Il bellissimo libro di Fabian “Il tempo e gli Altri” critica profondamnete l’uso del tempo che l’antropologia fa, che pone l’Altro in un tempo diverso ed è pratica “allofagica”, che divora l’Altro all’interno delle proprie categorie.
Quello che è quindi centrale, per molta antropologia contemporanea, è denaturalizzare i suoi stessi concetti e categorie. Il Jainismo è comunque una religione della salvazione, che ha un’idea di un’anima individuale, di un ciclo di reincarnazioni, della presenza di mondi differenti (tra cui mondi paradisiaci e infernali), e l’obiettivo di liberare l’anima personale dal ciclo di reincarnazioni per la finale salvazione (moksha). Il fatto che non sia presente l’idea di una divinità antropizzata, creatrice e moralizzante, non toglie che demoni e dei esistano, sebbene siano coinvolti essi stessi nel ciclo della vita.
Il jainismo è un ateismo profondamente anti-materialista e spirituale, rispetto all’ateismo “occidentale”, spesso “materialista”. I due concetti vanno a mio avviso analizzati all’interno dei campi di problematizzazione dell’esistenza sui quali insistono, sulle differenze e le continuità, sul piano storico del loro discorso.
Scusate il parziale OT…
Scusa, mi accorgo ora di aver letto il tuo B.P. come B.C. quindi parlavi decisamente di Mahavira… e quindi sì, alcuni nuclei concettuali del jainismo sono sicuramente molto più antichi.
Per il resto il mio punto rimane lo stesso.
Sorry.
Visto che devo raggiungere i caratteri, ne approfitto per aggiungere che anche in queso caso (l’antichità del jainismo) si ragiona attorno a concetti di religione etnocentrici, per cui una religione spesso corrisponde alla sua sistematizzazione, e non ai nodi tematici, pratici e morali che, al di là della presenza di testi e ortodossie, occupano degli esseri umani nel corso della storia.
Gentile Tommaso, grazie per le tue precisazioni. Mi fa piacere leggerle qui sia perché anche io navigo oggi nel sapere antropologico (o ci provo) sia perché ho dedicato la prima parte della mia vita alla buddhologia, sicché molte delle tue notazioni mi paiono familiari oltre che utili. Mi rammarico solo di non aver mai dedicato abbastanza tempo al jainismo, nonostante un mio parente oggi scomparso ne fosse un grande conoscitore. Detto questo, l’India è ancora oggi fraintesa, per molti rimane luogo di tradizione millenaria e venerabile in quel modo imbarazzante (e diciamolo: fortemente hegeliano) che l’ha privata di una storia. Quanto all’interessante dibattito più in alto, vorrei suggerire che la teoria della secolarizzazione è stata messa autorevolmente in dubbio da anni, pertanto non condivido molto l’idea che di questi tempi si sia orfani di pietas e religiosità in genere, anzi.
Però il post qui sopra non sostiene castronerie generiche come «la società è orfana di pietas e religiosità»… Quelle sono al massimo robe da editoriale del tardo Alberoni sul Corsera. Nemmeno nel dibattito si è banalizzato in quel modo. Invece si sono dette cose specifiche su società capitalistica, tanatofobia, esperienza collettiva del morire vs. approccio individualistico allo stesso ecc.
La religione è stata chiamata in causa in subordine, per il suo offrire un’elaborazione collettiva del morire («re-ligio» contiene già in sé la parola «legame», come «ecclesia» contiene il verbo «radunare»), che oggi nelle nostre società è rara, perché il morire e è stato medicalizzato, burocratizzato, separato dalla sua dimensione rituale, e anche la religione stessa è diventata, per la maggior parte della popolazione, faccenda più individuale che collettiva.
Credo che tu abbia male interpretato un linguaggio volutamente ironico, ma non malizioso, che non intendeva derubricare quei ragionamenti ma mettere in campo (mea culpa per l’allusività) altri temi possibili, non obbligatori. La definizione stessa di religione è estremamente problematica, come credo tu sappia, e da quella dipendono un sacco di corollari non intuitivi. C’è anche chi dice “no data for religion”, per citare un indirizzo asseritamente provocatorio che vede la religione come categoria prettamente accademica. Non è esattamente il mio pensiero, ma riconosco che i cosiddetti “fenomenologi della religione”, nei loro sforzi essenzializzanti devono più alla critica positivista che agli spiritualisti. Comunque sia, voglio semplicemente dire che l’individualismo è in una relazione piuttosto ambigua con il sentimento religioso, e apparentemente feconda. Lo dimostrerebbe (almeno in parte) il successo dei NMR proprio in fase tardocapitalistica. Certo per dirlo è necessario superare un paradigma più classico, alla Durkheim, ma non so se questa dicotomia stia davvero in piedi.
Stavolta ammetto serenamente di non aver capito quasi niente.
E temo non abbia capito quasi niente nessun altro/a che sta leggendo.
Fai benissimo a dirlo, e mi dispiace. Non capisco invece la necessità di stabilire che nessuno possa capirci un cazzo, se non con quell’andazzo che mi ricorda certe flamewar da usenet. Mi spiace oltretutto che a te sia concesso rispondere con lapidarie apodissi mentre io, purtroppo, sono obbligato ad aggiungere inutili protesi per avere semplice diritto di replica. D’altra parte, capirai anche che visto il clima ho pure il sospetto che, tornando nel merito della questione, mi tireresti altra verdura – e allora c’è la sensazione che non ne valga la pena. In ogni caso, mi auguro ci capiremo meglio una prossima volta.
Scusa, ma da una richiesta, per quanto implicita, di non esagerare coi gergalismi accademici e sforzarti di essere più chiaro… tu trai tutto questo, in un crescendo di vittimismo? Dài che non ce n’è bisogno. Basta che ti spieghi meglio, senza «curse of knowledge», senza dare per scontato il 90% di quello a cui alludi.
Rispondo solo su un punto. A me/noi «è concesso» rispondere in breve, fare mozioni d’ordine ecc. per una ragione in fondo semplice da spiegare: noi WM siamo gli admin. Questo è il nostro blog, fondato e quotidianamente curato da noi. I commenti sono moderati da noi. Mi sembra ovvio che abbiamo più prerogative e meno limiti, no?
Ti ringrazio per le osservazioni. Per lo meno posso rettificare un refuso clamoroso, quello di “Lucrezia”, che chiaramente è Lucrezio..Ho scritto “sarebbe vissuto circa 2600 B.P”, è rimasto nella tastiera un “nel” 2600 oppure 2600 “anni”. Questa sciatteria linguistica non aiuta certo i lettori. Sorry.
Visto che ci siamo “Jasper” manca di una “s”, il nome corretto del celebre psichiatra e filosofo è Karl Jaspers.
Veniamo al punto.
Tu scrivi “ il jainismo è un ateismo profondamente anti-materialista e spirituale”. Perfettamente d’accordo. Infatti “Nel jainismo la divinità (godliness) è detta essere la qualità inerente ad ogni anima (soul)“. Cioè, siamo tutti dei, potenziali però, perché incrostati di “materia karmica” da cui dobbiamo liberarci.
“Gods can be thus categorized into embodied gods [ I tirthankara] also known as arihantas and non-embodied formless gods who are called Siddhas. Jainism considers the devīs and devas to be souls who dwell in heavens owing to meritorious deeds in their past lives. These souls are in heavens for a fixed lifespan and even they have to undergo reincarnation as humans to achieve moksha”.wiki,God_in_Jainism
Gli esseri celestiali, divini, devono incarnarsi in uomini per raggiungere la liberazione (e non è detto che la raggiungano perché, sebbene dei, la vita terrena li può appesantire a tal punto che rinascono dei vermi). Pensa,
milioni di dei in questo momento sulla terra!
Concetto ben diverso dagli dei di Lucrezio. E’ nel senso lucreziano di divinità che ho chiamato il jainismo ateo.
Mi scuso con tutte le lettrici di questo Blog per un refuso mentale veramente grave, per un lapsus calami che rivela il maschilismo dello scrivente.
Parlando di credenze jainiste, ho scritto: “Gli esseri celestiali, divini, devono incarnarsi in uomini per raggiungere la liberazione”.
Ecco, con “uomini” intendevo esseri umani, maschi e femmine, uomini e donne. Homo sapiens.
In un contesto cristiano, come quello italiano, in cui i tre dei (la nuova Triade Capitolina virilizzata) sono tutti maschi, trovo che il non aver scritto “uomini e donne” o “esseri umani” sia foriero di confusione semantica.
Del resto nel brano, tratto da Wikipedia, che avevo inserito, si parla esplicitamente di dei e dee, devis e devas.
Una scusa non richiesta è un’accusa manifesta; proprio così, mi accuso! Mi accuso di essere stato indifferente all’altra metà del cielo.
A tutte le dee di questo Blog: scusatemi!
OT Pare che le strade di downtown Indianapolis si stiano riempiendo di afroamericani incazzati per l’ennesimo omicidio di un ragazzo da parte della polizia. Credo sia una notizia importante, perché anche negli USA, come in Italia, finora era passata la bislacca idea che scendere in piazza durante la pandemia sia roba da nazi, e che i compagni devono stare sdraiati sul divano a guardare netflix. Una postura più liberal che compagnosa, direi, ma bon, ne abbiamo già parlato e non serve ripetersi. Aggiungo solo una considerazione: non è un caso che a rompere il tabù siano stati gli afroamericani, che tra l’altro sono la comunità più colpita dal virus. https://www.adelaidenow.com.au/news/national/crowd-gathers-in-downtown-indianapolis-to-protest-death-of-sean-reed-in-police-shooting/video/0f2bc6a2ac3069e2df3d971349ce78fa
Grazie Tuco, per la segnalazione di questa notizia. Noi abbiamo tutto da imparare da alcuni movimenti nati, inizialmente, come movimenti di protesta su base etnica. Quello che hanno fatto alcune comunità per difendersi è stato costruire rapporti di solidarietà e mutuo soccorso e contemporaneamente dare espressione alla legittima rabbia contro i soprusi. Reagire. L’evoluzione politica, e personale, passa attraverso il conflitto ed il riconoscimento di un sano antagonismo. La tutela della propria identità si costruisce attraverso il rifiuto della sottomissione.
