di Wu Ming
Nella discussione in corso sotto il post «Va bene tutto» sono stati disseminati spunti e link a inchieste e ricerche che rischiano di sparire nel marasma di commenti, e che vale la pena segnalare a parte.
Una delle questioni più importanti emerse è questa: cosa vuol dire, oggi, «essere positivi al tampone»? Quale tampone? «Impennata dei positivi», «oggi tot positivi»… Ma positivo in che senso?
Già a fine agosto un’inchiesta del New York Times metteva in guardia contro il problema dei falsi positivi, dicendo che forse riguardava addirittura il 63% dei tamponi eseguiti a New York e concludendo che il tampone naso-faringeo è uno strumento inadeguato per comprendere le reali dimensioni della pandemia e isolare i focolai. Questo perché da un lato è troppo sensibile e rileva anche minimi residui di RNA virale non infettanti, e dall’altro la procedura è troppo lenta e dunque sui focolai si è sempre in ritardo.
A fine settembre il New England Journal of Medicine riprendeva il tema in uno studio dove si affermava che «migliaia di persone sono messe in quarantena per dieci giorni in seguito a tamponi RNA-positivi nonostante abbiano già superato la fase di contagiosità».
Il NEJM raccomandava di usare i cosiddetti «test rapidi», ovvero i test genici CRISPR a basso costo, che sono sì meno sensibili, ma in un’epidema l’importante è scoprire chi è contagioso, non chi ha una bassa (o nulla) carica virale.
Sulla proposta, ovviamente, non abbiamo competenze per esprimerci. Il punto è che chi dice di averle non si esprime. L’inchiesta del NYT e lo studio del NEJM sono stati ignorati dal Comitato Tecnico-Scientifico, dal governo, dai nostri virologi televisivi. Possibile che, su 750 «esperti» nominati da Conte, nessuno abbia pensato che se in tre mesi la percentuale dei “positivi” asintomatici aumenta a dismisura qualcosa non torna in termini di diagnostica?
Visto che da noi nessuno faceva inchiesta su questo, ci si è dedicato Alessandro Chiometti, che ha telefonato a laboratori e produttori chiedendo: «Qual è la precisione dei vostri tamponi?» Il suo articolo riassume l’intera faccenda, compresa l’inchiesta del NYT e lo studio del NEJM, si intitola Il bisturi e l’accetta ed è qui.
Non solo il problema è stato ignorato: chiunque, nei mesi e nelle settimane scorse, si sia azzardato a far notare che positivo non vuol dire per forza ammalato e non vuol dire nemmeno contagioso, è stato subito oggetto di un fuoco di sbarramento mediatico. Secondo un titolo di Repubblica di qualche giorno fa, quella era «la teoria di Salvini». Non sappiamo dire se un titolo del genere indichi più malafede o più provincialismo.
Purtroppo si è creata una situazione di vuoto del pensiero critico in cui a dire queste cose – ovviamente male e senza la minima credibilità – è Salvini, così se le fa notare qualcun altro gli si può dire «Sei come Salvini!», e scatta l’anatema.
Ma la questione è cruciale: la ridda di provvedimenti contraddittori e iniqui presi nelle ultime settimane è stata aizzata dai media a colpi di «aumentano i contagiati», «aumentano i contagiati», «aumentano i contagiati», laddove per «contagiati» si intendono sempre i positivi.
Se tali provvedimenti – anche su questo Chiometti ha fatto un buon riassunto con tanto di grafici – non sono serviti a piegare la curva dei positivi, forse non è per colpa degli “italiani indisciplinati”. Forse dovremmo cercare di capire meglio cosa ci sia, dentro quella curva.
Quella curva, a dirla tutta, ha funzionato da diversivo: è servita a scaricare tutte le responsabilità sui comportamenti individuali. Un perfetto esempio di governance neoliberale.
Intanto, se i reparti di terapia intensiva rischiano di ritrovarsi esattamente come a marzo, è perché dopo la prima ondata non si è fatto niente per invertire la rotta delle politiche che avevano semi-smantellato la sanità pubblica e in generale il welfare.
Ma no, media e politici dicono che è colpa tua, tua.
Colpa delle tue vacanze (fatte col bonus che ti aveva dato il governo).
Colpa delle tue cene.
Colpa delle tue chiacchierate e passeggiate e visite a non-congiunti.
E via coi «non ce la possiamo fare», «gli italiani sono così», «capiscono solo il bastone» ecc. ecc.
Che questi discorsi siano falsi lo dimostrano proprio gli ultimi provvedimenti, che colpiscono gli operatori più “virtuosi”: quelli di cinema, teatri, sale da concerti, e quelli di palestre, piscine e altre strutture sportive.
Avevano applicato certosinamente tutte le disposizioni. Avevano preso ogni misura necessaria e anche alcune non necessarie. Erano stati disciplinatissimi. Ma il governo li stanga lo stesso, e rischiano di andare in rovina, perché va tenuta in piedi la narrazione che «gli italiani» in generale sono irresponsabili e le colpe sono tutte loro, e vanno adottati provvedimenti puramente spettacolari, apotropaici, diversivi. Ovvero: bisogna pure far vedere che si chiude qualcosa. Qualcosa che non turbi Confindustria.
Se dici queste cose, incredibilmente, ti danno del “negazionista”, che ormai è l’accusa-passepartout per chiudere qualunque discussione prima ancora di aprirla. Accanto al negazionista “classico”, quello che nega l’esistenza della pandemia, ne esiste un altro, perfettamente speculare al primo, che nega ogni aspetto critico della gestione governativa, ignora le ricerche internazionali, e si affida a pensiero magico e talismani.
A questo punto, se proprio bisogna adeguarsi al pensiero magico, come consulente tecnico-scientifico scegliamo il re Julien di Madagascar.
Proponiamo un sacrificio umano per placare il dio Covid: gettiamo un governante in ogni vulcano attivo del Paese.
Di sicuro, male non può fare.
Segnalo lo straordinario articolo di Zeynep Tufekci, sui meccanismi di diffusione dell’epidemia (per quanto ne sappiamo oggi): https://www.theatlantic.com/health/archive/2020/09/k-overlooked-variable-driving-pandemic/616548/
La parte importante comincia qui (ma i paragrafi prima sono necessari per capire il ragionamento e il contesto):
“Overdispersion should also inform our contact-tracing efforts. In fact, we may need to turn them upside down. Right now, many states and nations engage in what is called forward or prospective contact tracing. Once an infected person is identified, we try to find out with whom they interacted afterward so that we can warn, test, isolate, and quarantine these potential exposures. But that’s not the only way to trace contacts. And, because of overdispersion, it’s not necessarily where the most bang for the buck lies. Instead, in many cases, we should try to work *backwards* to see who first infected the subject.”
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Ci sono analogie significative con il vostro articolo, sul meccanismo di tracing che Tufekci consiglia, sul tipo di test da utilizzarsi di preferenza e in che modo: mi sembra dica le stesse cose che dite voi (vedi paragrafi su PCR vs test rapidi).
L’articolo che linkate (Chiometti), invece, si prende una bella responsabilità:
1) c’è differenza fra “asintomatico” _prima_ del climax dei sintomi e asinto/paucisintomatico _dopo_ l’apice della malattia (perché magari i risultati del tampone arrivano 10 giorni dopo).
I primi sono dimostrabilmente contagiosi, come con alcuni raffreddori/influenze. È giusto, ovviamente, segnalare i secondi: magari blindati in casa perché positivi, quando magari sono già “non-infectious” (non contagiosi). Sembrerà impossibile, ma nella mia bolla di conoscenti molti confondono questi due gruppi, in un vago “sono tra noi” da fantascienza distopica.
2) segnala un “calo di mortalità”…quando è comprovato che ci sono 4-5 settimane di delay fra il boom dei casi e il boom di morti. Magari sbaglio io, ma ho paura che certi passaggi non invecchieranno bene.
Ciao Taliesin,
nessuno ha la palla di vetro ma in realtà io non mi prendo nessuna responsabilità (magari! significherebbe aver studi pubblicati sul NEJOM), mi limito a riportare e commentare i dati e i papers.
Se apri il link del mio articolo a quel giornale https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp2025631
c’è anche il grafico che spiega perché preferire il test rapido al tampone classico. E’ la carica virale a determinare se uno è infettivo o meno, non il “prima o dopo” l’apice della malattia (che nell’asintomatico non c’è).
Sul crollo della mortalità beh questo è un dato che è arcinoto, il delay medio dal contagio alla morte è di 20-25 giorni, quindi basta sommare i contagi dal 15/8 al al 15/ 9 e paragonarli con i morti dal 10 /9 al 10/10 per rendertene conto, o prima ancora guarda i grafici interattivi del Financial Times: https://ig.ft.com/coronavirus-chart/?areas=ita&areasRegional=usny&areasRegional=usnj&byDate=0&cumulative=0&logScale=0&perMillion=1&values=deaths
Certo se si saturerà la terapia intensiva la mortalità aumenterà, ma a quel punto non dovrebbero scrivere “morto per covid” ma “morto per gestione incapace del SSN”
Ho letto, dato che non è ben chiaro quando il medico di famiglia invii al tampone, delle linee guida per i medici di famiglia e pediatri di Torino: praticamente il sintomatico con i sintomi principali ,tosse +febbre +anosmia/agesmia, come ad inizio pandemia è il soggetto elettivo per il tampone molecolare, diagnosticamente lento e quindi poco utile al tempestivo tracciamento; con eccezione in caso di pauci sintomaticitå per i soggetti a rischio, con patologia pregressa. Gli altri, contatti non sintomatici, per poter gestire il tracciamento sono inviabili al tampone antigenico,pur estremamente impreciso, che quindi dovrebbe essere disponibile “mejo tardi che mai” su larga scala. In quest'” area grigia” finiscono molti di coloro che comunque sono soggetti a isolamento fiduciario, gli altri essendo in realtá i positivi sintomatici o quelli che con sintomi aspettano il risultato del tampone .
Il rapporto John Snow ,rispetto al Great Barrington (di cui si scriveva,qui tra giapsters, come sospettosamente tacciabile di essere maliziosamente pro heird immunity) puó essere letto con giudizioso rispetto della difficoltá della scienza di informare senza disporre della libertá dei cittadini occidentali.
Scusa, paololiu, ma… anche no.
La “scienza” ha stabilito che fumare fa male, siamo stati tutti informati di questo, ma che risulti a me nessuno ha “disposto della libertà” di fumare di nessun altro. Anzi stando a un mio amico fumatore, questa primavera in Italia i fumatori erano praticamente dei privilegiati, avevano una ragione per “evadere” più degli altri.
Per le difficoltà della “scienza” con la libertà dei cittadini occidentali: gli autori della John Snow (quasi tutti dell’area medica – ho visto un fisico, forse un’altra eccezione) hanno pubblicato un pezzo su Lancet intitolato “Scientific consensus on the COVID-19 pandemic: we need to act now”, poi ripubblicato come appello da firmare online, chiuso dalla seguente affermazione: “The evidence is very clear: controlling community spread of COVID-19 is the best way to protect our societies and economies until safe and effective vaccines and therapeutics arrive within the coming months. We cannot afford distractions that undermine an effective response; it is essential that we act urgently based on the evidence.” “Evidence” citata: il Giappone, il Vietnam, e la Nuova Zelanda. A questo punto, uno prende la mortalità per coronavirus della Svezia, ai minimi da settimane anzi probabilmente mesi, e dice facciamo come loro no? Almeno non stanno agli antipodi. Ma è chiaro che quella strategia non è riproducibile tal quale altrove.
Insomma un tot di medici virologi ed epidemiologi – senza nemmeno un economista, un sociologo, un esperto di reti/trasporti/movimenti delle persone… – scrivono un pezzo per dire al mondo intero cosa deve fare, sulla base dell’evidenza “scientifica”. Saltiamo il problema dei paesi in via di sviluppo, e assumiamo che si rivolgano all’Occidente. Qui in Europa il tracciamento è andato a gambe all’aria più o meno ovunque, e inizio a pensare che non ci sia davvero mai stata la possibilità che tenesse. Quindi cosa facciamo? A quale costo? Come facciamo ad essere ragionevolmente sicuri che la cura non sia peggiore del male, o semplicemente che funzioni? Mi sembra un altro caso di “esperti” che si mettono a prescrivere cure al di fuori del loro campo di competenza, senza spendere una parola sui costi (non solo economici) degli interventi. Non ho molto rispetto per le loro difficoltà devo dire.
A peggiorare le cose ai miei occhi, c’è anche il fatto che tra gli estensori c’è una consulente del governo scozzese, che ha spinto per una strategia cosidetta “zero COVID” (questa pandemia viene molto sfruttata a fini politici, e la Sturgeon in questo si è rivelata una maestra). Ma è chiaramente impossibile – è inutile che parliamo della Nuova Zelanda, la Nuova Zelanda ha meno abitanti della Scozia, e non è attaccata all’Inghilterra, che sta a uno sputo dall’Europa continentale, con una rete di scambi e relazioni fittissima tra aree molto popolose e urbanizzate e una presenza del virus che è andata fuori controllo probabilmente già a gennaio senza che nessuno se ne accorgesse. Il commento della consulente alla dichiarazione a cui la John Snow reagisce, che poi è la Great Barrington, è stato “they have not thought this through” – perché loro invece sì? Poi davanti alla ripresa in forze dei contagi in Scozia, e la conseguente ripresa delle restrizioni, la Sturgeon ha commentato che lei pensa che in Scozia fossero quasi riusciti a eliminare il virus, e che però deve essere rientrato dall’Inghilterra. Io penso che non sia corretto illudere le persone, nemmeno in buona fede.
A questo proposito: nel documento c’è anche l’attesa del vaccino e delle terapie “within the coming months”. Peccato che diversi degli estensori e/o firmatari della John Snow abbiano già iniziato a dire che comunque anche con il vaccino il distanziamento, le mascherine etc. dovrebbero proseguire, insomma la vita non riprenderà come prima ed è inutile che noi poveri mortali ci facciamo illusioni al riguardo, prima lo capiamo e meglio è per tutti. Lo ripetano pure: ogni giorno che passa sempre più persone ne hanno abbastanza, in generale e di questi discorsi in particolare. Buona fortuna poi a contenere il contagio con la popolazione che non ti dà più retta.
Qui la competenza che si rivela più utile alla fin fine è quella dello storico… che può serenamente dire a tutti, guardate che le epidemie finiscono.
https://www.johnsnowmemo.com/italiano.html ha chiaramente il limite che tu evidenzi di informare con sguardo clinico, quando tanti post nel blog hanno contribuito a far notare come tale modo di comunicare tecnicamente sia strumentalizzabile in senso politico, alimenti infodemia e sia infine solo una faccia di un poliedro di criticità, cui è stata data la definizione di “sindemia” e che qua è sotto la lente critica, da prima del re Julien :-/ Oltre ad aspettare che l’ evoluzione faccia il suo corso, pragmaticamente una qualche risposta al corpo sociale si poggia su una guida anche scientifica e, come tale, indipendente finchè, come tu hai scorto in alcuni estensori non incontra il conflitto d ‘interesse e così vacilla l’ autorevolezza sui cui si basa la fiducia verso gli “esperti”.
In realtà non volevo dire che c’è un “conflitto di interessi”. Io penso che quel documento afferma che c’è dell'”evidence” che tale non è, e si serve di questo, delle credenziali accademiche degli estensori, e del prestigio della sede, per presentare un punto di vista come “scientifico” (non lo è), screditando quelli alternativi anche servendosi di giri di parole che non mi colpiscono per la loro correttezza, e così spingere delle misure di cui quelli che l’hanno scritto non sono assolutamente in grado di valutare efficacia e costi. Siamo davanti alla situazione analizzata benissimo da robydoc a maggio, stanno prendendo una posizione come potremmo prenderla noi profani, ma ex cathedra – anzi è pure peggio, perché The Lancet non è un rotocalco. Così facendo nutrono convinzioni chimeriche nelle persone che non riescono a radiografare testo&contesto, con la ciliegina sulla torta del vaccino/cura-salvezza in arrivo – che mi pare una roba da blockbuster hollywoodiano.
Oltre al fatto che si presta a strumentalizzazioni politiche, questo modo di agire ai miei occhi non è eticamente corretto, pure se fosse in buona fede.
(Per capirci: quel che propongono è più o meno bloccare tutto quel che si può per ridurre i contagi abbastanza da riuscire a controllarli con il test&trace. Ma qui in UK tutte le settimane l’ufficio nazionale di statistica fa una stima di quante persone si sono prese il virus nella settimana precedente sulla base di test fatti a campione: in base a quella pubblicata oggi, nella settimana 17-23/10 l’hanno avuto più di mezzo milione di persone. Abbiamo anche una stima alternativa fatta con lo stesso sistema dall’Imperial college: secondo loro sono state ancora di più. Non è possibile fare il tracciamento di mezzo milione di persone e isolare tutti i loro contatti; e per riportare quel numero a livelli “gestibili”, considerato che una parte non indifferente della società deve per forza funzionare perché non schiattiamo tutti; che in questa sono sicuramente comprese strutture sanitarie e per anziani, che più di tutte contribuiscono ai contagi e ai contagi letali, alcuni focolai ospedalieri qui hanno avuto una mortalità del 30%; e che a questo giro il clima ci rema contro anziché aiutarci… non oso pensare a cosa si dovrebbe fare).
Meccanismi rischiosi studiati dalle scienze cognitive( come il group reinforcement o l’illusion of similarity) possano incidere negativamente sull’effettività delle decisioni e, in casi limite, sortire effetti di blocco del processo decisionale (inter-group opposition bias). L’erroneità della diffusa convinzione che la collaborazione tra più individui stimoli il confronto tra diversi punti di vista, evidenzia che il group reinforcement bias porta invece coloro che hanno idee diverse dal gruppo a rinunciarvi ritenendole errate, a detrimento della qualità della decisione finale; per cercare di neutralizzare questo bias, è importante di gruppi di lavoro multidisciplinari.
Il direttore della Cineteca di Bologna, Gian Luca Farinelli, firma questo intervento su Repubblica:
«Sono sospesi gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi anche all’aperto. Difficile trovare una logica. Sembra una commedia di Ionesco, un’esperienza surreale, un tragico errore. Da giugno, le varie forme di spettacolo sono faticosamente ripartite, adeguandosi a regole complesse e costose, cercando di ritrovare una relazione con il pubblico, tra infiniti e crescenti ostacoli. I cinematografi hanno visto scomparire i film, che erano stati promessi, per i quali avevamo riaperto. Eppure abbiamo continuato a programmare, a inventare proposte trovando un pubblico curioso, sempre attento alle regole e rassicurato, nel trovare sale e personale capaci di adeguarsi al rispetto delle regole.
Poi, ieri, di colpo, si richiude.
Senza che ci sia stato un solo focolaio originatosi in una sala di spettacolo, mentre si mantengono aperte attività che hanno certamente potenziali di pericolo molto più alti di un cinema, dove le persone arrivano, sono ben distanziate, guardano davanti a se, verso lo schermo, non passano il tempo a parlarsi … Eppure i cinema sono attività economiche, come quelle che si è voluto tutelare mantenendole, almeno in parte, aperte. Allora perché non lasciare aperte le sale, come hanno fatto in Francia, fino alle 21? Perché, ancora una volta, considerare lo spettacolo, incolpevole di fronte alla diffusione del virus, come un untore o peggio, come un’attività inutile?
In queste settimane sono andato spesso nelle nostre sale e oltre a trovarle spesso piene, a metà, certo, ma piene, ho guardato le facce delle persone e a volte, ho parlato con loro. C’era preoccupazione, in tutti, ma anche felicità che la cultura fosse ripartita, che si potesse godere di un film, di una presentazione, assieme, ridendo, commuovendosi, pensando assieme.
Sono consapevole delle enormi difficoltà che il Governo si trova ad affrontare, sono grato al Ministro Franceschini di quanto è riuscito a fare per difendere la cultura, i suoi lavoratori, le sue strutture, ma credo che questa volta si sia fatto un errore, non si sia valutato questa sensazione di schiaffo gratuito che si stava dando a un settore intero e a tante singole persone, spettatori e lavoratori, senza una sola parola di spiegazione.
Continueremo a batterci perché crediamo che la cultura sia un vaccino per le malattie dell’anima, un vaccino che è disponibile, a patto che non si chiudano i luoghi dove lo si può trovare.»
Farinelli in effetti risponde direttamente o indirettamente alle dichiarazioni del ministro Franceschini che ha detto la sua: «Chi protesta per cinema e teatri non capisce la gravità della situazione».
È esattamente vero il contrario: chi chiude cinema e teatri non capisce la gravità della situazione, perché di certo non allevierà il contagio chiudendo i luoghi in cui i protocolli erano più rigidamente applicati e che erano rimasti aperti in rimessa economica senza mandare a casa tutti i lavoratori.
E lo sport? L’attività fisica? Possiamo rinunciarci, certo, o sostituirlo con passeggiate e corse libere, finché ce lo consentono e anche se rinunciarci di sicuro non rafforza la nostra salute… Ma i lavoratori di palestre, piscine e centri sportivi possono fare lo stesso? Le palestre che avevano investito in modifiche strutturali, contingentato gli ingressi, dotato i clienti di spray igienizzante per gli attrezzi; le società sportive che hanno trascorso le ultime 48 ore cercando di interpretare il dpcm, per sapere se potranno continuare l’attività e con quali nuovi protocolli e coperture assicurative, o se invece dovranno restituire le quote d’iscrizione e buona notte ai suonatori… be, questi sono anche luoghi di lavoro.
Ma non è nemmeno questo l’aspetto più grave della dichiarazione di Franceschini. È che il ministro non sa – o finge di non sapere – che la maggior parte dei lavoratori della cultura e dello sport, non ha ammortizzatori sociali, perché ha contratti di collaborazione. Tutti liberi professionisti… che senza lavoro restano anche senza reddito e che hanno pure difficoltà a dimostrare formalmente quante entrate perdono e quindi a farsi risarcire dallo stato.
Poi c’è una cosa che fa veramente venire voglia di tifare per la proposta di re Julien. È almeno dalla crisi del 2008-09 che l’Italia investe nei suoi beni primari: “Cucina & Cultura”. Così ci è stato raccontato: che la cultura e l’enogastronomia, inimitabili dai cinesi, erano il nostro “petrolio”. E vai di Masterchef, La prova del cuoco, Cucine da incubo, 4 ristoranti, e chi più ne ha più ne metta. Chiunque si è buttato sulla ristorazione, i centri storici delle città italiane sono diventati un unico sconfinato ristorante. E adesso il governo quei ristoranti li chiude all’ora di cena. Possono funzionare a mezza capienza a pranzo e basta.
Insomma, arriva il Covid che fa scoppiare la bolla più gonfiata degli ultimi dieci anni, e la retorica di cui questo Paese si è strafogato si squaglia come neve al sole: richiudiamo per prime cultura e ristorazione, perché non sono “essenziali”. Ah, no? Non sono più il petrolio? Non sono manco gas naturale (di quello autoprodotto), a quanto pare.
Ipse dixit: «Tieni, prendi un altro sacrificio…Guarda che mi offendo se non prendi un altro sacrificio…»
Farinelli risponde indirettamente anche al sindaco di Bologna Merola, il nostro piccolo De Luca, che in ogni circostanza riesce a risultare il più stridente, fuori luogo, inutilmente “decisionista” e illogico in ogni passaggio delle sue esternazioni.
(ANSA) – BOLOGNA, 25 OTT – “Quando i provvedimenti sono stati approvati finisce la discussione. Quando un provvedimento è preso il potere di Regioni e Comuni è solo restrittivo, continuare a fare critiche a ridosso di un provvedimento al quale si è partecipato non dà credibilità alle istituzioni e non aiuta la nostra sanità. Le persone si aspettano un esempio delle istituzioni, dobbiamo parlare con i fatti, dobbiamo sapere dare fiducia per chiedere fiducia”. Il sindaco di Bologna Virginio Merola ha commentato così il dpcm emanato dal governo, ospite di SkyTg24. “Siamo di nuovo in pandemia piena – ha detto Merola – questo dpcm è un provvedimento comprensibile, condiviso con regioni e sindaci. Più che notare le cose che non vanno bisogna mettersi a lavoro per applicarlo, perché l’obiettivo è non chiudere tutta la società, quindi credo che davvero debba esserci uno sforzo comune. Anche perché si sta esasperando la situazione e il conflitto sociale, in questa giusta protesta di alcune categorie si stanno infiltrando elementi sovversivi che vogliono mettere in gioco la nostra democrazia”. A chi gli chiede se sono stati commessi errori in questa fase, Merola ha risposto di sì: “io me li sono segnati, ma me li tengo per la fine della pandemia“. (ANSA).
Ci sono proteste giuste… ma non vanno fatte.
Cosa non è andato ce lo farà sapere lui dopo.
La politica ex-post.
A me pare chiaro che in questo momento si stia chiudendo quello che si riesce a chiudere. Non mi sembra realistica l’immagine di un gruppo di lavoro che si siede e che decide “questo è essenziale, questo no”. I gruppi dirigenti non solo italiani hanno in testa una sola cosa: limitare, per quanto riescono, gli spostamenti. In quel “per quanto riescono” secondo me si deve trovare la spiegazione di tutti i provvedimenti insensati che si susseguono e si sussegueranno. Nei rapporti di forza evidentemente i rappresentanti del comparto sono i più sacrificabili e si sacrificano. Che siano o meno focolai conta zero, conta il fatto che è una limitazione alle uscite. C’è sicuramente del metodo. Appena peggioreranno altri numeri la posizione di altri comparti sarà più debole e si chiuderà anche quella. Tentando di non fare esplodere le piazze, anche se immagino abbiano messo nel conto qualche stretta repressiva. Il (loro e purtroppo ormai anche nostro) problema è che questi provvedimenti, che sarebbero bastati a marzo, non basteranno ora, ci scommetterei qualcosa. Del resto in Spagna, Uk e Francia ci stanno provando da un po’ col bel risultato di essere passati da 10 mila a 20mila (Spagna) da 10 a 50 mila (Francia) e da 10 a 25 (UK). Faccio fatica a capire perché in Italia debba andare diversamente. Se questo quadro ha senso, andare appresso ai conteggi dei positivi perde un po’ di senso, tanto anche se li trovi che vuoi fare? In ospedale non ci possono praticamente più andare, l’isolamento non sono in condizioni di farlo coatto, la struttura cuscinetto sembra troppo semplice, il tracciamento fra l’altro è impensabile con questi numeri. Contrapporre a tutto questo “noi abbiamo fatto quello che dovevamo fare e ora ci chiudete nonostante si veda che non c’entriamo” è comprensibile ma mi sa che non servirà a tantissimo. Sarebbe forse importante far mancare del tutto l’appoggio a governo e simili, ma mi pare più facile far sparire il virus, con questi chiari di luna.
Però sempre lì siamo: da diecimila a ventimila o cinquantamila, sì, ma ventimila o cinquantamila cosa? Positivi? Positivi al tampone nasofaringeo? E dopo quanti cicli di amplificazione del segnale? 20? 30? 40? È indubbiamente una crescita impetuosa… ma la crescita di che? Mi sembra che al centro dei discorsi ci sia un dato aggregato che se non lo disaggreghi non sai davvero cosa stia succedendo sotto l’aspetto epidemiologico. Alex dice che non lo sapremo mai quanti positivi non ammalati né contagiosi abbiamo messo in quarantena. Potremmo però evitare di metterne ancora. Solo che nel frattempo, 1) hai l’attacco di panico generalizzato; 2) prendi provvedimenti inutili e addirittura controproducenti; 3) distogli attenzione e risorse dai punti in cui il virus azzanna davvero.
Il dato più affidabile per capire la situazione è l’occupazione dei reparti ospedalieri e delle terapie intensive. Ma il tracciamento si fa comunque sui positivi, quindi la questione fondamentale non è tanto il numero alto, quanto il numero che aumenta rapidamente anche perché ci facciamo scappare persone contagiose per inseguire i fantasmi. Il punto 3 va sottolineato mille volte, la gente non lo capisce e si sente più sicura con test più sensibili, quando è esattamente il contrario. I test rapidi potrebbero cambiare lo scenario se non altro a livello locale o settoriale. Non tutto il territorio è nelle stesse condizioni e dobbiamo attaccarci alla possibilità di tener aperto qualcosa. La scuola, ad esempio. Sarebbe molto importante poter fare più test, più tempestivi e anche meno invasivi.
Altre derive nascoste nel mucchio.
Mio figlio frequenta l’Itis di Matera, ieri con una circolare hanno raggiunto il fatidico 75%, tutti gli alunni residenti a Matera seguiranno le lezioni in presenza, quelli che provengono dai comuni limitrofi saranno perennemente in fase.
Nella classe sono 23 i non residenti sono 4, l’82% della classe sarà in presenza!
Ma il messaggio è che la qualità dell’istruzione impartita dipende dalla residenza, ovviamente non è un atteggiamento razzista, cosa vuoi che sia è solo residenza, non razza religione o censo…
Ieri ho provveduto a scrivere al dirigente scolastico, ma risiedo in provincia, non di’ se oggi sentendosi magnanimo mi risponderà.
Chissà quante altre derive larvate ci sono in giro.
Esiste un diritto costituzionale dell’emergenza? Non è riscontrabile al momento: le decisioni pubbliche sono divenute esclusivamente monocratiche (presidente consiglio dei ministri, governatori regionali, sindaci), le assemblee democratico elettive sono state soppiantate dai comitati tecnico scientifici, i cui verbali sono secretati e non possono perciò formare oggetto di dibattito pubblico. Trattandosi di provvedimenti ‘a tempo’ non sono neppure giustiziabili perché quando si arriva all’udienza sono già stato sostituito con altri provvedimenti. La decisione anche qui è rimessa ad un solo uomo, il presidente di un TAR che pronuncia provvedimenti inappellabili che dovrebbero anticipare la decisione di un collegio che non arriverà mai. È la morte della democrazia assembleare. Il problema non è soltanto quello della limitazione delle libertà garantire dalla Costituzione ma è anche e soprattutto quello del come e da chi vengono limitate. Se l’emergenza sanitaria giustifica la restrizione di queste libertà – beninteso entro il limite della ragionevolezza e della proporzionalità – la stessa emergenza non consente che si provveda a queste restrizioni fuori dai confini della democrazia. La costituzione si compone di molti articoli, non esiste soltanto l’articolo 32 in materia di salute che, tra l’altro, viene dopo molte molte altre disposizioni. Dunque cari pansalutisti datevi una calmata se ancora tenete alla carta costituzionale. Proteggetela da qualunque attacco che alla stessa venga perpetrato anche in nome della salute! Not in my name
Questo che sottolinei è un punto cruciale, che già in primavera vari giuristi e costituzionalisti avevano sollevato. Non c’è certo bisogno di nutrire chissà quale fiducia nella democrazia liberale per rendersi conto dell’involuzione autoritaria in corso. Più lo stato d’emergenza si protrae, più ci si abitua alla perdita di qualunque sistema di controllo sul potere esecutivo. Il potere è completamente autogestito dall’esecutivo nazionale e da quello regionale (venti piccoli presidenti del consiglio), che non rispondono a nessuno. Il ruolo del CTS sembra quello di un consiglio del sovrano, un consiglio privato, i cui atti vengono desecretati ex-post.
Per carità, che con la crisi della politica il sistema stesse già marciando spedito in questa direzione è più che evidente, ma la pandemia ha accelerato il processo esponenzialmente, mettendoci davanti al fatto compiuto. E la cosa è passata come necessaria. Scrivevamo in un post di qualche giorno fa che il passaggio dalla necessità alla normalità è molto breve.
La cosa grottesca è che ormai nessuno ha più davvero fiducia in questi “esecutori”. Anche i più ferventi sostenitori della segregazione domestica di marzo-aprile non possono negare l’evidenza: e cioè che i timonieri hanno tirato a campare durante l’estate sperando che la Madonna (o Padre Pio) facesse il miracolo, ma invece della grazia, hanno avuto la seconda ondata.
La “dittatura degli inetti”, come abbiamo chiamato questa distopia in cui ci troviamo a menare l’esistenza, è sotto gli occhi di tutti. È l’autoritarismo privo di qualunque autorevolezza. Dopo il quale, qualunque cosa sarà successa nel consumarsi della pandemia, è davvero difficile prevedere cosa ci aspetta: ovvero se davvero niente sarà più come prima, o piuttosto tutto sarà terribilmente uguale a prima.
Aggiungo, visto che si va verso l’inverno, che sui vantaggi ambientali dello smart working e della DAD ho qualche dubbio. Metti la gente a casa a lavorare, metti i ragazzini davanti al computer per una parvenza di scuola, e intanto i termosifoni restano accesi per 6-9 ore in più. Ulteriore spesa per le famiglie e carico di inquinamento non trascurabile.
E invece no, i vantaggi ambientali sarebbero molteplici ed innegabili, oltre che già abbondantemente misurati e dimostrati. Primo, i luoghi dove queste persone si recherebbero fuori delle loro case sono comunque riscaldati. Per raggiungerli (soprattutto d’inverno) si utilizzano mezzi mossi da motori a combustione interna che emettono NOx, specie se diesel, che fungono da generatori di particolato secondario, più fine, e con una quota non trascurabile di composti nocivi al suo interno. Le immagini satellitari mostrano come laddove c’erano misure di lockdown si notava una riduzione significativa di NOx. Faccio poi notare come marzo 2020 sia stato in Piemonte il mese più freddo dell’anno e il 26 marzo il giorno più freddo dell’anno e dell’inverno 2019-2020, tutti eravamo tappati in casa, eppure la qualità dell’aria è stata nettamente superiore rispetto ai mesi precedenti e alle stagioni precedenti. Le stesse evidenze sono state raccolte per Cina, Francia, Italia, Spagna… I siti di NASA e ESA mostrano in maniera elegante molti dati a riguardo.
I dubbi mi restano e come spesso mi accade coi dubbi, me li tengo volentieri. Migliaia di unità domestiche riscaldate per ore in più non mi sembrano un dettaglio ambientale trascurabile. Al di là dell’impatto sul particolato, o su certi parametri rispetto alla qualità dell’aria, un aumento nei consumi di combustibili da riscaldamento non mi pare si possa inserire alla voce “vantaggi ambientali”. Mi pare che troppo in fretta ci siamo consolati del lockdown con l’idea che, alemo, abbiamo avuto un’aria più pulita. L’ambiente non è solo l’aria che respiriamo.
Scusa, ti rispondo solo sulle caldaie perché secondo me stai trascurando un particolare.
Se parliamo di ambiente periferico o rurale hai ragione, casa mia è vuota durante il giorno e non riscaldata (e quando arrivo il grosso del lavoro lo fa la stufa a legna e non la caldaia).
Ma se parli di ambienti cittadini e di condomini, il riscaldamento gira comunque, spesso c’è un’unica caldaia centralizzata (magari a gasolio) che gira lo stesso. Se l’impianto è moderno nel tuo appartamento vuoto puoi impostare le valvole a zero e non incidere col tuo volume d’acqua, ma la signora in pensione del piano di sopra e la famiglia con bimbi piccoli che non vanno al nido al piano di sotto sono comunque in casa e la caldaia centralizzata la fanno girare.
Quindi è tutto da valutare il bilancio dei consumi e il risparmio con te al lavoro non è tutto “netto”.
Nemmeno guardando i dati sperimentali possono fugarsi i dubbi?
https://www.esa.int/Applications/Observing_the_Earth/Copernicus/Sentinel-5P/Coronavirus_lockdown_leading_to_drop_in_pollution_across_Europe
Il vantaggio ambientale non deriverebbe comunque da un aumento del consumo di combustibili per il riscaldamento (per cui comunque il metano è meglio del gasolio che è meglio della legna, sia chiaro!), bensì da una costanza grosso modo dei riscaldamenti (molte abitazioni sarebbero scaldate comunque mentre le scuole e gli uffici potrebbero restare freddi con DAD e lavoro remoto) e da una grossa diminuzione del consumo di combustibili per la trazione.
Grazie della segnalazione, leggo volentieri e ci ragiono su. La mia paura è che tutto questo entusiasmo per lo smart working, ci faccia mettere in secondo piano richieste come quella di un trasporto pubblico decente, perché in qualche modo “superate” dalle magnifiche prospettive ambientaliste del lavoro agile da casa.
«(per cui comunque il metano è meglio del gasolio che è meglio della legna, sia chiaro!)»
Ciao, ho poco tempo per rispondere con precisione, e purtroppo sono gravemente OT, ma volevo solo precisare che quanto dici è valido *esclusivamente* per il problema “polveri sottili”, e comunque con qualche “ma”.
Perché è vero che la legna produce molto particolato, ma dipende anche dal sistema di combustione (ci sono caldaie a legna a 5 stelle, con emissioni confrontabili al metano a condensazione) e dal contenuto di umidità. Legna verde brucia male, legna secca brucia meglio.
Ma poi c’è la questione fondamentale dei gas serra e dell’impronta di carbonio.
Il metano sarà pulito fin che vuoi dal punto di vista del particolato, ma la CO2 che deriva dalla sua combustione è *fossile* e quindi è un gas serra, è carbonio che prima era stoccato in tempi geologici in qualche giacimento e che tu stai mettendo in atmosfera dopo aver bruciato il metano.
La componente fossile nella CO2 emessa dalla legna invece è esclusivamente legata alla sua produzione (il gasolio del trattore e del camion) ma NON alla combustione della legna, che semplicemente rimette in circolo carbonio circolante nel normale ciclo del carbonio vegetale, tant’è che viene considerata neutra.
Infatti il metano è il gas che più preoccupa i climatologi in relazione allo scongelamento dei ghiacci artici e del permafrost.
Non so se è pe un discorso di tempo, ma il quadro che hai delineato non è accurato. Possiamo approfondire in privato, ma un approccio corretto considera i flussi: quando usiamo combustioni per avere calore o lavoro produciamo CO2 che finisce in atmosfera e che contribuisce all’effetto serra, sia che usiamo metano, sia che usiamo legna. Le foreste assorbono CO2 dall’atmosfera, qualunque sia stata la sua sorgente di emissione. Le nostre emissioni sono sostenibili se e solo se sono compensate da un flusso opposto verso le foreste e gli oceani. Il problema non è il consumo di combustibili fossili di per sè, ma il ritmo a cui li consumiamo, dovessimo sostituirli con la legna aggraveremmo irreparabilmete la deforestazione. La combustione di legna è poi molto inquinante e in alcuni paesi europei è già proibita o si parla di proibirla, ed è assurdo che invece qui in Italia venisse addirittura sovvenzionata.
Chiedo scusa a tutti per l’OT, veramente fuori luogo visti il tono e la piega della discussione principale, ma su questi temi vorrei essere chiaro e non vorrei lasciar dubbi.
Vado per punti:
I flussi. Certo che c’è un flusso di CO2 dall’atmosfera alle foreste (e a tutti i vegetali con clorofilla) che organicano il carbonio e lo trasformano in sostanza organica, che viene brucata, mangiata, muore, si decompone, viene “respirata” e alla fine, dopo un periodo più o meno lungo a seconda di dove viene parcheggiata, torna in atmosfera.
C’è quindi un equilibrio dinamico che, con qualche piccola variazione manteneva la CO2 in atmosfera su determinati valori.
I combustibili fossili, però, sono al di fuori di quel ciclo, perché sono costituiti da sostanza organica che in epoche geologiche è stata “sepolta”, si è fossilizzata ed è uscita dal ciclo in equilibrio di cui sopra.
A partire dalla rivoluzione industriale l’uomo ha impiegato un numero sempre maggiore di combustibili fossili, immettendo nel ciclo del carbonio, del carbonio che ne era fuori.
Quindi è inesatto dire che “Le nostre emissioni sono sostenibili se e solo se sono compensate da un flusso opposto verso le foreste e gli oceani“. poiché nessun flusso riporterà mai il petrolio o il carbone sotto terra.
Ogni volta che bruciamo legna, mettiamo sì in circolo CO2 che, ovunque provenisse, come dici tu, però ormai, *era già* in atmosfera ed era stata temporanemente stoccata nel legno durante la crescita della pianta (in 20, 40, 150 anni?); mentre invece ogni volta che bruciamo metano, petrolio o carbone aggiungiamo CO2 nel flusso prelevandola da uno stock che era al di fuori di quel ciclo e che era immobilizzata tipo dal paleozoico.
Quindi il problema è proprio “il consumo di combustibili fossili di per sè”, anche se il ritmo a cui si consumano è determinante ed è andato crescendo negli ultimi 300 anni.
Ovviamente bruciare la legna non è l’unico o il miglior uso che possiamo farne: il massimo per stoccare carbonio sarebbe usare legname per le costruzioni invece del calcestruzzo.
Il carbonio in esso contenuto potrebbe rimanere stoccato molto a lungo (pensate alle travi del tetto di una chiesa medievale) e si eviterebbe di usare il calcestruzzo, un materiale energivoro con una forte impronta di CO2
Vado al punto 2, la deforestazione.
Innanzitutto bisogna distinguere tra deforestazione (intervento in seguito al quale il suolo non ha più e non avrà più una copertura forestale) e tagli boschivi (interventi al termine dei quali l’uso del suolo continua a definirsi forestale, e in cui i processi naturali riportano una copertura arborea a vari stadi di sviluppo pressoché da subito).
La deforestazione cui si assiste nei paesi tropicali e in amazzonia ha come obiettivo principale quello di liberare nuovo suolo per colture agricole o il pascolo.
In indonesia e borneo le foreste primarie dove viveva l’Orango sono state spianate per le coltivazioni di palme per la produzione di olio.
Il legname derivante da questi interventi viene ovviamente usato, bruciato o rivenduto in occidente come legname di pregio, ma non è ottenere quel legname lo scopo per cui si deforesta.
Invece dove si fanno tagli boschivi il bosco e il legno *ricrescono*, e dove i tagli sono fatti bene, dove vi è una selvicoltura, questa ricrescita è sostenibile, mantiene la biodiversità e permette di avere una fonte di energia e di materiale da costruzioni rinnovabile in tempi accettabili.
In Italia i boschi (gestiti secondo norme più o meno stringenti in base alla normativa regionale, ma sempre in modo sostenibile) sono in continuo aumento dal dopoguerra, facendo seguito all’abbandono colturale di migliaia di ettari di pascoli e terreni coltivabili nelle aree più marginali del territorio (con qualche criticità: spariscono i sempre più rari boschi in pianura).
Il paradosso è che l’Italia importa legna da ardere dall’estero, anche da paesi in cui non vi sono boschi a sufficienza e dove non vi è una normativa sufficiente a tutelarli (addirittura dalla Mongolia) e invece non usa abbastanza i boschi che ha.
E tornando a parlare di legna da ardere, non c’è alcun bisogno di mettere nella stufa foreste vetuste, quando un bosco ceduo di Robinia (una specie esotica non pregiata dal punto di vista ambientale) è in grado di produrre legna ogni 10 anni.
Ho tagliato con l’accetta e omesso parecchie cose importanti che avrebbero reso un po’ più serio ma troppo lungo e fuori fuoco l’intervento.
Scusandomi per l’OT rimando a un link con materiale di gente molto più competente di me:
https://sisef.org/cartella-stampa/
Ok, penso di aver capito quali siano gli equivoci, alcuni sono anche chiariti da alcuni articoli del sito che hai linkato (https://sisef.org/portfolio/foreste-e-lotta-al-cambiamento-climatico/), tuttavia posso spiegare meglio senza intasare ulteriormente i commenti se mi scrivi (chiunque sia interessato può farlo) a fabricn@tin.it
Anticipo solo che il concetto di equilibrio dinamico regge solo per tempi brevi, e che sebbene sia vero che pool di carbonio diversi abbiano tempi medi di vita diversi, è anche vero che se i flussi sono sostenibili, non importa se stia bruciando carbone o paglia, la concentrazione di CO2 in atmosfera non cambierà. Cambierà se mai l’entità relativa dei vari pool (più biomassa e meno carbone, per intenderci) a meno che un pool non sia saturo, ma non è il caso delle foreste. Il problema grosso dei flussi antropici di CO2 è che non sono sostenibili, nemmeno se tutti bruciassimo legna. A quel punto le foreste sostenibili non basterebbero (non ricrescono in tempo!) e in compenso l’aria sarebbe irrespirabile, forse peggio dei livelli di metà secolo scorso, quando in Europa si videro i picchi di inquinamento atmosferico (forse non tutti sanno che oggi siamo almeno due ordini di grandezza al di sotto per tutti gli inquinanti…)
Ho capito il tuo ragionamento sui diversi pool, in sostanza è solo una questione di scala temporale, se è abbastanza lunga si può dire che tutto il carbonio presente sulla terra faccia parte di un unico calderone.
Quindi tu dici che “bruciare carbone o paglia è uguale” e proponi di continuare a usare fonti fossili “pulite” dal punto di vista del particolato e smettere completamente di usare la legna sperando che l’accrescimento delle foreste possa riassorbire tutta la CO2 fossile emessa dalla nostra società.
Io però non sono d’accordo su tutta la linea, né sulle premesse né tantomeno sulle conclusioni.
Primo perché il problema della quantità di CO2 in atmosfera è “scoppiato” in questi ultimi 300 anni, con lo sviluppo della civiltà industriale e con il consumo di fonti fossili (cui, contestualmente in occidente è seguito anche il progressivo abbandono della legna come fonte combustile e, negli ultimi 60 anni, l’abbandono della montagna e l’aumento dei boschi di neoformazione, ma sto divagando); quindi a scale di tempo umane è molto diverso bruciare carbone o paglia: se brucio carbone aggiungo nuova CO2 al sistema (e non è importante ai fini di questo ragionamento se verrà riassorbita dalla vegetazione che crescerà da lì in avanti), mentre se brucio paglia immetto CO2 che l’anno scorso era già in atmosfera ed è stata organicata dal grano in una sola stagione vegetativa.
Secondo perché non è che vietando a mia nonna, a me e a mio suocero di bruciare legna nella stufa risolvi il problema della deforestazione: la legna che io brucio deriva da Tagli colturali a carico di boschi di neoformazione o comunque gestiti che dopo il taglio continuano a crescere (i boschi hanno un incremento in m3/ha/anno e se la gestione è sostenibile tu usi gli interessi, NON il capitale!), continuano a stoccare carbonio (forse ne stoccano persino di più di un bosco vecchio in termini di incrementi), e vengono da una filiera corta a bassa impronta di carbonio, mentre la perdita di superficie forestale nel mondo NON è dovuta agli usi combustibili, ma ad usi agricoli e di allevamento industriale.
Invece di vietare la combustione della legna in europa sarebbe molto più utile diventare tutti vegani e smettere di mangiare carne e usare pelli prodotte e allevate in modo industriale.
(A quel punto però probabilmente la deforestazione proseguirebbe per coltivare soia).
Terzo, collegato al discorso sopra, io credo si debba pensare globalmente e agire localmente: in Europa e in Italia i boschi sono stati quasi tutti condizionati dall’attività antropica, non sono “foreste primarie” e quindi una gestione di questi boschi è utile e necessaria a prescindere dall’uso della legna come combustibile (che comunque anche in quel caso è un prodotto utile, la cui combustione è neutra e che consente alle popolazioni che abitano in montagna di vivere di una filiera locale e sostenibile).
Bada bene, necessaria all’uomo, non al bosco. Il bosco non ha bisogno dell’uomo e i suoi processi (compresi crolli catastrofici, incendi sempre più frequenti per il cambiamento climatico e nuove rinascite da parte di specie pioniere in un lungo ciclo ecologico) vanno avanti tranquillamente anche senza di noi.
Ma siamo noi ad avere bisogno del bosco e ad avere bisogno di “gestire” determinati processi, (ad esempio per la protezione dei versanti, per il rischio idrogeologico e per la protezione dagli incendi) proprio perché i nostri boschi derivano da millenni di gestione umana e proprio perché viviamo sugli stessi territori.
Quarto, anche la premessa che bruciando legna «l’aria sarebbe irrespirabile, forse peggio dei livelli di metà secolo scorso» è fallace, perché le tecnologie sono cambiate.
Il problema del particolato nella combustione di un combustibile solido è noto e innegabile, ma quanto dici, come ti ho detto, è valido per una stufa di vecchia concezione e per l’uso di legna di scarsa qualità (troppo umida, ma la legna si vende al quintale e tutti vogliono pagarla poco).
Esistono oggi in commercio stufe moderne e, soprattutto, impianti termoidraulici di nuova generazione, basati su caldaie a legna con la combustione controllata elettronicamente, integrate in un impianto con pannnelli solari termici, le cui emissioni sono assolutamente confrontabili con quelle di una caldaia a metano (non parliamo poi di vecchie caldaie a gasolio!).
Un’ultima precisazione forse ovvia ma che mi pare necessaria dopo essermi riletto e considerato il contesto in cui scriviamo:
io NON sono a favore delle MEGAcentrali a biomasse gestite dagli stessi capitali che fino a ieri gestivano carbone e gas naturale e che adesso magari hanno “fiutato l’affare green” (e che forse sperano di acquistare la legna a basso costo, tanto in montagna non ci vive nessuno e “nessuno sa che farsene di quella roba lì”).
Ma se per “contrastare” certi interessi tu mi demonizzi la legna in sè e per sè e (ad esempio ma non solo) i piccoli impianti di teleriscaldamento a legna o cippato, non solo proponi un alternativa che per me non è sostenibile (a parte il fatto che il metano è fossile: da dove arriva, quali sono i costi ambientali del suo trasporto, in quali filiere è estratto, chi lo gestisce?), ma oltretutto pugnali al cuore intere filiere e collettività locali, i cui elementi di punta stanno crescendo con un’etica, si propongono di pagare un prezzo equo per la materia prima, sono attente alla qualità e alla sicurezza del lavoro (la direzione è quella, anche se il settore è povero e c’è ancora molto sommerso), che vivono e operano su territori in via di spopolamento o marginali e che vanno assolutamente nella direzione della lotta al cambiamento climatico.
Forse non ci siamo capiti. Non dico che la soluzione sia usare idrocarburi puliti. Quello che dico è che non c’è soluzione. Siamo di fronte ad un dilemma che per ora non ha vie d’uscita senza creare altri problemi enormi. Dico solo che bruciare legna è una foglia di fico che qualcuno può permettersi per credersi virtuoso grazie al fatto che tutti gli altri hanno a disposizione i combustibili fossili. Voglio vederle 8 miliardi di persone mantenere i loro standard di vita (ma anche solo una frazione di quello stile di vita) con quelli che tu chiami – correttamente – “gli interessi”, senza intaccare il capitale.
Ok, capisco, ti ringrazio e rispetto la tua opinione e a sto punto chiudiamola qui, amici come prima, si fa per discutere.
Sono d’accordo che i problemi sono immensi e che le vere soluzioni richiederebbero radicali cambiamenti non solo dell’intero sistema di produzione con l’intervento “delle masse”, ma anche degli interi stili di vita di parte di quelle masse, e sono d’accordo che 8 miliardi di persone non possano mantenere gli standard di vita attuali e in continua crescita. Tenuto anche conto che di quegli 8 miliardi quelli che hanno lo standard di vita occidentale sono una ristretta minoranza, ANCHE in occidente.
Dico solo che, in attesa che si trovi la soluzione universale, è controproducente tagliare le gambe a soluzioni locali che di per sè sono buone, anche se sono una goccia nel mare del riscaldamento globale.
Nelle regioni alpine e appenniniche oggi è utile e necessario fare gestione forestale sostenibile per proteggere il territorio e utilizzare gli “interessi” del capitale forestale per produrre case di legno, mobili di legno e usare gli scarti per generare energia rinnovabile riducendo contemporaneamente l’uso di calcestruzzo e plastica.
Anche se so che questa soluzione non è di per sè sufficiente e probabilmente non è estendibile all’intero mondo e anche se so che “il capitalismo” riciclerà e sta già riciclando anche questo, non mi metto di certo a remarci contro.
Soprattutto a remarci contro per andare dove?
Sì, vero, ma rispetto alla Tangenziale di Milano in andata e ritorno dal lavoro credo che sia comunque meglio (parlando solo di bilancio ambientale).
I problemi sono secondo me gli altri:
1) invasività nella tua vita privata: se lavori da casa dalle 8:00 alle 17:00, cosa impedisce al padrone (soprattutto nelle realtà aziendali più piccole o negli studi professionali) di telefonarti o mandarti una mail o un watsapp alle 18:30 chiedendoti di “fare ancora quella verifica”, scrivere ancora quella risposta, aggiornare il documento che lui ha corretto mentre era al cesso e tu devi modificare?
Puoi farlo, hai tutti gli strumenti a casa, e quindi se gli rispondi “attaccati, sto portando mio figlio al parco” diventi un bersaglio (o rischi di diventarlo: in certi contesti ho visto che più rispondi male e ti fai rispettare e meno ti stressano, trovano qualcun altro più malleabile).
2)qui si arriva al punto della rappresentanza. Sei da solo a casa. I tuoi colleghi se va bene li senti per le call su zoom o simili.
3) c’è anche il problema delle economie di scala e delle filiere correlate. Mi rendo conto che è un “non problema” e che non è che per tenere aperti i bar si debba fare 2 ore di coda da pendolari, però c’è anche quella ricaduta.
In una zona metropolitana di servizi, quante attività dipendono dai lavoratori del settore e dalle loro pause pranzo.
Quanti fanno piccoli acquisti in negozi prossimi al luogo di lavoro prima di tornare a casa?
Tutta roba che chiude con lo smart working.
In tutto ciò, mi rendo conto che è un paradosso, che idealmente lo smart working sarebbe un gran passo avanti anche ambientale e di qualità della vita rispetto alla tangenziale di Milano (ci sono passato una volta in orario mattutino e ho ringraziato il mio lavoro ondivago, autonomo e a basso reddito!) e conosco personalmente svariate persone (impiegati) che non tornerebbero MAI indietro e che si godono i benefici della situazione attuale.
Brevemente che` si e` mooolto OT; solo per accennare che, a mio parere, uno degli aspetti “positivi” (se mi si passa il termine) di questa emergenza e` che, in un futuro prossimo post pandemia, il framing economico dei negazionisti climatici del “non ci sono i soldi” potra` essere facilmente e concretamente smontato utilizzando dati relativi ai macroscopici investimenti approvati in fretta e furia per cavare l’economia fuori dal fosso in cui un submicroscopico agente eziologico la sta seppellendo.
In calce vi allego un paio di studi che dimostrano, per esempio, il primo, che basterebbe re-investire il 12% ogni anno fino al 2024, dei fondi attualmente allocati a livello iinternazionale per fronteggiare l’emergenza Covid, in energie a bassa emissione di CO2 e puntare forte su una drastica riduzione della dipendenza da combustibili fossili, per raggiungere l’obbiettivo dei 1,5 gradi centigradi concordato negli accordi di Parigi del 2016; in parole pavore i soldi ci sarebbero eccome per provare a trasformare l’economia da estrattiva a rigenerativa (for lack of a better solution).
Il secondo link riguarda il Greeness Stimulus Index (GSI) e prova ad analizzare, quantificando economicamente, l’impatto ambientale degli stimoli economici immessi nel sistema per il COVID-19 di 17 nazioni ; a pagina 31 si puo` notare che l’Italia e` ultima tra le nazioni Europee, sigh!
https://science.sciencemag.org/content/370/6514/298
https://www.vivideconomics.com/wp-content/uploads/2020/08/200820-GreenStimulusIndex_web.pdf
Chiudo con una domanda: ma qualcuno da qualche parte si sta` ponendo il problema di quanto materiale plastico stiamo generando e di dove vada a finire tutto lo scarto e il pattume biochimico necessario per salvarci il culo e mantenere in piedi questa economia assassina?
Uno studio linkato in un commento che avevo letto giorni fa parlava di “luoghi di supercontagio” in cui avvengono l’80% dei contagi.
Luoghi chiusi, affollati e poco areati e rumorosi ( dove quindi la gente deve urlare) .. fabbriche primi fra tutti.
La policy del “lockdown all’italiana” (piu’ correttamente “alla fallo di segugio”), incidendo sia sulla dimensione spaziale che temporale, causa la proliferazione di queste situazioni di “contagio a cluster”.
Chiudere le scuole significa che chi ora è a scuola da qualche altra parte poi dovrà andare, incrementando così la ‘densità di popolazione’ di casa propria o la densità dei centri commerciali ecc.
Chiudere parchi (e piazze) toglie posti in cui andare e .. guardacaso, i luoghi tolti sono pure i piu’ capienti e meno pericolosi!
Questa *concentrazione* nello spazio (sempre meno spazi accessibili/frequentabili) viene anche imposta, in parallelo, a livello temporale, tramite i vari ‘coprifuoco’: la gente ha sempre meno tempo in cui fare le proprie cose e quindi le uscite di casa vanno a concentrarsi in una gamma di orari sempre piu’ ristretta.
Quindi questo ‘lockdown’ incide restringendo gli spazi e i tempi in cui la gente puo’ vivere. Questo è esattamente l’OPPOSTO del concetto di “distanziamento di sicurezza” e crea affollamenti.
[Vale anche per gli orari dei negozi: non andrebbero ridotti, al limite ampliati ( ma non è fattibile), siccome chiudere i c. commerciali sabato e domenica, rischia di crear code/raggruppamenti il venerdi’ sul tardo pomeriggio (possibili contagi a grappolo).]
Parchi e piazze andrebbero tenuti aperti e un governo responsabile dovrebbe consigliare alla gente di uscire, anzichè affollare luoghi chiusi. #iostoallAperto anzichè #iostoacasa. (lo scorso lockdown molti paesi diedero questo suggerimento)
(1/2)
(2/2) COVID e inquinamento:
Uscì uno studio tempo fa (se ne parlo’ anche qui su Giap) che venne strumentalizzato dai media. Spiegava che COVID è veicolabile da PM10. I giornali titolarono “il virus è nell’aria” ma lo studio in sostanza diceva che in zone inquinate questo vien trasportato da PM10 ma è “inerte”, a causa di esposizione a sole e vento, e quindi è contagiante.
Ebbene, quello studio penso che logicamente implichi che il rischio di contagio in luoghi chiusi nelle zone piu’ inquinate sia ben maggiore rispetto a luoghi chiusi in zone meno inquinate.
“Densità di presenza” nelle case:
Frequentazione media nelle case prima del lockdown: la gente esce, lavora e si fa i fatti propri e spesso a casa in media (nell’arco della giornata) quasi nessuno rimane “fisso”. C’è chi entra e chi esce per gran parte della giornata. In ogni momento la casa puo’ esser vuota o aver una persona o due, raramente tutti sono in casa.
Il tempo di presenza in casa della famiglia al completo nell’arco del giorno, è passato da un 10%(pre-lockdown) a un 90%.
Da una vita vissuta principalmente fuori in una moltitudine di luoghi, a una vita “scuola/lavoro – casa” e basta.
Questione che, a seconda delle dimensioni dell’abitazione, puo’ far la differenza fra contagio o meno.
Se non ricordo male quello studio partiva dalla sovrapposizione delle zone a più alta con centrazione di pm10 con le aree a maggior densita di decessi. Tuttavia mi sembra anche che poi l’ipotesi che il pm10 fungesse da “cavallo” per i virus era decaduta, mandando in soffitta lo studio.
Però sono convinto che la questione è stata prematuramente cestinata in quanto non si è visto l’altro aspetto, secondo me ancora più grave, dell’effetto del pm10. Infatti, assumendo che il pm10 non veicola, però rimane un fattore di infiammazione costante al sistema respiratorio e non credo ci sia nessun dubbio che qualunque patogeno colpisce dove il terreno è favorevole. La narrazione che il pm10 è “innocente” ha soltanto permesso di distogliere l’attenzione dalla questione ambientale, che è politica innanzi tutto e legata all’elefante nella stanza, il modello capitalistico.
Concordo, e ne avevo accennato anche in altri commenti: la questione PM10 è stata prematuramente cestinata (e se vogliamo “bruciata”) dallo studio citato sul fatto che il particolato fosse vettore del virus e quindi del contagio.
Molto più importante è l’altro aspetto che citi anche tu: quanto “fa male” al sistema respiratorio l’esposizione a PM10? Quanto lo rende eventualmente più vulnerabile e aggredibile da qualunque infezione respiratoria e in particolare da questo virus?
