Primo Maggio 2020. La pandemia, il pandemonio, le lotte sul lavoro nella «Fase 2».

Bolognina, 1 maggio 2020. Prima tappa del trekking urbano, nel cortile interno delle ex-Officine Minganti, all’incrocio tra via della Liberazione e via Ferrarese.

di Wu Ming

INDICE
1. Un trekking urbano in Bolognina est
2. Tutto si tiene
3. La «grande sostituzione»
4. Il lavoro nei Dpcm: una cronistoria
5. Pugno di ferro per chi passeggia, guanto di velluto coi padroni
6. «Piazzetta Contagiati di Covid-19 sul lavoro»
7. Ritorno alla Bolognina

8. Sembrava una delazione, invece era l’opposto

Stamattina abbiamo celebrato il Primo Maggio con un piccolo trekking urbano nella zona Casaralta/Bolognina. Partendo dalle vecchie Officine Minganti – dal 2006 trasformate in un centro commerciale dalle alterne fortune – abbiamo collegato tre luoghi di lotte operaie – lotte antifasciste, contro i licenziamenti per rappresaglia, contro le nocività in fabbrica – per evocarne tutti gli spiriti. Pan daimones, in greco, da cui la parola «pandemonio».

Quelli che abbiamo scelto sono anche luoghi di speculazione edilizia e ristrutturazione urbana.

Nelle tre tappe, abbiamo parlato di lavoro ed emergenza coronavirus, raccontato storie del passato collegandole al presente che stiamo vivendo, e letto alcuni versi. Come è stato per il 25 aprile, quest’anno la scadenza del Primo Maggio ha assunto un senso diverso. Se in tempi di sospensione delle libertà civili diventa simbolicamente importante celebrare chi è morto per conquistare quelle libertà, allo stesso modo la festa dei lavoratori è l’occasione per ricordare che gli interessi dei padroni, nella gestione grottesca e criminale dell’emergenza, hanno avuto fin dall’inizio un ruolo cruciale.

Le due questioni, annullamento dei diritti civili e prevalenza degli interessi economici, vanno assieme, sono una complementare all’altra, e non una contrapposta all’altra, come invece vorrebbe una certa narrazione da «estrema sinistra del governo Conte». Ne parleremo diffusamente in questo post, come ne abbiamo parlato stamane.

Con noi c’era una quarantina di persone, convenute dopo un passaparola amicale. Il tutto si è svolto in scioltezza, senza complicazioni. Solo verso la fine, una signora ha chiamato i vigili, ma non se la sono filata di striscio, dato che non sono arrivati. Sulle prima abbiamo pensato fosse una delazione. Avremmo poi scoperto che era il contrario. Tempo al tempo.

Un paio di ore prima, sulla Bolognina era passato l’elicottero della PS, ma poi non si sono viste pattuglie. In ogni caso, si è sempre mantenuta la distanza di sicurezza e c’erano molte mascherine. In generale si è cercato di fornire il minor numero di appigli possibile.

Sotto quell’aspetto, in Emilia-Romagna la situazione è la seguente: i media locali scrivono che Bonaccini, con l’ordinanza di ieri, ha introdotto «l’obbligo di mascherina anche all’aperto»; molta gente è già convinta di doverla portare sempre; nell’ordinanza, però, quest’obbligo generalizzato non c’è. Si dice che la mascherina va indossata (corsivo nostro) «nei locali aperti al pubblico e nei luoghi all’aperto, laddove non sia possibile mantenere il distanziamento di un metro».

Sono ben poche le situazioni all’aperto dove «non sia possibile» stare a un metro di distanza. È possibile più o meno sempre. Per strada e nei parchi ci si riesce più che bene. In fila davanti a negozi e supermercati le persone si autoregolano e restano a un paio di metri l’una dall’altra. In genere, la maggior parte delle persone mostra senso di responsabilità, anzi, è persino troppo ligia. Quindi a che serve quella specificazione? Cosa si intende dire? Che la mascherina va indossata in caso di assembramenti? Ma gli assembramenti sono già vietati. Insomma, è il solito pastrocchio, che dà la massima discrezionalità alle forze dell’ordine.

Ma torniamo al trekking, e al perché lo abbiamo fatto in quella parte di città.

La Bolognina è parte del quartiere Navile, il più settentrionale e uno dei più popolosi di Bologna. È nata a fine Ottocento come rione per ferrovieri e zona destinata all’espansione industriale, anche se i primi a insediarvisi furono i Salesiani, che dal 1897 hanno a disposizione un’area molto vasta, dirimpetto al ponte Matteotti, con scuole, laboratori artigiani, luoghi ricreativi…

Le grandi officine sono rimaste qui per gran parte del XX secolo: le Casaralta, le Minganti, la Sasib, le Cevolani… Nell’anno e mezzo di Salò, molti operai di quelle fabbriche fecero la guerra partigiana. Le vie del rione sono cosparse di lapidi a partigiani caduti e il 15 novembre di ogni anno si commemora la Battaglia della Bolognina.

Bolognina, 1 maggio 2020. Terza e ultima tappa del trekking urbano, nel parco all’incrocio tra via di Saliceto e via Passarotti, sul terreno dove un tempo sorgeva la fabbrica Sasib. Alle spalle di chi legge, la sede amministrativa bolognese della Alstom Ferroviaria S.p.A.

Proprio nel novembre del 2017, durante un lungo trekking urbano, avevamo raccontato l’epopea della clandestinità antifascista e delle lotte operaie alle Minganti fino al 1970, anno in cui morì la padrona, Gilberta Minganti. Stamattina abbiamo letto brani del post che avevamo tratto da quella giornata. [Di questa prima parte del reading abbiamo la registrazione, si scarica qui. Grazie a Freddy.]

Dalle Officine Minganti ci siamo spostati più o meno in fila indiana lungo la pista ciclabile di via Ferruccio Parri, fermandoci al confine tra due fabbriche dismesse:
■ l’ex-Caserma Sani, stabilimento militare dove si macellavano manzi e se ne inscatolava la carne per il rancio dell’esercito (lo ha raccontato Wolf Bukowski qui), per un breve periodo seconda sede di XM24, sgomberata il 16 gennaio scorso;
■ le Officine Casaralta, poi Casaralta S.p.A., dove si fabbricavano vetture per tram e treni.

Lì abbiamo raccontato degli operai della Casaralta e dei loro famigliari morti per mesotelioma, del processo di primo grado terminato nel 2017, del diritto alla salute sui luoghi di lavoro. Poi abbiamo letto una poesia che Alberto Bellocchio, poeta ed ex-sindacalista Fiom, ha dedicato all’operaio dell’Innocenti Elvio Burlini, morto di tumore nel 1975. La poesia fa parte di Sirena operaia, romanzo in versi sull’Autunno caldo pubblicato da Il Saggiatore nel 2000. Comincia così:

«In un angolo remoto del piazzale
annerivano i tubi accatastati
sommersi dai ciuffi d’ortica. Dimmi
la verità: ci avevi mai fatto caso?
Preferivi il metallo incandescente
le forme belle in cui veniva plasmato;
la ricchezza profonda della terra
e il segreto, nel pugno di un uomo.»

Infine, ci siamo mossi verso ovest di pochi isolati e ci siamo piazzati nel brutto parco all’incrocio tra via Saliceto e via Passarotti, dove un tempo c’era la Sasib, fabbrica di macchine per la lavorazione del tabacco e di emettitrici automatiche di biglietti.

Clicca per ingrandire.

Della fabbrica non resta più niente: l’edificio è stato demolito dalla ditta di costruzioni Zucchini S.p.A., che in un battibaleno ha tirato su un grande complesso immobiliare dall’aspetto ospedaliero, dando al quartiere l’usuale contentino di un simulacro di giardino pubblico dall’aspetto cimiteriale, con tanto di filare di cipressi da viale di certosa. Una distesa di prato morto punteggiato da arredi urbani patibolari. Al centro, però, c’è una lapide, replica di quella che stava dentro la fabbrica, in memoria di sette operai caduti nella guerra partigiana. Abbiamo raccontato le loro storie.

Da decenni le fabbriche della Bolognina sono state abbandonate, alcune riconvertite, altre demolite, altre ancora al loro posto ma fatiscenti… Per la verità ce ne sono ancora di funzionanti, di piccole dimensioni, ben mimetizzate. Le masse in tuta blu di un tempo non ci sono più, ma la Bolognina resta un quartiere di working class, grazie all’immigrazione da oltre quaranta paesi: Europa dell’est, Asia, Africa, Sudamerica… Qui vive un proletariato multietnico che, per fortuna, nessuno è ancora riuscito a far sloggiare. È la ricchezza della Bolognina, tiene aperti gli orizzonti, riempie i parchi di bambine e bambini… Almeno, li riempiva prima del lockdown.

Negli ultimi due mesi quella working class – impiegata nella logistica fuori città, nella ristorazione o in lavori precari e irregolari come le pulizie – ha subito duramente le conseguenze dell’emergenza coronavirus. Se una parte di essa ha continuato a lavorare come prima, ad esempio all’Interporto, un’altra parte è precipitata nella miseria e nell’angoscia. Chi non è colato a picco lo deve solo alle reti sociali che le comunità di migranti riescono comunque a mantenere. Un «mondo parallelo», come l’ha definito qui su Giap Antonella, «che i migranti organizzano ovunque si insediano e che è ciò che semplicemente permette di vivere a famiglie con redditi bassissimi e irregolari».

In ogni caso, tutte le famiglie hanno sofferto gli arresti domiciliari in appartamenti piccoli, affollati, poco ventilati, dove bambine e bambini hanno avuto enormi difficoltà a seguire la didattica a distanza. Lo abbiamo detto più volte: lo #stareincasa non è mai stato uguale per tutti, fin dall’inizio quella narrazione ha avuto uno sfondo classista, escludente, discriminatorio. Lo sa bene chi ha legami col mondo della scuola.

Bolognina, 1 maggio 2020. Seconda tappa del trekking urbano, accanto all’ex-stazioncina del tram di via Ferrarese, dove confinano tra loro l’area dell’ex-Caserma Sani e quella delle ex-Officine Casaralta.

2. Tutto si tiene

Durante la quotidiana lezione in modalità didattica a distanza di una prima elementare, interviene la voce della mamma di Z., accento dell’est Europa, che si rivolge alla maestra. Comunica che dal 4 maggio dovrà tornare a lavorare e dovrà portare il telefonino con sé, lo stesso telefonino con cui sua figlia segue le lezioni. Ha cercato più volte di mettersi in contatto con la scuola per avere notizie dei pc promessi, ma non ha mai risposto nessuno. La maestra dal video dice che l’istituto sta attendendo l’arrivo di 10 computer. Le classi sono dieci, quindi teoricamente ce n’è almeno uno per classe, ma gli alunni di quinta avranno comunque la precedenza. In poche parole Z., che non è nemmeno madrelingua, rischia di terminare la già poca scuola a distanza con un mese d’anticipo sui suoi compagni di classe.

Non c’è da stupirsi che il mancato riferimento alle riaperture scolastiche da parte di Conte, nella conferenza stampa del 26 aprile, abbia suscitato grossa delusione e forti critiche. I media filogovernativi hanno risposto con un’ondata di pseudo-notizie terroristiche sul rischio sanitario per i bambini, per rinfocolare la paura genitoriale. Ma le critiche non sono cessate. A protestare non è solo chi sperava in una parola di conforto almeno rispetto alla riapertura settembrina, ovvero sul ripristino del diritto allo studio, ma anche chi – come la mamma di Z. – si trova di fronte a un problema  più immediato: tornare al lavoro.

Su Jacobin Italia un bell’articolo di Alberto Prunetti sulla questione scuola e lavoro genitoriale nella pandemia.

Si parla di quattro milioni (reali) di persone che il 4 maggio andranno ad aggiungersi a quelle che non hanno mai smesso di lavorare durante il lockdown perché attive in settori “essenziali”. La questione, sotto il profilo sanitario è duplice. Da un lato, se le scuole restano chiuse e sarà consentita la visita parenti, c’è il rischio che a stare con i nipoti dovranno essere inevitabilmente i nonni, cioè persone anziane che si ammalano più facilmente, come è accaduto due mesi fa, appena furono chiuse le scuole. Tant’è che qualcuno suggerisce che ci sarebbe minor rischio nel riaprirle, pur con tutta la prudenza del caso. Dall’altro lato, è chiaro che diventa sempre più cruciale verificare il rispetto delle condizioni di sicurezza sanitaria nei luoghi di lavoro. Ed è qui che, come si suol dire, casca l’asino.

Sì, perché i dati parlano chiaro. Secondo l’analisi dell’INPS, Dopo il lockdown del 22 marzo, nelle province dove è maggiore del 50% l’incidenza delle attività essenziali, i contagi sono continuati ad aumentare in media di 10 casi in più al giorno rispetto alle province con meno del 50% di attività essenziali. Prima del 22 marzo, invece, le curve dei contagi crescevano nello stesso modo. Un aumento di 10 contagi al giorno non è piccolo, se si pensa che la media della variabile dei contagiati, dopo il 22 marzo, è di 37 al giorno (10 casi in più rappresentano quindi un aumento del 27%).

Se poi si aggiunge all’incidenza di attività essenziali anche la densità occupazionale di una provincia, l’aumento medio del numero di contagiati passa da 10 a 13 al giorno.
E quando la curva dei contagi comincia a scendere, lo fa più lentamente nelle province con più attività essenziali, e ancora più lenta in quelle con maggiore densità occupazionale.

I lavoratori impiegati nelle attività «essenziali» risultano essere il 51,5% dei lavoratori dipendenti permanenti, al netto delle deroghe. Più di sette milioni e mezzo di persone, sempre secondo l’INPS.

Nei settori «non essenziali», quelli bloccati, sono più rappresentate le categorie più deboli della forza lavoro, con salari inferiori, carriere più frammentate, maggiore incidenza di contratti a tempo determinato e part time, e maggiore presenza di under 30. Viceversa, i lavoratori adulti (over 30) e anziani (over 50) sono sovrarappresentati nei settori essenziali.

«Pertanto, – scrivono ancora i ricercatori dell’INPS – sotto l’ipotesi che la crisi pandemica in atto colpirà più duramente i lavoratori nei settori bloccati, ciò potrà implicare un ulteriore peggioramento delle dinamiche di disuguaglianza, di povertà sul posto di lavoro (working poor) e di instabilità lavorativa»

Al tempo stesso, sul piano della salute, proprio i lavoratori «essenziali» sopra i cinquant’anni, che hanno più probabilità di sviluppare la malattia in modo grave, sono rimasti al loro posto.

Morale: da un lato ci sono i lavoratori più esposti al rischio di contagio; dall’altro quelli che sono rimasti a casa e possono solo sperare di trovarlo ancora, un lavoro, quando la pandemia sarà passata. E se lo troveranno, difficilmente sarà alle stesse condizioni. Nel frattempo, fanno la fame. Su 2,3 milioni di persone che attendono la cassa integrazione in deroga, meno di 29mila l’hanno ricevuta. I beneficiari di casse integrazioni ordinarie e assegni ordinari sono stati invece 4,9 milioni – su 7,7 milioni di aventi diritto – grazie alle anticipazioni versate dalle imprese (ma si parla di aziende medio/grandi).

Ex-Officine Minganti, 1 maggio 2020. In attesa del reading, l’arrivo alla spicciolata. Foto di Michele Lapini.

3. La «grande sostituzione»

Mentre accade tutto questo, il famigerato comitato tecnico-scientifico consulente del governo si arrovella per stabilire fino a dove i cittadini potranno spingersi fuori di casa o quali attività all’aria aperta potranno svolgere, come se dirigesse un asilo infantile grande quanto l’intera penisola.

Lo abbiamo detto a più riprese, qui su Giap, fin da febbraio: il lockdown «all’italiana» è consistito in uno scambio spettacolare, che ha consentito di mantenere produttivi i lavoratori dei settori «essenziali», senza alcuna reale garanzia di sicurezza, mentre il resto della popolazione veniva blindato in casa, arruolato in un patriottismo da divano (o da balcone) e aizzato contro capri espiatori paradossali.

Nel triste teatro politico degli ultimi due mesi, la sospensione indiscriminata dei diritti civili è andata di pari passo con la deroga al diritto alla salute di milioni di lavoratori. Ci spingiamo fino a dire che la prima ha reso possibile la seconda. La caccia all’untore per le vie ha funzionato da spettacolo di copertura, distogliendo l’attenzione da ciò che avveniva nel mondo del lavoro.

Ancora una volta, occorre ignorare il teatro per scoprire come stanno le cose.

4. Il lavoro nei Dpcm: una cronistoria

Il primo DPCM valido sull’intero territorio nazionale che sospende le attività lavorative è  quello del 9 marzo: vengono chiusi impianti di risalita, teatri, cinema, discoteche, pub, scuole e università, musei, palestre, piscine, impianti sportivi, circoli. Negli esercizi commerciali e nei ristoranti viene imposto il distanziamento fisico – subito definito, con una cattiva traduzione dall’inglese «social distancing», distanziamento sociale. Se l’espressione inglese indica il mantenere le distanze in situazioni di socialità, ben presto quella italiana diventerà sinonimo di «isolamento»: «L’unica arma che abbiamo contro il virus è l’isolamento».

Il 14 marzo il governo sottoscrive con le parti sociali il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Codvi-19 negli ambienti di lavoro. La verifica di queste misure è affidata a un apposito comitato aziendale, con la partecipazione delle rappresentanze sindacali e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Facile immaginare che questi Comitati non abbiano nemmeno visto la luce, nelle aziende con pochi dipendenti e scarsa rappresentanza sindacale.

Il 22 marzo vengono chiuse le imprese e gli esercizi commerciali «non essenziali». Scorrere l’allegato 1, dove sono elencate le attività che non vengono sospese è molto indicativo. Leggendo i quotidiani di quei giorni si ha la sensazione che le fabbriche e le imprese siano tutte bloccate, salvo le inevitabili eccezioni. Ovviamente non è così, come abbiamo visto: metà delle aziende italiane seguitano a lavorare, magari a ritmo ridotto. E di certo non tutte sono così fondamentali per il Paese, perché a codici ATECO come il numero 20 (“Fabbricazione di prodotti chimici”, essenziale!) corrispondono sotto-categorie come la 20.42.00, ovvero le industrie di profumi e cosmetici, mentre la fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche (codice 22, essenziale!) comprende materassini gonfiabili, mute da sub e tappetini (tutti rigorosamente in plastica o gomma).

Oltre alle fabbriche, restano comunque aperti: supermercati, banche, farmacie, edicole, tabaccai, negozi di alimentari, ferramenta e – ovviamente – ospedali e RSA. Ma continuano a uscire di casa anche i riders, le immancabili forze dell’ordine, i netturbini, gli operatori di case protette, i lavoratori della logistica.

Il decreto del 22 marzo consente anche le attività funzionali alla filiera di quelle essenziali – le si potrebbe definire «essenziali per proprietà transitiva». Per tenerle aperte è sufficiente che le  imprese lo comunichino al Prefetto. A quel punto, «fino all’adozione dei provvedimenti di sospensione dell’attività, essa è legittimamente esercitata sulla base della comunicazione resa». Ovvero: fa fede la dichiarazione dell’impresa e a controllare ci penseranno le Prefetture. Vale a dire enti governativi sul territorio che negli anni hanno subito drastici tagli al personale e molto probabilmente non sono affatto in grado di svolgere quei controlli su una scala credibile.

Il 25 marzo, dopo svariati scioperi spontanei nelle fabbriche, viene minacciato dai confederali – e proclamato dall’USB – lo sciopero generale per la sicurezza e la salute sul lavoro. È questo che porta alla firma dell’accordo tra governo e confederali per ridurre il numero e il tipo di aziende che possono continuare la produzione.

Sia in Veneto sia in Lombardia, i prefetti ricevono 12.000 richieste di deroga alla chiusura: 1.800 solo in provincia di Bergamo, 3.000 in provincia di Brescia; oltre 10.000 in Emilia-Romagna (che arriverà poi a contarne 28.000); 7.000 in Toscana; 2.500 in Friuli Venezia Giulia. In particolare in Lombardia, dopo la revisione dell’elenco delle attività essenziali, i lavoratori attivi scendono da 1,61 milioni a 1,58 milioni (quindi solo 30 mila in meno). Nella regione più colpita dall’epidemia c’è oltre un milione e mezzo di persone che ogni mattina si sposta e raggiunge i luoghi di lavoro.

Infatti, nonostante il lockdown, la differenza nella mole degli spostamenti delle persone risulta minima: se giovedì 19 marzo, la riduzione della mobilità in Emilia-Romagna rispetto a gennaio 2020 è -43%, il giorno dopo l’entrata in vigore del decreto è -47% e il 30 marzo arriverà a -55%. Maggiore in Lombardia, con un aumento progressivo, ma comunque limitato: -57%, -61%, -66%; e in Piemonte: -57%, -63%, -67%. Le percentuali si impennano invece la domenica: -73% in Emilia-Romagna, -82% in Lombardia, -85% in Piemonte. È evidente che le persone non si muovono nel weekend, per andare a fare picnic di nascosto, ma nei giorni infrasettimanali, per andare al lavoro o acquistare beni di prima necessità negli esercizi commerciali aperti.

Il DPCM del 10 aprile consente di riaprire cartolerie, librerie, negozi di fiori e vestiti per bambini.

In una circolare del 14 aprile, il Ministero dell’Interno, dopo ben 18 giorni dal blocco delle aziende “non essenziali”, specifica che i controlli sulle richieste di deroga alla chiusura potranno essere eseguiti dalla Guardia di Finanza e quelli sulle procedure di sicurezza del Protocollo condiviso, dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro e dal personale competente delle ASL.

Il 20 aprile, l’Ispettorato pubblica la nota n. 149 dove «prescrive ai propri Uffici territoriali di contribuire, su richiesta delle Prefetture, alle necessarie verifiche circa la ricorrenza delle condizioni previste per la prosecuzione o la ripresa delle attività produttive, industriali e commerciali». Questo più di un mese dopo la firma dell’accordo del 14 marzo tra il Governo e le parti sociali, quasi un mese dopo il primo lockdown delle aziende.

Sempre nella circolare del 14 aprile, il capo di gabinetto Piantedosi sottolinea che «è stato rilevato un notevole divario tra il dato delle comunicazioni trasmesse alle Prefetture e quello delle relative attività istruttorie intraprese». Ovvero, secondo i dati complessivi aggiornati all’8 aprile: n. 105.727 comunicazioni ricevute; n. 38.534 comunicazioni per cui è in corso l’istruttoria; n. 2.296 provvedimenti di sospensione. Da notare che le comunicazioni non devono per forza concludersi con un provvedimento espresso, se non quello di sospensione: vige la regola del silenzio assenso. Chi ha comunicato, in attesa di risposta, continua a tenere aperto.

Alla data del 24 aprile saranno 192.443 le aziende che «hanno presentato la comunicazione alle prefetture per poter continuare a lavorare in quanto funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività non sospese oppure perché di rilevanza strategica per l’economia nazionale». Il maggior numero di comunicazioni è stato presentato nelle regioni più produttive del Nord, che però sono anche le più colpite dalla pandemia: Lombardia (23% delle richieste), Veneto (16,4%) ed Emilia Romagna (16,4%). Seguono, molto staccate, le regioni del centro, Toscana (7,9%) e Lazio (4,5%), e le regioni del sud – Puglia (3,7%) e Campania (2%).

Infine, con il DPCM del 26 aprile, il governo avvia la Fase 2, consentendo ulteriori riaperture, come cantieri pubblici, industrie automobilistiche, tessili, mobilifici, edilizia privata. Tutti con l’obbligo di rispettare il protocollo di tutela dei lavoratori debitamente integrato.

A controllare, come abbiamo visto, dovrebbero esserci i finanzieri, gli ispettori del lavori, i tecnici delle ASL, le prefetture. Ma è proprio così?

5. Pugno di ferro per chi passeggia, guanto di velluto coi padroni

Il sito del ministero dell’Interno precisa che «le verifiche da parte di task force appositamente costituite in prefettura hanno riguardato 116.237 comunicazioni (su 192.443) ed hanno portato all’adozione di 2.631 (2,3%) provvedimenti di sospensione». È grottesco doverlo precisare, ma si tratta appunto di verifiche burocratiche, fatte «in prefettura», mentre il dato sui controlli  eseguiti nelle aziende non viene fornito. Questo a dispetto invece della pubblicazione, sullo stesso sito, giorno per giorno e settimana per settimana, dei dati sui controlli effettuati dalle forze dell’ordine sui privati cittadini e sugli esercizi commerciali.

Tra l’11 marzo e il 27 aprile ci sono stati oltre dieci milioni di controlli sulle singole persone in strada, quasi seimila denunce e 386.872 (3,5%) sanzioni a privati cittadini.
La percentuale di multe irrogate in strada (spesso per motivi assurdi) è superiore di un terzo a quella dei provvedimenti di sospensione nei confronti delle aziende che hanno continuato a lavorare e non avrebbero dovuto (e in questo caso, visto che si tratta di un controllo d’ufficio, è molto probabile che il dato reale degli abusi sia ben superiore).
Sempre il sito del Ministero dell’Interno precisa che

«per permettere la rapida ripresa delle attività economico-produttive, è stata prevista una procedura semplificata, che fa affidamento sul senso di responsabilità dei singoli imprenditori e che consente l’immediato avvio dell’attività con la preventiva comunicazione al prefetto che è chiamato a verificarne i presupposti».