Le autorità, come sottolinea l’autore, ci considerano alla stregua di minus habens. Ed io personalmente nutro il sospetto che nella storia della nostra evoluzione ontologica si passi direttamente dall’ infanzia alla vecchiaia, senza soluzione di continuità. Saltando tutto ciò che riguarda la fase della ribellione adolescenziale. In questi giorni ho assistito a situazioni di grave abuso: al parco, oggi, ad una ragazza (seduta sotto ad un albero, con mascherina e cane al guinzaglio) è stato chiesto di identificarsi e compilare un fasullo foglio di “autocertificazione” che l’ autorizzava a stare lì. E’ stata scelta una persona per dare l’esempio a tutti gli altri. Ho udito un papà rimproverare una bambina piccola perchè aveva mangiato delle foglie, gliele ha fatte sputare ad urla, ordinandole di rimettersi immediatamente la mascherina. Io, invece, sono stata invitata ad indossare la mascherina all’ aperto da una anziana signora che non aveva di meglio da fare. Come si può strutturare una personalità adulta in un sistema di controllo autoritario e pervasivo dell’ esistenza se non si rifiuta l’ intrusione? Io non sarei capace di chiedere obbedienza neppure ad un cane.
Grazie per questo bel resoconto di analogie e differenze. In effetti in questi mesi la storia della peste è stata troppo spesso usata in senso decorativo: una retorica un po’ vuota che non tiene conto di uno dei compiti principali degli storici, cioè quello di individuare le differenze e di mostrare la contingenza dei fatti storici. Le differenze tra le epidemie del passato e la pandemia di oggi sono enormi. Ci sono però anche delle analogie, a cominciare dalla diffusione, dall’alto e dal basso, di rumor e notizie false (per esempio l’orrido ‘virus che si diffonde nell’aria’ di Repubblica). Ma soprattutto le contraddizioni tra le disuguaglianze strutturali di una società e il contenimento delle epidemie – che si esprimono non solo nel mancato rispetto delle restrizioni, ma anche nelle esigenze del commercio, della produzione e dello sfruttamento dell’ambiente, degli animali e degli umani nel mondo mercantile globale dell’età moderna o oggi nel mondo del capitalismo globale – queste contraddizioni vengono fotografate dall’epidemia di ieri e di oggi. Il commercio e il contagio hanno spesso seguito le stesse strade e la violenza esercitata sull’ambiente ne è stata spesso la causa più importante. Sul tuo punto 5 ci sarebbe da discutere. Mi sembra che le cose siano un po’ cambiate con l’ingresso nel xxi secolo. Da dopo il Progetto Manhattan si è spesso usata la metafora del genio della lampada per descrivere i rapporti tra scienza e politica, e si è parlato di un’inversione di ruoli: sono i politici ad aver bisogno degli scienziati e non viceversa, come era stato nei secoli precedenti. Oggi mi pare che le classi politiche sfruttino l’intrinseco pluralismo delle scienze per cercare lo scienziato o la ricerca che può tornare più utile a coprire decisioni politiche già prese. Sono i politici a presentare la Scienza come dogma, con la complicità ovviamente di media e personaggi conniventi come Burioni. La diffidenza popolare verso le scienze è molto comprensibilmente alimentata da simili trucchetti e simili personaggi. È un circolo vizioso che impedisce di distinguere ciò che è sano da ciò che non lo è nella produzione e circolazione del sapere scientifico. L’equivalenza scienza-blastatori è un guaio grosso.
Le autorità (nazionali, regionali e persino locali) hanno trasformato la gestione della crisi in un gigantesco trattamento sanitario obbligatorio a carico, non solo dei contagiati, ma anche dei sani (l’anomalia è assai opportunamente messa in luce dall’autore dell’articolo). Uno degli aspetti a mio parere più preoccupanti è che, a fronte di tale approccio, sono state ridotte a zero le possibilità di rivolgersi al potere chiamato, in una democrazia, a controbilanciare le scelte del potere esecutivo: quello giudiziario. Il controllo di legalità è stato affidato a giudici speciali (i TAR) che operano entro un ambito molto limitato. La magistratura ordinaria (tradizionalmente chiamata a vegliare sul rispetto dei diritti fondamentali) è stata relegata la ruolo di spettatrice (quasi) muta, tanto che alcuni magistrati (penso ai 9 di Aosta dei quali ho letto qui su Giap) sono dovuti ricorrere a lettere aperte per manifestare il loro dissenso nei confronti di scelte demenziali. All’emergenza sanitaria si è aggiunta quella del diritto. E visto che adesso si inizia a parlare di altre future emergenze, mi auguro si trovi il tempo e il modo di restituire la cittadino (almeno) il diritto di impugnare gli atti limitativi di libertà costituzionali dinanzi i giudici ordinari (e non ai TAR).
Variante/estensione del punto 6, in Fase 2. Durante la fase 1 ho potuto evitare code e complicazioni e affollamento di supermercati e mercati, grazie a un sistema di ordini diretti on-line produttori, che utilizzavo già prima: scelta e pagamento dei prodotti tramite un sito, ritiro della spesa ad un’ora e luogo prestabilito una volta alla settimana.
Di solito presso un bar, negozio o locale pubblico nei pressi – ma nel periodo di lockdown in un ampio parcheggio all’aperto e con poco passaggio. Si arriva, si comunica il proprio numero d’ordine, i produttori presenti (di solito 3-4) e/o il gestore, mascherati e guantati, depositano i prodotti su un tavolino e si allontanano. L’acquirente va al tavolino, prende i suoi sacchetti e va via.
Normalmente l’intera operazione richiede circa 2 minuti, in questo periodo in cui molta più gente cerca metodi alternativi di acquisto a volte si forma una piccola coda – ordinata, tutti disciplinatamente provvisti di mascherine d’ordinanza e ben distanziati.
Sembrerebbe una scelta il linea con i comportamenti virtuosi, giusto?
Bene, dalla prossima settimana probabilmente non si potrà più fare perché ieri alcuni vigili zelanti hanno contestato la mancanza di licenza di occupazione di suolo pubblico (con il tavolino da campeggio aperto sulla strada per poggiare i sacchetti da ritirare) e la mancata osservanza degli orari di vendita del regolamento vigente (per i mercati all’aperto, consentita esclusivamente dalle 8,30 alle 12,30 mentre la nostra consegna avviene alle 18). Per questa volta solo ammonizione verbale, ma sanzione alla prossima.
Se non si trova soluzione alternativa, saremo costretti ad andare anche noi nei luoghi più affollati e/o chiusi, invece di starcene a distanza. Grazie mille e complimenti vigili, leggi ed autorità varie!
Salve, frequento da un mese questo blog perché – pur non avendo (ancora) letto alcun libro dei suoi fondatori – ne apprezzo l’approccio critico, demitizzante (per il quale vi ringrazio), verso le narrazioni che legittimano gerarchie arbitrarie.
Scrivo ora per la prima volta perché, da laureando in storia, sto lavorando a una breve ricerca sulle epidemie in età moderna, e quindi posso darvi delle precisazioni che magari possono interessarvi.
Ferma restando la correttezza dell’interpretazione di fondo dell’articolo – che sia stata cioè esasperata la pericolosità relativa del COVID-19 per legittimare misure d’un rigore anomalo sia dal punto di vista storico che scientifico -, è da precisare che talvolta anche i sani, durante le epidemie d’età moderna, eran chiusi in casa per decine di giorni (vedasi Cipolla, 1981, che mette peraltro in discussione l’utilità di tali quarantene per le stesse obiezioni odierne; Preto, 1976; Foucault in “Sorvegliare e punire”). Le metafore belliche per spiegare le peste, inoltre, erano anch’esse a volte già impiegate in quegli stessi anni.
In aggiunta all’articolo, è interessante fra l’altro notare come, se spesso in età moderna le autorità governative tendevano a negare l’esistenza delle epidemie (per evitare il blocco dei commerci e ingenti spese quali quelle per la nutrizione dei reclusi più poveri, nelle loro case o negl’appositi ospedali), in Italia è appena venuto l’esatto contrario, con una costante esagerazione del reale pericolo – perlomeno in termini relativi – del COVID-19.
In conclusione, a ulteriore dimostrazione di come il peggior morbo presente oggi in Italia sia quello portato dalla stampa (e di come venga attualmente vilipesa la conoscenza storica), vi allego le righe finali d’un trafiletto pubblicato sul sito dell’Agi il 26 aprile:
“se questa non è la peggior pandemia della storia, lo dobbiamo con ogni probabilità soprattutto alle misure di lockdown”.
Tuttavia, i «lockdown» ante litteram di cui hanno scritto Foucault e Cipolla erano ancora cordoni sanitari intorno a luoghi circoscritti dove si erano avuti focolai: rioni cittadini, villaggi, contee… È quel che è successo col vaiolo in Kosovo nel 1972, come ricorda Purich nel suo articolo, o nello Hubei durante l’epidemia di Covid-19. In nessuno di questi casi il principio della quarantena è stato esteso all’intera popolazione di un Paese, senza discernere al suo interno tra sani, ammalati e già immuni – anzi, senza voler discernere. In Cina, a conti fatti, si è chiusa una provincia. Il fatto che, da sola, quella provincia abbia lo stesso numero di abitanti di tutta l’Italia non conta: intorno c’era un altro miliardo e mezzo di persone. In proporzione, è più o meno come se noi avessimo chiuso per tempo la val Seriana. Inoltre, in Cina sono passati quasi subito alla strategia dei «corridoi sanitari» finalizzati alla quarantena fuori casa dei positivi. La quarantena promiscua – di sani e contagiati insieme – estesa all’intera popolazione di uno stato (al tempo stesso mantenendo attiva oltre metà della forza-lavoro nazionale) l’ha introdotta lo stato italiano nel marzo 2020. Questa è la novità, e l’anomalia.