E’ possibile che, fatto pari il numero di contagi, le aree a maggior concentrazione di PM10 abbiano anche coinciso con un maggior numero di ricoveri in terapia intensiva e di decessi?
Qualcuno bravo in geostatistica con un GIS dovrebbe pensarci.
Scusatemi, devo fare una precisazione. Nel mio commento, in:
“in zone inquinate questo vien trasportato da PM10 ma è “inerte”, a causa di esposizione a sole e vento, e quindi è contagiante.”
intendevo ovviamente “e quindi NON è contagiante”.
Mancava il “non” (trattasi di un refuso. Ho sforbiciato parecchio per ridurre i caratteri e restare nei 2 commenti)
Ne approfitto per spiegare meglio il concetto che volevo esprimere…
Il senso che intendevo è che:
Poste in esame due zone/regioni, una superinquinata e una poco inquinata, la mia ipotesi è che:
1) posto che resta fermo il dato di fatto che fra lo stare “incasa” (o comunque al chiuso) e all’aperto si è piu’ sicuri all’aperto
2) stare al chiuso fa danni in maniera diversa: nella regione piu’ inquinata stare al chiuso è piu’ pericoloso.
@ilrigido Concordo che PM10 già di suo fa male e che essendo il COVID una malattia polmonare questo vada particolarmente tenuto in considerazione.
Comunque, quando dici
“Tuttavia mi sembra anche che poi l’ipotesi che il pm10 fungesse da “cavallo” per i virus era decaduta, mandando in soffitta lo studio.”
Non so che fine abbia fatto lo studio, ma mi pare che dicesse che (non testuale, sintesi mia) “sì, il PM10 permette al virus di ‘spostarsi’, ma le condizioni all’aperto [esposizione a vento e raggi uv e condizioni atmosferiche] lo deteriorano rendendolo ‘inattivo’ ”
Insomma, il PM10 secondo quello studio puo’ trasportare COVID, ma all’aperto si deteriora. Han trovato tracce di virus nell’aria , trasportate da PM10, ma solo “virus morto” (termine mio, non tecnico).
Per questo ipotizzo che in luoghi chiusi*, se la zona/regione è particolarmente inquinata, è piu’ pericoloso stare.
*senza ricambio di aria
«Questa *concentrazione* nello spazio (sempre meno spazi accessibili/frequentabili) viene anche imposta, in parallelo, a livello temporale, tramite i vari ‘coprifuoco’: la gente ha sempre meno tempo in cui fare le proprie cose e quindi le uscite di casa vanno a concentrarsi in una gamma di orari sempre piu’ ristretta.»
Esattamente, ottimo commento.
La questione della “concentrazione” nel tempo è stata plateale durante il lockdown quando alcune amministrazioni Regionali hanno pensato bene di chiudere i supermercati la Domenica (probabilmente con l’intento qui più volte evidenziato di togliere “il superfluo” per far sentire maggiormente nella pelle di tutti il senso dell’emergenza e dell’eccezionalità, come se ce ne fosse bisogno), con il risultato di avere gente che di ritorno dal lavoro o al sabato si affollava a fare provviste, in barba al “distanziamento”…
Oggi la prof.ssa Antonella Viola, ripresa da diverse testate, stronca la chiusura generalizzata senza che alla base di tale scelta vi sia una analisi dei dati che portino a concludere che un certo luogo o genere di attività siano più a rischio contagio di altri.
Caso emblematico quello di cinema e teatri e luoghi di cultura in genere. Perché vietare la presentazione di un libro? Perché impedire alle persone di distrarsi con una serata a godere di uno spettacolo?
Dove vivo io non vi è nulla di tutto ciò. Mi rimangono libri e qualche bel film o documentario su piattaforma. Ma se vivessi in una città avrei certamente trovato quei luoghi sicuri e avrei gradito contribuire a sostenere, nel mio piccolo, coloro che in quei settori lavorano.
È risaputo che vivere una condizione di ansia e stress non aiuti certo a rafforzare l’efficienza del sistema immunitario, eppure sembra che gli illuminati governanti, con provvedimenti che sembrano promanare da un sovrano dell’anno 1000, abbiano deciso che l’esistenza deve essere improntata alla privazione ( inutile) e alla coesione intorno ad un immaginario altare sacrificale. Il presidente della mia regione sta per varare una ordinanza che inasprisce il ricorso alla DAD portandola al 100% così da contribuire ancora meglio ad accentuare il fenomeno della dispersione che in Sardegna già non era marginale.
Ormai ho rinunciato a trovare un senso a quanto accade. Quando leggo espressioni come “ fortemente raccomandato” in un testo che sebbene non abbia rango di fonte primaria, non dovrebbe contenere esortazioni o consigli che sono più consoni al contenuto di una circolare, ma obblighi e/o divieti precisi, mi chiedo se ormai la virata verso lo Stato etico non sia compiuta.
Personalmente delle raccomandazioni del Governo ne faccio a meno. Mi atterrò al mio buon senso ed al primo controllore che osi farmi la predica risponderò che in tutte le cose ci vuole l’aggiunta di un pizzico di sale.
@Mandragola01
“Ormai ho rinunciato a trovare un senso a quanto accade.”
“.. Perché impedire alle persone di distrarsi .. ?”
appunto per impedire alle persone di “distrarsi” dell’emergenza.
Distrarsi è l’anticamera del risveglio della ragione.
E’ proprio questo il punto: Se ti distrai ti dimentichi che “siamo in emergenza” e tutta la loro narrazione crolla come un castello di carte. Indire l’emergenza vuol dire che chi ha il potere decide costantemente di cosa si deve parlare (e, per certi versi, pensare).
Libri, cinema, teatro permettono di vedere mondi nuovi. Staccarsi da questa realtà e tornarci con occhi nuovi e delle idee in piu’ per interpretarla e cambiarla!
Voglion monopolizzare la nostra attenzione.
Inoltre ci stanno rubando il tempo! Anche solo per uscire bisognerebbe perder tempo a informarsi se è uscito un nuovo dcpm e nel caso si dovrebbe perder tempo a leggerlo. Ci bombardano di proclami. Vogliono che tutto giri intorno a loro e non pensiamo ad altro.
Credo per combattere la narrativa dell’ operazione “enduring emergency” si debba innanzi tutto non arrendersi, non farsi condizionare in maniera totalizzante e cercare il piu’ possibile di vivere come si viveva prima, senza il chiodo fisso dell’emergenza.
Non pensare nel modo che vorrebbero imporci loro. Non pensare in maniera epidemia-centrica.
Già mi han fregato una volta, nel primo lockdown (dovevo studiare per degli esami, ma ogni mattina appena aperti gli occhi correvo a collegarmi per leggere sui giornali i ‘bollettini’ della situazione, inoltre facevo una fatica immane a studiare, mi era impossibile concentrarmi, siccome lo stato di polizia da un giorno all’altro faceva somigliare l’Italia ad un Cile del ’73 .. sembrava fossimo sull’orlo di un colpo di stato.), non intendo fare il bis. Mo’ studio. Buona serata a tutt*
:)
Li fai troppo strateghi. Sono inetti in preda al panico. Abituati a far politica nei talk-show e a cercare i like sui social, cresciuti nel TINA neoliberale, sono figuri di scarso spessore e con mentalità anguste, in balia di tutti gli automatismi del capitale. Nel giro di due mesi sono passati dalla narrazione pavoneggiante «Abbiamo fatto meglio di tutti, il mondo guarda a noi, il nostro lockdown è una grande storia di successo, siamo un modello» alla narrazione «siamo nella merda, arriva l’Apocalisse», senza però che il passaggio alla seconda portasse a rinnegare la prima. E allora, se erano stati così incredibilmente bravi, come mai siamo finiti nella merda? La dissonanza cognitiva era fortissima, l’unico modo per risolverla o almeno attenuarla momentaneamente era dare la colpa alla cittadinanza. E se è colpa della cittadinanza, è la cittadinanza che va colpita. Ma è una risposta già contenuta nella logica complessa del sistema, nessuno si è seduto intorno a un tavolo a fare tutti questi ragionamenti in sequenza (anche perché non ne sarebbero in grado, stiamo parlando di mezze mezze tacche), la spinta di un sistema che non può essere messo in discussione portava qui per forza.
Sono effettivamente quello che dici, ma hanno dalla loro tutto il mainstream mediatico, e quest’ultimo il suo lavoro lo sa fare ad arte. Sparano a tutta birra in una direzione e per cercare un minimo di visibilità anche il resto si accoda. Pure oggi su repubblica mi è capitato di vedere articoli in cui si colpevolizzavano gesti di affetto verso neonati, in cui si diceva che il virus è ormai fuori controllo (quando mai lo è stato??), e che il virus è il nemico (ancora…).
E secondo me, la strategia di cui parla Antigogna i media ce l’hanno bene in testa e francamente in questi mesi ho avuto la sensazione che governino più loro che l’esecutivo.
Che “governino” più loro che l’esecutivo è evidente, sono loro a battere il tempo, a determinare aumenti e cali dell’isteria di massa, ma anche loro lo fanno seguendo i dettami di un modello di business: sensazionalismo, clickbaiting, stronzate, aneddotica inutile… Ricordiamoci di quel video con Cairo tutto pimpante: they’re in it for the money, per dirla con Frank Zappa. Non pensiamo che dietro tutto questo ci sia qualche genio del male: c’è il capitalismo, c’è la logica del profitto perseguita a ogni costo*. In fondo, dove noi vediamo una pandemia, loro vedono la shock economy.
* anche a costo di spaccare tutto. Il capitalismo, come diceva Marx, agisce in base ad animal instincts.
P.S. Absit iniuria per gli animali, s’intende.
Ciao, entro in questo sotto thread (ed evitando, da “bottegaio in senso lato” quale sono, di impelagarmi sulla questione della “piazze di bottegai” che mi ha fatto veramente cadere le braccia stamattina, ma a cui avete già risposto in modo perfetto in molti) per chiedere, forse anche ripetendomi, un chiarimento su una questione di natura generale o meglio ancora per confessare un mio limite.
Tu dici qui sopra: «Che “governino” più loro che l’esecutivo è evidente, sono loro a battere il tempo, […], ma anche loro lo fanno seguendo i dettami di un modello di business[…] Non pensiamo che dietro tutto questo ci sia qualche genio del male: c’è il capitalismo» e lo ripeto adesso solo come “promemoria” e come traccia per meglio chiarire cosa fatico a capire e ad accettare io.
Ecco, io sono convinto che NON ci sia un genio del male dietro a tutto questo. Ok.
Sono anche più che convinto che, ad esempio sulla questione vaccini che parallelamente in un altro thread sollevava le stesse questioni di fondo, NON possa essere il singolo miliardario a pianificare e realizzare e *causare* una pandemia, né a condizionare da solo le scelte di svariati governi verso questa o quella direzione.
E anche qui ok.
Quello che non riesco a capire e ad accettare (forse perché non ho mai letto Marx e non ho mai “studiato” la materia) è che il capitalismo e i suoi processi vengano descritti nei loro effetti alla pari un “fenomeno” impersonale, come un processo evolutivo in un sistema naturale.
Ora, in un sistema naturale io posso capire fenomeni come la convergenza evolutiva, posso capire che ci siano “pressioni” evolutive e una relativa selezione naturale, con effetti a volte imprevedibili e che nel corso dei milioni di anni hanno generato tutta la biodiversità che vediamo sul pianeta. Ma io non riesco ad applicare gli stessi concetti a un sistema di produzione che è fatto da esseri umani.
È vero, anche noi umani siamo animali, abbiamo bisogni e istinti e processi decisionali spesso molto più automatizzati di quanto non si vorrebbe credere, ma a differenza degli animali abbiamo una maggiore “coscienza di sè”, pianifichiamo, calcoliamo, sappiamo vedere costi e benefici delle nostre azioni a medio e lungo termine.
Tutto questo (e scusatemi il doppio post), per dire che se il corso degli eventi spinge inevitabilmente verso il capitalismo della sorveglianza e una distopia da blade runner, e questa pandemia sta rapidamente portando alle estreme conseguenze il sistema di produzione, evidenziando e accelerando processi che a partire dagli anni ‘90 / ‘2000 hanno iniziato a demolire gli equilibri* che la (imperfetta, certo) socialdemocrazia aveva creato in Europa (e solo qui) nel dopoguerra, io non riesco ad accettare che sia un processo totalmente impersonale, come l’evoluzione delle ali dei pinguini in pinne per diventare nuotatori.
Soprattutto non lo accetto quando nell’infinita serie di possibilità in cui potrebbe evolvere un sistema naturale si va a finire proprio nella distopia.
Mi viene da pensare, invece, che questa “distopia” faccia comodo a qualcuno, e non riesco a fare a meno di immaginare che qualche “panel” di esperti abbia visto arrivare i problemi con un certo anticipo (es. epidemie naturali a partire da virus animali che saltano all’uomo) e, senza aver “creato” il fenomeno, ma solo avendolo compreso in modo del tutto normale e senza “geni del male” abbia messo sul tavolo le potenziali problematiche, le capacità di risposta e prefigurato scenari.
Agendo però poi nell’ambito delle proprie possibilità reali e politiche aziendali proprio verso “questo” scenario e non un altro.
Non so se mi sono spiegato, ma in sostanza intendo dire che nemmeno il meno avveduto fra i governanti può “non vedere” dove stiamo andando a finire, dove “tutto questo” ci stia portando, e trovo più accettabile pensare che qualcuno, a monte, “ci voglia andare davvero”, piuttosto che pensare che l’ineluttabilità dei processi naturali stia guidando un treno da cui nessuno può scendere, proprio verso “questa” direzione e solo perché il modello di business ci ha messo in balia di «figuri di scarso spessore e con mentalità anguste, in balia di tutti gli automatismi del capitale».
E scusate lo sfogo.
*in estrema sintesi con equilibri intendo dire la strana situazione per cui in Europa, nel dopoguerra, e a scapito di tutta una serie di problemi di sviluppo INsostenibile di cui paghiamo le conseguenze adesso, la maggior parte dei figli andava a stare economicamente meglio della maggior parte dei padri.
@Cugino_di_Alf
Forse è solo una mia sensazione, ma a me sembra che sia in atto uno scontro abbastanza rilevante tra due frange della classe dominante. Non sono due soggetti ben definiti, sono più due tendenze che nascono come risposte divergenti ad una condizione di crisi, inquadrano ed esprimono interessi differenti all’interno della classe dominante, ed ereditano retaggi ideologici diversi ma entrambi vecchi quanto il capitalismo.
Una punta a ridefinire il suo potere in relazione ad un’idea “visionaria” e palingenetica di futuro in cui giocano un ruolo fondamentale le cose che dici tu: capitalismo della sorveglianza, post-umanismo, superamento dello Stato come cornice istituzionale di riferimento ecc. Quelle che i teorici della cospirazione amano definire “élite globaliste”.
L’altra, invece, mira a mantenere i suoi interessi in termini di “business as usual”. E quindi dagli di combustibili fossili e sfruttamento intensivo delle risorse umane e ambientali, a prescindere dai costi umani e ambientali; il tutto attraverso un rafforzamento dello Stato, anche se necessario in chiave autoritaria. E’ la componente delle élite economiche che, di riffa o di raffa, sta dietro alle visioni “sovraniste”.
Pensiamo alle contraddizioni nella gestione della pandemia, e troviamo queste due tendenze esemplificate perfettamente nella falsa alternativa tra salute (intesa in modo fuorviante come “più controllo”) ed economia (per difendere la quale diventa perfettamente sensato, quindi, sacrificare il sacrificabile in termini umani).
Sono due opzioni altrettanto suicide, se si ragiona assumendo l’umanità intera come punto di riferimento. Tutto starebbe, appunto nel non cascare in questa falsa alternativa, che è poi l’ingrediente fondamentale della narrazione diversiva di cui parla WM.
Aggiunta necessaria. Questo, se si limita lo sguardo al cosiddetto “Occidente”. La Cina, ad esempio, che ha il problema fondamentale di mantenersi integra come entità geografica e politica e viene da un percorso storico completamente differente, adotta entrambi gli approcci senza troppi scrupoli. Anche la Russia, sebbene in tono minore.
Le diverse frange dell’estremismo politico reazionario riflettono a loro volta questa dicotomia. Da un lato i deliri panarchici degli accelerazionisti (che riscuotono infatti simpatie presso alcuni settori marginali dell’élite Hi-Tech), dall’altro la riedizione di idee apertamente neofasciste da parte dei cosiddetti “identitari”.
E’ una semplificazione estrema, probabilmente. Forse sto completamente cannando l’analisi, non so. Però è il modo migliore e più sintetico in cui, ragionando in questi mesi, sono riuscito a spiegarmi il quadro che si sta delineando.
Minchia… :-)))
Provo a buttare giù come la vedo io, visto che da anni mi interrogo proprio su questi nodi.
Il capitalismo è un sistema complessissimo che:
– si è evoluto in svariati secoli;
– ha cooptato istituzioni precedenti (su tutte lo stato) e trasformato radicalmente istituzioni ancora più antiche (la famiglia);
– ha reso dipendenti la maggioranza delle persone dalla vendita della loro forza-lavoro su un mercato rappresentato come “libero” ma in realtà regolato a monte dalla situazione di diseguaglianza sociale (divisione in classi, disparità di genere, gerarchizzazione etnica);
– si è innervato alla vita quotidiana e alla psicologia delle persone, imponendo una visione del mondo in cui tutti siamo imbozzolati (chi più consapevolmente, chi meno, chi per niente);
– funziona in un ginepraio di leggi e regole contraddittorie applicate da una miriade incalcolabile di soggetti locali, nazionali, sovranazionali, in base a consuetudini, interessi immediati, interessi a medio termine, e tenendo conto degli esiti transitori di scontri tra sezioni di capitale che hanno interessi diversi;
– vive di contraddizioni che ogni tanto lo portano a crisi e a superamenti di quelle crisi mediante la distruzione di risorse (distruzione “creatrice”, diceva quel tale).
Come si vede, le variabili di cui tenere conto sono innumerevoli.
Certo, tra queste variabili ci sono anche le intenzioni dei soggetti in campo, ma quelle intenzioni sono costantemente sovradeterminate da tutto quello che ho appena elencato.
Tra l’altro, le neuroscienze ci hanno insegnato che la “coscienza” e la “volontà” sono molto diverse da come le immaginiamo.
In ogni momento sullo sfondo delle nostre vite operano forze possenti che spingono ogni processo in direzione della sopravvivenza del sistema. Noi WM a volte l’abbiamo chiamata «omeostasi del sistema», ma è un termine criptico. In parole povere: il sistema si auto-tutela in automatico, proprio grazie alla sua complessità. Opzioni che “minacciano” la sua sopravvivenza vengono scartate a priori, talmente a priori da non essere nemmeno immaginate. Infatti noi che critichiamo il capitalismo, direbbe Benjamin, «spazzoliamo contropelo» la storia. Siamo sempre in controtendenza rispetto alla spinta inerziale del sistema, ed è faticosissimo resistere ogni volta all’ideologia dominante per vedere (e proporre) la situazione in modo diverso.
Tutto ciò non implica che agire sia impossibile, si è agito eccome, il sistema è stato più volte messo in crisi dall’azione organizzata di forze che gli erano antagoniste. Però è imprescindibile capire su quali contraddizioni agire.
Se si immagina che il sistema dipenda in toto dalla volontà dei capitalisti, o più banalmente di pochi malvagi, si abbaierà contro quei malvagi, ma sarà totalmente ineffettuale, e intanto il sistema continuerà a funzionare, anzi, mercificherà il nostro stesso abbaiare. Infatti esiste un mercato fiorentissimo legato alle fantasticherie di complotto: libri, video, t-shirt, introiti pubblicitari sul web, chi più ne ha più ne metta. Il paradosso (solo apparente) è che chi consuma queste merci si crede contro il potere. Nel libro sul cospirazionismo che sto scrivendo dedico diverse pagine a questo.
Il sistema vive di diversivi e false soluzioni, la sua omeostasi (aaarggh) dipende dal continuo allontanare la critica dal suo funzionamento reale, e ogni diversivo ritarda la presa in carico dei problemi principali, disperde energie, confonde il quadro. Le fantasticherie di complotto fanno esattamente questo.
Noi siamo un po’ fissati col denunciare le “false soluzioni”, le “narrazioni diversive”, e a volte ci hanno accusati di parlare più delle false soluzioni che del problema. Ci hanno accusati (credo senza alcun fondamento) di aver criticato più le derive rossobrune del neoliberismo, o (questo ancor più infondato) di aver criticato più il M5S del PD, più il populismo dell’UE ecc. L’unica accusa che non ci hanno ancora fatto è di aver criticato più il cospirazionismo sul Covid della gestione dell’emergenza :-)))
Il punto è che quando cerchiamo di spiegare che una soluzione è falsa stiamo parlando del problema. Dicevamo che il M5S non era un’alternativa alla “sinistra” neoliberale dell’austerity (oggi governano insieme), che i populismi non erano un’alternativa alla tecnocrazia UE (dove sono andati al governo hanno applicato le stesse politiche dei tecnocrati), e diciamo che le narrazioni tossiche sul Covid come invenzione a tavolino non aiutano a criticare l’emergenza in modo sensato, tantomeno aiutano a lottare contro chi gestisce l’emergenza ai danni dei più deboli. Sono una sotto-categoria di narrazione tossica che chiamiamo, appunto, «narrazione diversiva».
Grazie, veramente, della risposta.
Non è piaggeria dire che ne avevo bisogno e che più di una volta i concetti spiegati qui mi hanno aiutato a chiarire e anche a chiarirMi.
La mediterò, ma devo ancora arrivare ai 630 caratteri, e rimane anzi si aggrava la brutta sensazione di essere su un treno che, governato a questo punto da forze ineluttabili, si dirige senza fermate verso un posto bruttissimo.
E’ per questo che a volte immaginare che nell’equazione ci sia “anche” (e non che il sistema dipenda in toto, capisco) la volonta dei capitalisti e che questi, ad esempio, prefigurando scenari adottino questa o quella strategia, mi sembra che possa rendere meno stringente la sensazione di inevitabilità che invece provo ultimamente.
Così non hai neanche la speranza che “gli dica male” qualche programma…
Certo, c’è *anche* la volontà dei capitalisti. I soggetti in campo adottano strategie e tattiche, anche se sempre in un contesto già dato. Il punto è non arrivare al «pregiudizio di intenzionalità», a pensare che se qualcosa avviene è sempre perché lo ha voluto qualcuno.
E in fondo è proprio perché accadono cose non volute che possono accaderne di non volute dal nemico.
@Wuming1: beh a questo punto la curiositá sale e sarebbe interessante se proseguissi nel discorso e ragionassi sulle contraddizioni su cui é importante agire.
Parte del tuo discorso lo avevo abbozzato anche io. Soprattutto quello delle false soluzioni che invece sono parte del sistema che ci guadagna pure sopra (appunto tipo i complottismi).
Magari, se ti va, potresti commentare sulle contraddizioni su cui é importante agire proprio in merito alla pandemia. La cosa é sicuramente stata esaminata in tutta la lunga discussione qui su Giap anche nei mesi scorsi, ma proprio perché la discussione si é fatta molto lunga e ha generato anche molte diramazioni un post sarebbe benvenuto :)
Cioé alla fine come colpisci al cuore il sistema, perché a me pare che comunque ti muovi, alla fine vieni ributtato dentro o marginalizzato dal discorso.
@StefanoR
grazie anche a te, ho letto la tua risposta dal telefono e non riuscivo più a scrivere.
La questione delle 2 fazioni del Capitale occidentale con politiche diverse e contrapposte l’avevo già sentita in blog decisamente più complottisti :-) e la condivido.
In ogni caso, per noi, presuppone la scelta tra padella e brace e gli scenari a medio lungo termine, con un po’ di fantasa sono:
un nuovo medioevo teocratico sovranista (con tanto di roghi per dissidenti o altri “culti”) che arriverà alla fine delle risorse per poi ricominciare dal medio evo appunto; oppure un futuro alla Matrix (o Gattaca, o Blade Runner, barrare la casella che “dispiace” di più), con schiavitù e povertà diffusa e umani ricchi “migliorati” con parti elettroniche e bioniche…
(e io che mi sono sempre immaginato il futuro radioso come nelle immagini della sigla finale di Ken Shiro… prima di sapere la fine di Giulia).
@Alessio e WM1:
concordo con Alessio, sarebbe bello che in generale, a livello di movimenti di pensiero “utopista”, si riuscisse a individuare anche qualche soluzione, quantomeno qualche “buona pratica praticabile” su cui convergere in massa.
Faccio l’esempio (poco calzante ma mi viene questo che contiene anche il giusto quantitativo di problemi e criticità) dell’agro-alimentare o delle filiere energetiche: è vero che da parte del sistema “tutto” si tiene e che anche il biologico e la filiera corta sono “prodotti” con il loro “valore aggiunto”, ma se si “investe” su quelli con la dovuta attenzione, si può dare una mano magari alla piccola cooperativa di *veri* soci lavoratori o al piccolo impianto di teleriscaldamento di comunità (dove di capitale ce n’è poco e di “comunità” ce n’è tanta), a scapito della GDO o della megacentrale industriale (che poi impone i prezzi della materia prima).
Se invece si considera “ostile” *indistintamente* anche quello, perché inutile o “parte del sistema”, si rischia di non avere poi niente di buono da contrapporre alle preponderanti forze della GDO o dell’industria energetica.
Il che va comunque bene se “veramente” quelli sono “diversivi” e fanno parte del problema (come certe cooperative che sfruttano la manodopera immigrata), ma sempre con l’attenzione di non buttare il bambino con l’acqua sporca :-)
Vorrei chiarire un punto: noi – sia noi WM sia noi tutte/i che qui stiamo discutendo sia chi grossomodo la pensa come noi e si ritrova senza punti di riferimento organizzativi – non possiamo agire su nessuna contraddizione primaria in quanto “noi”. Noi non costituiamo una soggettività posta in un punto da dove possa incidere. Stiamo discutendo su un blog di scrittori, purtroppo il massimo che possiamo fare è chiarirci qualche idea e scartare concetti inutili o nefasti per trovarne o anche *crearne* altri più utili. Certo, possiamo (vogliamo, dobbiamo) anche suggerirci tra noi buone pratiche, va benissimo, ma le buone pratiche non bastano.
Per cambiare il sistema o almeno farlo funzionare temporaneamente contro la propria logica di fondo (e strappare conquiste sociali che altrimenti non ci sarebbero state) devono agire soggettività di massa oggettivamente antisistemiche, cioè forze sociali che per dove sono collocate e per come vivono/lavorano devono per forza agire sulle contraddizioni principali, pena il loro annichilimento.
È la condicio sine qua non. Marx non diceva che il proletariato era rivoluzionario perché aveva belle idee o sogni utopici, ma perché i rapporti di produzione lo rendevano rivoluzionario, perché la sua forza-lavoro era indispensabile, perché da questa condizione di indispensabilità poteva trarre un’arma (lo sciopero), fare esperimenti di nuova società (la fabbrica occupata), organizzarsi per aumentare la propria forza e affrontare il nemico classe contro classe anziché come aggregato di singoli operai. Oggi quali sono i settori dove se una lavoratrice o un lavoratore incrocia le braccia il sistema si ingrippa? Uno è sicuramente la logistica e negli anni scorsi lo ha dimostrato.
Un’altra soggettività di massa che opera su una contraddizione primaria, quella di genere, è il movimento delle donne. Non a caso, ogni volta che si vede una lotta di massa di successo, se si va a vedere aveva una componente femminista (non solo femminile) rilevante e in prima linea. Le donne sono più della metà della popolazione, molte di loro occupano posizioni strategiche e se si mobilitano e scioperano – dal lavoro domestico, dal lavoro di cura… persino dal fare sesso coi “reazionari” come suggeriva ai tempi un dirigente delle Black Panthers, che però era molto sessista e non ha neanche fatto una bella fine :-/ – l’impatto è sempre gigantesco.
Ho messo tra parentesi “non solo femminile” perché la semplice presenza o persino preponderanza di donne in una mobilitazione non è di per sé garanzia di nulla se quelle donne non agiscono come soggettività autonoma che fa rivendicazioni di genere. Anche QAnon è un “movimento” a preponderanza femminile, ed è un movimento reazionario, antifemminista, omofobo, transfobico.
Insomma, io penso che l’approccio per capire come e da dove aggredire le contraddizioni primarie senza diversivi debba ancora essere questo.
Sì, scusa, WM1, mi rendo conto che il mio “sarebbe bello” suonava proprio male e tanto wishful thinking, e non volevo certamente caricare sulle vostre e “nostre” spalle tutto il problema, infatti avevo parlato di movimenti in generale, so bene che «Stiamo discutendo su un blog di scrittori, purtroppo il massimo che possiamo fare è chiarirci qualche idea e scartare concetti inutili o nefasti per trovarne o anche *crearne* altri più utili.»
Però grazie alla tua precisazione penso di aver capito il punto: non basta la forza antisistemica, è fondamentale il “dove” è collocata e se fa inceppare qualche ingranaggio.
Grazie.
“Per cambiare il sistema o almeno farlo funzionare temporaneamente contro la propria logica di fondo (e strappare conquiste sociali che altrimenti non ci sarebbero state) devono agire soggettività di massa oggettivamente antisistemiche, cioè forze sociali che per dove sono collocate e per come vivono/lavorano devono per forza agire sulle contraddizioni principali, pena il loro annichilimento”
Certo. Ma la piazza, oggi come oggi, è una buona risposta? Perché non si sente più parlare di *sciopero*? Perché non attuare forme nuove di protesta e lotta?
Esistono ancora soggettività di massa? Sarebbe interessante analizzare le ultime grandi manifestazioni, incluse quelle berlusconiane, coi pullman riempiti pagando la gita e Roma e 30 euro a figurante, e le adunate grilline. Per il resto Bologna è probabilmente esemplare: tante manifestazioni, tanta buona volontà, zero risultati. Tante botte prese e un paio di volte la “conquista” di una piazza o di un altro spazio vietato. Molti sforzi e tanti centri sociali e comunitari smantellati…
@Wuming1: scusa se posto qui la risposta, ma non mi permette di postare in coda al tuo intervento.
Doverosa premessa la tua e infatti qui mi aspettavo proprio questo, cioé una opinione ragionata su come colpire efficacemente il sistema.
Interessante in questo senso l´esempio che suggerisci: cioé di colpire in un settore chiave come la logistica. Che tra l´altro si sposa anche con la seconda parte della mia richiesta: cioé come muoversi in particolare durante la pandemia. E la logistica in periodo di lockdown é divenuta ancora piú cruciale.
Non penso nemmeno che sia un caso questo spingere da parte di grandi distributori, come Amazon, sui droni. Proprio per rimodulare i rapporti di forza estromettendo forza lavoro umana dalla parte logistica ed avere un maggior controllo sul tutto.
Probabilmente l’esperimento è quello, però i droni possono fare (una parte di) consegne, non sostituire la forza-lavoro umana del settore, perché la logistica è soprattutto carico e scarico di camion, gestione del magazzino, smistamento dei colli ecc. Lo so anche perché ci ho lavorato, seppure in un tempo ormai lontano (anni Novanta). Ho fatto per due anni il facchino-magazziniere all’SDA, lavoravo di notte. Quella parte del lavoro logistico è rimasta più o meno uguale, solo con tempi molto più incalzanti rispetto ad allora.
Wu Ming 1, ma sbaglio io oppure l’unica arma che abbiamo in mano è proprio il NON-consumo? E la contraddizione e quindi la forza nel capitalismo è che se nessuno compra (e consuma, e poi crepa) prodotti, vorrà anche dire che ci troviamo tutti senza nulla da mangiare in tavola. A meno che lo Stato non provveda a darci una mansione e quindi un nutrimento, e torniamo all’unica alternativa che ha prodotto il Novecento, ovvero gli Stati socialisti. Oppure, nel piccolo, la comune autogestita.
Hai voglia a mostrare la verità, non ci crede nessuno. Non esiste la pillola di Neo, per capire profondamente le cose bisogna aver perso la vista sui libri, non aver dormito la notte, per tante notti, aver sbagliato e averlo compreso.
Interessante la questione della burocrazia strumento del capitalismo (e del Potere in generale), così come le altre. Io il libro sul complottismo lo compro di sicuro (*compro*), e immagino ci sarà parecchio su Trump. Siamo arrivati a questo: preferisci una deriva scemofascistoide (Trump) o il buon vecchio capitalismo (Biden)?
I miei vecchi amici son diventati prima renziani
Ho grossi problemi a commentare. Dovremmo aprire un forum, da qualche parte nel web. O se ne avete uno, invitatemi, per favore :)
Scrivevo che i miei vecchi amici (“compagni”) son diventati via via renziani, possibilisti, azion*equalcosa, se non grillini o di destra. E non parlo di voto, ma proprio di pensiero, di ideologia. Si nasce incendiari e si muore pompieri?
Davvero non viene fuori un partito, una associazione, un format, qualcosa all’interno del quale non si parli di soldi? Io credo che operazioni come Potere al popolo non siano utili, come sono stanco dei transfughi del PD che si dicono di sinistra, delle Leu, Sel, SI e compagnia bella. Possibile che nessuno abbia come paradigma la decrescita, l’eguaglianza sociale, la permacultura come sistema, l’ambiente (mi riferisco a cose minime, come gli imballi degli alimentari non differenziabili), rifare le scuole, formare come dio comanda gli insegnanti ecc.?
Chiedo preventivamente scusa se l’argomento è già stato trattato: dopo un po’ di commenti gli occhi cominciano ad incrociarsi, abbiate pazienza.
Segnalo che su CEBM (Centre for Evidence-Based Medicine, iniziativa dell’Università di Oxford) c’è un interessante paper (https://www.cebm.net/covid-19/pcr-positives-what-do-they-mean/) nel quale si legge, oltre alla questione dei cicli di amplificazione, dell’RNA virale inattivo etc. il punto seguente:
“There is speculation as to whether the PCR can indeed find the virus from a person’s sample or maybe the PCR is not sensitive enough and might give positive when other viruses are present. Some PCR manufacturers tell us there is “cross contamination” and “non-specific” interference with a list of viruses and other in their instructions manuals.”
Leggendo le specifiche tecniche di due dei test in uso si legge:
1-Specificity: non-specific interference of Influenza A Virus (H1N1), Influenza B Virus (Yamagata), Respiratory Syncytial Virus (type B), Respiratory Adenovirus (type 3, type 7), Parainfluenza Virus (type 2), Mycoplasma Pneumoniae, Chlamydia Pneumoniae, etc.
2-New Real Time PCR Detection Kit designed for the identification of SARS-CoV-2, Influenza A/B (Flu A/B) and/or Human Respiratory Syncytial Virus A/B (RSV A/B) in respiratory samples.
Ci rendiamo conto che questi test scambiano l’influenza per sars-cov2?
Grazie Giap per questa inchiesta, come sempre molto approfondita e puntuale. Condivido con voi dei pensieri a riguardo : ma come è possibile che non vengano resi pubblici i dati sull’incidenza dei contagi nei vari settori? Mi pare di trovarli a spot soltanto per quanto concerne la scuola, e per di più non è così raro che si contraddicano reciprocamente. Nel senso, mi domando ad esempio: per giustificare la chiusura di cinema e teatri, perché non ci viene detta la percentuale di nuovi positivi che tocca questi due luoghi? Nel senso, mi domando ancora:non li hanno o non ce li vogliono dire? Forse l’impatto di questi ennesimi numeri non turberebbe di molto la vita dei più, ma leggendo il vostro articolo mi è impossibile non pensare a quanto “la fabbrica del consenso” corra spedita. Ci stordisce a colpi di grafici, curve ascendenti, immagini a loop che meglio servono a comporre il mantra della responsabilità del singolo cittadino. Tutto, ma proprio tutto, l’andamento dei contagi dipende da ogni suo singolo microscopico comportamento, viene ripetuto dai governanti. Dunque il dominio ci dice sostanzialmente che sono cazzi nostri. E ci isola facendoci isolare da soli. In questo marasma, cospirazionisti vari, veri o presunti tali, sguazzano affamati; come in un brodo primordiale si nutrono degli immensi vuoti logigi di tutta la faccenda pandemica. Le vostre analisi tolgono pappa a quella gentaglia, e dunque sempre e ancora grazie.
Nel frattempo anche a Milano e Torino scoppia la protesta, alla faccia del virus e dei contagi. Scoppiano i petardi, si prendono di mira i palazzi del potere, il palazzo della regione a Milano. E la destra capitalizza la rabbia. Alzano la voce in parlamento mentre questa ” sinistra” procede sparata verso il massacro sociale oltre che virale. Sono stati così bravi a gestire la pandemia che non solo non hanno fermato i contagi ( non era comunque in loro potere, per le condizioni in cui versa la sanità pubblica da anni, ma almeno potevano risparmiarci lo scaricabarile) ma non hanno fatto neppure il minimo sindacale per adeguare una pronta risposta alla seconda ondata e per adeguare i trasporti. A questo si aggiunge che hanno messo in ginocchio i lavoratori, cosa che negli altri paesi di è cercato di evitare con misure di sostegno al reddito efficienti e non promesse. In Inghilterra il ministro dell’ economia, di area Tory, questa estate per incrementare i consumi ha offerto di pagare metà del conto al ristorante. Hanno cercato di non chiudere le attività senza elargire beneficienza e metterli in condizione di fallire. Adesso forse è arrivato il momento di pagare il conto per questa classe dirigente così incapace. Re Julien, con la sua travolgente simpatia, sarebbe riuscito ad evitare il peggio, perfino lui sarebbe stato capace di fare meglio. Anche senza sacrifici umani.
Non lo so, secondo me ste piazze notturne rafforzano l’idea che si debba tenere aperto e lavorare e non chiusi e percepire un reddito. Le piazze dei bottegai sono piazze di destra.
Ma io ragiono, forse male, partendo dal fatto che stare (il più possibile) a casa, ridurre i consumi al minimo indispensabile, aiutare chi e’ più colpito da questa tragedia in salute e in economia siano comportamenti sociali e dunque di sinistra.
Se non lo stai facendo c’e’ qualcosa che non va.
Poi ovviamente chi ci governa sono mezze mezze tacche come ben dice WM1 e le misure sono ridicole. Ma non ci vedo intenzionalità in queste misure, solo inettitudine, propaganda e tanta tanta improvvisazione.
Ciao Tanos ma, purtroppo per noi, siamo in una economia capitalista e ammortizzatori sociali e redistribuzione della ricchezza sono due concetti che viaggiano su binari paralleli e che non si incontreranno mai. Io non sono d’accordo a tenere chiuso così, senza una logica apparente, e penalizzando le piccole attività. Da queste chiusure ne usciranno rafforzati solo i grandi esercizi che continuano a costruirsi inscalfibili monopoli di potere. Ieri dopo le sei sono uscita a fare un giro per il centro, abito proprio qui, i negozi erano aperti e deserti. Era il primo giorno di lockdown a mezzo servizio. Ho parlato con alcune giovani commesse preoccupate che “tifavano” per le proteste. Non erano di sicuro bottegaie di destra. Si rendono conto del fatto che non si stanno salvando né la salute né il lavoro. Tutelare i più deboli non ha nulla a che vedere con la chiusura di cinema e teatri. La vita sociale di alcuni anziani si nutre solo di queste occasioni. Gli stanno togliendo anche questo, condannandoli ad un isolamento sociale che, comunque, non li protegge realmente dal virus. Io me ne vado due giorni in in bosco con lo stupido cane, sperando al mio ritorno di trovarmi al posto giusto nel momento giusto.
Le piazze al Sud e al Nord segnalano un malessere, un’esasperazione. Di chi?
Lo abbiamo scritto nel post del 19 ottobre che questi ultimi dpcm rappresentano una scelta di classe: salvaguardare gli interessi della grande borghesia (Confindustria) e mandare a bagno quelli della medio-piccola borghesia (il CNA è in mobilitazione). I lavoratori dipendenti e dell’indotto, cioè quelli che sono tali a prescindere dalla tipologia contrattuale, subiscono le conseguenze di queste scelte a seconda dei settori in cui prestano la loro manodopera e degli ammortizzatori a cui riescono ad accedere. Se hanno la prospettiva di trovarsi a reddito zero o senza più posto di lavoro, scendono in strada. Possono farlo in maniera più composta, magari con i sindacati, oppure in maniera più scomposta, magari con corollario di giovani sottoproletari e precari incazzati già per conto loro che tirano le bocce ai vigili urbani.
Il negoziante è in piazza per tutelare i propri interessi. Il suo dipendente idem. Non è un interesse coincidente, non sono sullo stesso piano, chiaramente, perché il negoziante o il gestore di un esercizio commerciale di qualsiasi tipo che venga chiuso, oltre probabilmente ad evere più “cuscinetto” personale, otterrà più facilmente i ristori pubblici, mentre il dipendente in collaborazione o a partita IVA, farà molta più fatica ad ottenerli, e a riavere il lavoro successivamente. Non sono nella stessa identica situazione, ma sono entrambi pauperizzati e in questo momento condividono lo stesso sentimento: quello di essere stati discriminati e mollati dal governo, che invece tutela altri. E direi che hanno ragione. Ecco perché vanno in piazza. E siccome in questa pandemia la sinistra ha deciso di essere più realista del re, a cavalcare quella protesta è la destra.
Per stare il più possibile a casa devi avere una casa e una casa decentemente abitabile. Non è da tutti. Ridurre i consumi è un imperativo planetario, siamo d’accordo. Per ottenere questo devi ridurre anche la produzione, le due cose si danno insieme, ovvero devi assestare un bel colpo al sistema capitalistico. Fosse la volta buona… ma non mi farei troppe illusioni. Per adesso non otteniamo nemmeno un provvedimento semplice semplice da economia di guerra (nonostante la retorica bellicista) per aiutare chi è più colpito dalla pandemia: che il governo sovrattassi le imprese di Confindustria per fare sopravvivere i lavoratori della serrata (socializzazione immediata dei profitti) o che nazionalizzi le imprese in crisi per salvare i posti di lavoro. C’è il blocco dei licenziamenti, che però è un paravento, perché quando un’impresa chiude i battenti, cosa blocchi? Insomma niente socialismo all’orizzonte. Al momento si stanno salvando gli uni e affossando gli altri, promettendo a quest’ultimi le briciole dell’Inps, se va di culo.
Alla cosiddetta sinistra pare vada benissimo. Per salvarsi la vita, la sinistra è morta.
Mi permetto di parafrasare la chiosa finale di WM4 che nella sua lapidarietà sintetizza perfettamente la conclusione di un processo a cui abbiamo assistito forse ( troppo) inerti delegando sempre a qualcun altro che sarebbe dovuto magicamente apparire all’orizzonte la rinascita di quella sinistra in cui ci riconoscevamo ( parlo me, anche se al plurale). È un po’ quello che si sta chiedendo alla nostra società: di morire per salvarsi la vita. Morire nel senso lato del termine ovvero riducendo l’esistenza al tragitto casa-lavoro-supermercato-casa celati dietro pezzi di tnt e fibra di vetro che assomigliano sempre più a bavagli. Morire nel senso proprio come gli anziani lasciati in balia di un rapido declino fisico e cognitivo nelle strutture che si pretende di trasformare in fortezze inespugnabili senza riuscirvi.
O ancora morire mentre un decreto abolisce i primi baci ed i contatti adolescenziali che rispondono alla forza della Natura e che ogni giorno mi auguro prevalgano sopra tutto. Vorrei vedere anche i giovani nelle piazze italiane, quei giovani che negli USA stanno dando il loro contributo per cacciare Trump. Li vorrei vedere incazzati, civili -ma incazzati- a fianco di chi sta perdendo tutto.
La premessa è sbagliata: «piazze di bottegai». A parte che dovremmo aggiornare il nostro immaginario sociale, ché oggi molti piccoli negozianti non solo non sono ricchi ma sbarcano appena il lunario, prima la grande distribuzione organizzata e poi Amazon li hanno decimati e messi in ginocchio.
A parte questo, non è così semplice. Sono anche piazze di precari, di proletarizzati, di ceto medio violentemente impoverito, di disperati, di giovani stufi di fare da capro espiatorio, di marginali che pagano questa crisi più di chiunque altro.
Se non capiamo questo, vuol dire che siamo completamente distaccati dal corpo sociale reale di questo paese e dalle sue vere contraddizioni.
Dopodiché, certo che là dentro si muovono mestatori, fasci, QAnon e quant’altro: è da marzo che avvisiamo che sarebbe successo, che il vuoto sarebbe stato riempito così. Il vuoto lasciato dal pensiero critico dell’emergenza e dalla sinistra radicale o antagonista.
Quest’ultima era già poco rilevante nel paese, ma durante la pandemia ha fatto di tutto per esserlo ancor meno. Ha ragionato fin dall’inizio con un focus ristrettissimo, inquadrando il virus in primissimo piano ed escludendo tutto il resto. Alcune lodevoli eccezioni meriterebbero menzione, ma non voglio fare la lavagna dei buoni e dei cattivi, sarebbe inutile e stupido. A volte si è trattato di riflesso pavloviano: poiché a criticare il governo erano Salvini e i negazionisti (termine che però è stato applicato con eccessiva disinvoltura), allora bisognava difenderlo; altre volte c’è stata l’applicazione meccanica di certi paradigmi ideologici, arrivando persino a fare l’apologia della quarantena come occasione rivoluzionaria e dell’azione del governo Conte come “levatrice” che aiutava la storia a partorire la nuova economia post-neoliberista.
Il risultato è che adesso sono (e purtroppo siamo) spiazzati, in senso metaforico e letterale: esclusi dalla piazza. Con che faccia potrebbe mai presentarsi in piazza chi finora si era fatto andare bene tutto, con eccesso di zelo e malriposta retorica? Lamentarsi che le piazze siano “di destra” è la favola della volpe e dell’uva. Spero davvero che il prossimo passo, in certi ambienti, non sia fare l’apologia “da sinistra” dell’esercito che reprime. Spero ci si renda conto prima della terribile china lungo cui si è scivolati.
Io sono certo che questa esplosione di rabbia sia dovuta con il fatto che i miliardari quest’anno si sono arricchiti di brutto e i ceti medio-bassi invece sono andati in rovina. Non penso certo che siano solo ultrà, fasci e camorra.
Sicuramente come dite voi, alle volte contraddizioni e ingiustizie reali provocano risposte confuse o addirittura sbagliate. E per questo ho notato soprattutto saluti romani e sottovalutazione da parte di alcuni (non tutti) della minaccia virale.
Manca l’analisi del problema. Chi protesta ce l’ha con i salariati che crede siano più protetti, ce l’ha col Governo ma non inquadra complessivamente la questione. Non mi sembra gente da patrimoniale ecco…
Ma non è detto che il pallino resti a loro, bisogna vedere cosa fa il proletariato e su una questione c’è un interesse comune ovvero far cacciare i soldi ai ricchi.
Anche una narrazione di una certa sinistra è completamente fuorifuoco a mio avviso:
prima era un’influenza, poi gli asintomatici non trasmettevano il virus, ora anche i testati positivi non è che siano proprio così pericolosi da doverli trattenere, cazzo se non sei in terapia intensiva puoi continuare a vivere (quindi produrre e consumare).
In tutto questo lo sbriciolamento del sistema di test&tracciamento sembra un effetto collaterale non così negativo per molti.
Mentre i tamponi tornano ad essere per soli sintomatici, dopo aver già tagliato tutti i tamponi evitabili per avere massima capacità…
Non so chi sia questa «certa sinistra», ma i tre punti del tuo “riassunto” sono molto più problematici di come li fai apparire. Intanto, nessuno ha detto che «era un’influenza» (ho discusso a lungo con Isver su questo luogo comune, magari avrà voglia di scriverne lui).
Ma soprattutto, per «asintomatici» cosa intendi? Se hanno ragione gli studi che stanno uscendo, oggi vengono chiamate «positive asintomatiche» anche persone che sono “positive” semplicemente perché l’analisi del tampone amplifica un segnale a dismisura, e quindi, molto probabilmente quegli asintomatici non sono contagiosi, e se non lo sono non si capisce perché mai li si debba «trattenere» (scusa, ma è veramente un verbo terribile). Non sarebbe meglio capire se sono contagiosi o meno, piuttosto che agire, spendere, reprimere ‘ndo cojo cojo?
Inoltre, a ridurre la vita al produrre e consumare sono state proprio le risposte alla pandemia del nostro e altri governi (ma nel modo più hardcore del nostro e di quello spagnolo), perché si è costretta la gente a non uscire di casa se non per lavorare e fare la spesa, uniche attività previste da dpcm e ordinanze. Coi risultati che ho appena scritto nell’altro commento, e anche col risultato di costringere e affollare le persone principalmente in posti chiusi, guardacaso i più a rischio: fabbriche e mezzi pubblici.
“persone che sono “positive” semplicemente perché l’analisi del tampone amplifica un segnale a dismisura, e quindi, molto probabilmente quegli asintomatici non sono contagiosi”
Per quanto ancora non sono contagiosi? Dopo pochi giorni quel segnale da prima amplificato da una macchina, potrebbe essere amplificato dalla replicazione del virus all’interno delle loro cellule e renderli non solo non più asintomatici, ma anche se ancora asintomatici molto contagiosi.
Capisco che “isolare” quelle persone sia un sacrificio enorme, ma cosa altro si potrebbe fare allo stato attuale delle conoscenze scientifiche?
Non fraintendermi, so molto bene che la chiusura fa ricadere il costo di limitare l’epidemia in modo estremamente diseguale. Benefici e costi non sono allineati. La curva dell’evoluzione esponenziale dei contagi la conosciamo, quella della crescita del disagio e della rottura della coesione sociale e politica non è purtroppo misurabile, ma gli esiti non sono meno drammatici.
Io sono per dare a ognuno una scelta, o un taglio ai patrimoni o un taglio all’altezza di C3.
Vanno espropriati i miliardari, tutti. E il 99% della popolazione in questo momento sarebbe d’accordo. Che aspettano a fare una patrimoniale immediata?
Ferro ignique ad excelsa.
AL di là del fatto che il ruolo degli asintomatici nella trasmissione del virus è stato ridimensionato anche da Lopalco (…aperta e chiusa parentesi…) fin da Giugno
https://www.lanazione.it/firenze/cronaca/covid-lopalco-gli-asintomatici-non-devono-far-paura-1.5240817
la questione è molto semplice: se vuoi tracciare anche gli asintomatici devi avere il triplo del personale e il triplo delle macchine. Almeno. E forse non basterebbero. Altrimenti salta il tracciamento come del resto è già saltato (se dai i risultati dei tamponi dopo 15 giorni a chi ha avuto un contatto con un positivo puoi usare il certificato come sostituto della carta igienica che finisce subito in pandemia.
Oppure passi ai test rapidi, perché sintomatico o asintomatico quello che conta è quant’è la carica virale, è quella che contagia. E se i test rapidi vanno bene per identificare che è nel picco contagioso, usi quelli e lasci i tamponi alla diagnostica da ospedale.
Che noia ‘sta storia dell’influenza. In realtà nessuno dei personaggi più noti messi alla berlina per aver sottovalutato il virus, ha detto davvero che il Covid-19 fosse un’influenza. Al massimo qualcuno ha detto – sbagliando, ma quando ancora molte problematiche non erano emerse – che fosse una sindrome simil-influenzale. E nessuno ha detto nemmeno che il Covid-19 fosse come o poco più di una banale influenza. Nessuno che parli con cognizione di causa dell’influenza, la definirebbe mai banale. In compenso, nessuno di quelli che si imbizzarriscono per qualunque accostamento del Covid-19 all’influenza, si fa il minimo problema ad agitare lo spauracchio della Spagnola, ovvero la pandemia causata dal virus influenzale A, sottotipo H1N1. Prima o poi qualcuno dovrà spiegarglielo.
Quanto al resto, questa pandemia ha dimostrato che la sinistra in Italia non esiste. E parlo proprio della gente di sinistra, non di partiti e movimenti. Chi ad aprile, su quella spiaggia del litorale pescarese, dentro di sé tifava per il carabiniere, non è di sinistra.
Rispondo anche sul test&trace sbriciolato (il treat non è mai esistito, ma stranamente a nessuno interessa). Il fallimento del sistema è imputabile a tutto tranne che alla sottovalutazione del rischio di falsi negativi(zzati). E’ esattamente il contrario.
Riletto tuto.
Concordo su molte parti. Confesso di essere uno di quelli che si sente molto più tutelato da un governo giallorosso, rispetto alla deriva terribile di stampo orbaniano precedente. L’incubo della Lega al Governo, con al fianco la formazione politica più ingenua della storia repubblicana non mi aveva fatto dormire, giuro.
Ciò detto sono uno dei tanti che non si riconosce in alcun partito politico, uno dei tanti non rappresentati. Non potrei votare Potere al Popolo perché troppo chic, troppo con la r moscia, e mi sono stancato di votare i vari partiti comunisti che esistono solo sulla scheda elettorale, dei quali ormai confondo anche le gerarchie e le dirigenze (Ferrero/Ferrando/Ferraro/Ferrante ecc.). Dal PD del resto si staccano solo partitini ancor più a destra, con “leader” improbabili buoni solo a twittare ogni cinque minuti.
Credo di non essere l’unico e forse è tempo di mettere insieme queste nostre solitudini, mettendo come basi minime il bene comune, l’accoglienza e la decrescita, per poi ragionare su cose un po’ più ostiche come la nazionalizzazione delle principali attività produttive e il reddito unico.
Leggendovi mi sono venute in mente alcune domande. Se è vero che il virus ha una letalità alta tra i segmenti più vulnerabili della popolazione, non è meglio avere molti falsi positivi piuttosto che positivi che si assembrano ignari per la città? Oppure si stanno aprendo scenari da società distopica dove i “deboli” rimarranno chiusi per far vivere i “forti”? O conviviamo già con un virus “clinicamente morto”? La soluzione cino-coreana è stata affidarsi ad una grande e buona IA che traccia ogni passo per permettere ai cittadini di vivere in sicurezza biologica e salvare la produzione. Quindi al Dio Covid hanno preferito il Cyborg. Noi non-moderni invece abbiamo bisogno di rituali per proteggere le nostre intimità da un attacco che nemmeno l’HIV negli anni 80. Ma ci sono altre possibili direzioni di questa ricodificazione universale messa in moto dal bio-semiovirus?
Al proposito l’articolo di Alex JC ha un piccolo difetto. I tre laboratori contattati si sono limitati a non rispondere. Quindi, pur osservando una serie di errori e stranezze nella misurazione dei positivi, il dato “nuovo” di AlexJC è che i laboratori non hanno aiutato la ricerca di trasparenza. Gli altri due studi internazionali citati aiutano a confermare una possibilità, ma, l’unica cosa che sappiamo con certezza è che ci sono grosse lacune di conoscenza. Dov’è la verità allora?
E’ probabile che i sistemi diagnostici soffrano di molte imprecisioni ancora difficilmente quantificabili. E’ altrettanto probabile che per n-ragioni geo-strategiche le analisi che territorializzano il virus e che identificano gli spazi del contagio siano non pubblicabili. Simultaneamente assistiamo ad una continua produzione di linee divisorie e definizioni dentro-fuori che riguardano chiunque si azzardi a risaltare una particolare esistenza del virus oltre il virus. Quindi, uno scienziato debole che ci prende poco con i numeri e che non vuole farsi fregare dal leghismo fascio-cospirazionista come può rispondere a domande come “il COVID ha accelerato il processo di “riqualificazione urbana” di Bologna o no?”
Personalmente oltre l’emergenza come paradigma di governo, non vedo un’escalation neoliberale, piuttosto un business as usual con rinnovati linguaggi, grammatiche e temporalità prodotti dalla crisi.
«Se è vero che il virus ha una letalità alta tra i segmenti più vulnerabili della popolazione, non è meglio avere molti falsi positivi piuttosto che positivi che si assembrano ignari per la città?»
Io penso proprio di no. Al contrario.
Uno scenario con molti falsi positivi implica non solo un enorme sperpero di risorse per comprare e far funzionare strumenti diagnostici fallaci, ma anche sovrastima della curva, con relativo sensazionalismo sui numeri in continuo aumento, e quindi ansia crescente, fretta nel cercare soluzioni e dunque aumento degli errori nel rispondere alla pandemia. E stiamo vedendo che ogni errore sfocia in iniquità sociale.
Uno scenario con molti falsi positivi implica anche, come scrive il NEJM, migliaia di quarantene infondate. E sono proprio i segmenti più vulnerabili della popolazione (perché non si è vulnerabili solo al virus, la vulnerabilità è una dimensione sociale) a pagare la quarantena con la perdita del lavoro, con la povertà, con la solitudine e il disagio mentale.
Vorrei far notare che la scorsa primavera, secondo tutti gli indicatori e secondo i primi studi, con la reclusione domestica e l’azzeramento della vita sociale sono aumentati i suicidi, i femminicidi, gli acquisti di psicofarmaci, i ricoveri psichiatrici, le violenze domestiche, i disturbi alimentari tra bambini e adolescenti, l’azzardopatia…
Io ci aggiungo anche – si vedano tutte le più importanti analisi di QAnon et similia – l’aumento della paranoia e del cospirazionismo. Che spesso, a fronte di una quasi completa assenza di critica “da sinistra” (o almeno raziocinante e non-virocentrica), è rimasto l’ultima spiaggia di molti che si sono ritrovati la vita devastata non tanto dal virus in sé (sono i media e i politici a dar la colpa di tutto al virus) quanto dalla gestione della risposta al virus.
Vogliamo continuare su quella china? Guardate che rischiamo un’onda di maremoto di malattia mentale, con conseguenze da “tragedie del novecento”…
Una risposta a RoccoSan ed un appunto al post.
Tutti i test sono un compromesso tra l’eccesso di falsi positivi e quello di falsi negativi. La coperta e’ corta. Chi ha esperienza nel campo sa che purtoppo non si puo’ ottenere una cosa senza parziali sacrifici sull’altra. Quindi l’osservazione di RoccoSan ci sta. In un momento di pericolo e’ ragionevole tirare la coperta da quel lato, magari piu’ del solito, ed accettare il rischio di mettere in quarantena un certo numero di persone non contagiose. Esagerare significa, pero’, avere tutti o quasi falsi positivi e quarantenare tutti (che e’ un po’ la logica del lockdown) con la domanda ovvia: allora cosa li fai a fare? Ma trovare la giusta misura non e’ semplice per svariate ragioni.
Sul post pero’ trovo i Wu Ming un attimo fuori fuoco. Il fatto che il contagio sia in aumento (approssimativamente esponenziale) non si vede solo dai test. I letti occupati in ospedale dicono la stessa cosa e sono ben piu’ pratici. Quindi si’, il sensazionalismo sul numero dei contagiati viene pompato, i numeri sono ingigantiti, perche’ ci trattano da bambini e immaginano che il solo modo per non farci arrabbiare e’ spaventarci anche piu’ del ragionevole. Le proteste di questi giorni dimostrano che si potrebbe calmarci non facendoci paventare altri mesi di reddito zero e sanita’ disastrata. Quindi il post presta il fianco ad una interpretazione errata: il contagio non sta progredendo veloce.
Molto piu’ sul punto e’ criticare la velocita’ dei test PCR (siamo sempre una settimana indietro rispetto ai dati che produciamo) ed alle strategie di tracciamento per massimizzare i risultati (se avessimo infiniti test potremmo semplicemente testare tutti sempre). Per sfortuna sembra che il tracciamento sia stato brutalmente abbandonato e come a Marzo vengono controllati solo i sintomatici. Altro obbrobrio, non e’ piu’ necessario un secondo test per uscire dall’isolamento.
Poi i Wu Ming lanciano un po’ la pietra ma nascondono la mano con “sulla proposta, ovviamente, non abbiamo competenze per esprimerci”, non si fa.