Chiaro, no? Mentre le forze dell’ordine vengono sguinzagliate a pattugliare piazze, strade, stradelli e spiagge… il governo si affida al «senso di responsabilità» degli imprenditori, che a quanto pare sono gli unici cittadini italiani considerati in grado di esercitarlo.

Sarà per questo che il DPCM del 26 aprile, quello che apre la fantomatica Fase 2, riprendendo e integrando il Protocollo del 14 marzo, non fa riferimento a sanzioni? Si legge soltanto che «la mancata attuazione dei protocolli che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza» (art. 2, comma 8 e allegato 6).

In ossequio al vecchio adagio che fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio, resta in testa la domanda: i controlli nelle aziende vengono fatti o no?

La questione non sembra interessare i principali quotidiani, che si accontentano di pubblicare, di tanto in tanto, articoli-velina su singoli blitz delle forze dell’ordine, magari ai danni dei soliti, farabuttissimi imprenditori cinesi. Nelle Marche, diversi siti d’informazione danno, senza battere ciglio, la notizia di controlli eseguiti per lo più «al telefono». Il Piccolo riferisce che la sindaca di Monfalcone ha avviato «la stretta sui controlli nelle aziende», ma leggendo l’articolo si scopre che Anna Cisint ha scritto alle tante imprese del suo territorio per avere notizie circa l’applicazione del protocollo di sicurezza. Hanno risposto in 6 (sei). Allora Cisint ha messo in piedi – manco a dirlo – una task force, il cui obiettivo però «non è sanzionare, ma supportare le aziende» con utili consigli, mentre i droni stanano i camminatori nei boschi del Carso.

Interpellata da Open, «l’Ats Lombardia – deputata al controllo sanitario delle aziende – non ha saputo fornire dati sul numero di controlli effettuati dall’inizio del lockdown, né sul numero totale del personale coinvolto. La Prefettura di Milano invece fa sapere che in provincia sarebbero stati fatti in totale 228 controlli da Ats, Nas e Carabinieri addetti alla tutela del lavoro per verificare “le condizioni di sicurezza e rispetto della normativa su attività che possono lavorare”».

Duecentoventotto controlli su un totale di oltre 4000 aziende della provincia che lavorano in deroga, oltre a tutte quelle essenziali, nelle quali andrebbe comunque controllata l’applicazione del Protocollo condiviso.

Il 17 aprile, i sindacati confederali lombardi, dopo avere incontrato i vertici regionali, hanno denunciato duramente l’assenza di una proposta seria su come garantire la sicurezza dei lavoratori sui luoghi di lavoro e nel trasporto pubblico.

Intanto, per chiudere il cerchio, la Federazione dei Lavoratori Pubblici ha fatto sapere che gli ispettori del lavoro, chiamati ad eseguire i controlli, non sono disposti a farlo con la propria auto, senza mascherine e senza una formazione adeguata.

Per due mesi abbiamo assistito all’esaltazione massmediatica dei controlli delle forze dell’ordine sui privati cittadini e delle pene per i “furbetti”, con corollario di posti di blocco, elicotteri che scacciano singoli bagnanti dalle spiagge, poliziotti che inseguono podisti solitari, anziani multati perché stazionavano su panchine invece di circolare, ecc. Ben poco è filtrato sui media mainstream rispetto a quella che dovrebbe invece essere la preoccupazione maggiore: i controlli nelle aziende.

Un articolo sulla testata online Reggiosera, il 23 aprile, parlava proprio di questo:
«È molto probabile che le grandi aziende che hanno riaperto rispettino gli standard di sicurezza previsti, perché lì vigila il sindacato e difficilmente ci saranno grossi problemi. Ma siamo sicuri che in tante piccole ditte della nostra provincia tutto si svolga regolarmente? Se i controlli nelle aziende vengono fatti (e non dubitiamo che sia così), allora sarebbe giusto dare alla stampa anche questi dati. Sarebbe paradossale e clamoroso che un lavoratore potesse stare per otto ore in condizioni non sicure nella sua azienda e poi, una volta tornato a casa, prendesse la multa perché porta il cane a fare i suoi bisogni nel parco dietro casa.»

Da quanto abbiamo visto fin qui, invece, qualche dubbio sul fatto che quei controlli siano eseguiti c’è eccome. Detto ciò, il paradosso clamoroso a cui si riferisce l’articolo – non ci stancheremo mai di ripeterlo – è precisamente l’architrave del lockdown «all’italiana».

Lo stesso paradosso che, se accettato passivamente, o addirittura convintamente, potrà essere riproposto al riemergere di ogni nuovo focolaio di contagio.

6. «Piazzetta Contagiati di Covid-19 sul lavoro»

I contagiati sul lavoro sono stati ricordati, la notte scorsa, da una doppia azione di guerriglia odonomastica, stavolta priva di rivendicazione. L’abbiamo fatta tutte e tutti.

In pieno centro, una porzione di Largo Caduti del Lavoro è stata ribattezzata «Piazzetta Contagiati di Covid-19 sul Lavoro – per colpa di Confindustria e delle deroghe prefettizie».

Intanto, nel quartiere San Donato, i cartelli di via del Lavoro venivano “détournés” per mezzo di adesivi, e la via reintitolata ai «Contagiati sul Lavoro – perché Confindustria non volle chiudere».

7. Ritorno alla Bolognina

Al centro di questo parco fallito dov’è stata demolita la Sasib, non si può non ricordare che la Bolognina è da anni sotto attacco. Sotto attacco perché a due passi dal centro, ergo zona molto appetibile per speculazioni. Che ci fa un quartiere popolare a un quarto d’ora a piedi da Piazza del Nettuno? È un’opportunità di sviluppo sprecata!

La nuova stazione AV, che dà le spalle al centro e s’affaccia sulla Bolognina, doveva essere il “volano” di un nuovo sviluppo, di un’arrembante gentrification. Idem la nuova faraonica, orrenda, energivora sede del Comune in via Fioravanti, nell’area dell’ex-mercato ortofrutticolo. La prima area a essere aggredita.

Si era deciso che i poveri, i proletari, i ceti popolari della Bolognina erano d’impiccio. E per “ripulire” il quartiere, cosa meglio di un’emergenza? Per questo un’aggressiva campagna-stampa ha dipinto la Bolognina come il South Bronx degli anni Settanta, e additato a una parte degli abitanti un falso nemico: il «degrado».

L’intento era piallare, leccare, infighettire. Qui si doveva fare un salotto trendy: localini cool, artisti, appartamenti per ricchi, alberghi di lusso… Dopo quasi vent’anni, non ce l’hanno ancora fatta. Se ci fossero riusciti, anche chi pensava di essere tra i salvati si sarebbe trovato tra i sommersi. Prima ti spingono a prendertela con gli immigrati, poi fanno fuori anche te. I ceti popolari dovevano andare a vivere più lontano.

Con la crisi del 2008 i grandi progetti immobiliari si sono bloccati, perché le ditte sono fallite. La gentrification ha subito una battuta d’arresto, e negli anni dello stop la Bolognina si è riempita di occupazioni abitative. Ma a metà degli anni Dieci la macchina è ripartita. È una storia che su Giap abbiamo indagato e raccontato in tempo reale, con continuità. Una storia di sgomberi a tappeto e di attacco forsennato a un centro sociale, XM24, culminato anch’esso in uno sgombero… e poi in un altro sgombero.

Bolognina, 19 maggio 2015. La «muraglia meticcia», il presidio di italiani e migranti che quel giorno impedì lo sgombero dell’ex-Telecom di via Fioravanti, poi avvenuto con grande dispiegamento di forze il 20 ottobre.

L’occupazione abitativa all’ex-Telecom è stata il penultimo ostacolo alla gentrification di via Fioravanti, XM24 è stato l’ultimo. Quella che fino a pochi anni fa era una delle vie più vivaci e interessanti di Bologna, oggi, almeno nel suo primo tratto, è irriconoscibile, triste, omologata e in preda al vero degrado. Il vero degrado è aver cacciato 82 famiglie con bambini per fare un hotel di catena spacciato per «studentato», rivolto a studenti danarosi e fighetti.

Nel frattempo, in via della Liberazione, brutture di edilizia «classe A» chiamate «P-House», «P-House 2», «P-Tower»… P sta per Pazzaglia, il costruttore, «imprenditore playboy» più volte immortalato nella rassegna Cafonal di Dagospia.
I P-cosi sono esempi di «architettura ostile», sembrano fortilizi piazzati in Bolognina come avamposti di un’invasione. Per costruirli, si sono demolite anche le vecchie Officine Cevolani.

La P-Tower. Feng Shui agghiacciante: spigoli puntati contro via della Liberazione e contro il quartiere.

Ultimi in ordine di tempo, questi casermoni bianchi tra via di Saliceto e via Corticella.

Eppure la ristrutturazione del quartiere va a rilento. Il principale ostacolo sulla sua strada, quello che permette ancora di vivere in un quartiere popolare, sgarrupato e interessante, e soprattutto permette di viverci a molte persone di reddito basso, è stato il presunto «degrado», cioè – traducendo dalla neolingua neoliberale – l’immigrazione. È grazie alle persone migranti che ci vivono se al Navile, anche quando la bolla immobiliare era ai massimi, si trovavano ancora case a prezzi accessibili.

Ora, dopo il lockdown, l’edilizia riparte. È sempre stato uno dei primi punti toccati da Bonaccini in ogni suo discorso: l’edilizia, il cemento, il mattone, tutto deve ripartire come prima, più di prima!

A dirla tutta, i cantieri in Bolognina hanno continuato a lavorare fin dentro il lockdown, come ha raccontato Plv in un commento del 21 marzo scorso.

Già, l’edilizia. Erigere catafalchi ovunque si liberi uno spazio. Resteranno in gran parte incompiuti o invenduti/sfitti, ma intanto verrà distrutta la specificità del quartiere.

Toccherà resistere anche a questo, nelle fasi 2, 3, ∞.

8. Sembrava una delazione, invece era l’opposto

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139 commenti su “Primo Maggio 2020. La pandemia, il pandemonio, le lotte sul lavoro nella «Fase 2».

  1. A Trieste ci siamo trovati in più di 200 in campo S. Giacomo a celebrare in modo degno il 1 maggio, che qua coincide anche con la liberazione dal nazifascismo. Tutto si è svolto in tranquillità, a distanza di sicurezza e con le mascherine. C’erano famiglie con bambini, bandiere rosse alle finestre, insomma c’era S.Giacomo. C’è stato un momento di tensione quando i poliziotti hanno strappato uno striscione che diceva “il virus uccide / il capitalismo di più”. E’ stato importante scendere fisicamente in strada, soprattutto dopo gli strani e ambigui annunci di fantomatiche manifestazioni da parte di ambienti vicini a forza nuova, di cui si era parlato qua

    https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/04/sabbiuno-25-aprile-2020/#comment-38087

    qua trovate una foto https://nitter.net/monster_chonja/status/1256155625744105473#m

  2. Credo che la situazione attuale evidenzi bene come condizioni di lavoro (e in generale di vita) dignitose, con buoni livelli di sicurezza, siano un bene per tutti, non solo per chi è direttamente coinvolto. Se molte persone si contagiano lavorando, siamo in pericolo tutti, anche chi ha un lavoro sicuro ben retribuito e vive nella bambagia.
    Spero davvero che da lunedì le forze dell’ordine facciano controlli più nelle imprese che all’aperto (per inciso, brava la sindaca di Riccione, che ha difeso il diritto di passeggiare in spiaggia, negato invece dall’ordinanza regionale di ieri). Spero che i sindacati riescano a far bene il proprio lavoro.
    Mi sarebbe piaciuto vedere in tv spot informativi sulle precauzioni da adottare sul lavoro e su che cosa fare, a chi rivolgersi, in caso si notino violazioni delle norme di sicurezza. Invece nulla. Sempre solo “state a casa” e “lavatevi le mani”.

  3. Devo dire che la lettura della cronistoria fa salire decisamente la carogna.
    Segnalo a questo proposito un comunicato del 29 aprile firmato da diverse realtà lombarde che fanno una cronologia rispetto alla questione più immediatamente politica, ovviamente centrandosi sulla situazione lombarda, e chiudendo con una certa preoccupazione sulla cosiddetta fase 2.
    Messi uno di fianco all’altro i due resoconti fanno piuttosto impressione. Qui il comunicato: https://www.radiondadurto.org/2020/04/29/non-vogliamo-tornare-alla-normalita-in-cui-i-profitti-sono-piu-importanti-della-salute-delle-persone-comunicato-congiunto-delle-realta-di-movimento-di-brescia-bergamo-cremon/

    • Di video #PiacenzaNonSiFerma, citati nella cronistoria di Radio Onda d’Urto, ne sono stati prodotti due. Uno dalle istituzioni, l’altro dal quotidiano “Libertà”, prodotto da GEDI VIsual e sponsorizzato da Repubblica: https://www.youtube.com/watch?v=NH5xB_ATTWo. Ripeto (così faccio 500 battute): gruppo GEDI Visual e Repubblica, cioè Gruppo EXOR, cioè famiglia Agnelli-Elkann.
      Del video #bergamoisrunning, https://www.youtube.com/watch?v=_ZH9-Pvew_4, è agghiacciante lo storytelling: al minuto 0:53 viene detto che in Italia “il procedimento di screening sta procedendo ad una velocità maggiore che in altri paesi, dando una percezione fuorviante di percentuali di infezioni maggiori rispetto ad altri paesi”, e al minuto 1:11, con involontario umorismo da grand guignol, viene detto delle imprese bergamasche che “All of Them are Running their own Business, as Usual”.

    • L’unico aspetto che mi lascia perplesso, in questo comunicato congiunto, è la frase finale, cioè quella che di solito ti rimane in testa dopo la lettura: «Urgono misure diverse, prima ancora dei comportamenti individuali, il grande problema sono le masse di persone obbligate ad andare a lavorare, molto spesso senza il rispetto delle condizioni di sicurezza.» Avrei preferito una presa di posizione più netta nel distinguere “comportamenti individuali” e “masse di persone obbligate ad andare a lavorare”. Qui se ne fa un questione di gradi: un problema più grande, prioritario, quello dei lavoratori, e – sembra di capire – un problema che viene dopo questo, in subordine. Io credo invece che ci sia una differenza di qualità: i comportamenti individuali stigmatizzati e sanzionati fin qui non sono un “problema”: lavarsi le mani, stare a uno/due metri di distanza dagli altri, mettere la mascherina al supermercato sono gesti semplici e ormai acquisiti dalla stragarnde maggioranza delle persone. Il resto è teatro, e bisogna dirlo, perché quel teatro è funzionale a rispedire al lavoro, in condizioni di sicurezza molto dubbie, milioni di lavoratori, salvo poi scaricare la colpa del contagio sulla riapertura dei parchi e su chi non indossa la mascherina all’aperto.

  4. Mi riferiscono da parigi (gilet gialli) :

    Qui una ventina di persone distanziate e con mascherine manifestando per il primo maggio a république sono state circondate da un dispiegamento di polizia massiccio (tipo 40 poliziotti per manifestante) sbattute a terra e caricate sui cellulari da poliziotti senza mascherine ne guanti. Un elicottero sorvola la città da stamattina. Altri cortei sono previsti nel pomeriggio…per ora solo prove di repressione di stato…i numeri al momento sono davvero ai minimi storici.
    Pare che invece ad Atene ci sia stata roba.
    Li comunque – grecia – 130 morti o poco più e subiscono pressappoco le stesse misure che subiamo noi…

    • Pierre Tremblay, sulla sua pagina Twitter, racconta per immagini la giornata del 1° Maggio a Parigi.
      In Place de la République c’erano “una decina di manifestanti” e da tre a quattro gendarmi per ogni manifestante (stando alle foto). Ci sono stati alcuni arresti. Altrove, invece, dei manifestanti hanno cantato l’internazionale con la polizia che guardava senza intervenire, video.
      Il fattaccio è avvenuto alcuni giorni fa. Un arabo, per sfuggire alla polizia, si è gettato nella Senna. E’ stato ripescato e portato in un furgone. Durante il tragitto i poliziotti l’hanno chiamato “bicot”, cioè arbicot, arabo, un termine razzista, come “negro”. Schezando dicevano che bisognava mettergli una palla al piede e lasciarlo lì. Una volta dentro il furgone hanno incominciato a picchiarlo, mentre la vittima urlava. Il tutto è stato filmato di nascosto e in Francia è scoppiato un putiferio, con il ministro dell’interno che ha dichiarato: “Il razzismo non ha spazio nella polizia repubblicana” (invece pare che negli ultimi tempi non sia proprio così). Questo è il video:
      https://invidio.us/watch?v=5dbDX6UmBN0&autoplay=0&continue=0&dark_mode=true&listen=0&local=1&loop=0&nojs=0&player_style=youtube&quality=dash&thin_mode=false

  5. La cronologia di radio black out sullo sciopero dei riders a Torino

    19
    I riders in lotta in piazza Castello si dividono in gruppi per continuare lo sciopero selvaggio per la città.

    19.30
    A nord i riders scioperano davanti a “Burger King” di corso Novara, varie camionette e sbirraglia presenti.
    In centro due ristoranti hanno chiuso. 4 camionette, qualche volante e 4 macchine digos davanti alla pizzeria “Amici Miei” in corso Vittorio, in cui ogni sera circa 40 riders sono costretti ad aspettare anche 1 ora per gli ordini. Con anche minacce di multe.

    “Poormanger” e “Kombu” hanno spento il tablet su cui ricevono gli ordini dalle app. “Amici Miei” no.

    20
    A nord lo sciopero si sposta a “Pacific Poke” vicino a Porta Susa.
    Un gruppo in centro si è spostato a “Zushi”, chiedendo di parlare con il responsabile per spegnere il tablet.
    A sud alcuni fattorini si sono uniti allo sciopero.

    H 20.30
    In centro un botto di sbirri per lo sciopero dei riders davanti a “Zushi”, in Largo Vittorio.
    4 camionette, volanti e varia digos che prima cercava di intrufolarsi tra gli scioperanti.

    H 20.50
    Davanti a “T-Bone Station” in via Cernaia continua lo sciopero selvaggio!
    La celere scende dalle 4 camionette.

    H 21
    I diversi gruppi di riders in lotta per la città si sono uniti e si spostano insieme verso il centro.
    Si va dai ristoranti a far spegnere il tablet su cui ricevono gli ordini dalle app.
    Alcuni clienti si stupiscono scortesemente del fatto che si osi scioperare invece di portar loro a casa cenette gourmet..
    Dall’appello dei riderz verso il 1maggio:
    “Sei un cliente? Non ordinare e contatta il customers service via telefono o mail per dirgliene quattro: BASTA SFRUTTAMENTO PER CHI TI PORTA LA CENA O LA SPESA!”

    H 21.15
    I riders fanno staccare il tablet anche al ristorante “Pescaria”, in via Accademia delle Scienze!
    Sempre le solite camionette alle calcagna.

    H 21.40
    Almeno 10 camionette tra piazza Castello e via Verdi.
    Ma non son riusciti a impedire ai riders di fare un giro al “Burger King” vicino a Palazzo Nuovo…

    • Lo sciopero si è concluso alle 22,00 con un ritrovo in piazza Castello

      “Oggi incrociamo le gambe e ci rifiutiamo di consegnare. Il nostro sciopero ha luogo nella città di Torino, ma lo sfruttamento che subiamo ha luogo in tutte le città del mondo. Invitiamo anche voi a scioperare nel modo che ritenete più appropriato. Non lavorate, scrivete la vostra rabbia su un muro, rovesciate gli ordini a terra, fidatevi della vostra capacità di organizzarvi. E finito il tempo di avere paura, comincia il tempo di iniziare a farne.”

      Conoscendo un po’ il modus operandi della magistratura (e poliziotti) torinese i prossimi giorni potrebbero essere pericolosi, speriamo bene. Segnalo che proprio oggi da Torino è partito l’appello a evitare gli agguati al governo Conte, firmato da “insospettabili” (c’è pure Revelli). Una cosa molto triste.

      • Hai centrato il punto, robydoc. Mentre da un lato si denuncia l’asservimento del governo a Confidustria e ai padroni, e si compatiscono i lavoratori come i riders, costretti a scorrazzare in bici per le città deserte e a rischiare il contagio, dall’altro si fa da scudo al governo Conte che ha lasciato quelle strade al potere indiscusso delle forze dell’ordine. Forze dell’ordine che “scortano” la protesta e lo sciopero dei riders con un dispiegamento di forze e una pressione panottica sproporzionati proprio grazie al lockdown, pronte a intervenire…
        È la rappresentazione perfetta del paradosso in cui certa gente, pure di un certo “spessore”, è rimasta imbrigliata.

  6. “Avremmo voluto stringergli la mano. Ma non si può”. Agghiacciante.
    Per la cronaca ieri il presidente dell’AIFA Nicola Magrini rispondeva più o meno così alla Gruber (otto e mezzo) che gli chiedeva dove pensava avesse potuto contrarre il virus: ho incontrato tanta gente, avrò stretto troppe mani…Sic! Mi spiace che l’intervento sia troppo breve. Comprendo anche le ragioni di regolamentare la lunghezza, ma non saprei che altro scrivere. Già mi sembra che ho fatto un’osservazione marginale rispetto al tema. Posso solo aggiungere che pavento la prospettiva che si allenteranno le misure, ma solo per ragioni di lavoro e produzione. Il tema della compressione delle libertà non sembra essere nei radar.

    • Cara Maria Rosa, hai ragione. Io mi chiedo però se siano in buona fede a dire che gli abbracci e le strette di mano sono pericolosi, e se non sia stato invece il primo passo per disumanizzare le relazioni tra le persone. Ormai ne hanno dette tante senza nessuna base scientifica, come che i bambini trasmettono il virus, e hanno fatto tanto di quel terrorismo, che non credo più a niente di quello che ci viene detto! Penso che la disobbedienza dovrebbe passare anche dalla riappropriazione di questi contatti, anche se capisco che le persone che vivono in regioni dove ci sono molti casi di contagio possano aver paura per la propria salute e quella degli altri, e non solo delle sanzioni. Grazie a Wu Ming, anche per me in questo periodo siete stati un faro.

  7. A me pare evidente la correlazione fra la disattenzione alla sicurezza in fabbrica e la persecuzione dei “passeggiatori nei boschi / sulla spiaggia”. Non c’è bisogno di risalire a Rousseau per ipotizzare che il rapporto fra uomo e natura sia il rapporto più vero e necessario per l’essere umano. Esistono studi sull’evoluzione del cervello che propongono come l’amore per il verde sia un vantaggio evolutivo e non un vezzo del cittadino: se amo il verde, sarò mediamente più sano. Se sto sempre in città, mediamente mi ammalo (non foss’altro perché i virus amano le città sovrappopolate).

    Se il potere ti priva del rapporto più ovvio, quello con la natura, diventa più semplice far passare tutte le altre storture, come l’abolizione della critica e l’accettazione del lavoro insicuro. Per non parlare del fatto che al potere non sembra vero avere a disposizione un’arma così potente e verosimile contro l’aggregazione e la protesta: se esci, potresti morire.

    Mi piacerebbe capire perché noi italiani viviamo questo rapporto schizofrenico con la legge: o ce ne freghiamo completamente e tolleriamo l’elusione come stile di vita, oppure ci abbandoniamo completamente all’uomo forte e diventiamo suoi complici. Piuttosto che da “sceriffi da balcone”, mi pare che sul poggiolo ci siano tanti Kapo.

  8. Chi frequenta Giap sa di aperture, deroghe, codici Ateco e quant’altro, ma a vedere i dati sulla circolazione dei lavoratori e sui controlli riassunti e sistematizzati (il punto 5 in particolare), c’è da chiedersi come mai finora ce la siamo cavata con soli 200.000 contagi (accertati).
    Non potevamo aspettarci nulla di diverso però. Perché mai la pandemia avrebbe dovuto mutare le cose? Siamo il paese dove normalmente non si fanno controlli sui luoghi di lavoro (se ne fanno, ovvio, ma in percentuali quasi irrisorie), il paese in cui si accetta tranquillamente che una parte consistente del santo PIL venga prodotta in nero, il paese dove in una parte non minoritaria delle micro e piccole imprese avviene di tutto, il paese dove il ricatto sul posto di lavoro assurge quasi a prassi, il paese della istituzionalizzazione del precariato a vita, il paese dove ci viene chiesto di scegliere tra morire di fame o di tumore. Tutto questo non poteva cambiare di colpo il 5 marzo, né da allora ad oggi, né potrà cambiare da oggi in poi, a meno della sempre auspicata presa di coscienza generale con relativa sollevazione, che però assomiglia ogni giorno di più a Godot. E’ giusto non stancarsi di denunciare queste aberrazioni, è giusto corroborarle dall’asciuttezza incontrovertibile dei numeri, è giusto indignarsi, sarebbe sbagliato stupirsi.
    E a leggere i numeri reali, acquista ancora più senso l’aggettivo “tossica” applicato alla narrazione mainstream; bombardati dalla retorica sugli eroi, sul modello italiano, sulla santificazione dello stare a casa, sulla bandiere ai balconi e l’inno al supermercato, sul bella ciao cantata dagli inglesi a beneficio degli amici italiani, il tutto corredato da immagini e video iconici funzionali alla mitopoiesi, il nostro cervello (la nostra consapevolezza del reale), assume quotidianamente quella sostanza velenosa che induce lo stato di malattia. Il vaccino (e cura al contempo), di cui questo forum è un componente e di cui ringrazio gli autori-admin, si chiama fatica (di informarsi, di partecipare, di non fermarsi alla superficie, di ribellarsi, di pensare). Troppo faticoso.
    PS per riccardom: secondo me sul poggiolo non ci sono Kapo, ci sono solo persone pigre di mente.