Ogni volta che leggo un pezzo qui su Giap non posso fare a meno di essere grata a chi permette tutto questo e a coloro che, in base alle proprie conoscenze, apportano contributi così preziosi. Ho apprezzato tantissimo Il modo in cui l’autore descrive in modo semplice il raffronto tra approcci appartenenti ad epoche così distanti e la fluidità con cui il racconto scorre tra interessanti accostamenti e spunti come quello sull’uso improprio ma non casuale di una dialettica imperniata ossessivamente sul frame bellico. Guerra, nemico, delazione, disciplina. I governanti sono già pronti a scaricare la responsabilità di un eventuale peggioramento dei dati epidemiologici sui cittadini “irresponsabili”, la solita disgustosa stampa si sta già portando avanti come sottolineato anche da Wu Ming sotto un’altra discussione.
Be’, in verità non è proprio così. Cito Cipolla testualmente:
“Quando la pestilenza dava segni di regressione, era abituale[qui, forse, esagera]che le autorità sanitarie decretassero una ‘quarantena generale’, [per la quale] quante più persone possibile dovevano rimanere chiuse nelle proprie casa per quaranta giorni, riducendo così al minimo qualunque contatto umano.
Quando nell’inverno del 1630[ad esempio essa]venne decretata a Firenze, gli ordini prevedevano che tutti i maschi e le femmine dai tredici anni in giù fossero tenuti in quarantena in casa”p. 28-29.
Foucault, invece, riporta un regolamento di Vincennes di fine ‘600:
“Il giorno designato [dunque non sempre: a volte], si ordina che ciascuno si chiuda nella propria casa: proibizione di uscirne sotto la pena della vita. Ogni famiglia avrà fatto le sue provviste, ma per il vino e il pane saranno preparate, tra la strada e l’interno delle case, delle piccole condutture in legno che permetteranno a ciascuno la sua razione […]. Se sarà assolutamente necessario uscire di casa, lo si farà uno alla volta, evitando ogni incontro”p.213.
Quindi, in effetti, a voler trovare dei precedenti storici (almeno in termini di regolamenti, poi se eran attuati è tutt’altra questione) della nostra quarantena promiscua, se ne trovano – sia pure come eccezioni finanche nei paesi dai controlli più rigidi, come nell’Italia centro-settentrionale (essendo qui prassi isolare gl’appestati negl’ospedali appositi o nelle loro case, peraltro obbligando i familiari del malato a stare con lui in casa).
Ciò detto, è importante notare che tale quarantena promiscua, scrive sempre Cipolla, “era peggio che inutile: era addirittura controproducente, perché, come avrebbero mostrato gli epidemiologi moderni, confinare le persone nei luoghi in cui allignava la fonte dell’infezione significava accrescere il rischio di contagio”(p.29). Il che è esattamente, mutatis mutandis, il motivo per cui le odierne misure italiane sono sbagliate, come è stato giustamente mostrato in questo blog, e per cui nulla di ciò che ho scritto può essere usato per legittimarle, anzi.
Chiudo accodandomi a Mandragola01 nel ringraziare i gestori e fondatori di questo blog nel nostro desolante contesto culturale.
Appunto: Cipolla parla di Firenze e Foucault di Vincennes.
Firenze, non tutto il Granducato di Toscana.
Vincennes, non l’intero Regno di Francia.
Erano quarantene limitate a centri urbani, agglomerati circoscritti, territori specifici dove c’erano focolai.
In passato si era arrivati al massimo ai cordoni sanitari intorno a contee o regioni. Oggi stiamo parlando di quarantena promiscua e generalizzata estesa a un intero Stato – e poi, per contagio (ehm…), a un intero continente e oltre, sia pure con diverse gradazioni e sfumature – senza distinguere tra territori dove c’è contagio e territori dove non c’è. Non è una differenza di poco conto.
Questo vertiginoso aumento di scala e quest’estensione della promiscuità non possono che imporre una forte torsione a qualunque parallelismo tra quel che abbiamo vissuto e le quarantene dell’antichità, del medioevo e dell’età moderna. E se – come ricordi anche tu – erano già controproducenti quelle, figurarsi aumentando la scala e diminuendo ulteriormente il discernimento…
Segnalo un importante articolo: https://www.e-flux.com/architecture/at-the-border/329404/staying-at-home/ di Andrea Bagnato, architetto (cha ha partecipato, tra l’altro, al progetto Italian limes: https://www.wumingfoundation.com/giap/2019/03/italian-limes/).
Oltre a essere utile per far conoscere a lettori anglofoni il modo (poliziesco, “decoroso” e zeppo di fake news top-down) con cui l’Italia ha fronteggiato la pandemia, evidenzia il rapporto genealogico tra le prassi fondative della quarantena e del lazzaretto con il successivo “contenimento” della popolazione “improduttiva”; nesso a cui è possibile ricondurre anche in qualche misura la dimensione classista/produttivista del lockdown all’italiana e l’annullamento delle differenze territoriali:
“The lockdown did not just overlook any non-productive bodies or non-normative households, but also all those landscapes that aren’t large cities, and their respective modes of life (which is, incidentally, how the majority of Italy’s population lives).”
Questo annullamento delle differenze territoriali viene ricondotto, a sua volta, a scelte politiche appartenenti alla storia nazionale:
“[…]under the guise of another infectious disease—malaria—a large part of the peninsula’s coastal wetlands and marshes were drained, and the existing ecologies and localized economies substituted by irrigated agriculture. The state did not “see” the different landscapes and imposed everywhere the same model of production, lifted from the capitalist North. It also did not see that […] malaria was for peasants just one of many problems, and certainly not as serious as the abject poverty in which they were kept […]”
Non siamo forse immersi nello stesso problema? La classe dirigente del nord, con il suo produttivismo tossico, continua a imporre modi e ritmi all’intero paese, nonostante la dimostrazione lampante del totale fallimento di ogni sua strategia – da quella di lungo corso sulla privatizzazione sanitaria a quella recente di gestione dell’epidemia. Ovviamente questa egemonia trova il perfetto complice nella nullità della classe dirigente nazionale (“romana”, per capirci) e dalla dolosa clownaggine di quella del sud (si prendano i 2 De Luca, per dire).
Ringrazio molto Wolf per la menzione, e colgo l’occasione per approfondire una questione che non è entrata nell’articolo. In un’inchiesta recente del New York Times, si sostiene senza mezzi termini che la scelta di tenere le persone in casa – malati e sani indistintamente – è stata deliberata. “Il paese”, si legge, “ha essenzialmente accettato una tragedia controllata nelle case, mentre si concentra sull’evitare che il contagio si sparga rapidamente nel resto della società.” Questo è avvallato dai pareri scientifici di Palù e Brusaferro, secondo i quali il contagio nelle case era “accettabile” in quanto più facile da controllare. Nulla, ovviamente, di più tragicamente sbagliato.
Possiamo quindi vedere come la strategia italiana sia esattamente opposta a quella svedese, che consiste nell’accettare la diffusione controllata del virus all’interno della società. La differenza tra le due è che il nucleo famigliare – a differenza dello spazio pubblico – funziona proprio da “moltiplicatore virale”, risultando in una curva epidemica che sarà destinata a restare alta ancora per settimane (visto che milioni di persone in Italia a tutt’oggi credono che restare in casa sia giusto e più sicuro, per tutti i motivi esaminati con grande precisione qua su Giap). Link: https://www.nytimes.com/2020/04/24/world/europe/italy-coronavirus-home-isolation.html
A livello storico, vale la pena di sottolineare la singolarità di un’epidemia che, in Italia, è esplosa nel Nord produttivo.
Come scrive anche Purich, storicamente si sono sempre ricercati non solo untori individuali ma intere categorie a cui attribuire la responsabilità del contagio. Questo processo, ovviamente, rispecchia sempre gli squilibri di potere esistenti.
Tra Ottocento e Novecento, l’intero Sud Italia fu patologizzato proprio per legittimare il ruolo semi-coloniale del Nord (l’analisi che di questo fece Gramsci nel Quaderno 19 è ancora profondamente attuale). Tale “geografia della colpa” (l’espressione è di Paul Farmer) è stata riproposta più recentemente con il caso del colera a Napoli nel 1973. Nel pensiero borghese, l’epidemia è sempre “altra” ed esterna dal sé; in quel caso, fu attribuita alle presunte abitudini “primitive” degli abitanti di Napoli.
Di contro, oggi, Lombardia e Veneto (“avanguardia morale” ecc.) non potevano certo essere ricomprese in una geografia simile: si è scelto quindi di adottare un approccio uniforme sul territorio nazionale (nonostante il controsenso scientifico) pur di non patologizzare il Nord.
Infatti. Se i primi focolai fossero stati in Basilicata, avrebbero chiuso solo la Basilicata. O il Molise, o [zona “poco importante” a scelta]. Poiché invece sono stati in Lombardia, hanno finito per chiudere in casa, e soprattutto colpevolizzare, tutta la popolazione italiana isole comprese… al tempo stesso lasciando aperta la maggioranza delle fabbriche lombarde.
Questo giochino va avanti nella fase 2: se qualcosa andrà male, sono già pronti a disseminare la colpa tra i cittadini presuntamente “irresponsabili”, per stornarla da Assolombarda, Confindustria e governanti regionali e nazionali, che ad Assolombarda e Confindustria hanno concesso di fare il bello e il cattivo tempo.