E invece si fa, è la base dell’onestà intellettuale, perché non siamo virologi né epidemiologi né genetisti, noi possiamo citare gli studi – accertandoci prima della serietà della loro provenienza, e il NYT non è sospetto di “negazionismo” – e far notare che le cose che dicono vengono ignorate da chi dovrebbe prenderle in considerazione, ma non possiamo replicare noi stessi gli esperimenti. Possiamo solo dire che il problema segnalato, se confermato, è grave e inficia tutta l’impostazione di quest’emergenza. Inoltre, noi abbiamo detto che sulla proposta non abbiamo le competenze, non le abbiamo per poterla vagliare in prima persona.
Mesi fa abbiamo scritto, dopo uno scivolone grave e chiedendo scusa, che non siamo tuttologi e non vogliamo più cedere a nessuna hybris in tal senso. Scriviamo da cittadini, da (speriamo) intelligenze critiche, da portatori di parola, ma non da “esperti”. Saremmo dei cialtroni se “mostrassimo la mano” come dici tu. Sarebbe una mano con cui farsi solo delle pugnette.
Sull’altra cosa: «I letti occupati in ospedale dicono la stessa cosa e sono ben piu’ pratici.»
Veramente nel post che il problema è quello lo abbiamo scritto, e anche in quello precedente, e a dire il vero anche in tutti gli altri e in molti commenti, fin da marzo. Il problema è che il SSN è stato disastrato da decenni di controriforme liberiste, esternalizzazioni, privatizzazioni, tagli e quant’altro. Questa cosa era stata riconosciuta da moltissime/i già a primavera, eppure non si è fatto niente di niente per invertire la rotta. E di chi è la colpa se non si è fatto niente? Della “movida”? Di chi va al cinema?
Proprio perché la situazione sta precipitando ci sembra assurdo farsi dare la linea (e imporla a tutto il Paese) dal sensazionalismo mediatico su numeri decontestualizzati e dubbi, e sprecare tempo e risorse preziose facendo test su cui le perplessità sono molteplici e forti. E non si tratta solo di coperta corta, le potenziali percentuali di falsi positivi che cita il NYT sono elevatissime, non è questione di tirare un po’ di qua e un po’ di là.
E quindi no, forse i due numeri non dicono esattamente «la stessa cosa». Può darsi che il primo numero contribuisca ad affrontare peggio la realtà indicata dall’altro.
Io – e poi smetto per un po’ di commentare – mi domando però se il virus non sia un’occasione, per assurdo. Le politiche debosciate che hanno impoverito il SSN non sono cosa degli ultimissimi anni – non solo.
Sono cose recentissime invece la terziarizzazione del lavoro. Ho scoperto di recente che la GDO non immagazzina né sposta più le sue merci in prima persona, ma tramite “cooperative”, che ovviamente non sono cooperative, ma semplicemente gli stessi magazzinieri, trasportatori, operai licenziati e ricollocati in coop.
Siamo a questo… Il capitalismo non si assume più alcuna responsabilità. Tra un po’ saranno soci di fantomatiche coop anche i lavoratori dentro i supermercati (immagino che in qualche azienda sia già così). Questo nel terziario, perché nel primario si esternalizza in Paesi dove non esiste alcun diritto per i lavoratori, e si può chiudere baracca e burattini in mezza giornata. Non hanno neanche più la necessità di mantenere un sistema economico e di avere persone a libro paga per detenere il potere. Lo detengono e basta.
Le illusioni sul virus come “grande occasione” mi sembra fossero molto in voga in certi ambienti a marzo e aprile, ma che adesso pure là la retorica sia cambiata e l’umore sia più dark. Anche perché nessuno ha spiegato in modo sensato come si sarebbe dovuta sfruttare quell’occasione (molto oltre il dire che dovevamo stare in casa non si è andati), né quale forza in campo avrebbe dovuto farlo (soprattutto, quale forza possa mai esistere nell’atomizzazione domestica e in assenza di corpi). Si diceva che “grazie al virus” si sarebbe superato il neoliberismo, che si sarebbe invertita la rotta sulla privatizzazione della sanità, sulle emissioni di CO2 e su un sacco di altre cose. In ogni settore e ambito è avvenuto l’esatto contrario, l’emergenza ha aumentato le disuguaglianze, ha fatto fare affari ancor più grassi alla sanità privata, ha aumentato a dismisura l’inquinamento da plastica e non solo, ha aumentato il controllo e i limiti imposti al conflitto sociale. E si continua così, imperterriti e inasprendo.
Hai ragione.
Si parlava però, credo, di prospettive legate alla digitalizzazione: smart working, deburocratizzazione, spid, pec ecc. In questo senso c’è stato qualche progresso, ma è anche vero che ci sono ancora le file ai CUP per prenotare gli esami medici.
Ma io parlo di occasione per compattarsi, ricostruire, proporre, tessere fili, promuovere alternative.
Nessuno parla mai della terziarizzazione, nessuno parla mai dei “bottegai” (in realtà voi sì, ma parlo della “politica” anche extraparlamentare) dei lavori che stanno morendo, tanti.
In questo senso il virus potrebbe essere un’occasione, per portare i nodi al pettine.
Però attenzione che sul telelavoro – «smart working» è un’espressione truffaldina perché spesso di “smart” non c’è nulla – si fa un sacco di propaganda che ne esalta i lati positivi ma ne oscura le contraddizioni, i lati oscuri, la dimensione molte volte alienante e i vantaggi che dà all’azienda rispetto al dipendente. Vero, il pendolarismo è una maledizione e il telelavoro evita di sprecare ore e ore alla settimana per spostarsi spesso in condizioni disagevoli, e inquinando. Vero, l’ufficio è squallido, sto più comodo a casa mia. Ma pensa, ad esempio, alla difficoltà di far valere i propri diritti con un’azione sindacale in condizioni di dispersione dei lavoratori, di separatezza tra colleghi. L’azione collettiva è meglio immaginabile e praticabile se hai persone con cui condividi fisicamente uno spazio, una condizione, e scambi impressioni e idee in presenza. Ecco, se parliamo di occasioni per ricompattarsi e tessere fili, questo è un esempio di come il telelavoro può “scompattare” e sfilacciare.
Poi c’è il fatto che quando telelavori lo fai usando la tua connessione, la tua elettricità, il tuo riscaldamento. Tutti soldi risparmiati dall’azienda e spesi da te.
Poi c’è il fatto che stare troppo in casa fa male al corpo e alla mente (che in realtà sono la stessa cosa ma il linguaggio ancora arranca dietro alle neuroscienze). Io potrei lavorare a casa, ma faccio di tutto, davvero di tutto, per uscire e lavorare fuori, i miei libri li ho scritti nelle biblioteche di quartiere, e da qualche giorno (visto che le biblioteche funzionano in modo farraginoso per via delle normative anti-Covid e tra un po’ le richiudono pure) sono ospite nello studio di un compagno, lui monta video in una stanza e io scrivo il mio libro in un’altra.
E poi molti lavori non sono spostabili on line, perché vanno fatti in presenza e con fatica fisica. Un operaio non può riasfaltare una strada in “smart working”. Un muratore non può alzare un ponteggio in “smart working”. Un infermiere non può andare a prendere un paziente in lettiga in “smart working”. I lavori spostabili on line sono quelli impiegatizi e “di concetto”, gli altri per forza di cose si attaccano.
Concordo. Però mediamente un lavoratore spende 200/300 euro di carburante per poter lavorare, per spostarsi. E spesso va in posti angusti e non salubri. Ed è controllato a vista, quasi ovunque. Nel privato non è quasi più possibile sindacalizzarsi, ti fanno terra bruciata attorno. Gli unici sindacalizzati sono gli statali e i pensionati.
E, certo, gli unici che possono telelavorare sono gli impiegati “di concetto”.
Se vivessimo in un mondo ideale, direi che sarebbe bello che i luoghi di lavoro assomigliassero tutti a Mountain View, alla Silicon Valley, con tot giorni di lavoro da casa. Non è così.
Sì, creare un’alternativa è sempre più difficile. Forse impossibile. Per questo qualcuno, come me, spera che sia il contesto a rendere l’alternativa l’unica via praticabile. In realtà la crisi che stiamo vivendo avrà derive diverse, e i fatti lo stanno dimostrando. Anche perché nessuno si assume la responsabilità di mostrare un percorso diverso da ciò che stanno facendo le destre e i potenti. Io, però, sono ancora convinto che ci potrebbe essere una speranza – anche solo di “contare” qualcosa, in piccolo.
«Nel privato non è quasi più possibile sindacalizzarsi, ti fanno terra bruciata attorno. Gli unici sindacalizzati sono gli statali e i pensionati.»
Questo è falso, per fortuna. Nelle aziende private la sindacalizzazione esiste ancora eccome. Quelli che invece non si sindacalizzano più o quasi, sono i lavoratori autonomi, le partite IVA (vere o false), i precari, gli intermittenti, ecc.
I motivi sono molteplici, ma al netto delle mostruose carenze delle organizzazioni sindacali, una causa evidente è l’atomizzazione dei lavoratori, l’uscita da un luogo fisico di lavoro e la conseguente diversificazione contrattuale, che grazie alla pandemia avrà un’ulteriore spinta, possiamo scommetterci.
Prima della pandemia, la questione del controllo esercitato dal datore di lavoro sui dipendenti sul luogo di lavoro era una di quelle all’ordine del giorno dei tavoli di trattativa sindacale. Era uno di quei punti su cui si provava a tenere duro, con puntelli giuridici, costituzionali, ecc.
Con l’avvento della pandemia e la necessità di mettere i lavoratori in “smart working” inizialmente il padronato si è preoccupato, proprio perché la questione del controllo produttività veniva spazzata via dal tavolo. Non puoi controllare il lavoratore in casa sua, ergo c’è un grosso rischio di calo della produttività, diceva il padronato.
Sono bastate poche settimane e quella preoccupazione è stata fugata. È bastato che il padronato si facesse i conti in tasca. Niente più spese di mantenimento di una sede di lavoro: utenze, riscaldamento, pulizie, manutenzione, affitto. Tanto che le sedi hanno cominciato a essere disdette o vendute. Della serie: stiamo talmente bene così che al posto di lavoro non vi faremo tornare nemmeno dopo la pandemia.
E il temuto calo della produttività senza controllo? In parte è ammortizzato dal taglio delle spese, in parte si è rivelato un timore infondato, perché in realtà al lavoratore domestico puoi chiedere di più. Primo perché se in casa tua non entra il padrone, fa fatica a entrare anche il sindacato e i colleghi di lavoro con cui organizzare vertenze; secondo perché «Car@, lavori comodamente da casa, in tuta o in pigiama, senza doverti spostare né truccare, perdere tempo, prendere mezzi, rischiare di ammalarti… non vorrai negarmi questo piccolo surplus di lavoro?».
Ridurre gli spostamenti di lavoro fa bene all’ambiente, non ci sono dubbi. Che faccia bene ai lavoratori invece ce ne sono eccome. Ti alzi al mattino, ti metti al computer in salotto, fai la pausa pranzo in cucina, ti rimetti al computer, alle 18 smonti dal “turno” e…no, niente pub o pizza con gli amici, né piscina o palestra, o cinema, è tutto chiuso. Quindi ti rimetti al computer o alla tv e ti alieni fino all’ora di andare a dormire, per ricominciare il mattino dopo.
Sto esasperando, ovviamente, ma la tendenza è questa, ci siamo passati.
Se davvero potessimo parlare di come conciliare l’esigenza di spostare meno gente ogni giorno per lavoro, alleviando così inquinamento, traffico e surriscaldamento, con l’esigenza di tutelare i lavoratori dal “cottimo”, ci sarebbe da farci la firma. Per farlo bisognerebbe partire da quello che è successo durante il lockdown: la produzione ha rallentato. Togli dal campo l’ossessione per la produttività e sei a metà dell’opera. Ma a sto giro l’ha tolta la pandemia, causa di forza maggiore. Il sistema capitalistico che la impone è ancora lì, vivo e vegeto. E sono ancora in sella i suoi alfieri, indisturbati da oppositori o lavoratori relegati in casa. Eppure la rabbia sociale sta facendo capolino… e chissà che non sia solo la punta dell’iceberg… Manca giusto chi sappia incanalarla politicamente nella giusta direzione. Mica poco.
Non sono d’accordo. Non è facile cercare dati, ma, secondo quello che ho trovato io, Cgil-Cisl-Uil sono passati da quasi 17 milioni di iscritti del 2010, a meno di 12 milioni nel 2017. Oltre mezzo milione in meno ogni anno. Il 50 percento degli iscritti sono pensionati. Inserisco un paio di link:
http://www.confsaluniversita.it/files/all_1_not_24_con_tabelle.pdf
https://www.pietroichino.it/?p=52882
Che uno dei motivi sia l’atomizzazione dei lavoratori, non c’è dubbio. Ma soprattutto i sindacati devono assumersi le loro responsabilità: dove erano quando i padroncini hanno delocalizzato in Romania, Turchia o Cina? Luoghi dove i proprietari di azienda possono fare il bello e cattivo tempo.
Il fatto che non vengano prese in considerazione alcune ricerche scientifiche mi sembra ovvio. Google Scholar riporta 100k paper con keyword Covid quest’anno. Poi, nello specifico dei test rapidi, e’ di qualche giorno fa la notizia che in Veneto e Lazio, a dire di Crisanti, non solo avevano letto quelle ricerche, ma le hanno anche testate sul terreno. Risultato: 30% di positivi (anche ‘molto’ positivi) mancati (falsi negativi). Stessa cosa in Inghilterra. A Manchester hanno fatto una validazione su larga scala di test rapidi con risultati ancora peggiori: 50% di falsi negativi. La commessa di macchinari gia’ era stata fatta con il risultato di aver regalato 350mln di denaro pubblico ai produttori.
La coperta e’ molto corta.
A questo punto, come suggeriva qualcuno, mi pare tra questi commenti, forse quel conflitto di interessi dichiarato non era poi cosi’ innocuo.
E qui si apre un tema su cui non credo ci siano grandi diverbi su Giap. Il problema, ancora una volta, e’ il capitalismo. Queste grandi aziende possono farsi pubblicita’ enormi, tanto piu’ in tempi di emergenze, quando i loro claims non hanno il tempo di essere scrutati dalla comunita’ scientifica pubblica. Guadagnano somme immense e, temo, non risarciscono nessuno in caso di comprovata inservibilita’ delle loro cianfrusaglie.
Lascia anche le fonti, per favore, così che tutte e tutti abbiano la possibilità di verificare.
Crisanti però sostiene che i test rapidi, usati in modo appropriato, sarebbero comunque molto utili per capire quanto e come circoli il virus, in particolare in contesti specifici come la scuola. Ma a prescindere da quello che dice Crisanti – che il conflitto di interessi, peraltro, lo evidenzia anche nell’attuale sistema dei tamponi – qui il problema fondamentale è che usando solo i tamponi, e a maggior ragione sprecandone decine di migliaia al giorno in controlli inutili, un tracciamento serio non è possibile. Non possiamo permetterci di fare gli schizzinosi perché i test rapidi sono strumenti imperfetti. Gli strumenti perfetti non esistono. Bisogna valutare i pro e i contro di ciascuno. Se usando (anche) i test rapidi, raddoppia il numero dei test complessivi, è irrilevante che il numero di positivi intercettati non raddoppi ma aumenti “solo” del 70%. Perché di questo stiamo parlando. Un aumento del 70% dell’efficacia del tracciamento a fronte di un aumento di spesa che forse è di un ordine di grandezza inferiore. Esiste un modo migliore di allungare la coperta? Francamente non mi sembra.
@Wu Ming
Inghilterra: https://www.theguardian.com/world/2020/nov/05/operation-moonshot-rapid-covid-test-missed-over-50-of-cases-in-pilot
Italia: https://www.repubblica.it/cronaca/2020/10/28/news/non_riconoscono_tre_positivi_su_dieci_l_atto_d_accusa_contro_i_test_rapidi-272209796/
@Isver
Vero che Crisanti non aveva escluso i vantaggi nel trovare i cluster, ma di questo se ne era gia’ parlato in altri commenti ed articoli, a prescindere. Infatti e’ molto interessante l’ipotesi di cambiare proprio l’algoritmo per i tracciamenti data la sovradispersione (fattore k). In breve, cercare chi ti ha contagiato anzicche’ chi puoi contagiare tu, per massimizzare l’efficienza di risorse non infinite.
Allo stato delle conoscenze, idealmente servirebbero entrambi i test. Direi uno per le corsie di ospedale, un altro, da accoppiare a metodi piu’ efficienti per decidere chi testare dopo, per capire piu’ tempestivamente dove sono i cluster.
Resta il fatto che sono scelte complicate che devono venir prese anche considerando l’enorme inerzia burocratica nel cambiare ogni mese, a seconda dei paper, degli apparati pesantissimi. Che poi li paghiamo per questo ok, ma un po’ di clemenza. Solo questo il senso del mio intervento.
Di fronte a una gestione così irrazionale e tragica dell’emergenza, mi sembra che, nella scala delle priorità sui discorsi da fare, il problema del «concedere un po’ di clemenza» all’apparato sia davvero l’ultimissimo. Sinceramente.
Soprattutto perché ai cittadini, alle persone senza potere prese di mira quotidianamente, colpevolizzate, recluse, rovinate, non viene concessa clemenza alcuna.
Mi riferivo agli scienziati, tra cui molti che hanno responsabilita’ nell’informare i governi e lo fanno in modo onesto nonostante la scienza non sia adatta ad agire in fretta su virus appena comparsi. Tutto fra budget limitati e ipercompetitivita’ anche nel mondo della ricerca.
Sul resto, sicuramente nessuna clemenza per i politici, le lobby, il sistema per aver costretto la scienza ad agire cosi’ in fretta imponendo politiche neoliberiste per decenni creando, fra l’altro, disuguaglianze enormi nella salute e nell’accesso alle cure per molt* di noi.
PS: a volte ci si sente altrettanto attaccati qui, un posto in cui in linea di massima molte differenze inconciliabili non ce ne sono, che in ambienti teoricamente piu’ ostili.
Tenib, non mi pare che tu abbia subito alcun attacco. Semmai l’unico mezzo attacco (un attaccuccio) lo hai fatto tu quando hai detto che noi WM tireremmo il sasso e nasconderemmo la mano. Era una critica infondata e irricevibile, e io ti ho risposto spiegando il perché, e civilmente.
Non credo che nessuno abbia messo in dubbio che sia difficile gestire la situazione. Il punto è semmai capire perché certe soluzioni vengono escluse a priori. Detto questo mi sembra che nonostante le critiche che si possano fare ai test rapidi (sul fatto che individuino meno positivi siamo tutti daccordo, occorrerebbe anche capire che non é quello il punto) il governo è corso ai ripari ordinandone 5 milioni e affidando il compito di farli ai medici di base. In quanto al conflitto d’interessi bisognerebbe anche chiedersi dov’è che uno scienziato divrebbe mettere a punto un test diagnostico se la ricerca pubblica é pratocamente inesiatente. Detto questo non voglio di nuovo partecipare a flame sui dettagli di sierologici antigenici e molecolari e sui valori dei ct.
Si stanno già usando entrambi i test. Solo che a chi risulta positivo al test rapido, proprio come nel caso del sierologico, poi si fa anche il tampone. Questo peraltro è uno dei motivi – uno dei motivi, non IL motivo – per cui aumenta la percentuale dei positivi sul numero dei tamponi effettuati. Numero che non comprende i test rapidi, ma comprende i tamponi fatti a positivi praticamente certi perché già positivi al test rapido. Ne risulterà positivo anche al tampone minimo il 90%, immagino.
Anche questo, va detto, è un protocollo assurdo, che minimizza i vantaggi e massimizza gli svantaggi di entrambe le tipologie di test. Che senso ha sprecare tamponi e intasare il sistema per confermare le positività al test rapido, quando il punto debole del test rapido sono i falsi negativi?
Quanto al resto, mi permetto di esprimere qualche dubbio metodologico sul confronto tra test rapido e tampone. E’ vero che il tampone è più sensibile, ma visto che c’è il dubbio che lo sia troppo, non ha molto senso usarlo come gold standard epidemiologico. Clinico sì, epidemiologico no. Possiamo dire che il test rapido non individua il 30% o il 50% dei positivi individuati dal tampone. Dare per scontato che questo significhi non individuare il 30% o il 50% di quelli che è necessario individuare, è comunque arbitrario. My two cents.
“Altro obbrobrio, non e’ piu’ necessario un secondo test per uscire dall’isolamento.”
L’obbrobrio è che sia stato necessario per tutto questo tempo. Ed è tra le cause principali del fallimento del tracciamento in Italia. In certe regioni i tamponi di controllo erano arrivati a rappresentare i due terzi del totale giornaliero. Il tutto contro l’evidenza scientifica riconosciuta dall’OMS, che aveva modificato le sue linee guida già durante la prima ondata. Linee guida a cui praticamente solo noi al mondo, forti del successone ottenuto a marzo-aprile, non ci eravamo adeguati.
Il principio della massima precauzione ci sta uccidendo. E questo ammettendo che non sia totalmente ipocrita, cosa che a me sembra palese. Controlli inutili, test troppo sensibili e troppo lenti. Risultato? Se prima inseguivamo il virus, adesso lo aspettiamo nella piazza del paese come Totò e Peppino nei panni dei fratelli Caponi in trasferta a Milano, perché prima o poi quello di qua deve passare. La coperta è sicuramente corta, ma noi la stiamo usando come tappeto.
Fa certamente bene non parlare da soli :) Sono sicuro che ci fossero varie imprecisioni nel mio testo, però nell’intervento volevo sottolineare la coesistenza di almeno tre possibili visioni della realtà pandemica oltre a quella puramente virologica rappresentata dalla soluzione del cyborg e del tracciamento totale. Queste realtà coesistono socialmente dal “mio vicino chiuso in casa a segnalare il tizio senza mascherina” a “il nonno che è meglio se non esca di casa” fino a Zangrillo e Briatore. Ma coesistono a mio parere anche dal punto di vista del singolo che, per banalizzare, “la mattina si sveglia Zangrillo e la sera va a letto da nonno”. Quindi a dire il vero ho ritenuto il commento di Wuming1 come una sorta di ricapitolazione di quanto sviluppato su GIAP in questi mesi rispetto alla prima significazione della pandemia, in breve, quella della coperta sempre corta e degli stati ansiogeni che ne derivano. Volevo però far notare anche i rischi che si prendono nel cercare di criticare insieme il discorso sulla scienza e la scienza stessa. Nel secondo caso non ci troviamo foucoltianamente nella pratica o in ogni caso ci servirebbe tempo che ora non c’è. Ci limitiamo quindi a seguire i flussi informativi disponibili di un fenomeno ancora fluido da poter essere identificato dentro griglie statistiche. Per questo, pur ammirando molto il tentativo di “dubitare della certezza unitaria dei test covid”, rischiamo errori più macroscopici.
Esiste poi certamente la realtà materiale dei lockdown. E’ quella che viviamo quotidianamente tutti. Qui in Laos, ad esempio, è completamente slegata dal virus sia per assenza di test sia probabilmente perchè il virus non c’è. Forse proprio per questo conviviamo anche con tutte le cospirazioni possibili e con atmosfere da nuova guerra fredda (dal laboratorio di Wuhan al marine diffusori del virus, dal 5G alla cura con pelli di bufalo). Quindi, per farla breve, dal mio osservatorio su soggetti, verità e potere nella pandemia non vedo un conflitto di classe ma piuttosto una serie di recriminazioni, tattiche e risposte da clan (lobby, gruppi di potere, reti di famiglie) contrapposte che a volte si intersecano per identificare un capro espiatorio. Questa per me non è un escalation neoliberale ma è il classico neoliberismo della crisi.
L’idea non è sconfiggere il virus ma rallentarlo un pochino per consentire agli ospedali di lavorare in modo regolare. Richiesta comprensibile da parte degli addetti ai lavori, ma la politica dovrebbe mediare, perché non puoi mandare a puttane l’economia e la pace sociale.
Una risposta emergenziale coraggiosa e concreta poteva benissimo puntare molto di più sul potenziamento del SSN , su strutture appositamente create, su un più largo impiego di risorse della Protezione Civile e esercito (ad es per trasporto pubblico).Invece si è scelta questa modalità prevalentemente passiva, in cui si nicchia su tutto e si punta a sfangarla alla meno peggio, lavorando il meno possibile.
In questo quadro si inseriscono le chiusure dei ristoranti, la retorica anti-movida, la colpevolizzazione dei giovani che vanno in giro a fare gli untori… E in questo quadro fondamentalmente passivo, attendista, di ermegenza fluida, perpetua, a intensità controllata, si inseriscono perfettamente e comodamente i dati dei famosi tamponi, sbandierati ogni santo giorno come un Sacro Graal al quale viene dato il comando automatico delle decisioni: arrivati a tot. positivi si chiude *automaticamente* questo, superato quell’altro livello si chiude *senza ombra di dubbio* quell’altro… Tutto questo è indice di una estrema miopia della classe politica (non solo italiana), che è schiacciata sul presente e totalmente priva di una visione di medio-lungo periodo. Nessuno però mette in luce una questione fondamentale: il mantenimento dei livelli attuali di assistenza nei prossimi decenni. L’impoverimento della finanza pubblica conseguente a recessione può essere tamponato solo temporaneamente con alchimie finanziarie (PEEP della BCE, Recovey Fund) che non resisteranno alla prova del nove di uno sconquasso finanziario globale o anche di una forte ripresa post-covid che faccia tornare il problema dell’inflazione. In soldoni: se l’Italia diventa Paese del Secondo Mondo a causa dell’insostenibilità del debito e della crisi del sistema produttivo, ne farà le spese anche il nostro tutto sommato molto buono sistema sanitario. I futuro l’aspettativa di vita media potrebbe calare (o non aumentare al livello degli altri Paesi avanzati). Quindi morirà gente, molta gente, e non per Covid.
Penso sia necessaria un po’ più di cautela riguardo allo studio del NEJM citato. Due dei tre autori, Larremore e Mina, sono consulenti di due aziende di biotecnologie che producono test rapidi per il COVID, la Darwin Biosciences e la Abbott Diagnostics. Ciò è dichiarato da loro stessi nel disclosure form che accompagna il paper: https://www.nejm.org/doi/suppl/10.1056/NEJMp2025631/suppl_file/nejmp2025631_disclosures.pdf.
Questo ovviamente non significa che l’intero articolo sia automaticamente invalido, ma sicuramente presenta un punto di vista parziale che andrebbe confermato da altri studi meno interessati prima di essere accettato.
L’inchiesta del NYT riporta (e linka) altre dichiarazioni di esperti e autori di studi. Non avremmo citato il NEJM se prima non ci fosse stato il NYT. Leggendo le varie fonti ci si può fare un’idea.
In ogni caso (qui non mi riferisco a te, parlo in generale), anche se è sano vigilare nei confronti di conflitti d’interessi ed è addirittura indispensabile criticare il rapporto tra scienza e capitale, stiamo attenti alla pulsione a trovare subito tutti con le mani nel sacco. Purtroppo il più delle volte diventa critica ad hominem, ci si ferma lì (“venduto!”) e si liquida il contenuto.
Tra l’altro (e ancora una volta non mi riferisco a te), quest’esercizio viene fatto solo con gli autori di studi ed esperimenti i cui risultati mettono in questione la strategia di CTS e governo. Non ci si chiede mai se ci sia gente in conflitto d’interessi tra i membri del CTS e del governo, tra chi difende la strategia dei tamponi nasofaringei, tra chi dice che la mascherina va portata sempre e ovunque, tra chi vuole chiuderci tutti in casa, ecc.
Sicuramente d’accordo. Parlando di conflitti di interessi legati ai tamponi, basti ricordare il caso del Centro Medico Santagostino, che nella debacle della sanità pubblica lombarda è diventato il principale riferimento per i tamponi privati, a cui ormai ricorrono persino i sintomatici (anche se non potrebbero: ho sentito varie notizie aneddotiche a riguardo) per esasperazione verso i tempi del pubblico. Proprio l’8 marzo, il direttore generale parlava un’opportunità imprenditoriale enorme, quale puntualmente è stata: https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/03/08/cigno-nero-coronavirus/
Tuttavia, un conflitto di interessi purtroppo non ne esclude un altro. Se pur vero che il New York Times riporta anche altri pareri, e se pur vero che la logica dei test rapidi è molto chiara a prescindere da chi la porta avanti, penso sia importante sottolineare che proprio Michael Mina sembra restare fin’ora la fonte principale citata dai vari articoli (anche in un op-ed sullo stesso Times: https://www.nytimes.com/2020/07/03/opinion/coronavirus-tests.html).
La presa di posizione di DDB, Distribuzioni Dal Basso, che ha sede a Bologna al Vag61.
« […] Così siamo arrivati a sabato scorso, quando in maniera abbastanza inaspettata è stata annunciata la scelta del governo di chiudere nuovamente cinema, teatri, spettacoli e molto altro ancora. Lo diciamo senza troppi giri di parole: reputiamo questa decisione ingiusta e ingiustificata, oltre che molto grave se commisurata alle scelte politiche (ed economiche) fatte dalle istituzioni.
Vogliamo essere chiari. Non ci interessa entrare nella logica antitetica del “tutto aperto” o “tutto chiuso”, né tantomeno in sanguinose classifiche su cosa dovrebbe restare aperto e cosa chiuso. Ci limitiamo a fare delle considerazioni che non possono prescindere da una visione più ampia di quanto succede in questo quadro storico, non solo per quanto riguarda il “nostro settore”.
Abbiamo l’impressione di rivivere un déjà-vu dei più distopici, con il riproporsi di dinamiche che, sinceramente, ci auguravamo fossero superate: dagli ospedali nuovamente in emergenza ai sistemi di prevenzione e tracciamento in cronico ritardo, dalla sistematica colpevolizzazione dei singoli cittadini a una gestione politica in chiave esclusivamente emergenziale, scandita da un susseguirsi di imprevedibili decreti.
Quale efficacia può avere la scelta di bloccare solo determinati settori (quello culturale e quello ricreativo) mentre molti lavoratori e lavoratrici continuano ad andare a lavorare in condizioni poco sicure? Ci sembra sia sempre più chiaro che tra la salvaguardia della produzione industriale e di capitale (la famosa “economia da salvare”) e quella della cultura, della formazione e del “tempo libero”, chi ci governa abbia fatto chiaramente le sue scelte. Siamo pronti ad accettare l’orrore di una società che sacrifica la cultura a favore della produzione di capitale (in cui peraltro, anche in fase emergenziale, si acuisce il divario fra chi lavora e chi sfrutta il lavoro)?
Qual è l’idea di vita, di lavoro, di comunità che muove le scelte delle istituzioni che ci governano, che esercitano il potere di dividere la propria popolazione in produttivamente utile e inutile? Sarà la criminalizzazione del “tempo libero” a salvarci dalla pandemia? […]»
https://www.openddb.it/il-cinema-e-chiuso-lunga-vita-al-cinema/
In realtà è molto semplice: i medici, gli operatori sanitari, e soprattutto il famigerato “comitato tecnico scientifico” composto perlopiù da topi di laboratorio che nulla sanno della reale complessità di una società moderna e variegata come quella italiana, chiedono a gran voce non provvedimenti utili a sconfiggere il virus (da quel lato ormai abbiamo capitolato da un pezzo) ma a rallentare un po’ il contagio per consentire al SSN un lavoro alla fine piuttosto normale (vana ambizione: se sei in emergenza devi lavorare a ritmi da emergenza!). A questo punto la politica (debole, insicura, sciatta, mediocre) che fa? Semplice: dovendo chiudere almeno qualcosa per accontentare tali richieste, sceglie i settori politicamente meno rilevanti, quelli meno organizzati, quelli con meno referenti diretti nei partiti, quelli riferibili a elettorato meno pesante. Non se la prendono con le bocciofile, ma con i pub per giovani. Non se la prendono con le fabbriche di carne ma con i teatri e con i ristoranti. E’ un governicchio che traccheggia, tira a campare. Domani è un altro giorno.
anch’io mi sto un po’ perdendo, stiamo parlando di molte cose, spero che servano a chiarirci le idee. Intanto contribuisco alla confusione.
1. Una cosa credo si debba tenere come punto fermo: i casini che arrivano sono responsabilità della classe dirigente di cui il governo solo il braccio armato. Naturalmente ci sono le contraddizioni interne, e le decisioni sono l’esito di contrattazioni. La “logica” va cercata lì, non nelle razionali strategie di contrasto;
2. Il motivo per cui siamo nei casini è legato alle modalità di azione di governo degli ultimi anni (decenni): i vincoli di bilancio. Serviva un piano sanitario il motivo per cui non si è fatto è che è troppo oneroso e non ci sono i soldi. (I soldi ci sono ovviamente).
3. Nello specifico si doveva assumere un esercito di medici, infermieri, epidemiologi, e magari qualche scienziato sociale (io no perché costo troppo, ma ci sono un sacco di neolaureati bravissimi) che facesse una qualche indagine sui luoghi di contagio (allo stato non ne sappiamo praticamente niente); si dovevano comprare macchinari per aumentare le terapie intensive; fabbricare ospedali, requisire strutture. Si doveva progettare dove mettere i positivi che non possono stare a casa perché infettano il resto della famiglia o non hanno possibilità di essere seguiti, ma che non stanno così male da dover andare in ospedale. Il tracciamento doveva essere fatto seriamente e serviva gente anche qui, altro che una app (e lasciamo da parte le questioni sul possesso dei dati)
4. Si è analizzata con molto ottimismo la curva dei contagiati, intervenendo tardi per mettere toppe; le toppe, di nuovo, non sono razionali se non occasionalmente, ma legati a “quello che si può fare”
–>
(come sempre sono arrivato lungo, scusate)
5. Con questo punto forse non sarete d’accordo, ma in mezzo a quest’inferno, secondo me la chiusura di teatri e in genere luoghi di divertimento un qualche senso ce l’ha. Certo, un senso perverso (sono luoghi che agevolano il movimento delle persone e per adesso quello va in qualche modo fermato. Chiudono le scuole non perché all’interno ci si infetta, come si è detto, e chiudono i teatri non perché all’interno ci si infetta: il problema credo sia il percorso
6. Ho molti dubbi che questi provvedimenti saranno sufficienti; altrove (Spagna) non lo sono stati.
7. Si sta ricominciando a dire che tutti stanno facendo come l’Italia, persino la Svezia. Naturalmente non è vero, in Germania è tutto abbastanza aperto con dinamiche simili alle nostre (numeri un po’ più bassi ma andamenti simili)
8. A proposito di Germania: il numero potenziale delle terapie intensive è di circa 42mila posti. In Italia siamo a 8000, se va di lusso. Noi siamo di meno, ma non certo 5 volte di meno (60 milioni a 80)
9. Non mi aspetterei grandi stravolgimenti neanche da cambi di governo naturalmente. Anche perché lo schifo che sta all’opposizione da destra al governo farebbe le stesse identiche cose. Il governo darà un sacco di soldi per le imprese, le banche si occuperanno di farli andare dove devono (no, non dalle nostre parti)
Che fare? In ogni caso siamo messi in un angolo, tutto questo ricadrà su di noi. Certo non credo che qui ci stracceremo le vesti se rompono qualche vetrina o se qualche fascista si mescola a ragazzi e piccoli commercianti e p.iva.
Fino a qui siamo tutti d’accordo giusto?
Personalmente d’accordissimo.
Negli ultimi giorni Giap è affollato e molte delle cose che vengono scritte si perdono nella moltitudine di commenti (non è ovviamente una critica).
Trovo importante che ci siano dei punti fermi da cui partire per analizzare il quadro della situazione. Più che quadro, frame, perchè di statico qui c’è molto poco.
La situazione è estremamente fluida. Non riuscirei a prevedere nemmeno da qui a venerdì cosa possa succedere. Quali provvedimenti verranno presi. Il parlamento ormai di fatto non esiste più.
Dobbiamo tenere le redini della prassi almeno qui su Giap.
Riguardo al punto 3, non per insistere sul topic del post, ma il tracciamento serio non si è fatto per limiti prima teorici che pratici. Ad esempio, se non ci sono risorse sufficienti per processare i tamponi con la rapidità necessaria – al netto della natura politica di tale scarsità – perché non prendere neanche in considerazione un sistema di pooling, come suggerito da più parti e come fatto altrove? In pratica metti insieme un numero X di campioni di uno stesso cluster e fai un unico test: se esce negativo, hai risparmiato X-1 test; se esce positivo, li rianalizzi tutti singolarmente e hai fatto solo un test in più. Considerata la proporzione tra test negativi e positivi, hai un risparmio enorme.
Altro esempio, l’uso distorto dei test sierologici, che non rilevano la presenza del virus. Ma appunto per questo, in Italia chi risulta positivo al sierologico deve fare il tampone, ed è una follia. Dovrebbe al limite essere viceversa, perché il sierologico rileva gli anticorpi, ovvero un’infezione già guarita. Quindi chi è positivo al tampone da molto tempo, facendo il sierologico potrebbe avere la prova dell’avvenuta guarigione (in Spagna credo facciano così). Se invece fai il tampone a chi ha gli anticorpi, rischi di mettere in quarantena uno che sicuramente non è più contagioso. E hai sprecato tutti i tamponi che gli dovrai fare fino alla negativizzazione.
Ancora, come dicevo in un altro commento, la regola del doppio tampone negativo di controllo. A cui si aggiunge la non retroattività della nuova regola. Perché succede anche questo, in Italia. Adesso di tamponi negativi ne serve uno solo, ma a chi è positivo da quando ne servivano ancora due, nessuno vuole rilasciare il certificato di guarigione. Le probabilità che quelle persone fossero ancora contagiose, però, erano scese praticamente a zero già dopo tre settimane. Comunque sia, per mesi abbiamo sprecato decine di migliaia di tamponi al giorno per questa perversione del principio di precauzione. E ancora ne stiamo sprecando, anche se qualcuno in meno. Quanti veri positivi in più si sarebbero potuti intercettare, usando meglio lo stesso numero di tamponi?
Il tutto senza neppure parlare dei test rapidi, molto più economici, che potrebbero essere usati al posto dei tamponi o anche insieme, alla bisogna.
Certo Isver, il “serviva” gente del punto 3 era inteso in senso ampio, serviva gente con competenze anche organizzative. Aggiungerei che ogni tanto si accenna ai conflitti di interesse di chi compie uno studio ed è curioso che non venga mai il dubbio per gente che non scrive articoli ma prende decisioni e organizza. Per deformazione tendo a usare come ultima spiegazione quella “ma tu guarda che incapaci” perché come detto varie volte un qualche metodo nella follia si trova sempre. Tu saresti sorpreso se trovassi un qualche centro, una grande fabbrica in grado di aumentare i propri introiti grazie ai tamponi privati? Miserie certo, ma chissà.
Torno dopo parecchio tempo a leggere Giap, e il motivo è che mi sto interrogando sulle “proteste” di piazza recenti. Ho trovato un interessante commento – mi pare di Wu Ming 1 – in un altro articolo, ma non sono riuscito a rispondere lì perché ho dovuto loggarmi, cercare la vecchia pass, reimpostare la pass ecc.
Quello che accade in piazza mi interessa da sempre, la fonte al momento più credibile e Youtube e tutti i video caricati “dal basso”. Cercavo però anche delle opinioni su quanto sta accadendo e non mi dispiacerebbe affatto se ci fosse un articolo dedicato.
Al momento mi baso sul commento che ho letto, che sosteneva che – grande assente(come al solito, ormai, aggiungo io) la sinistra in piazza – oltre a chi manifesta per legittimi diritti, le piazze siano infestate da fascisti, negazionisti, sentinelli vari. Dalle notizie pubblicate pare che la maggioranza dei fermati siano pregiudicati e minorenni. Dai video tutti i discorsi che ho ascoltato sono di complottisti. Tutti (da Napoli a Livorno, fino a Torino).
Non do onestamente credito agli articoli di Repubblica o Corriere che parlano come al solito di “ultras”, con tanto di occhiello del tipo “2 dei fermati sono tifosi della Juventus e altri due del Torino”. Un po’ perché “ultras” non vuol dire nulla, un po’ perché è la solita retorica dei giornali che ahimè manca del tutto di approfondimento.
Insomma: vorrei saperne di più.
Ciao, qualcosa abbiamo scritto io e Wu Ming 4 in questo stesso thread, se cerchi nella pagina con i nostri nomi trovi i nostri commenti. Questa situazione era prevedibile e prevista, e a differenza di quanto è accaduto coi Gilets Jaunes in Francia due anni fa, al momento non vedo forze di movimento in grado di agire dentro queste insorgenze per contrastare la “cattura” fascista (e ora anche QAnon-eggiante). Se nasceranno, penso che non avranno niente a che fare con quello che per anni abbiamo chiamato il “movimento”, per ragioni già spiegate. Siamo solo all’inizio di un processo, bisogna continuare a seguirlo e ragionarci sopra.
Sì, mi sono perso dopo aver reimpostato la pass. Adesso cerco e leggo con molto piacere. Son passati due anni dalle proteste dei gilet gialli? Mamma mia…
Vengo qui perché trovo uno dei pochi – l’unico? – punti di vista interessanti sul QAnon italiano e devo confessare che, essendo ormai distante dalle piazze, le proteste catturano comunque il mio interesse. I media ovviamente non distinguono il nero dal rosso, e il viola dal verde. Anche “ultras” ha un significato diverso a Livorno piuttosto che a Torino. Mi piacerebbe capire chi sta facendo cosa, come si stanno organizzando i fascisti ecc., ma non trovo nulla da leggere. Sono gradite dritte in merito, dei Wu Ming ma anche di altri utenti. Grazie per la risposta.
Ovviamente ci sono dei refusi, e mi scuso per questo.
Al di là della grammatica, segnalo in particolare “Tutti (da Napoli a Livorno, fino a Torino)” dove avevo in mente di aggiungere “quelli che ho visto io”, perché reputo improbabile che tutti quelli con un megafono in mano negli ultimi giorni avessero anche la Q rossa e nera sul petto. Però, caso strano, in tutti i video caricati da utenti privati ci sono questi comizi sulle demenziali teorie classiche del complotto globale. Che siano più presenti anche su Youtube?
Insomma a me sembrano più simili ai forconi – ormai dimenticati – di qualche anno fa, piuttosto che spontanee manifestazioni di dissenso.
Sono manifestazioni spontanee di dissenso e disperazione, che si esprimono come possono, usano quel che trovano, e che trovino al proprio fianco fascisti, antivax, QAnon e profittatori vari è purtroppo del tutto ovvio e da mesi dicevamo che sarebbe accaduto. A sinistra chi ha ascoltato quella disperazione? Chi ha offerto a quei disperati una critica dell’emergenza più sensata delle fantasticherie di complotto circolanti sui social? Si sono attaccati a quel che trovavano. Quando lasci un vuoto, lo riempie la merda. Quando abbandoni le strade, se le prendono i fasci. Quando rinunci ad agire, agiscono gli altri. È sempre andata così.
Comunque in questa cronaca della manifestazione di lunedì a Napoli dicono che Casapound è stata cacciata dalla piazza.
https://napolimonitor.it/napoli-mobilitazione-bivio/
Molto interessante soprattutto per il link del racconto della piazza di Napolimonitor. Se andasse come vorrei ogni piazza sarebbe così cosciente di sé e del proprio valore positivo come un corteo di notav. E’ ripensando a loro che mi tremano le gambe: una tale compattezza e valore di lotta è impensabile da applicare alla massa necessaria a chiedere cambiamenti radicali (quelli elencati nel pezzo linkato qui sotto da WuMing1) ma è un ottimo esempio, noto e ampiamente descritto cui attingere. Bisogna avere chiari gli obiettivi, immediati e a lunga gittata. Bisogna essere onesti.
E io onestamente non so come spiegare agli sbarbati un bel niente, posso solo indicare esempi ma mai additerò come “sbagliato” qualcosa. Tanto per dirne una, tutti a parlare solo della vetrina rotta, nessuno si fila più tutte le altre manifestazioni.
E infatti: le concessioni varate oggi dal governo Conte puntano a separare chi protesta accontentando la massa dei gestori/proprietari di qualcosa ma poco saranno d’aiuto a chi lavorava per loro in nero o in tirocinio fasullo.
L’intero terzo settore fatto di cooperative è abbandonato a se stesso e con loro i loro assistiti, l’accoglienza dei senzatetto è quasi azzerata e l’inverno è qui. Famiglie e singoli già in carico ai servizi sociali sono stati mantenuti in vita durante il lockdown da brigate volontarie nelle città, ma nell’immensa provincia italiana è rimasta solo la caritas, o la carità dei singoli. Bravissimi, ma il loro dna cattopolitico esclude moltissimi e moltissime. Tutte queste persone sono assenti dai “ristori” ed erano già fragili prima. Il filo che lega tutti loro spesso sono gli sbarbati, ventenni e anche meno e – come ho già scritto – non posso fare a meno di stimarli. Loro (e i bambini) non se li caga nessuno se non per vietare e limitare, e devono pure subire muti. Guai a loro se vogliono uscire a pomiciare o a fare casino.
Non li invidio.
Buongiorno, sono un’attenta lettrice da tempo perché ritengo questa una piazza virtuale informata e interessante. Finalmente è stato affrontato un tema secondo me cruciale. Credo che sia importante non solo fare le pulci alle procedure e ai protocolli che non funzionano (sacrosanto, utile e indispensabile per fondare e chiedere a gran voce un cambiamento di rotta rispetto alle politiche condotte finora che danno fiato a provvedimenti allo stesso tempo ridicoli e repressivi, ma anche a chi cerca una legittimazione in piazze ribelli perché non saprebbe come altro raggiungerla)
Occorre anche guardare a procedure e protocolli che funzionano. Nei commenti precedenti ce ne sono cenni.
In questo caso (i tamponi e il contenimento dei focolai) mi pare assodato dal fallimento in corso in Italia che bisogna guardare fuori.
Scrivo quindi per chiedere se in questa Piazza ci sono competenze per trovare articoli scientifici o giornalistici seri che abbiano preso in esame le procedure che a questo proposito hanno funzionato.
Ho letto un articolo su come vengono fatti e processati i tamponi in Cina. Ho visto che ci sono modi statistici per analizzare i tamponi associandoli ai possibili cluster e focolai che sono una figata in termini di efficienza e rapidità di risposta
Credo che sia interessante approfondire l’argomento, perché in quella articolo si mostravano procedure veloci ed efficaci. Ora non trovo il link, mi riprometto di cercarlo e postarlo. Quando ho provato a parlarne con qualcuno per approfondire, parte sempre il solito refrain che in Cina è la dittatura che tiene sotto controllo la catena dei contagi e che i “loro” metodi sono inapplicabili da noi. Anche se questo probabilmente favorisce il contenimento dei contagi, non vedo perché non approfondire e magari trovare procedure efficaci perfettamente applicabili anche da noi.
Ciao AlexJC. Sono d’accordo sull’opportunità di specificare, nei report di prova, i gradi di positività, se forti (CT basso) o deboli (quando, come metti in evidenza, ci si sia spinti oltre la soglia di 35 cicli di amplificazione), ma poi mi chiedo anche: per farne cosa. E ti chiedo: stai affermando che in Italia i laboratori vadano oltre le soglie di debole positività? E inoltre: stai affermando che i casi di debole positività non sono contagiosi?
Chiedo questo perché, in realtà, l’articolo del New England Journal of Medicine dice soprattutto che il test molecolare potrebbe essere meno tempestivo (se anche più accurato) del test antigenico se utilizzato, quest’ultimo, più frequentemente (“high frequency testing w/ low analytical sensitivity vs. low frequency testing w/ high analytical sensitivity”). E la tua domanda sulla precisione del test molecolare (anche vs. antigenico) si risolve con semplici ricerche online: questo è il primo risultato che trovo, in due minuti: https://www.health.harvard.edu/blog/which-test-is-best-for-covid-19-2020081020734
Resta il fatto che al centro di tutta questa letteratura – e la proposta di screening integrati, che poi, perlomeno qui in Veneto, si stanno già facendo (poi sui risultati dell’antigenico, mah) – vi sia non tanto l’eventuale sovrastima dei casi asintomatici (certo, c’è anche questo, ma), quanto la sottostima generale o il ritardo nell’individuazione degli spreader. Poi, non mi pare neanche questione di “bisturi o accetta”, quanto di “calibrazione” del bisturi per ridurre al minimo la casistica di falsa positività. Ma fosse questo il problema.
Mi pare invece che il punto essenziale sia che, in un ambito di generale, potenziale sottostima – “the broad screening so desperately needed”, dice NEJM – il vero rischio è di perdere il controllo dei cluster (l’articolo dell’Atlantic linkato da Taliesin mi ricorda, di fatto, l’infruttuosa ricerca del “paziente zero”, al principio di tutto), e non è solo questione di decidere chi mettere in quarantena e chi no. O meglio: se ne potrebbe anche discutere, se fossimo capaci di screening e tracciamenti capillari e gli ospedali avessero piani di rianimazione adeguati all’anomalia.
Ciao claudiog, io riporto solo quanto detto dal NEOJM e semmai “chiedo” se 750 esperti del nostro CTS avevano mai sentito parlare di questa problematica e perché hanno scelto di continuare a usare tamponi naso faringei anche quando hanno deciso di aumentare il testing passando da 40mila a oltre 100mila. Giustissimo aumentare il testing, ma forse non era il mezzo giusto, oppure se c’è un motivo lo spieghino, o lo spieghi Speranza, in questa situazione di emergenza la trasparenza è essenziale… o no?
Anche il suo articolo di Harvard (NB 10 agosto!!!) conferma quanto dicono tutti gli altri articoli da me citati leggo testualmente sul tampone rapido: […] antigen testing is quicker, less expensive, and requires less complex technology to perform than molecular testing, some experts recommend repeated antigen testing as a reasonable strategy. According to one test manufacturer, the false positive rate of antigen testing is near zero. So, the recent experience of Ohio Governor Mike DeWine, who apparently had a false-positive result from an antigen test, is rare.
Sul resto, sospendendo le questioni semantiche, le domando io: quindi a lei risulta che il testing/tracciamento in Italia stia andando tutto per il meglio? Il tracciamento non è saltato in quasi tutte le regioni? https://www.ilpost.it/2020/10/22/contact-tracing-coronavirus/
Non stanno cercando di correre ai ripari aumentando proprio i test rapidi? https://www.romatoday.it/politica/test-rapidi-medici-base.html
AlexJC, ma per quanto riguarda invece il molecolare, secondo Harvard del 10 agosto “the reported rate of false negatives is as low as 2% and as high as 37%” e “the false positive rate […] should be close to zero”. E sì, certo, l’antigenico sta arrivando anche in Italia – quindi qualcuno ne aveva sentito parlare – ma non certo per risolvere una situazione di false o deboli positività. Non c’è una sovrastima del pericolo, semmai è il contrario.
Ripeto /riformulo le domande (se vorrai rispondermi, ti ringrazio):
1) a parte la discussione sulla revisione dei cutoff, ti risulta che la diagnostica dei laboratori italiani sia “spinta” oltre i massimi di CT standard? (questa sarebbe una notizia)
2) tu dici che la diagnosi di deboli positività è inutile? Può essere il caso degli asintomatici, che sono comunque contagiosi (poco? quanto?), ma può essere anche il caso dei post-sintomatici.
Premesso che è antipatico dire che si stanno riproponendo domande a cui ho già risposto e invece si cambia il quesito, e diventa un po’ più antipatico quando lo si fa non si rispondendo alle domande dell’interlocutore, se avesse letto l’inchiesta del nyt lo studio del nejom etc. etc vedrebbe che quella precisione riportata è dimostrata molto fallace se il tampone molecolare si fa in uso massivo.
Rispondendo di nuovo alle sue domande 1) come sa chi ha letto anche le note del mio articolo ho già scritto che non ho trovato un indicazione univoca per il valore del ct che si fanno sui tamponi in italia e riporto in tal senso l’appello del dott. Rigoli 2) non l’ho detto e mi sono limitato a riportare quanto asserisce il nejom sull’opportunità di proseguire con i molecolari in modo massivo.
confido che prima o poi risponderà anche lei alle mie domande. buona giornata.
ps Riguardo al suo commento più sotto, su ” a meno che AlexJC non ci dirà…” è evidente che ancora non le è chiaro a chi deve porre le questioni. Provi a mandare altre mail, come sto facendo io al ministero e ai laboratori per sapere il valore del Ct. MAgari in due abbiamo più successo. Buona giornata.
Però non diamoci del Lei, su. In un contesto come questo non suona come pronome di cortesia.
Rispondo:
1) Il tracciamento è saltato in quasi tutte le regioni, sì. Sono d’accordo.
2) E sì, certo, il test rapido viene usato anche in Italia. In Veneto, per esempio.
Ora, tu dici nella tua pubblicazione che il NYT del 29 agosto scrivesse che “l’uso troppo elevato di questi tamponi [test molecolare] inteso come sovraccarico del lavoro per le macchine che li analizzano e li elaborano, causasse un eccesso di risposte positive decisamente superiore alla precisione teorica del 95% con cui erano stati messi in commercio […] a causa dell’inevitabile contaminazione crociata che si ha in tecniche così delicate”. Scusami ma non sono riuscito a trovare questo passaggio nell’articolo del NYT. Ci trovo invece una lunga analisi del significato yes-no (“+” / “-” nella scheda tecnica che pubblichi), al quale magari sarebbe preferibile un referto “quantitativo”, come giustamente suggerisci anche tu. E scusami, non avevo letto la tua nota #4: penso che se c’è una cosa importante da stabilire, qui, sia proprio questa: non tanto la “precisione” del metodo di prova, quanto il valore di cutoff (35, 37, 40? di più?!) usato in Italia, che potrebbe aver generato una sovrastima dei “deboli positivi”, che in parte sono comunque contagiosi o lo saranno – da qui la reiterazione del test antigenico – ma in parte no: è il concetto della “misura utile”, come ha scritto qui sotto il mio coetaneo Wu Ming 1 al quale non daresti del lei :)
Chiedo scusa mi attengo alla netiquette del blog.
Della frase che tu citi del mio articolo, la prima parte è una sintesi di ciò che riporta il nyt. La seconda è il mio parere di tecnico di laboratorio (anche se non operante su quelle macchine) su perché avviene una cosa del genere. E il parere è condiviso da diversi altri tecnici con i quali mi sono confrontato su diverse pagine di discussione. Credo sia nominato anche in diversi papers, con un attimo di tempo te li posso recuperare. Ad ogni modo, se non ti fidi puoi chiedere in giro, del resto la generazione spontanea è smentita dai tempi di Aristotele, posso avere un positivo (falso) con un Ct troppo alto, ma se dopo l’alto Ct è venuto positivo ma un pezzo di RNA del virus c’era e se non era del paziente da qualche parte deve essere venuto è quello che si chiama contaminazione crociata. E’ un parere tecnico, ripeto. Non c’è scritto “tradotto dal NYT”, e tra l’altro, c’è un punto fra le due frasi mi sembra che si capisca. E penso che sia abbastanza pleonastico.
Detto questo penso che la questione sul “che fare” sia: il sistema è saltato (come tu ammetti del resto) quindi non era appropriato. O triplichiamo o meglio quadruplichiamo le macchine per i tamponi e gli addetti ai tamponi o passiamo ai test rapidi.
La questione politica invece è che se la cosa era nota già da agosto invece di stare a prendere provvedimenti a pendula canis confidando in Re Julian ci si poteva muovere prima. Lo vogliamo dire che chi sta dichiarando un lockdown dovrebbe dire “scusate ho sbagliato” invece di continuare a criminalizzare i singoli e fomentare odio a mass media unificati?
Se poi non dobbiamo disturbare il manovratore ok, andiamo tutti sulle pagine di repubblica e ci chiudiamo in casa finchè conte non dice che è finita l’emergenza.
Alex, perdonami: la tua sintesi dell’articolo del NYT è sbagliata. Io poi mi fido della tua opinione di tecnico, e sono un tecnico anch’io del resto, quindi OK, pace. Ma il fatto è che se da un lato abbiamo pareri anche molto pertinenti sull’opportunità di abbassare le soglie del test molecolare e proposte di integrazione con test rapidi reiterati, dall’altro canto abbiamo gente come robydoc qui che dice che in ogni caso è già troppo tardi (quello che dicevo io stesso: ok, abbassiamo le soglie, ma per farne cosa). Il virologo della Regione Veneto dice che il 4% dei positivi viene rilevato con amplificazione >35, il 45% tra 26 e 35. Li vogliamo considerare tutti negativi? (Poi comunque un 50% di loro diventerà positivo, ma insomma). Per me ok. Tanto parliamo sempre di sottostime e i cluster sono già abbondantemente fuori controllo (vedi Francia). Ciao e grazie per la pazienza.
Ok pace, sinceramente non capivo dove volevi arrivare.
Avrei un paio di obiezioni da fare sulla tua chiosa ma le tralascio perché come dice WM4 nell’ultimo commento mi sembra che si stia perdendo di vista il focus.
Il focus qui (su Giap dico… e parlo per il mio punto di vista) non è stabilire il Ct, o l’efficacia di una mascherina non ffp3 portata dieci ore di seguito all’aperto. Il focus dovrebbe essere quello di smascherare la vulgata (o la narrazione tossica come giustamente la definiscono i WM) secondo cui “si poteva fare solo così – si può fare solo così – tutto il mondo fa così”.
Dopodiché il resto non è compito nostro… a meno che non arrivi Giuseppe Conte e dica “raga’ avete mica delle idee che ho appena sfanculato 750 persone?” allora gli direi “daje pe’, mettiti comodo, preparo il tè o caffè?”
Come autodenunciato, ho un ego smisurato che neanche fossi l’autore di Q. ;)
Il primo giorno di quest’anno scolastico è stato anche, per mio figlio, la sua prima volta in una scuola italiana dopo tanti anni vissuti a Minneapolis, Minnesota. Per l’occasione, avevo deciso di accompagnarlo. L’indomani, che sorpresa all’arrivo in città: c’erano molti più parcheggi liberi di quanti ci aspettassimo, potei lasciare l’auto a mezzo isolato dalla scuola e ci incamminammo, giusto due minuti di passeggiata. L’aria era fresca e le montagne intorno, nella luce del mattino, erano bellissime. Eravamo tornati a casa! Una scelta meditata, condivisa, che ci aveva resi contenti di noi stessi. Girammo l’angolo che dava sulla via di fronte all’ingresso della scuola. Ed ecco, la seconda parte della sorpresa: auto parcheggiate in seconda fila, autobus bloccati tra chi si era infilato contromano e chi aveva gettato la spugna e scaricava i ragazzini così, nel bel mezzo della strada. Veniamo da un posto dove la scuola (pubblica) mette a disposizione di ogni studente un tablet e ha servito pasti gratis anche durante l’estate, per fare fronte all’indigenza di molte famiglie colpite dalla chiusura, da marzo a giugno, degli esercizi commerciali che gli davano lavoro. Qui abbiamo comprato 550 euro di libri scolastici e adesso ci dicono che presto le lezioni si faranno a distanza, però forse sì e forse no. Mancano ancora due professori, che non si sono mai visti. Le famiglie dei nostri amici in Minnesota hanno conosciuto gli insegnanti una settimana prima dell’inizio delle lezioni, come del resto accade tutti gli anni e niente scuse. Poi dici “sfiducia negli italiani”. A me sta venendo una sfiducia cosmica nel “sistema italiano”, la confusione, l’impreparazione. (1/2)
Alex, secondo me tu non hai capito cosa volevo dire perché parti dal pregiudizio che io, come tanti, sia “appiattito sulle narrazioni tossiche e sul governo”, ma guarda, l’ultima volta che ho votato erano ancora gli anni che Kim e Thurston erano una coppia felice e insieme a Lee e Steve formavano la band più figa del mondo. Non c’è proprio niente che mi rappresenti più, niente su cui mi possa “appiattire”. E questo sono io. E m’infastidisce quando vedo che si ragiona finanche sulle linee guida dell’OMS e poi si confonde tutto – santiddio, mi dico, l’ABC – ma poi dopo mi dico anche machissenefrega. Questo poi sarà veramente il mio ultimo commento qui: torno a leggere, il blog è straordinario e devo solo dire grazie e tante scuse per aver scritto già troppo senza peraltro essere riuscito a contribuire su niente di niente. Giorni fa dicevo al mio papà – 84 anni, orfano, operaio – di come in effetti Zaia qui stia “gestendo al meglio la crisi” e – e mi veniva quel piglio da dirigente d’azienda che mi dovrebbe nauseare e invece, cazzo, troppo spesso – e mio padre che è il primo a ridermi in faccia quando gli faccio le raccomandazioni – “papà! già la seconda volta che vai al supermercato questa settimana” – mio padre mi guarda in faccia e mi dice: “ho visto tante cose nella vita, ci vuol ben altro che la GESTIONE AL MEGLIO DI UNA EPIDEMIA [qui scandisce] per farmi votare un fascista”. Chiuso, continuo a leggervi, se mi volete conoscere venite in Dolomiti a fare alpinismo molotov, ci sarò con entusiasmo. (2/2)
Nelle farmacie dell’Emilia-Romagna da un po’ di tempo si possono fare i test rapidi e gratuiti. Nella prima settimana sono stati 40.860. Il 96,6% degli esami ha dato esito negativo.