  9. come correttamente riportato nell’articolo, di fatto dal 4 maggio non è obbligatorio indossare la mascherina all’aperto. Si sente però in giro e si legge che sarebbe un gesto di rispetto verso l’altro indossarla. Sarebbe come se dicessimo tranquillo non voglio contagiarti. Fino a oggi non l’ho mai indossata all’aperto, sempre nei locali chiusi (praticamente solo il supermercato e l’edicola) e pensavo di proseguire in questo modo. Pensate che sia più corretto e rispettoso indossarla sempre?

    grazie Wu Ming e complimenti per l’articolo molto interessante!
    Abito in provincia di Bologna, come posso sapere in anticipo e poter partecipare ad un prossimo trekking urbano alla Bolognina o a Bologna in generale?
    grazie

    • qui in Trentino l’ordinanza del presidente (leghista) della Provincia prevede l’uso obbligatorio della mascherina appena usciti di casa. Lo ha ribadito nella conferenza stampa di presentazione della nuova ordinanza in vigore dal 4 maggio. Lo si legge nel comunicato stampa della Provincia stessa: “L’ordinanza del presidente Fugatti prevede l’obbligo di indossare la mascherina una volta fuori dalla propria abitazione o luogo di lavoro durante l’attività motoria come passeggiate e camminate, mentre durante l’attività sportiva è necessario avere con sé la mascherina che va indossata se vengono meno le distanze interpersonale.”

      • Anche in Toscana mascherine obbligatorie nei luoghi aperti “frequentati da altre persone e ove vi sia l’obbligo del distanziamento sociale” (ma perché non fisico?). Frase leggermente sibillina che ci ha portato a chiederci: se passeggio sul lungomare a 10 m di distanza da chiunque altro, la devo indossare? Ieri ho scelto il buon senso e non l’ho messa se non quando sono arrivata in zone più affollate. Dal 1 maggio in Toscana è possibile passeggiare. Ad ogni modo stupende le FAQ della Regione sulle mascherine: non ci sono evidenze scientifiche, non sappiamo se effettivamente servano però voi mettetele che male non fa. Io ci vedo il trionfo del “facciamo vedere che facciamo qualcosa, contentiamo i solerti custodi dai balconi”. E magari qualcuno si scorderà dei danni fatti da Rossi alla sanità.

    • Nei paesi asiatici l’uso delle mascherine in luoghi pubblici e nei luoghi chiusi aperti al pubblico è una consuetudine ma non come dispositivo di protezione individuale ma di protezione del prossimo.

      Se, as esempio, si ha il raffreddore o la tosse, è uso diffuso indossare la mascherine.

      Solo ora le utilizzano quali dpi.

      Importante capire anche la funzionalità della mascherina sulla base delle diverse tipologie anche all’interno dello stesso modello: una ffp3 con valvola è un dpi ma non protegge il prossimo, tanto per fare un esempio.

      Comunque sia l’intera umanità ha subito uno shock non indifferente, spero tanto che tutto ciò possa aver aperto gli occhi su ciò che è necessario e ciò che è superfluo.

  10. Come già letto in preziosi articoli in questo blog, mi pare che lo strumento principale per mantenere inalterato lo stato d’emergerenza, insieme alla narrazione della paura dei media, sia il divieto di assembramento: questo divieto credo che sia il più sanguinoso, perché oltre a impedire di fatto delle relazioni sociali reali e umane (“l’uomo è prima di tutto un animale sociale” diceva qualcuno tempo fa), ostacola ogni forma di dissenso organizzato. Se il telelavoro diventa il punto di non ritorno della graduale distruzione di una “coscienza di classe” del lavoratore (iniziata con il depotenziamento e asservimento del sindacato, fino alla costituzione del precariato come modello di vita di una generazione), così, in ambito civile, l’incostituzionale divieto di organizzare una manifestazione di dissenso (anche distanziata e con tutte le precauzioni sanitarie del caso) non può che essere la spia finale dell’instaurazione di un regime autoritario. E io mi chiedo, quale opposizione possibile? Posto che le sardine sono oramai un house organ del governo e compiono veri e propri atti di delazione (in ultimo le “denunce” di possibili manifestazioni violatrici dei DPCM), mi piacerebbe che a sinistra si uscisse un attimo dalla (giustissima) critica dello sfruttamento dei lavoratori nelle fabbriche e si cominciasse a analizzare le cose secondo una visione più generale e generalizzata. Un’enorme fetta di popolazione (disoccupati, precari, piccoli commercianti, partite iva), a oggi non ha voce, né alcuna rappresentanza politica. Abbandonare a se stesse queste categorie non fa che consegnare quell’elettorato ai Salvini della situazione (che in realtà, asserviti come si è visto in Lombardia a Confindustria, utilizza quel consenso nella logica del padrone capitalista). Questa ignavia è particolarmente grave, e mi dispiace che, a mia conoscenza, soltanto qui si stia ragionando a più ampio raggio. Quindi un’enorme GRAZIE ai Wu Ming per quello che stanno facendo e un’enorme SVEGLIA a tutti gli altri a sinistra, che qui c’è davvero in gioco una posta altissima del nostro futuro, a tutti i livelli.

  11. Tra breve cominceranno ad uscire comparazione molto dilettantesche tra stati o, pensando di essere più sofisticati, tra vari “pezzi” di territori. Per prevenzione suggerisco di stare un po’ attenti a questi lavori artigianali. Faccio un esempio di uno che ho visto girare, rendendolo un po’ anonimo ed aggiungendo un terzo elemento, spero possa aiutare.

    Paese A (densità 422ab/kmq): 137 contagiati alla data X;
    Paese B (325ab/kmq): 208 contagiati alla data X
    Paese C (1318 ab/kmq): 92 contagiati alla data X;

    40 giorni dopo

    Paese A: 4410 contagiati (31 in T.I.; 359 morti)
    Paese B: 7835 contagiati (207 in T.I.; 1319 morti)
    Paese C: 430 contagiati (3 in T.I.; 4 morti)

    Questi dati (reali) non significano praticamente niente.

  12. Seguo a ruota il commento di Mars 9000 riportando un brano dal manifesto “basta con gli agguati” pubblicato dal “… quotidiano comunista” e sottoscritto da migliaia d’intellettuali (ma danno una patente? C’é un concorso? O tipo…. Se firmo divento intellettuale pure io? Scritto senza intenzioni dileggiatorie sullo spessore culturale dei redattori e firmatari, indubbio almeno per i nomi che riconosco) :
    “…
    Non c’è dubbio, neppure, che siano stati limitati alcuni diritti fondamentali come quello alla libertà di movimento (limitazioni peraltro previste dall’art. 16 della Costituzione)… – sic! –
    … Ma niente ha intaccato la libertà di parola e di pensiero degli italiani e comunque il Governo non è parso abusare degli strumenti emergenziali previsti dalla Costituzione”
    Ricordando tra i firmatari uno come Marco Revelli (cosa qui già segnalata da wu Ming) o come Ida Dominijanni compaia 2 volte o ancora come si sia imbarcato l’autore del film su radio Alice, Guido Chiesa (penso sia quello…) giova soffermarsi sul monito a chiosa che riguarda direttamente chi scrive qua sopra:
    “Ci preoccupano gli altri, invece, i democratici “liberali”, i grandi paladini della democrazia e della Costituzione…”
    Si dirà: ma in un paese in cui nessuno legge, ma chi se li fila…
    Sbagliato. I contenuti della cultura alta attraverso svariate “cinghie di trasmissione” si diffondono nella cultura di massa, ancor più secondo certi meccanismi della società dello spettacolo. Ora, forse nel mondo, il paradigma culturale egemonia della nuova governamentalità pare essere la polarità tra una sinistra responsabile filoleviatanica (come direbbe un mio amico), quella delle istituzioni internazionali, e una destra nazionalista, quella dei manganelli. Entrambe son mutua ente funzionali e legittimanti, come funzionale é lo stato sbirro ai dettami del nuovo ordinamento transnazionale. Noi stiamo in mezzo. Piuttosto stritolati. La pandemia é il pestello di questo mortaio.

  13. (scusate, mi prendo la libertà di un secondo commento per chiudere) :
    Ora, di fianco alle eminenze di scienza e cultura, anche i saltimbanchi dello spettacolo son mobilitati, da birtney Spears alla comunista Eather Parisi, per rendere pregiudizio, in senso gramsciano, l’uso e il costume del distanziamento sociale (benedetto wolf e l’opportunissima disamina sua…).
    In questo non ho da aggiungere parole a quanto più sopra scritto da Rosalba.
    È lì che si gioca tutto, per noi. Nella lotta contro il distanziamento sociale e per il recupero della sovranità sul corpo, quello individuale e quello collettivo, che per essere umano un corpo può esser solo concepito tra altri corpi.
    Allora va bene confrontarsi… Ma non ci illudiamo: la battaglia politica mai come ora non si ha margini di combatterla, noi, sul fronte dell’opinione ma solo su quello della pratica biopolitica, “linguaggio” affettivo in grado di rompere il discorso egemonio avviluppante.

    • Parole sante, Arturo. Certe volte pare di sognare, purtroppo non è così.
      È un senso di smarrimento continuo che sembra indotto per paralizzare durante la Fase 2. Innanzitutto il modo in cui vengono forniti i dati, non ultimo il pasticcio coi morti di ieri o l’acriticità con cui sono presentati (il peso effettivo delle rsa qual è?). Siccome è su quello che si deciderà delle nostre vite,ovviamente preoccupano. Si intravede in lontananza anche il futuro capro espiatorio, dopo il runner: il congiunto. L’ambiguità della definizione, l’ironia stupida di certi editoriali tirano già da quelle parte. L’Arcuri di turno che ormai fa omelie (ieri c’era la tv accesa nell’altra stanza e l’ho scambiato per un sacerdote). Il tutto mentre i giornali si scatenano a buttare dentro nuovi possibili sintomi del virus (praticamente tutti) e interviste tragicomiche sul fatto che i cani possano annusare il Covid (cani antidroga 2.0?). È annichilente. O meglio, mi annichilisce, non so gli altri. Sarà davvero difficile ritrovare il nostro corpo fisico e, soprattutto, quello altrui.

      • “La pandemia è il pestello di questo mortaio”. Bella. E le teorie contrattualistiche (come direbbe il tuo amico) sono dal 1650 il modo più classico per imporre scelte dall’alto in nome di…
        Sul distanziamento fisico, quello di Rosalba mi sembra più uno sfogo, seppure legittimo. Per quante topiche possano avere preso (e in questi tre mesi ne hanno prese tante), gli scienziati mi sembra siano unanimi nel ritenere il distanziamento fisico uno dei primi presidi utili, insieme all’igiene. Anche in Svezia, modello OMS, gli appelli riguardano questa misura essenziale. L’aberrazione italiana è che si è scambiato il vedetevi, incontratevi, parlatevi ma ad almeno un metro di distanza, con lo state isolati l’uno dall’altro, chiudetevi nel vostro bunker, che il virus non riuscirà a penetrarlo, come se fosse la neve dell’eternauta o la nube purpurea del romanzo di Shiel, entrambi citati da WM nel thread su Max Headroom. Questo è stato fatto in malafede? Noi ne siamo stati complici? Su queste pagine si trovano ipotesi (e risposte) illuminanti.
        Per questo, a mio parere, la lotta contro il distanziamento (tema che ci accompagnerà almeno per tutto il 2020) dovrà essere condotta, per necessità, con le armi concesse dal sistema; invece di incontrarci in 100 in uno spazio di 50 mq, incontriamoci in uno spazio di 150 mq. Magari non ci riappropriamo della fisicità dei nostri corpi (baci, abbracci, pugni, calci), ma lanciamo un segnale, e nel contempo ci riprendiamo un po’ di dignità.
        Sui vari appelli, terrei separato quello che dice lo scienziato da quello che dice l’intellettuale, e quello che dice l’intellettuale da quello che dice Britney Spears. Gli strumenti per farlo ci sono (simili a quelli che ci permettono di ridere al sentire del cane annusavirus).

        • In parte era uno sfogo, è vero, ma il virus non durerà comunque per sempre. Si esaurirà, come quelli che l’hanno preceduto, e dovrebbe anche succedere presto. Anche se non fosse così, due mesi fa non si sapeva come curarlo, ma ora sì. Già ora non ci sarebbe più motivo di far girare tutta la nostra vita intorno alla paura del contagio e di fare stravolgimenti di tutta l’organizzazione della vita che tra poco non serviranno più. Se si continua a insistere sulle distanze e su tante regole assurde, è perché è in gioco ben altro che la difesa della salute. Perciò vale la pena di rompere anche questi divieti.

          • Sono assolutamente d’accordo con te, Rosalba. Imposizioni di questo tipo, che saranno prorogate non si sa bene fino a quando, e che qualcuno vorrebbe permanenti, tendono a spezzare i legami umani che non siano quelli di sangue e/o quelli uniti in matrimonio.

            Il divieto della stretta di mano, della pacca sulla spalla, dell’abbraccio, dello stare insieme con altre persone (anche sconosciute) ad un concerto o ad una partita… tutto tende a disumanizzare i rapporti umani, a rinchiuderci ciascuno nel proprio bozzolo.

            Ed occorre vigilare e ribellarsi adesso, prima che sia troppo tardi.

  14. Mi riferisco al commento di Massimo Bongiovanni. Sì, in Oriente è così, è sempre stato quello il motivo dell’uso di una mascherina. Il fatto è che un giapponese, oppure un abitante di Hong Kong (città che conosco abbastanza bene) se ha un forte raffreddore va comunque al lavoro, e per farlo ‘in sicurezza’, evitando di contagiare i colleghi (o gli altri passeggeri su treni, metro o bus) indossa appunto una mascherina. Da noi, come si sa, si preferisce quasi sempre prendersi un paio di giorni di mutua, chi può. Sono differenti comportamenti all’interno di culture differenti. Poi è chiaro che da noi (Italia, Occidente)i si è fatta abbondante e reiterata disinformazione, e se ne è parlato molto qui sopra, sulla lugubre mascherata che ci circonda: grazie soprattutto a repubblica; che sulla pagina torinese di stamattina aveva (o avrà ancora, lì non cambiano mai) un titolo così: “Coronavirus, da lunedì mascherina obbligatoria in tutti i luoghi aperti al pubblico del Piemonte”, completamente mistificatorio e disinformativo. Infatti, chi si prenda la briga di leggere il pezzo, quei pochi, leggerà la frase completa: “…in tutti i luoghi CHIUSI accessibili al pubblico”, ovvero negozi e mezzi pubblici. Un giochetto da ragazzi, togli una parola e stravolgi il senso del pezzo. Quindi sono forse i titolisti (lo sospetto da tempo) i veri manipolatori dell’informazione. Io comunque gli ho scritto una mail per segnalare la grave ‘svista’, alla quale ovviamente non risponderanno mai.
    ps: devo correggermi, una tantum la mia segnalazione ha avuto effetto, quel titolo è stato cambiato, ora recita: “Da lunedì obbligo di mascherina in tutti i luoghi chiusi del Piemonte”.

  15. Vado leggermente in OT, ma per aggiungere un dettaglio sulla foto della lapide nell’articolo.

    Il foglio che si vede lo avevamo attaccato il 25 aprile. Ha resistito a due temporali e una grandinata, per questo nella foto dell’1 non si vede quasi nulla, ma si è ostinato a rimanere lì.

    È una poesia di Sophia de Mello Breyner Andresen, poetessa portoghese dalle idee politiche piuttosto particolari (monarchica ma anti-salazarista… perlomeno all’inizio del regime). Le poesie secondo me sono bellissime.

    “25 de Abril” è la poesia che celebra il giorno del golpe antifascista in Portogallo, avvenuto il 25 aprile 1974. Nei libri che ho letto a riguardo non ho trovato riferimenti che dicano che la data è stata scelta proprio come rimando alla liberazione d’Italia, ma nulla di più facile che mi sia sfuggito.

    Il testo, tradotto grossolanamente, dice:

    25 Aprile

    Questa è la mattina che aspettavo
    Il giorno iniziale, intero e pulito
    In cui emergiamo dalla notte e dal silenzio
    E liber* abitiamo la sostanza del tempo

    In originale:

    25 de Abril

    Esta é a madrugada que eu esperava
    O dia inicial inteiro e limpo
    Onde emergimos da noite e do silêncio
    E livres habitamos a substância do tempo

  16. Abbiamo appena pubblicato un addendo a questo post:

    Le FAQ del governo sulla «Fase 2»: benvenuti in Assurdistan!

    • Altro contributo ineccepibile. Però, ecco, che Ferrajoli fosse questo, almeno dalla sua (a mio parere assurda e pericolosa) “Teoria assiomatizzata del diritto”, a me non stupisce per niente. Sull’appello del Manifesto, purtroppo la classe intellettuale italiana, come si è sempre detto, risulta spesso iper-conformista e prona rispetto a chi detiene il potere (salvo poi pugnalarlo quando quest’ultimo cade in disgrazia). Per il resto, basta andarsi a rileggere Kafka per rendersi conto che la nebulosità normativa è strumentale al sistema autoritario in modo da concedere la totale arbitrarietà alle forze dell’ordine nella sanzione di una condotta.

    • Io vi giuro che quando ieri ho letto l’incipit di quell’appello in prima battuta ho pensato si riferisse agli “agguati” perpetrati a danno delle persone che non possono più far nulla senza trovarsi addosso qualche guardia. Scorrendo nella lettura non potevo credere ai miei occhi. Che schifo, che servile acquiescenza al modus operandi di uno Stato paternalista e autoritario. “ Noi consentiamo, noi autorizziamo”. Queste espressioni basterebbero a metterci in guardia sulla considerazione che i rappresentanti delle istituzioni hanno dei diritti inviolabili della persona. Le concessioni dovremmo farle noi individualmente ed in base al nostro apprezzamento entro una cornice composta da due, tre semplici regole ( mascherine al chiuso, adeguata distanza senza la mascherina, no eventi con migliaia di persone accalcate e attenzione verso anziani e fasce deboli). Una giungla di decreti, circolari di questo o quel Ministero, faq che sono più contorte delle liane della foresta pluviale. Ci vorrebbe un corso di laurea apposito per conoscere tutte le disposizioni in vigore, disposizioni che non si comprende a che rango appartengano, se siano proporzionate all’interesse che perseguono. Troppo semplicistico il richiamo all’art. 32 della Costituzione dietro cui i fautori del nuovo ordine Covid- free si trincerano. C’è forse qualche passaggio dove sia scritto che tutti gli altri diritti soccombano al cospetto di quello sancito dalla norma citata? Che ne è del contemperamento tra altrettanto fondamentali principi che consentono all’individuo di vivere una esistenza piena e dignitosa? Ma ha ragione WM quando fa notare che questo Stato non ci vuole vivi al di fuori della triade “lavora ( senza poter scioperare), produci ( altrimenti il PIL crolla), consuma ( così sarà ancora più profondo il baratro tra te ed il padrone). Che schifo ( i miei mi hanno insegnato che questa espressione non andrebbe mai usata), ma in questo periodo è quella che mi sovviene più spesso ( insieme ad altre meno soft).

    • Ma, premesso che è ufficiale che non solo i decreti ma anche le FAQ vengono scritti apposta in modo confuso (e le FAQ avrebbero proprio uno scopo opposto), io la parte sulle passeggiate la interpreterei diversamente, come peraltro mi sembra abbiano fatto alcuni quotidiani.
      “Le passeggiate sono ammesse solo se strettamente necessarie a realizzare uno spostamento giustificato da uno dei motivi appena indicati”. Ma tra i “motivi appena indicati” c’è l’attività motoria all’aperto. Quindi se faccio una passeggiata per fare attività motoria sto facendo esattamente quello che c’è scritto.

      • Troppo semplice, perché, fa notare bene Marcello qui sotto, specificare che la passeggiata va bene quando ha natura di attività motoria (cioè, stando almeno alla logica, sempre) significa alludere all’esistenza di altre sue misteriose nature che rimarrebbero fuori dallo spazio del consentito. Ogni allusione comporta vaghezza, e nel diritto ogni vaghezza si traduce in discrezionalità del potere esecutivo.

        E in ogni caso, la tua interpretazione è, appunto, un’interpretazione, ed è “generosa”, perché fatta a rigor di logica, di fronte a fonti di diritto nelle quali la logica sembra scomparsa. Può amdare bene come argomentazione quando ti fermano, ma dubito sia qiel che avevano in mente Conte e compagnia. Più plausibile che intendessero: non osate “bighellonare”.

        • Dal punto di osservazione di Trieste, ho la sensazione che il sonnambulismo si sia spezzato, per pura e semplice sopravvenuta rottura di coglioni. Ormai è una marea inarrestabile. Tutti i sentieri che dalla città salgono verso il carso sono continuamente percorsi in tutte le direzioni da singoli, coppie e intere famiglie. Ci si ferma a chiacchierare, mantenendo le distanze, ma abbassandosi senza problemi la mascherina quando la distanza è tale da renderla superflua. Trieste è particolare, ha infinite magagne, buchi neri, paurosi serbatoi di rancore e di odio, ma ha anche un nocciolo irriducibile di anarchismo esistenziale, che schizofrenicamente convive, a volte addirittura nella stessa persona, con la presunzione di essere eredi della disciplina asburgica. Tutto questo avviene a un livello prepolitico, puramente istintivo; forse ha a che fare con la storia particolare della città, e per questo non so quanto sia paragonabile ad altre realtà del paese. Ma mi sembrava interessante raccontarlo.

          • Qui a Bologna, invece, succedono cose “strane”. È un po’ come se la scadenza del 4 maggio rappresentasse, simbolicamente, una “svolta” (anche se non è evidentemente così)e già da oggi ho visto, per la prima volta,tanti bambini sotto i portici con la bicicletta, molti genitori con bimbi in una piazzetta, sufficientemente grande per tutti, vicino casa. Bambini che finalmente possono incontrarsi. Genitori, probabilmente esasperati dalla lunghissima reclusione dei figli,hanno allentato le maglie per consentirsi una spensierata pausa dalla reclusione. Credo che questo sia un momento di salutare cedimento che,mi auguro, sfoci in una consapevole determinazione. E non solo una boccata d’aria per tornare in apnea.Credo che il livello di sopportazione mentale di molti sia duramente messo alla prova ed anche i più zelanti cittadini,per il bene dei loro bambini, saranno disposti a correre qualche rischio in più. Più momenti di ritrovo saranno resi possibili meno possibilità avrà di sopravvivere questa impalcatura. Più colpi si riesce a mettere a segno, più instabile, fragile e traballante diventerà la cornice.

            • Alla Bolognina – dove, anche nel momento più cupo del lockdown, è comunque sopravvissuto un livello minimo di vita di quartiere, si sono visti pochissimi tricolori e la delazione è stata molto rara – questo clima si respira già da diversi giorni.

        • Sì, chiaramente la mia è un’interpretazione a rigor di logica di una frase scritta in modo del tutto illogico, ma per il momento mi sembra che sia anche l’interpretazione data dalla maggior parte dei media, quindi credo che se non fosse quella che avevano in mente Conte e compagnia non tarderanno a farcelo sapere.
          Per quanto riguarda però la bicicletta direi che la frase “è inoltre consentito utilizzare la bicicletta per svolgere attività motoria all’aperto” non lasci spazio a troppe interpretazioni. Ovviamente, come fate notare, era del tutto superfluo specificarlo, ma in questo caso direi che anche rigirandola non se ne può deddure che non si può usare la bicicletta.

          • Temo che le “precisazioni”, come accade da un paio di mesi a questa parte, arriveranno dalla pattuglia o dal posto di blocco di turno che fermeranno la malcapitata o il malcapitato di turno, sanzionando in base al tiramento di culo del momento. È questo che intendevo quando ho scritto che la vaghezza si traduce in discrezionalità.

            La bici si può usare ma solo se l’uso è finalizzato all’attività motoria. A piedi o in bici, sempre lì siamo.