La cosa incredibile è che, quando facciamo notare che è andata così, qualcuno ci accusa di… stare con Confindustria. Pazzesco. Noi diciamo che andavano chiuse le fabbriche, e andava fatto il lockdown intorno ai focolai lombardi, senza terrorizzare decine di milioni di persone per chiuderle in casa, senza aizzarle contro capri espiatori e presunti untori, senza criminalizzare comportamenti innocui.
Ma niente, si ragiona per antimomie: o #stareincasa a livello nazionale o «stare con Confindustria», senza capire che proprio lo #stareincasa generalizzato ha distolto l’attenzione dal mondo del lavoro, dalle vere dinamiche del contagio, dalle negligenze criminali di Regioni e governo che per accontentare il padronato hanno giocato con le vite delle persone.
Probabilmente andava applicato alla lettera il concetto di cordone sanitario. Mantenere isolate le regioni del nord, punto. E lì adottare i provvedimenti di contenimento.
È stato fatto passare il concetto che chiudere il nord avrebbe ucciso l’intero paese, perché l’Italia viene “mantenuta” dal nord, allora tanto vale chiudere tutto il paese. (La famosa notte dell’assalto ai treni diretti al sud è stata a quel punto un insperato pretesto per giustificare una chiusura totale, alimentato anche da atteggiamenti e dichiarazioni “discutibili” di gente come Emiliano e De Luca).
http://archive.is/yInzA
Scusate, mi sono chiesta quale fosse la discussione più pertinente sotto cui inserire il resoconto della ennesima vicenda inquietante occorsa ad una persona in questo periodo. Forse non è questo il topic più adeguato, in tal caso vogliano gli amministratori del blog riportarlo ove più appropriato. Il mio intento è quello di segnalare, anche se ormai i casi si sprecano, l’ennesimo episodio in cui l’emergenza sanitaria viene usata come pretesto per limitare l’esercizio di qualsiasi diritto. Nel caso di specie poi i contorni sono molto preoccupanti. È di oggi la notizia che il capo della protezione civile chiede che lo stato di emergenza sia prorogato fino a gennaio 2021. Ammesso e non concesso che sia un tecnicismo, un passaggio burocratico necessario per snellire date procedure, questa cosa non mi piace per nulla.
Questo è un episodio gravissimo che spero si concluda bene. È il culmine di una escalation autoritaria che non sembra essere percepita da tutti, ed il Codacons addirittura propone il tso per chi rifiuti di sottoporsi ad un tampone che, francamente, risulta essere una affermazione demenziale. Per quale motivo ci si dovrebbe rifiutare di fare un tampone, posto il fatto che non ci è mai neppure stato proposto e che sarebbe stata una misura adeguata per organizzare un lockdown selettivo? A che pro si scarica la responsabilità di non volersi sottoporre al tampone sui cittadini che lo hanno spesso invocato e richiesto? Io temo che il caso eclatante di Musso possa replicarsi in moltissime altre circostanze. Potresti essere bollato come ” pazzo” perfino se rifiuti di metterti la mascherina. E il povero Musso deve essere un esempio di ciò che può succedere se osi dissentire. È sconvolgente ma io ho già percepito questo clima.
La vicenda ha contorni poco chiari ed è, se ciò che viene scritto corrisponde al vero, un soppruso gravissimo. Sulla violenza delle forze dell’ordine penso ci intendiamo subito tutti.
Il dubbio che ciò che sia scritto sia del tutto in linea coi fatti è che la fonte è discutibile (per usare un eufemismo). Già dal titolo si capisce che presta il fianco ai più beceri complottisti. Se poi si apre il link, si scende in un blog/fogna rossobruna dai peggiori contenuti. Attacchi contro gli immigrati, contro le proteste femministe e altra fanghiglia complottista su vaccini e origine del Covid.
L’autore del blog si vanta infatti di aver scritto per antidiplomatico e libero.
Per me questo basta per non prendere nemmeno una parola per vera.
Ho trovato la notizia su altri siti di informazione e i toni sono decisamente diversi.
Con questo non voglio giustificare la repressione della protesta né i tso, voglio solo che si stia attenti alle fonti da cui andiamo a trovare le notizie. Ci vuole poco e a scivolare nella melma dei sovranisti.
Hai assolutamente ragione circa la fonte, tant’è che la notizia è riportata da altre anche peggiori. Però confesso che ormai la mia diffidenza verso i canali di informazione sta crescendo al punto che sono arrivata a pensare che ci si stia spingendo oltre il confine della manipolazione e che sia sempre più complicato discernere tra la cronaca “vera”, quella “ verosimile” e quella volutamente artefatta. Basta prendere testate un tempo più serie per accorgersi che sono talmente in mala fede da veicolare notizie che dopo un’ora vengono rimosse dalle loro versioni on line. Questo non vuol dire che ci si può affidare a fonti spazzatura però in questo periodo è preferibile, pur prendendo con le pinze certe notizie, non dare per scontato che certe cose non possano accadere. Ad ogni modo vediamo se il caso sarà davvero oggetto di una interrogazione parlamentare. Scusate per l’O.T.
Per favore, cerchiamo di stare attentissim* ai link che mettiamo su Giap, le fonti vanno sempre selezionate e verificate. Qui non possiamo accettare che vengano accreditati, nemmeno implicitamente, siti del genere. Al momento questa storia sembra essere riportata solo ed esclusivamente da siti complottisti e di destra, si va da Byoblu al blog di Blondet fino ai più “accettabili” (dal mainstream, non certo da noi) Libero e Secolo d’Italia. Questo rende impossibile capire quanto ci sia di fattualmente vero e quanto di arzigogolato. In casi come questo, si vagliano e confrontano le fonti e si cerca di capire quale abbia riportato la notizia per prima, e se non si trovano fonti minimamente affidabili si attende di vedere se e come viene ripresa da altre.
Scusate. Lungi da me voler accreditare certe fonti. Il link ( nella fretta ho pure dimenticato di “filtrarlo”) mi era stato girato da una amica avvocata appartenente allo stesso foro del legale citato. Le ho difatti chiesto, avendo notato che la notizia era riportata solo da siti su cui non sono certo solita informarmi, quale fosse la percezione della vicenda a livello locale. Mi ha spiegato che in questa situazione è difficile trovare conferme o smentite nette, ma che aveva destato molto scalpore a livello di opinione pubblica e che anche lei era in attesa di capire se il fatto, certamente accaduto, fosse stato in qualche modo oggetto di strumentalizzazione da parte di certe frange.
Il caso è stato affrontato anche da Radio Radicale in un’intervista.
Riporto il link all’intervista e la presentazione della stessa presente su radioradicale.it.
https://www.radioradicale.it/scheda/605344/intervista-allavv-lillo-massimiliano-musso-sulla-vicenda-del-trattamento-sanitario
“Intervista all’avv. Lillo Massimiliano Musso sulla vicenda del Trattamento Sanitario Obbligatorio subìto dal fratello Dario, sedato sull’asfalto del Comune di Ravanusa (Ag); sulla impossibilità di entrare nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Canicattì e sul diniego opposto dai sanitari alla possibilità di parlare al telefono con il fratello; diniego venuto meno nel pomeriggio del quarto giorno dal fermo e dalla presa in carico nel reparto.
I propositi di azioni in sede civile e penale sia rispetto a un provvedimento che appare immotivato e alle modalità con il quale è stato “trattato” il fratello, di cui dell’avv. Musso è anche il rappresentante legale”.
(spoiler: 1)tentativo di “palco” per Qanon in Italia 2)ragazzo libero, stando a commento su YT)
Ho perso 1 ora ascoltando video dell’articolo (telefonate).
Avvocato-fratello: “mi chiamano i giornalisti (quali?) ci sarà interrogazione parlamentare (?) ne ha parlato Sgarbi”
(rings a bell!)
Mi ha lasciato perplesso Sgarbi in questi tempi.
Sembra un modo della destra di “tenere i piedi in due scarpe”.
Prima pro lockdown, col “pugno di ferro”, adesso “liberi tutti” (ma per motivi capitalistici che ben sappiamo).
Sgarbi è l’elemento di confusione, col ruolo di far apparire la destra come “opposizione politica a favore dei diritti dei cittatini”
Tornando a TSO, a fine video youtube suggerisce un video del fratello (l’avvocato):
Emblematico da subito il modo in cui si pone.
Ripresa dal basso, capelli rasati, atteggiamento gestuale che imita Putin, buona parlata, pacata ma accesa, una tenda dietro messa a mo di bandiera (sembra imitare Putin in tutto e per tutto) e inizia con un salviniano “Cari amici” (manca il “bacioni” alla fine).
Nel video mischia poche cose vere (dice che siamo in dittatura, critica pseudo pandemia H1N1 e soldi buttati in vaccini H1N1 poi mai usati, i cartelli del farmaco ecc) e alcune verosimili (corruzione WHO, la descrive manco parlasse della corruttissima FDA [vedi Michael Moore, The Corporation] o di FCC) con cose assolutamente senza senso e di chiaro stampo Qanon (satanisti, depopolazione, chip, “deep state”).
Fra l’altro parla di vaccinazione e chip associato, citando un brevetto microsoft che, ho controllato, non ha nulla a che fare con quel che lui sostiene.
Infatti l’unica cosa risaputa è che “chip” non ce n’è.
Quando si parla di vaccinazioni si parla di tatuaggi quantum-dots, che sono tutt’altra roba (https://ilmanifesto.it/distanziamento-sociale-dalla-democrazia/)
Qanon è un tentativo della destra di occupare, dopo il governo, anche l’opposizione (es. Italia: Fini ‘lasciò’ Berlusconi e venne spacciato dai media come “oppositore”)
Inoltre è una narrazione che funge da gabbia esperienziale, ha l’effetto di condizionare la percezione della realtà, come un film.
Luttazzi ha scritto che la gente non ha mai affrontato pandemie, ora le affronta come ha visto fare nei film.