Per la precisione, ecco i dati provinciali: 10.730 test rapidi a Bologna; 1.709 a Imola; 2.978 a Piacenza; 3.419 a Parma; 4.675 a Reggio Emilia; 6.231 a Modena; 2.457 a Ferrara; 8.661 in Romagna.
Se non sbaglio, riguardano alcune categorie di persone. Ragazzi in età scolare e loro nuclei familiari, nonni compresi. Si parla ovviamente di test sierologici.
Sì, sierologici. Riguardano genitori, fratelli e sorelle, nonne e nonni di studenti, quindi una pluralità di fasce anagrafiche e posizioni lavorative, oltre al personale della scuola generalmente inteso. Riporto il dato per chiedere cosa se ne possa pensare.
In Veneto si sperimenta il test rapido antigenico https://www.regione.veneto.it/article-detail?articleId=6569018#:~:text=Prima%20in%20Italia%2C%20la%20Regione,laboratorio%2C%20ma%20operando%20con%20un a integrare il test molecolare. Esempio: tre conviventi, uno si ammala e testa positivo: gli altri due vengono sottoposti a una serie di prove rapide, ché una non basta (anche se hanno i sintomi, anche se hanno la febbre a 40, e so di gente con la febbre e con conviventi positivi e malati, i cui risultati all’antigenico continuavano ad essere negativi) al posto del test molecolare. Il sierologico è un test post-infezione.
Questo articolo è informativo: https://www.health.harvard.edu/blog/which-test-is-best-for-covid-19-2020081020734
Intervengo per dire un paio di cose che mi sembrano utili per fare chiarezza.
1) I tamponi amplificano il numero di positivi rispetto ai malati? Può essere. Non assolutizzerei questa cosa. Conosco personalmente una persona (contatto di un sintomatico) che era risultata negativa al test rapido, poi positiva al tampone e che ora è sintomatica. Il tampone è troppo sensibile forse, ma il punto è che la malattia evolve, e quindi quella sensibilità permette di beccare persone che, se facessimo come dite voi e facessimo solo i test rapidi, resterebbero senza diagnosi pur sviluppando sintomi (per quanto lievi) ed essendo contagiose.
2) Non mi convince l’idea per cui la razionale dietro all’uso dei tamponi e alla conseguente produzione di “falsi positivi” (col caveat di cui sopra, per cui molti falsi positivi sono temporanei asintomatici destinati a diventare sintomatici) sia il progetto del governo di far alzare la curva del contagio terrorizzando la gente. In realtà le politiche governative hanno colpevolmente truccato in basso la curva del contagio, altro che gonfiarla in alto. Se conoscete qualcuno che lavora in un dipartimento di prevenzione, fatevi raccontare come funziona il tracciamento: semplicemente, non funziona. Un’indagine epidemiologica seria richiede un paio d’ore, tracci per bene tutti i contatti avuti da una persona, i luoghi in cui è stata, chiedi di tracciare gli spostamenti successivi, ecc. E invece, per carenza di personale e risorse, non c’è stata alcuna possibilità di fare ciò: la gente tornava dalle vacanze, si faceva il tampone, se era positivo quarantena di fatto fiduciaria (e nessun controllo sul suo rispetto), se era negativo a casa. E così di quei positivi non sappiamo con chi sono stati a contatto, e di quei negativi molti sono diventati positivi successivamente ma non c’è stato alcun modo di risalire ai loro contatti. Il fallimento del tracciamento ci porta alla situazione attuale, in cui il numero degli asintomatici è pesantemente sottodimensionato rispetto a ciò che gli studi ci porterebbero ad aspettarci. Quindi le scelte del governo ci hanno portato a ridurre il numero degli asintomatici e la curva del contagio, che in realtà è molto peggiore di quella che ci viene mostrata tutti i giorni, non viceversa.
3) Chiunque dica “il tal luogo è sicuro, ci sono stati pochissimi contagi”, parlando di scuole, cinema, teatri, luoghi di lavoro, di aggregazione, ecc., con ogni probabilità mente. Perché, semplicemente, il fallimento del tracciamento di cui sopra (con gravi responsabilità non solo di questo governo ma anche di tutti quelli che l’hanno preceduto, devastando il sistema di prevenzione e igiene pubblica di questo paese), unito al fallimento del piano B del governo per il tracciamento (cioè Immuni), porta al fatto che noi in Italia non abbiamo alcun dato credibile sul contagio. Da giorni gira questa cosa “in cinema e teatri c’è stato un solo contagio, vuol dire che sono sicuri” basandosi su cosa? Sui dati di Immuni. Dati che, ormai lo sappiamo, non hanno registrato la stragrande maggioranza dei contagi. E anche dei dati Miur sulla scuola, parliamone: ho conoscenti insegnanti che hanno metà classe assente, e nessun positivo registrato. Segnalare una persona come positivo non conviene a nessuno: alla famiglia che si dovrebbe quarantenare, ai loro datori di lavoro figuriamoci, alla scuola men che meno, l’insegnante figuriamoci, se è un precario il contatto con positivo gli preclude la partecipazione al concorso… E così arriviamo al paradosso che tutti i luoghi sono sicuri eppure abbiamo le terapie intensive piene. Scuole sicure, luoghi di lavoro sicuri, cinema, teatri e ristoranti sicuri, l’unica cosa che non si osa raccontare come sicura sono i trasporti pubblici perché sarebbe troppo, ma non si saranno mica contagiati tutti sui trasporti pubblici?! Fino ad arrivare al paradosso del mantra “la maggior parte dei contagi avviene a casa”. GAC. A casa non posso fare a meno di starci, la cena la devo preparare, i pannolini qualcuno li deve cambiare, per non parlare di fare il bagno al nonno. Ma il virus in casa ci è arrivato portato dallo Spirito Santo o forse da qualche parte i contagi esistono? Dove il sistema sanitario non è stato distrutto, cioè in Germania, i dati mostrano che in realtà i luoghi di contagio sono tanti, cambiano a seconda del cambiamento delle abitudini e delle misure di sicurezza, e nessuno tende e prevalere in maniera sistematica nel tempo: lavoro, scuola, trasporti, aggregazione. Guarda un po’.
4) Capisco e condivido la critica a come il governo abbia tentato di scaricare tutta la responsabilità sui comportamenti individuali. Ineccepibile. Meno convincente però è l’idea che l’alternativa si potesse limitare al potenziamento del sistema sanitario. Nessun sistema sanitario può curare i pazienti generati dalla diffusione incontrollata di questo virus. Nessuno al mondo. Milioni di persone in terapia intensiva non le cureremo mai. Limitare il contagio è una necessità assoluta che non si può negare. Poi possiamo discutere di come farlo, di quali misure siano più utili e quali meno. Ma sottintendere che le politiche di limitazione del contagio siano necessarie solo perché abbiamo tagliato la sanità è sbagliato. Giustissimo attaccare i tagli alla sanità e rivendicare investimenti pubblici in materia, ma quarantene, chiusure, limiti, distanziamento sociale vanno fatti comunque. Magari in modo diverso da come li sta facendo Conte, ma questa cosa va detta: vanno fatti. Bisogna evitare che troppa gente prenda questo virus, non solo curare chi lo prende. Il blocco parziale della produzione ottenuto con gli scioperi di marzo è stata una delle più grandi vittorie operaie degli ultimi decenni. Limitare le occasioni di contagio per proteggerci dal virus è un obiettivo primario e non può non esserlo.
« Non mi convince l’idea per cui la razionale dietro all’uso dei tamponi e alla conseguente produzione di “falsi positivi” (col caveat di cui sopra, per cui molti falsi positivi sono temporanei asintomatici destinati a diventare sintomatici) sia il progetto del governo di far alzare la curva del contagio terrorizzando la gente.»
E niente, non riusciamo proprio a liberarci del bias cognitivo noto come “pregiudizio di intenzionalità”. Nessuno qui, ma proprio nessuno, ha detto che quello fosse “il progetto” di chicchessia. Nessuno. La spettacolarizzazione dei numeri la fa il sensazionalismo mediatico, e il governo agisce a ruota.
Anche questa cosa di rispondere a studi e ricerche con l’aneddoto su un amico o conoscente non è granché a livello metodologico. Nelle ricerche linkate si dice che molte tracce di RNA virale amplificate a dismisura nell’esame dei tamponi nasofaringei sono con tutta plausibilità residui di un’infezione asintomatica che ha già perso tutta la sua carica. Tu in pratica stai dicendo che dei brandelli di acido ribonucleico ormai inerti possono tornare infettanti. Se c’è una cosa che, da profani, ormai sappiamo anche noi, è che questo è impossibile. Detto questo, noi non abbiamo affatto suggerito di fare solo i test genici rapidi, non abbiamo suggerito niente perché non siamo nessuno, abbiamo riportato inchieste e studi, se li si vuole criticare lo si faccia nel merito.
«Il blocco parziale della produzione ottenuto con gli scioperi di marzo è stata una delle più grandi vittorie operaie degli ultimi decenni.»
Usata oggi, l’espressione «blocco parziale» è un bell’eufemismo. Confindustria, di fatto, non ha mai chiuso. Chi ha messo il focus della critica su Confindustria che «voleva riaprire tutto» non ha ben compreso che Confindustria non ne aveva nemmeno bisogno. A fine aprile abbiamo fatto un’inchiesta su quante fabbriche erano rimaste aperte grazie all’elargizione massiva di deroghe prefettizie, di ultra-generose dichiarazioni di «essenzialità», di controlli di sicurezza puramente nominali e burocratici, di escamotages vari, ed erano la maggioranza.
È tutto qui:
https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/05/primo-maggio-2020/
Ma i tamponi non li fanno i media. Quindi viene utilizzata dalla sanità pubblica una metodologia che amplifica i positivi. Perché?
Le ricerche linkate parlano, come tutta la scienza, in termini probabilistici. Non dicono affatto che una persona con test rapido negativo e tampone positivo non possa sviluppare sintomi: è successo. Ciò che è sbagliato è dedurre da un aneddoto regole generali, ma un aneddoto contrario a ipotesi generali è invece metodologicamente corretto.
Ora, ciò non significa che non possa essere utile fare i test rapidi invece dei tamponi: ti perdi qualche positivo in più ma blocchi meno gente e smaltisci più rapidamente le code. In un momento di contagio alto come questo potrebbe anche essere utile. Ci sono pro e contro. Ma allora mettiamola in termini onesti e diciamo che ci sono pro e contro, così magari si capisce un po’ meglio la questione.
Sul fatto che bloccare circa il 50% della produzione (dai dati Inps che riportate) non costituisca un “blocco parziale”, cosa devo dire, agree to disagree. Diciamo che a me avrebbe fatto piacere che quel blocco fosse ancora maggiore. Perché sono, appunto, convinto, che sia necessario limitare il contagio, e che a un virus del genere non si risponda semplicemente con le terapie intensive. Anche su questo, evidentemente, agree to disagree.
Again: non abbiamo mai detto che non ci siano pro e contro, men che meno abbiamo mai detto – né ora né a primavera – che il virus si blocchi “solo” con le terapie intensive. È frustrante discutere quando ci si trova di fronte, per giunta in forma di invocazioni all’onestà, a continue attribuzioni di affermazioni mai fatte e caricature della propria posizione.
«I tamponi non li fanno i media», ma i media possono presentare i dati in un certo modo, con una certa cadenza, aggregandoli senza spiegazioni chiare, parlando di «positivi» come automaticamente di «malati», bombardandoci di commenti fuori fuoco, facendo passare frasi ambigue nel sottopancia, e di fatto facendo capire ben poco di quel che sta avvenendo nella società (che non è un reparto di terapia intensiva ma qualcosa di un poco più vasto e complesso) e di quanto i provvedimenti adottati siano davvero utili.
I provvedimenti adottati, per quanto mi riguarda, sono tutt’altro che utili, sono limitati e tardivi. Però il post non è sui provvedimenti né sui media, ma sui tamponi, che gonfierebbe a dismisura la curva dei contagi. Ripeto che, a quanto sappiamo dal normale rapporto tra malati e asintomatici che questo virus produce, il numero di asintomatici oggi in Italia è sottostimato, non gonfiato a dismisura.
Poi capisco il ragionamento sulla scarsa contagiosità degli asintomatici, però è una cosa su cui non solo sappiamo ancora abbastanza poco, ma che soprattutto è difficile concludere con nettezza, perché ci sono sintomatici, e quindi contagiosi, che hanno magari solo perso l’olfatto, in un contesto diverso neanche ci avrebbero fatto caso e sanno di essere portatori del virus solo grazie ai test.
Poi ripeto, vanno benissimo i test rapidi, soprattutto a questo livello di contagio. Però i numeri a oggi, dal mio punto di vista, non sono gonfiati, anzi.
Scusa ancora, però il post non è «sui tamponi» e basta. Si intitola «A proposito di tamponi, di positivi al tampone, di quarantene, di provvedimenti irrazionali e sacrifici umani» e, seppure in forma sintetica e rimandando implicitamente a tutto quanto scritto e dibattuto in precedenza su Giap, tocca tutti i punti annunciati.
«Sul fatto che bloccare circa il 50% della produzione (dai dati Inps che riportate) non costituisca un “blocco parziale”, cosa devo dire, agree to disagree.»
Disagree su cosa? Da mesi diciamo che andava fatta la zona rossa in val Seriana, e non avendo fatto quella, bisognava chiudere le fabbriche lombarde, e non avendo fatto quella, bisognava chiudere le fabbriche. Solo che secondo noi andavano chiuse le fabbriche senza blindare la gente in casa a impazzire. Andavano chiuse le fabbriche senza chiudere i parchi, le piazze e luoghi aperti in genere ben più sicuri di quelli chiusi. Andavano chiuse le fabbriche senza sperperare milioni di euro in voli di elicotteri per cacciare singoli passeggiatori dalle spiagge, e senza mandare i droni nei boschi in cerca di “furbetti”. Ecc.
Detto questo: hanno chiuso molte piccole aziende manifatturiere, artigiane o del terziario con pochi dipendenti dove il distanziamento sarebbe stato facile, e sono rimaste aperte le fabbriche del grande padronato con centinaia o migliaia di dipendenti, cioè proprio quelle che tutti gli studi ormai indicano come quasi certi “superspreader”. Secondo me, anche guardando le curve comparate, a salvarci è stata soprattutto la stagione.
Non so, mi hai scritto tu che parlare di “blocco parziale” era un eufemismo. Per me il 50% è un blocco parziale, per te no, non so davvero come argomentare una cosa così evidente.
Sui droni e gli elicotteri pregasi rivolgersi ad altri, a proposito di fare caricature del proprio interlocutore.
La frase che mi hai contestato la rivendico volentieri: “Il blocco parziale della produzione ottenuto con gli scioperi di marzo è stata una delle più grandi vittorie operaie degli ultimi decenni.” E avercene, di capacità di rifarlo, e di portare a casa ancora di più in termini di sicurezza.
Io non ho attribuito in alcun modo a te la questione dei droni e degli elicotteri, rileggi con più calma, per favore.
«Blocco parziale» è un eufemismo, cioè un’espressione che dà un’impressione più positiva di quanto sia successo, vede la parte piena del bicchiere. Ma se si va a guardare a cosa effettivamente sia stato bloccato e cosa no, e con quale logica, forse vengono in mente espressioni diverse.
Questo non svilisce in alcun modo le lotte dei lavoratori, che anzi abbiamo appoggiato, perché non è colpa loro se poi le istituzioni hanno derogato in ogni modo trasformando il blocco in farsa. Però dobbiamo guardare la realtà con meno velo sugli occhi. «Una delle più grandi vittorie operaie degli ultimi decenni» per me è un’espressione eccessivamente retorica, visto poi come sono andate le cose e vista la totale incertezza su quanto quel blocco abbia influito sul temporaneo flettersi della curva verso il basso.
Possiamo senz’altro parlare di una delle più grandi lotte operaie di questi anni. È già un bel riconoscimento.
Scusa Wu Ming 1 ma no, non è “tracce di RNA virale amplificate a dismisura”: sono amplificate a misura standard (NYT parla di revisione dei cutoff però “boy, does it really change the way we need to be thinking about testing”). A meno che l’inchiesta di AlexJC non ci dica proprio che in Italia stanno amplificando troppo. Anch’io parto da un caso che mi ha toccato da vicino (l’esperienza di qualcuno che stava malissimo e continuava a testare negativo all’antigenico) ma attenzione, non sto dicendo che il test rapido non abbia una sua utilità: è utile perché consente di allargare e rendere più tempestive le ricerche dei cluster. Poi, e concludo, l’idea di avere report di prova con l’indicazione “positivo debole” o “positivo forte” mi sembra interessante.
Scusa, ma secondo quelle ricerche, sopra una certa soglia i cicli di amplificazione diventano esagerati, portano a rilevare tracce di poco conto e fanno risultare positive anche persone che non lo sono. Mi sembrava chiaro che con «a dismisura» intendevo al di là della misura utile. Sinceramente non capisco l’appiglio all’espressione avverbiale utilizzata e mi sembra che la discussione si stia incartando.
Dopodiché, noi non abbiamo detto nulla su quanti cicli di amplificazione si facciano nei laboratori italiani, perché non lo sappiamo. Abbiamo scritto questo:
«Forse dovremmo cercare di capire meglio cosa ci sia, dentro quella curva.»
Il che mi sembra non solo una legittima richiesta, ma un iter necessario. Non siamo andati oltre questo auspicio, né nel post né nei commenti, basta rileggere.
Forse vale la pena cercare di ricordare che non stiamo parlando di una epidemia “teorica” ma di una che è tra noi. Un’epidemia teorica può mandare un milione di persone in terapia intensiva l’epidemia di SARS2 che stiamo attraversando “sembra” di no. Il “sembra” è, come dici sotto, probabilistico, ma se la scienza ragiona per probabilità figurati le decisioni. Ha senso decidere utilizzando il parametro del “meno probabile” solo perché è possibile?
Fatta la premessa serve dire che QUESTA epidemia e ALLO STATO DELLE CONOSCENZE (chiedo scusa per il caps lock, ma non so fare il grassetto) la gestisci meglio con un sistema sanitario migliore. La Germania non è nei nostri casini non perché controlla meglio i contagi (stanno andando fuori controllo anche lì) ma perché il numero delle terapie intensive è il quintuplo del nostro, cosa che può permettergli di attendere un paio di mesi, non un paio di settimane.
Questo significa che si contagi chi vuole e pazienza? Chiaramente no, qui si è detto già due settimane fa che il sistema di tracciamento sembrava saltato. Però il sistema di tracciamento da chi dipende? Da noi? Hanno fatto il possibile? L’articolo del Post citato da Alex dice di sì secondo me contraddicendosi (sarà che a me quel sito proprio non piace) perché la colpa sterebbe nella rapidità dei tamponi. Peccato che il risultato del tampone faccia parte del percorso di tracciamento, sennò a chi le fai le interviste?
Mi pare di capire che tu creda che sia stato il lockdown a tenere sotto controllo il contagio tra marzo e aprile. Ho già detto che ho qualche dubbio, ma sono sicuro che servono prove migliori di quelle che si hanno per dire che SICURAMENTE è dipeso da quello, perché l’andamento delle curve è simile ovunque, anche in USA. “Simile” non vuol dire “uguale”, e forse la differenza è “spiegata” dal lockdown. Forse però.
La Germania regge meglio perché ha un sistema sanitario che funziona meglio, e un sistema sanitario non è fatto solo di strutture di cura, ma anche di strutture di prevenzione. Quello che ho scritto sopra sul fallimento del tracciamento in Italia è centrale, per me. Non capisco le tue domande su questo: del fallimento del sistema di tracciamento ho ampiamente scritto, e ho anche scritto di chi è la colpa, mi pare evidente, cioè di questo governo e di quelli che l’hanno preceduto.
Dici bene sul fatto che il tampone dovrebbe fare parte di un percorso di tracciamento: quello che mi raccontano diverse persone dai dipartimenti di prevenzione è che quel percorso è saltato, per assenza di risorse, già ad agosto.
Sulla misurazione dell’impatto del lockdown sinceramente non ho elementi per esprimermi: sono abbastanza convinto del fatto che aver adottato in Italia un blocco della produzione, seppur meno forte di quanto avrei voluto, abbia contribuito a farci passare qualche mese di maggiore tranquillità rispetto ad altri, nonostante la situazione drammatica di partenza. Ma non ho dati precisi su questo, ovviamente. Quello che penso è che limitazione del contagio e tracciamento siano indispensabili, perché la cura a posteriori, per quanto sia già meglio di marzo, resta difficile, e la malattia resta molto pericolosa e dolorosa. Amici e conoscenti negli ospedali già segnalano che l’acqua è alta, e sono solo le TI il punto: del tracciamento ho parlato, ma ci sono anche i posti letto covid “normali”, ci sono le radiologie, i reparti di pronto soccorso, ecc., oltre ovviamente all’impatto sulla capacità di rispondere a tutti gli altri bisogni sanitari.
Mi pare che non ci capiamo masaccio. La mia opinione, confortata da qualche dato ma se ne hai diversi ti prego di segnalarmeli, è che la Germania sulla prevenzione è messa male esattamente come noi. Se regge non è per il sistema sanitario nel suo complesso ma perché ha più posti in ospedale e più posti in terapia intensiva. La curva dei contagi è lievemente più bassa che in Italia ma ha lo stesso andamento, arriveranno al nostro punto con qualche giorno di ritardo. I dati a me pare dicano questo.
Se ci pensi è persino sin troppo semplice: hai un virus che è enormemente contagioso ma non particolarmente letale se preso in tempo e curato bene. Non solo, ma allo stato delle consocenze hai capito abbastanza bene come si cura e non hai la più pallida idea dic ome si diffonda. Ne consegue – a me pare banale, ma dimmi pure se c’è qualche passaggio che ti pare non torni – che la differenza non la farà la prevenzione ma la cura. Queste cose alla fine si misureranno sulle morti evitate non sul numero dei contagi o sulla carica virale.
Per il resto io lo dico da un po’ che in Italia la situazione è drammatica, mi pare che a differenza di te non credo che sia possibile che questi interventi possano invertire il trend e – dato che non è chiaro come ci si contagi – ho i miei dubbi che anche un lockdown come quello di marzo possa fare miracoli (ammesso e per niente concesso che sia praticabile politicamente e socialmente).
«Chiunque dica “il tal luogo è sicuro, ci sono stati pochissimi contagi”, parlando di scuole, cinema, teatri, luoghi di lavoro, di aggregazione, ecc., con ogni probabilità mente.»
Considerando che cinema, teatri e scuole sono i luoghi in cui i protocolli sono stati applicati in maniera più evidente e rigorosa, direi proprio che è più facile infettare e infettarsi in altri luoghi.
Sui luoghi di lavoro è più difficile sapere, perché – guarda un po’ – i media non ci entrano, non comunicano, né il governo sembra particolarmente interessato a indagare in quella direzione.
Sappiamo che la condizione ideale per la trasmissione del virus è quella di un luogo chiuso, scarsamente areato, con poco distanziamento fisico, e poca igienizzazione. I trasporti pubblici mi sembrano in effetti soddisfare questi requisiti più di ogni altro luogo.
Questo non significa che non ci si contagi altrove, ma semplicemente e lapalissianamente che dove sei più controllato e protocollato hai meno probabilità di contagiarti.
Questo è il motivo per cui la maggior parte dei contagi avviene tra le mura domestiche: lì non c’è distanziamento, non ci sono DPI, si condividono oggetti, spazi, ecc. È altamente più probabile che un infetto contagi i propri conviventi piuttosto che, ad esempio, i compagni di scuola.
Detto questo, luoghi “sicuri” al 100% non ce n’è e il contagio può avvenire ovunque. Ma mettiamoci d’accordo: o il distanziamento e i protocolli servono a qualcosa, e allora dove vengono applicati – e dove si controlla che vengano applicati – è meno probabile infettarsi, oppure sono superflui e allora pace libera tutti. Qui tendiamo ad avvalorare l’ipotesi (speranza?) che servano a qualcosa, benché non garantiscano l’immunità.
Chiudo sulla scuola: qui in Emilia-Romagna se uno studente viene messo sotto tampone è per prescrizione del medico di base o dell’Ausl stessa. La scuola che frequenta è direttamente informata dall’Ausl. Dunque se fai un tampone e sei positivo non c’è proprio speranza di fare il furbo. Certo che i genitori tengono a casa i figli al primo starnuto, ed ecco perché le classi si svuotano. Lo fanno per tutela degli altri. E questo è comprensibile e forse anche apprezzabile. Ma adesso il problema è risolto, no? DAD per tutte le scuole superiori. E vedremo quanto scenderanno le curve. Aquì estamos.
Infatti, delle due l’una: o i protocolli (distanziamento, sanificazione, mascherina) erano fuffa, oppure sono serviti. Chiudere i posti dove li si è applicati con più rigore rischia di mandare il segnale che erano fuffa, e si dà uno schiaffo in faccia a chi ci aveva investito, a volte svenandosi.
Di “ipotesi” e “speranze” possiamo parlare finché volete, e sicuramente condivido sia la tua ipotesi sia la tua speranza. Però dati italiani affidabili, purtroppo, in conseguenza di ciò che ho descritto, non ce ne sono, e chi li spaccia mente, anche se molto spesso lo fa inconsapevolmente.
Dai dati prodotti in altri paesi si nota che in realtà i luoghi di contagio sono parecchi e diversi tra loro. Chiaramente non conosco nel dettaglio i protocolli adottati in Germania, quindi non so se magari ne abbiano adottati di meno restrittivi. Quello sui contagi casalinghi è un dato assolutamente inutile, andrebbe tolto dal calcolo: è la quota inevitabile, tenerne conto distorce tutto il resto. Se limitassimo i contagi altrove, anche quelli casalinghi ne risentibbero in positivo.
Sul fatto che media e governo abbiano colpevolmente ignorato la questione dei luoghi di lavoro (luoghi di lavoro di cui fa parte anche la scuola), sono completamente d’accordo. Mi pare, e non da ora, una direzione utile in cui dare battaglia, più di altre.
Sulla scuola, sinceramente non capisco perché lo giustissimo spirito critico nei confronti del governo si fermi in blocco quando si arriva al ministero dell’istruzione. I protocolli di sicurezza adottati sono stati imbarazzanti. Ci sono migliaia di scuole in cui, con la scusa del “metro buccale” non c’è alcun obbligo di mascherina se non per i docenti, e i presidi mandano circolari (ne ho viste coi miei occhi) in cui intimano di non aprire troppo le finestre perché i genitori si sono lamentati che i ragazzi prendono freddo. A me il fatto di mandare un lavoratore a stare 6 ore in un luogo affollato e non areato pieno di persone senza mascherina, preoccupa. Preoccupa se è un’officina, non capisco perché dovrebbe smettere di preoccuparmi solo perché è una scuola. La Dad è una sconfitta, perché sono convinto che con protocolli decenti si sarebbe potuta evitare (anche qui, ipotesi e speranze), ma il governo da una parte non ci ha voluto mettere i soldi (doppi turni, riduzione delle classi, termoscanner, ecc.) e dall’altra ha ceduto alle pressioni idiote contro le mascherine. La Dad mi sembra il risultato di tutto ciò, e perché scenda la curva mi pare tardi. Soprattutto in un contesto in cui su luoghi di lavoro, trasporti, ecc. non si sta facendo nulla.
Non sono convinto che i contagi casalinghi siano la quota “inevitabile”. Come faceva notare Cugino di Alf, se non isolo un famigliare, posso stare certo che infetterà i conviventi. E a loro volta questi conviventi, uscendo di casa potranno infettare un tizio, che a sua volta andrà a casa e infetterà i famigliari, e così via moltiplicando.
Credo proprio che si sarebbe dovuto pensare un sistema di isolamento dai famigliari. In fondo, dico, si sarebbe trattato di trascorrere una decina di giorni in albergo, magari per risparmiare a qualcun altro di dire addio per sempre ai suoi.
Ma sulle cose che si sarebbero potute studiare e mettere in pratica durante l’estate è inutile dire, tanto non ne è stata fatta alcuna.
Ancora sui protocolli scolastici. Mentre noi segavamo dei banchi, in Germania cambiavano gli impianti di areazione degli istituti scolastici. Figuriamoci se vogliamo graziare il ministero della pubblica istruzione! Però stai dicendo che i protocolli non sono stati applicati correttamente. Questo non significa che non siano validi, se applicati. Per questo specificavo che funzionano «dove si controlla che vengano applicati». E tu stesso dici «La Dad è una sconfitta, perché sono convinto che con protocolli decenti si sarebbe potuta evitare». Dunque questo è il punto: farli rispettare. Non trovare la DAD come panacea che toglie le castagne dal fuoco e in realtà apre voragini di abbandono scolastico e calo del rendimento e depressione che la metà basta.
Accidenti, se c’è un luogo dove è possibile maggiormente disciplinare il comportamento dei minori è la scuola e invece noi preferiamo chiuderli in casa o mandarli in giro, in posti dove di protocolli non c’è nemmeno l’ombra.
A proposito di mandarli in giro – visto che di gente in giro, si dice, ce ne vorrebbe di meno -, se il problema è il mezzo pubblico che li porta a scuola allora è di quello che dovremmo discutere, no? Dovremmo focalizzare i problemi per studiare delle soluzioni, non chiudere progressivamente tutto il chiudibile fino a ritornare in lockdown, come tartarughe nel guscio, aspettando che passi la nottata, e pregando gli dei di Re Julien.
Ovviamente quello che è inevitabile è il contagio casalingo di chi non ha una diagnosi, l’isolamento dei malati con diagnosi lo davo per scontato. Ma ci sono gli asintomatici e c’è chi si è svegliato stamattina con un po’ di tosse, e nel frattempo ha contagiato ieri tutta la famiglia. Se ieri al lavoro avessi preso il covid, a quest’ora avrei già contagiato la mia compagna, ed entro domani contagerei anche mio padre e mio fratello, tutti contatti inevitabili per la mia vita quotidiana. Mi sembra più sensato limitare le possibilità di contagiarmi sul lavoro che immaginare che viva nell’isolamento assoluto, incurante delle necessità di chi mi sta accanto.
Sui protocolli scolastici, il problema non è che non sono stati applicati correttamente, ma che erano protocolli del tubo. E per settimane chi diceva questa cosa, chi sottolineava il problema di sicurezza sul lavoro e per la società che Azzolina stava colpevolmente creando nelle scuole è stato additato come catastrofista e nemico dei bambini. Si è chiacchierato per mesi di dare priorità alla scuola, dando in realtà priorità solo al fatto che riaprisse, e scrollando le spalle ogni volta che qualcuno diceva che non stava riaprendo in sicurezza, perché, come del resto avvenuto anche in questo scambio, chiunque sottolinei un problema di sicurezza nella scuola si sente subito dire “Allora vuoi la Dad! Allora non te ne frega niente dei problemi psicologici dei nostri figli!”, come nel vecchio sketch di Guzzanti. E invece mettere in sicurezza le scuole era l’unico modo serio per evitare il ritorno della Dad. Ma è possibile che mi misurino la temperatura al supermercato e non a scuola? È possibile che sul mio luogo di lavoro abbia la mascherina obbligatoria in due in ufficio con la finestra spalancata e due metri, mentre a scuola in trenta con le finestre chiuse a un metro la mascherina non serva? Mi rendo conto che ci sono tante scuole dove bravi presidi hanno lavorato per inventarsi protocolli validi, ma la normativa nazionale faceva acqua da tutte le parti. E la conseguenza è la Dad. Si poteva fare una battaglia sulla sicurezza, si è scelto invece che il tema dovesse essere “riapertura purchessia” e ora siamo qua.
Sui trasporti, ovviamente, sfondi una porta aperta. Temo però che anche per quello ormai sia tardi.
masaccio, mi dispiace, ma la tua ricostruzione dei fatti non mi pare proprio fondata.
A me risulta che non abbiamo alcun dato che ci dica che a scuola i contagi siano più alti che in altri ambiti della società, ovvero quei pochi dati che abbiamo dicono che il tasso di contagio è analogo.
Dunque il ritorno alla DAD non è motivato dal fatto che i ragazzi e le ragazze si contagiano a scuola, ma dal fatto che il governo qualcosa deve pur fare, e allora chiude il settore non “produttivo”. Fontana in Lombardia poi, nella sua semplicità, l’ha detto chiaro: o chiudevo la scuola o chiudevo i luoghi di lavoro. Il risultato da ottenere è dimezzare i passeggeri sul trasporto pubblico.
Mettere in sicurezza le scuole era ed è la la priorità da marzo, certo. E si può ancora fare quello che fanno i “bravi presidi”, ma su scala nazionale. Basta volerlo e volerlo finanziare. La Dad costa meno e meno sbattimento, però.
Ma la priorità è anche adottare lo stesso approccio per tutti i luoghi di lavoro. Perché ripeto: la scuola è diventata pure quella un grande diversivo, per distogliere l’attenzione da tutto il resto. Perché appunto poi la scuola la puoi chiudere, le fabbriche e gli hub no.
Il mio primo commento era sull’assenza di dati. Mi hai risposto con un lungo ragionamento sulla scuola. Ti ho risposto su quello e ora mi dici che non ci sono dati sulla scuola ed è solo un grande diversivo. Mi pare complicato discutere così…
Continui poi a contrapporre scuola e luoghi di lavoro come se la scuola non fosse anche un luogo di lavoro, in particolare un luogo di lavoro i cui protocolli di sicurezza fanno eccezione in difetto rispetto alla normativa valida in tutti gli altri. Cosa diremmo di un magazzino della logistica in cui si sta in 30 senza mascherina con le finestre al chiuso a un metro di distanza? Diremmo che deve stare aperto a tutti i costi?
Non si può eludere un punto: per me l’alternativa a una scuola in sicurezza è una scuola chiusa, perché la priorità è la sicurezza; per te l’alternativa a una scuola in sicurezza è una scuola aperta senza sicurezza, perché la priorità è l’apertura. Ci sta, sono punti di vista diversi. Peccato, si poteva fare una battaglia per la messa in sicurezza delle scuole, si è preferito dire “poveri ragazzi non si può costringerli a tenere la mascherina”, e chi se ne frega se gli insegnanti si contagiano.
Per quanto mi riguarda, per la scuola vale la stessa regola delle fabbriche: o la metti in sicurezza, o la chiudi. L’apertura sulla pelle dei lavoratori no, grazie.
masaccio, io non ho detto che non ci sono dati sulla scuola. Ho detto che i dati che ci sono non dimostrano che è un luogo privilegiato di contagio. Però il governo decide di chiudere quella, non altro. Perché non fa PIL. È una chiusura alla cieca. Non dettata dai dati. Penso di essere stato molto chiaro.
Si poteva fare una battaglia per la messa in sicurezza delle scuole, altroché se si poteva. Ma eravamo chiusi in casa. Appena s’è potuto uscire qualcuno ci ha pure provato a fare manifestazioni per questo. A contarci eravamo pochini, purtroppo. E difficilmente poteva essere altrimenti dopo mesi di segregazione, temo. Appoggio da parte di organizzazioni sindacali o politiche grosse: zero virgola (a parte le chiacchiere). Compagneria varia: non pervenuta (a parte scampoli).
Così ci siamo ritrovati a riaprire le scuole a settembre senza gli investimenti strutturali che sarebbero stati necessari, ma solo con i protocolli ministeriali e il buon senso dei singoli presidi. Questa è storia.
Io penso che si dovesse riaprirle, sì. Perché so cos’è la DAD, ne misuro le conseguenze. Le/gli insegnanti che conosco idem, volevano tornare al lavoro, e non in DAD. Perché anche loro ne misurano le conseguenze.
Le insegnanti che conosco io sono anche consapevoli che il loro destino è diverso da quello di molti altri lavoratori italiani, i quali non hanno mai potuto stare a casa un giorno, o che se ci sono stati l’hanno fatto senza retribuzione o con l’elemosina di stato.
Le insegnanti che conosco io sanno di essere di nuovo in sicurezza, come nei sei mesi scorsi, a stipendio pieno, senza rischiare il posto di lavoro, grazie al fatto che altri non sono nelle stesse condizioni. Sanno che quegli altri lavoratori – “essenziali” a mandare avanti la baracca – se la passano decisamente molto peggio sia in termini di esposizione al contagio sia in termini di condizioni di lavoro, ricattabilità, ecc.
Le insegnanti che conosco io si vergognerebbero a fare le martiri del contagio, lo considerebbero uno sfregio a tutti gli altri lavoratori che la possibilità di lavorare da casa coperti contrattualmente non l’hanno avuta e grazie ai quali possono trovare la roba che gli serve sugli scaffali al supermercato e il supermercato aperto, e le medicine in farmacia, le mascherine, il disinfettante, eccetera eccetera.
Questi sono gli e le insegnanti che conosco io. Sono rari, forse? Non lo so. Ma mi fa piacere che ci siano.
Forse già lo sapete, ma Emiliano ha appena chiuso le scuole in Puglia. Pare lo abbia fatto in diretta tv, senza che ci fosse ancora un’ordinanza. Non si sa da quando, come e perché.
“Abbiamo dovuto prendere una decisione difficile, quella di sospendere la didattica in presenza in tutte le scuole di ogni ordine e grado”: lo ha annunciato il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, su Sky Tg24 durante la trasmissione “I numeri della Pandemia”.
“Nelle scuole primarie abbiamo numeri pesantissimi, restano escluse dal provvedimento le scuole per l’infanzia, dove la frequenza non è obbligatoria”, ha aggiunto. “Abbiamo verificato – ha concluso – che l’aumento dei contagi è coinciso con la riapertura delle scuole”.
Altro non è che affermare l’ovvio. L’aumento dei contagi è coinciso anche con il fatto che ho preso due chili, quindi mi metterò a dieta e probabilmente diminuirà l’R0…
Concomitanza spacciata per causalità. Nulla di sorprendente, pensiero magico, si va avanti così dal tardo inverno.
Pare nasca tutto da qui:
PEDIATRI PUGLIA A REGIONE: «CHIUDETE SCUOLE PER 14 GIORNI» – Sospensione delle lezioni scolastiche per 14 giorni e riorganizzazione del sistema dei test, con l’utilizzo del tampone rapido da fare direttamente a scuola in caso per il rientro degli studenti in isolamento. E’ questa la proposta di Luigi Nigri, referente pugliese e vicepresidente nazionale della Federazione italiana medici pediatri (Fimp) avanzata, ieri sera, durante un incontro con il governatore Michele Emiliano e l’assessore alla Salute, Pierluigi Lopalco.
Secondo i pediatri pugliesi occorre una pausa di tutte le scuole, per almeno due settimane, per riorganizzarsi e dare il via libera ai test rapidi da eseguire direttamente nelle scuole per evitare alle famiglie i disagi e le attese per prenotare un tampone. La Regione Puglia sta valutando l’ipotesi.
Quindi non si era preparati nemmeno a questo…
Non credo che gli insegnanti pugliesi siano diversamente coscienti della loro (contraddittoria) condizione di classe, salario quasi proletario per funzione quasi dirigenziale, nel sistema Italia ed ora se l’ “alibi” del blocco fisico al dissenso civile è risibile, se potesse essere posto in rapporto a uno stato dell’arte di mesi fà si manifesta uno spazio colmabile anche solo da una testimonianza civile e cristiana, ciò dovrà spargersi tra tutte le provincie delle Puglie e poi intorno ad esse attraverso almeno il sud del paese, come l ‘olio d’oliva di quella terra, cui arrivano già grandi strutture energetiche.. oltre che milioni… tramite mediati interessi e finanziamenti eurounitari.
@paololiu
Simpatica la supercazzola, ma temo non porti grossi benefici alla discussione.
Ti rispondo solo su “salario quasi proletario per funzione quasi dirigenziale”, per completare il numero minimo di caratteri.
Ma sapete qual è un salario medio di un operaio? Sapete quanto si guadagna in nero al Sud? I 1.600 euro/1.800/2.000 euro che percepiscono gli insegnanti sono ormai i salari più alti nel Mezzogiorno. Controllate i contratti collettivi nazionali. Controllate le buste paga degli operai del Sud. Chiedete loro se è vero che devono restituire parte del loro stipendio ai proprietari delle aziende.
Il mio non è il “solito discorso contro i docenti”, voglio solo dire, da abitante del Sud per esempio, che ce la passiamo quasi tutti peggio, ormai. E di molto.
Grazie dell’ indulgenza nel focalizzarti sull’ aspetto simpatia. Mi è uscita siffatta dose di retorica sull’ istruzione.. provo ancora a difendere l’ intenzione che m’ha ispirato questa diramazione dei commenti; volevo scrivere che la polarizzazione tra centro e periferie è un dato di questi processi sistemici, accellerato anche dalla pandemia; costituisce un limite a solidarietà territoriali pre-esistenti affinchè si realizzi un ripensamento nell’ organizzazione sociale: il valore sociale pure se non corrisposto da un loro riconoscimento materiale permette a certe comunità di funzionare ed andare avanti .. Perchè la scuola che ho visto io ,ad esempio recentemente, nelle alte murge tra Matera e Bari, mi sembrava da generazioni strutturata per contenere i lavoratori, al servizio esclusivo della nazione(docenti e ATA) e i figli e figlie non solo del residuo di classe media che non è “fuggita” nel privato o migrata ma anche di operai e braccianti. Se la funzione pubblica voglia abdicare dal ruolo di promotrice della coesione e dei valori del capitale umano e sociale e quindi anche della cura, quando sabato scorso il capo dello stato Mattarella ha proposto il suo focus per un progresso civile propriosulla ricerca, si può vedere(di nuovo retorico) quanto perdiamo come conoscenza e produttività con gli studi freschi cui abbiamo avuto accesso da quest’estate grazie ai solerti centri studi di qualche istituzione, fondazione piuttosto che di qualche associazione di categoria? La malapolitica sarà premiata e gli interessi dei pochi ne trarranno comunque vantaggio, per concentrarsi l’ opinione pubblica esclusivamente su ordine e gestione emergenziale della crisi, come base per investimenti “senza alternative” slegati dal contesto. Nei mesi scorsi, pur se spesso si è detto si sia potuto realizzare il minimo, mi sembra di aver letto di tante iniziative “propagandate” sul blog e partecipate dai giapsters più insider , che mi generano il rispetto per ruolo che questa categoria di dipendenti e la controparte discente ricopre nella gestione del poco welfare su cui può sostenersi il paese.
Ammetto che siamo ormai abituati a leggere e scrivere in fretta. Ho dovuto applicarmi parecchio per l’esegesi del tuo commento, per capire alla fine che mi stai dicendo che la Scuola sta abdicando al suo ruolo (almeno tra Bari e Matera, presumo in zona Altamura-Poggiorsini-Spinazzola), per colpe ovviamente “politiche”, e che nutri il massimo rispetto per gli insegnanti. Mi sembrano cose sulle quali siamo tutti d’accordo. O sbaglio? Che però avvicinarsi ai 2.000 euro al mese sia ormai una chimera per moltissimi, anche questa mi sembra una cosa sulla quale non si può controbattere.
Io (per deformazione professionale) un po’ di tempo fa’ avevo fatto un commento su come si potevano spendere meglio i circa 7.000,00€ all’anno tra l’acquisto di 24 mascherine al giorno x 200gg scolastici e l’acquisto di 24 banchi per le rotelle nella classe di mia figlia più grande (3 superiore).
7.000€ investiti in sicurezza PASSIVA che sarebbe stato meglio investire in sicurezza ATTIVA ovvero un banale sistema di Ventilazione Meccanica Controllata.
Mi sembra sia comunque un sistema un po’ più al passo dei tempi che fare lezioni da 45’/50′ su 60′ perchè gli altri 10′ bisogna cambiare aria spalando le finestre con buona pace del risparmio energetico.
Per quanto possa valere oggi è uscito il primo studio italiano in merito che in buona sostanza dice la stessa cosa.
Vi metto un link di un rilancio di un’agenzia di settore: https://www.casaeclima.com/ar_43032__covid-come-viaggiaaria-colpo-tosse-effetti-sistemi-aerazione.html?mc_cid=ada5ba7e84&mc_eid=d27ec9c2f9.
@Extradry
Non c’è dubbio che l’elefante abbia partorito un topolino. Si poteva fare tanto, e di ben diverso dai mitici banchi con rotelle (come se quelli senza rotelle pesassero 80 chili e fossero impossibili da spostare). Io ho in mente le scuole che ho frequentato, e conosco quelle che stanno frequentando i miei figli: sono esattamente le stesse. Le stesse scuole che hanno frequentato i miei nonni, imbiancate un paio di volte dal Ventennio a oggi. Altro che ventilazione meccanica controllata. Dalle mie parti ci sono caldaie a gasolio con almeno 40 anni di vita, quando piove si allagano le aule e la carta igienica se la devono portare gli studenti. Doppi infissi mai visti, ai miei tempi non c’era proprio il riscaldamento. Mi dicono che in uno dei due licei classici di Bologna gli studenti si sono portati le coperte da casa, perché le finestre dovevano rimanere aperte tutto il tempo.
Si dovrebbe investire in edilizia pubblica, in questo Paese: carceri, scuole, ospedali. Un numero minimo all’anno, per sostituire tutte le scuole del Regno, prima che passino cento anni da piazzale Loreto.
Apprezzo molto la lettura benevola che hai dato: l’ istruzione costituiva almeno fino a queste crisi una fonte di speranza per la crescita delle condizioni culturali e sociali delle classi subalterne. Molti insegnanti oltre ad aver studiato ed essersi assai preparati, per poter essere “sacerdoti della scuola neoliberale”, sono anche in tanti dei precari, che ai 2K non arriveranno mai; alcuni hanno anche avuto prove concorsuali proprio in questi gg. e su questo andrebbe speso qualche commento. La scuola a Roma e m’ è sembrato anche a Cassano delle Murge, assolve una funzione in senso sociale oltre che prettamente pedagogico e la mancanza di investimenti ragionevoli dal regime di questa governance corruttibile non esclude pure se stenta ad includere, come solo in parte accadde per alcune generazioni precedenti. Non è scritto però che debba essere sempre così o peggio e che questi siano epigoni della prassi educativa verso la competizione tra skills standardizzate ad uso del mercato.
Fra l’altro va sottolineato che l’idea che siano stati 4 scalzacani che non mettono la mascherina a diffondere il contagio è risibile. L’adeguamento alle norme è stato generalizzato, e se si pensa diversamente vuol dire che i media, con le loro 4 fotografie, hanno fatto un buon lavoro. Ma se anche fosse questo acuirebbe le “colpe” dei governanti, non le ridurrebbe. Avevano un dovere soltanto: farsi trovare il più possibile pronti. Anche la Germania, in teoria, rischia di essere travolta, io qualche spiccio che non gli succederà lo metterei. E non dipenderà dall’aver tracciato meglio o dall’aver fatto più rapidamente i tamponi.
Piuttosto questo secondo me ci dice una cosa più preoccupante: di fatto, su come si diffonde il contagio si sa troppo poco, non sappiamo cioè se sia sufficiente lavarsi le mani e stare a distanza. I casi “anomali” – cioè di gente che ha perfettamente rispettato tutte le prescrizioni e poi si è infettata lo stesso cominciano ad essere tanti, e – di nuovo – questo doveva suggerire una diversa attenzione alle strategie di contrasto. Ripeto anch’io: QUESTO NON SIGNIFICA CHE NON SI DEBBA FARE TUTTO IL POSSIBILE PER TENERE BASSI I CONTAGI ma si deve ragionare come se non fosse possibile. SI faccia quel che si deve fare se poi arriva il cataclisma amen. Ma insisto: questa epidemia è lontana dall’essere un cataclisma (adesso mi aspetto vari screenshot sui social per far vedere come su GIAP c’è chi minimizza l’epidemia. Amen)
Secondo me invece, proprio di cataclisma si parlerà nei libri di storia del futuro. Che poi sia stato o meno un cataclisma legato al virus o al autoritarismo nella gestione della pandemia da parte della società di questo tempo si vedrà. Ma mi sembra innegabile che i lockdown totali in giro per il mondo, i morti, l’oscurantismo e chi ne ha più ne metta, fanno di questo periodo un cataclisma bello e buono.
Oltretutto, ripeto, siamo solo all’inizio. Fare previsioni ora è davvero un salto nel vuoto.
Arido è l’inferno
sterile la sua via…
Tanos, sono convinto anch’io che se ne parlerà come di una cosa inaudita ma per cataclisma intendevo dal punto di vista del numero dei morti. Nell’Europa occidentale e più in generale nei paesi che sono stati in prima fila con le loro politiche di auterità (non suggerisco legami di causa-effetto, ho detto varie volte che queste macroaree non funzionano) il cataclisma potrebbe essere anche sul numero dei morti, in paesi messi meglio dovrebbe rientrare – sempre dal punto di vista del numero dei morti – in una certa normalità. Poi anche “cataclsima” è una cosa soggettiva, allo stato, come forse ho già detto, non sappiamo neppure se lo scostamento dalla media della mortalità mondiale sia significativo (a me pare di no, ma è presto)
@masaccio, scusa, faccio alcune considerazioni sulle tue osservazioni. Non sono un esperto e quindi prendile con il beneficio di inventario:
Sul tuo punto 1) ti chiedo: «il punto è che la malattia evolve, e quindi quella sensibilità permette di beccare persone che, se […] facessimo solo i test rapidi, resterebbero senza diagnosi pur sviluppando sintomi»
Siamo sicuri di questo? Io non sono in grado di leggere l’articolo del NEJM o altri, ma non potrebbe essere che se la carica virale è troppo bassa per essere rilevata con altri test sia perché la malattia è in regressione, già sconfitta dal sistema immunitario? Siamo sicuri che “evolva”? Siamo sicuri che il caso che citi non lo abbia contratto da altri contagiati “dopo” il test rapido?
Sul tuo punto 3) concordo “i contagi avvengono a casa” presuppone lo spirito santo che porta il virus in casa. Ma è comunque un aspetto numerico. Su fam. di 5 persone, 1 lo prende fuori, ma le altre 4 lo prendono in casa dal primo.
Circa il fatto che “non convenga” a nessuno farsi quarantenare, è anche causa del sistema che è stato messo in piedi: in molte realtà un quarantenato è lasciato a se stesso, sia dal punto di vista pratico e sociale (non può uscire neanche per buttare l’immondizia, e se non ha ammortizzatori sociali si attacca al tram, non tutti hanno la mutua e le ferie) sia dal punto di vista terapeutico e sanitario. Sta a casa ad aspettare che compaiano i sintomi e che si aggravi o che gli passi e passino i 14 gg.
Per tacere di varie contraddizioni del sistema: so di classi dell’asilo in quarantena per 1 positivo in classe, in cui i bimbi stanno a casa senza tampone (e da una parte meno male, poveracci) ma dove però nemmeno i genitori sono soggetti a tampone e non sono in quarantena (l’asl ha tempo 14 gg per chiamare, se non ti chiama, e NON ti chiama, al 14° gg liberi tutti), quindi quello che può lavorare (l’altro è a casa a guardare il bimbo in quarantena) può andare in giro fino all’eventuale comparsa dei sintomi (ovviamente solo se il bimbo era positivo e infettivo).
Circa il punto 4: “milioni” di terapie intensive mi sembra un dato fuori scala e ad uso “shock”.
Credo che nei casi peggiori ipotizzati si parlasse di centinaia di migliaia.
Il che però non cambia la sostanza visto che in Italia sembra ci siano 9000 posti.
Sul punto 1, nel caso specifico sì, sono sicuro, perché i test sono stati effettuati contemporaneamente quando era già in quarantena, e a diversi giorni dall’ultimo contatto con la persona sintomatica. A quanto gli hanno detto all’asl, la cosa non è rara.
Sul punto 3, sono contemporaneamente d’accordo con te, i quarantenati sono lasciati a se stessi, ma infatti è su questo che, per come la vedo io, dovremmo massacrare il governo. Quelle sono le battaglie a cui dovremmo dare centralità in questa fase.
Sul punto 4, sì, milioni è un’esagerazione, dopodiché il punto è che il contagio va limitato, e andrebbe limitato anche se di posti ne avessimo 5 volte tanti (cosa comunque auspicabile). Anche perché la TI non è il lettino dei miracoli, la gente purtroppo ci muore e chi non ci muore comunque soffre come un cane.
Chi di voi ha conoscenti testati positivi, o è positivo esso stesso, sa come funziona la sorveglianza sanitaria. Faccio il tampone, sono positivo e vado in quarantena. Da quel momento, per 10 giorni consecutivi, vengo contattato telefonicamente dalla asl (quando va bene, come dice cugino di alf), che tramite una voce registrata mi fa alcune domande sul mio stato di salute. Come mi contatta la asl? Tramite cellulare. Dunque l’autorità sanitaria non ha modo di sapere se io sto effettivamente trascorrendo la quarantena a casa oppure sono in giro. Perché il sistema si basa, anche, sul senso civico dell’individuo. Ma nel migliore dei mondi possibili il senso civico è un lusso che non tutti possono permettersi.
Esattamente. E sottolineo il “quando va bene”. In primavera sono capitato a dover fare l’isolamento fiduciario, e non sono neanche riuscito a segnalarmi all’Asl, perché non si prendeva la linea per giorni. Il sistema di tracciamento e di monitoraggio è completamente saltato, per mancanza di risorse. Il problema non è che si gonfia il numero dei positivi, è che non c’è minimamente la capacità di tracciare i positivi che troviamo, e quindi il virus circola senza freni. Non mi convince che la soluzione sia ridurre artificialmente il numero dei positivi usando un test meno sensibile, perché già ora, numeri alla mano, ci perdiamo buona parte degli asintomatici. Il punto è potenziare seriamente i nostri sistemi di prevenzione e igiene pubblica.
Però, Masaccio, nessuno sostiene che sia il caso di diminuire artificiosamente il numero di positivi facendo test meno affidabili. Si tratta di fare il test più opportuno in funzione della situazione. I test rapidi consentirebbero di sgravare il sistema dei tamponi di decine di migliaia di casi. Usando i merodi parallelamente si avrebbe un quadro più ampio (non meno preciso) della situazione. Se e vero come è vero che stiamo per essere investiti dall’onda, meglio mettere una scogliera davanti e poi affrontare ciò che passa. Anche perché mi sembra di capire che i rapidi abbiano precisione statisticamente accettabile.
Esattamente.
Ma i metodi parallelamente li stiamo già usando, eh. In diverse regioni si fanno già entrambi. E sono tutt’altro che contrario all’uso dei test rapidi, come ho scritto più volte, soprattutto a questo livello di contagio. Il punto su cui non sono d’accordo è che l’uso dei tamponi gonfi il numero dei positivi facendo emergere troppi asintomatici: anzi, a oggi il numero di asintomatici che rileviamo è molto minore al numero di asintomatici che il virus normalmente produce, quindi vuol dire che rileviamo meno positivi di quelli reali, non di più.
Qui si è impostata la questione in un altro modo, in realtà: può darsi che molti dei positivi rilevati col tampone nasofaringeo non siano contagiosi, in quanto “positivi” solo a causa di un’eccessiva sensibilità del test. In alcuni paesi si sta già indagando su questo, qui in Italia si sta facendo?
Dunque, non è questione di rilevarne “di più” o “di meno” rispetto a quelli esistenti. Su quanti siano quelli esistenti gli scienziati possono solo fare estrapolazioni, proiezioni, cioè ipotesi. E per discuterne bisogna anche metterci d’accordo su cosa intendiamo per positivi. Poi c’è l’annosa questione – tutt’altro che acclarata – se un positivo asintomatico sia o meno contagioso. Di sicuro, un “falso positivo” non lo è.
Isver e altri hanno spiegato più volte, meglio di quanto possa fare io, cosa significherebbe se in tutto questo tempo avessimo incluso tra i positivi che devono stare in quarantena un’alta percentuale di non contagiosi. Spreco di risorse, auto-sabotaggio del sistema di tracciamento ecc. Dunque non ripeto le loro argomentazioni.
Posso dire che secondo me questo blog sta confondendo troppe volte le acque?
Si fanno discorsi retorici e vacui e si mescolano varie conoscenze, tra giuste ed errate, dell’argomento, non arrivando sostanzialmente a nulla. Detto questo, le evidenze ad oggi disponibili dimostrano che la prevalenza dei soggetti asintomatici è un fattore rilevante nella diffusione del contagio da Sars-Cov-2. Di conseguenza in questa fase della pandemia le misure di sanità pubblica devono essere orientate sia a identificare, tracciare e isolare i soggetti asintomatici, sia a fare rispettare il distanziamento sociale e utilizzare la mascherina quando non è possibile mantenere la distanza di sicurezza.
https://www.acpjournals.org/doi/10.7326/M20-3012
«Posso dire che secondo me questo blog sta confondendo troppe volte le acque?»
Puoi dirlo. Il che non implica che sia vero. Secondo me se c’è un posto dove non si sono fatti discorsi vacui è proprio questo, e non per merito dei gestori ma di una comunità che discute senza attacchi ad hominem, sempre citando le proprie fonti, senza stracciamenti di vesti apocalittici ma anche criticando tutti i “negazionismi” e “complottismi”, con attenzione ai frame retorici in cui ci vengono calati dall’alto i discorsi, criticando la “sinistra” senza mai, mai, mai concedere un’unghia alla destra e alle sue strumentalizzazioni.
Tanos, che ti devo dire? Tu hai argomentato, altri hanno controargomentato, allora tu hai contro-controargomentato, nessuno ha mai trasceso, chi legge si è fatto le sue idee e sicuramente questo è bene. Se pensi che, con tutta la rumenta che c’è in rete, con tutti i flame, con tutte le idiozie e le panzane che girano, il posto dove si confondono le acque sia proprio Giap, che ti posso dire? Sei sempre libero di nuotare altrove.
Vorrei anche aggiungere che a noi costa fatica e tempo, ogni discussione così. Ogni tanto facciamo un post su quello che sta accadendo perché lo sentiamo doveroso, perché abbiamo figli in quattro scuole di Bologna, perché le nostre mogli/compagne stanno in prima linea (sono una maestra di scuola elementare, una farmacista e una sindacalista), perché abbiamo genitori anziani e familiari a rischio, perché mio padre (che non è anziano) in questo momento è positivo asintomatico in quarantena, e perché questo blog è diventato, volente o nolente, un punto di riferimento per chi non riesce a discutere altrove senza incontrare un fuoco di sbarramento e sentirsi sola ed emarginata. Non ci stiamo divertendo, e ogni volta sappiamo che dovremo distogliere l’attenzione dal nostro lavoro. Stiamo scrivendo tre libri. L’impegno profuso durante la primavera lo abbiamo pagato durante (abbiamo perso lettori, abbiamo perso amicizie, nostri collaboratori all’improvviso, grazie alla peer pressure sui social, sono diventati nostri detrattori a tempo pieno) e dopo (siamo stati costretti a un superlavoro pazzesco per recuperare sui progetti). Vorremmo davvero non ripetere l’esperienza, ma è chiaro che non possiamo nemmeno esimerci, e ogni volta dobbiamo stare attenti a che le discussioni non degenerino. In tutto questo, sentirsi dire che questo blog «confonde le acque» fa girare le balle, non so come altro dirlo. Scusa lo sfogo.
Eddaje, si può anche accettare la critica senza invitare ad uscire dalla porta.
Il discorso è che la comunicazione ha svolto e svolge una funzione fondamentale durante questa pandemia.