    • Dinanzi ai primi (sgangherati) interventi del PdC e alla promozione delle FAQ al rango di fonti, ho avuto la forte tentazione di cercare un disegno (o almeno una logica) dietro la gestione normativa della crisi (riflessioni varie: il diritto dell’emergenza che diventa emergenza del diritto; la confusione, a tutti i livelli, come strumento di ampliamento della discrezionalità delle fdo; la riduzione del camminare all’andare; il riferimento alla c categoria codicistica/tradizionale dei “congiunti” come ulteriore attacco ai diritti; etc.).
      Con il passare del tempo, mi sono convinto che dietro non c’è assolutamente niente.
      Tutto è sin troppo evidente, e forse proprio per questo facciamo fatica a vederlo (come nella lettera rubata di Allan Poe). Siamo semplicemente ostaggio di soggetti incompetenti, che prima ci hanno ficcato in questa situazione e adesso non hanno alcuna idea di come uscirne. Incompetenti a tutti i livelli (nazionale, regionale e locale), come dimostra la trasformazione del quadro normativo in un’opera degna di Mondrian. Questo è il mio punto di vista anche sulle questioni – giustamente messe in luce da Wu Ming – “congiunti” e attività motoria/passeggiata. Tutto è riconducibile a semplice, manifesta incapacità. D’altra parte, proprio la genericità e la vaghezza delle formulazioni scelte non potrà che aprire la strada a numerosi accoglimenti dei ricorsi che sono stati (o saranno proposti) contro le sanzioni amministrative derivanti dai DCPM. Il fatto stesso che siano state necessarie delle FAQ in chiave (non illustrativa ma) suppletiva rispetto ai testi pubblicati in GU, potrà essere utilizzato con enorme profitto in ambito giudiziario.
      Tutto questo in un momento nel quale numerosi studiosi (anche Nobel) continuano a spendere – nel più totale silenzio dei cosiddetti media, troppo occupata a dare addosso a Svezia e svedesi – parole molto chiare sulla logica e la retorica del lockdown.
      Questo, ad es., è il punto di vista di Michael Levitt:
      https://www.youtube.com/watch?reload=9&time_continue=2&v=bl-sZdfLcEk&feature=emb_logo

      • Anche io ho pensato a lungo che fossimo nelle mani di incompetenti.
        Già la circolare del Ministero dell’Interno del 31 marzo mi fece impazzire quando lessi che “l’attività motoria generalmente consentita non va intesa come equivalente all’attività sportiva(jogging)”.
        Però il sospetto è che la fumosità dei divieti, soprattutto il fatto che la passeggiata senza scopo di fatto non sia ammessa è chiaramente uno strumento di repressione pronto per essere usato alla bisogna, pronto per sanzionare quei cittadini che volessero manifestare o protestare nelle piazze o nelle fabbriche. In caso di fermo verrebbero inevitabilmente sanzionati e non potrebbero invocare una delle quattro motivazioni per difendersi (comprovate esigenze lavorative;assoluta urgenza;situazione di necessità; motivi di salute).

  17. A proposito dell'”appello” uscito sul manifesto. Miseria della filosofia, tristezza nel leggere nomi amati e stimati. Mi colpisce la totale inutilità di parole che non dicono nulla, mi colpisce l’abdicazione al pensiero. Sarà che in questo periodo, per me che ho studiato filosofia, una cesura si compie quasi da sé tra concetti che scopro più che mai essenziali ed altri che cadono a terra vuoti. Sarà che provo una certa fatica a parlare. Allora l’esigenza di correre a firmare parole che non dicono nulla mi colpisce e mi intristisce, assai. Pensavo alla necessità invece forte e reale di insistere a cercare spazi per fare politica, socialità, per stare insieme e pensare insieme. Rispettando il distanziamento fisico e non quello sociale. Comunque perdonatemi, gente che ha studiato Marx che scrive “ci hanno però lasciato la libertà di pensiero e di parola” mi fa andare in bestia. Quale profonda tristezza – unita al fatto che ci sia questa specie di autocertificazione di intellettualità, anch’essa deprimente e pure ridicola.

    • Ciao a tutti, questo è il mio primo commento da parte mia in questo blog. Grazie per tutto il lavoro che fate. Condivido sotto il commento precedente che condivido appieno. Sono anch’io esterrefatto dell’appello del Manifesto, cui sono abbonato tra l’altro. In un momento di restrizione estrema dei diritti, invece di suggerire proposte, indicazioni o almeno sperenza su come poter tornare ad esprimerne la pienezza al più presto ci preoccupa di sgridare chi esercita il diritto di parola e fa – necessariamente e per fortuna – conflitto politico?

  18. Chiedo scusa a tutti, stamattina ho pubblicato un commento che conteneva un link senza averne verificato la fonte. Ringrazio gli autori del blog per la pronta rimozione e segnalazione della mia svista. Questo però mi ha fatto riflettere molto sul fatto che alcuni contenuti critici provengano da ambienti con cui non ho alcuna affinità e di cui non sono riuscita ad identificare spie lessicali sospette che mi avrebbero dovuto mettere in guardia, non conoscendo l’ autore. Anche se qui,per la verità, erano già state chiarite la sua appartenenza e la sua identità. Il rischio reale e concreto che la destra possa cavalcare la rabbia sociale che si sta generando esiste. Soprattutto laddove la sinistra,nelle sue varie espressioni, lascia campo e mano libera al governo di questa emergenza, senza muovergli una critica ed, addirittura, difendendolo (senza che nessuno glielo abbia mai chiesto e sua sponte) dagli ” agguati ” paranoici che inventano per compattarsi meglio.

    • “Soprattutto laddove la sinistra,nelle sue varie espressioni, lascia campo e mano libera al governo di questa emergenza”

      Per agrinare/prevenire sciacallaggi e speculazioni da parte della destra penso che sarà indispensabile mantener chiaro, quando si parla/commenta di covid-1984 che la responsabilità è sia del governo sia dell’opposizione. Per metter in chiaro che il gov fa porcate e l’opposizione parlamentare non è da meno.

      Il comportamento schizofrenico di opposizione salviniana è consistito in “linea dura! chiudiamo porti e aeroporti! chiudiamo tutto! ” e in “apriamo tutto” , e questo a tempi alterni (frasi dette per raccattar consensi, frasi guidate dai sondaggi).

      Il governo a me all’inizio diede l’impressione di far tutto quel che la lega avrebbe fatto. Sembrava ci fosse salvini al governo. Sbraitava qualcosa e il gov eseguiva (pare) per non scontentare gli elettori leghisti.

      Comunque, altra cosa che mi fa pensare è questa: Conte è del m5s. (su youtube si trova video del momento in cui uscirono i risultati elettorali, e Conte era con Di Maio e si abbracciavano festosi per il risultato).

      Abbiamo avuto in Italia prima un governo Lega-M5s guidato praticamente solo dalla lega.

      Ora un gov M5s guidato praticamente solo da m5s.

      Il progetto neoliberismo/gaia piace anche al PD, ma è del m5s la strategia comunicativa che stanno usando per arrivare alla sua implementazione.

      Si tratta della “strategia del doppio legame”, vista in opera in anni e anni di propaganda m5s.
      Dire cose contraddittorie (apparire di “sinistra” e al contempo propagandare razzismo) in modo da dare di volta in volta un ‘contentino’ propagandistico a tutti.

      Un mio famigliare che aveva votato m5s. Mi chiese perchè mi rifiutavo di votarli.
      Risposi che un gov m5s è come il lancio di una moneta, puo’ capitarti il governo migliore che l’Italia abbia mai avuto sin’ora, oppure una dittatura che nella storia umana non si è mai vista prima. Non mi sbagliavo a dubitare di chi faceva dell’incoerenza il proprio credo politico.

  19. Passeggiata = atto del passeggiare (Treccani). Passeggiare = camminare lentamente, per divertimento e distrazione o per esercizio fisico (Treccani).
    La FAQ recita:”le passeggiate sono ammesse solo se strettamente necessarie a realizzare uno spostamento giustificato da uno dei motivi appena indicati”. Dato che fra i motivi indicati c’è l’attività motoria all’aperto, possiamo passeggiare per andare…a passeggiare. Ma attenzione, se passeggiate semplicemente per passeggiare, come atto fine a sé stesso, allora non state passeggiando come atto di esercizio fisico, dunque siete sanzionabili (è noto che se passeggi cazzeggiando sei contagioso, se passeggi facendo attività fisica non sei contagioso). Ma attenzione ancora, se invece di passeggiare state camminando speditamente allora non c’è problema, perché questa è attività motoria, ma mi raccomando a non rallentare, altrimenti ricadete nel caso descritto sopra, e dunque siete sanzionabili.
    Insomma, siamo ad una specie di comma 22: se passeggi non fai attività motoria, ma puoi fare attività motoria passeggiando.
    Simili stravaganze le ritroviamo anche quando ci si contorce per tentare di uscire dal cul-de-sac dei congiunti; ad esempio ci si arrabatta e affanna ad elencare parentele e affinità, ma poi si inserisce la dizione “le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo”. E vienimi un po’ a dare la definizione di legame affettivo. Affetto = “Sentimento particolarmente intenso, che trae energia dagli istinti, e s’acuisce sotto l’impulso di cause atte a commuovere l’animo (ira, sdegno, amore, pietà, ecc.)” (Treccani). E vienimi a sindacare la stabilità (temporale? Emotiva?) di questo legame.
    Siamo di fronte al tentativo (necessariamente raffazzonato e sciatto) di burocratizzare qualcosa che sfugge anche alla razionalità.

  20. A proposito dell’“addendo a questo post”, mi ero già accorto stamattina, leggendo le FAQ del decreto, della sua sostanziale assurdità, con punte di ridicolo e grottesco, ben rilevate da chi ha redatto il post. Le paure di chi temeva fortemente che la famigerata Fase 2 sarebbe stata un fregatura pazzesca (senza far nomi, sono i soliti pochi) sono risultate del tutto fondate, purtroppo. Si erano timidamente fatti progetti, sembrava finalmente possibile riprendere attività congelate da due mesi, magari senza troppi voli pindarici, ma insomma. Invece no, leggendo il decreto ci si accorge che, semplicemente, rimane praticamente tutto come prima, a parte la ripresa del lavoro ‘grosso’, e la possibilità di “andare a trovare il convivente” (sic!), mentre bar, barbieri, ristoratori, musei rimangono chiusi, gli ultimi fino al 18 e tutti gli altri fino al 31, almeno… In più, da domani, obbligo dell’uso di mascherine per entrare in negozi e mezzi pubblici, dopo due mesi! e senza che ciò permetta la riapertura degli esercizi di cui sopra, come mi sarei aspettato (la mascherina mi ripugna, l’avrei messa molto più volentieri in quel caso).
    Segnalo che fuori Italia qualcuno si è accorto che stiamo derivando verso l’abisso, e un paese che si reggeva sul turismo probabilmente perderà 25 milioni di presenze la prossima (imminente) estate. Su The Guardian, infatti, due corrispondenti italiani (che qui probabilmente verrebbero censurati dagli editori o zittiti dal popolo degli zombi in mascherina) hanno pubblicato un pezzo così: https://www.theguardian.com/world/2020/may/03/anger-as-italy-slowly-emerges-from-long-covid-19-lockdown in cui si parla, già nel titolo, di “Anger in Italy”. Intanto gli illustri firmatari del documento apparso sul manifesto si compiacciono per la conservata “libertà di parola e di pensiero” (sic!!!), e altrove, l’ineffabile Zagrebelsky, quello che prese posizione in favore delle cosiddette madamine Sì-Tav (“ma qualcuno le ascolti, povere, è nel loro diritto!”) esprime disprezzo e arroganza verso chi osa lamentare la sospensione delle libertà civili e individuali da due mesi.

  21. Vorrei condividere con voi quanto mi è accaduto ieri, 2 maggio, ovvero in occasione della prima passeggiata, ops, “attività motoria semplice”, finalmente consentita senza limiti di distanza da casa.
    Le mie uscite in questi due mesi di lockdown sono state sempre limitate allo stretto indispensabile.
    Ieri ho preso mio figlio 13enne e con lui mi sono recato finalmente verso il mare, percorrendo strade per lo più ancora deserte.
    La mascherina, qui è obbligatoria SOLO in spazi chiusi ovvero all’aperto IN PRESENZA di altre persone, l’avevamo lasciata sotto il mento, per godere dell’aria frizzantina che arrivava dal mare, anche percorrendo l’ultimo tratto di strada, larga circa 3 mt, sgombra di persone.
    A metà di quest’ultimo tratto, noto una famiglia in bici che in fila indiana procede verso di noi, sul lato opposto
    Ebbene: il padre, che guidava la fila, intravista una rientranza esterna si ferma, imitato da moglie e figlio, come per aspettarci.
    Io proseguo senza curarmene e, giunto in prossimità (a circa 2-3 mt), vedo costoro rivolgermi ampi gesti di allontanarmi seguiti da un chiaro invito: “stia distante, non ha la mascherina, si allontani”.
    E’ seguito un brevissimo diverbio. Ribadisco che la distanza era di ALMENO 2 mt e che se i signori non si fossero fermati, ci saremmo incrociati per pochi secondi.
    So che sto raccontando un episodio di scarsa importanza, ma ne sono uscito letteralmente sconvolto. Ero al corrente di come la polizia ormai fosse stata investita di un esteso e arbitrario potere di “interpretare” le norme per sorvegliare e punire, a seconda delle circostanze, i cittadini; non ero preparato, invece, a dover far fronte a famigliole qualsiasi che, nel pieno di una passeggiata di piacere, si improvvisano sbirri in pattugliamento permanente.
    Non voglio dilungarmi oltre. A casa ho pianto, ho preso a calci il divano, ho dovuto far ricorso allo xanax. Per me quella passeggiata, la libertà di uscire di casa, la possibilità di esporre il mio volto al sole e all’aria, e magari incrociare il viso e il sorriso di altri esseri umani, rappresenta un filo di speranza e di voglia di vivere, cui aggrapparmi per scavallare un tempo molto duro e di totale solitudine.

    • Ciao paolo_g, quello che racconti descrive appieno la mie stesse sensazioni. Ci aspettiamo le sanzioni frutto dell’arbitrio interpretativo ad opera di soggetti che indossano una divisa ma non portano con sè buon senso ed almeno qualche rudimento di diritto, ma è faticoso abituarsi a situazioni come quella di cui sei stato protagonista. Grazie a provvedimenti assurdi ed al continuo lavorio di pessimi media la maggior parte delle persone crede che basti incrociare qualcuno per strada e che anche scambiarsi uno sguardo rappresenti un rischio. Per un attimo, mentre scorrevo nella lettura, ho sperato che quella famiglia si fosse fermata per far due chiacchiere liberatorie con qualcuno che non fosse ascendete o discendente. Invece…comprendo la tua reazione. Dovremo far appiglio ad una buona dose di autocontrollo per non sbroccare. Ma, come scrivono i WM… “ benvenuti in Assurdistan!”.

    • terribile. è ciò che più temo ogni volta che esco di casa, altro che il virus.

      magari può consolare: forse è solo fortuna, ma personalmente, a parte un paio di episodi sgradevoli e più sgradevoli, mi è capitato di assistiere e partecipare a molteplici atti di spontanea fraternizzazione tra mascherati, semimascherati e non mascherati, anche mutuamente sconosciuti, cose che ogni volta mi riempiono il cuore di speranza.

  22. Sk8 or die, o meglio, sk8 or covid?
    riprendendo il problema della discrezionalità dell’applicazione di sti benedetti decreti mi chiedo se andare sullo skate non sia attività concessa o meno. Da quanto so il codice stradale è esplicitamente contro gli “acceleratori di andatura”.
    Domani voglio vedere se vengono a rompere i coglioni quando andrò allo skate park all’aria aperta… Stranamente in italiano non ho mai trovato niente a riguardo. Dove è sparita la cultura sk8 in italia?

    Magari per il prossimo sceriffo che incontro sarà un’attività “ludica” e non sportiva…

  23. Sinceramente, nell’addendo la discussione su cosa sia l’attività motoria mi sembra abbastanza inutile; per carità, definizione farraginosa, ma si desume abbastanza facilmente che la passeggiata è consentita nel momento in cui è attività motoria. Ho preferito lo spostamento del focus sul fatto che, scritta così, sembra solo che uno debba camminare e non possa fermarsi su una panchina pure in solitudine (scena a cui ho purtroppo assistito sul Lungo Dora qui a Torino); pertanto la puntualizzazione di Casarotti, nella mia lettura, viene meno e il tono sardonico mi sembra sconfinare nella sbruffonata di un calembour linguistico.
    La parte più interessante ovvero relativa alla possibilità di rilassarsi e fare una passeggiata per poter “stare” in un posto piacevole (cosa non spiegata nella faq: l’accesso a un parco per me significa anche poter andare lì e stare su un prato, se ci sono gli addetti preposti al rispetto dei non assembramenti e delle misure di sicurezza perchè non posso sfruttare il parco per lo scopo per cui esiste, ovvero darmi mezz’ora di respiro?) è stata liquidata in poche righe e peraltro anche l’uso della parola “cazzeggio” mi sembra un po’ forzosa e che tenda a giocare su un’empatia dell’informalità contrapposta al latinorum della faq, sottolineata poi dai giocosi riferimenti al vestiario, un po’ imbarazzanti nella mia lettura.
    Tutto il resto delle riflessioni sono molto più interessanti, ma molto abbozzate, pur essendo sicuro che ne parlerete in maniera più approfondita nei prossimi contributi.

    • Quando arriveranno multe perché la tal passeggiata, secondo il giustiziere in divisa di turno, non era finalizzata all’attività motoria ma a qualcosa d’altro che ora a noi appare misterioso ma nella mente del giustiziere avrà parvenza di chiarezza, si capirà che sollevare il punto era lungi dall’essere inutile. Capirei queste riserve se non venissimo da due mesi di assurdismo repressivo, ma purtroppo è da lì che veniamo. Ogni vaghezza, illogicità e incongruenza in decreti e ordinanze deve metterci sul chi vive.

      • Sinceramente, leggendo le FAQ, ho pensato continuamente “ok, ma ad un certo punto scriveranno esplicitamente che la passeggiata è considerata come attività motoria”, e il fatto che invece non ci sia questa precisazione mi fa pensare che sia stata volontariamente esclusa. Ho avuto il vostro stesso senso di smarrimento, e ho pensato subito agli anziani, per cui la passeggiata è, in molti casi, la principale attività motoria, ma che (per andatura e abbigliamento) può non sembrarlo. Non ho dubbi sul fatto che arriveranno sanzioni in merito. Non è una questione da prendere poco seriamente.

        • Notchosen io da lettore distratto e non particolarmente malizioso penso di leggere ciò che dici nella faq.
          Il riferimento all’abbigliamento, partito dal post e ora finito agli anziani lenti mi sembra una forzatura a posteriori e mi fa venire in mente una vignetta di Ortolani. Non voglio sminuire le potenzialità delle forze dell’ordine di essere totalmente ottuse, reazionarie, volubili e dall’abuso facile, perchè ne hanno dato ampiamente dimostrazione, ma, proprio in relazione a ciò che dici nel commento successivo che hai scritto, secondo me questo periodo sarà molto più tendente alla carota che al bastone per un motivo molto evidente: se le persone in questo momento fanno un passo in più fuori di casa, si legittimerà un nuovo “lockdown” serrato quanto quello della fase 1, mascherando i danni epidemici provocati dalle aziende riaperte con quello della passeggiata concessa. Per questo motivo, personalmente accolgo la cautela, ma se tu inviti a non prendere la questione poco seriamente, non vedo come i toni per me fin troppo beffardi del post sulla questione possano aiutare a non sminuirla, anzi, l’effetto che ho avuto leggendo è stato quello di una integrazione ironica dell’abuso nella nostra vita (se non fosse che sicuramente non è quella l’intenzione perchè conosciamo tutti gli autori).
          Per Wu Ming 1: Ops, impadronirsene non era effettivamente una scelta azzeccata, abbi pazienza. Dopo aver lodato all’inizio le vostre doti divinatorie con le previsioni da febbraio, non sminuire la potenza della community, però! :) Passami questo umorismo un po’ facilotto, ma comunque grazie per i chiarimenti ed anche per aver citato l’unico filosofo di cui posso dire di averne capito effettivamente i lavori! Anche lui si era trovato una community esigua intorno, però poi…

          • Guarda che quelle che tu hai interpretato come battute non lo erano affatto. I non-criteri con cui in Italia si adocchiano, fermano e sanzionano le persone sono basati su considerazioni del genere. Se hai l’atteggiamento/aspetto “sbagliato” nel luogo “sbagliato” e incocci la pattuglia sbagliata, verrai vessato, umiliato e multato per centinaia o migliaia di euro.

            La situazione in Italia è già da settimane o addirittura fin dall’inizio a macchie di leopardo. In alcune zone potevi godere di ampi margini di libertà, in altre – soprattutto in provincia – ti multavano non appena uscivi di casa. In alcune zone non c’erano praticamente delatori, in altre c’era un controllo sociale soffocante. Non ha molto senso dire che nella fase 2 si userà solo la carota o solo il bastone. La discrezionalità consiste appunto nel poter usare l’una o l’altra nei confronti di comportamenti identici. In alcune occasioni si userà la carota, in altre il bastone, quando non il manganello, e forse pure i lacrimogeni.

            Nel mio quartiere di Bologna la situazione è sempre stata caratterizzata da disobbedienze, trasgressioni, microtattiche di resistenza, con una vita sociale “clandestina” resa possibile della scarsità di delatori e, penso, da precise considerazioni delle fdo. Spostandoti a sud, non appena passavi il ponte che separa il rione dal centro cittadino, strade deserte e pattuglie dappertutto. Spostandoti a nord, e dando un’occhiata (clandestina anch’essa) a quel che accadeva nel comune limitrofo, trovavi delatori e ronde, e vigili assatanati. E parliamo di pochi chilometri di distanza.

            • Ho già specificato in una risposta a Wu Ming 1 che la mia visione è mitigata dal fatto che nella zona che vivo e in cui mi sposto la situazione è sicuramente più vivibile rispetto ad altre.
              Dopodichè, se il post inizia con i Monty Python in analogia al governo, continua con un tono molto confidenziale rispetto ad altri vostri tra trombamici, cazzeggio, zozzon* e conclude una riflessione con “Italiani eunt domus!”, io interpreto in maniera ironica la stessa riflessione e sapete meglio di me che l’umorismo è un’arma a doppio taglio. Non ho specificato a caso che quella è stata una mia impressione e che ho ricevuto personalmente quel taglio.
              Altro punto: è chiaro che non si userà solo bastone o carota a livello micro, ma la narrazione a livello macro sarà di un certo tipo. Nella fase 1 la macronarrazione degli eventi è stata quella dei giustamente puniti, del terrore nell’aria e degli sciagurati che addirittura osano corricchiare qua e là; la fase 2 la vedo più orientata ad una macronarrazione che esalti il lato carota delle gentili concessioni a libertà che pensavamo di avere e che invece, a quanto pare, ci erano date solo in prestito.

              • Ma il fatto che ci siano anche humour e sarcasmo non implica che ogni singola frase sia una battuta o uno scherzo, men che meno lo implica il ricorso a un registro informale. «Trombamico» è un termine di slang ma il ruolo che descrive è reale e diffuso; «cazzeggio» non è nemmeno più un termine di slang… Le considerazioni sul dover avere l’aria di chi fa qualcosa di “definito” e “mirato” erano serie, in continuità con tutte le analisi fatte in questi mesi e fatte alla luce di quel che si è visto succedere sinora.

                • Non voglio entrare in un territorio che non è il mio, in quanto non scrittore, quindi capisco ciò che intendi, ma mi riferivo solo al punto di vista che ho in quanto lettore.
                  Il tono di quella parte dell’addendo, proprio perchè costantemente puntellato da humour e sarcasmo e in contrasto col proseguimento dello scritto che invece è molto più pacato e meno confidenziale, mi ha portato a leggere la prima parte con tono sardonico e non l’ho apprezzato particolarmente.
                  La varietà di stili è sicuramente uno dei vostri tratti, quindi non è che sia stupito di quello, semplicemente è stata una mia interpretazione delle dinamiche dello scritto, l’ho esternato ed ho avuto chiarimenti. Nel momento in cui sono stato richiamato da Notchosen alla serietà del tema, ho spiegato il mio punto di vista e sviscerato altro che suggeriva.

      • La cautela che suggerisci mi pare assolutamente comprensibile e necessaria, forse vengo da un momento di entusiasmo perchè sono un paio di giorni in cui vedo felicemente persone passeggiare, non abusare di mascherine, fermarsi a fare due chiacchiere e la riapertura del mercato di Porta Palazzo sembra suggerire il fatto che, almeno alcuni, abbiano attraversato e superato i timori da spazio pubblico.
        La preoccupazione che vivo è legata proprio alla polarizzazione che Conte ha creato su di sé in questi mesi e che sta ora maturando. Ad un giurista come Ferrajoli se ne contrappongono 30 che, pur in toni moderatissimi, richiamano l’attenzione sul fatto che questo governo ha creato un precedente tale nella gestione di un’emergenza che rende davvero necessario discutere di quanto sia successo (https://www.open.online/2020/04/29/ripristinare-garanzie-costituzionali-lettera-aperta-premier-conte-trenta-giuristi-torinesi/) .
        In questo contesto, le destre che hanno avvertito il mutamento dei venti stanno conducendo le loro lotte a livello regionale, erogando libertà in maniera generosa e magnanima e cercando di cavalcare il malcontento che ha eroso anche i più timorosi difensori dello #stareacasaattuttiicosti, che aspettavano un premio di libertà dopo il sacrificio della reclusione.
        Mi sembra che si stia nuovamente ribaltando il pubblico politico e non impadronirsi ora di questa discussione possa essere un passo falso, vedendo all’orizzonte che il liberalismo sta prendendo la rincorsa per imboccarsi goffamente tra i denti di tutti.