Più che altro Fini lasciò Berlusconi, fu fatto a pezzi dai media di Berlusconi (la storia dell’appartamento a Montecarlo ecc.) e, puff!, scomparve. Da allora non si è più visto. Non andò a segno alcuna operazione per farlo passare come “oppositore”, e di sicuro non era quello l’intento del cdx quando lo cacciarono via. L’intento era di liberarsene, e se ne sono liberati. Insomma, non mi sembra di ravvisare in quella storia alcuna pezza d’appoggio per una sua lettura complottarda, e non ci vedo analogie di alcun tipo con QAnon (che a sua volta non funziona come una narrazione pianificata ma come una narrazione “parassita”, che segna “gol di opportunismo” integrando volta per volta tutto quello che succede.
Mi sembra anche che questo sotto-thread si sia allontanato moltissimo dal focus del post e della relativa discussione.
Mi scuso in anticipo per la digressione. Io ho trovato la stessa notizia pubblicata perfino su siti anarchici, purtroppo è vero che anche loro non hanno verificato le fonti e la notizia risulta essere presa direttamente da alcuni siti. Da molti dei miei conoscenti e amici, della cui posizione politica assolutamente non dubito, ricevo spesso link provenienti da questo tipo di contesti. Io praticamente non li conosco e,come Mandragola, non so neppure chi siano, perché difficilmente (a parte questo blog) ricerco informazioni sul web e neppure altrove. Non leggo e non compro un giornale da anni. Ma questo è un problema politico enorme la cui diffusione sta diventando capillare e che contribuisce a consolidare l’ idea che la controinformazione sia una prerogativa di alcuni ambienti. E grazie a questo paravento riescono a veicolare idee pericolosissime. Il virus del fascismo si infiltra ovunque e, sebbene io abbia anticorpi, mi devo sforzare enormemente per tenere gli occhi sempre aperti, per verificare le fonti. Per evitare che questa confusione possa creare un terreno di coltura indistinto.
E’ chiaro che c’è un problema grosso su questo, anche questo preesistente al virus. La vera e propria chiamata alle armi «contro le fake-news», zeppa di desideri di censura e di bava algoritmica dei social, unita al linciaggio morale di Agamben (che non era una critica giusta ad Agamben e al suo pressapochismo e presentismo spicciolo: «…mai vista prima d’ora»…), iniziato in modo imbarazzante da Nancy con quella storia puerile del suo intervento al cuore – queste due cose insieme hanno determinato un’accelerazione straordinaria.
Il tutto mentre il mainstream produce fake-news a tutto spiano (dalle più semplici sugli assembramenti fino a quelle più sofisticate che coinvolgono i modi in cui vengono forniti o non forniti i dati di decessi, contagi etc); e il debunking diventa il più delle volte (non sempre, sia chiaro) la stampella della propaganda di regime. La penetrazione della «lotta alle fake-news» nelle scuole, già inziata da un paio d’anni grazie alle amministrazioni Pd, completa il quadro. (Al fondo peraltro c’è l’idea che solo l’ignoranza e la mancata conoscenza spieghino la mancata adesione ai dogmi neoliberali – e non l’inadeguatezza stessa dei dogmi neoliberali, imposti brutalmente sui soggetti più deboli socialmente e culturalmente)
In questo contesto ogni voce che si autodichiara «fuori dal coro» rischia di far sbandare molti, moltissimi. Di questa pericoloso regalo all’estrema destra bisogna ringraziare, oltre alle testate liberal, anche quelle di sinistra divenute filogovernative. Quelle che hanno trasformato, come scritto ormai settimane fa, la constatazione che il virus esiste con l’accettazione delle scelte di governo (in senso lato, non solo *del* governo) della pandemia.
In ultimo, rispondo su questo tema:
«Ma questo è un problema politico enorme la cui diffusione sta diventando capillare e che contribuisce a consolidare l’ idea che la controinformazione sia una prerogativa di alcuni ambienti. E grazie a questo paravento riescono a veicolare idee pericolosissime. »
Ecco, sottoscrivo in pieno e sono d’accordissimo.
Il fatto che i fascisti approfittino della controinformazione per veicolare idee pericolose e appunto, fasciste, non può e non deve permettere di abbandonare il campo della controinformazione, che in ogni resistenza è sempre stato il campo dei “buoni”!
So benissimo cosa circola fra i siti complottisti come quelli citati sopra: dagli integralisti cattolici che vedono tempi apocalittici e auspicano il ritorno alla monarchia in avanti.
Però il sentimento “che qualcosa non va” è forse più diffuso di quel che sembra, ed è una responsabilità politica della sinistra se l’espressione pubblica di questo sentimento viene avallata solo in ambienti di destra e sovranisti.
Arrivo solo adesso per commentare questo bellissimo articolo di cui ho sentito l’esigenza fin da subito, perché nella mia ignoranza avevo bisogno di qualcuno competente che a livello di numeri mettesse sul tavolo le epidemie storiche.
Volevo commentare anch’io sul ruolo della religione e sono d’accordo con neuro e con WN4 nei loro primi commenti, anche se poi la discussione è andata sul tecnico e sul filosofico al di là della mia portata.
Sono convinto che la secolarizzazione della società e la mancanza di una prospettiva se non spirituale diciamo metafisica delle masse abbia un ruolo importantissimo nel condizionare le scale di valori e di priorità della gente, lasciando un vuoto che se non riempito da valori alti viene rempito dalla paura.
Sono consapevole di tutte le “storture” (mi piacciono i commenti di tuco sull’argomento) o diciamolo pure del “male” che la religione ha causato nel corso dei secoli.
Però la mia sensazione è che certe cose siano frutto dell’uso che il potere ha fatto nel tempo della religione, non della religione in se.
Domani (già oggi) il potere farà lo stesso uso della scienza (o dello scientismo): anche lo scientismo può essere usato come una clava su chi dissente.
(segue)
Anche lo scientismo può destare sensi di colpa se non indossi la mascherina all’aperto o se in cuor tuo ti chiedi il senso di certi provvedimenti.
La propensione al conformismo e al senso di colpa secondo me sono innate nelle persone e si prestano ad essere usate dal potere. Indipendentemente dalla religione.
(vedo il commento sopra di wolfbukowski sul linciaggio delle voci “fuori dal coro”).
Aggiungo una considerazione personale: la mia formazione di “catto-comunista” mi ha sempre impedito di essere ateo.
Quando, crescendo e studiando, la parte “comunista” e tecnico scientifica dei miei valori ha reso evidente tutto quello che non poteva andare nella parte “catto”, non potevo accettare una visione esclusivamente materialista, meccanicistica, che spiega in maniera “fisiologica” ogni esigenza e sentimento umano fino alla decomposizione.
In questo, per me, le religioni induiste e buddhiste di cui si è accennato sopra hanno avuto un ruolo molto importante nel consentirmi di (come mia esclusiva interpretazione personale) non “buttare il bambino con l’acqua sporca” e di mantenere una visione del mondo che desse conto anche di aspetti metafisici.
Caro Cugino_di_Alf, vorrei fare una considerazione a proposito dell’errore macroscopico che riguarda questo tuo periodo :
*La propensione al conformismo e al senso di colpa secondo me sono innate nelle persone e si prestano ad essere usate dal potere. Indipendentemente dalla religione.*
Ecco: com’è noto, di “innato” nelle “persone” ci sono solo gli istinti di base (nutrirsi, proteggere la propria vita, ecc) ma sicuramente non i comportamenti, quali possono essere il conformismo o i sensi di colpa.
Questi sono “costumi”, e sono caratteristici e specifici in ogni cultura; vi sono popolazioni nel mondo che hanno costumi e relativi comportamenti ben diversi da quelli che tu immagini “innati”; se così fosse TUTTI nel mondo, in qualsiasi epoca, avrebbero dovuto presentare atteggiamenti conformisti e provare sensi di colpa; per fortuna così non è(la lettura di “Modelli di cultura” di Ruth Benedict -1932- è illuminante al riguardo).
Che una forma qualsiasi di potere possa utilizzare questi sentimenti (non innati quindi, ma frutto del contesto culturale nel quale vive l’individuo) è poco più che lapalissiano: l’individuo infatti è plasmato da un modello nel quale “conviene” essere conformisti e non aderendo completamente al modello si possono sviluppare sensi di colpa.
Niente di innato, perciò, ma tutto abbastanza facilmente riconducibile a comportamenti sociali
introiettati e fatti come propri, organizzati e resi funzionali alla forma di potere operante.
La religione ci mette del suo, organizzando la vita dell’individuo secondo i suoi propri modelli ( e la storia ci insegna, spesso adattandosi per suo vantaggio al contesto sociale ove si tovi ad operare).
Pensare quindi che l’indivuduo abbia in sè caratteristiche “innate”, sfruttate dal potere, contribuisce a formulare un pensiero che sottrae alla base la possibile capacità di azione e di reazione della persona , o semplicemente la formulazione di un pensiero critico.
Perciò : è proprio perchè conformismo e sensi di colpa NON sono innati nelle persone che si può pensare ad un orizzonte diverso, da declinare a piacere…
Sì, hai ragione: ho tirato via e, senza cercare scuse, ho proprio cannato il concetto.
E’ vero che di innato c’è poco e che gran parte della (delle) personalità che sviluppiamo e delle risposte più o meno automatiche agli stimoli sociali vengono costruite dai condizionamenti prima familiari e poi sociali, quale che sia il modello di società in cui si è cresciuti.
Quello che volevo dire è che non è che “sbarazzandosi” della religione (e con essa sbarazzandosi però anche dei suoi aspetti “metafisici”) ci si sbarazza dei condizionamenti sociali.
Anche una società materialista, in cui la vera conoscenza scientifica sia affidata ai pochi che ce l’hanno mentre le masse hanno un’infarinatura che gli consente di dare credito agli esperti di turno, NON è esente da condizionamenti, conformismo, “versioni di regime”, etc.