Errori nella comunicazione di dati, ipse dixit, ritrattazioni, frammentazione, danno un segnale di liberi tutti che è estremamente pericoloso.
La critica riguarda tutti, addetti ai lavori e non, scienziati e scrittori, giornalisti e governanti.
Inviterei tutti a riflettere e prendersi più tempo prima di esporre il proprio parere.
Mai come in questi giorni mi accorgo del danno enorme fatto dall’infodemia.
Su Giap, sinceramente, di infodemia non ne riscontro. Ipse dixit a cazzo non ne ho visti. Le “ritrattazioni” si chiamano riconsiderazioni e autocritiche. La frammentazione, con centinaia di commenti, non è evitabile del tutto. E se c’è un post dove il più delle volte si pondera il proprio commento prima di scriverlo è questo. Ripeto, non è merito nostro, è merito di chi commenta. E ripeto, se con tutto quello che c’è altrove parli di «infodemia» qui, non so davvero che dire.
Buongiorno a tutti.
Leggo questo blog da una decina d’anni, intervengo poco perché il livello è sempre alto, ma per una volta faccio un’eccezione e vado anche un po’ OT.
Tanos, le tue frasi qui sopra sembrano trasmettere l’impressione che quanto scritto qui sopra abbia lo stesso peso di un DPCM, o quantomeno di quello che dichiarano “scienziati e scrittori, giornalisti e governanti” ecc.
Senza nulla togliere all’autorevolezza di questo posto, sono convinto che la sua ricchezza stia anche nel fatto che si possano esprimere opinioni e pareri discordanti e anche opposti, purché in modo intelligente e informato, e che questa dialettica conti immensamente di più dei singoli contributi. Qui per fortuna non funziona a tweet, aforismi, sentenze, decreti calati (o cagati) dall’alto di poltrone male occupate.
Anzi, negli anni per me (e immagino anche per altri) questo posto è servito molto più spesso a farmi cambiare pareri che a rafforzare quelli che avevo, a farmi venire dubbi più che a darmi risposte. Di quelle siamo pieni, ci arrivano prima ancora che facciamo domande, infatti ci siamo abituati a non farne più, e sono proprio le domande il sistema immunitario contro l’infodemia. Al netto della paura che abbiamo tutti, non è di certezze che abbiamo bisogno ora, non vengo qui per trovarne. Quindi ben vengano qui sopra coloro che espongono il loro parere informato e intelligente senza curarsi dei calli che potrebbero pestare.
Mia opinione ovviamente.
Ciao Tanos. Non sono d´accordo che in questo blog si stiano “confondendo le acque”. La materia é estremamente complessa, ma soprattutto estremamente fluida. Poco riguardo il virus é realmente certo.
Semmai io vedo un problema opposto nella discussione generale al di fuori di questo blog: un eccesso di certezze che, come dicevo in un altro post, ha completamente polarizzato il discorso tra negazionisti/complottisti da una parte e (non so come chiamarli) “affermazionisti” sul fronte opposto.
Il discorso sulla pandemia é enorme perché tocca tutto: da questioni di virologia fino a problemi politici ed esistenziali ed é chiaro che la discussione possa prendere molte direzioni e ad un certo punto risultare molto intricata. Peró mi pare che qui sono stati affrontati (a partire da Marzo) alcuni temi che ho trovato discussi in dettaglio in pochissimi altri luoghi (virtuali e non):
1. L´abilitá del capitale di fare propria l´emergenza (non in quanto eterodiretta da una cupola di grandi vecchi, ma semplicemente come sistema dinamico con feedback)
2. La crisi che si sta innestando sulla crisi epidemiologica. Cioé gli scenari del “dopo pandemia”. Qui uno potrebbe ribattere che basta “una crisi alla volta”, ma d´altra parte se si vuole dicutere quello che verrá dopo e che si innesterá sulla situazione emergenziale attuale, bisogna farlo ora. Dopo la pandemia sará troppo tardi e il dopo crisi giá in funzione a pieno regime.
3. La gestione dilettantesca di una classe dirigente inadeguata, contraddittoria e disinformata che scarica le sue responsabilitá sui “nemici interni” (i runner, i giovani, ecc.).
4. La necessitá di valutare effettivamente i numeri e contestualizzarli (quanto sono affidabili, come leggerli, ecc.)
5. Il rifiuto di facili complottismi.
Sicuramente ci sará stato altro, ma mi pare che di roba per riflettere ce ne sia molta.
Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
Comunque la questione dei test é davvero un ginepraio. Posto qui questo link a the Lancet (non so se era giá stato postato da altri o addirittura discusso, potrei averlo mancato).
https://www.thelancet.com/action/showPdf?pii=S2213-2600%2820%2930453-7
dove si discute proprio dell´attendibilitá del test RT-PCR e di come (nelle conclusioni) vada coadiuvato con altri test di supporto proprio perché soggetto ad errori. Il test ha funzionato molto bene durante la prima ondata dove veniva applicato a persone con chiari sintomi e quindi con un´alta probabilitá a priori (pretest probability) di essere infetti. Ma ora che é applicato ad una popolazione molto piú vasta, in particolare anche agli asintomatici le cose si fanno piú scivolose.
Nel testo mi pare predicano una sovrastima tra lo 0.8 e il 4% di falsi positivi, che ci potrebbe anche stare nella situazione attuale, ma ci tengono a precisare che questa é essa stessa una stima e che il numero reale é sostanzialmente sconosciuto.
Quindi non saprei dire se alla fine stiamo sovrastimando i numeri o sottostimandoli, ma una cosa mi pare certa: sparare numeri assoluti e non contestualizzati non ha molto senso.
Assolutamente d’accordo Alessio,sparano numeri assoluti(e non e’ l’unica cosa che sparano) e non solo non sono contestualizzati,ma il piu’ delle volte, soprattutto quando i mass media utilizzano questi dati inserendoli nel loro particolare ed univoco story telling,distorcono non solo l’argomento specifico ma creano un sottosuolo di metateorie che si vanno alimentando col passare dei giorni e con l’accrescersi,ahimè,dei numeri.
Dobbiamo cercare noi,dal basso,di contestualizzare in maniera la più oggettiva possibile(ossia fuori da loro story telling),con continui feed-back,discussioni,argomentazioni,confrotni,proprio come avviene qui si GIAP.Forum como questo dovrebbero moltiplicarsi,sulla rete e nelle piazze,dovremmo cercare di tornare a comunicare in maniera autonoma,costruire reti di saperi,far girare dati,storie,modelli,suggerimenti.Animo!
A proposito di PM10, ti/vi segnalo questo recente studio (on line il 24.09) di cui ho dato notizia sul mio blog: Italia COVID-19: incrocio sforamento PM 10 per tutte le 110 province italiane – nel periodo 9-29 febbraio – con i nuovi contagi da COVID- 19 registrati dopo il periodo di incubazione del virus. I risultati dello studio, prevalentemente di ricercatori italiani, Potential role of particulate matter in the spreading of COVID-19 in Northern Italy: first observational study based on initial epidemic diffusion sono scaricabili dal sito del “British Medical Journal Open (BMJ Open)”.
Enorme è il materiale che state apportando a noi fruitori del blog e vi ringrazio immensamente, rappresentate da mesi l’unica voce fuori dal coro che tenda di dare una controinformazione alla visione dominante/mainstream.
Una domanda qualcuno dentro il blog è per caso medico, infermiere o oss?
Può darci la situazione della gravità della situazione a livello ospedaliero o della SSN?
Parlando con un parente medico, mi ha affermato testuali parole ad oggi 28 ottobre nella provincia di Macerata: “se non si inverte la tendenza dei ricoveri Covid-19, entro una settimana siamo al collasso solo per quanto riguarda la provincia di Macerata”.
Premetto che condivido tutti i discorsi fatti sulla schizzofrenia normativa verso alcune categore (scuola e studenti il decoro urbano, la “modiva” ecc..), i tagli del SSN, l’immobilismo della politica, NESSUN politico che abbia ammesso di aver sbagliato, la mobilità, il problema del contagio a lavoro, le problematiche legate allo smart working, la DAD, che odio e ripudio poichè la sto usando da docente e mi devo pure ritenere fortunato ad avere un lavoro, anche se a cottimo poichè lavoro in una scuola privata.
L’anno scorso purtroppo abbiamo perso il fratello della mia compagna, morto di tumore al cervello dopo 3 anni passati per ospedali di tutta Italia. Siamo stati un mese dentro una terapia intensiva a Camerino, so cosa vuol dire non avere più posti per le diagnosi oncologiche o posticiparle a data da destinarsi.
Un argomento poco tenuto in considerazione (mi scuso se non ho letto tutti i commenti ma sono innumerevoli e perciò faccio ammenda se avete toccato l’argomento)sono la posticipazione di quasi 1.500.000 di prestazioni sanitari nei confronti dei pazienti con patologie pregresse non malati di Covid-19. Questi che fine fanno? Chi li assiste?
Cioè quale sarebbe l’alternativa percorribile concretament per cercare di salvare il salvabile, perchè è a questo punto che siamo arrivati? Qualcuno che mi dia una visione alternativa al lockdown per cercare di uscire da questo baratro in cui siamo dentro fino al collo tutti.
Caro Marco, ti rispondo anche se non sono nelle categorie da te elencate.
Siamo dentro qualcosa di “nuovo” – non nuovo per l’umanità, vedi per esempio la spagnola di 100 anni fa esatti, ma nuovo per noi che viviamo nella “civiltà del benessere” – che ha messo in evidenza tutte le pecche della nostra società. In primis del SSN, affidato alle Regioni, che funziona bene (Emilia Romagna, Trentino, Alto Adige ecc.), benino (Roma, Milano, Veneto ecc.), e malissimo (quasi tutto il Sud), e che non è in grado, come dici tu, di sostenere un impatto del genere, in particolare le Terapia intensive.
Le risposte dei Governi sono legate a diminuire i contagi, in condizioni di emergenza. Ma quello che emerge, finalmente, è che in condizione di emergenza già c’eravamo. Soluzioni semplici non ce ne sono. Ma sarebbe il momento di guardarci come società e riflettere su cosa siamo diventati.
Ti butto lì qualche tema: Lavoratori precari/partite iva/co.co.co.pro.ecc.; lavoratori statali contro lavoratori privati; autonomie regionali che non hanno migliorato nulla; semidistruzione di Università-Scuola-Sanità; lavori culturali e iniziative culturali oramai guardati con scetticismo se non disprezzo; piccolo commercio all’ultimo respiro e di conseguenza milioni di locali commerciali sfitti in tutta Italia; monopolio dell’IT e del commercio che si aggiunge agli altri monopolii tipicamente italiani; nessuna politica ambientale e del riciclo. Mi fermo ma la lista è appena cominciata.
Quindi, in sintesi: sì, chiaramente è un problema grande e reale, rispetto al quale eravamo del tutto impreparati. Ma questi mesi non sembrano essere stati utili a nulla. Stiamo come stavamo, con altri grandi problemi che non sembrano essere nemmeno percepiti.
Devo ammettere in tutta onestà che secondo me le vie d’uscita sono finite, non c’è più altra alternativa al lockdown serio con questi numeri, almeno io non ne vedo. Certo si può evitare di essere completamente idioti e lasciare in pace la gente isolata e che sta a 150m di distanza ma tenere aperto qualcosa credo sia davvero impossibile. Se ho ragione (faccio mia la domanda di Marco: che alternative ci sono arrivati a questo punto?) credo che dovremmo con forza ribadire le colpe e chiedere che si diano i sostegni economici ma non in modo indifferenziato: non ai proprietari di bar e ristoranti, se proprio ci fanno schifo, ma ai lavoratori di quei bar e ristoranti sì, soprattutto se sono in nero. Sarebbe necessaria pure la moratoria sulle irregolarità perché non me ne frega nietne di punire chi ne ha approfittato mi preme salvare chi ha subito. Sposterei il fuoco insomma, perché i buoi sono tutti fuori che scorazzano a piacimento e forse una qualche massa critica si può fare chiedendo appunto che con una situazione del genere pensare “non ci sono risorse” è criminale. Se qualcuno ha alternative le ascolterei con piacere, se non le trovo qui non vedo dove.
Però, Rob, qui abbiamo sempre criticato l’uso indifferenziato e al singolare di «lockdown». Mi suonano anche strani questi tuoi ultimi commenti sull’inevitabilità «del lockdown», contraddittori rispetto a molte delle altre cose che hai scritto. Anche perché hai più volte espresso dubbi sul fatto che la curva precedente si sia abbassata principalmente grazie alla stretta governativa. Cosa significa «il lockdown»? Evitare gli assembramenti e altre occasioni di contagio non è la stessa cosa di mettere la popolazione agli arresti domiciliari, prenderla per il culo dicendo che stare blindati in casa è bello e si riscopre se stessi, aizzarla contro capri espiatori, umiliarla con l’autocertificazione, stangarla con multe per comportamenti innocui, trattare a priori i cittadini da puerili deficienti. Attenzione a frasi come «non c’è alternativa al lockdown» o «è inevitabile il lockdown», perché nella mente di chi legge riattivano tutto quanto ho appena elencato e anche di peggio, e suonano stridenti con la tua firma sotto… Se in conseguenza dell’attacco di panico torneremo a quel clima, a quella cappa di plumbea idiozia, noi dovremo dire chiaro e tondo che perseverare è diabolico, non “inevitabile”.
Anche perché stavolta forse l’Inno di Mameli dal balcone non ci riescono, a farlo cantare, e ci vorrà molta repressione.
Parlando qua di lockdown, dopo mesi, pensavo di poter evitare la specificazione, e avevo anche aggiunto a “lockdown” il termine “serio” oltre ad accennare alla speranza di evitare di essere completamente idioti. Quindi certo, rimangono uguali i vari ragionamenti sulle passeggiate, le boccate d’aria, i parchi ecc.
Il fatto è che i numeri che leggevo a marzo non sono i numeri che leggo ora; non sta per arrivare la primavera ma l’inverno; è meno chiaro di prima come diavolo ci si contagi davvero. Questo non significa neanche che credo che il lockdown (né il “nostro” né il “loro”) sia sicuramente il rimedio ma non riesco a vedere quali altri opzioni ci siano sul tavolo, mentre a marzo appunto le vedevo. Non capisco, per questo chiedo, può essere la stanchezza, in che modo si possa flettere la curva e in che modo si possa interrompere l’andamento esponenziale non tanto dei contagi ma quello dell’occupazione dei psoti in ospedale e di quelli in terapia intensiva. Il crimine delle classi dirigenti mi pare stavolta irrimediabile e anche se continuo a non temere per me e la mia famiglia (troppi privilegi, non ultimo quello di poter scegliere se stare in Italia o no) a me pare di vedere il collasso dietro l’angolo. Non mi pare ci sia contraddizione, però davvero è possibile che stia arrivando una stanchezza che non controllo e che mi fa vedere peggio le cose.
È che con l’«è troppo tardi» si bloccano tanto i ragionamenti quanto l’immaginazione. E anche quando tutto fa pensare che all’atto pratico sia troppo tardi, bisogna prepararsi a resistere e agire nella fase successiva. Se “chiudono”, lottare sul cosa e il come chiudere, mostrare le incongruenze, le ipocrisie, le paraculate. L’hai scritto anche tu che dobbiamo denunciare più che mai la classe dirigente, ma per farlo dobbiamo stare attenti a cosa diciamo e scriviamo: anche se prima abbiamo spiegato che a questo punto non si doveva arrivare ed è colpa loro se ci siamo arrivati, se poi diciamo che «ormai non possono fare altrimenti», finiamo per alleviare il carico delle loro responsabilità. Il frame che si attiva in testa, per quanto illogico, è: «È vero, prima hanno sbagliato, ma adesso a fare “il lockdown” hanno ragione». Il cervello filtra tutto quello che viene prima e resta solo «hanno ragione». Così ci togliamo la terra da sotto i piedi. Non è che adesso l’ultima di una lunga sequenza di mosse sbagliate (quando non criminali) diventa quella giusta. È solo la mossa pre-determinata dagli errori e dai crimini di prima.
E continuo a esortare a non guardare questa fase con focus virocentrico, perché altrimenti, anche non volendo, diamo al virus (incolpevole) le colpe che sono di chi non l’ha affrontato in modo sensato. Non c’è una sola epidemia in corso, quella che io temo di più è l’epidemia di malattia mentale, dovuta a nuove povertà economiche e cognitive (i bambini li stiamo devastando), nuove emarginazioni e solitudini, esiti psicopatogeni di convivenze forzose, cultura del sospetto nei confronti dell’Altro, enormi deficit affettivi, fine dell’eros e quant’altro. Su quel composito versante abbiamo già visto molto, e ne ho scritto, ma purtroppo non abbiamo ancora visto niente.
Io in aula a insegnare ci vado finché non me lo impediscono, e faccio di tutto perché non me lo impediscano. Ci vado anche se su twitter ciò viene considerato complicità in genocidio. Anzi: ci vado a maggior ragione perché ciò su twitter viene considerato complicità in genocidio. Ogni giorno faccio lezione davanti a 40/50 studenti, che ne hanno bisogno come del pane. Ci sono misure di sicurezza che tutti rispettano. E’ giusto continuare.
Inoltre: lockdown, qui e ora, significa militari nelle strade, droni, polizia ovunque, delazioni. Altro non è in grado di immaginare, questa classe dirigente.
Ma infatti sto qua, il gruppo qui è stato importante anche per me, se non le dico qui ste cose allora dove? La sensazione di essere dentro una rete porta a immaginare solo lo spostamento, l’indirizzare le nostre flebili forze su come attenuare le mazzate che hai elencato (le malattie mentali, le povertà cognitive, gli esiti delle convivenze ecc) contrattare la chiusura, che a me pare inevitabile e che forzeranno anche con i carri armati, con il sostegno economico.
Rimane, credo, che dovremmo provare a dire, come a me è sembrato faceste/facemmo, tra febbraio e giugno, cosa faremmo noi, dove ci portano queste precisazioni (splendide) che continuiamo a fare su carica virale, tamponi, tracciamenti, crimini dei gruppi dirigenti, modalità d’azione ecc. Vabbè però basta, scusate lo sconforto, andiamo avanti.
Benvenuto nel club degli sconfortati robydoc. Sono molto d’accordo con i commenti che hai fatto stasera.
Non sembra esserci verso di piegare sta merda di curva dei contagi…
Io per cercare di trovare un termine più idoneo di lockdown, sarei per il “freefromwork”. Fermiamo immediatamente la produzione. I lavoratori devono essere salariati pur restando fermi. I soldi ci sono. Basta andarli a prendere dove più ce ne stanno. Salviamo le scuole fino a che si può.
“Rimane, credo, che dovremmo provare a dire, come a me è sembrato faceste/facemmo, tra febbraio e giugno, cosa faremmo noi, dove ci portano queste precisazioni (splendide) che continuiamo a fare su carica virale, tamponi, tracciamenti, crimini dei gruppi dirigenti, modalità d’azione”
Esattamente.
p.s. chiedo se è possibile aumentare dai 10 visualizzati attualmente la sezione commenti recenti. Con il numero di commenti che ha Giap in questi giorni è molto difficile starci dietro.
Se può consolarti, non riusciamo più a starci dietro nemmeno noi, che riceviamo ogni singola notifica. Anzi, non riusciamo a starci dietro proprio perché riceviamo ogni singola notifica… È soverchiante :-/
Ma come si possono attenuare le mazzate (le malattie mentali, le povertà cognitive, gli esiti delle convivenze ecc) contrattando la chiusura? Come si può pensare, chiudendo tutto, di risolvere un problema di tale portata ed entità, senza mettere mano al sistema economico che è la causa principale di questa gestione dell’emergenza? Il virus non passerà da solo, chiudendosi in casa. Possiamo ritardarne, forse, gli effetti macroscopici, quelli “spettacolari”, ma non possiamo illuderci di sconfiggerlo chiudendoci in casa. Si stanno conducendo le le persone a negare la realtà anziché affrontarla. Non si può pensare che curarsi dal virus, con questa cura, non abbia ricadute anche più gravi. Aegrescit medendo. Sembra un’ autoevidenza ormai. Non si può, proprio ora, abbandonarsi allo sconforto. Anche se è comprensibilissimo.
Filo ma figurati se non ti capisco, per quanto sconfortato ne faccio anche una questione di portare a casa un qualche risultato dall’inevitabile. Forse mi sono espresso male – mi sono riletto mi pare di no ma forse è ambiguo – ma dicendo che non ci sono altre opzioni sul tavolo non intendo dire che io farei così se fossi al posto loro. Intendo che non è ragionevole aspettarsi altro. Che qualsiasi ragionamento, pressione, minaccia, andrà a sbattere su quelle curve. Risolveranno il problema? Non lo so, l’ho detto varie volte che i dati di marzo e aprile secondo me non autorizzano certezze di questo tipo, ma se mai non ci riuscissero ci attende davvero lo scenario apocalittico con i morti per le strade. Io forse non sono pronto, e lo sconforto è in questo, nel vedere che qualsiasi cosa succeda perder(em)ò malamente e tremo al pensiero dei prossimi mesi. Ho una figlia di 8 anni che mi chiede “quando torneremo come prima? pensi prima di natale?” e ti lascio immaginare il pensiero che mi viene su cosa fare alle maestre che parlano di “nuova normalità”.
Ciao Robydoc. Sono giorni convulsi. Ho avuto la fortuna di staccare con persone che, per tacito accordo, si sono ” imposte” di non parlare di questa situazione. È stato straniante, surreale e salutare. Tutti sentono la pressione di qualcosa di imminente e forse, come hai scritto tu, ” inevitabile. Ma è davvero inevitabile?…Si sarebbe potuto fare tutto diversamente. Tutti i tuoi ragionamenti e le tue riflessioni, qui, lo hanno fatto notare. Sempre attraverso il confronto e la lettura dei dati per supportare i ragionamenti, senza dare nulla per scontato. Ora siamo tutti presi dalla stanchezza, dalla sfiducia e dallo sconforto ma mi sembra chiaro che tu non abbia fatto una inversione. Il governo sta tastando il terreno per capire a quale livello di imposizione si possa arrivare senza esercitare la forza bruta. Altrimenti avrebbero già imposto misure più drastiche. Ora hanno paura di una reazione. Hai detto che i soldi ci sono, ma non sono arrivati. Le mie amiche in Inghilterra, scontente per la gestione della pandemia, mi dicono che i soldi sono stati elargiti immediatamente. Qui siamo al si salvi chi può. Le domande di tua figlia sono laceranti. Non abbiamo una risposta. Forse possiamo batterci per evitare l’ ” inevitabile”. Anche chi non sta morendo di fame ha molto da perdere in questa situazione. Il “decreto ristori” esclude dagli indennizzi chi lavora in nero. La Merkel dichiara di non sapere come si diffonde il virus. Di non sapere come arginarlo. Lo stesso Macron. Ma non hanno chiuso le scuole, per esempio. Per ora almeno. Qui le cose sembrano precipitare. Un ragazzo in Sardegna è stato accusato di ” istigazione a delinquere” per avere diffuso e commentato i video di Napoli, dicendo semplicemente che loro, in Sardegna, possono fare meglio. Una ragazza a Firenze è stata aggredita e contenuta dai vigili perché non aveva la mascherina. Non bastava multarla? Tutto questo cosa c’ entra col virus. Sappiamo tutti che in gioco c’è la nostra libertà e si stanno creando precedenti pericolosi. In piazza bisogna andarci anche per questo. Altrimenti i più disperati saranno soli e noi in balia degli eventi.
Sulla questione frame e lockdown (e pure all’uso della negazione*), ho notato un fatto singolare ..
Non dico sia intenzionale, ma è stato funzionale a far tornare il frame del lockdown:
un mese fa, o forse anche prima, nessuno parlava piu’ da tempo del lockdown, parola ormai fuori da ogni discussione politica.
L’estate l’aveva spazzata via.
In quei giorni si parlava di scuola, del fatto che dalla chiusura e per tutta l’estate non era stato fatto nulla per organizzare la riapertura in sicurezza e si rischiava (avendo perso tempo) di iniziare l’anno con la d.a.d.
Forse c’era già un lieve aumento dei “contagi” (o meglio: tamponi positivi) ma ancora NESSUN discorso su limitazioni nè tantomeno discorsi catastrofisti.
Di punto in bianco, così dal nulla, uno di quei giorni vedo spuntare un titolo sul FattoneQuotidiano del tipo (trascriz. non letterale):
“Conte: bla bla continuamo a monitorare la situazione bla, ma tra le opzioni NON c’è un nuovo lockdown”
ecco. Pensai: “ma che ci azzecca il lockdown, che ci siamo scordati completamente quella parola??? … questo salta fuori col lockdown, cosa superata, dimenticata, brutto ricordo che tutti voglion solo dimenticare e non c’entra nulla con l’adesso. Lockdown è il passato. È nell’oblio.”
( Un po’ come, seduti al tavolo, in pizzeria, si sta mangiando e ..
“Guseppi, tu che pizza hai preso?”
e lui “io mi siedo qui, a capotavola” (?!?) )
Dopo aver vissuto l’estate non solo era letteralmente improponibile il lockdown (per non parlare del coprifuoco: totalmente alieno), ma anche solo parlarne in una frase che riguardasse il da farsi.
Intenzionale o meno, aveva attivato il frame. Un frame che si sarebbe dimostrato funzionale (direi cruciale) alla riproposizione del lockdown.
—>
Da allora fu un appuntamento periodico. Puntuale, circa ogni settimana almeno una volta il lockdown veniva citato in dichiarazioni di Conte o altra gente del governo (ministri, prot. civile, gente del CTS ecc)
Sempre con la negazione, ma via via sempre più “smorzata”, tipo (vado a memoria, a titolo di esempio):
“dobbiamo prendere delle misure, ma non ci sarà lockdown”
“servono nuove restrizioni, ma *per ora* il lockdown è da *escludersi*” <- esclusione smorzata dal 'per ora'
"la situazione è grave, ma il lockdown per adesso *non* è *previsto*" <- previsione smorzata dal non
"anticipiamo chiusura locali, ma per il momento è ancora presto per il lockdown" <- non ora, ma si farà
fino ad arrivare a dire robe tipo "vediamo nei prossimi giorni se far il lockdown o meno"
e infine De Luca vuole il lockdown per la Campania e tutta Italia. ..
Insomma dalla prima dichiarazione post-estiva sul lockdown ("col non") abbiamo assistito a un crescendo possibilista, tramite dichiarazioni sotto forma di frasi in cui la prima parte di volta in volta allarmava sempre piu' e parlava sempre piu' apertamente di restrizioni diverse dal lockdown, nella seconda parte di volta in volta accennava al lockdown in maniera 'negante' sempre piu' debole ..
*m'è restata impressa sta cosa, credo qui o su twitter avevo letto un commento sull'uso del "non" da parte di Renzi (credo), che dicendo "non sono un coniglio" aveva fatto apparire in testa alla gente l'immagine di lui, coniglio.
Anche io, devo dire, sono saltato sulla sedia quando ho letto “non c’è alternativa al lockdown”, scritto da te.
Forse perché le tue parole hanno fatto eco (certo involontariamente) a quelle appena pronunciate da Macron, che ha annunciato il “confinement” almeno fino al 1 dicembre, con tanto di autocertificazioni e spostamenti autorizzati in “prossimità”, definendolo inevitabile. Tra l’altro, per il momento, le scuole lì restano aperte e non è un dettaglio da poco. A questo proposito, il secondo salto sulla sedia l’ho fatto quando ho letto il tuo “tenere aperto qualcosa credo sia davvero impossibile”.
La situazione è pessima, sotto tutti i punti di vista. Anche io vedo il collasso dietro l’angolo. Però credo che il nuovo lockdown che ci aspetta, con i soliti inetti a dettar le regole, non sarà molto diverso da quello di marzo.
Aggiungerà tragedie a tragedia, senza evitare il collasso.
Se ora guardiamo solo quella curva che sale, interiorizziamo come inevitabile un nuovo lockdown e, più o meno inconsciamente, diamo per buono quello passato. A marzo prossimo ci ritroveremo ad aspettare inermi il crollo successivo. Un po’ come criceti che girano sulla ruota fino a cadere esausti.
E’ uno sforzo immenso ma dovremmo continuare a cercare di coltivare un pensiero che non sia esclusivamente curvocentrico.
“Non c’è una sola epidemia in corso, quella che io temo di più è l’epidemia di malattia mentale, dovuta a nuove povertà economiche e cognitive (i bambini li stiamo devastando), nuove emarginazioni e solitudini, esiti psicopatogeni di convivenze forzose, cultura del sospetto nei confronti dell’Altro, enormi deficit affettivi, fine dell’eros e quant’altro. Su quel composito versante abbiamo già visto molto, e ne ho scritto, ma purtroppo non abbiamo ancora visto niente.”
Condivido ogni singola lettera, ma ad oggi ore 22.24 28 ottobre a me non viene altra cosa da fare se non fare un lockdown locale (per via della totale incapacità dei Governanti delle 20 Regioni, Confindustria) nei grandi centri che hanno un aumento esponenziale dei contagi (penso gia fuori controllo e impossibili da tracciare a ritroso), anche per rispetto dei pazienti non covid-19 anche gravi (sono più di un milione) e lavoratori del SSN (medici, infermieri, oss ecc.). Questo mi comporterà (forse) purtroppo degli insulti e porterà a delle proteste di pizza trasversali politicamente, forse anche molto brutte andando a colmare il vuoto politico, economico e sociale presente decenni prima dell’inizio della pandemia di marzo.
Però non vedo alternative concrete nel brevissimo periodo e con questo premetto che non appoggio assolutamente le scelte fatte fino ad’ora dal governo PD/M5s.
Anche perchè la strada tracciata a prescindere delle scelte governative, è fare la fine degli USA dopo il voto del 3 novembre, armarsi e scendere per strada.
Cioè mi spiego, un assalto alle banche e delle Borse che sono il motore principale del capitale e del capitalismo moderno, ha molto senso. Il resto potrebbe tramutarsi in una tragedia sociale dai contorni oscuri e senza la minima prospettiva a breve termine, poichè a parole conosciamo molte prospettive economiche alternative, ma nessuno Stato al mondo le può implementare nell’arco di pochi mesi, andrebbe contro la sua stessa natura.
Bhò stamattina mi sono svegliato molto negativo, scusate. Se avete delle notizie leggermente ottimistiche/positive vi sarei grato.
Vi segnalo un bellissimo libro “Appennino” del docente Agusto Ciufetti ricercatore e docente di storia economica e sociale presso la Facoltà di Economia Giorgio Fuà dell’Università Politecnica delle Marche. Leggendolo si cerca di trovare una chiave di lettura storica e sociale, per le aree interne del Centro Italia (pandemia a parte) comlpite dal terremoto del 2016.
http://storiaefuturo.eu/alberto-malfitano-commenta-augusto-ciuffetti-appennino-culture-e-spazi-sociali-dal-medioevo-alleta-contemporanea-roma-carocci-2019/
Buona giornata a tutt*.
La scelta di tenere aperte le scuole e al contempo chiudere in dad le università ha un solo motivo: non fermare la produzione. Il lavoro in Francia non si ferma e la scuola aperta serve a parcheggiare i minorenni perché non intralcino la giornata lavorativa dei genitori, anche quando è a distanza. Tutto qui.
Però si fermano i luoghi aperti al pubblico anche quando di studio, come biblioteche, musei, archivi.
Insomma sono una serie di provvedimenti paravento, esattamente come le accuse all’estate troppo animata dei ragazzi.
Tralasciando qualche espressione infelice, condivido grosso modo il parere di Tanos: allo stato attuale, prima mettersi in grado di isolare chi potenzialmente trasmette il contagio, procurandogli condizioni degne per passare questo periodo, e nello stesso tempo approfondire le modalità di trasmissione. Sono due passi complementari e guarda caso si basano entrambi su un forte impegno organizzativo e economico a livello territoriale. Cosa che oggi deve diventare l’anatema. Maastricht c’è fisso nelle teste anche quando guarda dall’altra parte. Guarda caso.
Ah, e la sinistra è morta, sì. È morta quando ha detto sì a Maastricht e alla sua attuazione di un’austerità contemplata fin dai trattati del ‘57 anche se non attuata. È morta quando ha finto di non vedere la libera circolazione dei capitali in nome di quella parvenza di libertà personale di circolazione che fu Schengen peraltro funzionale al capitale anch’essa. È diventata un fantasma sanguinario quando ha plaudito a Monti e successori ed è diventata uno zombi ridicolo quando ha voluto continuare a cianciare di un’altra UE inesistente e impossibile e ad accusare più o meno di fascismo chi non concordava, mentre si chiudevano ospedali e tagliava personale. È morta quando c’è chi decide ancora che il PD (che non è sx, si spera siam tutti d’accordo) è votabile persino mentre sgombera due volte senza remore, in piena campagna elettorale, xm24.
È morta perché l’ha voluto, cercato e meritato. Purtroppo, perché non sarà certo la destra salviniana a tutelarci, con la sua ossessione per gli imprenditori e gli investimenti, malamente travestita da unione popolare, né la sanità ciellina dei santi riduzionisti.
«Ah, e la sinistra è morta, sì. » Quella parlamentare, da scranno, senza dubbio si, ma da mo`. Non e` invece morta nell’animo e nel pensiero di molte persone, credimi. Un quadro piu` ampio e articolato della situazione lo possono dare due degli ultimi eventi di politica internazionale sotto gli occhi di chi vuol vedere: una sinistra che e` rovinata tristemente a terra anche ieri sera quando il Partito Laburista inglese ha sospeso uno dei suoi rappresentanti piu` schierati. L’allontanamento di J.Corbyn di ieri cosi`come, oltre oceano, la scelta di scaricare Sanders alle primarie qualche settimana fa`sono sintomatici di una metastasi della politica internazionale, non solo Italiana, in generale. Sta` a noi comprenderlo e trovare una soluzione collettiva.
Infatti quando la Sinistra parlamentare italiana parla di progressismo sostenibile con un tocco green (chi cazzo ha le case con classe energetica A++, pannelli solari o un garage per ricaricare la sua auto elettrica da 40 mila euro in su? Dio cristo ma dove vive questa gente?) viene meno tutto, perchè si tratta di abbracciare le politiche neoliberiste senza avere una minima idea di alternativa percorribile, anzi sei convivente al sistema e per di più ipocrita in maniera subdola a tratti .
La cosiddetta svolta ecologica o green new deal, paventata da una certa area di sinistra a me sembra un rilancio mascherato del capitalismo trasformatosi magicamente in verde e sostenibile (che vuol dire questa parola nel 2020?), accogliente ed amichevole. Non ti devi neanche sforzare di uscire di casa, ti portiamo tutto davanti al portone, stai sereno che andrà tutto bene.
In Francia non si stanno tenendo aperte solo le scuole ma anche le case di riposo, è infatti possibile fare visita agli anziani, dopo le prime iniziali chiusure. Senza alcun fine produttivo apparente.
Remuzzi in una intervista ha citato un recentissimo studio che identificherebbe nella fascia di età 20- 29 anni i maggiori diffusori del contagio. Chissà se è vero. Allo stato attuale mi sembra non si sappia proprio nulla di certo. Noi abbiamo circa 8.000 ( noi 60 milioni di abitanti)terapie intensive. La Germania circa 42.000 ( 80 milioni di abitanti). Con questi livelli di diffusione del contagio il numero di posti in terapia intensiva purtroppo determina una differenza considerevole nella mortalità. In Germania molto molto più bassa che negli altri paesi, nonostante le comuni difficoltà nell’affrontare un virus sconosciuto ed una pandemia. Una stima dice che solo il 4 per cento dei morti è morto per Covid. Gli altri, prevalentemente tutti anziani sopra i sessanta anni, avevano almeno tre patologie concomitanti. Isolare chi trasmette il contagio con metodi di tracciamento così ” sofisticati” è come inseguire un centometrista in ciabatte e con 20 kg di sovrappeso. Procurare a chi viene isolato condizioni degne per affrontare questo periodo sembra una affermazione scontata ma, purtroppo!, non lo è. Per tenere la gente a casa o in posti dedicati alla quarantena bisogna, come minimo, distribuire soldi a pioggia. Io non ho ancora visto nulla… E non solo io, anche quei facinorosi rivoltosi che sono scesi in piazza. Sempre Remuzzi ha detto che bisogna approntare “ospedali Covid “… e che si può fare in men che non si dica. Ha una sua teoria molto interessante in merito. E sembra anche fattibile. Allora: perché non è stato fatto sino ad oggi??? Perché sino ad oggi non è stato fatto NULLA? Solo per disorganizzazione e totale incapacità? Forse. Può anche essere, visto chi ci governa. Nel frattempo però vengono approntati divieti insensati. Tutto questo all’insegna di un intervento per bloccare la circolazione del virus…senza uno straccio di prova scientifica. Bene. Andiamo avanti così.
@filo a piombo La colpa principale è da attribuire alle Regioni, visto che la materia sanitaria è stabilita dall’art. 117 della Costituzione, riformata nel 2001 e recita:
“La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali: ….
Sono materie di legislazione concorrente quelle relative alla Sanità pubblica.”
Il problema è quando 30 anni si è deciso a livello statale di non garantire più i livelli essenziali di assistenza alle 20 Regioni (tantomeno in una situazione di emergenza come una pandemia) e di fare i soldi con la privatizzazione del SSN in maniera non omogenea su tutto il territorio nazionale.
Questo ha comportato un’erosione del Ministero della Salute (30 miliardi in 30 anni) e degli importi erogati alle singole Regioni, perchè la Sanità privata con l’aumento dell’età dei baby boomer e la loro disponibilità economica unita a quelli dei pensionati, ha generato un’enorme opportunità economica per i “capitalisti delle disgrazie”.
Nessuno si è mai chiesto da anni perchè il CUP regionale non risponde o le liste di attesa per prestazioni sanitarie si protraggono nel tempo e tutti si rivolgono dii conseguenza al privato che in poco tempo elargisce la prestazione con esborso del 80% rispetto al ticket(se fa la fattura, altrimenti ci guadagna anche più evadendo il fisco)?
E’ un sistema incancrenito da decenni, ma che tutti hanno accettato senza battere ciglio.
Steso discorso riguarda le terapie intensive o la posticipazione di quasi 1.500.000 prestazioni, anche oncologiche gravi, a data da destinarsi.
Oltre alla chiusura totale vista l’incapacità politica di gestire un’emergenza mondiale, non so quale altra soluzione percorribile sia possibile.
Se non si chiude entro una settimana, il limite massimo di 2.300 terapie intensive dedicate esclusivamente (ovvero il 25% del totale) ai malati Covid-19 si esauriranno e sarà il collasso del SSN, con persone che moriranno soffocate perchè non si hanno respiratori.
Questo è lo scenario apocalittico che ci attende.
Marco, «se non si chiude» cosa e come ci attende uno scenario apocalittico? Ecco come mi piacerebbe poter ragionare. Sai bene che la premessa delle discussioni su questo blog sta nel non accettare acriticamente il già dato, e che la nostra definizione di narrazione tossica è «una storia raccontata sempre allo stesso modo, con il focus sempre sullo stesso punto e lasciando fuori sempre le stesse cose». Visto che quello che diciamo qui sopra comunque non altera in alcun modo i destini generali, almeno teniamoci la libertà di esercitare il pensiero critico, di sviscerare, di non arrenderci all’ineluttabile. «Se non si chiude tutto c’è l’apocalisse» è una frase troppo simile a quelle che stanno usando un giornalismo e una classe dirigente che vogliono solo assolversi dalle proprie responsabilità. Su Giap mi piacerebbe non leggerla mai più.
Non leggo quel tipo di giornali. Non mi arrendo all’ineluttibile e non assolvo nessuno, mi limito a riportare i dati statistici e quello che mi viene riferito dai miei due amici infermieri e uno che lavora come oss.
Possiamo ragionare su tutto e condivido la narrazione tossica usata da una parte dei media, ma al momento non vedo alternative e lo dico senza essere filo governativo, mai votato quei partiti.
I numeri sono impietosi, non so come confutarli. Se avete delle alternative percorribili parliamone, per esempio oltre uno scenario apocalittico perchè se continuiamo così ci vorrebbero entro aprile prossimo tra le 40 e le 50 mila terapie intensive se c’è il raddoppio ogni settimana del numero dei contagiati. Forse l’alternativa sarebbero dei lockdown locali dove l’indice RT è superiore a 1.5. Non so più cosa pensare. Forse sono suscettibile emotivamente dopo essere stato in terapia intensiva l’anno scorso per 1 mese a causa della morte del fratello della mia compagna.
«Se avete delle alternative percorribili parliamone», scrivi. Io continuo ad avere l’impressione che per alcuni quel che si scrive su questo blog abbia lo stesso peso di quel che decide il governo.
Io ho chiesto «se non chiude»… cosa? Come? Mi piacerebbe che qui si continuasse a riflettere liberamente e in questi termini, visto che comunque nulla di quanto viene detto su Giap avrà diretta influenza su quel che accade nelle sfere decisionali.
Nessuna via alternativa è stata percorsa, si è per forza voluti arrivare a questo, il minimo di spirito critico che vorrei mantenere lo riassumo in pochi punti:
1) non era ineluttabile;
2) non è indiscutibile;
3) con gli «ormai» e i «non c’è tempo» non si ragiona bene;
4) con l’ansia e il terrore non si ragiona bene;
5) «chiudere» e «tenere aperto» sono espressioni da non usare mai in modo generico.
Scusa se sono così “tecnico”, capisco tutto, capisco la situazione, ma c’è un modo di discutere qui che vorremmo salvaguardare, pena l’omologazione di questo spazio alle modalità comunicative dominanti praticamente ovunque. Anche il non saper più cosa pensare… Io, quando mi viene da dire che non so cosa pensare, mi fermo e mi chiedo: in che senso non so cosa pensare?
Ora più che mai, non cediamo.
Ciao Marco!, ma a quali studi scientifici possiamo fare riferimento per dimostrare che ” la chiusura” sia la soluzione? Ci sono prove o dobbiamo accettare che non essendoci alternative allora l’ unica soluzione è quella? Anche il mio compagno lavora in ospedale. Cercando di non farsi centrifugare il cervello dall’emergenza. A lui riesce abbastanza bene essendo un romano fatalista. Detto questo però mi sembra che un problema sanitario sia stato affrontato solo come un problema di ordine pubblico e di polizia. Quest’è la piega che ha preso la politica negli ultimi anni. Anche grazie alla sinistra del buon governo. Come se si potesse solo amministrare senza portare avanti un progetto politico. O fingendo di non averlo. Soprattutto. Siamo d’accordo: la sinistra parlamentare è morta e sepolta. Ma tante cose si sarebbero potute fare e non si sono fatte. Qualcuno qui parlava perfino e, giustamente, di ospedali da campo come presidi sanitari territoriali. Come si può chiedere alle persone di non lavorare senza pagarle per stare a casa? Insomma tutte cose già dette. Eppure fa presa l’ idea che il lockdown sia l’ unica soluzione. Non è così. Con la chiusura probabilmente non risolveremo proprio nulla, sposteremo solo più avanti l’ orizzonte temporale dei problemi andando ad infliggere sofferenze ancora peggiori ai più deboli. Insomma questo lockdown è ormai diventato una questione di fede.
@filoapiobo Non sto facendomi centrifugare il cervello dall’emergenza, sto cercando di rispondere in maniera razionale a questa epidemia con un comportamento diciamo altruistico e di rispetto verso le categorie più deboli e fragili, ad esempio non vedoi miei genitori 60enni e le miei nonne di 85 e 92 anni da 4 mesi.
Non è questione di fede o avere una visione elitaria poter credere che il lockdown locale quando l’indice RT o di contagiosità è sopra il valore 1.5 (nelle Marche è al 1.35 in progressivo aumento con le terapie intensive dedicate a pazienti Covid-19 l 6% su un massimo del 20% del totale, visto che ci sono altrepersone con altre patologie che necessitano di una ventilazione artificiale per sopravvivere ogni giorno) sia una delle soluzioni possibili per ridurre la mobilità delle persone e di conseguenza la trasmissione incontrollata del virus.
Ho esposto più volte le radici del problema della mancanza dei deficit strutturali del SSN, che hanno favorite le strutture capitalistiche sanitarie private nel corso degli ultimi 30 anni, ma in una situazione simile io personalmente rispetto e spero molti di noi lo fanno/faranno, le norme civice/igeniche che ci sono state date.
Ad esempio gli ospedali da campo e l’uso dell’esercito per allestirli sarebbe stato un espediente per cercare di alleviare il problema, ma ad oggi la politica regionale si è occupata di altro, non è minimamente capace di gestire la cosa pubblica in una situazione “normale”, figurarsi di amministrare una epdidemia con espedienti medioevali. So bene le conseguenze economiche, sociali e psicologiche di una nuova chiusura, ma ad oggi che bisognerebbe fare, visto che l’inverno avanza? (non ha un tono accusatorio, ma di reali proposte o proteste da avanzare).
Ad esempio è stato uno scempio fare le elezioni politiche amministrative regionali e comunali durante una pandemia. L’amministrazione regionale tra precedente ha creato un Covid Center da 86 posti tra terapia sub intensiva e intensiva, affidando i lavori all’Ordine di Malta tramite la raccolta fondi dei cittadini e imprenditori marchigiani con dei lati oscuri al vaglio da parte della della Magistratura. Quella attuale si è limitata a tranquillizzare tutti tra selfie e tagli di nastri.
su ipotesi “picco” e (assenza di?) una terza ondata:
Non ricordo i dettagli sulla questione “picco dei contagi *** ” durante la “scorsa ondata” ..
Il concetto/attesa era basato su un fattore tempo oppure climatico?
Sappiamo che nell’emisfero nord il clima estivo ha praticamente quasi spazzato via il covid.
Ma non mi pare di ricordare che “ci sarà il picco, poi la discesa” lo dicessero basandosi sul fatto che sarebbe arrivato il caldo.
.. Anzi dicevano che la stagione non influiva (cosa poi rivelatasi falsa)
Comunque, il picco mi pare arrivato prima dell’arrivo del caldo .. forse qualcuno che si ricorda meglio di me puo’ correggermi.
Ora .. Spero di non dire una speranzata, ma non è considerabile nell’arco delle ipotesi possibili che stiamo assistendo al picco e che magari presto, nelle prossime settimane/giorni, la situazione epidemica si assesti per poi iniziare una discesa continua dei contagi?
Altra questione: Bergamo-Brescia. Ultimamente sui giornali ho trovato accenni al fatto che stavolta Milano è piu’ colpita e che si prevede che a Bergamo e Brescia ci saranno molti meno contagi rispetto alla prima ondata. Si diceva anche che c’è una sorta di “immunità diffusa”, proprio per il fatto che nelle due province il virus aveva colpito duro e probabilmente ora la stragrande maggioranza ha già “fatto il covid”.
Se cio’ venisse confermato, vorrebbe dire che una terza ondata (e quindi relativo ‘lockdown’/limitazioni) non ci potrà essere o sbaglio?
*** in realtà, dei ricoverati gravi o dei morti. Dato che numeri sui contagi a quanto pare non ce ne sono.
(1/2)
Una considerazione che m’è sorta, su fabbriche et simila (contesti coercitivi),
ovvero:
meno coercizione == piu’ salute
Delle volte, guardo al governo, e ai politici italiani in genereale, come ad
un “assembramento” di alieni: Sembrano gente che vive non solo fuori dalla
società, ma fuori dalla stessa mentalità umana.
Mi spiego:
Non siamo più a febbraio. Certe misure di “sicurezza” assurde, tipo #stateacasa
e coprifuochi danno l’impressione che chi governa questo paese non sappia che
anche noi (popolazione) siamo al corrente che c’è un virus là fuori.
A tratti pare che si fidino così poco di noi da pensare che cerchiamo l’
occasione per:
1) sputacchiare/farci sputacchiare in bocca, quando parliamo con sconosciuti
2) alitarci addosso e abbracciarci fra sconosciuti per strada
3) altri comportamenti insensati e autolesionistici e/o comportamenti
‘untoreggianti’
Dimenticano che:
1) ogni essere vivente è dotato di istinto di autoconservazione e soppravvivenza
2) gli esseri umani sono (in varie gradazioni) dotati di empatia e rispetto per il prossimo
Penso che tutta la popolazione, da febbraio/marzo, si sia sentita in ‘allerta’ e da
allora abbia gradualmente prestato sempre piu’ attenzione alle proprie azioni,
per tutelare la salute propria e altrui (sconosciuti e famigliari).
Quindi possiamo dire che in regime di libertà, l’essere umano tende a prestare
attenzione a salvaguardare se stesso, i propri famigliari e il prossimo.
(2/2)
Dove non è possibile questo? Nei luoghi di coercizione: Carceri, cpt, fabbriche.
Luoghi di repressione da sempre cari ai governanti e industriali (che influenzano le loro scelte).
Se sono in fabbrica, non ho modo di applicare quei principi di non contagio
(citati prima) come farei in situazioni libere. Sono in un ambiente che mi costringe
costantemente a rischiare (non solo la mia salute, ma anche quella dei miei famigliari),
un ambiente che non ha al centro il benessere di tutte persone, ma i profitti aziendali (di un ristretto
gruppo di (im)prenditori ).
Verissimo che “all’aperto è meglio che al chiuso”, ma il discorso è anche più ampio:
I momenti della giornata in cui viviamo fuori da contesti coercitivi e senza esser
soggetti al sopruso autoritario, non solo sono i momenti più belli della giornata
ma anche i piu’ sicuri dal punto di vista epidemiologico.
Nel mentre che vivo un momento in cui la gestione è in mano mia, ecco che sono al sicuro.
Nei momenti in cui sono “in mano” a un industriale, inizia il pericolo.
Idem quando sono “in mano” allo stato (carcere, cpt, lockdown*).
Questo è un dato di fatto.
Un governo che riduce i contesti liberi e impone contesti autoritari è un governo
che non ostacola l’epidemia: la aggrava.
Fra la popolazione e un governo autoritario, il miglior “epidemiologo”, è sicuramente la popolazione.
*col lockdown mi si limitano i luoghi e tempi in cui posso muovermi, convogliandomi in
contesti affollati dove, adottando tutte le precauzioni del mondo, è comunque piu’
probabile il contagio.
«Un governo che riduce i contesti liberi e impone contesti autoritari è un governo che non ostacola l’epidemia: la aggrava.»
Perfetto, per quanto mi riguarda.
Me lo tatuerei da qualche parte.
straquoto @Antigogna
se te lo fai davvero pics or didn’t happen ;) @wuming1
E’ indispensabile ribadire che non possiamo farci di nuovo chiudere in casa come a febbraio, senza poter uscire a passeggiare, un parco, una spiaggia, la riva di un fiume, un bosco. Anche chi è in cità, sì, deve poter prendere e uscire stando a distanza e non solo per fare la spesa. Siamo adulti, basta trattarci da bimbiminkia.
Non possiamo e non dobbiamo tornare quelli chiusi in casa con le spie ai balconi, anche perché non è nemmeno la peggior cosa proposta fin qui e una volta passata quella sarebbe facilissimo imporre di peggio: l’età o la razza o il genere come discrimine per avere una vita sociale, o il permesso di uscire quando si vuole, per poter decidere di se stessi.
https://www.lavoce.info/archives/70177/separare-giovani-e-anziani-per-scongiurare-il-lockdown/
metto il link perché mi fa schifo anche solo citare il “””””concetto””””” espresso da questo trio. E mi fa paura.
Io non penso proprio che ci si possa rassegnare “pacificamente” ( o incoscientemente) come è successo a marzo scorso a farsi blindare in casa. Se succedesse un’ altra volta sarebbe la fine di ogni sogno di ribellione. Equivarrebbe a mettersi le manette da soli. Legarsi al calorifero e morire di fame. Io non credo sia più possibile. Per puro ” istinto di sopravvivenza”, “qualcuno” avrà voglia, motivo, ragione per sfidare queste imposizioni schizofreniche e se a sinistra non si ascolterà questa sofferenza si innescherà un conflitto interno senza precedenti. La rabbia sarà incontrollabile. Le vetrine rotte finora cosa sono se non il sintomo di una sofferenza profonda? Di una violenza invisibile come quei pestaggi che non lasciano segni evidenti. Si può scaricare la colpa sui ” casseur” ma la verità è che bisogna essere morti dentro per non avere voglia di reagire a questo stato di cose, tanto più se ormai si ha la certezza che il poco che si poteva fare non è stato fatto per totale incapacità, per la mediocrità di una classe dirigente impresentabile. Ciò che prima sembrava, ai più ingenui, un improbabile aut aut ( morire in un modo o morire nell’altro) ora si concretizza materialmente.
Non mi vergogno ad ammettere che mi sono commosso ed ho provato sollievo quando, la prima sera di coprifuoco a Napoli, ho visto i video ..
con la folla che CARICAVA polizia e carabinieri,
camionette in fuga inseguite dalla gente.
Sollievo, perchè finalmente un chiaro messaggio di rigetto della logica del “lockdown all’italiana”.
Poi, video degli scontri a parte, c’era un corteo tranquillo e pacifico di, credo, almeno mille persone (o forse piu’).
Ci sono cose che mi han fatto storcere il naso, ad esempio i cori, pochi, monotoni e alcuni anche sospetti (fatti partire da un piccolo sottoinsieme dei manifestanti) come quello “noi siamo quelli che ‘non mollano mai’ ” (?!)
O anche i rapporti eccessivamente amichevoli fra una ‘frangia’ di esercenti e le fdo.
avevo scritto un commento più lungo (~ 3 volte oltre il limite) riguardo la manifestazione della prima notte di Napoli e (la notte successiva) la sceneggiata di fognanuova e fdo a Roma (i finti (in)seguimenti) poi replicata pari pari a Milano.
Onde evitare di postare troppi commenti troppo lunghi faccio un pastebin, il commento è qui: https://pastebin.com/vvF45Q2Y
Qua anche un articolo-resoconto che mi pare molto sensato e spazza via la propaganda di estrema destra fatta in questi giorni da giornali e min interno*
https://poterealpopolo.org/ero-in-piazza-a-napoli-e-vi-racconto-cosa-ho-visto/
*i fascisti a Roma a creare il pretesto del “problema di ordine pubblico”, il ministero poi fa comunicati dicendo che ci sono infiltrazioni di provocatori “anarchici, estrema destra, antagonisti” facendo il “panino” per imputare ad altri il ruolo svolto da fn.
Ho passato un pomeriggio da incubo. Seduta davanti al PC. Difficile da credere, ma oggi ho contato una sirena 9gbi 3-5 minuti. Tanto da credere di avere allucinazioni acustiche. Non lo si dice, apertamente. Ma la vita che scorre a valle della somma dell’ultimo DPCM e ordinanza Regione Campania è già di per sé un Lockdown. Niente più ritrovi con non congiunti se non nell’angustia delle case private…. Niente più allenamenti in piscina, che sono valvole di sicurezza per tanti corpi e spiriti. Devi dire che non riesco a non. Precigurarmi il già visto. Ma in quelle manifestazioni di persone che lavorano e difendono la vita ci credo e per quanto ho. Potuto, ho dato il mio contributo di presenza. Non ho paura del virus. Proprio non ci ties o. Di tutti quello che ci stanno togliendo in proiezione per i prossimi anni, si. Siamo Alka metafora dei dissennatori… Tutta la felicita sparita dal mondo. E per felicità i te di consapevolezza e riconoscimento del capire di certi scambi tra umani. Ora sono questi ad essere stati rasi al suolo. E in prisoettivw futura, immagino lo resteranno 9er un po’.
oggi strombszzavsno autisti di autobus turistici vuoti, sul corso Garibaldi, a Napoli. E io pensavo…. Che abbiamo ingoiato di tutto… Solo ieri pomeriggio, tornando a casa a piedi ho avuto la strada tagliata da un ratto in piena luce, in piena piazza, a pochi metri dalla colonna di auto nel traffico. Poi parlano di igienizzare/saniificare e qui siamo ancora a questo.
Però questo Stefanovirus è la reazione al medesimo stanno riuscendo persa uno a svegliarci dal sonno, in un posto di Sudditi. Fino allo scattare delle manette… Che ormai tutti, anche qui, percepisco diano per scontato. Eppure..
Infatti l’alternativa percorribile da qui a una settimana sopratutto nei grandi centri urbani è la guerra civile. Nel caso delle epidemie come nel caso della peste nera, del 300′ e del 500′ i tumulti erano all’ordine del giorno, non ci vedo nulla di male anzi sarebbe la miccia che innesca una rabbia profonda.
Annoto soltanto che c’è una bomba sociale (presente dagli anni 60′) che quella del movimento Ultras in Italia in cui orbitano 700 mila persone che da 8 mesi non vanno più allo stadio la domenica, se la miccia parte da li ed è molto probabile, la guerra civile potrebbe a mio avviso tramutarsi in qualcosa di molto pericoloso ed utilizzata da una certa politica a me molto lontana e legata all’estrema destra.
Questo enorme vuoto politico in un momento di crisi economica intercettarlo è estremamente semplice, come accadde nel 1929 e sappiamo tutti quello che successe dopo.
Scusa, Marco, ma quelle 700mila persone nella loro vita non sono solo ultrà (e tra l’altro, tocca precisarlo, non c’è nulla di aprioristicamente negativo nell’esserlo): sono lavoratori, disoccupati, studenti, figli, genitori e tante altre cose. Come noi tutte e tutti, si sono vissuti questa situazione in molteplici ruoli, per cui dubito fortemente che se alcune o molte di queste persone scendono/scenderanno in strada lo faranno perché «da 8 mesi non vanno allo stadio». Avranno le loro disperazioni e frustrazioni, legate anche al resto della loro vita. Cerchiamo di non assecondare stereotipi.
Attenzione anche alle espressioni usate, la «guerra civile» non implica solo riot, implica che da una parte c’è l’esercito e dall’altra la popolazione inerme, dire che «non ci si vede nulla di male» mi sembra come minimo inappropriato.
Certo Roberto assolutamente non volevo generalizzare, ma più che altro dire come hai ben detto in altri commenti che il vuoto generale di una parte del mondo ultras (anche io andavo allo stadio la domenica ed era un collante sociale che nel caso di Macerata ha tenuto unite molte generazioni contro forme di devianza molto peggiori; però ad esempio sono 10 anni che non vado a vedere l’Inter a Milano dopo aver assistito davanti ai miei occhi a 2 assalti squadristi in stile fascista/ignoranza contro gente come me che andava a vedere una partita di calcio).
Non volevo dire che all’interno della “guerra civile” ci siano solo frange estremiste di entrambi gli schieramenti o ultras, il malcontento della popolazione (commercianti, baristi, camerieri, riders, docenti,parrucchieri, cinema, teatri, lavoratori dello spettacolo, taxisti, hotel, ristoranti ecc..) è generalizzato e non assume carattere politico (per il momento), ma non mi stupirei più di tanto se Salvini o quelli più a destra di lui riescano ad intercettare questo vuoto enorme.
Marco, ” centrifugare il cervello” non era rivolto a te. Chi lavora in ospedale è sottoposto a pressioni anche più forti delle nostre che sono, principalmente, mediatiche. Hanno bisogno di sviluppare meccanismi di difesa per evitare il burnout. E dobbiamo cercare di farlo anche noi. Reagire alle pressioni esercitando pressione, sul sistema e non sui singoli. Io alla favola della responsabilità individuale non ci credo e non ci ho proprio mai creduto nella vita. Il mio punto di vista già lo ho espresso qui. Si allinea con le posizioni di AlexJC, con i dubbi seminati per mesi da Robydoc,con la posizione ” ufficiale” del blog, con quella di tanti singoli lettori come Mandragola, Violet ecc. Faccio fatica ad entrare continuamente nei dettagli di ogni singola questione perché richiede uno sforzo enorme. Del resto semplificazioni e generalizzazioni portano immediatamente ad affrontare discorsi sui massimi sistemi in modo del tutto astratto. Non fa per me. Ho bisogno di concretezza. Io in questo momento aspetto solo una risposta, quella della piazza. Poi si vedrà.
Avviso ai naviganti.
Abbiamo raggiunto quota 247 commenti per il primo post sulla seconda ondata.
Il secondo post, cioè questo, è già a 180.