        • Eh, non solo siamo già dentro questa discussione, ma l’abbiamo anticipata fin da febbraio. Però «impadronircene» non possiamo. Possiamo smontare i frame in cui viene volta per volta inserita, e, come vuole il pensiero critico, «unire ciò che ingannevolmente appare diviso, dividere ciò che ingannevolmente appare unito»: mostrare – anche grazie a post come quello qui sopra sul lavoro – che la «riapertura» delle destre non è la nostra (anzi, per molti versi è l’opposto della nostra), che quelli che oggi fanno i paladini delle libertà sono appena stati tra i peggiori carcerieri degli italiani (Fedriga, per dirne uno), che in realtà dietro le apparenze il governo nazionale e le regioni amministrate dalle opposizioni, con poche sfumature, hanno sempre fatto la stessa cosa, cioè gli interessi dei padroni. Possiamo fare la guerriglia, ma non molto più di questo, perché, per citare il filosofo Derek Zoolander, «chi siamo mai?» Scrittori che hanno un blog e una community intorno, ma nemmeno un millesimo della potenza di fuoco del mainstream.

      • È esattamente così anche secondo me. Il combinato disposto di decreto, Faq e post su FB di Conte significa che la “ passeggiata” ( ormai assimilata ad una strage con il gas nervino) è consentita solo se volta a realizzare uno spostamento tra quelli autorizzati ovvero lavoro, acquisti, necessità come visite mediche, attività motoria. La passeggiata fine a sè stessa, il deambulare senza scopo apparente o autocertificabile è vietata. Pertanto attenzione all’abbigliamento ( l’attività motoria la vorrai fare mica in gonna e ballerine?) ed anche al piglio perché la valutazione del nostro agire sarà ancora TOTALMENTE orientata dalla discrezionalità del pubblico ufficiale che incrociamo sul nostro cammino, del suo umore di giornata e delle indicazioni che ha ricevuto dai suoi superiori. Non so a voi, ma a me sta venendo una gran voglia, se potessi permettermelo, di emigrare.

    • Spiego per esteso la mia lapidaria sententia riportata nel post odierno.
      Dal punto di vista della lingua del diritto, il problema della risposta alla FAQ n. 3, almeno quello che vedo io, è che thema (ossia, nell’analisi degli enunciati, ciò di cui si parla) e rhema (ossia ciò che del tema viene detto) non sono tra loro coerenti: o, se vogliamo, che il thema stesso non è chiaro. Leggendo la domanda, si ricava che il thema è la passeggiata. Dunque, secondo il significato comune delle parole, la realtà extralinguistica a cui l’enunciato si riferisce dovrebbe essere, riporto a esempio dal dizionario Treccani, l’attività di «camminare lentamente, per divertimento e distrazione o per esercizio fisico, spesso senza una meta precisa.» Nella risposta, invece, si fa riferimento, tra gli altri, all’atto di muoversi a piedi, che viene qualificato in almeno tre modi diversi: “passeggiata”, “attività motoria”, “spostamento”). Per ciascuno di essi sono predicati permessi o divieti. In particolare, la passeggiata è permessa o vietata a seconda dello scopo per cui la si compie. Nella risposta, quindi, il significato (meglio: l’intensione) del termine “passeggiata” è spostamento a piedi. E a rigore, lo spostamento a piedi costituisce, sempre secondo il significato ordinario delle parole, attività motoria.

      Al punto 3, perciò, l’estensore delle FAQ ha sì impiegato termini della lingua comune, ma nel farlo ha impresso ad alcuni di questi termini uno slittamento semantico. Slittamento che però genera ambiguità, essendo lasciato a chi riceve il messaggio il compito di ricavarlo. Quest’ambiguità, e le possibili interpretazioni arbitrarie cui essa apre, si sarebbero potute facilmente superare fornendo una definizione dei termini chiave adottati, sulla scorta d’una formula del tipo “ai sensi del presente testo, s’intende per attività motoria etc.”. Nulla di tutto ciò è stato fatto, e omissioni di questo tipo meritano d’essere segnalate, soprattutto a fronte di una tipologia testuale come quella delle FAQ, che ha per scopo principale la chiarezza.

      • Il senso (ammesso che ve ne sia uno) della demenziale distinzione passeggiata/attività motoria è quello di “togliere gente dalla strada”. Ammettere la passeggiata, cioè il semplice camminare, avrebbe significato dare a tutti la possibilità di andarsene “a spasso” per strada senza problemi (che stai facendo? sto passeggiando? fine dei controlli). In ogni caso, la indeterminatezza delle norme (certificata dalla esistenza delle FAQ, rispetto alle quali non sussiste alcun obbligo di conoscenza legale) darà naturalmente luogo a una raffica di annullamenti in sede giudiziaria.

        • Riportiamo qui un brano da un commento di Prato Verde appena pubblicato sotto il post «Max Headroom-19»:

          «Pagina di FAQ del comune di Bologna: “NON SI PUÒ svolgere attività ludico-ricreative (prendere il sole).” Qual è la ratio? Fra l’altro in una conferenza stampa ieri Merola specifica che i parchi saranno controllati dalla Polizia che non esiterà a irrogare multe. Mi viene in mente immediato, chiarissimo, il ricordo di “W”, di Georges Perec, delle attività sportive promosse purché siano competitive, che man mano diventano più spietate, finché si palesano come lavori forzati fino alla morte in campo di concentramento. Si vieta esplicitamente l’attività ricreativa, cioè il divertimento, la gioia; l’attività sportiva è consentita purché in solitaria: che nessuno pensi di poter tirare un sospiro di sollievo. Eppure le quantità di respiro emesse nell’aria giocando una partita di pallavolo al parco sono le stesse di una persona che corre da sola, e volendo anche la distanza tra persone è la stessa. Ma il gioco no. Prendere il sole no. Potrebbe donare piacere. Potrebbe portare un sorriso. I bambini che giocano INSIEME potrebbero ricordare la gioia di vivere. Invece dobbiamo essere seri, contriti, performanti ma senza sentimenti, anche il dolore è finto, se ci si azzarda a essere sereni ci vengono sbattuti in faccia i morti, ma se poi ci sono dei funerali viene vietato di salutare quegli stessi morti.»

  24. Questa Fase 2 è, fino ad ora, il più grande fallimento comunicativo da quando è iniziata l’emergenza. Il fatto di chiamarla “fase 2” dava l’idea di una sostanziale differenza rispetto alla situazione precedente, e il fatto che questa differenza non ci sia è stata percepita in modo molto negativo. Vedo e sento sempre più spesso persone che fino ad una settimana fa erano grandi estimatori di Conte, e che ora se ne fanno beffe. Il problema è che a giovare di questo dissenso rischiano di essere le figure di destra, perché la narrazione sulla necessità delle riaperture per far ripartire l’economia si scontra direttamente con la visione più emergenziale (“state in casa, potrebbero risalire i contagi”). Al massimo si ride della vaghezza delle comunicazioni o della definizione dei congiunti. Quello che manca in tutti i media è un approccio “da sinistra”. Non è possibile che l’approccio sia quello di sostenere il governo Conte. E’ chiaro che per poter riaprire le fabbriche servirebbe controllare che si possa lavorare in sicurezza (magari con controlli degli stessi lavoratori), ma questi sono discorsi che non si sentono. Altre posizioni di sinistra sono le vostre, che ho visto rispecchiate in interventi di altri autori e giornalisti (Marta Fana, Ida Dominijanni) ma rimangono ancora minoritarie. Coma fare per far emergere questi discorsi in mezzo a tutto il liquame generato da governo e opposizione di destra?

    • Scusa, solo una precisazione: è ben difficile vedere le nostre posizioni «rispecchiate» in quel che scrive Ida Dominijanni, che ha difeso le virtù dello #stareimcasa, difeso il governo dalle accuse di autoritarismo e firmato l’appello «Basta gli agguati»…

      • Vero, scusa, avrei dovuto essere più preciso. Avevo anche avuto un dubbio nel citare Dominijanni proprio per quello che sottolinei giustamente. In un suo articolo in cui giustificava lo #stareincasa, però, esprimeva anche delle idee tipo queste:
        “Che non si riapra[…[ con la stessa confusione normativa e istituzionale fra governo, regioni e comuni che abbiamo subito fin qui[…]. C’è un salto nella coscienza collettiva che non lo consentirebbe, e che non è l’ultimo dei fattori di cui tenere conto per immaginare il futuro prossimo: non siamo più gli stessi di prima, ma non siamo nemmeno diventati quello che avrebbe voluto farci diventare la melensa pedagogia di massa elargita per cinquanta giorni dalla tv a reti unificate all’insegna dello spot “andrà tutto bene”. Non è andato tutto bene, e quello che abbiamo condonato fin qui sotto la morsa dell’emergenza non lo condoneremo da qui in avanti.”
        E mi pareva che, specie l’ultimo passaggio, fosse in consonanza, seppur in versione più lieve, con la vostra idea di fissare dei paletti, per ciò che non sarebbe più stato tollerato.
        Ma forse la lettura dei due articoli in rapida sequenza mi ha ispirato un collegamento più netto del dovuto.

  25. Secondo me l’Appello “Basta con gli agguati” si spiega col vecchio adagio “far buon viso a cattivo gioco”. Il cattivo gioco -le pessime condizioni oggettive- è costituito dalla presenza di due partiti che, sulla stampa inglese, sono definiti di estrema destra (far-right): “Al leader italiano di estrema destra Matteo Salvini…è stato detto che non era il benvenuto nel Regno Unito, dopo che biglietti per eventi col suo nome erano stati venduti a Liverpool e Londra”. Così il Guardian dell’11 febbraio 2020. Gli eventi erano organizzati da “Lega nel Mondo, una network europeo creato da Salvini nel Settembre 2018”.
    “Gli eredi del Fascismo cercano un’alleanza di estrema destra con Matteo Salvini”, un titolo di The Telegraph dell’Agosto 2019.
    Bisogna difendere il PD ad ogni costo! Questa la frase che avrà frullato nella testa di tanti firmatari.
    Dal punto di vista culturale si può paragonare al colossale errore strategico che ha distrutto il più grande partito comunista occidentale quando, per paura che Berlusconi creasse un “regime” (come paventava il vecchio Bobbio), il Partito Democratico della Sinistra si alleò con i clericali.
    I risultati sono noti: tutte le volte che la “sinistra” è andata al governo, abbiamo avuto dei presidenti del consiglio clericali, da Prodi a Letta, e Renzi, Gentiloni, Conte.
    Mi viene in mente un tragico episodio della Controriforma raccontato da Adriano Prosperi nel suo Tribunali della Coscienza, il massacro dei Valdesi in Calabria. I poveri valdesi incarcerati e in attesa del rogo ricevevano la visita notturna dei gesuiti che cercavano di riportarli all’ovile. Anche in caso di abiura dell’eresia per loro ci sarebbe stato il rogo, ma l’anima era salva.
    La sinistra, abdicando al suo ruolo di coscienza critica, col possibile rogo delle prossime elezioni avrà perso anche l’anima.

  26. Stamattina mi arriva una mail da rettore dell’università (unimi) ..
    Una mail dai toni apocalittici appunto del tipo “nulla sarà come prima” e “Bisogna al contrario saper vedere, con umiltà pari al rigore, che la ricerca scientifica e i percorsi formativi sono il punto da cui ricominciare, i tasselli fondamentali per costruire la storia delle nuove generazioni” …
    Nuove generazioni? Sembra che a scrivere sia uno che ha appena visto un film ambientato in una situazione da “post-olocausto nucleare”.

    La cosa più assurda comunque è questo pezzo:
    “Il 21 febbraio scorso, prima di qualsiasi decreto od ordinanza nazionale o regionale, le Università lombarde decisero tutte insieme di sospendere le attività didattiche e, pochi giorni dopo, di trasferirle a distanza, con un rilevante sforzo organizzativo ed economico.”

    Ok “sforzo organizzativo” ma come è giustificabile parlare di “sforzo economico” dal momento che lo studente paga tasse salate e si ritrova con zero servizi “fisici” e tutto passa online su grandi piattaforme ? (alle quali bisognerebbe chieder soldi anzichè ringraziare per i “servizi gratuiti”)

    (Il testo completo della mail: https://pastebin.com/vsxJezNa)

    Gli esami verranno fatti su Zoom (!!)
    Non ne avevo mai sentito parlare e mi sono documentato.
    Eccolo in tutto il suo ‘splendore’:

    https://en.wikipedia.org/wiki/Zoom_Video_Communications#Privacy
    https://en.wikipedia.org/wiki/Zoom_Video_Communications#Security

    Software opaco sia dal punto di vista della privacy che della sicurezza informatica (ed è specialmente paradossale il suo uso in corsi di laurea in sicurezza informatica).

    Il programma ha una storia esemplare, nel senso che è l’esempio più calzante di quali programmi NON andrebbero mai usati (in alcun contesto, men che meno in DAD).

    Ciao e grazie a tutti per la discussione interessantissima!

    • scrivo soltanto per dire una cosa: finché avremo gente come il Franzini a decidere le sorti dell’università direi che possiamo stare tranquilli. capisco che la lettera sia, come dire, diplomatica. d’altronde non è che potesse scrivere altro. e dipende da come si interpreta il discorso dell’organizzazione. volevo dire insomma che Franzini è un bravissimo docente (e difficilmente decido di dire il mio pensiero. tendenzialmente vince la pigrizia)e se ci aveste scritto la tesi penso che sareste d’accordo con me. in quattro mesi abbiamo scritto e concluso una tesi specialistica piuttosto impegnativa senza deleghe al correlatore. mi disse il nome del correlatore soltanto quando fu il momento di fare la domanda di laurea. a tesi scritta. e scelse comunque un correlatore, anzi una correlatrice, importantissima. e non sono mai stata una studente da centodieci e lode. mi sono laureata fuori corsissimo. però mi ha ascoltata e ho potuto scrivere la mia tesi. mi diceva con poche parole le migliorie da creare. leggeva in tempi velocissimi e mi aiutava senza condizionarmi. quindi non mi preoccuperei

  27. L’episodio riportato da antigogna è un esempio lampante di quanto si è detto e si dice da molto tempo su questo forum: Covid è l’occasione (insperata per il sistema) per imprimere una decisa accelerazione a quelli che sono già dei programmi da “implementare”.
    Una università, così come una grande azienda o un sistema pubblico, non producono un “rilevante sforzo organizzativo ed economico” per lasciarlo poi morire una volta passata la contingenza. Lo sforzo economico deve avere un ritorno.
    Gli studenti universitari sono già cresciuti, sono adulti, per loro non bisogna considerare aspetti come la socialità, o la formazione della personalità di cui il contatto con i coetanei è parte imprescindibile; dunque non è un grosso problema se la lezione, invece di farla in un’aula con il docente che proietta slide, si fa su uno schermo di PC. Ed ecco il ritorno dello sforzo di cui sopra, sotto forma di (consistente) risparmio sui servizi da erogare allo studente fisico. E si potrà sempre dire allo studente “smaterializzato” che le tasse non possono diminuire, dato che gli viene fornito un servizio efficiente che ha comportato “un rilevante sforzo organizzativo ed economico”.
    Mi auguro di sbagliare, ma a mio parere il sistema universitario, dopo la devastazione del numero chiuso e delle varie riforme, subirà da questa vicenda della pandemia uno scossone da cui non si riprenderà. In questo senso il rettore ha ragione: nulla sarà come prima.

  28. Fase due e conflitto di classe:

    1. MISURE SANITARIE. Potenziare la Sanità e sostenere i lavoratori di ospedali, ospizi ecc. interessa soprattutto a lavoratori e ceto medio-basso, ma è osteggiato dal grande capitale che vede la Sanità come spesa pubblica da tagliare e occasione di profitto privato.

    2. MISURE DI SOSTEGNO ECONOMICO. Grande partita tra le classi per chi si becca la fetta più grossa, coi ceti più deboli che si accollano il grosso dei costi. La piccola borghesia vorrebbe una rottura dei vincoli europei per liberare risorse pubbliche, mentre il grande capitale vede nel rigore europeista e nella futura austerity una necessità strategica: se anche i soldi sono pochi, a loro arriveranno.

    3. CHIUSURA DEI NEGOZI. La piccola impresa protesta, dice che è tutto un complotto, piange miseria (spesso anche sinceramente), chiede aiuto. I loro lavoratori restano molto fregati. Confcommercio dice che Milano/Bergamo #nonsiferma. Destra e Renzi cavalcano soprattutto la fregola di ripartire di questo ceto, ma lo hanno fatto anche sindaci PD.

    4. CHIUSURA DELLE FABBRICHE E DELLE GRANDI AZIENDE. Qui è la grande impresa a scalpitare, tramite Confindustria. I loro lavoratori hanno più chance di cavarsela anche a fabbrica chiusa, con gli ammortizzatori e vertenze aziendali. Sanno che non basta qualche settimana a far fallire l’azienda, spesso hanno paura del contagio perché lavorano in tanti ammassati. Tutti, incluso Conte, stanno alla fine cedendo a questi interessi e infatti domani tutte le fabbriche e i cantieri ripartiranno.

    5. SOPPRESSIONE DELLA VITA SOCIALE. Colpisce tutti, ma come sempre è molto più dura per chi ha casa piccola, meno gadget domestici, una vita più dura in generale. Inoltre, è attraente per le pulsioni autoritarie dell’intero arco parlamentare.

    • Di fronte a questa situazione, quello che sta facendo lo sciagurato appello «Nessuno tocchi Conte» comparso sul Manifesto (e in seguito rivendicato con toni trionfali da Norma Rangeri) è dire che la sinistra che si dice radicale, anticapitalista, addirittura comunista, cioè insomma quelli che vorrebbero rappresentare la voce del proletariato, devono fare comunella con la grande borghesia lungimirante per arginare la piccola borgesia reazionaria. Ogni singola volta che si è tentata questa strada si è demolita la sinistra e spesso si è pure fatto vincere i reazionari. Le chiacchiere contro i tecnocrati e i poteri forti stanno a zero se non si vede che su tutti i punti la linea del grande capitale sta già prevalendo, e se non ci credete studiate la biografia di quel Colao che è a capo del comitato degli espertoni di Conte; Confindustria usa Confcommercio, Renzi e la destra come pedine per alzare la posta, non sarà entusiasta di Conte ma di certo non ha molto di cui lamentarsi.

      Mi sembra l’ennesima ripetizione degli errori che hanno condannato alla scomparsa la sinistra in questo Paese, e rifarli a sinistra già annichilita non so a quali nuovi estremi di sfiga potrà portarci. Per fortuna non siamo tutti così e là fuori si muove anche altro. Soprattutto, si muovono alcune fasce di lavoratori, anche contro quel che gli suggeriscono i loro aspiranti rappresentanti politici e sindacali.

  29. Sondaggio di interpretazione fra i lettori.
    Dubbio numero 1: secondo voi “Al fine di svolgere l’attività motoria o sportiva di cui sopra, è consentito anche spostarsi con mezzi pubblici o privati per raggiungere il luogo individuato per svolgere tali attività. Non è consentito svolgere attività motoria o sportiva fuori dalla propria Regione.” significa che è possibile svolgere attività motoria anche fuori dal comune di residenza? Alcuni di noi pensano di sì, anche se altri sostengono che in base a questo articolo, “sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessita’ ovvero per motivi di salute e si considerano necessari gli spostamenti per incontrare congiunti” no.
    Dubbio numero 2: in tema congiunti, “gli affini entro il quarto grado” di un partner che non è né coniuge né partner ufficiale di unione civile si possono visitare o no?
    Dubbio numero 3: se l’ordinanza regionale non nomina un argomento (es. attività motoria e sportiva), significa che vale automaticamente il decreto nazionale?
    Dubbio numero 4 (non serio, solo perché sembra davvero assurdo): se l’ordinanza della Regione Piemonte vieta espressamente soltanto “sosta e assembramento presso i distributori automatici cosiddetti h24 di bevande e alimenti confezionati” significa che sostare e assembrarsi presso una serranda di un negozio chiuso a lato invece è concesso?
    E mi raccomando, cavalieri del Piemonte, ricordatevi di non intrattenervi più di 120 minuti con i cavalli!

  30. Volevo lasciare un commento su quanto successo a Trieste il Primo Maggio, quando si è tenuta una delle poche se non l’unica piazza di sinistra in Italia, contraria alle riaperture selvagge e per il reddito di quarantena, a fronte di decine organizzate dai lavoratori in proprio che chiedono una riapertura selvaggia. Va da se che la nostra piazza è stata l’unica aggredita dalle FDO e che ha destato scandalo. E a proposito di pretesti assurdi quelli per aggredire la piazza sono stati davvero notevoli. Prima hanno detto che non si poteva stare per più di 10 minuti nello stesso posto, poi hanno aggredito chi reggeva uno striscione dando origine a un tafferuglio e un ridicolo tiro alla fune perché a loro dire la presenza di uno striscione configura una manifestazione organizzata e l’intenzione di creare un assembramento. Purtroppo diversi tra i presenti saranno denunciati e multati. E l’obiettivo di occultare le parole d’ordine e i motivi dell’iniziativa è stato raggiunto in pieno. Era molto probabilmente inevitabile malgrado tutte le possibili precauzioni, ma tornare in piazza è stato importante, ancora prima che per gli obiettivi politici di chi ha partecipato, per la semplice possibilità di far politica. Ecco quindi alcune considerazioni in merito

    • 1) In questi ultimi giorni si stanno moltiplicando decine di manifestazioni da parte di lavoratori in proprio stroncati dall’emergenza e abbandonati dallo stato che invocano una riapertura selvaggia (e inutile perché bar, alberghi e ristoranti anche da aperti affogheranno velocemente nei debiti)che potrebbe riprecipitare in paese in una nuova emergenza sanitaria nel giro di un paio di settimane. Tutti i poteri economici e tutti i media spingono per la riapertura. Da quanto mi risulta la nostra è l’unica manifestazione in Italia che è andata in senso diametralmente opposto e che, anche a fronte delle difficoltà dei lavoratori in proprio, afferma che la risposta non è nella riapertura selvaggia, ma nel reddito di quarantena. Il 9 Forza nuova ha chiamato a una manifestazione per la riapertura selvaggia, non potevamo lasciare l’egemonia della protesta contro la gestione del governo e contro la fase 2 ai fascisti e a chi vuole sacrificare la vita sull’altare del profitto o semplicemente per farsi strangolare dalle banche come uno stupido. Dovevamo essere in piazza!

      2) La democrazia e la vita pubblica negli ultimi 2 mesi sono stati sospesi. Ognuno di noi si è trovato ad affrontare una difficile e inedita situazione in isolamento perdendo in gran parte la dimensione collettiva del proprio essere membri di una società. Gran parte delle restrizioni attuate in tal senso sono motivate dalla gravità della situazione e dall’emergenza, tuttavia non è stato lasciato alcuno spazio per un’elaborazione pubblica e collettiva della situazione attuale. Neanche per la fase 2 si è fatto alcun cenno ad un ritorno anche regolamentato a questa possibilità, che si tratti di una qualsiasi manifestazione pubblica o di un’assemblea di lavoratori per discutere la sicurezza sui luoghi di lavoro. Ma è solo la nostra dimensione pubblica e collettiva che ci rende membri di una società. Se è sacrosanto derogarvi per emergenza, la deroga non può essere totale e durare in eterno. Bisognava perciò aprire uno squarcio in questa cappa di isolamento che potrebbe durare a lungo se la si accetta supinamente e riprenderci la dimensione pubblica del nostro essere membri di una società.

      • Un paio di considerazioni sul punto 1.

        I lavoratori autonomi “stroncati dall’emergenza” non sono solo bar e ristoranti che “se riaprono saranno affogati nei debiti”.

        Ci sono le professioni ordinistiche (forse quelli messi meno peggio anche se da anni in una congiuntura non favorevole), gli artigiani e i piccoli commercianti.
        Molti fra questi sono “piccoli” e senza dipendenti. Non tutti fra questi avevano riserve per stare fermi mesi, e anche quelli che le avevano cominciano a sentire la terra mancare da sotto i piedi.
        Anche perché, anche se da oggi si è riaperto, c’è da chiedersi quand’è che si comincerà ad avere di nuovo della liquidità: servono i clienti e le commesse, serve portare a termine le commesse e, buon ultimo, serve anche riuscire a farsi pagare, un problema che forse il commerciante al dettaglio o on-line non ha (non esci dal negozio se non hai pagato e men che meno ti consegnano la roba a casa) ma per pagare una parcella, una fornitura o un lavoro a casa c’è sempre tempo!
        Quelli che hanno spese fisse (affitti? utenze?) sono quelli messi peggio.
        Poi ci sono le scadenze fiscali e contributive (che, se anche vengono “posticipate”, saranno comunque da pagare e forse conviene pagare subito finché hai i soldi per farlo: se non hai la regolarità contributiva non puoi ricevere soldi da lavori pubblici e in teoria anche i privati prima di affidarti un lavoro dovrebbero verificarla).

        Questo per dire che se questi “spingono” per riaprire (a maggior ragione in regioni dove di Covid se n’è visto poco) qualche ragione gliela si può anche dare, soprattutto in assenza di misure come il reddito di quarantena o simili.

        • Aggiungo qui (scusate il doppio post) un paio di note sparse legate ad altri commenti o utili alla discussione che non ci stavano nel commento precedente:

          – relativamente al fatto che alcuni capitalisti prosperano mentre altri falliscono ed escono dal mercato, segnalo che per riaprire oggi le piccole imprese hanno dovuto “sanificare” i locali affidando il lavoro a terzi, e adeguare i vari DVR al rischio Covid.