Ora che l’ho scritta mi rendo conto che questa sia una cosa ovvia, ma tanto era il mio pensiero.
Caro Cugino_di_Alf, mi fa piacere che tu condivida le mie osservazioni.
La vita personale, le relazioni sociali, il soggettivo “sentirsi” nel mondo ecc. sono frutti del contesto nel quale ci si trova a vivere, nello spazio fisico e nel tempo storico.
Lo svarione concettuale che hai fatto nel commento -e che mi ha fatto saltare sulla sedia- andrebbe però ben approfondito da parte tua, proprio per quel che riguarda le cause di questa “forma mentis”…
Mi permetto di consigliarti di ragionare proprio sul fatto che prima ritenevi “innati” dei comportamenti, e poi capisci al volo che sono invece condizionamenti relativi al modo di vivere in una data società.
ecco : a mio parere, molto umilmente, credo di poterti dire che è l’aspetto “catto” che ti ha condotto a formulare lo svarione.
Chi ritiene di essere stato “creato” attraverso l’intervento un’entità sovrannaturale ( “siamo figli di dio” = educazione religiosa ) si può portare dietro innumerevoli scorie, tra le quali credenze relative alla dimensione dell’innato, rendendo priva di possibili modificazioni o quasi la realtà presente. È un ottimo sistema per consentire lo status quo…lo sappiamo molto bene.
Non vorri andare OT, ma vorrei solo precisare che non è che prima “ritenevo” innati dei comportamente e poi ho capito che non lo sono.
Mi sono da subito espresso male e in un eccesso di semplificazione e di pressapochismo ho definito innati i comportamenti intendendo innata la generica predisposizione a sviluppare quei comportamenti se immersi in un contesto sociale che quei comportamenti promuove e considera socialmente desiderabili.
In ogni caso ti ringrazio delle osservazioni e dei consigli.
Poi, visto che provando a pubblicare ora vedo che non ho raggiunto i 550 caratteri, aggiungo che a dispetto della mia parte “catto”, non ho mai creduto di essere stato creato dall’argilla.
E nemmeno credo in un “disegno intelligente” così come viene edulcorato il creazionismo in vari ambienti protestanti e non.
Ma qui andiamo veramente OT.
:-)
Grazie mille per quello che pubblicate. Siete una boccata d’aria fresca.
Mi permetto una critica al punto 7
La medicina occidentale basata sulla biologia (biomedicina) ha sempre usato metafore belliche. Non è un caso che venga definita medicina allopatica, ovvero di contrasto (armato dalla chimica) all’entità maligna designata come “malattia”. Per intendersi: alcune medicine (antiche o non occidentali) definiscono la guarigione come stabilimento di un nuovo equilibrio. La medicina allopatica definisce guarigione la distruzione del nemico che ha portato squilibrio e incidentalmente il ristabilimento della pace nel corpo. Il corpo è il campo di battaglia fra la scienza e il male, la persona quasi scompare in tutto ciò. La medicina allopatica è la guerra contro il male per ristabilire il bene, un po’ come un esorcismo. Non si cerca un nuovo equilibrio, si cerca di ristabilire l’unico ordine corporeo possibile (socialmente definito) combattendo il disordine corporeo (socialmente definito). Basti pensare alla “cura per la calvizie”. Questo lo dico con cognizione di causa: ho una “malattia” muscolare incurabile molto visibile e gran parte della gente è assolutamente scandalizzata dal fatto che io non mi curi, come se fossi un renitente o un disertore nella guerra contro il male. Non importa che io stia bene così e che per “curare” i miei muscoli mi abbiano proposto psicofarmaci e interventi al cervello dai probabilissimi devastanti effetti collaterali. La guerra per la “salute” si DEVE combattere sempre anche a rischio di perdere la salute e la vita. È un imperativo sociale: chi non combatte il male sta dalla parte del male, da cui lo scandalo sociale provocato da quelli che non si curano e non combattono la malattia\satana ma ci convivono.
Ho molto apprezzato la lettura di questo commento, soprattutto per la sua natura ‘esperienziale’. Spesso si ragiona in astratto, prendendo posizione anche, e soprattutto, per difendere o attaccare idee, le nostre e quelle degli altri. Io stesso ci casco, in questo malvezzo. Quando invece, come in questo caso, si sa bene di cosa si sta parlando per il fatto di averlo appreso sulla propria pelle, come si dice, a me pare che il commento attinga a un livello superiore. Mi sembra insomma che sia più credibile, forse perché l’autore non partiva dall’intenzione di convincere qualcuno ad aderire al proprio pensiero. Perciò, probabilmente, risulta più convincente di altri. E grazie anche per avermi insegnato il significato di “allopatico”: sembra poco, ma ero arrivato alla mia età senza conoscerlo, e trattandosi di qualcosa che riguarda tutti, me compreso, da vicino, la mia era una grossa lacuna.
Per rintracciare le origini di queste metafore belliche è interessante un saggio del 1941 dello stesso W.B. Cannon citato nello scorso articolo: The body physiologic and the body politic. Science, 93,1–10. Senza entrare troppo in dettaglio in questa sede, basti dire che l’autorevolissimo autore delinea un parallelo fra corpo umano e società: le cellule cerebrali sono i politici, quelle muscolari i lavoratori, i globuli bianchi sono gli sbirri e le cellule tumorali sono gli anarchici. Non avete i brividi? La bellicosità reazionaria della biomedicina è talmente incorporata in prassi e linguaggio da non essere più una metafora ormai da molto tempo. La cura è la guerra. La malattia è il nemico. La scienza è il bene. E noi, amici miei, come al solito non siamo un cazzo.
(scusate il doppio commento)
L’articolo, curiosamente, omette di citare l’arma principe (con la televisione, ovviamente) utilizzata dal potere per mettere in piedi il sistema carcerario all’interno del quale ancora soffriamo, in buona parte. Forse l’autore lo dava per scontato, oppure – saggiamente – voleva evitare la produzione di un testo troppo lungo, di difficile lettura e comprensione. Insomma, senza internet, senza i diabolici smartphone che un buon 70% della popolazione ha stoltamente deciso, acriticamente, di adottare come una protesi ‘sine qua non’, tutto questo ambaradan non sarebbe stato possibile organizzarlo. C’è, a dire il vero, una fugace citazione, proprio sopra la fantastica immagine del virologo-mediatico (dove l’avete trovata? è veramente uno schianto), dove si cita, fra le maniere adottate dalla popolazione per informarsi e quindi comportarsi, “«L’ho letto su internet». Fra l’altro (considerazione che mi viene spontaneo di fare) anch’io, leggendo il pezzo, ero su internet, e ci sono tutt’ora… un modesto satori, che mi porterebbe anche troppo lontano.
Fra i film che, secondo me, permettono a chi li veda ora di capire un po’ meglio cosa ci è successo negli ultimi due mesi, oltre a due di Bergman (“La vergogna” e “Il settimo sigillo”) mi ha molto impressionato la visione, dopo diversi anni, di “Fahrenheit 451″ di Truffaut, del 1966, da Bradbury. Maxi-schermi televisivi domestici usati per dare ordini ai cittadini impedendogli di pensare; delazioni a gogò; possessori e lettori di libri perseguitati come untori, proprio perché praticano e diffondono l’attitudine al pensiero indipendente; perfino la caccia ai ribelli/devianti con elicotteri e altri mezzi simili. Nel libro c’è anche il terribile Segugio Meccanico, che stana i ribelli fiutando l’odore di paura che emettono. Ora la famigerata ‘app’ perorata da una ministra all’Innovazione che è poi la stessa ex-assessora di Torino che, tentando di “innovarla”, mandò completamente in tilt l’Anagrafe un anno, e perciò è stata premiata col dicastero.
Mi scuso per la divagazione finale, non ho potuto trattenermi.
Le iniziative del governo sono state ridicole e pericolose, vero, ma non per questo dobbiamo (scusate la frase fatta) gettare il bambino con l’acqua sporca: l’imposizione militare del lockdown è stata una porcata e soprattutto un errore, un provvedimento deresponsabilizzante (se è consentito dai DPCM, allora è “giusto”…). Ma, nei fatti, il distanziamento fisico ha svolto il suo compito (mi direte che forse i contagi sarebbero calati ugualmente: ma cosa si doveva fare, mettere il lockdown da una parte, da un’altra no e poi fare i conti?). Il problema del Covid è la contagiosità (anche se non è un virus che “gira nell’aria”): se in troppi si fossero ammalati, non avremmo potuto curare i più gravi(colpa dei tagli decennali alla sanità… ma intanto ci troviamo ad operare in questo sistema). Personalmente, mi tenevo “isolato” già da prima che il governo lo rendesse obbligatorio, e lo facevo per tenere al sicuro gli altri, prima che me stesso. Che poi: come imputare a Fontana delle colpe gravissime (ed indubitabili), dopo aver sostanzialmente dichiarato che, tutto sommato, il coronavirus così brutto non è?
È contradditorio anche accusare (giustamente) gente come Burioni di aver sostituito a Dio la scienza, e poi irridere gli “esperti” che non sono riusciti a darci certezze sul Covid: intanto, parliamo di una malattia che è in giro da pochi mesi, e poi proprio perché la scienza non è una religione non ha mai certezze; al limite, modelli sufficientemente precisi. Il regno delle certezze è la filosofia, che tuttavia è stata di pochissima utilità nella Fase 1 (poi, certo, possiamo star qui a discutere di accettazione della morte, ma non possiamo obbligare tutti ad essere stoici). È sulla base di questo modello che abbiamo implementato determinate misure, ed anche se la foto sui “passi da gigante” è divertente, probabilmente non coglie il punto. Non dico che dobbiamo sostenere il “mettetevi una mascherina quando uscite di casa, basta che uscite di casa”: ma se la destra, per farci tornare a spendere, ci indica un modo sbagliato di fare profilassi, non significa che sia sbagliato fare profilassi.