Noi siamo tre. E abbiamo i nostri bei guai. Lo tsunami di merda che sta travolgendo il paese non ci grazierà, ovviamente, perché non siamo alla finestra a commentare questa o quella cosa, per affermare una qualche nostra ragione su quelle degli altri o fare i fighi. Siamo in mezzo a tutti quanti a barcamenarci per sfangarla. Forse è chiaro, forse no, le apparenze di un blog possono ingannare. Quindi meglio dirlo chiaro e tondo.
Noi non siamo autori che vanno in Tv, si sa. I nostri libri li abbiamo sempre presentati macinando chilometri. Da marzo non possiamo più farlo, salvo rare eccezioni che siamo riusciti a infilare tra le maglie dei dpcm. Non possiamo promuovere il nostro lavoro, ovvero non possiamo svolgerne una parte importante, fondamentale. E chissà se e quando potremo tornare a farlo. Siamo lavoratori della cultura, il settore che è saltato per primo, e senza nemmeno la possibilità di quantificare il danno economico che ci viene inflitto.
Noi siamo tre, ma in realtà siamo di più. Come scrive il mio socio, abbiamo genitori, compagne e figli che stanno inguaiati in questa palude tanto quanto. E non siamo più dei ragazzini.
Questo per dire che è facile che molto presto i commenti a quanto accade passino in secondo piano rispetto a….quanto accade.
Good night and good luck.
non ce la faccio a scrivere un commento più lungo di
vi abbraccerei tutti quanti, altro non so che fare.
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Per me però questo spazio e voi che lo mettete a disposizione siete un punto fermo…in movimento. Mi spiego. I commenti che si succedono con ritmo abbastanza frenetico sono lo specchio della realtà confusa, ma personalmente trovo incredibilmente utile leggerli per non fossilizzarmi su una convinzione, per fugare qualche dubbio o farmene instillare di nuovi.
Anche se non mi muovo con disinvoltura tra grafici e percentuali leggo con passione i posts di coloro che li citano e offrono la propria chiave interpretativa. Questo continuo ragionamento collettivo, che necessariamente non può che divagare di tanto in tanto, è un ottimo anticorpo contro l’appiattimento verso le due posizioni dominanti che vedono schierati prudenti e coscienziosi contro negazionisti.
Odio il termine inglese che sta ad indicare la reclusione domestica. Non lo ho mai scritto nè pronunciato. Chi lo ha introdotto per la prima volta? Sembra presentare in modo cool un affastellamento di disposizioni e misure, alcune pure condivisibili, altre illogiche e meramente punitive. Forse WM1 parlava in un suo commento di “umiliazione” a proposito delle autocertificazioni.
Condivido in pieno. Tra l’altro ho perso Il passaggio che ha tramutato una modalità introdotta nel 2000 per semplificare le procedure amministrative e improntare il rapporto cittadino /P.A. a criteri di efficienza ed economicità ad un indefinito strumento di carattere sanitario. Attraverso l’autocertificazione dichiaro, sotto la mia responsabilità, di possedere un determinato requisito (un titolo di studio ad esempio) nell’ambito di un procedimento amministrativo onde evitare di dover produrre documentazione che la pubblica amministrazione già possiede. Da Marzo scorso invece abbiano scoperto che posso, anzi devo, autocertificare, se richiesto, che sto andando in farmacia o a comprare il pane, ovvero fatti e circostanze ignoti alla P.A.
Perdonate l’uscita dal seminato della discussione che verte su altro tema, ma anche quelle che possono apparire bazzecole rappresentano per me la spia di uno sviamento dal vero focus dell’emergenza a favore di azioni teatrali, ma inutili.
Per provare a fare accadere cose, mi permetto di offrire un punto di vista e un breve esercizio ludico in previsione di eventuali arresti domiciliari di massa. E` in riferimento al nodo logistica a cui WM1 accennava sopra: per ricompattare questo settore e intervenire politicamente sulla distribuzione merci a mio parere ci vorrebbe un vero e proprio miracolo; negli ultimi dieci/quindici anni, probabilmente in maniera strategica, il comparto ha subito un’atomizzazzione selvaggia e implacabile. Non conosco benissimo la situazione in Italia anche se l’ho frequentata, o nel resto d’Europa, ma per farsi un idea abbastanza precisa dei meccanismi operanti all’interno di uno di quest hub (centri smistamento merci) e del livello di intimidazione che il lavoratore subisce, purtroppo passivamente, per esempio in UK, basterebbe (esercizio ludico) guardarsi l’ultimo Ken Loach di «Sorry We Missed You». Consigliatissimo, davvero, a chiunquenon l’acesse gia` visto e avesse bisogno di ulteriori motivazioni per (e qui faccio un appello) boicottare Amazon et all, nonche` assolutamente evitare consegne a domicilio dove non strettamente necessario. Pardon.
Dude l’unica via è quella proposta da te, ovvero il boicottaggio totale dei reseller online e in parte lo facciamo da qualche anno tutti, dopo una maggiore consapevolezza degli effetti negativi e ricadute a livello occupazionale ed economiche, in particolare chiusura di negozi di prossimità innescate da 20 anni di aperture selvagge di centri commerciali nei distretti industriali.
Ma penso che già sia impossibile frenare la deriva del nuovo capitalismo online ai dani della nostra società postindustriale, pocihè è presente h24, 7 giorni su 7 sugli smartphone e pc (che tutti noi abbiamo), con pubblicità in tv, pubblicità online, che sponsorizzano ed incitano le generazioni Millenians e X a far diventare la prassi e la normalità la compravendita di qualsiasi cosa tramite canali online.
Tolti alcuni comportamenti virtuosi di “meteore” che ancora cercano di andare in negozi fisici, come molti di noi, ci sono l’80% delle persone mondiali che si stanno abituando inesorabilmente alla comodità di ricevere a casa qualsiasi cosa, con l’inganno/ricatto del cambiamento climatico inesorabile e del TUO comportamento virtuoso che deve essere il meno mobile possibile.
Se inoltre hai la disponibilità economica, quindi ricco, puoi permetterti questa transizione ecologica e inoltre se fai la dichiarazione dei redditi lo Stato ti rifà pure la casa ecosostenibile, con pannelli solari e colonnine elettriche dentro il tuo garage con la tua macchina ibrida a 30-40 mila euro(chi ha un garage?)! :)
Cioè ieri in tv è stato fatto passare l’ennesimo spot di Amazon, in cui il ragazzo diceva che riusciva a mandare avanti lui e la sorella invalida grazie alla magnanimità, il ricatto e la bellezza di lavorare all’interno di un Hub Amazon, senza sapere minimamente chiedersi cosa ci sia dietro.
A me sembra molto un rilancio a poker, senza avere le carte vincenti in mano.
@paololiu e @nonsochenickusare TAX THE RICH: Che le industrie smettano di lucrare, a sbafo, sulla scuola pubblica:
rispondo in “ANSI C” anzichè in Assembly ;D (scherzo eh!)
[Rispondo qui, siccome nel thread non riesco]
(1/2)
Condivido l’idea di fondo: “Una protesta decisa e civile che, partendo dagli insegnanti, coinvolga tutta la Puglia potrebbe coinvolgere tutto il sud del paese. Non siamo ancora ‘tornati in lockdown’ e quindi ora è ancora possibile agire. Il governo italiano e le istituzioni europee sarebbero costrette ad ascoltare, anche per via delle peculiarità strategiche (industrie dell’energia) e finanziarie (finaniamenti europei) della Puglia.”
non capisco la questione “dirigenziale” (siccome non sono insegnante, forse è riferito a mansioni aggiuntive, svolte in ‘epoca epidemica’ ?)
salari: secondo me fate un errore entrambi, paololiu con il “quasi proletari” (nel senso: poco maggiori della paga dell’operaio) e nonsochenickusare che (mi pare) li consideri ‘troppo alti’ perchè l’operaio prende tot.
I salari vanno aumentati *tutti*: sia degli operai che degli insegnanti.
Ci vogliono +TASSE su ricchi e industriali !! Gli industriali rubano direttamente agli operai, dando salari bassi, ma anche agli insegnanti: infatti le politiche economiche che favoriscono gli industriali portano sempre a un taglio della spesa pubblia sulla scuola.
E non è vero che la scuola serve ‘solo’ al popolo: i soldi che lo stato (soldi di tutti) spende per la scuola, alla fine tornano in mano all’industriale!
L’industriale lucra, a sbafo, sulla scuola: Tutti ci mettiamo i soldi, ma quel sapere poi viene, quasi sempre, ‘sperperato’ impiegandolo nelle industrie.
–>
(2/2)
Uno va a scuola, alle superiori, all’università … e poi tutti quegli sforzi vengono gettati via .. regalati all’industria .. impiegati NON per il benessere sociale, ma CONTRO di esso. Non per tutti, ma per muovere gli ingranaggi dell’industria, macchinario che arricchisce i soliti pochi e impoverisce tutti gli altri. Una cosa che dovrebbe dar da ragionare, a quei politicanti che straparlavano di “con la cultura non si mangia” .. beh le industrie l’istruzione se la magnano eccome! il famoso “know-how” aziendale, la ‘formazione’ .. tutto fatto di persone (sfruttate dall’industria) che contribuiscono al “meccanismo industria”. L’industria sfrutta i dipendenti e usufruisce a sbafo dell’educazione pubblica dei propri dipendenti, non restituendo niente (a parte inquinameno, incidenti sul lavoro ..) alla collettività!
TAX THE RICH! Che la crisi la paghino i ricchi (e restituiscano anche il maltolto)
Offtopic: Comunque AI e motori di ricerca semantici sono una grossa parte del problema “Capitalismo della sorveglianza”, ogni granello di sabbia immesso in quell’ingranaggio è sempre utile.
No, io non li considero troppo alti. Ci mancherebbe altro. Solo mi sono stancato di certa retorica che vuole gli insegnanti avere “stipendi da fame”. Oggi come oggi, al Sud soprattutto, ma ormai in tutta Italia, quei soldi in tantissimi se li sognano: se li sogna l’operaio, se li sogna chi lavora in nero, se li sogna la partita iva “costretta” a essere partita iva (coi vari regimi dei minimi o altro) che lavora a cottimo e deve pagarci su l’inps, se li sognano l’operatore della cultura, il barista, il negoziante, il commesso ecc. Nessuno parla mai di cosa accade nel mondo del lavoro al Sud, a Roma, in tanti consessi, dove (l’ho già scritto) i lavoratori devono restituire parte della busta paga al datore di lavoro, dove intere aziende lavorano in nero, pagano a settimana, e meno di 5 euro all’ora, i part-time pagati come part-time ma che sono dei full-time ecc.
A volte, spiace dirlo, ma sembra che in molti non abbiano la minima idea di cosa accade “lì fuori”.
@NonSoCheNickUsare A me è successo qualcosa di simile quest’estate, l’ho vissuto sulla mia pelle. Per 4 mesi dopo il lockdown ho lavorato in un albergo-ristorante di montagna per 15 ore al giorno, tutti i giorni, a 4.50€ l’ora, totalmente in nero tranne la domenica, ho accettato perchè non avevo alternative per pagare le bollette della casa e non avevo soldi da parte.
Poi quando sento la pubblicità che passano alla Radio su “Marche bellezza infinita” e sull’accoglienza dei rifugi di montagna dei Sibillini, incomincio a bestemmiare come un matto.
Non è un caso sporadico, è un sistema molto complesso centrato sull’evasione fiscale e sullo sfruttamento del lavoratore, che ha l’obiettivo di far arricchire soltanto il proprietario, il quale l’ho mandato garbatamente a fare in culo dopo ferragosto.
Entro in scivolata in questa discussione e spero di non beccarmi un cartellino giallo se mi azzardo a dire che, considerando l’epocale occasione e il ruolo fondamentale la categoria degli insegnanti gioca nella costruzione del futuro di tutti noi, potrebbe essere propizio avanzare/rendere popolari idee differenti, che si allontanino dall’affannoso e (diciamocelo) storicamente inconcludente rincorrere la sfera del miglioramento delle condizioni salariali. A me pare che cominciare proprio dalla scuola, magari proprio a livello regionale, da questo luogo cardinale, a gridare che il lavoro manuale ed intellettuale degli insegnanti e sopratutto degli alunni non e` una merce e che la scuola non e` un esercizio commerciale o luogo di produzione che si puo` con sobrieta` chiudere o rilocalizzare virtualmente, potrebbe forse cominciare a scardinare certe logiche liberiste avanzandone altre libertarie. Per citare un famoso album degli anni ‘70 « Free Your Mind… and Your Ass Will Follow».
Confindustria detta la linea, Ichino ci mette il timbro accademico, Agnelli diffonde con i suoi giornali: la società si divida tra produttivi e improduttivi.
Oggi IPSI pubblica lo studio “DATAVIRUS: il lockdown per gli anziani può servire?”
Qualcosa di aberrante a mio avviso, un chiaro messaggio due giorni dopo lo studio di Ichino che lo stesso Istituto cita (“Qualcosa di simile è stato scritto, con un bel modello alle spalle, da @carloafavero, Andrea Ichino e Aldo Rustichini (ora anche su @lavoceinfo)).
All’ISPI ci sono sicuramente bravissimi e preparatissimi ricercatori, ma
– se la premessa è “che ogni nuovo lockdown mette a rischio la stabilità finanziaria e, in poche parole, il futuro del nostro Paese”,
– se il terzo tra i risultati raggiungibili indicati è che sarebbe garantita la mobilità al 91% della forza lavoro,
allora il dubbio si pone.
Ma oggi non se ne parla di questo studio. Su twitter, dove sapete bene come sia difficile che una notizia rilanciata dai princiapli media mainstream passi inosservata, tutto tace.
Che ISPI effettui altri studi -come quelli sull’immigrazione- che sono spesso citati per contrastare la propaganda xenofoba e populista, non credo sia una ragione sufficiente per segnalare la pericolosita di quello che hanno rilasciato oggi.
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/datavirus-il-lockdown-gli-anziani-puo-servire-28032?fbclid=IwAR243yMD7ZYSWrUcZVjB_J44dq50JYLqQG4MRcsmu1kx1d_cP45vRgrKeYA
Ma io non credo che – con le terapie intensive piene e il SSN allo sbando – ci siano soluzioni diverse dal lockdown. E non servono evidenze scientifiche. Si tratta di una ovvietà. Se si riducono i contatti interumani si riduce anche il contagio. Se metto in isolamento tutti il tasso di contagio va a zero.
Il punto però non è questo, credo.
Si tratta di capire cosa si poteva fare e non si è fatto. Come tutto ciò stia devastando ulteriormente la nostra società. Come si stiano inasprendo le diseguaglianze, come la politica, i governanti non abbiano alcuna capacità di previsione, nessun obiettivo a medio e lungo termine.
Non è solo questo il punto, NSCNU. Una cosa che incessantemente facciamo notare, da marzo, è che «il lockdown» – termine con cui fino all’anno scorso si intendeva: fermare gli spostamenti in entrata e uscita da uno specifico luogo o territorio – è diventato quasi subito un’espressione falsante. Quando si afferma all’improvviso nel discorso pubblico italiano un lemma inglese che prima nessuno usava, di solito c’è da sospettare.
«Il lockdown» fa pensare che si stia parlando di *una* cosa mentre c’è una molteplicità di scelte possibili su spazi, tempi, interazioni umane, comportamenti ecc. E infatti non c’è un paese che abbia fatto «un lockdown» uguale agli altri. Ad esempio, in alcuni paesi durante «il lockdown» si poteva uscire di casa, erano consentiti incontri con certi limiti, si poteva passeggiare da soli ecc. Da noi ti inseguivano coi droni in mezzo ai boschi.
Io chiedo e vorrei che tutti chiedessero: «Il lockdown» cos’è? Di nuovo gli arresti domiciliari di massa? È di nuovo #iorestoacasa? Perché queste cose non sono affatto la stessa cosa, anche se il nostro discorso pubblico fa finta lo siano.
Dopodiché, «se metto in isolamento tutti il tasso di contagio va a zero» sarà anche un’ovvietà, ma è anche:
1) un’impossibilità, perché anche la volta scorsa metà della popolazione ha continuato a uscire per lavorare e poter mantenere/sostenere l’altra metà che non poteva uscire, e sarà così anche adesso;
2) un orrore, perché se «metto in isolamento tutti» avrò un moltiplicarsi di pandemie: a quella di covid si aggiungeranno quella di malessere mentale, quella di patologie fisiche aggravate dall’isolamento, quella di violenze domestiche ecc. Non solo la salute è qualcosa di più che non prendersi il Covid, ma la vita stessa è molto di più che non prendersi il Covid.
Ecco, come si vede, le porzioni di realtà nascoste dalla frase «ormai si può solo fare “il lockdown”» sono tantissime.
Volevo distinguere i due piani, quello epidemiologico in senso stretto, e quello politico. Correttamente tu mi fai notare che i due piani sono più che connessi. Ma la mia intenzione era tenerli distinti nella nostra discussione.
Non ci sono tante ricette su cosa chiudere e cosa tenere aperto, arrivati al punto in cui siamo. Scuola sì/scuola no? Sarebbe bello discuterne, ma la scuola verrà chiusa, è già stata chiusa in alcune Regioni, Secondarie e Università sono quasi chiuse in tutta Italia. Non sono in grado di stabilire se, epidemiologicamente parlando, questa sia una scelta corretta. So che si poteva fare in modo che la scuola fosse un ambiente sicuro e non lo si è fatto. Ovvero solo sono in grado di capire se le scelte politiche fatte negli ultimi sessanta anni sono corrette o meno.
La quarantena/lockdown/reclusione è la conseguenza ormai naturale di una serie di scelte sbagliate, di fronte a un virus spesso letale che si trasmette per via aerea. Se la prima volta potevano esserci degli alibi, oggi non ce ne sono. Nessuno pretendeva che si correggessero decenni di politiche errate, ma si sarebbe potuto e dovuto cominciare a mirare le deficienze della nostra società, a cominciare da istruzione, cultura e ambiente.
Se è per questo, di alibi ce ne sono a vagonate. Hanno lavorato praticamente solo a quello fin da marzo, aizzando le masse contro i vari capri espiatori.
Ma stavolta sarà peggio, perché fra due mesi c’è gennaio, non maggio. E di fronte a risultati che potrebbero essere inferiori alle aspettative, la gente non analizzerà certo la situazione con lucidità. La gente perderà la testa. Io lo temo veramente il sacrificio umano, ma dall’altra parte. Come a Genova nel 2001, per capirsi.
Magari arriverà una vittoria di Bartali a riportare il sereno. Cioè, non proprio di Bartali, che è morto. Ma in effetti neanche di altri, se non ci sono eventi sportivi. Vabbe’, allora arriverà un concerto di James Brown. Cioè, non proprio di James Brown, che è morto. Ma in effetti neanche di altri, se non ci sono spettacoli dal vivo. OK, siamo nella merda.
Ciao NSCNU. Sgombriamo il campo: scrivi bene ed in maniera chiara e comprensibile.
“la scuola verrà chiusa, è già stata chiusa in alcune Regioni”
“Non sono in grado di stabilire se, epidemiologicamente parlando, questa sia una scelta corretta”
Anche io non sono in grado di stabilire se sia la scelta corretta per rallentare la pandemia, perché solo di questo si tratta, in assenza di dati sul contagio nelle scuole e sapendo che il problema sono i trasporti. Ma sono invece sicura che sia una scelta sbagliata ed estremamente costosa in termini umani, sociali e culturali.
“La quarantena/lockdown/reclusione è la conseguenza ormai naturale di una serie di scelte sbagliate”. Per me, come ha scritto anche Mandragola, è inaccettabile ripetere l’ esperienza di marzo. È giusto contestualizzare la definizione di ” lockdown”, come chiedeva di fare Wu Ming 1. La totale privazione della libertà di fare una passeggiata perfino da soli. Non si può essere disposti ad accettare nuovamente questo ” compromesso” per ” fermare il virus”. Noi stiamo già facendo quanto è in nostro potere, evitare soluzioni autoritarie piuttosto che sanitarie spetta alla politica. Non c’è nulla di inevitabile. Mai. A meno che non lo si voglia.
“E onestamente mi pare evidente che meno ci si tocca, avvicina, sfiora, più si sta in casa, meno contagi ci sono” Mai possibile che nel 2020 si sia ridotti ad adottare misure medievali per affrontare la pandemia?!!! Stiamo rinunciando a chiedere ed ottenere misure di sicurezza, protezione e contenimento che riguardino la prevenzione e l’organizzazione della sanità? Accettare la soluzione più drastica e dolorosa significa cancellare con un colpo di spugna le responsabilità della politica. No. Io non ci sto proprio. ” A me nun me sta bene che no”
Quando dico che “scrivo male” non è per farmi fare i complimenti. Tutt’altro: è che, sul serio, voglio dire una cosa diversa da quella che avete capito in tre, e adesso credo quattro.
Quindi mi spiego male. Non c’è dubbio.
Io voglio dire che, a questo punto, vista la miopia (quasi cecità) dei governanti – a tutti i livelli: Stato, Regioni, Comuni, Potentati vari – al punto in cui siamo, il Governo metterà in atto un lockdown entro una settimana. In questo senso è inevitabile, perché questa gente NON ha altre risposte se non i rimedi medievali, come li chiami tu, Filo a piombo. E, al punto in cui siamo, non c’è più granche da scegliere. Si poteva immaginare uno scenario diverso a giugno. Si corre sempre dietro alle crisi e ai problemi, e non ci rendiamo conto che siamo davanti a una crisi ben peggiore di questa (che cesserà entro un anno circa), con peggiori implicazioni. Nessuno fra quanti sono al potere sembra avere una vaga idea di come sarà il Mondo fra 10 anni – a prescindere dal Covid19. La colpa è chiaramente collettiva, anche se ognuno di noi se ne tira fuori, perché chi non ha fatto è meno colpevole di chi ha fatto male. Ma è una responsabilità di tutti.
Ok. E poi? Che facciamo? Andiamo avanti alternando aperture e chiusure finché il virus non avrà la bontà di lasciarci in pace? Alterniamo ondate di morti a periodi di letargo? Come prevedeva un famoso modello, dell’ Imperial College, mi pare. Nel frattempo aspettiamo che la nostra vita venga devastata da questa ritmica straziante. È questa la “nuova normalità” che vogliamo offrire ai bambini? Perché questo virus potrebbe circolare per parecchio tempo. E tutte le esperienze “mancate”, tutti i deficit di apprendimento ( che si tradurranno facilmente in deficit cognitivi), tutta la paura instillata goccia a goccia nelle nuove generazioni come le sconteranno? Che danni produce/produrrà, non quantificabili, nella nostra vita questa gestione della pandemia? Per cosa? Per bloccare l’ espansione della pandemia una settimana sì e l’ altra no? Senza cambiare niente? Che cosa stiamo trasmettendo alle nuove generazioni? Che cosa?
Non sono d’accordo…affermare che non “ ci siano soluzioni diverse dal l****” ( scusate, non riesco a scriverlo, mi provoca l’orticaria) per me equivale a mandare in vacca mesi e mesi di discussioni, arzigogolii della mente forse in certi frangenti, ma sempre tesi a non appiattirsi a quella che sembra ormai una fede, più che una soluzione. Ciò che più mi irrita è che dentro l’innominabile andranno a finire, come a primavera, delle assurde ed insopportabili coercizioni. Anche io conosco medici ed infermieri, ho colleghi e parenti positivi, sento discorsi catastrofisti, ma cerco di ragionare trascendendo dall’esperienza personale e dall’emotività.
E ad una conclusione credo di essere giunta: il Covid corre più veloce di noi e, poste le responsabilità già ben evidenziate qui su Giap, affermare che gli arresti domiciliari siano la soluzione per me è inaccettabile. L’art. 32 della Costituzione che ormai si invoca ad ogni piè sospinto non tutela la salute intesa come salvezza dal Covid, ma come un valore molto più complesso e sfaccettato. La risposta non è una apnea di mesi, è una strategia chirurgica e mirata che nessuno è stato in grado di predisporre. Se ripiomberemo nella stessa assurda situazione di Marzo- Aprile a Gennaio 2021 ci sarà il terzo giro. Non fermeremo così la pandemia.
Mandragola, io scrivo male, me ne rendo conto. E quello che scrivo non è chiarissimo. Purtroppo è disabitudine alla scrittura…
Rispondevo a Filo, che si domandava se ci fossero evidenze scientifiche a favore del lockdown e delle varie chiusure. E onestamente mi pare evidente che meno ci si tocca, avvicina, sfiora, più si sta in casa, meno contagi ci sono. Tutto qui. Sarebbe bello avere una competenza specifica, e poter dire di più – mi riferisco a me, che non ho mai neanche aperto un testo di medicina.
Per esempio, a logica, mi viene da pensare che:
– i famosi untori asintomatici non sono il male del Mondo, in quanto 1) si immunizzano e quindi “bloccano” i contagi; 2) trasmettono ceppi virali meno pericolosi;
– se il punto due ha qualche senso, e pensando a Darwin, immagino che questa seconda ondata sia meno pericolosa (meno mortale) perché i ceppi che attaccano i polmoni hanno avuto meno possibilità di proliferare, perché con sintomi evidenti i contagiati sono stati isolati, o sono purtroppo morti, e quindi il virus si sta “evolvendo” per essere più associativo con l’essere umano. Un po’ come la Spagnola, che mi pare essere uno dei tre ceppi di influenza che gira ogni anno.
Ma, e lo riscrivo maiuscolo, MA mi sento un cretino a scrivere queste cose, perché non ho alcuna competenza e preparazione.
NSCNU…hai frainteso! Intendevo dire che non riesco a scrivere il termine L*****. Come ho spiegato in qualche altro commento non lo ho mai pronunciato nè scritto. Non alludevo minimamente al tuo stile di scrittura. Non mi permetterei mai e ad ogni modo davvero io ho notato solo il senso delle tue parole e ho espresso il mio disappunto per il concetto che mi sembrava di aver colto. Per me la chiusura totale ( è la stessa cosa, ma così riesco a scriverla) è un abominio, perché non serve, è umiliante per la dignità delle persone ed è una categoria calderone in un cui si fanno rientrare misure utili ( forse) e misure totalmente illogiche.
A proposito del fatto che “ tra due mesi c’è gennaio e non Maggio”, come fa notare Isver, perché non considerare un approccio differente anziché bollare subito come fosse un’ eresia ogni proposta che non sia chiusura e similari?
https://science.sciencemag.org/content/early/2020/10/27/science.abd7728
Questo articolo pubblicato su Science analizza I risultati di uno studio su un consistente numero di soggetti. Lo trovo molto interessante perché affronta il tema della presenza e della persistenza di anticorpi generati dalla risposta immunitaria al Sars-Cov che è cruciale nella gestione della pandemia. Si tratta di un argomento che suscita in me forte interesse perché mi pare di capire che anche su questo sia in corso una lotta tra fazioni contrapposte. Chi tifa per il confinamento delle persone sostiene che il concetto di immunità di gregge sia inapplicabile nel caso di specie, che l’unico modo per conseguirla sarebbe la somministrazione su vasta scala di un vaccino. Eppure pare che dalle parti di Bergamo e Brescia si sia creata una sorta di “bolla”. Non ho le competenze per esprimermi, ma qualche dubbio che molti pareri non siano scevri da strumentalizzazioni mi viene.
«…porzioni di realtà nascoste…» Chiedo scusa in anticipo se qualcuno dovesse trovare le mie parole troppo…
Chi non ha mai pensato o esclamato che bell*, ammirando i propri figli, amanti, genitori, animali domestici, opere d’arte? E in quanti invece se la sentono di poter definire questo virus, “bello”?
Forse puo` aiutare il pensare che cio` che e` in atto e` uno svelamento improvviso di cio` che comunemente definiamo come realta`, principio inconoscibile. Nonche` un radicale rovesciamento di ruoli tra natura ed essere umano. Ed e` questo che destabilizza in maniera cosi` trasversale e angosciante. C’e` un sacco di pragmatismo in giro ma poca riflessione spirituale e filosofica. Riflessione che dovrebbe riguardare in primo luogo il ruolo che la nostra specie ha giocato negli ultimi 500 anni (mezzo millennio); in questo lungo (per noi) ma allo stesso tempo infinitamente breve (per il virus) periodo abbiamo agito tutti in maniera da portare all’esasperazione il conflitto tra natura e arte (nel senso Aristotelico della parola) iniziato piu` o meno con Descartes.
Emergenza vista quindi come un opportunita` (probabilmente unica) per tentare di riequilibrare la situazione e risolvere quel conflitto? Quanti invece interpretano l’evento come una minaccia alla salute/economia/proliferazione della specie? Lasciando da parte soltanto per un nanosecondo le responsabilita` politiche e strutturali, evidenti e innegabili, di una classe dirigente da sempre guerrafondaia e criminale, mi permetto di suggerire che e` sopratutto a livello individuale, prima e collettivo, poi che questa emergenza va affrontata. Guardando in faccia il vero conflitto che sta` alla base del problema, quello, ripeto, tra uomo e natura. Affidandosi piu` alla filosofia che ai sistemi tecnico-scientifici. Se non altro perche`, a mio parere, sopratutto per i figli e i bambini di oggi, quello di una deriva politica mistico-autoritaria, sembra rappresentare il rischio minore. Spero di non essere stato troppo…
Chiudo l’intervento con un detto tibetano` che spero porti sollievo: «La brutta notizia è che stai cadendo nel vuoto, niente a cui aggrapparsi, nessun paracadute. La bella notizia è che non c’è alcun suolo.»
Guarda Dude, scusa, le intenzioni sono molto buone ma credo che qui siamo in molti a sapere che la causa reale di questa situazione sia nel rapporto di sfruttamento dell’ ecosistema. Ma ridurre la questione in termini metafisici al rapporto uomo/ natura va bene solo se per “uomo” si intende “società capitalista”. Altrimenti io non ci sto ad accolllarmi le responsabilità di una economia che cerco, comunque, nel mio piccolo di combattere tutti i giorni. Come fanno in molti qui. Anche se mi sembra davvero ingenuo pensare che dipenda tutto da noi. Si, dipende tutto da noi, ma in termini di reazione ai soprusi e alle ingiustizie e non solo di cambiamento delle abitudini di consumo. Noi non siamo solo ” consumatori”. Siamo esseri viventi che possono prendere decisioni anche fuori dal perimetro tracciato dal consumismo. Perché questo non basta. Come non basta adeguarsi passivamente a questa situazione. Il virus non passerà da solo e, nel frattempo, dobbiamo vivere. E non è solo meramente una questione di biologica sopravvivenza. Imparare a convivere con questo virus significa fare pressioni sul sistema. Non basta liberarsi da questa classe dirigente, come auspicava Marcello, bisogna cambiare il modello capitalista. Ma ora, nello specifico, accettare nuove o vecchie chiusure all’italiana, per molti può essere una strategia per evitare il collasso degli ospedali, per altri equivale alla morte civile. Con conseguenze, al momento, incalcolabili. Possiamo spostare il focus dal virus al “resto del mondo”? Oppure saremo condannati per il resto dei nostri giorni a vedere il derby ” fede/ “ragione””. Che si abbassino i contagi è una conseguenza logica del blocco della circolazione. E poi?!….Se anche qui su Giap è passata l’ idea che la chiusura sia l’ unica soluzione per sconfiggere il virus, significa che c’è qualcosa che non va. Qui stiamo criticando la gestione dell’emergenza, non siamo deputati a trovare soluzioni anche se, francamente, il mio cane avrebbe saputo fare meglio di questi pagliacci. Forse perché è anticapitalista di natura.
Ciao F, ovviamente sono stato troppo…: non parlo in termini metafisici, tutt’altro`. Ho provato, ovviamente fallendo, ad ipotizzare, che quello che sta` accadendo riguarda proprio la sfera della fisica: cio` che manca e` il paradigma necessario per interpretare questa realta` che va` modificandosi. L’esperienza di tutti i giorni ci sta` mettendo tutti davanti ad uno specchio; cio` che vediamo riflesso pero` non e`, a oggi, un concetto razionale, o pelomeno non lo e` per la stragrande maggioranza della popolazione mondiale’. Qui` credo siamo tutti daccordo sul fatto che il pianeta su cui camminiamo sia terreno di proprieta` collettiva. Pero`, pero`, prima di scendere in piazza a farci umiliare dalla forza bruta della violenza di stato sarebbe forse utile tornare a riflettere per esempio sul concetto di reciprocita`, che non riguarda esclusivamente la politica economica e non e` nemmeno un astrazione, ma un sistema relazionale imprescindibile, che pero` richiede, in questo momento, una revisione, di essere esteso al non-umano. E questo e` muy problematico. Purtroppo pero`, a mio parere, e` anche essenziale. Cerco di spiegarmi: solo sforzandoci di comprendere (e facilitare la comprensione) che il processo attraverso il quale partecipiamo alla vita su questo pianeta e` un processo metabolico, che nutre una comunita` fatta anche di “esseri” non-umani che hanno “agency” (fatico a trovare termini appropriati, scusa) riusciremo a smettere di veder e trattare l’altro come oggetto. Un esempio: quando una comunita` indigena si oppone alla costruzione di un oleodotto sul territorio perche` violerebbe i “diritti” dei loro avi, turbando un equilibrio esistente da millenni, quella rivendicazione, ha un valore che, a mio parere, dovrebbe diventare assoluto, parte di un esperienza collettiva, informare le nostre azioni, ma che non ha nulla a che fare con la religione. Se ci viene chiesto di barricarci in casa per proteggere l’altro, la comunita`, e` essenziale chiedersi chi sia quest’altro, chi (e cosa) fa` parte di questa comunita`?
Ciao dude,
a me piacciono i tuoi commenti e il punto di vista che mi sembra di leggere anche un po’ tra le righe, anche se a volte faccio fatica a interpretarlo e a seguire tutti i riferimenti – non so chi sia Descartes e anche sull’arte in senso aristotelico ho qualche difficoltà – :-)
Sicuramente sono d’accordo sul fatto che sarebbe un grande miglioramento (indipendentemente dalla questione virus) se come umanità iniziassimo ad essere meno antropocentrici e fossimo più consapevoli di essere parte di un insieme di relazioni interconesse, non solo fra di noi umani (e già questo sarebbe epocale) ma anche proprio a livello di ecosistema di ecosistemi, di mondo, di “manifestazione”.
Un esempio: quando una comunita` indigena si oppone alla costruzione di un oleodotto sul territorio perche` violerebbe i “diritti” dei loro avi, turbando un equilibrio esistente da millenni, quella rivendicazione, ha un valore che, a mio parere, dovrebbe diventare assoluto, parte di un esperienza collettiva, informare le nostre azioni, ma che non ha nulla a che fare con la religione. Se ci viene chiesto di barricarci in casa per proteggere l’altro, la comunita`, e` essenziale chiedersi chi sia quest’altro, chi (e cosa) fa` parte di questa comunita`?
Dude, sei fuori strada. Il primo esempio non c’ azzecca nulla col secondo e non dimostra nulla. Intanto il passaggio di un oleodotto, a prescindere dagli avi, ha validi motivi per essere avversato/ contestato e tutti riconducibili a questioni molto molto meno spirituali.
Il primo esempio non c’entra nulla col secondo. “Se ci viene chiesto di barricarci in casa per proteggere l’ altro”…??? in ossequio ad una fittizia idea di comunità ma soprattutto di PROTEZIONE dovrei aderire acriticamente anche alle richieste più imbecilli? Anche no. Grazie.
In terzo luogo: con me sfondi una porta aperta quando parli di ” revisione del sistema relazionale” con tutti gli esseri viventi non umani. In questo senso sono proprio la persona sbagliata da ” educare”. Peccato… Peccato che anche questo tipo di “rivisitazione” dipenda da una revisione dei rapporti di potere che si fondano su una rigidissima gerarchia che vede gli animali all’ultimo posto. Alla stregua di oggetti. Ma anche peggio, esseri non senzienti da abusare. In ogni caso, per tirare le fila del discorso, io sono contraria ad ennesime indiscriminate chiusure, senza che ciò comporti una pianificazione degli interventi indispensabili da fare per arginare la pandemia. Non sono stati fatti in sette ( SETTE!) mesi. Lo ho scritto da subito, prima che AlexJC o altri confermassero con argomenti più efficaci il mio ragionamento. Quello che stiamo facendo, individualmente, non è sufficiente per “proteggere la comunità”. Serve molto di più.
“Chi se la sente di definire bello il virus?” è la domanda più bella che ho incontrato in questi ultimi tempi. Bello, nel senso ampio di sano, forte, autorevole, come dire: un bell’esemplare di biòs, che non solo si impone biologicamente, ma fa il suo ingresso trionfale nella storia. Mette al muro la società più tecnologica di sempre. Disgrega costrutti sociali talmente usuali da apparire ovvi. Dimostra, se mai ce ne fosse stato bisogno, i limiti intrinseci dei dispositivi democratici che regolano le democrazie moderne. Scoperchia come fosse un ciclone i limiti molto netti delle scienze empiriche. E tutto ciò lo fa anche se sprovvisto di un’intelligenza. E’ puro impulso ad esistere, impulso a moltiplicarsi, senza alcun fine.
Quindi sì, per me è un “bel” virus. Senza volerlo, ci mette in crisi: la crisi è l’unica occasione per crescere. Per crescere, però, si deve attraversare il travaglio del negativo. Cresceremo, o meglio, cresceranno i nostri figli passando attraverso questo ciclone.
«…cresceranno i nostri figli passando attraverso questo ciclone.»
In questo «cresceranno» pero` e` celata un estensione smisurata di variabili e mutazioni, alcune prevedibili ma molte di piu` non, di carattere non esclusivamente biologico ma anche e sopratutto psicologico e politico nonche` una quantita` indeterminabile di rischi, che e` facile comprendere (che non vuol dire, ne mio caso, accettare) il disorientamento e il timore. Da questo punto di vista, secondo me, affermare che il virus e` “bello” e` un azzardo ma puo` servire da escamotage ontologico a scardinare il riduzionismo biologico a cui accennava WM1, che permette ad un genitore di accondiscendere acriticamente alla contrazione, fosse solo temporanea, dei propri diritti (aquisiti tra l’altro, nella stragrande maggioranza dei casi per procura) ma pure di ignorare l’incrinarsi delle relazioni interpersonali essenziali alla sopravvivenza stessa. Un esercizio di “ri-attivazione” neurale, se si vuole, della fantasia, all’interno di una psiche flagellata dagli sberloni incessanti di una narrazione tossica, allucinata, paranoica e ossessiva; un atto semplice ma che prova a contrastare l’estinzione tragica del pensiero critico attraverso lo spiazzamento. Un momento di crisi, come dici tu, pero` cognitiva. Almeno per iniziare.
Onestamente non mi è chiaro cosa intendi per “escamotage ontologico”. Io ti parlavo della bellezza del virus cercando di eliminare la prospettiva antropocentrica, un po’ come un naturalista che scoprisse una pianta bellissima, poi successivamente si viene a sapere che è tossica per l’uomo. Che sia tossica per l’uomo non toglie nulla alla bellezza naturale.
Quanto ai figli, io ne ho una di 20 anni e uno di 16. Posso vedere tramite loro tutt’un altro film. Del resto vedo un altro film anche quando guardo negli occhi il padre della mia compagna, che ha 87 anni. (Ma ne ho poi abbastanza del mio, film distopico, e troppo lungo, di quelli che non vedi l’ora di uscire per fumare)
Ieri ho spulciato il sito WHO. Il grafico della curva dei contagi giornalieri relativo a Israele mi sembra eloquente. Poco dopo il lockdown è iniziata una discesa repentina, e si è passati da oltre 8000 a inizio mese a 500. Dunque sembra che la chiusura totale funzioni, indipendentemente dalla stagione. Ora, è vero che questa sarebbe una misura traumatica che si trascinerebbe dietro una serie di conseguenze drammatiche per non poche persone, tuttavia o si stabilisce, dati clinici alla mano, che la grande maggioranza di contagi non necessita di ricovero o che la sanità riuscirà a gestire i numeri che ragionevolmente ci saranno nelle prossime settimane, oppure non mi sembra che ci siano margini per soluzioni alternative alla chiusura. Se così sarà cerchiamo almeno di ricavarci l
a fine politica di questa classe dirigente.
PS. Bello il detto tibetano. Tuttavia un po’ angosciante.
Che il lockdown (e anche su questo termine c’è da intendersi, l’unico vero lockdown propriamente detto è stato quello cinese, in Europa si sono prese “misure restrittive” di diversa rigidità da paese a paese) dia tempo al SSN per prepararsi appiattendo al curva dei contagi nessuno lo mette in dubbio.
Che nessun lockdown (anche in tempi più facili, quando bastava chiudere i ponti levatoi per isolare le città) abbia mai fermato un’epidemia altrettanto.
Quindi, premesse tutte le difficoltà economiche che porterà il secondo lockdown, la domanda imho è “chiudiamo per far cosa?” . Se lo facciamo per prendere due-tre settimane per costruire ospedali covid da campo, raddoppiare i posti in TI, assumere infermieri e triplicare (almeno) i trasporti locali mi sta anche bene. Se lo facciamo per ricominciare a discutere di chi va al mare, di chi va a fare l’aperitivo e per risentire la Ferragni che mi spiega come si mette la mascherina allora lasciamo perdere. E’ meglio dire “raga c’è una brutta bestia in giro, non possiamo fare nulla perché già stiamo co le pezze ar culo, prendete le dovute precauzioni comportamenti responsabili e in bocca al lupo”.
Anche perché purtroppo, se diamo per buone le previsioni della comunità scientifica, il sars-cov-2 è il primo virus spillover che è arrivato qui (ci aveva già detto molto bene con la prima sars e con la mers che fra l’altro avevano mortalità molto peggiori), ma ce ne saranno molti altri. E allora cosa vogliamo fare, uno o due lockdown l’anno magari tre per star sicuri? Vogliamo vivere come piante grasse per tutto il resto della storia di homo sedicente sapiens? Magari andando un mese al mare d’estate?
Penso che nulla di quello che proponi, AlexJC, avverrà. Chiusura non significherà sfruttare il tempo a disposizione per metter su ospedali, assumere personale sanitario e predisporre una sorta di diga contro la pandemia. A costo di sembrare semplicistica e di sfruttare luoghi comuni lo scenario che prevedo è il seguente: inizieranno le gare d’appalto o le procedure semplificate per affidare questo e quello, a ruota ci saranno i favori, le amicizie, il clientelismo e le vicende tipo “camici in Lombardia” e “ mascherine del Lazio” si moltiplicheranno e ci sarà il teatrino della solita politica che tirerà in ballo, a seconda della propria convenienza, il presunto scandalo del momento. Il tutto con il corollario di qualche stomachevole hashtag e pubblicità progresso e l’ingaggio di personaggi noti ( a chi?) per lanciare messaggi tanto banali quanti inutili.
A Nuoro, che è uno dei capoluoghi di provincia della mia Regione, hanno tirato su un ospedale militare da campo. Peccato che non sappiamo chi metterci dentro a lavorare, perché medici ed infermieri da reclutare su due piedi non si trovano. E francamente non biasimerei chi rifiutasse, ben sapendo che all’orizzonte non si prevede una stabilizzazione, ma un bel calcio nel fondoschiena. L’unica consolazione per me è constatare che l’aria sia, almeno in parte, mutata. Balconi spalancati e gorgheggi alle finestre sarebbero fuori luogo e il blocco dei licenziamenti esteso fino Marzo prossimo, annunciato con squilli di tromba, non rappresenta la soluzione alla crisi economico/sociale già in atto e che non potrà che acuirsi.
Lo scenario che si prospetta in Italia e in Europa è quello degli Stati Uniti e Brasile, perchè non credo minimamente che le proposte preventive di AlexJC ovvero per prendere due-tre settimane per costruire ospedali covid da campo, raddoppiare i posti in TI, assumere infermieri e triplicare (almeno) i trasporti locali si avvereranno, visto che l’unica cosa fatta sono stati degli pseuduo Covid Center da pochi posti, come nelle Marche, senza personale perchè non si trovano infermieri, OSS e medici. Come il terremoto, le epidemie sono degli acceleratori sociali dei fenomeni in atto da decenni, quindi non vedo all’orizzonte nessuna ipotesi concreta percorribile da parte della politica italiana o europea se non rispondere con scelte che si rifanno alle pandemie di peste nera del 300′ e nel 600′ durante il tardo medioevo.
Questo comporterà delle sommosse popolari trasversali visto il vuoto politico enorme in cui siamo. Spero che queste proteste anche violente si canalizzino verso il sistema bancario e quello finanziario, me lo auguro vivamente altrimenti sarebbe una tragedia nella tragedia. Non è tempo di dire andrà tutto bene, ma di prepararsi al peggio.
A Nuoro fa freddo. Lo so perché è la mia città. Un ospedale da campo in questa stagione è una follia. Lo è doppiamente perché in città, in pieno centro, esiste una struttura ospedaliera molto grande, ristrutturata e completamente vuota: il vecchio ospedale civile.
Ma la stessa cosa vale per Cagliari, per dire, dove in più esistono molte strutture militari dismesse, mai consegnate dal Ministero della Difesa alla Regione, come pure prevede lo Statuto sardo (legge di rango costituzionale).
Se cominciamo a redigere una casistica di situazioni analoghe, in Sardegna e in Italia, sono sicuro che ne verrebbe fuori un tomo bello grosso.
Il problema non è pensare alle soluzioni pratiche (perché si sa da mesi quali dovrebbero essere) e non è nemmeno la difficoltà materiale a reperire infrastrutture o risorse finanziarie. Il problema è quello segnalato da tanti e in ultimo anche qua sopra: anche con un nuovo confinamento generalizzato non si procederebbe comunque a fare quel che va fatto. Le priorità sono altre, le risorse sono vincolate ad altri obiettivi ed altri interessi, l’emergenza in fondo *conviene* (politicamente, fino a un certo punto, e anche economicamente, a molti). Per non menzionare il tema più ampio della fase senescente del capitalismo e della transizione storica in cui siamo coinvolti (con tutti i suoi conflitti più o meno latenti, attuali o futuri).
Anche io penso che ci sia molta ipocrisia in tutta l’azione e in tutta la comunicazione politica di questi mesi. Le cose stanno, anche in questo caso, come già detto altrove: la covid-19 minaccia di diventare una sindrome endemica, come l’influenza, e richiederebbe una ri-organizzazione della sanità pubblica e di altre strutture e infrastrutture (scuola, trasporti, servizi pubblici in generale, welfare, ecc.) permanente, non occasionale ed emergenziale. Tanto più che il SARS-CoV2 è appunto solo uno dei molti virus che possono fare il salto di specie e generare epidemie di questa portata; non è nemmeno detto che sia il peggiore. Attrezzarsi di conseguenza dovrebbe essere una priorità generale persino banale, nella sua evidenza. Non scommetterei un centesimo sulla sua realizzazione.
Personalmente sono assolutamente d’accordo con quanto dice AlexJC.
Politicamente credo che sia proprio “questo” il messaggio da far passare in ogni canale possibile, dal vicino di casa o dal parente (che tra un po’ mi blocca il numero di telefono in modalità spam) all’addetto stampa, chi ce l’ha.
“Basta melina, basta scaricabarile: chiudiamo? Ok noi prendiamo sul serio il problema, ma sia chiaro che vanno presi provvedimenti mirati, ben scritti e che vanno intraprese azioni strutturali, quelle che NON sono state prese quando si era in tempo e inoltre che sia ben chiaro che nessuno accetterà più *diversivi* sulla corsa, la camminata e l’attività all’aperto!”
Questo politicamente. Perché poi praticamente la vedo un po’ come Mandragola01, e nemmeno per «clientelismi favori etc», quanto proprio perché affidare dei lavori pubblici è una cosa lunga e assumere personale pubblico è una cosa lunga.
In più c’è la propensione tutta nostra (che vale per tutto, anche per gli appalti e via via a scendere) alla “sicurezza totale formale” (sulla carta), per cui fra due soluzioni si sceglie sempre quella che garantisce teoricamente la maggior sicurezza, a dispetto di qualunque problema pratico.
Il caso che ho in mente è quello del tampone di cui si parla qui: il tampone ha falsi positivi che forse intasano il sistema già farraginoso e burocratico di suo con il risultato che i tracciamenti “saltano”? Chi se ne frega, è formalmente più “sicuro” e si fa quello.
Ma vale un po’ per tutto. L’importante è che una cosa sia “sicura” sulla carta, poi se e quanto questa carta è applicabile non sono problemi del legislatore, se mai di chi si prende la briga di farsene carico e tradurla in pratica e di cui si discuterà, eventualmente, in tribunale in una sorta di gioco della sedia a vedere chi resta per primo in piedi, con il cerino in mano.
Cugino di Alf sono assolutamente in accordo con te. Anche la pandemia viene gestita in modalitá ciecamente burocratica con il risultato che il virus non è un passo avanti a noi, ma dieci! Cito un caso pratico: una cara amica ha aderito alla proposta dell’ente in cui lavora di partecipare ad uno screening tramite test sierologico. Io ho espresso le mie perplessità: a che pro? È in Smart working da otto mesi. Con sommo stupore scopre che il valore Igm è negativo, ma quello IGG positivo! Viene contattata dal medico del lavoro che le dice che ciò indica una possibile infezione passata, certo non in atto, ma nonostante ciò va attivata la procedura… isolamento, tampone, famiglia in alert. Nessuno però la contatta ed ora lei è in preda all’isteria e si chiede cosa fare. Ma nessuno, medico di base compreso, sa dirglielo! Non le è arrivata neppure una notifica ufficiale. Paradosso: probabilmente, senza manco accorgersene, ha contratto il Covid. Ha sviluppato una risposta immunitaria ( ottima notizia), ma adesso che non è più contagiosa, arriva l’applicazione del famigerato protocollo. Che non si sa se e come vada applicato: dovrebbe fare un tampone probabilmente inutile. A me tutto ciò suona ridicolo ed illogico. L’ATS non la contatterà di certo in tempi rapidi e la malcapitata si interroga se possa rivolgersi ad una struttura privata. Ora il marito si è incasinato con il lavoro perché non sa se presentarsi o meno, il pediatra ha consigliato che il figlio non vada a scuola e la mia amica si è amaramente pentita di aver aderito allo screening. Ma chi si occupa di salute pubblica questi scenari non li sa prevedere?
Ma infatti, procedure francamente complesse e farraginose, applicate a cascata e recepite ed inserite in sotto-procedure da vari enti (es. scuole e Asl) con ampia discrezionalità di aggiungere casino al casino, senza una regia e una logica comune e, come dire, “di fondo”.
Il che, imho, è già sempre stato così per quasi tutto e non solo da quando ci sono i “politici più recenti”, ma proprio come “modo di lavorare”, modo di procedere abituale dell’apparato statale.
Solo che in tempi non Covid la soluzione era che ci si arrangiava, più o meno tutti se ne fregavano, la carta restava largamente carta, le procedure venivano applicate come si poteva, i “ligi” venivano penalizzati per il solo fatto di cercare di stare dietro alle norme e comunque non capitava “niente”, erano tutti problemi del singolo alle prese con l’incoerenza normativa o della singola tragedia (es. sicurezza nei cantieri??) poi risolta in tribunale. Ma, in tempi di emergenza come poche altre se ne erano viste in Italia questo significa il caos.
Se fai casino con le procedure di tracciamento, se ti perdi dei positivi per strada perché ne tracci troppi e sei lento o perché ne tracci troppo pochi, la curva impazzisce.
Ciao Omar, conosco molto bene Nuoro e ho pensato la stessa cosa che hai sottolineato tu vedendo le immagini al tg locale! A Novembre, in genere dopo “ Le Grazie” ( almeno questa è la mia percezione) il freddo si fa pungente…mi sono chiesta che ne fosse della vasta struttura rimessa a nuovo del vecchio ospedale. Un mistero. Come altri hanno fatto notare il Sars-Cov2 sarà solo uno dei patogeni che faranno il salto di specie. Non si può pensare di andare avanti con chiusure a fisarmonica. Bisogna ripensare in modo profondo tutto il sistema su cui si regge la società, ma io vi confesso che non sono per nulla ottimista in merito e credo sarà più semplice che arrivi un virus che magari avrà una letalità del 100% e addio umanità. Oggi, anche se c’è il sole, mi sembra un giorno davvero cupo. Perdonate il commento apocalittico.
Le misure elencate da AlexJC sono sensate, e come tali non verranno minimamente prese in considerazione. La chiusura (più o meno rigorosa, ma bisogna tenere presente che il risultato arriva solo da uno stop totale) viene intesa semplicemente come tattica per guadagnare tempo in attesa di san vaccino. Che a sua volta si rivelerà (temo) una tattica per guadagnare tempo in attesa di san anticorpo monoclonale. La pochezza di questa classe dirigente sta proprio nel suo intendere la politica come attesa che qualcuno/qualcosa, dall’esterno, venga a togliere le castagne dal fuoco, risolvendo problemi complessi che essa non è in grado non solo di risolvere (sarebbe troppa grazia) ma nemmeno di affrontare.
I due santi faranno passare la buriana ma rimarrà la questione della convivenza con questo virus. L’unico elemento di “ottimismo” che vedo, è che, a differenza ad esempio dell’HIV, il bacino d’utenza di un eventuale strumento risolutivo (farmaco o vaccino che sia) sarebbe enorme, e questo dovrebbe stimolare la ricerca.
Solo per sottolineare una cosa: non è per niente detto che con il lockdown totale – comprese gli assurdi inseguimenti dei runners e le mascherine anche se stai a 50 m da quello più vicino a te e hai avuto il tampone negativo ieri – le cose miglioreranno. Mi permetto di invitare tutti ad un’esame più accurato delle curve, perché è più difficile di quanto non si creda stabilire relazioni causali tra il provvedimento x e il risultato y. Il caso Israele è più una dimostrazione di quanto il tipo lockdown deciso lì stia contando poco rispetto ad un andamento “naturale” della curva. I “nuovi contagi”, che è il parametro migliore, più di quello del numero dei positivi giornaliero, stavano scendendo per conto proprio e a 14 giorni non mi pare ci sia stato lo sbalzo che ci si propone. Ma anche il parametro da controllare non è così semplice da stabilire. C’è questa cosa curiosa che si dice sempre che i contagiati sono un numero misterioso e poi però ci si basa su quello. Secondo me vanno guardati più i ricoveri e le TI dei contagi, presi anche quelli con molta accortezza perché è già cambiato, e cambierà ancora, il criterio di accoglienza.
[ho fatto come diceva filo a piombo, prima di leggere il suo consiglio: uno stacco aiutato dal compleanno del divino scorfano. in effetti mi pare che serva :-)]
Comunque secondo me sta diventando sempre più necessario un esame critico del modo in cui le trasformazioni dell’infosfera negli ultimi decenni hanno contribuito a creare il caos in cui ci troviamo. C’è una saturazione informativa estremamente dannosa, perché alimenta dei loop che poi si rafforzano a vicenda.
Oggi scorrendo la timeline di Facebook mi è cascato l’occhio su un articolo del Financial Times condiviso da un amico. Il Titolo? “Exclusive: Scientists warn of new coronavirus variant spreading across Europe”. Poi leggi l’articolo e “Dr Hodcroft stressed that there was ‘no evidence that the variant’s [rapid] spread is due to a mutation that increases transmission or impacts clinical outcome’.”. La maggior parte degli utenti si ferma al titolo di articoli del genere, e ne assorbe inconsciamente l’effetto impanicante. Per evitarsi ulteriore panico eviterà di leggere gli articoli (che magari ridimensionerebbero pure quell’effetto impanicante)… e la frittata è fatta.
La proliferazione di articoli, instant book, discussioni, prese di posizione pubbliche da parte di esperti (o sedicenti tali) sulla materia specifica non solo non è utile, ma è anche dannosa. Produce panico e polarizzazione che poi si riverberano sull’azione politica e sul dibattito politico, che a loro volta utilizza lo spazio mediatico come veicolo di consenso o di backlash – con l’effetto collaterale per cui, quando il consenso viene forzato, il backlash diventa ancora più violento.
In tutto questo, gli aspetti sociali della questione (ossia quello che dovrebbe essere il vero focus del dibattito pubblico) vengono affogati perché ci si concentra ossessivamente sugli aspetti scientifici e sanitari, di cui i primi diventano un succedaneo. Così, anziché lasciare a chi fa ricerca il compito di fare ricerca; anziché evitare di congestionare il sistema sanitario e semmai potenziarlo; e anziché concentrarsi sulla necessità di interventi a difesa del reddito, quello che si crea è panico, confusione, delirio, guerra tra poveri. Con i media che nel frattempo racimolano clic, share, inserzioni, capitalizzando sulla situazione che hanno contribuito in modo determinante a creare e alimentandola ancora di più.
Hai perfettamente ragione.
Sui siti dei giornali e su sito di gossip-infotainement si succedono svariati articoli al giorno di almeno una decina di virologi diversi, ognuno appartenente alla “propria” scuola di pensiero, e io ho persino perso il filo di chi è più filogovernativo e chi meno, di chi è fuori dal coro, di chi è dentro un coro e di chi è nell’altro.
Oggi c’era un articolo sul fatto che “non è giusto” chiudere le scuole, e io “sono d’accordo” per quel niente che ne riesco a capire e sono andato a leggerlo contento di vederlo pubblicato.
Poi però mi sono fermato a pensare “ma chi è già sto virologo qua?” e non lo sapevo (limite mio che ormai faccio fatica a star dietro persino al lavoro).
Non sapevo nemmeno in che “schieramento” è, e mi sono reso conto che in tutto questo casino anche le notizie razionali provenienti da fonti razionali non fanno che alimentare il caos e dare alibi agli errori della classe dirigente.
Perché esclusi gli addetti ai lavori come Robydoc, ricercatori, laureati (ma non tutti, già io faccio molta fatica), gente con una laurea in statistica o Isver :-)), ormai non c’è più nessuno che ne capisca niente, nessuno che sia in grado di valutare criticamente l’articolo, il commento (spesso estrapolato, tagliato e “titolato”) dell’ “esperto” intervistato del momento e farsi una propria idea che non sia una scorciatoia “preconcetta” nella propria zona di confort.
Con il risultato che “è vero tutto” e “non è vero niente” e quindi comunque vada, sarà difficile ricondurre qualcuno alle proprie responsabilità perché a monte, nella percezione più interiorizzata di noi del volgo, non c’era “niente di giusto da fare”.
Condivido la sensazione. Aggiungo una cosa: gli addetti ai lavori che intervengono qui su Giap lo fanno principalmente in risposta a questo clima, e comunque anche il loro intervento purtroppo non è esente da limiti e contraddizioni secondo me inevitabili quando ci si trova immersi in un contesto del genere.
Faccio proprio una considerazione da “layman”: a me, in realtà, cosa importa di sapere cosa fanno i ricercatori nei laboratori? O di conoscere le mille possibili interpretazioni delle statistiche in relazione alla curva pandemica? Non ho gli strumenti per capire a fondo quello che si fa o si dice nel mondo specialistico, e il filtraggio di queste cose da parte della stampa generalista e della infosfera in generale, dovendo semplificare e dovendoci capitalizzare sopra, crea più confusione che altro. Detta in modo molto semplice: non sono un esperto, e soprattutto non devo essere costretto a diventarlo. Non è proprio materialmente e cognitivamente possibile, e non sarà certo ascoltando Burioni, o parteggiando per Tarro, che improvvisamente gli arcani della ricerca medica e scientifica mi diventeranno trasparenti e cristallini.
Certo, la conoscenza è da sempre consustanziale ai meccanismi di potere. E di questa relazione invece sì che m’importa, in quanto membro della società che, possibilmente, vorrebbe evitare di ammalarsi, di morire, di restare senza reddito, e di veder ammalarsi, morire o restare senza reddito milioni di persone, incluse le persone a me più direttamente care.
Il problema è che affidando a una dinamica di libero mercato l’informazione, la discussione e la risposta a quello che sta succedendo, non solo questa distinzione per così dire di “competenza” (nel senso di cosa compete a chi, a livello di fatto e di diritto) è caduta; ma questa caduta della distinzione (a) ha reso impossibile ogni discussione; (b) ha reso inefficace la risposta pubblica; (c) ha arricchito qualcuno a spese mie.