          – relativamente alle riaperture in fabbrica: miei conoscenti che lavorano in una fabbrica di componentistica iniziano oggi e hanno ricevuto istruzioni di presentarsi 1 ora prima dell’orario per poter adempiere a tutte le procedure (misura della febbre e distribuzione di DPI) prima di iniziare a lavorare.

          • Mi ero già anche sloggato, ma mentre ci sono aggiungo una terza considerazione di ordine più generale.

            Cercherei di non tirare un solco troppo netto tra chi si può definire un “lavoratore” e chi invece è un “capitalista”.

            Soprattutto quando i confini non sono nella realtà così marcati e quando c’è tutto un gradiente di situazioni tra chi ha un posto fisso pubblico di livello, chi è impiegato nel settore privato, chi è operaio in una grossa fabbrica metalmeccanica, chi è operaio in una fabbrica piccola o familiare, chi fa il rider, chi ha una partita iva ma lavora a progetto o a cottimo in uno studio professionale non suo, chi è un professionista singolo e autonomo, chi fa l’artigiano, chi lavora in nero etc.

            Tutte situazioni con diversi redditi ma soprattutto con diversi tipi di “paracadute” in caso di crisi economica o anche semplicemente in caso di infortunio (prova a fare l’artigiano o il rider e a romperti una gamba!).
            Oltre che con diverse “qualità” della vita e benefit in tempi ordinari.

            Tutto questo non voleva essere un commento così qualunquista come invece è venuto, ma era per ribadire che certi solchi, che pure viene a volte automatico tirare, sono quelli che poi spianano la strada alle destre.
            E noi, invece di tirarli, dovremmo cercare di riempirli anche quando a tirarli sono gli altri.
            :)

          • La seconda cosa che dici però è inquietante: vuol dire che le procedure di sicurezza le scaricano sui lavoratori come una specie di straordinario non pagato?

            Comunque il problema della piccola impresa è reale ed è giusto non parificarlo al caso delle grandi aziende. Come sempre però si tratta di provare a spaccare il ceto medio tra chi si sente un piccolo confindustriale e fa causa comune con il grande capitale e chi invece si trova, per ragioni oggettive (numero di dipendenti, fatturato, rapporto con le banche, settore merceologico) e in parte anche soggettive (ideologiche, empatiche, di scelta di collocamento, di origine o contesto familiare ecc.), quasi nella stessa barca dei ceti proletari.

            • Sì, così ho capito ed è proprio per quello che ho sollevato il problema.

              Però va detto che non ho approfondito l’argomento, non so se si tratta di una soluzione adottata “una tantum” per testare le procedure e le tempistiche il primo giorno della riapertura o se sia una cosa più “definitiva” e soprattutto non ho capito né ho chiesto “chi” ha dato la direttiva, se di direttiva si tratta.

              Potrebbe anche essere (mi mancano circa 200 caratteri per arrivare al minimo) che sia un “consiglio” circolato nelle chat degli stessi lavoratori che sono preoccupati di arrivare in ritardo a bollare a causa delle procedure di ingresso in fabbrica.

              • La risposta riguardo a tutte le tue obiezioni è una sola: pretendere il reddito di quarantena.

                Questo lock down mette sullo stesso piano lavoratori in cassa integrazione che non sono stati pagati, precari, disoccupati e partite iva. Per tutti questi deve essere garantita un reddito, e la sospensione o cancellazione di debiti e affitti. Al di là del discorso che il parrucchiere ha più speranze di tornare alla normalità dell’albergatore, comunque finché abbiamo regioni con decine o addirittura centinai di casi ufficiali, riaprire sarebbe folle perché nel giro di 3 settimane potremmo essere di nuovo in crisi. Vedevo ieri uno studio che mostra come invece aspettando fino a giugno la possibilità di una ripartenza della pandemia sarebbe nulla.

                Va da se che per avere il reddito di quarantena la battaglia immediatamente successiva è che la crisi la paghino i ricchi

    • 3) Non vi è un rischio a stare in piazza con la mascherina e distanziati. Se così fosse, i supermercati sarebbero dei centri di infezione pericolosissimi. Se fosse pericoloso stare un paio d’ore distanziati in una piazza, allora i supermercati ci dovrebbero consegnare il cibo a casa, le fabbriche dovrebbero essere chiuse il più possibile e non se ne parlerebbe neanche lontanamente di riaprire alcunché. D’altra parte se posso andare al supermercato o a lavoro, allora non mi si può impedire di andare in piazza in sicurezza a manifestare un mio dissenso o richiedere dei provvedimenti

      4) Il governo italiano si è coperto di crimini gravissimi, ma è riuscito a far passare l’idea di aver gestito la situazione come meglio non si poteva. Questa idiozia andava denunciata pubblicamente. E qui valgono le cose dette sul volantino della manifestazione e in piazza, dalla gestione sanitaria scandalosa, allo scaricare le responsabilità di governo e confindustria sui singoli, al reddito di quarantena, alla richiesta di far pagare la crisi ai ricchi, al fatto di non aver nemmeno erogato le casse integrazioni a chi ne aveva diritto, non si sa se per lentezze burocratiche o per interesse a far sì che i lavoratori fossero disponibili a tornare a lavoro a qualsiasi costo, anche rischiando di infettarsi.

      Ecco il video dell’aggressione da parte della digos
      https://invidio.us/watch?v=u_RPu-v10l8&autoplay=0&continue=0&dark_mode=true&listen=0&local=1&loop=0&nojs=0&player_style=youtube&quality=dash&thin_mode=false

      • Questo video è davvero incredibile. Grazie. Non lo avevo ancora visto. Quando certi intellettuali scrivono che abbiamo ancora libertà di parola, di espressione, a cosa si riferiscono precisamente? La rimozione di uno striscione coincide con la negazione della libertà di espressione. Siamo di fronte ad un episodio gravissimo ma di eclatante evidenza. Anche qui ( a Bologna e chissà in quanti altri posti) è stato rimosso dalla Digos uno striscione con la scritta ” amnistia “. È un gesto provocatorio. Che disturbo poteva recare? Un’ offesa al pubblico decoro o un pensiero “oltraggioso” da silenziare? È palese l’ intenzione di innescare un conflitto. Di alzare il tiro, di sedare i ribelli. Siete stati fantastici. Davvero.

  31. Aggiungo una cosa a quanto scritto da Vincenzo. Ci vorrà una fatica improba per spiegare che lo slogan “non vogliamo tornare alla normalità perché era la normalità il problema” assume significati molto diversi a seconda del posizionamento di chi lo pronuncia. Ad esempio lo slogan potrebbe essere agitato anche dai padroni, per accusare il lavoratori di aver vissuto al sopra delle loro possibilità negli ultimi decenni (come nella canzone “trail of the buffalo” di Woody Guthrie: “you went and drunk too much, you’re all in debt to me”; ma nella canzone alla fine i cowboys ammazzano il drover, a lasciano le sue ossa to bleach on the trail of the buffalo). Ma anche in ambito nostro, un conto è usare quello slogan in piazza, altra cosa rintanati in casa.

  32. Off Topic è un laboratorio politico milanese con cui abbiamo collaborato molte volte, e in questi mesi ha prodotto analisi approfondite e complesse dell’emergenza Covid19. Oggi, sul loro canale Telegram, puntano l’attenzione sul problema della mobilità: a Milano, il trasporto pubblico ha ridotto la sua capienza del 66%. Laddove ATM e TreNord accoglievano rispettivamente 1,5 milioni e 350mila passeggeri, ora ne possono trasportare al massimo 500mila e 150mila. Per contro, in Lombardia rientreranno al lavoro il 69% dei bloccati dai precedenti decreti (oltre a quelli che non hanno mai smesso di lavorare, perché “essenziali” o “derogati” – ben oltre il 50%). Ci sarà quindi una grande massa di persone che dovrà spostarsi e che dovrà farlo con l’automobile – visto che nel frattempo non si sono certo moltiplicate le piste ciclabili. Questo in una delle città più inquinate d’Italia. Altro che ritorno alla normalità, altro che opportunità di futuro: un salto indietro di 50 anni nelle politiche sulla mobilità sostenibile.

  33. A proposito della fase 2 a Bologna e di continui abusi da parte Delle forze dell’ordine:
    sono appena stata fermata e minacciata dai vigili urbani sotto casa mia, nell’area verde condominiale che fa parte di un parchetto pubblico( velodromo). Al mio tentativo di spiegare con calma il fatto che quella ( dati catastali alla mano) comunque era proprietà privata mi è stato detto che” l’attività ludica non è consentita neanche nelle aree private”. Al che irritata ho replicato che loro non possono intervenire sul genere di attività che faccio nella mia proprietà ( leggere al sole in questo caso, svaccata, sì!) mi hanno detto di non fare storie e di ringraziare che non mi avessero neanche multato. Ancora più irritata gli ho risposto che non solo non dovevo ringraziare di un bel niente ma che loro non possono, per legge fare assolutamente niente e di tirarmi fuori il passo del decreto che li autorizzava a intimidirmi.Al che hanno chiamato la polizia, i rinforzi. Sono rientrata dal cancello coi nervi a fior di pelle e dicendo che avrei chiamato in comune per avere spiegazioni. Questa è la dimostrazione che non esiste diritto e che i decreti in questione sono scritti volutamente in modo contraddittorio e ambiguo per confondere la gente,legittimare il libero arbitrio da parte Delle forze dell’ordine volto a farci mantenere un atteggiamento adeguato, penitente e luttuoso.

    • Arianna, purtroppo questa è la dimostrazione di quanto detto finora. Io sono stata fuori tutta la mattina. Ho ripreso una serie di lavoretti per integrare il mio reddito part time da cassaintegrata. Intorno a me ho visto molte persone che sino ad oggi non avevano osato uscire di casa e tutti con un atteggiamento di contrita e dolorosa mortificazione. Mia madre in Lombardia non porta la mascherina all’aperto e mi riferisce di un adeguamento passivo che rasenta percentuali di adesione pari al 99%. Nessuno esce senza mascherina. La minaccia incombente di revocare la libertà vigilata semina un clima di diffidenza nei confronti del prossimo. Il bar che frequento abitualmente ha riaperto, per l’ asporto. C’era una ordinata fila di gente che ha ” opportunamente ” rinunciato all’ idea di socialità che il bar rappresenta per comprare,obbedientemente, una briochina da consumare in solitudine… cresce il consumo di alcolici. Questo è ciò che mi riportano i cassieri di un supermercato vicino a casa. Come ci si può rassegnare a vivere così? Minacciati dalle forze dell’ordine se si osa provare ad essere felici.

      • Ancora una volta constato che a Bologna la situazione è a macchie di leopardo, con situazioni diverse a seconda della collocazione geografica del quartiere (centro, prima periferia, estrema periferia), della composizione sociale, etnica e anagrafica di chi ci vive e di altre variabili.

        Al Navile, dove ho appena terminato una camminata di nove chilometri, oggi la situazione – ma come ho avuto modo di dire, era già così da svariati giorni – è rilassata, sollevata. Niente salti di gioia – a parte quelli dei bimbi che giocano – ma nemmeno contrizione o penitenza: gente che corre e passeggia, gente nei parchi e sulle ciclabili, sedie nei cortili e sui marciapiedi di fronte a casa come accade in certi paesini nelle sere d’estate, quiete forzature dei limiti di norme percepite come inutili o insensate (a rigore non si potrebbe stare sulle panchine, non si potrebbe stare semplicemente a «prendere il sole», ma lo fa un sacco di gente).

        Secondo me dobbiamo quest’atmosfera diversa al fatto che il Navile è un quartiere working class multietnico, alla massiccia presenza di comunità migranti. Queste ultime hanno “dato l’esempio” tenendo vive le loro reti anche nel momento più cupo e alimentando una vita di vicinato che, se fosse stato solo per gli italiani, si sarebbe ridotta alla sola virtualità e spenta per mancanza d’ossigeno. Penso che questo abbia contribuito a – passatemi l’espressione – “sdrammatizzare”. Credo che chi vive qui dovrebbe riflettere sui modi in cui il quartiere ha vissuto questa fase, e sulle ragioni per cui è rimasto vivo – ai minimi termini, ma vivo – anche mentre altre parti della città erano diventate spettrali.

        • Si. È proprio così infatti. La situazione non è omogenea. Oggi il centro è pieno di gente e, per me, è una sensazione bellissima. Gente che passeggia, che cammina insieme. Adolescenti che parlano fra di loro. Adolescenti che si baciano sotto la porta di casa. E questo gesto di ardente incoscienza compensa la discreta riservatezza di chi indugia sempre.Ma molte, moltissime mascherine, anche se qui all’aperto non sono obbligatorie. Molto più rumore di traffico che nei giorni scorsi. Molte più macchine, sigh. Un senso di apparente “liberazione ” accanto ad un atteggiamento di sommessa e discreta prudenza. Si respira sempre un’aria di precaria libertà. E il timore rimane,per ora, più forte del desiderio spontaneo di riprendere una vita rubata.

        • ciao, vi ringrazio per la citazione nel post, colgo l’occasione per raccontare una delle pratiche di solidarietà più sentite e spontanee: l’iftar (pasto di rottura del digiuno) durante il ramadan – che quest’anno va dal 24/4 al 23/5.
          negli anni scorsi si erano consolidate 2 pratiche che pian piano erano arrivate a coinvolgere centinaia di persone: l’abitudine di portare alle moschee cibo preparato in casa in modo che “poveri”, persone sole e emarginati per vari motivi sapevano che andando alla preghiera del tramonto dopo avrebbero trovato un pasto conviviale e abbondante e “che sa di casa”. Questa è un’usanza radicata nei paesi musulmani: in Marocco oltre alle moschee si erigono tendoni in ogni quartiere dove i poveri vanno a mangiare alla sera e tutti, notabili e gente umile, si fanno un punto d’onore di non far mai mancare il cibo per tutto il ramadan, non è solo elemosina, è proprio sentirsi comunità. Le famiglie marocchine, ossia le donne, le massaie, (e anche pakistane e bangla a giudicare dalle moschee, anche se io non conosco quei paesi) si sono portate dietro questa abitudine al punto di organizzarsi con grande efficienza per i turni nel rifornimento delle moschee. Ma quest’anno sono chiuse.

          • Continuo qui.
            Parallelamente da 3 o 4 anni si era consolidata una usanza di iftar comunitario sotto il ponte di via Libia, che ha aggregato qualche decina di profughi siriani e di altre provenienze e una rete di donne marocchine che via via si è allargata arrivando a garantire 30 giorni di cene a costo zero per alcune decina di persone e consolidare legami di amicizia.
            Anche quel luogo è chiuso per lockdown.
            La rete però è ancora viva: le “zdòure” (massaie) marocchine non possono pensare che ci sono ragazzi soli e abbandonati in giro per la città che non hanno un pasto come si deve al tramonto e un posto dove sentirsi accolti e per quanto possono preparano sempre in più. Un gruppetto di profughi si occupa di distribuire il cibo nei dormitori e nei luoghi di aggregazione dei clandestini (che comunque dall’inizio del lockdown non c’è più posto nei dormitori, pubblici chi riesce a contattare l’help center ormai riceve una coperta).
            Le famiglie però sono a loro volta in grave difficoltà: molte donne casalinghe facevano le pulizie a ore (in nero, quindi niente sussidi), molti lavoratori sono fermi da settimane. La rete quindi si sta allargando e sta cercando di affrontare in modo più organizzato l’aspetto economico di raccolta fondi per fare la spesa, di cui gli anni scorsi si facevano carico interamente le famiglie e i negozianti marocchini e pakistani. La solidarietà ramadanesca quest’anno richiede molta più organizzazione: raccolta e gestione dei fondi, ricerca cucine disponibili, turni in cucina e turni alla distribuzione, gestione delle domande di aiuto… Tutto in modalità undergroud. Come dicevo, un mondo parallelo :)

  34. Nel mio comune il 25 marzo han messo il “DIVIETO DI TRANSITO PEDONI e BICICLETTE” su piste ciclabili e “controviali” …
    Tagliando a metà il paese, in pratica per spostarsi a piedi/bici, in teoria, bisognava stare sulla strada, dove passan le auto (mi pare un divieto in contrasto con il codice della strada: spinger la gente a rischiar la vita per non prender la multa!

    Secondo il dl 19/2020 (del 25 marzo) le ordinanze comunali/regionali mi pare di capire debbano avere un termine prefissato, pena l’annullamento (quindi questa ordinanza sarebbe nulla) e comunque non posson superare i 30 giorni di validità.

    Circa il 25 aprile, o forse prima, mi son fatto un giro in bici a toglier i cartelli che potevo togliere (quelli nella zona in cui abito) e stamattina ho letto che “ufficialmente” (con almeno 10 giorni di ritardo) il comune comunica che quel divieto non è piu’ in vigore.

    Esco subito in bici a fare il giro completo della ciclabile a toglier tutti i divieti restanti e infilandoli negli appositi cestini.

    Mi rimane solo l’ultimo pezzo (la ciclabile è lunga 3-4 km) e trovo i vigili con l’auto nella ciclabile (una a piedi, l’altra in auto).
    All’inizio ho pensato di evitarli uscendo dalla ciclabile (attraversando 4 metri di erba) e pedalare sulla strada .. poi ho desistito pensando che avrei creato sospetto e sarei stato inseguito e certamente fermato.
    Ho optato per passare disinvolto ma poco dopo l’auto s’è messa in obliquo per fermarmi.
    La vigile a piedi: “La mascherina ..”
    Rispondo: “Non sto andando al supermercato, vado fino la’ in fondo (alla ciclabile) e torno indietro”
    V: “Eh ma va messa sempre”
    Io: “No, solo nei negozi”
    V: “leggi l’ultima ordinanza di fontana, quella del 30”
    (azz, non sapevo manco che esistesse sta ordinanza, mi son letto per bene il dcpm, avevo dimenticato che c’è anche sto tizio in regione da tener d’occhio!)
    Intuisco che son sul punto di esser multato..
    Giro la bici, come per andarmente e dico: “ah, ok, vado a casa a prenderla allora”
    V: “Non ce l’hai qui?”
    io: “no”
    V, alla collega: “ne abbiamo in macchina?”
    L’altra vigile ne trova una e me la porge.
    (cont. 1/2)

  35. (cont. 2/2)
    Ringrazio, saluto e me ne vado pedalando in direzione casa, con la mascherina in mano (non mi fidavo a metterla, attualmente è ancora inutilizzata, a prender aria sul balcone, non si sa mai..)
    E prima di andarmene noto che la vigile a piedi ha una pinza in mano e sta staccando i divieti :D

    Nel tornare a casa vedo, non lontano da dove mi han fermato, un ragazzo che fa jogging senza mascherina. Lo avviso: “occhio che ci son i vigili e rompono se non hai la mascherina”
    Risponde “ma mia per chi va a corer” (“ma non per chi va a correre”)
    A sto punto mi domando perchè io, che ansimavo per i km fatti di corsa in bici, devo comunque metter la mascherina ? mah!
    Comunque secondo me fontana l’ha presa sul personale: Siccome molti lo perculavano perchè non sa indossare una mascherina, ora si è fissato con l’obbligo di mascherina sempre e ovunque fuori casa.

    EDIT: Ho lasciato dietro un pezzo, prima. Il cartello diceva “dal 20 Marzo 2020 fino a data da destinarsi” (non “25 marzo”, ricordavo male)

    Comunque è desolante trovarsi un divieto con “fino a data da destinarsi”.
    E’ questa la cosa che mi ha particolarmente fatto incazzare come un’ape.
    Danno l’idea di una cosa “senza fine”.
    “Terrorismo psicologico di riflesso”. Nel senso che l’amministrazione (una lista civica) prima d’ora non è mai stata apertamente “contro la popolazione”.
    Pare piuttosto che abbia subito l’influenza della propaganda e dei modi di agire del governo, oltre a cedere ai ricatti dei troll leghisti su internet (qua si è fatta disinfezione tossica delle strade, con la candeggina, solo perchè troll leghisti insistevano su fb dicendo che “tutti lo fanno, qua no?” )

  36. “Bisogna far vedere che si soffre” WuMing.
    Giovanni Bosco, Donbosco, il fondatore dei Salesiani, onnipresenti in Italia con scuole e oratori, ha scritto, tra le tantissime, anche un’opera sull’educazione giovanile intitolata “Il Giovane Provveduto”. Nel “Giovane”, del 1847, porta come esempio di vita retta Luigi Gonzaga, un santo della Controriforma.
    “Ancor fanciullo macerava le innocenti sue carni con assidui digiuni…Flagellavasi a sangue; metteva sotto le lenzuola pezzetti di legno per tormentarsi anche nel sonno; sotto le vesti nascondeva speroni da cavallo perché non aveva cilici…essendo moribondo chiese con lagrime al suo superiore di essere in quell’ora estrema senza compassione flagellato da capo a’ piedi…PRATICA: non differite le penitenze alla vecchiaia…chi non vuol patire con Gesù Cristo non potrà godere con Gesù Cristo”.
    Cioè, Salò @Pontifex.
    Padrepio non era da meno di Donbosco, e viene il sospetto che i sedicenti devoti di quel frate, come Giuseppe conte di Silvestrini, cerchino di “educare” gli italiani attraverso la “mortificazione della carne”.

  37. Roma , quartiere ancora popolare ma tendenzialmente signorile,rossobrunismo politicamente ancora presente:-/ . Etnicamente(?) omogenea, con una comunità ebraica, legata al commercio al dettaglio, piuttosto viva perlomeno come tessuto economico. Il parco dove porto la cagnetta, riaperto ma completamente incurato come ai “tempi d’ oro” e vabbè..la natura che riprende i suoi spazi fà molto “green”, adolescenti e gente tendenzialmente spensierata, bello!
    Poi tornando sulle strade del commercio i cartelli “noi non riapriamo”, magari dove qualche anno fà ci appiccicarono le stelle di david gialle..
    Concludo con il dissenso, per l’attacco un po’ sempliciotto di Simulacron -3 e mi riprometto per mortificare almeno un po’ la psychè di rileggere meglio l ‘appello degli intellettuali.

    • Mi fa piacere che ricordi il vergognoso episodio delle stelle di Davide gialle, gialle come il cappello che gli ebrei furono costretti ad indossare dopo le disposizioni in merito del IV concilio Lateranense, gialle come i distintivi che saranno costretti ad indossare nei campi di morte nazisti.
      San Giovanni Bosco (beatificato nel 1929, canonizzato nel 1934) parla diffusamente degli ebrei in un libro intitolato: “Il Cattolico nel Secolo”, iii edizione 1886.
      Si tratta di un testo a domande e risposte; F, il figlio fa la domanda, P, il padre, cioè Donbosco, risponde. La struttura è quella del catechismo di San Pio X.
      “F. Che cosa dicono essi? [gli ebrei]
      F. Che cosa dicono essi?
      “P…V’ebbe chi, dimandato se credeva nel Messia, rispose: Il mio Messia è il danaro della borsa; e chi a somigliante interrogazione aggiunse che un buon pranzo era per lui un vero Messia! Che cosa volete mai rispondere a persone siffatte? “

      • Stemmi appiccicati da quei cattivi maestri che egemonizzano i settori popolari delle curve, che il funerale al <> l’hanno fatto contro e .. ora saranno loro che gestiranno la frustrazione di quelle masse ignoranti ,bottegai, serve piccoli borghesi impoveriti( mi viene in mente Romanzo di un giovane povero con Albertone,che per la pagnotta da portare a casa, in famiglia, giustamente o no, poi sulla barricata fanno la differenza? Nel ‘886 mi viene da pensare che la figura del padre come descritta si fosse giå estinta.Intanto come diceva la badessa Kate Tempest so’ gialle 4:18!

  38. Lanfranco Caminiti – già tra i fondatori di derive e approdi, per dirne una – ribatte con coraggio agli intellettuali di cui sopra.
    Qua un brano è sotto il link al suo sito x il documento completo:
    “io accuso il governo conte di avere ulteriormente divaricata la differenza storica territoriale tra il nord e il sud, applicando scriteriatamente il confinamento dove non c’era alcuna emergenza di contagio e penalizzando vieppiù un’economia già indebolita dall’ultima crisi economica del 2008, privilegiando cioè le filiere produttive che sono concentrate al nord e non dando alcuna possibilità a quelle del sud, sprofondandole ancora. questo provoca già disperazione in tutta quella fascia di lavoro precario, saltuario che al sud è preminente e in centinaia di migliaia di famiglie legate al turismo, all’agricoltura, alla pesca alla piccola impresa edile – e lasciando intravedere un futuro ancora più nero. chi pagherà per questo?
    io accuso il governo conte di avere esautorato la già fragile democrazia, impedendo peraltro ogni manifestazione di dissenso, ogni “assembramento”, andando avanti a colpi di decreti, spesso di dubbia costituzionalità, e instaurando uno “stile di governo” riprodotto nelle regioni, nei comuni dove ormai i consigli comunali e regionali sono un lontano ricordo, di cui non si sente alcuna necessità e spesso considerati con fastidio, lasciandoci un simulacro di partecipazione – lo spettacolo delle dirette facebook – la cui unica espressione consentita è la sudditanza. chi pagherà per questo?
    io accuso il governo conte di governare con il favore del contagio – alimentando la paura, il timore, la paralisi nella popolazione e instillando la delazione, l’aggressione nei confronti di “figure sociali” di volta in volta additate come “untori”, ieri il runner o l’uomo con il cane a passeggio, oggi il parrucchiere, domani il ristoratore. provocando così un meccanismo di “cieco patriottismo” che si identifica solo con i decreti ministeriali e costruisce “nemici” solo in base al panico a arte diffuso, proprio come ieri verso i migranti. chi pagherà per questo?”

    https://lanfrancocaminiti.com/

  39. Nella mia strada, dalla sera alla mattina, compaiono striscioni appesi alle finestre e cartelli di cartone sotto i portici e, mentre rientravo, abbarbicati su una scala, alcuni ragazzi stavano approntando un grande lenzuolo che recita questa scritta: ultimi ma primi
    Badanti, homecare, cassieri, rider, logistica, addetti alle pulizie, infermieri, stipendio medio 800/1500 euro
    Primi durante il Covid
    Chi è essenziale?
    Rivalutiamo le priorità
    Andrà tutto bene???