Grazie dell’attenzione, scusate per la lunghezza del commento.
Dimenticavo, su tamponi e l’isolamento domiciliare: almeno nella mia esperienza, non ho mai “imposto” (lavoro in un pronto soccorso) a qualcuno di stare a casa “per sicurezza”. Ho mandato a casa dei pazienti in isolamento fiduciario senza sapere se erano effettivamente positivi, certo: ma erano pazienti che non avevano bisogno di ricovero e che entro massimo due giorni avrebbero potuto sapere se erano positivi o no sul sito internet dell’ospedale. Mi sembra una scelta migliore che tener confinati pazienti sani, potenzialmente negativi, in un posto a loro estraneo, col rischio per altro di prendersi per davvero il Covid dal vicino. I tamponi all’inizio erano centellinati; ufficialmente, perché non ce n’erano abbastanza (ma, per carità, non farei fatica a credere ad un tentativo di risparmiare). Il vero scandalo dei tamponi, secondo me, è che si sia atteso davvero troppo per sottoporre a screening il personale sanitario che in mezzo ai Covid ci lavorava, per paura di perdere forza lavoro e mettendo avanti il solito ricatto del “ma non vorrai lasciare i pazienti ed i colleghi in difficoltà”.
(Sono d’accordo con tutto il resto dell’articolo, ed in particolare con quella che stigmatizza la costante necessità di “dare la caccia all’untore”: punto su cui sono particolarmente sensibile, visto che appartengo ad una categoria (quella degli specializzandi) a cui qualcuno ha voluto addossare delle colpe, che nel caso avremmo solo perché abbiamo lavorato gratis…
https://www.notizie.it/cronaca/2020/05/02/coronavirus-padova-direttore-sanitario/)
Secondo me nei tuoi commenti fai due critiche che l’articolo di Purich non merita:
1) rimettere quest’epidemia in prospettiva, staccandola dalle narrazioni perniciose che l’hanno avvolta e dal terrorismo mediatico che ha “giustificato” questa gestione politica dell’emergenza, non equivale a “sminuire” la pericolosità del virus, come denunciare l’irrazionalità di certi provvedimenti propagandatissimi da media e istituzioni non equivale in alcun modo a dire che non si sarebbe dovuto prendere nessun provvedimento. Quella tra lockdown all’italiana e laissez-faire è una falsa dicotomia, su questo qui siamo tutti d’accordo; ergo, dopo due mesi e mezzo di incessante lavoro di inchiesta, informazione, confronto, pensiamo di poter ospitare contributi che diano per acquisite le premesse, senza dover ogni volta ribadire che sì, il virus è pericoloso, il distanziamento fisico, lavarsi le mani ecc.
2) Lungi dall’attendersi dalla scienza una risposta certa e univoca, il pezzo critica precisamente questa aspettativa, coltivata tanto dall’opinione pubblica (lontana dal comprendere basilari questioni epistemologiche), quanto dagli esponenti stessi di un certo scientismo mediatico che in questi mesi ha saturato l’attenzione. Da qui derivano tanto il pendere acriticamente dalle labbra dell’esperto di turno, tanto le scomuniche – e persino le azioni legali – dell’establishment medico-mediatico contro scienziati che esprimevano posizioni diverse. Tutto questo, fa notare il post (ancorché en passant), quando la scienza è ancora ben lungi dall’aver trovato risposte chiare all’attuale situazione, il che dovrebbe indurre a maggiore umiltà e a meno prometeismo, anche perché quest’ultimo produce un bel po’ di meteorismo…
Il problema è che sono ormai gli esponenti stessi dello scientismo mediatico a ritenersi membri di una sorta di casta sacerdotale… Su questo, tra l’altro lunedì pubblicheremo un articolo specifico.
Be’, Gaber_Ricci, forse se fosse stato fatto con tempismo un vero lockdown in una parte della Lombardia, dove invece la gente non ha mai smesso di andare al lavoro, avremmo evitato di imporlo a tutto il paese. E forse se avessimo concentrato e concentrassimo le attenzioni delle FdO sulle centinaia di migliaia di luoghi di lavoro rimasti aperti e sui mezzi per raggiungerli invece di mandarle a presidiare città semideserte e adesso a proibire di bere una birra per strada, qualcosina sarebbe andata diversamente dal punto di vista del contagio. Invece il riflesso è sempre quello: rimando quattro milioni e mezzo di persone al lavoro e grido allo scandalo perché c’è gente che beve birra sui Navigli. Se metà dei morti è in Lombardia, il sistema sanitario collassato è quello lombardo, e la fascia anagrafica più colpita è quella over 65, gli untori saranno tutti sui Navigli, no?
Qui su Giap non abbiamo mai detto che il lockdown non andasse fatto, abbiamo criticato duramente *come* è stato fatto. Abbiamo detto, ad esempio, che senza quei benedetti tamponi che individuassero gli infetti e li isolassero, chiudere la gente in casa e farla uscire solo per andare al lavoro avrebbe garantito soltanto che gli infetti contagiassero conviventi e colleghi. Ed è probabilmente quello che è successo in Lombardia, infatti (oltre allo scandalo delle RsA).
Dopodiché non è che si irridono gli esperti perché non sono stati capaci di darci certezze, ma proprio perché non avendo certezze hanno preteso di dettare loro le condizioni al paese, come se le avessero. I primi a essere apodittici sono stati certi scienziati, che non dovrebbero mai esserlo (nemmeno i filosofi, in realtà, anzi, la filosofia insegna o dovrebbe insegnare a dubitare di tutto, a mettere in discussione tutto, a riflettere su tutto, e nondimeno ad agire).
sul fronte antropologico, in merito alla costruzione e evoluzione delle metafore belliche, segnalo ai curiosi anche: flexible bodies, e. martin. questo discorso ha nell’elaborazione nordamericana forse il suo modello più standardizzato e oggi pervasivo. spero di starci dentro con le battute, è solo un consiglio di lettura… ringrazio comunque purich (non l’ho fatto ieri) per l’ottimo intervento e le fonti citate, che da ieri mi hanno dato parecchio da pensare. buona continuazione a tutti voi (grazie anche a wolf per l’intervento sopra sui linciaggi, che condivido dal profondo del cuore)
Non so se avete già letto la Lezione del virus di Paul B. Preciado, è stata pubblicata oggi da Internazionale. La segnalo perché entra in risonanza con tutto ciò che è stato scritto e analizzato su Giap nelle ultime settimane. Mi ha molto colpito. Parte dalla lezione di Foucault (Sorvegliare e Punire) per riflettere sulla gestione politica dell’epidemia (Lockdown, telelavoro), sulla trasformazione in atto dei corpi, sul controllo digitale e biosorveglianza, su cos’è l’immunità e su come si costruisce una comunità: Ditemi come la vostra comunità sta costruendo la sua sovranità politica e io vi dirò che forme assumeranno le sue epidemie e come le affronterete.
Su Giap ci si sta interrogando in continuazione su tutti questi argomenti e su come creare una resistenza creativa a tutto ciò che sta accadendo. E il ruolo della filosofia è enorme
Il link all’articolo https://www.internazionale.it/opinione/paul-preciado/2020/05/09/lezioni-virus
(spero di aver superato così il limite minimo di parole da inserire :)
Però quest’articolo – a differenza di quello, ben più lucido, postato sopra da Wolfbukowski – non è accurato.
Pur salvando il monito e l’appello finale contro un’acritica accettazione delle invasive tecnologie odierne, e a favore di forme di resistenza collettiva, è da notare che l’autore (con un linguaggio molto astratto, generico):
– semplifica troppo la riflessione di Foucault sulla biopolitica, ignorando anche i suoi corsi al Collège de France in cui la divide nettamente dalla precedente “società disciplinare”;
– utilizza il termine “biopolitica” in un’accezione talmente ampia da intenderlo come sinonimo di politica tout court, rendendolo quindi essenzialmente inutile;
– fa risalire all’Ottocento la “scoperta [?] del primo vaccino contro la varicella”, laddove è nel Settecento che fu importato in Europa (dall’Oriente, dov’era diffuso come rimedio popolare) il vaccino contro il vaiolo, altra malattia rispetto alla varicella (il cui vaccino è stato sviluppato da poco);
– scrive che, nel 1494, “la sifilide segnò l’inizio della distruzione coloniale e delle future politiche razziali”, come se l’antisemitismo, ad esempio, non fosse mai esistito prima.
Se si vuol riflettere, quindi, sui nessi storici fra epidemie e strategie di controllo, è più utile leggere l’articolo di Bagnato e altri studi come quelli di Alessandro Pastore (o come quello, scaricabile in pdf, di R.Malta e A.Salerno sulla peste a Palermo del 1575).
Possibile che sia poco accurato come segnali tu, grazie per gli appunti.
Dopodiché essendo un articolo divulgativo posso anche passare su alcune sviste che – almeno per me – non ne depotenziano il discorso. Se poi volessi andare ad approfondire il discorso di Foucault sulla biopolitica – sì, certo – posso andare a leggere i corsi al College de France. Ma – appunto – alcune sviste e leggerezze passano in secondo piano rispetto all’analisi e alla comparazione fra ciò che successe – ad esempio – per l’Aids e ciò che sta accadendo adesso nel campo della sessualità, oppure il discorso della frontiera: Il covid-19 ha spostato su un piano individuale le politiche di frontiera in atto sul territorio nazionale o all’interno del superterritorio europeo. Il corpo, il tuo singolo corpo, come spazio di vita e come rete di potere, come centro di produzione e di consumo di energia, è diventato il nuovo territorio all’interno del quale si esprimono le violente politiche di frontiera che progettiamo e testiamo da anni sugli “altri”, assumendo la forma di misure di barriera e di guerra al virus.