Non c’è una soluzione facile a questo problema. Diciamo che è un’altra dinamica che ti mette di fronte ad alternative inaccettabili. Perché se leggi i titoli ti impanichi; se leggi gli articoli, oltre ad ossessionarti, ne esci più confuso di prima; se ti ritiri dalla saturazione informativa ne fai le spese in termini di isolamento e magari anche di rischio per la salute fisica.
La cosa che più mi ha sorpreso e addolorato, in questo 2020, è la rapidità con cui, tra intellettuali e attivisti “di movimento”, si è ritirata ed è scomparsa – come in una vastissima bassa area – ogni riflessione su quale vita valga la pena vivere.
All’improvviso è rimasto solo un nocciolo di materialismo volgare, di riduzionismo economico che è anche riduzionismo biologico: per non crepare era non solo accettabile ma addirittura *bello* vivere come talpe, purché ci dessero i soldi.
Decenni di pensiero critico, di esperienze, di analisi, di momenti condivisi, sono stati gettati come zavorra.
Devo dire che non mi sarei mai aspettato di vedere la maggior parte del “movimento” ripiegarsi su questo, farne SOLO ed ESCLUSIVAMENTE una questione di richieste economiche. Che, intendiamoci, sono indispensabili. Ma non esauriscono tutto il discorso.
Davvero si pensa che la maggior parte delle persone accetterebbe di vivere «come piante grasse» (cit. AlexJC) a tempo indeterminato, a condizione di ricevere un bonifico? Che conoscenza dell’essere umano, che gusto per la vita e per la lotta, che idea di società – e di possibile società futura – ha in testa, chi pensa una cosa del genere?
Eppure è andata così, sono scomparse tutte le riflessioni sul fatto che vita non è solo sopravvivenza, e che la salute è un insieme complesso e una condizione sociale, non solo non prendersi un virus.
Si parlato quasi solo di reddito, senza riflettere sugli enormi prezzi esistenziali, psichici, culturali che l’apologia schizogena della reclusione domestica – perché questo è stato #iorestoacasa – ci avrebbe lasciato in eredità. No, si è implicitamente postulato un impossibile “rischio zero”, in nome del quale ripiegarsi in un privato privato di corpi.
Per mesi e mesi non si è detto pressoché nulla contro le strategie di deresponsabilizzazione che la classe al potere (non solo quella di governo, tutta: padronato, media, burocrazia ecc.) adottava. Anzi, chi denunciava la caccia al capro espiatorio veniva irriso, e so di compagne e compagni che a quella caccia hanno partecipato con zelo.
A chi criticava il governo è stato scagliato contro un appello incredibile, interdittivo, codino, con firme “di movimento” che non mi sarei mai aspettato.
A chi faceva notare che non si poteva sacrificare tutto il resto (il legame sociale, il vivere stesso!) in nome del “rischio zero” veniva dato del nazista, del darwinista sociale.
E si è fatta l’apologia delle piattaforme e delle app che consentivano di “sostituire” la vita “in presenza”.
Il massimo di risposta che si otteneva quando si sollevavano questi temi era: «non è il momento, ne parliamo dopo».
E intanto le peggiori tendenze avanzavano inesorabili.
Chiarisco un possibile equivoco: non mi sono mai atteso che la “sinistra radicale”, il “movimento” o altri clichés che usiamo per indicare questo sfilacciato network nel quale ci siamo formati potesse fare qualche differenza significativa. L’area aveva già i suoi bei problemi, a livello nazionale era già irrilevante, e quel che sta accadendo è più grande di noi tutte e tutti.
Mi sarei però atteso meno voglia di capitolare, meno acquiescenza, meno conformismo, meno collateralismo col governo, meno bava alla bocca contro i “reprobi” ecc.
Le piazze di questi giorni e queste notti, per quanto interclassiste, contraddittorie, confuse, strumentalizzate, non hanno posto solo il problema del reddito, che pure è fondamentale. Abituati al nostro gergo da “rifiuto del lavoro”, rischiamo di non capire che quando da quelle piazze è salito il grido «vogliamo lavorare!», significava «vogliamo vivere!», vogliamo avere una vita attiva, incontrare le persone. Idem quando si è alzato il grido «libertà!»: non è la “libertà” liberista, è l’autodeterminazione, è la libertà che sogna chi è stato esautorato da ogni scelta.
Anche in questa società divenuta sempre più tanatofobica, il vero incubo, soprattutto per gli spossessati, gli oppressi, i marginalizzati, non è morire ma smettere di vivere.
Di fronte a tutto quel che sta accadendo, ripensare oggi a quel che gran parte della “sinistra radicale” non ha visto arrivare può persino sembrare futile. Ma pensiamo alle rivolte in corso, e a quanta fatica si faccia a trovarne una decifrazione sensata (con poche lodevoli eccezioni) dove un tempo saremmo andati a cercarla. Pensiamo alla difficoltà di trovare un’interpretazione davvero ascoltante di quelle piazze e di quei riot. Pensando a ciò, forse il senso di questo sguardo retrospettivo si capisce, al di là del manifestare un dolore, e uno stupore che dura da mesi.
Ho una mia personalissima risposta a questo. Il problema, secondo me, è che noi che in senso lato e variegato ci definiamo “di sinistra” condividiamo un bias che scava molto più in profondità di quanto pensiamo. Siamo convinti, per così dire, della preminenza cognitiva del nostro punto di vista; interpretiamo inconsciamente la potenza e la validità degli strumenti di analisi che utilizziamo come indice del fatto che “sappiamo davvero” come vanno le cose e come dovrebbero andare. Il salto logico (indebito) dal *metodo* al *merito* è sempre in agguato.
Questo crea una pletora di punti ciechi che, quando dall’analisi e dalla teoria si passa alla prassi, si fanno sentire alla grande, creando dissonanze cognitive come quella che descrivi.
Essere “di sinistra” è difficile. Implica un lavoro potenzialmente infinito sui propri stessi meccanismi di pensiero e di azione… e non sempre le circostanze storiche concedono il lusso di portare avanti questo lavoro con tutti i crismi. Anzi. Quando questo succede, i punti ciechi colpiscono, e colpiscono dolorosamente.
La potenza e la validità degli strumenti di analisi che utilizziamo… Mah. Io ho l’impressione che una buona metà della sinistra sia a livello prima elementare, con gli esercizi tipo “completa la frase”. Hanno imparato che mettendo “liberale” dopo “democrazia” e “borghese” dopo “libertà”, possono restare col culo a sinistra pur dicendo le stesse cose dei fascisti. E vale tanto per quelli che stanno con Lukashenko, quanto per quelli che stanno con… Crisanti. Con tutto il rispetto per quest’ultimo, che non ha nessuna colpa.
Per quanto mi riguarda, è una debacle antropologica. Leggo persone fare analisi che prima avrei trovato illuminanti, ma che alla luce di certe prese di posizione, adesso mi sembrano scritte usando il Tubolario. Leggo persone che dicono di vivere un disagio psicologico, e peggio ancora persone che del disagio psicologico altrui si occupano per professione, fare discorsi indistinguibili da quelli di De Luca. E giuro, leggo certi articoli su certi siti di sinistrame, che mi fanno sentire più vicino ai compagni Cherif e Said Kouachi.
Io penso che la circostanze storiche debbano essere sempre una opportunità. Oggi il virus è forse l’ultima opportunità, per il semplice fatto che le risposte, le reazioni possibili sono tutte e solo “di sinistra”. La risposta non di sinistra è il “paradise” di Black Flag, la malattia mentale che prende il sopravvento in un mondo di rifiuti, coi ricchi reclusi a loro volta sulle colline, protetti da milizie. Sto – per il momento – esagerando, ma o ci si decide a cambiare tutto o siamo sul quel declivio.
La cosa che mi deprime è che la sinistra radicale/movimento io non so dove sia, se ha una voce non la sento, e se la sentissi temo che – come scrive Wu Ming 1 – parlerebbe solo di “soldi”.
Al contrario di WM 1, a me queste piazze non convincono. Ripeto: sto solo guardando video e quindi ho una prospettiva molto laterale. Ma questo grido “libertà” mi sembra quasi casuale, mi sembra voglia significare libertà di tornare a gennaio 2020, di farsi l’aperitivo e di comprarsi le scarpe nei centri commerciali. Avrei molta più simpatia per temi reali, per concetti meno cazzari. Di sinistra (in ogni senso) non mi pare di vederne, in piazza. Se non è ora il momento, quando?
Non vorrei risultare esageratamente “antipatico” ma ho ripercorso questi mesi di GIAP e tra i tanti spunti condivisi vi ho trovato una volontà comune: quella di ridurre le “sproporzioni da impatto”. Al di là dell’orribile suono, l’impatto oltre ad essere una nozione alla moda nel mondo del profit, è un tipo di affezione. Su GIAP ha avuto almeno due usi. 1. L’impatto del virus sulla salute fisica e mentale di lavoratori di settori economici di frontiera come gli operatori sanitari, i riders e la logistica. 2. L’impatto economico delle politiche di contenimento rappresentate da quel fatidico 10% del PIL che si è volatilizzato in cui ci sono soprattutto lavoratori della cultura, le partite iva e i lavoratori autonomi, quelli cioè che se non fatturano non sopravvivono. A questo ora aggiungerei un commento di Bifo sull’impatto “metafisico”. Cito direttamente: “La storia del capitalismo è stata la storia del dominio in espansione dell’astratto sull’utile, ma la corsa verso l’astrazione si è interrotta per l’improvviso inserimento di una concrezione materiale proliferante: il virus”. Può darsi allora che ci aspetti un ritorno dell’utile ma non quello di Bentham e dei neo-utilitaristi. Dovremo invece ripensare dal basso il significato di strategico e di lì di vita attiva. In questo ripensamento, la mia personale utopia è centrata su comitati di quartiere che usano la tecnologia per informare i vicini di miriadi di micro-attività gratuite che si svolgono a distanze raggiungibili a piedi o in bici, all’aperto o in spazi idonei alle regole anticovid. Oppure affidandoci al cyborg, una App come immuni ci indicherà che il contagiato è un’improvvisazione di un insegnante di sostegno delle scuole medie in DAD che ha iniziato a leggere ad alta voce una favola di Rodari mentre fa la fila al supermercato sotto casa e che ci si può unire ad un gruppo di ex runner che stanno passeggiando distanziatamene intorno all’isolato urlando e liberando le tensioni con strani gesti del corpo. Nel mio sogno, l’app (o il Comitato) traccia la presenza all’improvvisazione e dà un punteggio con cui a fine mese si ottiene il reddito di quarantena calcolato in base alla partecipazione ai micro-eventi. In questa prospettiva, l’impatto negativo sarebbe voler vivere in un lockdown permanente.
Mi sorprendo che ti sia sorpreso. Non per scadere nel luogo comune, ma il fatto è che milioni di persone in questo Paese vivono così in condizioni normali. Milioni di persone vivono nel loop casa-lavoro-casa interrotto periodicamente dalla spesa settimanale, nulla sapendo, nulla potendo e spesso nulla volendo sapere di cinema, concerti, cene, manifestazioni, letture, musei, viaggi, passeggiate, rapporti interpersonali, impegno, novità, conoscenze, rischio, passioni. Il riduzionismo c’è già. La valenza esclusivamente biologica della vita, complice il bisogno, il deserto culturale, i contesti degradati, la mancanza di opportunità, l’indolenza, è la norma per milioni di italiani. Costoro (probabilmente ne faccio o rischio di farne parte) trascorrono l’esistenza subendola. Il chiuditi in casa e prendi i quattro soldi impatta questo contesto, nel quale trova un humus fertile. Devo vivere come una talpa? E qual è il problema? Lo faccio da sempre. Vediamo i risultati (parziali) di anni di aridità, omologazione, appiattimento. E anche questa è una curva che continua a crescere. Uno dei pochi strumenti che ne potrebbe invertire il corso è, lo sappiamo, la scuola (alla quale dovrebbe seguire la cultura). Però è meglio chiuderla, non si sa mai.
Una parte del twitter di sinistra ha decretato che chi cerca di tenere aperte le scuole lavorandoci dentro e opponendosi alla loro chiusura è in alternativa:
a) un genocida
b) un servo di confindustria
e forse anche tutte e due le cose insieme.
Io insegno (all’università, ma per quanto mi riguarda non fa differenza), mettendoci il corpo e prendendomi il rischio. Faccio il mio lavoro, che è un lavoro che mi piace, e gli studenti sono contenti di venire in aula perché vogliono interagire dal vivo con me e tra di loro. Non sono né un genocida né un servo di confindustria. Chi mi considera tale per me può andare direttamente a infoibarsi da solo.
Ormai ho tagliato i rapporti con vari contatti, perché date queste premesse non ho niente da dir loro, come loro non hanno niente da dire a me. C’è un’incompatibilità a livello umano che non è superabile in nessun modo, e che comunque, se anche fosse superabile, non ho nessuna intenzione di superare.
Io prima di arrivare alla conclusione che esistono incompatibilità umane insuperabili, mi chiederei se Twitter è davvero il contesto giusto per discutere di queste cose, o se al contrario non alimenta dinamiche antisociali del cazzo delle quali finiamo poi per diventare al tempo stesso vittime e complici…
Lo dico mica per altro, ma perché questa polarizzazione mi spaventa. E non mi riferiscono alla polarizzazione nella sinistra (che anche sticazzi) ma proprio a questa tendenza a farsi vincere dall’idea per cui esistono incompatibilità umane insuperabili.
Io lavoro a scuola, e se mi mandassero in lockdown morirei dentro, e non solo per le prospettive assai poco rosee a livello di reddito, ma perché quel mondo, al quale mi sono appena affacciato quest’anno e mi sta dando tantissimo sul piano umano, mi mancherebbe come l’aria. E proverei anche una certa rabbia al pensiero che mentre si chiude la scuola altre situazioni lavorative super-spreader restino intoccate, lì sì per difendere gli interessi di Confindustria.
Detto questo, vado a lavoro in autobus, a scuola sono quotidianamente a contatto con molte persone e – lo ammetto – ho paura. Cambio mascherina ogni giorno e se qualcuno in autobus la indossa male, molto gentilmente glielo faccio notare. E’ sbagliato? Fa di me una merda umana? Lo chiedo perché a giudicare da certi commenti che ho letto la conclusione sembrerebbe quella. Ossia che avere paura è da coglioni.
Se un estraneo su Twitter mi da del genocida o del servo di Confindustria, mi viene da ridere. Ma vedere sminuita la mia paura (tra parentesi: due anni fa sono stato ricoverato per una settimana per una sospetta polmonite, in cui i medici non capivano che cazzo avessi…) mi fa incavolare. Non direi a nessuno di infoibarsi da solo ma soltanto di… boh, provare ad essere un secondo umani ed empatici? Che “vita oltre la sopravvivenza” ci manca così tanto, se non riusciamo neppure in questo?
Per carità di patria non faccio nomi, e non li farei nemmeno sotto tortura, ma si tratta di persone che io conosco personalmente, e che leggo anche su twitter. Ho 50 anni e non voglio essere amico di tutti. Soprattutto non voglio essere amico di chi accusa quelli che vogliono tenere aperte le scuole di essere genocidi o servi di confindustria. Non stigmatizzo la paura. Mando a fanculo chi lancia anatemi a cazzo di cane dopo aver razionalizzato la sua legittima paura trasformandola in posizionamento politico, con annessi proclami di ortodossia e accuse di apostasia.
Non intendevo dire che si debba essere amici di tutti e mi era sfuggito che si trattasse di anatemi politici provenienti da conoscenze personali. Pensavo ti riferissi al “Twitter di sinistra” in generale, che a me personalmente è sempre sembrato… meh. Perché in tal caso, che dicessero quello pure che gli pare. Sarei curioso di vedere se poi del “genocida” o del “servo di Confindustria” me lo direbbero in faccia.
Ad ogni modo, il rischio di una polarizzazione lungo queste direttrici secondo me c’è. Vedo ovunque gente nervosa e vicendevolmente incazzata. E una risposta gratuitamente aggressiva che ho ricevuto ad un commento poco sotto mi conferma che probabilmente vedo giusto.
Ciao Marcello, questo commento è triste ma anche terribilmente vero, realistico e molto onesto. Purtroppo l’ esistenza di molte persone è stata ridotta a metà sopravvivenza. È contro questa idea di società che avrebbe sempre dovuto lottare la cosiddetta sinistra. Prima di incupirsi, fossilizzarsi, conformarsi, omologarsi ad una visione securitaria e destrorsa dell’esistenza. Quel dirompente fremito di vita esploso con il sessantotto era una rivendicazione di vita degna di essere vissuta. Ha comportato conflitti sociali violenti. Nessuno può conquistarsi degnamente una redistribuzione della ricchezza senza lottare, beandosi come idioti per il reddito di quarantena. Come se fosse la stessa cosa! Come diceva Negante, in un altro commento, “per crescere si deve affrontare il travaglio del negativo”. Come diceva Vecio Beoardo, che qui interviene poco, la dialettica è il sale della nostra esistenza ( facendo una estrema sintesi delle sue parole). “Bentornato” Tuco. Sono proprio gli insegnanti coraggiosi che possono dare ai loro studenti la voglia di continuare ed andare avanti in questo momento. Senza tirarsi indietro.
Non mi è chiara la risposta. Non stavo parlando di come vive la gente che “vive male”, ma della misera idea di vita che implica l’adesione acritica alla reclusione da parte di persone e gruppi da cui mi sarei atteso un’idea di vita più ricca, articolata e degna.
Detto questo, attenzione a non confondere la routine quotidiana, che può essere avvilente ma nella quale esistono momenti di incontro, affetti, rapporti tra persone, corporeità, con gli arresti domiciliari e con quello che abbiamo vissuto nella primavera scorsa e spero non rivivremo adesso. Li ho letti, paralogismi del genere, qualche mese fa: la maggior parte della gente fa già una vita di merda, chiudersi in casa non le peserà poi molto, l’importante è che abbia un reddito e almeno è libera dalla tirannia del lavoro. Assurdità un tanto alla tonnellata. E poi, anche qualora molti adulti facessero una vita di merda (ma è la loro vita, di cui non siamo noi i giudici), qui si sta decidendo anche per i bambini. Le loro sono vite che senza i corpi avvizziscono.
Evidentemente mi sono spiegato male. Non intendevo dire che siccome milioni di persone fanno una vita di merda allora possono sopportare la reclusione tanto non si renderebbero conto della differenza. Il concetto è: ci sono persone che normalmente sono costrette a rinunciare quasi ad ogni forma di svago, oppure che non concepiscono altra forma di svago che non sia la partita su sky, o che per forma mentis ritengono lo svago un inutile fronzolo che distrae dalle cose importanti della vita. O, ancora, altre per le quali chiusura significherebbe dramma economico ma non esistenziale, perché quelle cose che il lockdown toglie non le hanno, o non interessano loro. Queste persone (a differenza di altri milioni di persone) subiscono un danno dal lockdown, non ne escono devastate, e le variabili che determinano l’appartenenza all’una o all”altra categoria, fatta la tara ai caratteri singoli, coinvolgono essenzialmente l’aspetto socio-economico e culturale. Se non sono mai andato a teatro non mi peserà il teatro chiuso. Sono, questi, pezzi di paese, parziale, minoritario, ma reale. Per me la reclusione è inaccettabile; conosco persone che dove sta il problema? Basta che posso andare a lavorare. Ci sono milioni di persone che hanno una misera idea della vita perché, per scelta o necessità, vivono una vita povera. Erano e sono questi i soggetti del mio discorso, non certa sinistra che aderisce acriticamente alle misure governative. Lungi da me giustificare la reclusione o giudicare chi l’accetta o chi non l’accetta.
Io ti ringrazio di cuore WM1 per queste parole. Per lo meno aiutano a sentirsi meno soli. Io non riesco a capacitarmi di un approccio nel quale l’essere umano, ancora, continua a guardare alle cose per dominarle. E pur di riuscirci è disposto a ridurre se stesso a un morto vivente. Perché – come osserva Isver in un intervento di qualche giorno fa – un virus scompare quando scompare il suo vettore, perché può esistere solo insieme al suo vettore, può esistere solo insieme a qualcosa che vive. La morte del vivente lo uccide.
Non ci resta che vivere come soldati che si fingono morti in mezzo ai morti per non farsi trovare dal nemico. Qualcosa di simile passa (inconsapevolmente?) nella testa di chi sta cercando disperatamente di imbastire una ‘diga’ di raziocinio calcolante all’avanzata dell’epidemia? Veramente ‘gli esperti’ credono che si possa ‘avere ragione’ della morte solo perché si presenta in una quantità non strutturalmente e tecnicamente sostenibile da un sistema sanitario nazionale? Per me siamo di fronte ad una vera e propria debacle del positivismo tecno-scientifico e chi non è in grado di vederlo è perché prigioniero delle superstizioni che quello stesso pensiero ha creato.
Il direttore di The Lancet, Richard Horton, titolava un editoriale del 26 settembre: “COVID-19 is not a pandemic”, sostenendo che fosse più corretto parlare di sindemia.
Potrebbe essermi sfuggito, ma non mi pare che se ne sia parlato qui su Giap.
In ogni caso, mi sembra che l’approccio suggerito dall’articolo sia interessante, soprattuto in questo momento in cui sempre più voci si levano a favore di nuovi lockdown, considerati l’unica e più logica soluzione del problema.
L’articolo, molto breve, lo trovate qui: https://www.thelancet.com/action/showPdf?pii=S0140-6736%2820%2932000-6
Nelle prime righe si legge:
“…we must confront the fact that we are taking a far too narrow approach to managing this outbreak of a new coronavirus. We have viewed the cause of this crisis as an infectious disease. All of our interventions have focused on cutting lines of viral transmission, thereby controlling the spread of the pathogen”
Questa la conclusione:
“Approaching COVID-19 as a syndemic will invite a larger vision, one encompassing education, employment, housing, food, and environment. Viewing COVID-19 only as a pandemic excludes such a broader but necessary prospectus.”
Secondo me, aggiornare il vocabolario e cominciare a ragionare in termini di sindemia può aiutarci ad evitare trappole virocentriche e riduzioniste.
Urca, grazie mille! Personalmente non conoscevo la parola, non l’avevo sentita mai citare, e a volte avere un nome per le cose può contribuire davvero a cambiare prospettiva.
La cosa interessante, è che questo concetto (ho dato giusto una rapida sbirciata alla pagina di Wikipedia, per cui magari sto semplificando o fraintendendo) riassume molto bene, e da un imprimatur medico, all’idea per cui un sistema sociale ed economico può acquisire una valenza patogena nel momento in cui le misure che adotta per contenere un’epidemia o una pandemia producono effetto iatrogeni (ossia effetti sistemici dannosi causati dalla terapia stessa), potenziando la diffusione su vasta scala di altre patologie, e rendendo quindi necessario un intervento sistemico.
Non è una cosa scontata. Si possono leggere le cose in questo modo, ad esempio, solo se queste conseguenze sono considerate a loro volta patologie. Durante le epidemie di peste del ‘300, ad esempio, non esisteva un concetto medicalizzato di disturbo psichico, per cui le conseguenze della situazione sulla psiche delle persone (che noi oggi invece vediamo in modo molto chiaro e caratterizziamo anche in quei termini specifici) non venivano lette in quel modo. A creare una sindemia, in altre parole, è un sistema che non solo punta a curare/prevenire le patologie, ma che categorizza come tali tutta una serie di cose che non sono sempre state viste in quei termini.
Del topic “sindemia” ne parlano su questa rivista che citi in relazione a obesità , malnutrizione e crisi climatica e l’approccio sinergico mi sembra si sposi bene con quello definito dagli autori del blog “olistico”: forse si può mettere in relazione per analogia invece che all’ aspetto clinico all’ epistemologico, dell’ infodemia? dell’endemicità del pensiero individualista che dal post modernismo trova infine l’ acme nella fine delle ideologie e in un pragmatismo che trova il fondamento nel relativismo di algoritmi e nel marginalismo delle economie dell’ offerta?
Grazie Nephila, proprio l’ altro giorno infatti ho scritto in un commento che solo il 4 per cento dei morti è deceduto per Covid. Tutti gli altri avevano una o più patologie concomitanti. Avere stabilito che la presenza di queste patologie concomitanti svolge un ruolo determinante nell’ aggravarsi della malattia è di fondamentale importanza, soprattutto se si è capito che si tratta di questa concomitanza di malattie non trasmissibili (MNT): diabete, cancro, malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche. Questo conferma l’ idea che curare il virus solo tentando di bloccarne la trasmissione per via aerea è una strategia di contenimento estremamente limitata. L’ approccio di virologi ed infettivologi è simile a quello della peste del 300. Un approccio sindemico produrrebbe una politica sanitaria più adeguata. Per contrastare il Corona Virus bisognerebbe intervenire sui contesti sociali che producono maggiori disparità economiche. Per un miliardo di persone al mondo le MNT rappresentano un terzo del numero totale delle malattie ( ipertensione, obesità, diabete, cancro ecc…) Per questo alcuni esperti pensano che la ricerca di una soluzione prevalentemente biomedica fallirà. Insomma, il virus va aggredito da un punto di vista sociale e qui si sta facendo il contrario. Andando ad aggravare la povertà e le disparità. Rendendo sempre più pericolosa ogni nuova ondata. Sul concetto espresso da Wu Ming 1, nel suo commento, su quale vita valga la pena di vivere mi trovo in totale accordo esattamente così come mi sono trovata in totale disaccordo con chi ha rinunciato, ha abdicato, si è arreso, non ha combattuto per affermare, in maniera scomoda, che esiste una vita oltre al virus. Anche a costo pagare lo scotto di essere etichettati e ridotti nelle categorie sbagliate. Sono tutte accuse che possono tornare al mittente anche se, a me personalmente, nessuno si è mai permesso o ha avuto il coraggio di dirmi nulla. Accuse che possono tranquillamente essere ritorte contro chi effettua un riduzionismo economico e biologico dell’esistenza. Contro chi vuole salvarsi dal virus tappandosi in casa con un “reddito di quarantena”, contro chi rinuncia a vivere perché tanto era già morto dentro e vuole ridurre i moti di piazza a velleitarie proteste di facinorosi.
E’ proprio necessario “accusarsi” in questo modo?
Lasciamo perdere gli “intellettuali di movimento” di cui francamente m’interessa poco. Ma è davvero così folle e stupido avere paura? Dici che molte persone “hanno abdicato” e “si sono arrese”… ma al di là dei rischi oggettivi (che ci sono e sono, appunto, oggettivi) davvero vogliamo attribuire in modo così generico la paura e le reazioni che ne sono derivate a un difetto di volontà? O non semmai alla semplice, fragile umanità di molte persone che hanno paura di ammalarsi, di morire, di perdere il loro reddito, o di veder finire in queste condizioni le persone a cui vogliono bene?
E’ a questo, anche, che mi riferivo sopra quando dicevo che vedo spesso la pretesa di aver capito come stanno le cose. L’idea che un approccio critico alla pandemia ci dia strumenti per giudicare a 360° le reazioni degli altri, arrivando a dare un giudizio su di loro, è perfettamente simmetrica all’idea di chi riduce la vita alla sopravvivenza biologica ed economica (che mi sembra tanto uno straw-man, ma vabbé).
Io sarei perché tutti ci sforzassimo di tornare un pelo più umani. E sarebbe già un primo passo, magari, per provare a ricostruire un’idea di “vita oltre la sopravvivenza” che valga davvero la pena di essere vissuta.
Grazie Stefano, per questo spunto di riflessione. Io non sto accusando nessuno in particolare. Ma è dall’inizio della pandemia che si chiude la bocca ad ogni forma di dissenso in nome dei morti e delle bare. In nome della paura. Ho un approccio a questo sentimento differente dal tuo. Semplicemente perché non credo che la paura debba essere utilizzata c’è strumento di ricatto per determinare scelte politiche, perché è solo di questo che stiamo oggettivamente parlando.
Nessuna “idea di “vita oltre la sopravvivenza” che valga davvero la pena di essere vissuta può essere costruita su queste fondamenta. Questo non significa non avere paura ma non utilizzarla come strumento di ricatto, di orientamento politico e di scelta. Come, per esempio, ha sempre fatto la destra. Questo non significa avere capito tutto e neanche niente, semplicemente sforzarsi di non cedere la propria esistenza ad un sentimento così pericoloso che potrebbe salvarti la vita ma anche condannarti a non viverla. Impedendo di viverla anche agli altri. In nome di un virus.
Capisco, però dal tuo discorso non è chiaro se l’obiettivo polemico è chi la paura la *usa* per ricattarci, o chi la paura la *vive* e, siccome non la controlla (non è un sentimento facile da controllare…) finisce per riversarla sugli altri. Perché i primi sono nemici, i secondi no. Capisco molto bene il loro sentire, forse perché sono uno di loro.
Non voglio chiudere la bocca a nessuno. L’unica cosa che mi piacerebbe vedere (ma mi sa che me la posso sognare) è rispetto reciproco, empatia, cautela… come basi per sviluppare un ragionamento condiviso su qual è la battaglia comune da combattere.
Se uno si inalbera perché non vuole indossare la mascherina e la considera un attentato alla sua libertà personale, o non rispetta la distanza di sicurezza, o non si sforza di rinunciare non dico a chissà che, ma ad impaccarsi in un locale iperaffollato per consumare e far balotta (perché se la “vita oltre la sopravvivenza” che ci manca così tanto è quella roba lì… ne possiamo tranquillamente fare a meno per un pochino, ecco); una persona che si comporta così non sta mostrando né rispetto, né empatia, né cautela.
Non credo neppure che quella persona lì mi sia nemica, a dire il vero. Più che altro, se succede qualcosa in conseguenza delle sue azioni, quella persona avrà ben altri problemi da affrontare, a livello di coscienza, della mia inimicizia o del mio odio. Quindi sticazzi.
In generale, penso che dovremmo smetterla di farci intossicare da questi infiniti dibattiti sul merito scientifico-sanitario della questione, che la stragrande maggioranza di noi non ha gli strumenti per comprendere, e cercare di individuare cosa davvero ci ha cacciati in questa situazione e l’ha peggiorata strada facendo.
“Se uno si inalbera perché non vuole indossare la mascherina e la considera un attentato alla sua libertà personale, o non rispetta la distanza di sicurezza, o non si sforza di rinunciare non dico a chissà che, ma ad impaccarsi in un locale iperaffollato per consumare e far balotta (perché se la “vita oltre la sopravvivenza” che ci manca così tanto è quella roba lì… ne possiamo tranquillamente fare a meno per un pochino, ecco); una persona che si comporta così non sta mostrando né rispetto, né empatia, né cautela.”
Ancora questi argomenti a fine ottobre? Hai dimenticato la corsetta e l’aperitivo.
Chiedere empatia ridicolizzando l’interlocutore con degli stereotipi imbecilli. Funzionerà?
@Isver
Penso che tu ti debba fondamentalmente dare una calmata.
Non ho ridicolizzato l’interlocutrice, ho solo *esemplificato* una serie di comportamenti – che non sono per niente stereotipici purtroppo – che dal mio punto di vista considero sbagliati e dannosi. Non ho mai detto (né lo penso) che filo a piombo rappresenti quel tipo di comportamento.
Il tuo intervento, oltre ad essere completamente fuori obiettivo, è anche gratuitamente aggressivo. Ci si stava confrontando civilmente, da punti di vista differenti, finché non sei arrivato tu. Era questo il tuo scopo?
“Penso che tu ti debba fondamentalmente dare una calmata.”
E io rispetto la tua opinione. Ma neanche tutta la calma di questo mondo basterebbe a convincermi che l’associazione che hai civilmente fatto precipitare sul confronto, quella tra la “vita oltre la sopravvivenza” e quegli stereotipi imbecilli, fosse casuale e non servisse invece a imporre un frame. Perché non potevi aspettarti di ricevere altro che una negazione, come risposta. Soprattutto se, come dici, tu stesso pensi che quell’immagine ridicola non c’entri nulla con quanto espresso da filo a piombo.
Io penso che se invece di cercare frame laddove quei frame non ci sono avessi letto veramente quello che ho scritto, avresti evitato questo sgradevolissimo processo alle intenzioni.
Processo alle intenzioni in cui si sei lanciato perché ho espresso un punto di vista che ti sta sul cazzo, che non accetti, sentendoti quindi legittimato ad attaccarmi e ad entrare distruttivamente a gamba tesa in uno scambio di punti di vista differenti.
Quando dico che certe derive mi preoccupano, faccio riferimento proprio ad atteggiamenti come questo. Hai pisciato su quel che di costruttivo c’era in un confronto solo perché una delle due parti ti stava sul cazzo. Riflettici sopra.
Siamo vicini ai 300 commenti, i 300 commenti su Giap sono come i 100 gradi nella pentola d’acqua, aumenta l’energia cinetica, aumenta il disordine, si capisce sempre meno e dopo un po’ siamo tutti bolliti. E la situazione intorno alimenta le fiamme sotto la pentola. Dobbiamo tutte e tutti sforzarci anche più del solito per mantenere la qualità della discussione, se proprio si vuole continuare a commentare qui in calce. I malintesi possono solo aumentare.
“tutta la calma di questo mondo basterebbe a convincermi che l’associazione che hai civilmente fatto precipitare sul confronto, quella tra la “vita oltre la sopravvivenza” e quegli stereotipi imbecilli, fosse casuale e non servisse invece a imporre un frame”
Isver ti ha già risposto molto bene e non ci sarebbe nulla da aggiungere eccetto per un concetto in particolare a cui devo rispondere io:
“dal tuo discorso non è chiaro se l’obiettivo polemico è chi la paura la *usa* per ricattarci, o chi la paura la *vive* e, siccome non la controlla (non è un sentimento facile da controllare…) finisce per riversarla sugli altri.” Non è chiaro perché spesso le due cose sono coincidenti e sono la stessa cosa. Tutte le volte che questa paura viene esibita ed usata come un’arma serve ad ottenere uno scopo. Con questo non intendo dire che non si debba esprimere la paura o che si debba reprimere la propria rabbia, ma non si può utilizzare le emozioni per scopi ” manipolativi”. Diciamo che abbiamo paura, diciamolo, senza pretendere che questo condizioni drasticamente l’ esistenza del prossimo. Senza lasciargli alcuna scelta. La paura può giustificare le decisioni peggiori sotto l’ egida del ” lo faccio per te, lo faccio per proteggerti”. Lo Stato non può permettersi di tutelare solo chi ha paura a scapito di tutti gli altri.
“impaccarsi in un locale iperaffollato per consumare e far balotta (perché se la “vita oltre la sopravvivenza” che ci manca così tanto è quella roba lì… ne possiamo tranquillamente fare a meno”
Possiamo fare a meno di tutto al cospetto dei morti e delle bare. Possiamo anche smettere di vivere e di respirare. Potrebbero essere considerate anche queste attività superflue. La vita che ci manca è anche quella roba lì. Sarebbe più prudente non andare in un locale affollato come sarebbe prudente non salire su un autobus affollato per andare al lavoro. Allora perché il primo è peggio del secondo? Solo perché ci si diverte ed invece si deve solo soffrire?
Infatti molta gente in un locale affollato ha conosciuto l’amore della propria vita. Pensare che in queste occasioni abbia luogo soltanto il consumo e dunque parlarne solo male mi sembra un filino unidimensionale… Dipende.
Devo ammettere che esco da questo confronto molto amareggiato. Il fatto che nella risposta un pezzo del mio commento sia stato citato ma ne siano state rimosse proprio le ultimissime parole (era “ne possiamo fare tranquillamente a meno PER UN POCHINO”) mi sembra molto indicativo; la dimostrazione che si legge quello che si vuole leggere e che lo scopo alla fin fine è quello di fare quadrato, come se qualsiasi punto di vista divergente fosse una minaccia… d’altronde lo si è detto: usare la paura a scopi politici ed esprimerla (per cui può capitare di riversarla sugli altri per umana debolezza) sono la stessa cosa, in quanto ad accomunarle è una base manipolativa.
Io non ho fatto neppure questo, ma quello che ho detto è stato inquadrato senza troppe cerimonie come “manipolatore vuole subdolamente imporre un frame il cui perfido scopo è negare al prossimo ogni gioia della vita”. E questo devo dire mi fa sentire veramente di merda.
Da cosa esattamente, di quello che ho detto, emergerebbe che *penso* che i locali notturni siano *soltanto luoghi di consumo*? Da nulla. Perché non lo penso. Negli ultimi anni sono stato un frequentatore più che abituale di una via bolognese ben nota per i suoi locali, e ok, non ci ho conosciuto l’amore della mia vita, ma quella frequentazione mi ha, tipo, tenuto a galla almeno un paio di volte in momenti psicologicamente tosti.
Che nei locali “si consumi e si faccia balotta”, e che quella sia la ratio dei locali mi sembra abbastanza innegabile. Non mi risulta che la birra sia gratis né che la gente esca per deprimersi. E le parole le ho misurate con attenzione, tra l’altro: “evitare di impaccarsi in un locale sovraffollato”. Che, anche al netto della precisazione temporale (“per un pochino”), mi sembra evocare circostanze ben precise e la necessità di evitare *quelle* circostanze.
Potrei quindi precisare che non voglio togliere a nessuno le gioie della vita notturna e non voglio mortificare l’esistenza di nessuno (non credo che chiedere di indossare una mascherina o mantenere per quanto possibile il distanziamento in luoghi pubblici – perché di questo ho parlato – rientri nella fattispecie). Ma avete deciso che invece no! E’ esattamente quello che voglio, e sto cercando di imporre un frame.
Non mi resta che salutarvi e augurarvi buon proseguimento.
Stefano,
1) stai esagerando, su;
2) non importa che tu aggiunga «un pochino», la frase prima era «se la vita oltre la sopravvivenza che ci manca è quella roba lì» (corsivo mio). È l’espressione unilateralmente dispregiativa a non convincere, perché, sì, la vita oltre la sopravvivenza è anche la convivialità, l’incontrarsi in un bar per bighellonare insieme ecc.
Cose che magari ad altri non interessano, ma è come l’esempio che ha fatto Bradipo, quello dell’andare in montagna: ci sarà sicuramente qualcuno per cui andare in montagna è «quella roba lì», ma per chi si sente vivo andando in montagna (novero che mi include), quella è vita. Anche la mia risposta a Marcello sulle “vite di merda” che farebbe la maggior parte della gente toccava lo stesso punto.
L’equivoco di fondo è che chiunque di noi possa ergersi a giudice di cosa debba essere “vita” per gli altri. No, non possiamo. E in ogni caso, non dobbiamo. Perché la china del «che vuoi che sia rinunciare a X», «che vuoi che sia rinunciare a Y» ecc. dopo un po’ si fa precipitosa, e prima o poi si arriva al cosa-vuoi-che-sia-rinunciare-a-tutto.
Tutto qui. Si trattava di una precisazione, in seguito a un’espressione fastidiosa, forse soltanto frettolosa.
“non voglio mortificare l’esistenza di nessuno (non credo che chiedere di indossare una mascherina o mantenere per quanto possibile il distanziamento in luoghi pubblici – perché di questo ho parlato – rientri nella fattispecie).”
Eh, siamo proprio brutta gente, hai ragione. Abbiamo deciso che vuoi imporre un frame. E solo perché non perdi occasione per tirare in ballo a vanvera la mascherina, il distanziamento e gli altri cliché, in modo da far passare l’idea che ci inalberiamo per quello, e far passare noi per fighetti che non sono disposti a rinunciare a un cazzo.
Era un’espressione frettolosa, colloquiale. Non ci ho fatto neppure caso, ho scritto come l’avrei detto in un discorso a voce. E non mi sembra che la si possa mettere sullo stesso piano di definire la vita delle persone “vita di merda”. Né che da scivolare su un’espressione colloquiale a dire “che vuoi che sia rinunciare a tutto” il passo sia davvero così breve.
Ho fatto notare come mi siano state attribuite a priori una caratterizzazione, dei pensieri e delle intenzioni in cui non mi riconosco, costringendomi a precisare sul piano personale. Ma a quanto pare sto esagerando. Ok. Ne prendo atto.
Direi che l’ultimo commento di Isver è la dimostrazione che sì, sto davvero esagerando. :-D
@Isver, davvero sei convinto che quello sia il mio pensiero? Mi sembra di averlo pure precisato, ma lo preciso di nuovo: non stavo attribuendo a filo a piombo quei comportamenti, li stavo semplicemente individuando come esempio di comportamenti che trovo sbagliati. Punto.
Se poi ti piace pensare che io pensi che tu sia un fighetto che non vuoi rinunciare a nulla, voglio rassicurarti: l’unica cosa che penso di te a questo punto è che non leggi, o quanto meno non fai lo sforzo minimo di concedere che l’interlocutore, anche dopo che te l’ha chiarito esplicitamente, abbia intenzioni differenti da quelle che sei portato ad attribuirgli a priori. E non so quale delle due cose sia meno lusinghiera ;-)
Stefano, qui non si è letto ciò che si voleva leggere ma ciò che hai scritto: perché se la “vita oltre la sopravvivenza” che ci manca così tanto è quella roba lì… ne possiamo tranquillamente fare a meno per un pochino.
È vero, un pochino lo hai scritto, associato a ” ne possiamo fare tranquillamente a meno” e ” quella roba lì” erano queste le frase che non lasciavano dubbi su quanto stessi dicendo. Nel frattempo però ti sei dipinto come una vittima, anche tu, quindi è un atteggiamento comune a tutti quelli che sfoggiano alcuni argomenti qui.
Hai scritto:
“Si legge quello che si vuole leggere e che lo scopo alla fin fine è quello di fare quadrato, come se qualsiasi punto di vista divergente fosse una minaccia… ”
Hai stabilito che ci fosse un complotto nei tuoi confronti?
“quello che ho detto è stato inquadrato senza troppe cerimonie come “manipolatore vuole subdolamente imporre un frame il cui perfido scopo è negare al prossimo ogni gioia della vita”.
Nessuno lo ha detto. Lo hai dedotto tu in maniera scorretta.
“avessi letto veramente quello che ho scritto, avresti evitato questo sgradevolissimo processo alle intenzioni
Processo alle intenzioni in cui ti sei lanciato perché ho espresso un punto di vista che ti sta sul cazzo, che non accetti”
Processo alle intenzioni?
“Penso che tu ti debba fondamentalmente dare una calmata”
Penso che fin qui, oggi almeno, siamo stati tutti molto calmi. Da questo confronto se ne può uscire in due modi: riflettendoci o prendendosela, anche se tu obiettivamente hai meno motivi dei tuoi interlocutori per prendertela. Visto che nessuno ti ha offeso o insultato e nonostante questo tu hai reagito come se fosse successo. Io per oggi ho fatto lo sforzo immane per concentrarmi su ciò che dico, senza generalizzare e senza tagliare corto. Da domani torno al mio standard. Ciao!
@Isver
Guarda, potrei rispondere una per una alle cose che dici ma sarebbe inutile a questo punto. Non voglio forzare la discussione, che mi sembra si sia arenata su posizioni inconciliabili, per cui sarebbe difficile ricavarne qualcosa di utile o positivo per entrambi. In più, sinceramente non credo di avere nulla da dimostrarti. Non so se viviamo nella stessa città, ma se così fosse in altri tempi ti avrei invitato a bere una birra e parlarne di persona… ossia la cosa che più disprezzo al mondo, a quanto pare, ma avrei fatto volentieri un’eccezione in questo caso :-D
Un abbraccio e buona serata. Davvero, senza rancore.
L’ultimo commento era in risposta a quello di filo a piombo, con cui mi scuso per lo scambio di persona. La risposta comunque vale per entrambi: non credo abbia nessun senso continuare. Mi son sentito attaccato e sì, me la son presa, ma certo non casca il mondo e non sarà questo a levarmi il sonno la notte. E comunque non credo di avere né più né meno ragioni per prendermela rispetto ad altri. Ognuno, in questo momento, ha le sue belle gatte da pelare. Che era il mio punto sin dall’inizio ma ok, non è passato e amen.
Di nuovo: un abbraccio e buona serata.
Ciao Stefano. Isver non stava facendo la difesa di filo a piombo. Stava solo dicendo che hai fatto una associazione di idee che non aveva un risultato casuale: la vita oltre la sopravvivenza e la ” movida” ( che definizione stupida). In ogni caso grazie per l’ idea della birra. È una bella idea. A questo proposito volevo dirti che abitiamo nella stessa città e che ieri il centro era pieno di gente, che l’ orario dell’aperitivo si è spostato alle quindici e che le persone hanno voglia di vivere, di vedersi, di stare fuori e incontrarsi, questo a prescindere dalle condizioni materiali di vita. Forse questo non è un desiderio di libertà, forse c’è anche molta stanchezza e avanza una forma di rifiuto per le costrizioni inutili. Avere voglia di vivere non è solo da adolescenti. I pomeriggi al cinema erano pieni di anziani. Prima. Ieri una mia amica piddina (sigh!… dell’età di mia mamma e molto agiata) è entrata in un negozio affollato per dire che non si rispettavano le distanze ( una azione da sciocco controllore kamikaze), le hanno risposto che se non voleva esporsi a rischi poteva uscire dal negozio. Voglia di vivere e consumismo sfrenato non sono sempre coincidenti. Anche i parchi sono pieni. La vita avrà il sopravvento sulla morte e sulla malattia, perché è un istinto insopprimibile. Anche quando non sei disposto a lottare per affermarlo.
@filo a piombo
In diversi commenti che ho letto in questa discussione ho visto all’opera il frame opposto: chi ha paura e ritiene necessarie delle cautele extra (a) non ha voglia di vivere (qualcuno ha scritto che faceva “una vita di merda” anche prima… ok) e (b) vuole togliere la voglia di vivere agli altri (il tuo discorso sulla paura come forma di manipolazione).
Che la voglia di vivere non sia solo da adolescenti e che uscire non significhi solo consumismo lo so benissimo. Ho la mia età e, lo dico con tutto il rispetto, non ho bisogno che qualcuno me lo venga a spiegare. Non voglio fare la lista delle cose che mi mancano e che non sto più facendo ma fidati: non è proprio cortissima. E se ho deciso di rinunciare a quelle cose, fidati di nuovo: è per motivi che ho accuratamente ponderato; e che non credo ci debba essere la necessità di spiegare, men che meno qui pubblicamente, solo per avere quel minimo di credito che, secondo me, dovremmo cercare di riconoscerci in partenza.
Sia tu che Isver, come se vi avessi attaccati personalmente (cosa di cui mi dispiace ma ripeto per la decima volta: non era quella la mia intenzione) e quindi avete contrattaccato (per cui a quel punto sono stato io a sentirmi messo al muro). Purtroppo non è una dinamica positiva, la sto riscontrando sempre più spesso (soprattutto in questi ca**o di social) e, a prescindere dal significato che ciascuno di noi da a “voglia di vivere” e “vita oltre la sopravvivenza”, penso che il fatto di non cedere a quella dinamica sia la base imprescindibile di queste cose.
Un abbraccio a entrambi e buona domenica.
Stefano, la differenza secondo me è questa: il frame che ha rischiato di insinuarsi nel tuo discorso – e che sono sicuro tu non avessi intenzione di attivare – è lo stesso che la classe dominante utilizza da mesi, in un bombardamento informativo incessante, per dare tutta la colpa della situazione ai comportamenti individuali, al fatto che la gente non sa fare “sacrifici”, che non vuole rinunciare a cose rinunciabili ecc. Sai bene anche tu che è un frame neoliberale. Lo stesso che si attiva quando si parla di clima o, negli USA, di armi. Non è il sistema a causare il disastro climatico, sei tu che non vuoi cambiare abitudini; non è il liberismo in fatto di armi a uccidere ma il singolo che tira il grilletto ecc.
Invece, il frame che tu vedi all’opera su Giap – ma che io non vedo, perché qui nessuno ha mai attaccato chi ha paura ma solo chi spaccia la propria paura per analisi oggettiva della situazione e la trasforma in attitudine sbirresca verso gli altri – almeno finora è stato largamente minoritario, durante la “prima ondata” era irrilevante. È vero che, per esasperazione, nelle ultime settimane un po’ quell’approccio è cresciuto, e a ‘sto giro i delatori e le madamine come la tizia di cui ha appena raccontato Filo A Piombo rischiano anche di prendere delle pacche.
Miconi nel suo libro spiega bene lo slittamento che a un certo punto c’è stato tra «io resto a casa» e l’astioso «c’è troppa gente in giro!» Oggi siamo di nuovo a questo secondo enunciato, che porta ogni cittadino a diventare poliziotto e spia a danno degli altri. Cosa che, epidemiologicamente parlando, è molto dubbio che porti qualche beneficio, e socialmente parlando è distruttiva.
@WM1
Non potrei essere più d’accordo sul fatto che il clima di delazione che si è creato sia un prodotto del frame neoliberale, che di riflesso contribuisce a rafforzare. Secondo me anche alcune reazioni alle misure di contenimento, però, rispondono a quel frame. Avevo citato delle cose specifiche (mascherina, distanziamento, locali affollati) non perché volessi attribuire quei comportamenti ai miei interlocutori, ma perché penso che siano cose che sia opportuno non fare.
Il rifiuto dei No Mask di indossare la mascherina in nome della “libertà personale”, ad esempio, è quanto di più neoliberale si possa immaginare, oltre ad implicare in certi casi la difesa di un concetto tossico di mascolinità (fenomeno che si era visto già durante la Spagnola, tra l’altro). Lo stesso dicasi per certe manifestazioni di cinismo estremo che ho visto e sentito esprimere rispetto ai morti (non qui, ovviamente, ma è capitato).
Sulla questione dei locali. Come dicevo in un commento precedente, la vita notturna la conosco bene. I bar che frequentavo le sere di fine settimana erano stipati, si faceva fatica a passare non dico per ordinare al bancone, ma anche solo per andare in bagno. E’ a *questo* genere di situazioni che mi riferivo, che secondo me vanno evitate (e nei bar che conosco lo fanno tra mille difficoltà, dove alle minori entrate si aggiunge lo sbatto di far rispettare le regole ai clienti).
Situazioni che sono sicuramente socialità, ma che non ne esauriscono il concetto. E che anzi, secondo me rappresentano un’idea di socialità che è cambiata molto negli ultimi anni e che penso andrebbe rivista, perché secondo me è a sua volta figlia del frame neoliberale. Capisco che anche quello possa mancare (un po’ manca pure a me, figuriamoci), ma penso anche che il distacco forzato da quelle situazioni potrebbe essere forse una buona occasione per ripensare, in generale, cosa intendiamo per socialità e cosa ci cerchiamo.
Insomma: penso che si debba avere un approccio critico anche riguardo a questo.
Precisazione: i bar che frequentavo erano stipati nei fine settimana *prima del lockdown*. Dopo ovviamente hanno adottato tutte le misure, trovandosi spesso a dover far rispettare le regole ai clienti, con un carico di lavoro ulteriore e, immagino, minori entrate. D’estate i tavoli all’aperto e l’ampliamento dei dehor sono stati la salvezza, sia per chi gestisce quei locali e ci lavora, sia per chi ci andava. Il problema della stagione fredda è che dovendosi limitare alle sale interne la questione si fa molto più complicata.
Tra parentesi, io personalmente ho smesso di uscire già prima dell’ultimo DPCM sia perché la prospettiva di stare per dei periodi di tempo prolungati in uno spazio chiuso non mi allettava granché, sia perché ho fatto questo ragionamento: se io non ci vado, perché è una cosa alla quale, sia pure un po’ a malincuore, posso rinunciare, chi vuole comunque andarci avrà più spazio e quindi più sicurezza.
Credo che la morale di tutta la favola sia non avere atteggiamenti “giudicanti”, né nei confronti di chi “ha paura” e giustamente non è un nemico, né allo stesso tempo delle cose che ciascuno considera «la “vita oltre la sopravvivenza” che ci manca così tanto»
Come dici tu la paura non è un sentimento facile da controllare, e in pratica nessun sentimento lo è, tantomeno il “giudizio”.
Il problema e anche il conflitto vengono fuori però se il modo di pensare e di giudicare dell’altro impatta ferocemente in quelle che ciascuno reputa delle libertà inderogabili.
Se io “non ti giudico”, però tu col tuo giudizio o con la tua paura mi rendi la vita impossibile, come la mettiamo?
Io ho molti amici e conoscenti che non riescono a fare a meno di fare tutte le settimane un’escursione in montagna anche solo al sabato pomeriggio, anche da soli, pur di scaricarsi e ritemprarsi.
E ho molti altri amici che invece per costringerli ad andare in montagna a camminare dovresti puntargli una pistola alla testa e poi ancora.
Se in un eventuale lockdown non si potesse più andare in montagna, di nuovo e senza senso, che ne potrebbero sapere i secondi del disagio e del senso di privazione dei primi?
Che capacità di empatia sarebbero in grado di provare?
Cos’è che rende la vita degna di essere vissuta?
(al di là del fatto che questo è spesso un problema che ti puoi porre a pancia piena e non a pancia vuota)
E soprattutto, chi lo decide?
Ciao Cugino, ma infatti il ” problema/ caratteristica dell’empatia” è che la comprensione non passa sempre attraverso l’ esperienza diretta. La capacità empatica va allenata ogni giorno. Non possiamo fare esperienza di tutto ma calarci mentalmente nella vita degli altri, questo si, possiamo farlo. Io chiedo questo, solo questo, a chi per paura mi chiede di rinunciare a vivere. Mi chiede di rinunciare in nome di una fantomatica protezione a fare cose innocue. A sentirmi una criminale perché faccio una passeggiata da sola. Come è successo a marzo. Io non ti dico di non avere paura ( sto usando un tu retorico,non mi riferisco a te in particolare), anche se la paura ti fa vivere peggio di come già stai vivendo. Ma ti chiedo di non usare quella paura per controllare l’ esistenza degli altri. Di non trasformare la paura in controllo, in “sicurezza”, in polizia.
Come ha appena scritto Bradipo, citando anche Isver:
“Io non riesco a capacitarmi di un approccio nel quale l’essere umano, ancora, continua a guardare alle cose per dominarle. E pur di riuscirci è disposto a ridurre se stesso a un morto vivente.”
Se non ricordo male, il buon vecchio materialismo storico ci insegnava che le opinioni possono essere le più varie, ma alle strette è la condizione materiale in cui una persona si trova a vivere a determinarne il sentire e – a limite – l’agire.
La lezione è andata persa nei meandri della storia e nel declino della fu “sinistra” europea (che non riposi in pace), eppure ascoltando molte discussioni attuali, non solo su Giap, ma soprattutto nella blogosfera e ai margini della vita attiva, torna a dimostrarsi vera.
La posizione nei confronti di un nuovo “lockdown” (le virgolette stanno a indicare che la parola è intesa in senso lato, come discorso, con tutti gli annessi e connessi concettuali, morali, etc.) dipendono in larga misura da come si è vissuto il primo, ovvero dalla situazione oggettiva in cui si mena l’esistenza.
Se ho figli alla scuola primaria so cosa comporterebbe la chiusura scolastica per i miei figli e per quelli degli altri, nonché per me. Se i figli non li ho, o li ho molto piccoli o molto grandi, probabilmente vedrò più facilmente il lockdown come un sacrificio necessario.
Se ho un lavoro con un contratto regolare e stabile, in cui è prevista la cassa integrazione (o addirittura lo stipendio pieno) e il mantenimento del posto di lavoro, avrò sui sacrifici necessari un’opinione facilmente opposta a quella di chi ha un lavoro precario o autonomo o irregolare e con il lockdown sa che si troverà a reddito zero.
Se sono un ragazzo o una ragazza avrò un livello di insofferenza infinitamente più alto e un livello di paranoia infinitamente più basso di un sessantenne (ma forse non di una persona molto molto anziana, chissà).
Se ho una bella casa, grande, magari con una spazio privato all’aperto (terrazzo, giardino), la penserò sul lockdown come chi vive in un piccolo appartamento sovraffollato delle case popolari o in un centro d’accoglienza? C’è da dubitarne.
E così via.
Certamente non è una regola ferrea, ci sono duemila eccezioni, che però, gira e rigira, credo finiranno sempre per incrociare la prova di una motivazione materiale.
Se noi WM non fossimo dei lavoratori della cultura, con prole in età scolare, compagne che fanno i lavori che fanno, genitori anziani, ecc., avremmo la posizione critica che abbiamo sul lockdown? Forse sì, per motivi ideali o ideologici nobilissimi, ma meno sentiti sulla nostra pelle e quindi vissuti molto meno intensamente.
Questo per dire che l’atteggiamento e il comportamento della popolazione nei mesi del lockdown venturo dipenderanno in larga misura da come si troverà a vivere o sopravvivere. Con la differenza rispetto al primo giro che stavolta la gente sa cosa aspettarsi; sa che nonostante il lockdown di primavera è arrivato l’autunno e siamo punto e a capo, con sei mesi di freddo davanti (quindi potenzialmente il doppio dei morti?); sa che per molti avere rimborsi e ristori non sarà affatto facile; sa che tantissimi non li avranno perché non ne hanno nemmeno diritto; sa che il governo dopo nove mesi di pandemia naviga ancora a vista; sa che dopo il secondo giro nulla vieta che ce ne sia un terzo o anche un quarto; sa – o inizia a considerare – che tra i mille esperti e scienziati, virologi, epidemiologi, medici, che ci martellano sui media, alla fine i più affidabili sono gli storici, i quali ci dicono l’unica cosa certa: le pandemie finiscono.
Rabbia, disillusione, cinismo. Facile che siano questi i sentimenti che la parte non tutelata della popolazione sta già coltivando. A torto o a ragione la parte più tutelata potrà lanciare accuse di disumanità, “genocidio”, egoismo, confindustrialismo, negazionismo. L’impressione è che servirà a poco. E se il grido nelle piazze si declinasse più esplicitamente in “noi il lockdown non lo paghiamo”, cioè se dalla composizione magmatica, confusa e confusionaria di questi primi focolai di rivolta, dovesse fare capolino una parvenza, un’ombra, di rivendicazione di classe, ancorché bislacca e sghemba, be’, allora, la storia si rivelerebbe davvero beffarda (e non sarebbe la prima volta).
Grazie a questo commento ho finalmente capito un concetto che conoscevo solo per sentito dire e che avevo sempre frainteso.
Infatti io interpretavo il mio “sentito dire” del materialismo come in contrapposizione con una visione più alta, complessa e se vogliamo “spirituale” dell’esistenza nel senso più volte già discusso qui.
Invece messa così come la spieghi tu è “puro buonsenso” (cit.): sono le condizioni materiali in cui la gente vive a decretarne in buona sostanza esperienze ed opinioni.
Detto questo, concordo perfettamente con il quadro che fai. L’aspetto desolante, se vogliamo, è la mancanza di empatia di alcune categorie verso altre.
Mi spiego per esempi. Se un ragazzo 25 enne (e scusate se lo definisco così, è per come sono piazzato anagraficamente) non riesce a provare empatia e comprensione verso i miei problemi di genitore con figli alla primaria, che ormai esco la sera di rado e faccio una vita sociale orientata ai miei figli, secondo me non è grave. Gli manca proprio l’esperienza per farlo. Potrebbe farlo se avesse maggiore apertura mentale, sì, ma quella manca a quasi tutti.
Viceversa, se io che adesso non esco più ma che i 25 anni li ho avuti e che dai 25 ai 35 se mi perdevo per lavoro un venerdi o un sabato sera a (illudermi di) baccagliare andavo in depressione non riesco a provare empatia per “quel” 25 enne, trovo sia più grave.
Significa che non solo non ho apertura mentale, ma che me la sono pure ristretta sulla mia situazione contingente. Il che è umano e capita, però chi ha più strumenti ha anche maggiori responsabilità, come diceva lo zio di Spider man :-)
Sulla storia beffarda, la penso anch’io così e trovo (dal mio punto di vista, scusate se a volte sono un po’ gretto) che il nuovo ceto medio, la nuova “piccola borghesia” di vedute ristrette e concentrata sul suo orticello e sui suoi bisogni e modalità di vita e di percezione del reddito sia costituita dai pochi che ancora usufruiscono dei rimasugli delle lotte operaie del ‘900.