    In una serie di cartelli sotto i portici si legge: Italia terra mia, miseria e pandemia.

    In un altro ancora:
    Vivere per lavorare, lavorare per morire

    Andrà tutto bene non è più di moda.

  40. Ieri sera ho fatto un’uscita al parco a correre, dopo quasi due mesi. Come prevedibile superaffollamento, sull’unico ponte del parco si faceva la fila per attraversare, pochi che corrono, quasi nessuna bici, molti camminano, altrettanti giocano, parlano o prendono il sole, anche sulle strade (zona nè centrale nè del tutto periferia) di andata e ritorno viavai quasi tornato alla normalità. Una bella impressione, anche se resta una sensazione di fragilità, di essere a disposizione del primo poliziotto esaltato, che è il migliore alleato dei repressori.
    Unica nota stonata, in una zona periferica del parco un inno di Mameli sparato a tutto volume non ho capito bene da dove, a ricordare che i danni alla socialità sono iniziati prima del coronavirus.
    Dimenticavo, questo a Torino

  41. Buongiorno Wu Ming, in merito alla terra desolata dell’ Assurdistan volevo condividere la mia esperienza. In Piemonte si può pescare nei fiumi ma dipende chi ti controlla. Questo mi è stato detto da guardie forestali. In più singole polizie municipali interpretano ulteriormente il regio decreto. Ecco il caso dei vigili di borgo San dalmazzo in provincia di Cuneo che prima dettano questo diktat https://www.laguida.it/2020/05/04/fase-2-i-vigili-di-borgo-spiegano-cosa-secondo-loro-si-puo-fare/

    Poi se li chiami al telefono per sapere se puoi passare nel loro comune per andare in altri luoghi dove poter pescare in solitudine ti dicono : senta la federazione di pesca. Ripeto la pesca è possibile e permessa, e io lo sapevo in base a numerose comunicazioni della Fips, ma loro prima spaventano e poi se chiedi non sanno, perlomeno al telefono poi l’ agente di pattuglia sa eccome se lo sa come interpretare. Inizia una grande paranoia, una riprogrammazione neuronale. Per non bruciare 500 euro inizi a pensare come loro. Il tarlo paranoico ti scava.. Inizi a precedere interpretazioni a tuo disfavore e controllo. Te le dai prima tu di loro. Chapeu alle forze del male, come il vecchio noir del regista di Ucciderò Wilkie kid, l’ epurato meno collaborativo di Kazan. Non è confusione è strategia.grazie per il vostro scrivere. Bazarov.

  42. Né rituale, né virtuale: un Primo Maggio spettacolare

    Un importante articolo ibrido di Andrea Olivieri, autore del magnifico Una cosa oscura, senza pregio (Alegre, 2019).

    Ibrido, perché:

    – inizia come reportage d’inchiesta sul 1° Maggio a Trieste: le ragioni e parole d’ordine dell’iniziativa che ha riempito Campo S. Giacomo, l’attacco delle fdo, la strana presenza di un noto neofascista locale;

    – prosegue chiarendo differenze e inconciliabilità tra il «riaprire tutto!» padronale e la critica anticapitalistica e antiautoritaria del lockdown «all’italiana»;

    – radica la giornata di lotta nella tradizione del movimento operaio non solo triestino ma dell’intero alto Adriatico, quindi transnazionale;

    – descrive le difficoltà in cui si trovano varie categorie di lavoratori, con focus su quelli dello spettacolo;

    – infine, s’interroga su come valorizzare le nuove forme di convocazione e mobilitazione che si sono viste a Trieste già prima del lockdown.

    https://carsica.blog/2020/05/05/primo-maggio-spettacolare/

  43. Alla fine la storia è sempre la stessa. Si protesta se c’è Berlusconi, Salvini o al limite Grillo al Governo. Ma se c’è il Pd, zitti compagni che sennò arriva il peggio. “Vuoi mettere quanto siamo stati fortunati che in questa fase non ci fosse Salvini?”
    “Ma allora tu per chi voteresti?”
    Frasi che puntualmente arrivano magari quando hai cercato di far ragionare sul fatto che uno scenario che prevede 150mila persone in terapia intensiva. Tu parli di morti contagiati numeri e di gente che perde il lavoro e qualcuno ti chiede per chi voteresti.
    No, non è un caso lo dimostra il giornale che si proclama “l’unico giornale di sinistra” che pubblica un j’accuse di Raul Mordenti contro i riapriristi (sic) e l’account della redazione di Left su facebook vomita bile e insulti su chiunque provi a dire ma che cavolo di analisi fate?

    http://www.civiltalaica.it/cms/index.php/linutilita-di-una-sinistra-che-non-sai-mai-leggere-il-contemporaneo.html

  44. Nel frattempo a Peschiera Borromeo, in uno dei comparti della logistica più importanti di Italia, succede questo
    http://www.adlcobas.it/Gravissimo-intervento-della-polizia-contro-i-lavoratori-in-lotta-alla-Fedex-Tnt.html
    A dimostrazione del fatto che il divieto di assembramento coincide col divieto a manifestare, con l’ ” obbligo ” a sottoscrivere una rinuncia ad ognuno dei tuoi diritti inalienabili a causa della pandemia… per fortuna i lavoratori non ci stanno. Non accettano di essere usati e buttati quando non sono più utili alle esigenze del profitto. La battaglia per riprendersi la propria libertà passerà necessariamente da queste lotte. Le uniche che potranno riaprire la partita.

  45. LAVORARE TUTTI/E, LAVORARE MENO! La Riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio è entrata nell’agenda del governo e confindustria mette subito in campo le sue armi. Io credo che sia giunto il momento di far sentire la nostra voce, di far capire che siamo disposti a lottare. Uno sciopero, anche piccolo, di un quarto d’ora è quello che sto cercando di mettere in campo col comitato di base del sindacato di cui faccio parte. Se non ora quando? da quando wu ming 1 mi ha fatto notare che l’inversione suona meglio non posso fare a meno di scriverlo così:)

  46. A proposito di “Fase 2”, mi sembra indispensabile pretendere che duri il meno possibile. Quando l’epidemia sarà finita, e non ci sarà più nessun virus con cui convivere, che senso avrà? Verrà allo scoperto che si tratta di un modo per continuare a tenere le persone lontane, spaventate e quindi controllabili. Certo non sarà facile, con tutti gli aggiustamenti (spesso assurdi) che tutte le imprese, piccole e grandi, stanno facendo, e che non sono certo concepiti per durare poche settimane, ma credo proprio che questo sia un punto da avere ben chiaro.

    • Credo anch’io che il rischio vero sia che le misure della Fase 2 come mascherine indossate anche dove non sarebbe obbligatorio per non essere additati, “distanziamento sociale” (che espressione orribile, è evidente che la socialità è vista come un male da combattere anche già dalla terminologia) divieto di “assembramento” (che significa anche divieto di manifestazione, divieto di assemblea, ecc.), “smart working” più o meno obbligatorio, turnazione sul luogo di lavoro (anche qui, un attacco nemmeno troppo velato alla possibilità dei lavoratori di unirsi, di fare assemblee, ecc.) entrino così profondamente nel nostro tessuto sociale e lavorativo da diventare di fatto permanenti.

      Occorre vigilare e, quando e come possibile, ribellarsi e farsi sentire. Nel mio piccolo (piccolissimo) sto evitando di mettere la mascherina per la strada perché qui in Emilia-Romagna non è obbligatoria negli spazi aperti tranne dove sia impossibile mantenere la distanza di sicurezza. Sulla pubblica via nessuno può sostenere che io non possa stare ad almeno un metro da tutti gli altri. Purtroppo però vedo che la grande maggioranza delle persone girano con la mascherina, sia a piedi che guidando l’auto, lo scooter, la bicicletta. Magari per paura di essere multati o di venire insultati (e magari, chissà, pure aggrediti) dai fanatici del bavaglio sempre e comunque.

    • No, Rosalba, dal punto di vista medico la situazione è tutt’altro che risolta, perché della natura del virus, dei suoi comportamenti, e delle sue modalità di relazione con gli umani ancora non ne sappiamo abbastanza. Abbiamo dati confortanti (ad es. che i bambini sembrano relativamente immuni: però si sono manifestati casi di malattia di Kawasaki che non consentono affermazioni apodittiche), ma di molti di questi dati non sappiamo il perché. Soprattutto, la mutevolezza del virus, e dunque la sua relativa novità, non consentono confronti certi con situazioni precedenti, e dovrebbero sconsigliare a tutti l’uso delle analogie. Mi permetto di segnalare questa lunga, ma chiara intervista a Gianfranco Pancino: https://www.deriveapprodi.com/2020/05/la-pandemia-annunciata/.
      Ciò premesso, la decisione di come gestire la cosiddetta fase 2 è politica, non medica: se non lo si tiene presente si cade da uno scientismo all’altro. La scienza, come fa da Galilei in poi, fornisce dati, classificazioni, ecc. che *non hanno valore assiologico*: non dice “questo è bene, questo è male” sulla base di valori metafisici garantiti dall’autorità religiosa, come faceva la scienza classica ippocratica e medievale. La decisione, anche in termini di “valori”, è sempre politica: chi detiene il potere può fondarla e giustificarla con evidenze scientifiche, ma che tipo di decisione prendere spetta a lui/lei. E, com’è ovvio (o almeno spero che lo sia) a chi, opponendosi al potere, esercita un’azione avversa che mira a modificare e riorientare l’azione del potere. Ma anche questa è una decisione politica, non la conseguenza meccanica di un fatto scientificamente accertato.

      • Proprio su quel che ha appena scritto Girolamo stiamo per pubblicare un articolo di Roberto Salerno (qui su Giap “Robydoc”), uscirà lunedì mattina.

      • Ciao Girolamo,ho letto molto attentamente l’ intervista a G. Pancino che hai accluso al tuo intervento, mi sembra ricca di informazioni precise per quanto riguarda la gestione pratica del contenimento della pandemia ed una possibile seconda ondata: dpi, disponibilità di posti letto, settori dedicati all’ isolamento dei malati, tamponi, test sierologici, cure specifiche mirate a ridurre le sintomatologie più gravi e potenzialmente letali, lockdown selettivo ( come a Vo), incremento del ruolo primario della medicina territoriale, distanziamento fisico, mi sembra che si possa parlare di un corollario completo di linee guida applicabili senza esercitare alcuna forma di costrizione autoritaria e che nulla hanno a che vedere col divieto di uscire per respirare all’ aria aperta e solo per recarsi al supermercato. Misure mediche che spetta al potere politico attuare, attraverso adeguati investimenti sulla sanità pubblica. E,perfino,per quanto riguarda il mero distanziamento fisico si può ascrivere la responsabilità a chi non ha opportunamente chiuso affollati luoghi di lavoro e non ha garantito condizioni di sicurezza ai lavoratori ( come si ripete qui da due mesi).L’ intervista è chiara e completa e tocca punti cardine e capisaldi del prontuario medico dell’emergenza. Il nodo cruciale da sciogliere rimane quello a cui accenni tu, relativo alle decisioni politiche. Ora che non si può più fingere che l’ arrivo di questa pandemia non fosse prevedibile. Trovo che le risposte di Pancino siano adeguate alle domande ma non è forse utile chiedere ad un medico se è possibile riaprire le scuole. È una decisione politica.

        • Infatti, @filo a piombo. E, lo sottolineo, questo vale per *qualunque* decisione, che sia una quarantena dura, morbida, riformulata, che ci si affidi all’immunità di gregge, ch esi antepongano gli interessi del padrone o le vite dei lavoratori, il bene comune o la salvezza dell’imprenditore di se stesso più capace di altri: è sempre e comunque dipendente dai rapporti di forza, in ogni caso è politica. Lo sottolineo perché la scienza è questa, da Galilei e Newton in poi, non questo o quello scienziato: altrimenti, si casca nella rappola del negazionismo a oltranza, del tutto-vale-tutto, di quelli che scrivono sui social “Lascienza” (tutto attaccato) – e non è facile capire dove vanno a parare. Per banale che sia, direi la stessa cosa se dal governo si facessero scrivere i DPCM da Pancino (è un periodo ipotetico del terzo tipo, come minimo), o da Burgio. Se teniamo ben fermo questo punto, possiamo discutere in modo appropriato la fondatezza (che è un fatto tecnico che richiede una certa conoscenza specifica, che sul piano pratico si può acquisire, come qualunqe altra pratica) delle misure cautelative senza farci dettare diktat dal guru X o dall’anti guru Y; la fondatezza delle ordinanze governative; e comprendere la differenza fra le une e le altre. Sul fatto che la pandemia fosse attesa, come dice un vecchio sovvertitore dell’ordine costituito come Pancino: la stessa cosa l’ha detta l’OMS (che è un’istituzione di potere, comunque agisca e qualsiasi cosa se ne pensi), nel rapporto “A World at Risk”, settembre 2019, qui: https://apps.who.int/gpmb/assets/annual_report/GPMB_annualreport_2019.pdf (basta la presentazione a p. 6).

      • Certo che la decisione è politica, ma si sta usando un alibi medico per giustificarla: che potrebbero esserci nuove ondate di contagio, giustificate non si sa da cosa, e che l’unico modo per tornare alla normalità sarà un vaccino. Alcuni medici dicono che il virus si sta attenuando e si sta adattando al nostro organismo, per cui resterà endemico ma non sarà più pericoloso come all’inizio, altri che sparirà del tutto, altri che diventerà un semplice raffreddore. Le analogie non mi sembrano fuori luogo, dato che comunque il virus appartiene ad una famiglia di virus già esistenti. In ogni caso, le previsioni per il futuro di tanti medici non allineati non sono scoraggianti, né tali da giustificare mesi e mesi di isolamento forzato, mascherine, schermi di plastica ai tavoli dei ristoranti, ecc..Bisogna servirsene, soprattutto per tranquillizzare un’opinione pubblica terrorizzata.

  47. Caro Paolo G, mi fa piacere vedere che andiamo d’accordo! Anch’io faccio come te, ma non basta. Ci vuole una consapevolezza collettiva e mi piacerebbe sapere cosa ne pensano Wu Ming e gli altri frequentatori del blog. Dal punto di vista medico la situazione è quasi risolta: il virus si sta attenuando e le cure ci sono. Dispiace che siano soprattutto i siti complottisti a riportare queste informazioni (mi sembrano attendibili, sono tutti link a giornali esistenti, grandi e piccoli, e del resto l’aumento costante delle persone guarite e il calo altrettanto costante dei ricoveri provano che la situazione è sotto controllo). Bisognerebbe diffondere di più quest’ informazione.

  48. Marco Revelli, nel difendere l’appello di cui sopra, scrive che siamo «pavloviani», che denunciamo «complotti» dove non ci sono e poi, evidentemente per dar fondo al repertorio, scrive di noi:

    «Forse non abitano come me in regioni ancora oggi colorate di rosso scuro sulla mappa dei contagi, forse non hanno visto amici andarsene invisibili in un reparto di terapia intensiva perché quelli che chiamano “arresti domiciliari” sono stati decisi troppo tardi, forse si considerano anagraficamente salvi da minacce mortali, ma davvero il loro argomentare mi sembra “fuori contesto”. Formulato in un altro mondo, in un altro tempo, non toccati dal virus.»

    Insomma, non entra minimamente nel merito del lavoro che si sta facendo su Giap da due mesi e mezzo, ricorrendo invece alle caricature e a un classico pseudoargomento ad hominem, cercando di screditare gli autori – non solo noi ma, tramite noi, tutte le firme che abbiamo ospitato e che in questi mesi hanno formato una comunità di discorso – con illazioni che niente hanno a che vedere con la correttezza o meno delle nostre analisi: scrivete così perché da voi è morta meno gente, perché non avete avuto amici morti, perché vi credete immortali, e altre fruste accuse già lette e rilette nei flame sui social.

    Questo poche righe dopo aver detto di avere nei nostri confronti «sconfinata stima». Bislacco modo di dimostrarla… Tra l’altro, che significa «sconfinata stima»? «Sconfinata» in che senso?

    Noi cosa dovremmo rispondere, di fronte ad accuse non solo infondate ma insensate («complottisti!»)? Delle due l’una: o Revelli non ha la minima idea di cosa abbiamo scritto e discusso in questi mesi, e allora scaglia accuse senza sapere di cosa parla, oppure le nostre riflessioni le conosce e allora confeziona intenzionalmente argomenti “strawman” per poterci attaccare. In nessuno dei due casi ci fa una bella figura.

    Soprattutto, cosa dovremmo dire di fronte a un approccio tanto rozzo al rapporto tra testo e autore, di fronte a simili psicologismi d’accatto, peraltro accordati su una chiara nota di ricatto morale? Che dire del ricorso al solito volgare espediente del «qui si muore» di cui parlava Wolf Bukowski ne La viralità del decoro?

    Tutto questo perché abbiamo criticato un appello, perchè lo reputiamo sbagliato e codino, perché riteniamo che il lavoro degli intellettuali non sia quello di correre al soccorso del potere esecutivo, che si soccorre eccome già da sé, ma casomai quello di vigilare criticamente su come quel potere esecutivo viene esercitato.

    Varrebbe la pena far notare a Revelli alcune ovvietà? Ad esempio, che lui non sa nulla di nulla della nostra cerchia di affetti, dunque non può sapere se sia stata o meno colpita direttamente dall’epidemia, come del resto noi non lo sappiamo della sua? Varrebbe la pena fargli notare che avere o meno amici morti non rende corretta o scorretta una presa di posizione? Che nell’analizzare quest’emergenza non si può sempre e solo rimanere focalizzati sul virus in sé perché non c’è solo il virus?

    Chi lo sa, se varrebbe la pena. Ad ogni modo, che livello, ragazzi…

    • Che ‘l vadi a cagar. A ‘sto punto se vale tutto, se vale qualunque semplificazione e banalizzazione e distorsione, allora io dico che questi ormai-ex-compagni sono amici delle guardie, e che stanno dalla parte della digos, che ha strappato con la violenza lo striscione ai compagni e alle compagne a Trieste, e poi li ha denunciati e multati. Proprio come nell’orrida vulgata su Pasolini e la polizia, per questi ormai-ex-compagni la polizia coi suoi droni, i suoi dobermann, i suoi blindati, è la vera amica del proletariato. Chi invece si ribella al disciplinamento e partendo da questa ribellione poi trova il coraggio di scendere in piazza contro Confindustria e per un reddito universale, è un piccolo borghese viziato.

    • Vedremo quando la crisi prettamente sanitaria sarà finita (non so perché a volte si giocherelli con l’idea assurda e pericolosa che questa situazione duri per sempre) se questo “momento 1914” di un pezzo bollito di intelligentsija di sinistra di questo Paese è stato solo un temporaneo sbandamento o se si consoliderà.
      Revelli dice che è tutto dovuto solo all’eccezionalità della situazione: in tal caso a un dato momento tornerà dove noialtri saremo rimasti. Io ho il sospetto che invece a molti suoi compagni di giravolte piacerà troppo il ricollocamento al calduccio degli ambienti filogovernativi, gli strali contro gli insensibili Wu Ming sono funzionali a sostenere domani che qua all’addiaccio non ci sia solo un clima rigido, ma anche una compagnia immorale da cui è doveroso tenersi alla larga.

    • Si, Revelli effettua un disonesto capovolgimento di senso della maggior parte degli argomenti che tocca e ci sono espressioni nel suo discorso che sono perfino più sconvolgenti degli attacchi personali. Comunque questa è una tecnica collaudata che è sintomo di coda di paglia. Si racconta da solo, in maniera paranoica, dell’ esistenza di agguati e assedi. Si inventa un teatrino del conflitto di interessi fra Confindustria e governo. Quando questo governo ha nominato il manager Colao a dirigere l’ azienda Italia. Santifica la figura di Giuseppi come neppure la ridicolizzazione di Trump era riuscito a fare. Ma il peggio lo raggiunge quando dice che ” se continuiamo a misurare la rozza materia sul metro degli ideali puri, la prima ne uscirà sempre sconfitta e vilipesa” che è un po’ come dire: romantici, illusi idealisti.
      Poi giustificare col principio di ” precauzione” la segregazione di una intera popolazione ha un effetto di comicità involontaria… soprattutto quando scrive: difendere milioni di uomini e donne, soprattutto anziani DA SE STESSI E DAI PROPRI SIMILI… agghiacciante. Si può quindi permettere di chiudere con la più patetica delle accuse nelle schermaglie sentimentali: quella di individualismo possessivo (???) cioè, in soldoni, egoismo. Davvero profondo.

      • Questo commento di filo a piombo era finito in un altro thread, lo abbiamo spostato. Chi riceve le notifiche dei commenti via email l’avrà visto con firma nostra, perché chiaramente non possiamo operare da dentro un account altrui: per spostare un commento dobbiamo farlo come admin e solo in un secondo momento possiamo modificare il nome dell’autore/autrice.

    • Anch’io vorrei commentare l’intervento di Revelli. Mi è sembrato scritto e pubblicato estremamente “a caldo”. Se così non fosse, sarebbero meno capibili incrinature come “la Costituzione non ha subito vulnera gravi”; prendo atto che esistono “vulnera” costituzionali “gravi”, e poi, chissà, “vulnera così così” e “vulnera marachella”. Poi leggo che il contagio sarebbe un “fenomeno per sua natura “olistico” “: al netto delle virgolette, un fenomeno può essere “olistico” o sarà olistico il paradigma usato per studiarlo? Al di là del fare le pulci, ci sono passaggi sostanziali che non mi convincono. Uno è “se si discute di fatti e decisioni politiche (…) bisogna stare dentro il contesto, dove ci sono forze in campo (quelle e non altre) e si gioca un conflitto (quello e non altri)”.Quindi,secondo Revelli,l’unico “contesto” politico dove “bisogna stare” oggi è la lotta di palazzo partitica per la definizione di una maggioranza parlamentare piuttosto che un’altra (simile)?. Per me è doloroso leggere un influente sociologo che restringe il campo dei conflitti alle beghe partitocratiche. Più ancora mi ha stupito un passaggio: “replicando se stessi e quello che “si è fatto sempre”, in situazioni in cui non siamo sfidati nel nostro patrimonio ideale ma (…) siamo “toccati nella carne e nell’osso”, porta rovina”. Quindi il nostro “patrimonio ideale” è una cosa,e ciò che ci tocca “nella carne e nell’osso” è un’altra? Il mio patrimonio ideale e culturale è inferiore rispetto a quello – che rispetto – di Revelli ma, nei suoi limiti, non c’è nulla che non mi tocchi la carne, perché formano una cosa sola. Se si ritengono separabili o, peggio, contrapponibili “patrimonio ideale”, pratiche politiche e corporeità, verrebbe da pensare (nella migliore delle ipotesi) che il “patrimonio ideale” sia estraibile dalle persone come un’autoradio.Visto che Revelli cita (forse non del tutto a proposito) Bobbio,rispondiamo a Bobbio con Bobbio: “Io ritengo che il politico di sinistra deve essere in qualche modo ispirato da ideali,mentre il politico di destra basta che sia ispirato da interessi:ecco la differenza”.