In un altro articolo di Wolf si tirava in ballo il discorso di quanto sia importante tornare a ragionare sui corpi e sull’importanza di far ritrovare i corpi anziché incontrarci nel virtuale.
Non mi pare sia il caso di buttar via così, ciò che l’articolo di Preciado può aiutare a focalizzare.
Frattanto la gestione assurda della crisi comincia a dare i suoi melmosi frutti. Oggi a Trieste, in una piazza nominalmente apartitica, ma chiamata da Forza Nuova e dagli ambienti dell’estrema destra triestina, nazionalista e indipendentista, c’erano 800 persone a manifestare per una riapertura selvaggia(1000 secondo il Piccolo, il giornale presuntamente di csx della città). La manifestazione si è tenuta nella piazza centrale difronte al comune e alla prefettura. Centinaia di persone in piazza Unità alla manifestazione dei commercianti per la riapertura. Presenti il vicesindaco Paolo Polidori (lega) e i consiglieri comunali Gabriele Cinquepalmi di Fratelli d’Italia e Fabio Tuiach del Gruppo Misto (ex FN)
Le forze dell’ordine a differenza del primo maggio non hanno avuto nulla da ridire, anche se la manifestazione non è stata autorizzata. Forse la differenza rispetto al primo maggio, dove invece hanno avuto parecchio da ridire, è che non c’erano striscioni, anche se c’era molta più gente e c’era chi parlava col microfono. Bene, è una lezione per la prossima non manifestazione che organizzeremo in regime di covid: striscioni no, amplificazione sì. La cosa strana però è che, non si sa bene con quale criterio, hanno deciso di fare fare la multa a 4 oratori per violazione del DPCM anti contagio. Tecnicamente a violare la norma sarebbe stata molta più gente. Se li volevano colpire per l’organizzazione e l’intervento allora la sanzione sarebbe dovuta essere una denuncia per manifestazione non autorizzata. Per chi ha partecipato alla piazza del 1 maggio le differenze nell’approccio di media e autorità sono stridenti
Da questo bel confronto emerge pertanto che parlare di progresso è una pia illusione senza un equivalente avanzamento della società civile (avanzamento in senso di diritti e di differente approccio nel rapporto tra Stato e cittadinanza). Anzi, dal punto di vista sociale vi è un evidente regresso nei diritti rispetto, per esempio, alla società degli anni Settanta pur vivendo, rispetto ad allora, in una differente era tecnologica.
Le dinamiche sociali e umane saranno sempre queste “di stampo medievale”, senza una politica che sappia guidare con lungimiranza e che abbia come primo obiettivo l’interesse pubblico e non l’esonero dalle proprie responsabilità. In questo senso, malgrado quel che dicono i media italici (veri e propri media di regime in queste settimane), lo scarto tra noi e i Paesi nordici nella gestione dell’emergenza (sanitaria, sociale ed economica), è imbarazzante.
Buonasera Piero e grazie per questo articolo. Il mio commento è un po’ a margine del tema centrale, ma su un aspetto che mi sembra interessante. Dici che Manzoni nei Promessi Sposi riesce a vedere nella peste “un imperscrutabile segno della provvidenza divina che alla fin fine appiana le traversie di Renzo e Lucia nel trionfo della giustizia e nell’eliminazione o conversione dei cattivi.” Io ho un ricordo molto diverso del discorso sulla peste nei PS.
Manzoni attribuisce considerazioni del tipo che dici tu rispettivamente a Renzo e Don Abbondio, due personaggi diversi tra loro ma entrambi poco “illuminati” intellettualmente (e nel caso di Don Abbondio anche moralmente): Don Abbondio, meschino ed egoista, da voce alla famosa metafora della scopa (“la peste… ha spazzato via certi soggetti, che, figliuoli miei, non ce ne liberavamo più”), mentre Renzo, ingenuo e un po’ cialtrone, dice di avere imparato da tutta la faccenda a tenersi lontano dai guai. Da questi due personaggi Manzoni si distanzia chiaramente. La vera voce dell’intelligenza nel romanzo è Lucia (nonostante sia personaggio non amato dai lettori e maltrattato nelle parodie), che commenta invece: “E io… cosa volete che abbia imparato?”, riportando tutta la vicenda, peste compresa, sul terreno della realtà: la sfiga è sfiga e punto.
Io ho sempre avuto l’impressione che Manzoni rimanga, nella sua narrazione della peste, molto fedele alla sua radice illuminista. La peste è un evento della natura, diventa tragedia per ragioni di cattiva gestione, negazione del pericolo e superstizione (incarnata da Don Ferrante che rigetta l’idea del contagio a favore di quella dell’influsso astrale e muore poi di peste).
Volevo sapere se questa interpretazione ti sembra plausibile o se mi puoi citare dei passaggi a conferma della lettura, diversa, che dai nel tuo post. Grazie.
Eppure chiudere tardi la Lombardia o altre nazioni ha causato maggiori perdite.
All’inizio non si sapeva nulla ed è normale che la scienza non dia risposte certe, che si formano per Consensus su lunghe dimostrazioni di migliaia di lavori.
Per questo processo occorre tempo e non ne abbiamo. Siamo stati perfino fortunati a trovare efficaci vecchie terapie già utilizzabili negli esseri umani. Altrimenti avremmo dovuto cercare tra milioni di possibili molecole nuove, dimostrando in 18 mesi-5 anni SE almeno una sarebbe stata utile. È questo il percorso che sta avendo il vaccino. Se nessuno dei vaccini già in fase avanzata sarà utile negli esseri umani, non potremo più sapere SE avremo un vaccino ma sapremo che ogni tentativo durerà 18 mesi minimo, durante i quali potrebbe fallire.
Adoro le vostre citazioni: in questo contesto io cito sempre i diavoli di Ludoun, Huxley, sulla irresponsabilità del genere umano, prono ad ideologie totalitarie, e Nemesi Medica, Illich, sulle discrasie della Sanità Pubblica Tecno-scientifica.
Infine, da uno storico, mi sarei aspettato una disamina, gliela chiedo in una seconda puntata, sulle conseguenze economiche e politiche delle epidemie.
Grazie
Grazie a te, però faccio notare che «chiudere la Lombardia» e «chiudere [altre] nazioni» non sono la stessa cosa e soprattutto sono espressioni troppo vaghe. Andava sicuramente chiusa subito la val Seriana, lo abbiamo detto più volte. Nelle zone dove c’erano focolai andavano chiuse per tempo le fabbriche, limitati gli spostamenti, evitati gli assembramenti, fatte rispettare misure di profilassi e distanziamento fisico. Questo è il nocciolo razionale.
Intorno a questo nocciolo, però, si è fatto moltissimo di irrazionale, inutile, controproducente, “diversivo” rispetto alle reali dinamiche del contagio e alle reali urgenze del momento. «lockdown» è diventato ben presto un termine-ombrello per giustificare e imporre qualunque cosa, restrizioni e divieti demenziali. Noi abbiamo cercato di sviluppare una critica all’uso capzioso di termini ed espressioni come «lockdown», «chiudere» e «stare a casa», e anche di «riaprire». Ci siamo impegnati, collettivamente, a discernere ogni volta, a smontare i discorsi per capire a cos’erano riferiti. Ieri sera ho scritto l’ennesima ricapitolazione del percorso fatto qui in questo commento sotto un altro post.
In estrema sintesi, le epidemie moderne hanno legittimato un controllo sempre più invasivo della società. (Leggi ad esempio: “La peste non fu controllata, ma la società sì; la sanità divenne un alibi dell’ordine”, Naphy&Spicer, p.66). Soprattutto ai danni di poveri, vagabondi, prostitute, etc., scacciati o internati perché potevano contagiare tutti moralmente e quindi anche fisicamente: era un po’ la stessa cosa.
Dall’Italia al resto d’Europa s’è diffusa una prima polizia sanitaria permanente, che gestiva corpi e merci in base a criteri igienico-sanitari, cioè anche “morali” sotto falso nome.
Poi c’erano differenze locali: interessante che l’Italia settentrionale ha sempre imposto controlli più rigidi, con l’Inghilterra all’estremo opposto.
Quanto all’economia, fino all’Ottocento le epidemie erano un po’ un disastro (fine dei commerci, spese enormi per pagare funzionari, il cibo ai malati più poveri, etc.): spesso ci si salvava grazie a beneficienze private. Per questo spesso si fingeva andasse tutto bene. Di certo non c’erano quei privati americani che (aldilà dei complottismi) oggi possono arricchirsi per il lockdown.
Guido Alfani ha ipotizzato che la peste contribuì molto alla crisi seicentesca dell’economia italiana (e mediterranea?) visto che qui colpiva assieme città e campagne, e non solo le prime.
Di certo alle origini della biopolitica attuale – che ci gestisce dalla culla alla tomba, nel bene e nel male, in nome della salute pubblica – c’è la gestione politica della peste. Che le malattie non le ha mai domate, ma i corpi dei cittadini sì.
[…] Piero Purich (Trieste, 1968), storico e musicista, ha conseguito il dottorato in storia contemporanea presso l’Università di Klagenfurt. È autore di diversi saggi, tra i quali Metamorfosi etniche. I cambiamenti di popolazione a Trieste, Gorizia, Fiume e in Istria. 1914-1975 (KappaVu, Udine 2014). Nel 2017 ha ripreso il cognome di famiglia che era stato italianizzato in Purini durante il fascismo. Collaboratore di lungo corso di Giap, è autore di alcuni dei post più letti nella storia di questo blog, su tutti «Quello che Cristicchi dimentica. Magazzino 18, gli “italiani brava gente” e le vere larghe intese» e «Come si manipola la storia attraverso le immagini: il Giorno del Ricordo e i falsi fotografici sulle foibe», senza dimenticare «Cos’è stata la «Fase 1» dell’emergenza coronavirus? Uno storico getta un primo sguardo retros…». […]