    • Revelli, nel suo pezzo sicuramente frettoloso (le frasi sono contorte, alcune incidentali si pedono, a volte non chiude le parentesi) sembra aver letto soltanto il pezzo che riguardava l’appello, altrimenti non si spiega questo passaggio: “A meno di considerare le misure precauzionali di confinamento una inaccettabile messa “di milioni di persone agli arresti domiciliari”, affermazione a mio avviso potente ma dissennata ” [a proposito di frasi contorte]. I nostri ospiti sostanzialmente dicono questo da più di due mesi ormai, se si è accorto solo ora ha letto altro. Forse Sgarbi se proprio si vuol scherzare.
      Ma a me è sembrato interessante per altri due motivi. Ad un certo punto Revelli cita Montanari (e vabbè) e “una giovane giurista torinese Alessandra Algostino”. Alessandra ha la fortuna di sembrare sempre giovane ma insomma ha 50 anni, perché mai ricordare, male, questo aspetto? Da una parte il “riflesso condizionato” (eh eh eh) dell’ordinario che tende a rimettere a posto l’allievo ma dall’altro forse c’è qualcosa di più profondo. I promotori di quell’appello sono tutte persone intorno ai 75 anni, cioè quelle che sono VERAMENTE a rischio. Non è per niente da escludere che in questo momento le loro opinioni siano terrbilmente condizionate da questo terrore e che, passata la tempesta, proveranno a riflettere diversamente su quanto successo. Se non hanno perso del tutto il senno – e al netto che il gruppo contiene personaggi che serenamente mettono in dubbio il loro essere di sinistra – si dovrà tornare ad interagire, credo, con loro.
      (segue)

      • (scusate il doppio commento)
        La seconda questione riguarda il “voi non avete visto i morti”. A parte che ovviamente non è vero ed è curioso vedere un intellettuale parlare come un De Luca a caso o Bonacini, questa affermazione, in linea strettamente teorica, dovrebbe portare alla conclusione che proprio chi non ha visto i morti, cioè chi non è preda dell’emozione, della sofferenza, deve pensare e agire. Ragionare “dopo aver visto i morti” è sostanzialmente come ritenere che le leggi contro terroristi e mafiosi debbano farle i parenti delle vittime. In Italia c’è questa terribile usanza che i benefici di pena passano dall’aver sentito appunto i familiari ma questa è, né più né meno, un retaggio medievale.
        Detto questo io credo che dobbiamo mantenere i nervi a posto. Capisco che non faccia piacere e ovviamente non mi permetterei mai di dare “consigli” ma ritengo che persone che sono state per noi importanti (penso a Ferrajoli ma ancora di più ad una serie di persone che ha firmato quell’appello e che non esito a dire che hanno avuto un ruolo notevole nella mia formazione) meritino un’apertura di credito. Non ora, ma quando tutto sarà finito dobbiamo provare a parlarne.

        forse è giusto a questo punto mettere il link al pezzo di Revelli
        https://www.tpi.it/opinioni/basta-agguati-a-governo-appello-perche-ho-aderito-marco-revelli-20200509598986/?fbclid=IwAR3AqHMYegolksXzo0nd6ZpJydNyprtkQXZyZixwP-upD_MWR-vPCl26r1g

        • Lo abbiamo scritto qui su Giap, nel pezzo sul 25 aprile, che la paura era il fattore chiave, inevitabilmente, di molte prese di posizione sui dpcm e sulle modalità con cui il governo ha affrontato l’epidemia.

          La paura è sempre reazionaria, ed è sulla paura di morire che si fonda ogni autoritarismo e ogni stato d’emergenza, da che mondo e mondo. Questa è – o dovrebbe essere – una banalità di base. Abbiamo anche scritto che umanamente e psicologicamente la paura è del tutto comprensibile, ed è comprensibile che porti a pensare cose che altrimenti non si sarebbero nemmeno mai pensate, figuriamoci enunciarle. Tuttavia questa è un’argomentazione pre-politica, abbiamo anche detto. Se Revelli mi dice che io critico lo stato d’emergenza perché appartengo a una generazione che non rientra nella casistica dei decessi, e se io gli replicassi sullo stesso livello, cioè dicendo che sono i suoi 72 anni a parlare, non staremmo dicendo proprio niente di significativo, staremmo soltanto affermando il più assoluto soggettivismo. È sul piano politico che occorre confrontarsi, e su quel piano la difesa del governo è inaccettabile. Perché si basa su una rappresentazione falsa della realtà.

          Da un lato viene assunta la contrapposizione tra Conte e Confindustria. Ma quando mai? In questa pandemia Confindustria ha fatto letteralmente quello che voleva, quando non ha dato direttamente la linea al governo su chiusure e riaperture dei luoghi di lavoro. E tutti i mass media hanno retto il gioco a questa alleanza: ancora non smettono di stigmatizzare la “movida” sui Navigli, i bagnanti di Mondello, ecc. e mai che salissero sulla metropolitana di Milano o andassero davanti ai cancelli di una fabbrica del bergamasco a intervistare gli operai e a sentire cosa pensano.

          Dall’altro lato viene assunta la contrapposizione tra “individualismo possessivo” e “solidarietà”. Una contrapposizione che si potrebbe definire cattolica. Non posso dire che “la vita è mia e me la gestisco io” altrimenti sono un liberale egoista? Ma negli ultimi quarant’anni – cioè almeno dall’emergenza degli anni Settanta – non avevamo ragionato proprio su quanto fosse importante giocare i diritti liberali contro lo stato d’eccezione per difendere le lotte operaie e i movimenti anticapitalisti dalla repressione? E non avevamo forse criticato il vecchio PCI proprio perché accettò la logica dell’unità nazionale e la sospensione dei diritti civili in nome dell’emergenza? I diritti civili sono sacrificabili perché sono nati sulla spinta dell’ascesa della borghesia e del capitalismo o dobbiamo piuttosto assumerli per metterli in contraddizione con la società capitalistica che li afferma a parole e li nega di fatto? Non era nato per questo il socialismo, nel XIX secolo, cioè per liberare gli esseri umani dalla schiavitù dello sfruttamento, del classismo, del sessismo, realizzando *davvero* le idee di libertà, uguaglianza e fraternità della Rivoluzione francese? E non abbiamo criticato i regimi del socialismo reale proprio perché avevano preteso di realizzare quella liberazione conculcando la gente, instaurando uno stato di polizia, uno stato autoritario, muovendo da uno stato d’emergenza e trasformandolo in un sistema di potere? Non è questa la nostra fottuta storia, cari compagni e compagne? La buttiamo alle ortiche perché questa è la pandemia delle pandemie, la Grande Eccezione? Forse che le precedenti non lo erano?

          La nostra storia – tanto per rinfrescarci un po’ la memoria – non ha disgiunto “liberté” e “fraternité”; caso mai ha interpretato la difesa dei diritti civili come difesa dei diritti collettivi, ovvero esercitati dalla collettività umana e non da un insieme di monadi individuali, secondo la lettura borghese della società. Riproporla oggi in termini di egoismo individualista versus solidarismo umanistico è un’ipocrisia inaccettabile, degna tutt’al più d’un prete (ma di quelli scarsi, però).

          • Sì, non possiamo ritorcere l’argomento dell’anagrafe contro chi ce lo scaglia addosso.

            Il riferimento all’anagrafe e quel «giovane» riferito ad Algostino dice chiaramente che Revelli ci considera dei ragazzini, il che nella “vita di tutti i giorni” può suonare lusinghiero (anch’io non li mostro ma ho 50 anni suonati) ma nel dibattito intellettuale è sempre un modo di sminuire l’interlocutore.

            Tuttavia, se noi rispondessimo dicendo che lui scrive così perché è vecchio e prevale la paura di morire, magari ci prenderemmo (o magari no), però faremmo il suo stesso errore, rischiando lo stesso non sequitur.

            A parte che noi conosciamo svariate pensione anziane che criticano il governo, trovano demenziali molti passaggi di decreti e ordinanze e sono insorti – anche per il tramite del sindacato pensionati – quando si è ipotizzato di chiudere in casa sine die gli over 75, faccio notare che Sabino Cassese è del ’35, ha ben 12 anni più di Revelli eppure ha tuonato a più riprese contro l’incostituzionalità dei dpcm. Agamben è del ’42, ha 5 anni più di Revelli eppure – a prescindere dalle critiche che gli si possono fare – da due mesi e mezzo attacca il dispositivo che Revelli difende.

            • Il punto, per me, è che questo è un articolo anomalo di Revelli. E visto che penso che sia anomalo cerco di comprendere cosa significhi a prescindere da quello che dice. Cosa può succedere adesso? Secondo me due cose: la prima è che Revelli attenui le sue posizioni; la seconda che le confermi e che queste posizioni siano limitate al caso “eccezionale”.
              In entrambi i casi per me quello che è interessante è cosa significa questa “deviazione”, a cosa è dovuta. Se volete rappresenta lo stesso problema che si è qui accennato sin dall’inizio di questa vicenda, lo sbracamento di alcuni compagni. Di loro se ne parlerà in un altro momento, di Revelli c’è stata l’occasione di parlarne ora. Quindi per me la questione non è confutare le scemenze scritte (male) in questo pezzo ma capire come mai le ha scritte. La questione “anagrafica” secondo me non è speculare. Non ho il panel, ma la mia ipotesi – magari sbagliata, ci mancherebbe – è che ci sia una relazione tra l’età e la posizione (vado schematico) e che le eccezioni che richiamate non siano significative (inferenze deboli?). La stessa cosa non si può dire dei 50enni, che invece hanno appunto posizioni diversificate che la variabile “età” non spiega. Naturalmente non mi sognerei mai parlare di rapporto deterministico, ma appunto una “concausa” non so dire quanto rilevante. Voi dite che questo sarebbe non dire nulla di significativo, io ho qualche dubbio, non tanto per una questione “paternalistica” ma perché mi pare inutile discutere “della linearità delle posizioni tenute dal governo con confindustria” o del “riflesso condizionato”. Ho capito che sei Revelli ma su, alziamo un po’ i toni no?

              (So che esiste una terza possibilità, che sia l’esordio di un “nuovo” Revelli e che gli articoli successivi siano su questa linea anche su altri argomenti, ma credo che dobbiamo essere generosi con i nostri compagni: se un amico di una vita un giorno mi manda affanculo non chiudo tutto subito e mi aspetto che “rinsavisca” rapidamente. Se non lo fa ne parliamo dopo).

              • Non è che non sia significativo in generale: è una questione su cui interrogarsi in sede analitica. Ma non sarebbe significativo (cioè non produrrebbe senso) nel rispondere a Revelli. Sarebbe un argomento ad hominem e, dentro la cornice di un botta-e-risposta, inevitabilmente suonerebbe così:
                – Siete mocciosi insensibili, crescete, ché qui si muore e voi parlate come Sgarbi!
                – Taci, vecchiaccio, ché hai solo paura di tirare le cuoia e difendi le guardie!
                E da lì, proprio nell’ottica che dite tu e Girolamo, dove si potrebbe mai andare a parare?

              • Qui mi sembra che la cosa più interessante nelle presunte situazioni «senza precedenti» non siano le caratteristiche delle situazioni, ma il modo di reagire, gli appelli, i comportamenti, gli atteggiamenti, gli orizzonti dentro cui ci si vuole muovere e ci si muove. *Questo* è il punto decisivo ed è da questa prospettiva che le prediche e i rimproveri di Revelli non aiutano il procedere del ragionamento né delle prassi.
                Spiace che non veda nessun bene futuro possibile, nessuna possibilità. Rifiuto questi aggiustamenti, questi adeguamenti sul bordo delle parole, soprattutto in un momento in cui ci si chiede di scegliere tra chiuso e aperto, tra respiro e asfissia; un momento in cui, soprattutto, solo con la mente (e con una mente costretta e confinata) non andiamo granché avanti.
                [La mia mente ha reagito all’intervento di Revelli riproponendomi il testamento di Trotskij]

        • Hai ragione, @robydoc. Soprattutto nella chiusa. Lo dico per evitare equivoci, l’appello è pessimo, e com’è ovvio non l’ho firmato. I toni di Revelli non solo non mi piacciono, ma mi stupiscono; però non mi sono piaciuti neanche altri epiteti, che non voglio riportare, e che tagliano con l’accetta: mi rifiuto di pensare che non ci sia un terreno intermedio fra la ragione dura e pura e l’essere amici della polizia con i droni, nel quale si possono compiere errori di percezione, valutazione, azione. Trovo comprensibile non solo che si possa sbagliare (non solo in questa fase, ma sorpattutto in questa), e anche che ci si possa contraddire: una delle firme di questo appello, che pare di capire abbia avuto un ruolo importante, Nadia Urbinati, era stata citata in questo commentario per le sue prese di posizione avverse ai primi provvedimenti del governo, pur essendo nota la sua posizione politica. Faccio più fatica a capacitarmi dell’uso dell’argomento “voi non avete visto i morti”, ma sono disposto a farmene una ragione: siamo in una situazione nella quale le parole possono uscire di bocca senza controllo, e non sempre è possibile evitare che diventino pietre. Ma mi sforzo di far prevalere il tuo stesso sentimento: dovremo provare, e riuscire, a parlarne.

          • Forse nel prossimo futuro alcuni di questi smarriti troverano la via di Canossa (“non si smarriscon tutti gli errabondi”, recita una vecchia poesia di Bilbo Baggins). Purtroppo con un deficit di credibilità e di tempismo, ma questo è il problema minore. Quando l’emergenza sanitaria sarà stata contenuta, verrà il tempo di fare i conti della serva, cioè di quantificare e gestire il debito stratosferico contratto. Conte & soci verranno messi da parte e sarà la volta del commissariamento politico-economico della BCE, come è stato nel 2011. Allora toccò a Monti, questa sarà la volta di Draghi. E proprio come allora, sarà l’emergenza recessione a imporre l’agenda, dopo che avremo di fatto sancito l’ingovernabilità politica di questo paese e la necesstà di gestirlo in un perenne stato d’eccezione. La narrazione che gli italiani non sanno comportarsi, non sono responsabili, e devono essere conculcati in maniera dittatoriale, sdoganata definitivamente dalla pandemia, tornerà molto utile nella fase post-pandemia. Molte delle cose sperimentate in questo lockdown sono qui per restare, almeno parzialmente, lo abbiamo detto a più riprese.

            Allora forse troveremo Revelli et alii di nuovo critici sul deficit democratico, anche se non ci sarà stata nessuna reale soluzione di continuità tra prima e dopo.
            Il punto però, Girolamo, è che la debacle della sinistra radicale a cui abbiamo assistito in questi mesi non è episodica, bensì sancisce la fine di un lungo percorso di dissoluzione e di progressiva irrilevanza, fino all’estinzione, della sinistra critica. Questo percorso è stato soltanto suggellato dall’accettazione passiva del lockdown all’italiana.
            Per questo, benché io non abbia nessun problema ad accettare qualunque ravvedimento, ho anche la netta sensazione che di quel “noi” troppo retoricamente speso negli anni che abbiamo alle spalle, ce ne faremo poco o niente negli anni che abbiamo davanti. Molte cose andranno ripensate a fondo e soprattutto bisogna sperare nell’avvento di nuove generazioni e nuovi soggetti che ridiano senso concreto a tanti discorsi troppo velocemente evaporati davanti alla paura della morte.

          • Sai, @Girolamo,che da un lato hai ragione ad auspicare un chiarimento ed un confronto politico, come Robydoc, e dall’altro è una prospettiva che forse non ha orizzonte. Le regole di un proficuo confronto sono state trascese con poca onestà, arroccandosi in un “club” di intellettuali come in un fortino. Nelle parole di Revelli non ci sono argomenti perfettamente logici o razionali che non possano essere ricondotti ad un interesse ” personale” e ben poco collettivo. Esattamente come lui fa con i suoi detrattori. Chi manifesta ” individualismo possessivo ” è esattamente chi accusa gli altri di farlo. Revelli ha ridotto a questioni di “lana caprina ” ogni critica al governo in nome dell’emergenza. Qui c’è un’ espressione di “totalitarismo” irricevibile. Questo appello è stato una inutile e non richiesta provocazione perché ha equiparato chiunque criticasse le scelte del governo sullo stesso piano. È così che si è creata una manichea suddivisione tra buoni e cattivi, tra realisti e ” puri”, tra responsabili e incoscienti, fra ” pragmatici ” ed ” idealisti”. Additare un nemico per compattare il fronte crea solchi profondi non facili da scavalcare. Avrebbe potuto rispondere diversamente, invece ha scelto di difendere la linea governista con un’ ostentazione di subalternità imbarazzante. Come tu stesso hai ricordato, allegando l’intervista a Pancino, le scelte nella gestione dell’emergenza sono state politiche e su queste scelte deve essere consentito dissentire e protestare senza essere tacciati di ” individualismo possessivo ” ( una definizione barocca ed un inutile sfoggio di ” potenza” intellettuale che però, concretamente,manca nel ragionamento di Revelli).

        • Solo per precisare: il link al pezzo di Revelli era già nel mio commento, in cima a questo sotto-thread. Giusto perché non si pensi che commentiamo un testo senza dare la possibilità di leggerlo…

          • Chiedo venia se intervengo a gamba tesa nel dibattito, e vorrei provare a depurare l’articolo di Revelli dalle accuse personali (alle quali gli interessati hanno risposto e, ovviamente, approfondiranno, se vogliono) e fermarlo al contenuto politico. Questo dovrebbe essere supportato dall’ideale, ma di fronte alla contingenza l’ideale spesso slitta. Revelli definisce esplicitamente “mediocre” questo governo, ma sembra aderire al “menopeggismo” perché effettivamente non vede all’orizzonte nulla che sia realisticamente meglio; lui immagina un governo cdx-Renzi, WM4 vede Draghi all’orizzonte, ma sempre lì siamo, siamo sempre a qualcosa che, come la mettiamo mettiamo, sarà peggio di Conte. Molti di noi credono che peggio di Conte sia una cosa uguale a Conte, perché di emergenza in emergenza e di meno peggio in meno peggio la deriva sta andando a compimento, tuttavia mi figuro Revelli (la cui storia politica e intellettuale, ahimè, conosco poco) preso dall’urgenza di dare un contributo nell’evitare un governo in cui a gestire l’emergenza fossero Salvini-Meloni-Renzi-Tajani (questo per quanto riguarda il periodo nel quale fu pubblicato l’appello sul Manifesto).
            Quando, riferendosi alla fase 2, scrive “chi metterà le mani sul “tesoretto” che verrà messo in palio?” o quando parla del governissimo, mi sembra di capire che immagina (forse sono ingenuo, ma lo vedo in perfetta buona fede) che il pericolo sia proprio lo scenario evocato da WM4; Revelli pensa di disinnescarlo dando il suo sostegno ad un governo politico (Conte), che per quanto inadeguato, sarà sempre meglio di un governo tecnico, inevitabilmente appiattito sulle posizioni di Francoforte e dell’”anima produttiva” del Paese.
            Il resto lo leggerei come lo sfogo, in alcuni passaggi davvero inappropriato e fuori luogo (la contrapposizione individualismo-solidarismo, la costituzione stiracchiata alla bisogna, ecc), dell’intellettuale che si sente attaccato sul suo terreno e anche, come osserva ironicamente robydoc, dell’ordinario che mal sopporta l’essere contraddetto.
            PS Tuttavia spiace vedere che, come dice filo a piombo, si metta sullo stesso piano qualunque critica al governo, indipendentemente dalla sostanza.

  49. Buonasera, è la prima volta che scrivo e vorrei anzitutto ringraziare i Wu Ming e tutti gli intervenuti su Giap. Dall’avvio del lockdown ho sentito come indispensabili le letture e i dibattiti qui pubblicati.
    Vorrei segnalare quanto avvenuto negli ultimi due giorni nella mia città, Ladispoli, sul litorale a nord di Roma. Premetto che la popolazione ha vissuto con osservanza una “fase 1” durissima, poiché qui un’ordinanza del sindaco ha vietato qualsiasi tipo di attività motoria/sportiva e l’accesso alle spiagge. L’avvio della “fase 2” ha inevitabilmente portato molti cittadini soprattutto sul lungomare e nelle spiagge con fisiologici (ovviamente minoritari) casi di violazioni del dpcm: giovani amici in giro insieme, persone sedute sulle panchine e sulle spiagge. Cose di pochissimo riguardo, anche considerando che qui si sono registrati 30 casi covid su 42mila abitanti.
    A fronte di ciò il nostro sindaco (formazione fascista, eletto con lista civica e subito saltato sul carro della Lega, intitolatore di piazza ad Almirante) ha pensato bene di pubblicare, ieri, un post su fb scrivendo: “abbiamo il primo campione di oggi, che se ne stava tranquillamente sdraiato in spiaggia a prendere il sole. Premio: 400 euro di multa dalla Polizia locale!”, seguito da un secondo post: “Altri otto vincitori, in un colpo solo! 8 ragazzi, quasi tutti minorenni, che passeggiavano allegramente in compagnia. I genitori riceveranno un premio da 400 euro ciascuno dalla nostra Polizia locale!” divenendo aguzzino dei suoi concittadini. In serata pubblicava un post col tono di un padre severo che rimprovera i propri figli che si concludeva con la frase “non avrei mai pensato di arrivare a dire una cosa del genere: provo vergogna per la mia città!”
    Oggi siamo ulteriormente scaduti col capo della Polizia Locale che ha abusato del suo potere e inveito e insultato pesantemente un cittadino. Qui il video (mi scuso per la fonte ma per ora è reperibile soltanto su youtube e fb) https://archive.vn/wip/k5o1z

  50. Buongiorno, volevo condividere un cosa che mi è successa personalmente. Dovendo recarmi in altra regione per svuotare un appartamento, provo a chiedere alla Prefettura se sia un motivo valido ai sensi del Dpcm. La risposta è una citazione letterale del Dpcm più “non rispondiamo su situazioni specifiche”. Avrei capito di più se non mi avessero affatto risposto. Di fatto mi dicono che devo decidere da me, le autorità non si preoccupano di chiarire cosa sia legittimo e cosa no,poi si vedrà se sono o no meritevole di sanzione. Al di là del caso specifico, l’ho trovato emblematico della discrezionalità tipica della fase che viviamo. Alla fine ho deciso da me in merito alla necessità e rischierò, secondo il mio buon senso.

  51. È ancora possibile criticare Conte senza essere un nemico del popolo?

    Segnaliamo questo articolo di Michele Prospero uscito due giorni fa sul sito del CRS (Centro per la Riforma dello Stato), che prende le mosse dall’appello commento qui sopra e dal modo in cui Il manifesto ne ha parlato per diversi giorni.

    «La narrazione che il Manifesto propone è quella tipica dell’antipolitica per cui il capo piace “anche perché percepito come estraneo ai ‘giochi’ politici tradizionali”. Discende da questa peculiare raffigurazione, tecnicamente denominabile di segno populista, il culto del solitario eroe che peraltro “sta conducendo una strategia attenta sul versante europeo”. Contro di lui si organizza un perfido esercito nemico che non esprime opinioni ma conduce manovre, non nutre dubbi ma coltiva interessi. Il risultato inevitabile, date queste premesse chiaramente organicistiche e poco liberali, è l’invito, opposto al kantiano monito a non rinunciare mai all’uso pubblico della ragione contro qualsiasi autorità, a “stringersi attorno a chi, in questo momento, ci rappresenta e deve assumersi la responsabilità delle scelte”.

    Con una caduta del consueto spirito di ironia che lo ha caratterizzato negli anni, il Manifesto rivendica la portata storico-epocale della pioggia di firme ricevute (“Questo archivio di mail potrà restare come un magnifico documento per gli storici di domani”). Ai più prosaici analisti di questo cattivo presente, rimane solo lo stupore dinanzi a una levata di scudi contro “gli attacchi personali ad un Presidente del Consiglio bollato come inadeguato”. Il detentore del potere politico più elevato che viene difeso dalle penne della “società civile” rientra in una ginnastica inedita, che sarebbe stato meglio non vedere.

    Dice molto sulla qualità delle credenze collettive di oggi la leggerezza della rimozione per cui la sinistra “radicale” cancella senza alcuna remora gli atti legislativi e simbolici del Conte uno che politicamente configurano un vero “crimen inexpiabile” (la sudditanza a Salvini e ai suoi decreti sicurezza è all’origine della creazione della sua irresistibile ascesa). Non contenta di sorbire le gesta del Conte due, in sella per puro stato di necessità e assenza di alternative, che prosegue in perfetta continuità con la precedente fase di governo (rivendica come segno di innovazione la legge spazzacorrotti, la norma ammazzavitalizi, l’annullamento della prescrizione e le disavventure di Bonafede) la sinistra radicale si mobilita per incoronare il Conte tre.»

    https://www.centroriformastato.it/e-ancora-possibile-criticare-conte-senza-essere-un-nemico-del-popolo-2/

    • Naturalmente a Prospero è arrivata “a stretto giro di posta” la replica di un altro mammasantissima come Dogliani. Il titolo vale un intero saggio “La libertà può essere indecente”, probabilmente sarebbe bastato un sottotitolo “e vi diciamo noi quando”. Come al solito c’è tutto: “libertà esercitata in mio danno” (visto che sono anzian*); costituzionalisti naturalmente ignoranti perché hanno avanzato dei dubbi; critiche che non possono che essere “contingenti e politiciste” (deduco che l’appello sia permanente e boh, qual è il contrario di “politicista”?) e il richiamo all’autoevidenza, così, di botto: “ci vuole tanto a capirlo”?
      Questi pezzi comunque a me fanno persino piacere. Se gli argomenti sono questi, siamo a posto.

      https://www.centroriformastato.it/la-liberta-puo-essere-indecente-1/

  52. […] Ci risiamo. Aumentano i contagi e si richiudono le scuole. Di ogni ordine e grado stavolta. È il provvedimento preso dalla Città Metropolitana di Bologna, che ha fissato le chiusure per due settimane a partire da lunedì 1 marzo, oltre alle restrizioni per le visite ai parenti, la chiusura dei confini comunali e la chiusura dei centri sportivi. E se tra due settimane i contagi non saranno calati, potranno protrarre il provvedimento. Un giochino già visto. Oggi riproposto con ancora più ipocrisia, grazie alla trovata della tonalità “arancione scuro”, per non dire che si tratta, in buona sostanza, del lockdown di marzo 2020: pugno di ferro contro comuni cittadini e lavoratori, guanto di velluto coi padroni. E il velluto del guanto è ancora più morbido, dato che non si annuncia la chiusura di alcuna produzione “non essenziale”, nemmeno chiusure-farsa come quelle dell’anno scorso. […]