Contratti a tempo indeterminato, mutua, ferie, per non parlare di tredicesime o quattordicesime che in larga parte del mondo del lavoro sono spariti a colpi di liberismo prima e di “sinistra” al governo poi e che in altre parti del mondo del lavoro (anche quello autonomo è lavoro) non sono praticamente mai esistiti.
Aggiungici una smaccata “contraddizione in seno al popolo” (tanto per continuare a rispolverare vecchia terminologia). Tra i tanti nodi portati al pettine dalla pandemia c’è quello dell’endemica evasione fiscale, cioè quell’italico «famo a capisse» che da sempre consente allo stato e ai lavoratori autonomi o imprenditori di coprirsi vicendevolmente. Io stato chiudo un occhio e tu cittadino non sei troppo esigente sulle mie mancanze, perché non puoi esserlo dato che sei il primo peccatore.
Il risultato di questo sistema in tempi pandemici è che se per calcolare i ristori ai commercianti lo stato non ha altro strumento che la dichiarazione dei redditi dell’anno precedente, e tali redditi sono largamente ribassati dal fatto che molti scontrini e/o fatture non sono stati emessi, il commerciante o l’artigiano deve accontentarsi di vivere con quello che formalmente dichiara.
Del resto se lo stato nel corso del tempo avesse controllato a tappeto, inasprito le pene, dismesso i condoni fiscali, ecc. e raccolto tutti i soldi che doveva raccogliere, forse ne avrebbe avuti di più per “ristorare” i commercianti, potenziare le terapie intensive, ecc. Il welfare dovrebbe funzionare così, a rigor di logica.
Del resto, si legge che a Sud di Roma i lavoratori subordinati in nero sono uno su tre o anche più. Quelli non possono dimostrare alcun reddito, quindi a loro puoi dare solo un sussidio, un reddito surrogato…un reddito di cittadinanza, come lo hanno chiamato le attuali forze politiche al governo, scippando il nome a un movimento che li aveva preceduti.
La pandemia scopre tutti i “mostri” creati dal sistema Italia nel corso dei decenni e glieli rivolta contro. Nel Medioevo l’avrebbero forse scambiata per un contrappasso divino.
Sono assolutamente d’accordo.
E (scusate se sono “partitaivacentrico”, ma mi sto migliorando) questo “famo a capisse” è tanto più ipocrita e odioso dal momento che le partite iva non sono tutte uguali*, e che non è nemmeno detto che tutte vogliano (a me già per esempio non va!), riescano o possano “aderire” a questo stato di cose e al “famo a capisse”.
Tanto per fare un esempio pratico, se tu sei un dipendente / consulente di un grosso ufficio che è il tuo cliente principale (qui ci sarebbe già da discutere sul fatto che sarebbe una “falsa” partita iva, ma rimaniamo nell’esempio) ben difficilmente potrai “omettere” nelle tue dichiarazioni parte di quei compensi, perché l’ufficio del padrone ha tutto l’interesse a scaricare il tuo costo quindi tu a lui fatturerai fino all’ultimo centesimo.
La beffa in questo è che se tu fatturi poco da un anno all’altro perchè sei un poveraccio, sei pure oggetto di accertamenti fiscali con la presunzione di colpevolezza e l’onere della prova ribaltato nei nuovi fantastici indici ISA che sono studi di settore sotto un altro nome.
In ogni caso io sostengo che questo “famo a capisse” è tipico nostro e purtroppo sfora anche in ben altri campi che non quello fiscale che qui in questa discussione mi rendo conto è poco pertinente.
Ne ho parlato nel mio commento https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/10/a-proposito-di-tamponi-di-positivi-al-tampone-di-quarantene-di-provvedimenti-irrazionali-e-sacrifici-umani/#comment-41175
e ne parli molto meglio tu qui: https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/10/a-proposito-di-tamponi-di-positivi-al-tampone-di-quarantene-di-provvedimenti-irrazionali-e-sacrifici-umani/#comment-41262 , altro commento su cui sono assolutamente d’accordo.
Io mi chiedo come si possa fare a mettere questa classe dirigente di fronte alla propria ipocrisia e a rigettare questo “famo a capisse” da ogni ambito della vita.
*approfitto dei 300 caratteri rimanenti per dire che so benissimo come funziona la tassazione per i dipendenti, sono cresciuto con l’unico stipendio in famiglia di mio padre e abbiamo sempre stretto la cinghia.
Il fatto è che la cinghia la stringo anche adesso, con problemi diversi da quelli che aveva mio padre e di cui non è sempre facile rendere partecipe chi non li conosce :-))
Stefano, ma io mi domando solo una cosa: ma com’è che tutta ‘sta convinzione e ‘sta vis polemica non la sfoghi e non la dirigi verso l’alto? Solo per chiarire le cose: se ci troviamo in una situazione così “grave” è solo perchè finora non è stato effettuato nessun intervento ” strutturale”. Hai voglia tu a parlare di mascherina, distanziamento sociale, lavarsi le mani, locali affollati. Non c’è “Speranza” che si sviluppi un approccio olistico alla malattia ed alla sua diffusione o di uscire dal paradigma biomedico/ securitario per incorporare nella gestione di questa situazione una prospettiva sociologica ed antropologica più capace di inquadrare soluzioni… no, il problema è e rimane la “movida”-
“E se ho deciso di rinunciare a quelle cose, fidati di nuovo: è per motivi che ho accuratamente ponderato”
“E’ a *questo* genere di situazioni che mi riferivo, che secondo me vanno evitate (e nei bar che conosco lo fanno tra mille difficoltà, dove alle minori entrate si aggiunge lo sbatto di far rispettare le regole ai clienti).”
Dall’ alto della tua saggezza, ci stai caldamente consigliando come vivere, grazie, suggerimenti davvero interessanti che devono essere assolutamente trasformati in decreti e restrizioni e che devono essere imposti. Ops… è già successo… Evitare e vietare sono cose differenti su cui però non viene più applicata alcuna distinzione. La tua pervicacia nell’ affermare queste convinzioni non ti impedisce però di dipingerti ancora come una vittima di attacchi indiscriminati, nonostante i tuoi caldi suggerimenti siano ampiamente ascoltati dal governo.
“Situazioni che sono sicuramente socialità, ma che non ne esauriscono il concetto. E che anzi, […] penso andrebbe rivista, perché secondo me è a sua volta figlia del frame neoliberale.”
Bene siamo pure al pippone moralista, anche se non c’entra nulla col contenimento del contagio.
Per quanto riguarda il rifiuto di indossare la mascherina all’ aria aperta, ti assicuro che non è una prerogativa solo di no mask machisti, io non la metto in posti che non siano affollati e la metto principalmente per evitare una sanzione. Ora vado a mortificarmi altrove. Anche se non ci riuscirò neanche impegnandomi al massimo. Non c’è pericolo.
Io direi di chiudere questo botta-e-risposta perché più si avanti e meno ci si intende reciprocamente.
Ma quale polemica? Ma perché ti senti attaccata da quello che ho detto, al punto da dare alle mie parole un senso che non hanno, né intendono avere? Perdonami WM1 se intervengo ancora, ma se una mia posizione viene male interpretata in questo modo penso sia giusto precisare.
Se ci fai caso, non ho mai parlato di mascherina *all’aria aperta*. E sai perché? Perché anche per me la mascherina all’aria aperta è una misura eccessiva e inutile. Ti sei immaginata che io abbia questa posizione (sulla base esattamente di cosa, non lo so) e me l’hai attribuita di default.
Per quanto riguarda la critica ad un certo tipo di socialità. In cosa consisterebbe il pippone moralista? Nel dire che il neoliberismo ha colonizzato pesantemente pure quella e che quindi sarebbe giusto sottoporla a critica?
Se ci fai caso, non ho detto: è giusto che si chiuda così la socialità neoliberista immorale viene abolita. Ho detto, invece, che secondo me si potrebbe approfittare della rinuncia forzata a quel tipo di socialità (rinuncia che non sono stato io né ad imporre, né a volere, e che come ho detto mi dispiace pure di dover subire!) per ripensare la socialità in termini diversi. E’ un *invito* a sottoporre a critica un aspetto della nostra esistenza per riscoprirlo in un’altra forma; non un’*ingiunzione* a rinunciarci, o ad abolirlo.
E dove, esattamente, ti ho “consigliato come vivere”, dio bono? L’ho pure scritto: se io nelle ultime settimane ho rinunciato, perché quella rinuncia mi pesava molto relativamente, uno dei motivi con cui ho razionalizzato questa rinuncia è che chi voleva comunque uscire avrebbe avuto più spazio e sarebbe stato più sicuro. Tutto il contrario di un consiglio o di un’ingiunzione a non uscire, mi pare!
Sono esausto.
Quest’estate, a Bologna, Piazza San Francesco veniva chiusa tutte le sere. L’ordinanza prevedeva che fosse chiusa alle 18. A volte (la domenica, di solito) la chiudevano alle 19. Poi probabilmente è cambiata l’ordinanza e hanno iniziato a chiuderla più tardi.
Dopo la fine del lockdown io e un mio amico, più altri amici a seconda delle serate, avevamo preso l’abitudine di trovarci in Piazza nel tardo pomeriggio. Non ho fatto ferie, non solo perché volevo evitare di spostarmi, ma perché non volevo intaccare i risparmi, avendo appena lasciato il mio lavoro (p.IVA nel settore dello spettacolo: reddito segato e prospettive future azzerate per via del Covid) nella speranza che a settembre mi chiamassero a lavorare a scuola come ATA (cosa che poi per fortuna è successa).
Passavamo il tempo a berci le nostre birre, comprate al negozio di alimentari all’angolo, a far chiacchiere. E sebbene la Piazza fosse un posto assolutamente sicuro, ogni sera la chiudevano con le transenne, di fatto obbligandoti, se volevi restare fuori dopo quell’orario, ad andare in un locale.
Quando parlo di esaminare criticamente l’idea di socialità che abbiamo, mi riferisco anche a questo: ossia al fatto che luoghi di aggregazione “liberi” vengano penalizzati in modo così draconiano. Al fatto che si siano levati gli scudi (non mi riferisco a te, sia chiaro, perché non voglio attribuirti posizioni che non so se sono le tue) sulla questine delle discoteche aperte o chiuse, mentre certi altri luoghi sono sottoposti ad un attacco feroce non da quanto c’è il Covid ma *da anni*.
E in tutto questo non condanno affatto le persone a cui piace andare in discoteca o chi ama uscire per bar (né ho mai usato il termine del cazzo di “movida”). Ho solo sottolineato come la socialità possa essere tante cose ma che quel concetto è stato drammaticamente sclerotizzato, e che come società (di nuovo: non è una cosa rivolta a te) siamo diventati dipendenti da una forma sclerotizzata di socialità che andrebbe ripensata.
E’ ancora legittimo fare un discorso di questo tipo? O siamo arrivati ad un tale livello di polarizzazione e rabbia per cui no, perché c’è il rischio che venga preso come un voler dire agli altri “come devono vivere”?
Spero di essermi spiegato meglio.
Segnalo un interessante articolo uscito recentemente su new left review su politica e pandemia:
https://newleftreview.org/issues/II125/articles/susan-watkins-politics-and-pandemics
E’ un’analisi delle politiche anti-covid a livello internazionale che parte da alcune considerazioni di Fukuyama per il quale il virus avrebbe rappresentato la fine dei populismi e una rivincita degli esperti e del loro ruolo in società. L’esempio maggiore riguarda i negazionismi delle destre accusate dei pessimi risultati nella gestione della pandemia. Susan Watkins demistifica la portata “universale” di questa affermazione raffrontando le diverse esperienze in base alla letalità del virus. I risultati sono interessanti per varie ragioni. Ad esempio in Perù, il peggiore tra tutti e governato dalle destre, il virus ha mischiato crisi economica e lotta per il controllo delle risorse tra le élite del paese. In Brasile invece, dove i tassi di mortalità risultano simili a quelli della Spagna, si stanno implementando politiche sociali che voleva il PT e per cui Bolsonaro sta ora riscuotendo un grande successo. I casi di best practice come Germania e Cina sono invece analizzati nello spettro democrazia-autoritarismo ma insegnano qualcosa di simile a mio parere. La capacità organizzativa della risposta a livello locale è ciò che fa la differenza. Cina e Germania mostrano linee decisionali chiare e rapidità di intervento. Il federalismo tedesco non lascia spazio a fraintendimenti tra ruoli e responsabilità di Stato centrale e Lander e questo ha aiutato una risposta dettagliata e tempestiva localmente (come in Cina, seppur su basi metodologiche diverse). Mi sembra una lettura interessante che potrebbe fornire spunti per spiegare come mai ad agosto-settembre l’Italia si raccontava come un caso di best practice da imitare e perchè si sia arrivati oggi alla seconda ondata del virus con una latente sensazione di impreparatezza e di non sapere bene cosa sia più giusto fare. Apre poi la questione cruciale dei debiti pubblici e del ruolo delle banche centrali (e commerciali) negli scenari politici del 2021.
Salve a tutti,
Mi trovo qui per caso grazie ad un amico che mi ha consigliato di vedere il video “il caso QAnon”… Ho 42 anni ed ero sull’orlo di cedere alle teorie complottiste, incomprensibilmente ero d’accordo con quello che diceva Trump quando, fino a 6 mesi fa, lo consideravo un demente… Avevo pensato di essermi rincoglionito (ciò nn vuol dire che non lo sia :) )
Tutte le mie critiche sulla gestione del virus non trovavano (e non la trovano tuttora) risposta. Per cui cercando qui e la mi sono perso nelle teorie del complotto che sono le uniche a cercare (apparentemente) di dare una risposta ai miei dubbi, e più cercavo di liberarmi più trovavo coerente il complotto…
Ora le mie domande sono quelle che vediamo nell’articolo qui sopra,
perché le maschere all’esterno?
perché chiudere di notte?
Perché é colpa mia anche se seguo le regole?
E soprattutto perché continuiamo con queste misure anche se nella pratica non funzionano?
È stato dimostrato che i bambini hanno una carica virale bassissima e allora perché imbavagliarli?
Perché i governi non hanno aumentato (e non lo fanno ancora) i letti, gli infermieri, i medici?
Perché nessuno risponde a questo?
Io vivo in Francia e la situazione è molto pesante… Macron(il presidente della Francia) ha annunciato 400mila morti se non si confinava, quando paesi che non hanno confinato a marzo hanno avuto più o meno la stessa mortalità della Francia e dell’Italia…
Possibile che le commissioni scientifiche non si accorgano di questo?
Durante la prima ondata mi ero preso un bel file excel e analizzato un po’ di dati, non sono nessuno, eppure era chiaro che nonostante il confinamento i contagi non diminuivano, quindi ho pensato che l’inquinamento giocasse un ruolo nella trasmissione, non solo come vettore ma il fatto di vivere per tanti anni in un posto molto inquinato degrada la salute delle persone che sono più facilmente colpite da malattie respiratorie… È complottismo questo?
Grazie di questo spazio, grazie di avermi liberato di un peso e grazie di contraddirmi!
Buona giornata
Emanuele
Ciao Emanuele. Preciso che anch’io sono nessuno e che mi faccio le stesse domande che ti fai tu.
Quelle domande possono essere ridotte, secondo me, ad una questione di fondo. L’ordine sociale, economico e politico in cui viviamo si basa su un principio ben preciso, plasmato dalla storia degli ultimi 3-400 anni: l’idea del potere come *governo della società*. Questo principio si basa su due esigenze contrastanti.
Da un lato, la promozione della libertà economica (che diventa libertà individuale nella misura in cui garantire maggiori spazi di libertà agli individui funge da moltiplicatore degli effetti materiali della libertà economica); dall’altro l’idea di bene collettivo, per cui la società come insieme va difesa dalle conseguenze distruttive della libertà. Ovviamente vale anche l’opposto: la libertà va tutelata dalle costrizioni dovute a interventi troppo pesanti a tutela del bene collettivo.
Insomma: l’idea di governo si fonda sulla promessa di difenderci, come singoli e come collettività, da due pericoli opposti. Peccato che quando scoppia una crisi come quella che stiamo attraversando, i meccanismi che mantengono questo fragile equilibrio vadano completamente in banana.
In ogni caso, a definire la ratio del sistema sono comunque gli interessi di chi possiede ricchezze e mezzi di produzione. Gli effetti possono beneficiare anche noi comuni mortali, ma i nostri interessi non sono il focus principale. Libertà individuale e bene collettivo, se riferiti alla maggioranza/totalità della popolazione, sono sacrificabili, o vengono evocati in modo strumentale.
Non è un caso che i ricchi in questo momento siano divisi in due campi distinti. Un campo che si appella strumentalmente alla libertà perché vuole difendere un modello di arricchimento basato sul “business as usual”. Un altro campo che si appella strumentalmente al bene collettivo perché le misure di contenimento possono produrre dispositivi di controllo sui quali sanno di poter capitalizzare.
I primi supportano il complottismo, dipingendo i secondi come una cabala giudaica che vuole controllare il mondo. I secondi, invece, si fingono progressisti. Nessuno dei due campi è particolarmente intelligente, se si ragiona sul lungo termine.
Su “inevitabile”, in correlazione al lo*kd*wn. Due modi d’uso del termine:
Un modo cade vittima del TINA e lo ritiene, inconsciamente, “l’unica opzione che a *noi tutti* (gov e popolo) rimane”.
L’altro modo rigetta totalmente TINA, smontando quel “noi”, separando gli interessi della popolazione da quelli di chi vorrebbe ad essa imporre tali restrizioni. Quindi opzione “inevitabile” nel senso che è una FINTA opzione, siccome ci viene IMPOSTA (dal gov/regioni/industriali contro il popolo).
L’aspetto causa-effetto:
L*c*do*n “inevitabile” nel senso che “la situazione è talmente grave per cui in questo momento è l’unica opzione/strumento rimasto per affrontare l’epidemia” ?
Non credo proprio!
L*c*do*n (“all’italiana”) è CAUSA della situazione attuale.
La situazione è talmente grave PROPRIO perchè, a marzo come ora, non si è *evitato* quel grave errore (loc*d**n).
Difficile evitarlo perchè non c’è quel minimo di democrazia che permetta alla popolazione di incidere sui processi decisionali in maniera da impedire (EVITARE, appunto) a governo/regioni di imporre nuovamente uno sbaglio chiamato ‘l**kd*wn’.
E’ il senso letterale della parola: “NON EVITABILE”, cioè: non abbiamo (forse) il potere di impedire al governo di fare questa
scelta dannosa, nel senso di IMPOSIZIONE/MINACCIA/PROMESSA/DECISIONE che governo e regioni hanno preso contro la popolazione. Nel senso che “hanno già deciso”.
Imposizione che pare “non evitabile”, nel senso che viene impedita una discussione politica e che governo e regioni ascoltano solo gli industriali ( Confindustria/Assolombardia ecc) e tutte le decisioni politiche sono sottoposte al veto di questi ultimi.
(.. ma forse con uno sciopero generale .. ?)
Come ‘scelta’, il remake del l*c*dow* di marzo è DA EVITARE e SCARTARE, perchè fa solo danni.
L’italia è in questa situazione proprio perchè non è stato possibile fin’ora EVITARE (IMPEDIRE) che il governo imponesse questo nonsense.
Segnalo un articolo importante:
https://umanitanova.org/?p=13023
Parla della crisi economica (la fame) e del ‘consiglio supremo di difesa” del 27/10 che prevede l’organizzazione dell’esercito per la repressione (in coordinamento NATO e EU) di chi protesterà perchè non ha da vivere (cibo, casa ecc).
chiedo scusa per i capslock.
Rileggendo, forse ho un po’ esagerato .. troppe parole in maiuscolo.
Siccome devo raggiungere i 550 caratteri, ne approfitto per aggiungere che:
Pure il ‘loc***wn notturno’ (coprifuoco), imposto unicamente per (stupido mito del “governo del fare”) far vedere che “fanno qualcosa” (anche se cose inutili o addirittura dannose) , non è molto diverso da quello diurno: hanno scelto l’orario dalle 23 alle 5:30 perchè, anche in questo caso, i profitti industriali (turno di notte: dalle 22 alle 06) non devono fermarsi.
Terza media e interessi industriali: Da 14 anni in su, va bene che lo studente stia a casa. Sotto i 14 anni lo stare a casa richiede in genere la presenza dei genitori (e per molti versi anche assistenza, per via della d.a.d. ), e questo non va bene per le industrie: distoglierebbe i dipendenti dal lavoro.
Un mondo che gira intorno alla produzione. A che pro?
Consiglio il documentario “Vivir la utopia” che parla dell’anarchismo durante la rivoluzione spagnola: ore di lavoro pro capite estremamente ridotte, disoccupazione inesistente, fabbriche gestite dalla collettività, produttività industriale quintuplicata e soprattutto produzione non per profitto ma per il benessere della popolazione. Si ottiene tutto eliminando il profitto.
Due considerazioni a margine.
1. se è vero come è vero che il lockdown è conseguenza dell’assenza e/o insipienza della politica (del governo, nello specifico, nazionale e regionale), allora bisogna ammettere che stiamo assistendo ad un ribaltamento dello schema “naturale” secondo il quale il responsabile paga pegno. Il fatto che sia il reo a comminare la “pena”, trasforma questa da misura sopportabile a fatica a insopportabile.
2. non sappiamo se davvero la clausura sia efficace o no. A guardare certi grafici sembrerebbe di si. Ma in realtà siamo costretti a credere che funzioni, perché se così non fosse dovremmo pensare che l’unico elemento in grado di condizionare la diffusione del virus sia la stagionalità. Questo equivarrebbe ad ammettere che l’evolutissimo homo sapiens sapiens, alla stregua di un Neanderthal qualunque, deve sperare negli dei, non è in grado di governare nulla nel processo di trasmissione (e di dominio) di un organismo che, tra l’altro, è al confine tra vivente e non (quasi una specie di zombie). E questo sarebbe ancora più insopportabile della clausura.
Sul punto 2: come faceva notare il mio socio WM4, giova alla lucidità mentale il punto di vista “spassionato” degli storici (non lo dico pro domo mea, anche se sono laureato in storia e lavoro con la storia da almeno un quarto di secolo): tutte le grandi ondate pandemiche sono passate. Tutte le ondate pandemiche presto o tardi hanno raggiunto un picco e poi si sono affievolite e infine eclissate. Uno dei portati più deprimenti del pensiero unico “progressista” su questa pandemia è l’assunto implicito che durerà per sempre, o meglio: che dovremo per sempre «difendere la società» (virgolette non a caso) da questo e da altri virus simili chiudendoci in casa (altrimenti siamo genocidi e nazisti), che il “distanziamento sociale” (orribile concetto) è qui per restare e chi è più bravo a mantenerlo oggi è già l’avanguardia di domani ecc. Di tutto questo ha scritto molto bene Wolf Bukowski qui su Giap il 29 aprile scorso.
Si. È proprio vero che passerà, il problema è ” solo” capire come saremo ” costretti” a scontare la pena, se ai domiciliari oppure no. E come. E come diceva Robydoc ” serietà vorrebbe che tutto si facesse tranne che peggiorare il quadro infliggendo ulteriori motivi di preoccupazione alle fasce di popolazione maggiormente in difficoltà. ” Ma sono particolarmente d’accordo con Bradipo, quando dice “non vedo nulla di frustrante in questo, a meno di essere ‘ipnotizzati’ dalla superstizione per cui si crede che nella scienza esista un potere infinito di conoscenza e conseguente capacità di dominio.” La scienza ha dei limiti intrinseci di conoscenza che avrebbe dovuto e potuto “compensare” la politica con una gestione attenta, con una preoccupazione sincera per la salute della popolazione, senza tornaconti. Oggi la stessa Viola in una intervista radiofonica, in un dibattito a distanza nato fra Asor Rosa e la Saraceno sulle recenti dichiarazioni di Toti, ha affermato che segregazione e protezione sono cose completamente differenti e che i costi sociali della pandemia rischiano di essere più alti del visibile numero dei decessi ( è una mia traduzione non letterale).
Perdona, Roberto, ma nel dire che “Tutte le ondate pandemiche presto o tardi hanno raggiunto un picco e poi si sono affievolite e infine eclissate” non c’è molto di metodo storico, a meno di non voler considerare tale la logica del “fino ad oggi” (giusto per ri-citare Foucault). In primo luogo, perché non è vero: l’AIDS, che è un virus pandemico, non si è né affievolito, né è scomparso. In secondo luogo, perché sappiamo molto poco del perché altre pandemie del passato sono cessate (se non per via ipotetica ma con poche possibilità di conferma empirica). Un virus ha due possibilità: replicandosi, muta continuamaente, e questo gli consente comportamenti che possono sembrare di intelligenza opportunistica nel parassitare in modo nuovo la vita altrui; oppure, finisce in un vicolo cieco, nel quale le possibilità di metamorfosi si affievoliscono. Questa è l’invariante biologica, che ci dice che è bene che le possibilità di replica e mutazione diminuiscano, ed è male che aumentino con la diffusione del contagio. Rispetto a questa invariante, il mondo che viviamo ha due tratti di assoluta originalità che non consentono paragoni col passato, men che meno ipotizzare leggi storiche. La prima è la densita di popolazione, e la sua interconnessione, che gioca a favore del virus: è presumibile che questa variante del Covid abbi apercorso in pochi mesi il cammino che l’HIV ha percorso in decenni, per dire; il secondo, che gioca a nostro favore, è la capacità di conoscenza e di azione dovute allo sviluppo della medicina e della scienza. In ogni caso, è qualcosa di inedito.
@Marcello07: premesso che più la paleontologia scava, e più scopriamo che il Neanderthal non era il nostro cugino scemo, ma era intelligente forse tanto quanto noi (ad esempio, era dotato di pensiero simbolico), e una certa percentuale di lui è part del nostro DNA; il problema della specie umana “sapiens” è che è l’unica specie vivente incapace di intelligenza di specie, per ragioni sia bio-antropologiche che sociali. Creare questa intelligenza, rimuovendo le cause che la impediscono (capitalismo compreso) è il compito per il futuro, se vogliamo che questa specie abbia un futuro. Sennò, lasceremo la Terra ai coccodrilli, che come sapeva Ballard, che ne capiva, sono già adatti al post-catastrofe.
Giro, nessuno qui ha ipotizzato «leggi storiche» e l’accenno non aveva in sé alcuna pretesa di metodo storico. Era un rapido invito a pensare a lunga gittata e fuori dal “presentismo” quasi chiliastico indotto dalla paura.
«Affievolirsi» non è un termine scientifico, e nemmeno «ondata pandemica», che ho usato al posto di pandemia per intendere l’evento sconquassante della pandemia, sconquassante sul piano degli assetti sociali e della cultura delle genti, come fu ad esempio la Peste Nera. Dopodiché, bisogna ulteriormente distinguere tra pandemia, epidemia ed endemia. Nel corso della storia molte pandemie sono passate tout court, e molte altre sono diventate endemie, cioè… hanno smesso di essere pandemie.
Quella dell’HIV è sicuramente stata una pandemia. Secondo l’OMS non lo è più, è tornata alla definizione di epidemia. L’ondata ha avuto il suo picco pandemico 23 anni fa, nel 1997, anno in cui ha fatto più di tre milioni di morti nel mondo, dopodiché nei paesi sviluppati è calata in modo significativo, per diversi motivi (precauzioni, terapie ecc.), ed è diventata endemia. Infatti non è più la «peste del duemila» e la sua esistenza non genera più lo sconquasso antropologico, la crisi dell’immaginario che vivemmo negli anni Ottanta-Novanta. Il che non vuol dire che non sia pericolosa, anzi, la sua “normalizzazione” fa correre rischi. Anche in Africa subsahariana è “normalizzata”, ma purtroppo dobbiamo connotare il verbo in un altro modo: per le varie cause e concause che abbiamo in mente entrambi, lì si concentra circa il 70% dei contagiati mondiali e oltre il 70% dei morti.
Detto questo, a me non convince nemmeno l’espressione «assoluta originalità», il rischio è quello del bias mai-prima-d’ora. Secondo me non c’è peculiarità che non sia relativa. Questa pandemia presenta peculiarità e differenze ma anche ripetizioni, echi, risonanze, connessioni con le pandemie precedenti. Nel momento in cui si vive in prima persona una situazione le peculiarità spiccano, e le discontinuità sembrano predominare sulle continuità. Quando l’esperienza si allontana nel tempo, con la profondità di campo si allarga il contesto in cui leggerla, e si notano meglio tutte le connessioni. Accadrà anche con questa. Non sarà una legge storica, ma è come guardiamo a quell’enorme accumulo di storie che chiamiamo il passato.
Ok, sarà che il pessimismo chiliastico non mi appartiene (però ne riconosco l’esistenza). Facciamo però attenzione a non mettere in giro dei frame ingannevoli, tipo quelli che attribuiscono di fatto un’intelligenza o un disegno o un’intenzione alla natura, e che finiscono col reiterare le credenze che i virus, di per sé, “tendono” ad esaurure la loro azione, o che “tendono” a un punto di equilibrio fra la loro persistenza e la perdita di virulenza, credenze che purtroppo continuano a circolare. Poi, è vero che il bias mai-prima-d’ora è ingannevole, anche perché ogni evento si crea i propri antecedenti ed evidenzia relazioni passate che in precedenza non si coglievano: tu m’insegni che è l’anatomia dell’uomo che spiega quella della scimmia,non il contrario. Al tempo stesso, proprio con quello sguardo sul campo lungo, teniamo presente che un elemento di novità c’è: non solo (anche, in parte) la crisi pandemica, ma la sua coesistenza con una crisi economica che dura, a voler essere buoni, dalla primavera del 2011, con una crisi migratoria che riguarda almeno un ventesimo dell’intera popolazione globale (forse un decimo, contando non solo i migranti che ce l’hanno fatta, ma anche quelli che non sono riusciti a migrare) e la crisi climatica. *Questo* intreccio è un unicum, e va compreso nel suo intreccio.
Sì, nel mio commento «ondate pandemiche» era soggetto solo nell’accezione dell’analisi logica, non attribuivo loro alcun ruolo soggettivo. Il problema della (come l’ha chiamata lui) «personificazione del virus» lo ha affrontato bene Isver in un commento di qualche giorno fa:
«Si continuano a usare frasi come “il virus non ha interesse a uccidere il proprio ospite”, che fanno danni enormi. Invece è fondamentale far capire che un virus non ha soggettività. Non ha coscienza né di individuo né di specie. Non è neanche un essere vivente secondo la definizione classica. E’ una macchina biologica programmata per riprodursi. Se può farlo. Ma non deve né vuole farlo. Lo fa e basta.
Quindi se un virus – uno a caso, non questo – è attrezzato per infettare tutti gli oltre 7 miliardi di esseri umani, e causarne la morte, lo farà. Non diventerà meno aggressivo per istinto di sopravvivenza. Causerà la propria estinzione insieme a quella della specie ospitante senza il minimo problema. A meno che non sia la sua stessa letalità a mettersi di traverso.
Infatti se l’ospite mediamente muore prima di poter contagiare altri individui, il virus in breve sparisce. Ed è solo a questo punto che entra in scena la mutazione favorevole per l’ospite. Perché se una mutazione del tutto casuale produce una variante ugualmente contagiosa ma meno letale del virus, ben presto quest’ultima soppianterà quella più letale a causa della maggiore diffusione garantita dalla sopravvivenza degli ospiti in maggior numero o per maggior tempo.
Selezione naturale. La variante meno letale sopravvive, l’altra no. Che è cosa ben diversa dall’immaginare che senza alcuna pressione selettiva, il virus spontaneamente prenda una direzione benigna. Se apparentemente succede, vuol dire solo che c’è qualcosa del virus che non sappiamo. Il che, comunque, nel caso di SARS-CoV-2 può essere benissimo. L’importante è non darlo per scontato.»
Segnalo sul sito di Repubblica un articolo accessibile anche ai non abbonati (e già questo di per sé varrebbe la citazione), a firma Elvira Naselli, dal titolo “Coronavirus, il rebus dei test. Come è difficile scegliere quello più adatto”.
Nell’articolo, ovviamente senza fare alcun riferimento alla questione cruciale della contagiosità di chi risulta positivo al tampone ma con carica virale molto bassa – evidentemente temono di passare per negazionisti perfino loro – si parla dei test rapidi e si citano gli articoli di Michael Mina e Anne Wyllie.
Fra una chiusura e un anatema, ogni tanto sui media fa capolino addirittura il XXI secolo.
buongiorno Isver, l’articolo citato mi lascia al solito in confusione: ” quale esame dà la certezza di non essere contagiati, visto che almeno il 40% di chi lo è (ma alcuni credono che la percentuale possa superare il 50%) non manifesta sintomi ma continua a diffondere però il virus?”.
Non è il solito tema dei superdiffusori che si insinua subdolo in un articolo divulgativo?
Credo sia invece da sottolineare con “riferimento alla questione cruciale della contagiosità di chi risulta positivo al tampone ma con carica virale molto bassa “
A quanto ho capito io, i superdiffusori sono contagiati asintomatici o presintomatici con carica virale particolarmente alta, che si trovano in un contesto che favorisce la diffusione del virus (luogo chiuso, affollato, scarsamente ventilato…). Il contesto è fondamentale.
La questione della superdiffusione è reale ed è certamente legata a quella della sensibilità dei tamponi, ma non è detto che a maggior sensibilità corrisponda maggior sicurezza. Perché è vero che una bassa carica virale non è necessariamente destinata a rimanere tale, quindi un tampone fatto molto presto – ma non troppo presto – potrebbe trovare e fermare un potenziale superdiffusore. Però è anche vero che in una fase in cui il virus circola molto, i limiti intrinseci del tampone, lento e costoso, non permettono di fare un numero adeguato di test e quindi di individuare molti altri asintomatici o presintomatici con carica virale (già) alta.
Considerato che si può comunque agire sui comportamenti per evitare di creare le condizioni in cui si verifica la superdiffusione, a me sembra più sensato privilegiare la velocità e la capillarità dei test, rispetto alla sensibilità.
Ciao, non capisco se c’è del sarcasmo nel punto 2, per cui spero di non infastidirti commentandolo.
Per me, proprio nell’accettazione dei limiti del nostro agire dominante verso la natura sta il nodo da sciogliere per riuscire a guardare il momento che stiamo vivendo con lucidità. Non vedo nulla di frustrante in questo, a meno di essere ‘ipnotizzati’ dalla superstizione per cui si crede che nella scienza esista un potere infinito di conoscenza e conseguente capacità di dominio.
Secondo me tutta questa follia virocentrica rimane funzionale a tentare di nascondere il fatto che per una popolazione in costante invecchiamento il SSN, ridotto a quello che è con le politiche attuate negli ultimi 20 anni, è inadeguato a fronteggiare qualcosa di imprevisto. Io guardo i grafici di Epicentro e continuo a non vedere quello che ci racconta il mainstream.
Sulle strategie di contenimento secondo me la cosa più seria da fare è dire che non ci si capisce niente. Da qualche giorno – proprio dal mio “inevitabile”:-) – sto provando a capire sia modalità di diffusione, sia “performance” migliori (in termini di deceduti, perché alla fine contano più quelli dei contagiati). Il risultato è sconfortante è tutto totalmente sconnesso. Ho scritto commenti di 25mila caratteri senza trovare una sola regolarità e quindi ve li risparmio. I tassi di letalità, su scala nazionale, sembrano i deliri di uno che gioca a dadi; le curve dei contagi, nonostante dio solo sa come siano calcolati i dati, come detto varie volte sono tutte simili; il rapporto tra densità e numerosità di contagi non vale quasi mai fuori dall’Europa (a volte vale a volte no è uguale a dire “non vale”); sulla riapertua delle scuole vale tutto e il suo contrario; sui trasporti boh, non è per niente detto; sui vari provvedimenti ormai potete vedere da soli quanto abbiano influito quelli prodotti fino al 15-20 ottobre; e so on. Con un quadro simile, che tutti gli scienziati, duri e molli, hanno a disposizione è davvero sconfortante sentire quelli che dicono di sapere cosa c’è da fare salvo accorgersi che è saltato quel tracciamento o che mancano i “controlli”. In un quadro del genere serietà vorrebbe che tutto si facesse tranne che peggiorare il quadro infliggendo ulteriori motivi di preoccupazione alle fasce di popolazione maggiormente in difficoltà. Ma anche questa affermazione pecca di razionalità, o meglio, tiene conto di una razionalità che non è quella di un qualsiasi sistema capitalistico, peggio ancora se arretrato. Si andrà avanti così a lungo, con noi che siamo impigliati nella ragnatela. Non per sempre, come ci insegnano gli storici (che però sono in prima linea a lanciare anatemi a destra e a manca contro gli agguati…)
C’è da dire però che, guardando la mortalità, il covid ha evidentemente fatto ad oggi gravi danni solo in un’area climaticamente omogenea – la val padana. Tutti i comuni gravemente colpiti, da Bergamo a Pesaro, si trovano in pianura. In Piemonte, ad esempio, Novara e Alessandria sono stati più danneggiati di Torino, così come in Lombardia Como e Varese sono stati molto meno toccati degli altri. in Friuli invece non c’è stato ad oggi alcun aumento dei decessi (Udine -5 rispetto al 2015; Trieste -53; Gorizia -20). Quindi l’aspetto climatico parrebbe chiaro e determinante, anche se sarebbe da capire perché la pianura veneta non ha avuto affatto i danni di quella padana. Vedremo se sarà così anche nei prossimi mesi, al di là dell’eventuale “effetto rimbalzo” a sud dell’Emilia.
Particolarmente interessante, peraltro, è il caso di Sondrio. Se prendiamo questo grafico (www.galiano.it/fonda/pub02.htm – grafico 25), vediamo un aumento del 58,3% dei decessi di febbraio-marzo 2020 rispetto alla media 2015-2019 dello stesso periodo: un disastro!
Solo che fino al 31 agosto a Sondrio, rispetto al periodo corrispettivo 2019, ci sono stati quest’anno complessivamente dodici morti in meno (https://www.istat.it/it/archivio/241428). Questo solo per ricordare l’importanza della contestualizzazione. (E il fatto che quel grafico venga dalla pagina “Pillole di ottimismo” è un segno dei tempi attuali.)
Quanto agli storici, infine, è vero: alcuni fra i più noti non hanno brillato per lucidità. Oltre a F. Cardini che se l’è presa coi giovani (“il male di questo paese” direbbe un personaggio di Mattia Torre), ad esempio, Ginzburg paragonato la “herd immunity” a un sacrifico umano di massa. Più fortunata è stata un’intervista a Cosmacini, che del resto per decenni si è ben occupato di storia della medicina – in libri peraltro gradevoli anche dal punto di vista stilistico, il che non è oggi banale per uno storico.
Mah, a me chiaro e determinante non appare niente. A Como c’è più caldo che a Bergamo? E poi, come dici anche tu, perché è diverso tra pianura e pianura? E ancora: in questi casi meglio chiarire di che dato parli (contagiati assoluti? percentuali? morti?) perché come provo a dire da un po’ il “danno” creato dal virus è – questo sì “chiaramente” – correlato a cosa ha trovato sul territorio in termini di densità, trasporti, strutture ospedaliere, capacità terapeutiche, posti a disposizione, gestione politica ecc ecc ecc. Cioè che è come dire “dipende” che non significa niente. Non solo, se sposti il focus dall’Italia verso altri posti ci capisci ancora meno. Questo a livello “scientifico”, anche se ci sarebbe il solito discorso lungo sulle decisioni che vanno prese per via probabilistica e non assecondando certezze che, di nuovo “chiaramente”, non ci sono. Ma insomma ormai il re è nudo, che l’Italia sia senza guida mi pare chiaro, e non è manco detto che sia il peggiore dei problemi.
Mi riferisco sempre alla mortalità assoluta dei singoli comuni in relazione agli immediati precedenti – i dati più solidi che abbiamo.
Più di Como è lampante l’esempio di Sondrio, che non ha avuto alcun aumento complessivo della mortalità pur essendo in Lombardia – ma lo stesso vale per il Piemonte e in generale per l’Italia (anche Trentino e Aosta hanno avuto meno danni in questo senso): più ci si allontana dalla pianura padana meno grave è l’impatto del covid. Appunto questo volevo dire: che i centri col maggiore aumento di mortalità non sono sparsi a caso, ma si trovano tutti nello stesso microambiente (col suo clima, attività antropiche etc.), e che quindi una regolarità ad oggi sarebbe evidente.
Non che ne sappia le cause, ovviamente, né saprei allargare il discorso a più nazioni. In Europa, gli altri paesi più colpiti – secondo le statistiche di mortalità di Euromomo – sono la Spagna (in particolare le regioni centrali: Castilla la Mancha, comunidad de Madrid, Castilla y Leon, Navarra) e l’Inghilterra. Sarebbe interessante capire cosa possa accomunare – ammesso vi sia qualcosa – queste zone da un punto di vista ambientale (cioè anche antropico, ormai), e cosa distinguerle dal resto dell’Europa occidentale.
Aggiungo una questione:
prima o poi sarà pronto un vaccino. Ovviamente ci saranno dosi sufficienti solo per un porzione della popolazione.
Un Governo decente dovrebbe già mettere sul tavolo la questione e spiegare le opzioni e le strategie. Chi vacciniamo? Andiamo per età, per categorie di lavoratori, per rischio? Vacciniamo gli anziani oppure i lavoratori che non possono fare smart working? Cosa è meglio? Perché?
Ecco… anche questo “dibattito” pubblico è del tutto assente. Spero almeno che i nostri simpatici Ministri ci stiano almeno ragionando.
La cosa andrà comunque spiegata, prima o poi (quando si comincerà, immagino entro marzo 2021), e quello sarà il vero banco di prova di tutto questo pasticcio.
Segnalo questa intervista molto interessante a Crisanti, che continuo a pensare non meriti di essere associato a quegli alienati dei suoi fan.
https://www.tpi.it/cronaca/macchina-tamponi-inganno-a-chi-conviene-intervista-andrea-crisanti-20201030690745/
Riporto la parte finale:
– Avrebbe chiuso anche cinema e teatri?
“Le racconto una cosa. Io sono stato pochi giorni fa da un mio amico che è il sovrintendente del Verdi”.
– In teatro?
“Esatto. Il distanziamento era perfetto: eravamo in cento, tutti con la mascherine, in una sala potenzialmente da mille posti. Si figuri”.
– E come valuta quello scenario?
“Secondo me il rischio era zero”.
– Le potrei obiettare che voi epidemiologi ragionate in termini probabilistici.
“Proprio di questo parlo: zero contatti, zero file, distanziamenti oltre ogni margine. E lei pensa che lì avvenga un contagio e in una bella fila supermercato o all’ufficio postale no? Bisogna avere senso realistico”.
– Parliamo delle scuole.
[…]
– E ora che farebbe?
“Bioscanner. E tampone rapido nelle classi”.
– Però lei stesso dice che c’è margine di errore”.
“Oh sì, ed anche ampio. Ma bisogna capire l’uso, che si fa di questi dati”.
– E lei cosa si aspetta dal tampone rapido?
“Vedi se c’è trasmissione e che volume ha”.
– Quindi avrebbe funzionato come termometro dell’epidemia?
“Con il molecolare individui i casi singoli: con il test rapido capisci la dinamica collettiva di un contagio”.
– Oggi sarebbe utile.
“Ma certo: oggi potremmo sapere se le scuole erano davvero un problema, se i contagi nei trasferimenti si traferivano sui ragazzi oppure no, e in che misura. Senza pesare sul sistema dei tamponi”.
Crisanti ha il coraggio di dire l’ovvio. Non è una frase paradossale, in questo momento dire l’ovvio è difficile in questo paese. Perché dimostra quanto “retorici” siano i dpcm.
Il governo non ha commissionato alcuna seria ricerca a campione nei luoghi di spettacolo prima di chiuderli, perché tanto a teatro ci va poca gente, e i film te li puoi vedere su piattaforma senza manco doverti mettere le scarpe. L’impatto del provvedimento è scarso (se non sei un lavoratore o una lavoratrice dello spettacolo, nel qual caso sei rovinat@, sei un sacrificio messo nel conto). Ma il governo non ha commissionato ricerche nemmeno nelle scuole, né fornito gli istituti di termoscanner, perché da un lato la scuola secondaria è un settore “improduttivo” facile da chiudere alla cieca, com’è stato fatto, dall’altro quella primaria (più difficile da chiudere per l’età degli alunni) potrebbe fornire risultati imbarazzanti.
Se saltasse fuori che i bambini non sono affatto dei supervettori, come sono stati dipinti per tutta la primavera scorsa, segregandoli in casa, dipingendoli come babykiller dei nonni, ecc., ma che anzi sono scarsamente infettivi, l’insipienza del governo e degli esperti a cui si affida sarebbe sotto gli occhi di tutti (e chi pescasse la paglia corta dovrebbe pure dirlo a De Luca…) e forse forse qualche bella causa per danni psicologici sui bambini non gliela toglierebbe nessuno. Meglio non sapere. Per lo stesso motivo non si commissionano ricerche strutturali sui luoghi di lavoro “produttivo”, anzi di quelli non si parla proprio, sono fuori dai radar: occhio non vede cuore non duole.
Francia e Gran Bretagna non hanno bisogno di chiudere le scuole per prime, casomai le chiudono per ultime, non perché abbiano governi particolarmente sensibili al disagio dei minorenni (chi? Macron e BoJo?), ma perché forse hanno raccontato meno balle alla cittadinanza e non hanno bisogno di fingere che certe chiusure servano ad arginare il contagio. Insomma non fanno “ammoina”.
L’ intervista a Crisanti è molto interessante. La caratteristica che mi colpisce di più di questo epidemiologo e che lo distingue dai medici da salotto ( televisivo) è che sia ancora, per fortuna, più interessato a capire che a vietare. Capire come arginare la pandemia sulla base di un sistema di tracciamento efficace e che consenta di fare correlazioni e raccogliere dati su cui basare un piano o una strategia. Una delle frasi che colpiscono maggiormente nell’intervista è, per me, questa: “in una emergenza di questo tipo la garanzia della diagnostica deve essere data dal sistema pubblico”.
Il dato sconcertante, invece, rimane legato al fatto che solo Zaia ha avuto fiuto politico sufficiente per capire che si doveva assecondare quello che, a prima vista, può sembrare solo uno maniacalmente concentrato sulla raccolta di dati ed informazioni. Tra l’altro, l’ impostazione giornalistica dell’articolo, la titolazione in particolare ( che non corrisponde al contenuto, molto buono), risponde solo alla becera logica di svelare un complotto ai danni della sanità pubblica mentre l’ intervista offre spunti di riflessione che vanno molto al di là della ricerca spasmodica di un complotto che non sia “semplicemente” il frutto di una speculazione capitalistica. Lo stesso ruolo, purtroppo, gioca anche Report. Le cui inchieste sono mirate principalmente a scoprire le magagne di una classe dirigente senza colpire l’ obiettivo principale. Fomentando un odio anticasta invece di un “sentimento” anticapitalista. Vabbè era comunque una pretesa ridicola che un programma televisivo potesse svolgere questo compito.
scuola e DAD. riprende il tormentone.
intanto in rete cominciano a vedersi i primi studi.
non sono un’esperto, ho trovato sul twitter (ma disponibile anche sul facebook per chi ce l’ha) la spiegazione di tal Fabio Sabatini, professore associato alla Sapienza, di questo studio: https://osf.io/preprints/socarxiv/ve4z7/
se ho ben capito, sarebbe un confronto di test di 350.000 studenti delle elementari olandesi prima e dopo la dad (una specie di invalsi?), con risultati davvero scoraggianti, soprattutto se si pensa che l’Olanda è il paese dove la dad è durata molto meno che in Italia: 8 settimane.
‘These results imply that students made little or no progress whilst learning from home, and suggest much larger losses in countries less prepared for remote learning’ …
Sono le stesse cose che ho pensato io. Ovviamente ci si poteva spingere decisamente più in là, anche se da Luca Telese non me lo aspetto. Ad esempio ci sarebbe stata bene una spiegazione del sistema “chiuso” di cui si parla, quello usato normalmente per processare i tamponi, e che causa la scarsità dei reagenti. Perché uno poi si immagina che i reagenti siano sostanze difficilissime e costosissime da sintetizzare e roba del genere, ma in realtà è un problema esclusivamente commerciale.
Farebbe ridere, se non avesse conseguenze drammatiche, ma in pratica funziona come per le macchine del caffè con le capsule o per le stampanti. Ovviamente si tratta di tecnologia più sofisticata, ma il principio è che ogni macchina di questo tipo utilizza dei kit già pronti, con dentro i reagenti nella miscela specifica per il tipo di analisi da fare. Il problema è che ogni macchina di questo tipo funziona solo con i kit commercializzati dalla stessa azienda. Una buona parte del business quindi alla fine è rappresentata proprio dai reagenti, così impacchettati. Ma siccome nessun singolo produttore, neanche i grossi nomi del settore, è in grado di far fronte a una richiesta eccezionale come quella di questo periodo, prima o poi mancano i reagenti per queste macchine, che sono le più diffuse, malgrado di reagenti tout court ce ne sia in abbondanza.
Si, la precisazione che fai sul funzionamento del sistema “chiuso” è particolarmente importante ( Telese avrà pensato che fosse un ” dettaglio” poco interessante per i lettori..) perché spiega che le difficoltà di tracciamento non sono da imputarsi ad una mancanza di reagenti ma al “monopolio” del sistema di sintesi e processazione dei tamponi. Ancora peggio. E peggio ancora alla luce della geniale proposta di Crisanti per bypassare l’ ostacolo. Quindi non c’è solo da rilevare una incapacità politica ma anche una mancanza di volontà criminale. Perché come aggiungeva Wu Ming 4: ” se saltasse fuori che […] l’insipienza del governo e degli esperti a cui si affida sarebbe sotto gli occhi di tutti”.
E così continuano a fare i danni collaterali di cui parla Massimo Zanetti. Oltre ai morti.
Sarebbe sotto gli occhi di chi è al corrente dei verbali desecretati del CTS di febbraio marzo e non fa un piego? Immagino, a questo punto, che sia un rischio davvero risibile.
Crisanti, sarà anche meglio dei suoi fan, ma il suo varici are di terze, quarte, quinte ondate, anche oltre la distribuzione del vaccino, che, prima di diventare massiva ci impiegherà mesi, onestamente non mi fa sperare in nulla che non sia un tunnel infinito di vita agli arresti alternata a vita quasi normale, almeno finché la curva non impenna nuovamente.
al di là dell’indubbia efficacia del suo approccio diagnostico, non mi sembra in grado di traghettsrci sotto la sua ala verso un futuro che non sia meno pesante del presente.
È anche il non vedere la fine che rende tutto ancora più insopportabile, se possibile.
Sarebbe interessante sapere qual è la ditta che commercializza i tamponi e chi li distribuisce per l’Italia.
Penso che le conseguenze sociali, politiche, economiche, sanitarie, ecc di questa pandemia si protrarranno per diversi anni, se non decenni. Tra gli effetti negativi aggiungerei anche quello legato al crollo di fiducia verso le istituzioni. In questo sito, molti hanno puntato il dito verso le decisioni politiche poco lungimiranti prese in passato e nel presente, ma decisori politici e opinionisti vari continuano a colpevolizzare tutti, dai corridori solitari, ai bambini, a chi non si mette le mascherine, tutti, tranne i maggiori responsabili.
Sento moltissime persone appoggiare questa linea di pensiero, al grido ‘è colpa nostra che continua a dilagare il covid perchè non facciamo abbastanza’ (quando “nostra” si intende naturalmente gli “altri cittadini”), quando verrà il tempo che persino queste persone, che Guareschi chiamava trinariciuti, si porranno delle domande e arriveranno alla conclusione che molte cose raccontate dai decisori politici non tornano, le istituzioni perderanno ogni tipo di credibilità con conseguenze del tutto inimmaginabili.
“Sarebbe interessante sapere qual è la ditta che commercializza i tamponi e chi li distribuisce per l’Italia.”
Non credo proprio che siano prodotti e/o commecializzati da una sola azienda. Un tampone è una cosa banalissima e semplicissimo da produrre, e al contrario dei kit di reagenti per le macchine a sistema “chiuso”, è universale. Anche i kit di reagenti, peraltro, non sono prodotti e/o commercializzati da un’unica azienda. Sono prodotti e/o commercializzati da tutte le varie aziende che producono e/o commercializzano le macchine. Il problema è che ogni azienda produce macchine che funzionano solo coi propri kit e kit che funzionano solo sulle proprie macchine.
“…ma decisori politici e opinionisti vari continuano a colpevolizzare tutti, dai corridori solitari, ai bambini, a chi non si mette le mascherine, tutti, tranne i maggiori responsabili.
Sento moltissime persone appoggiare questa linea di pensiero, al grido ‘è colpa nostra che continua a dilagare il covid perchè non facciamo abbastanza’ (quando “nostra” si intende naturalmente gli “altri cittadini”)…”
Condivido completamente questo tuo pensiero… Aggiungerei che c’è un finto altruismo e nessuno si prende le proprie responsabilità.
Tra le mille cose che mi stanno facendo un’impressione inaspettata non ultima c’è questo cazzeggio che segue le deliranti conferenze stampa di uno che sarà pure un guitto d’avanspettacolo ma è pur sempre il capo di una cosa chiamata “governo”. Ci si bea di una supposta intelligenza superiore dandosi di gomito, ormai solo metaforicamente perché non si sa mai, e si ride supinatamente di autocertificazioni assurde, eccezioni che forse ma anche, orari, codici ateco, colori pastello e via divertendosi. Con questo clima non è manco questione di assumersi responsabilità, a me il clima pare da ultimi giorni dell’umanità e alla fine mi pare che il pazzo sia io, che guardo grafici e tabelle individuo colpe pensando a soluzioni sensate, circondato da un numero sempre maggiore di positivi che però le ritengono punizioni divine.
Peccato non essere uno scrittore.
Certa sarcastica rassegnazione all’assurdità nasce anche dal banale istinto di sopravvivenza. Se lo guardassimo per un istante davvero *da fuori*, questo paese ci apparirebbe per la clamorosa farloccata che è. «La situazione è grave ma non è seria», diceva Totò, che aveva capito tutto. «Tanta voglia di ricominciare…abusiva», gli faceva eco Elio molti anni dopo, con altrettanta lucidità.
Trovandocisi dentro, si scovano strategie psicologiche per non impazzire (e non tutti ci riescono).
Provo a mettermi nei panni di un barista di una qualche zona rossa o arancione, che è rimasto appeso alla conferenza stampa di un tizio con la mascherina a quindici metri di distanza dai suoi interlocutori, per sapere se la sua attività avrebbe potuto riaprire domani oppure no e restare chiusa fino a chissà quando.
Provo a mettermi nei panni di chi vive in regioni amministrate da non-amministratori, come ad esempio la Campania, che ha chiuso preventivamente anche le scuole elementari e gli asili, ma ce la ritroviamo “gialla”, affinché l’economia sommersa possa sopravvivere (lo slogan politico quindi sarebbe: «Più lavoro nero, meno istruzione!»).
Provo a mettermi nei panni dei miei parenti acquisiti lombardi, che da domani sono agli arresti domiciliari come a marzo-aprile, anche se vivono in un paesino della Brianza, e che oggi sentono Fontana lamentarsi perché la Lombardia non ha fatto in tempo ad “aggiornare” i numeri… E penso che allora è così che funziona: i più svelti ad aggiornare i numeri sono riusciti a rimanere “gialli”, secondo il buon vecchio adagio italico “fatta la legge, trovato l’inganno”.
Provo a mettermi nei panni di tutta quella compagneria variegata e di certi intellettuali più realisti del re… anzi, più conti di Conte, per i quali i “confindustriali” sono sempre gli altri, che sono costretti a tenere il punto anche di fronte al clamoroso baratto a cui abbiamo assistito nei giorni scorsi: lo stato si fa carico delle casse integrazioni (punto per Confindustria), prolunga il blocco dei licenziamenti (punto per il sindacato), le parti in causa fingono che i contagi non riguardino i lavoratori del polo industriale del Nord, che resta assolutamente attivo (palla al centro, la partita può continuare).
Provo a mettermi nei panni di chiunque abbia ormai il presentimento che andando verso l’inverno le cose non potranno che peggiorare e che prima del caldo dell’anno prossimo non ne usciremo – e quindi ne usciremo distrutti -, mentre ascolta il Nobiluomo di Bari parlare come stesse presentando il consuntivo a un’assemblea di condominio (ma con la mascherina).
Ci provo e mi rendo conto che per non schiodare di testa in una distopia ridicola, ancorché tragica, come questa, più di una persona finisce per riderci sopra. Si può fargliene una colpa?
– Quando sarà finita la guerra, vieni a farmi visita. Mi troverai ogni sera dalle sei in poi alla bettola ‘Al Calice’ a via Na Bojišti.
– Certo che verrò, – rispose Vodička, – ci sarà baldoria?
– Ogni giorno vi si scatena qualcosa, – promise Švejk, – e se ci fosse troppa calma, ci penseremo noi a far chiasso.
Si separarono e, quando furono ormai distanti di parecchi passi l’uno dall’altro, il vecchio zappatore Vodička gridò a Švejk: – Allora cerca davvero di metter su qualche spasso, quando verrò.
E Švejk a sua volta: – Vieni però sul serio, quando sarà finita questa guerra.
Poi si allontanarono e di nuovo si udì, dopo una lunga pausa, di dietro l’angolo della seconda fila di baracche, la voce di Vodička: – Švejk, Švejk, che birra hanno al ‘Calice’?
E come un’eco risonò la risposta di Švejk:
– Di Velké Popovice.
– Pensavo che avessero quella di Smíchov, – urlò da lontano lo zappatore Vodička.
– Ci sono anche donnine, gridò Švejk.
– Allora a dopo la guerra, alle sei di sera, – gridò Vodička dal basso.
– Meglio se vieni alle sei e mezzo, per il caso io dovessi tardare, – rispose Švejk.
Ci sarebbe molto da dire su quanto il leggere, lo scoprire o il riscoprire la lettura , magari insieme all’altro che ci sta` accanto, rappresenti, in questo momento di reclusione forzata, un vero atto rivoluzionario contrapposto all’innoquo, abulico e incessante passare in rassegna comunicati, grafici, statisiche di difficile interpretazione, oppure ad osservare l’ininterrotto scorrere di memi insulsi e le performance giornaliere della «…scimmia del quarto Reich [che] balla[va] la polka sopra il muro e mentre si arrampicava le abbiamo visto tutto il culo».
Eh, ma la lettura non basta. Serve il racconto orale. Infatti io cito Švejk perché per me e dalle mie parti è come l’Odissea: ci si ritrova dentro l’epopea delle nostre famiglie, de* nostr* (bis)nonni e (bis)nonne travolt* dalla guerra dall’altro lato del fronte; e soprattutto ci si ritrova dentro il loro sarcasmo feroce e proletario, travestito da candore fintamente sottomesso. Il racconto orale (e l’umorismo) presuppone una comunità, ed è quella, che ci serve e ci manca. Da febbraio in poi quello che si è sgretolato, anzi, è stato proprio raso al suolo, è l’idea stessa che ci possa essere una comunità. La gestione poliziesca e manicomiale dell’emergenza ha realizzato il sogno liberale di Margaret Thattcher: la società non esiste, esistono gli individui e le famiglie. Altro che il lockdown come trionfo del prendersi cura e via smielando. Švejk li avrebbe presi a calci in culo certi “””compagni”””.
Ecco, questo! Siamo finiti ognuno confinato nella sua bolla, da cui diventa sempre più faticoso uscire per comunicare con gli altri – non solo a causa delle misure (qui in Inghilterra con il nuovo lockdown puoi incontrare solo un’altra persona alla volta, e all’aperto), anche per sfinimento, depressione, e altre diverse possibili reazioni davanti a questo clima di diffidenza, stigma, biasimo pseudo-moraleggiante, tra l’adesione e il tentativo di eluderlo il più possibile. E i social mi pare contribuiscano alla dinamica, c’è chi posta foto di presunti violatori di regole additandoli al pubblico ludibrio – immagino sentendosi tanto superiore… Insomma tanta gente non s’è ancora stancata di giocare allo sceriffo della pandemia, e il “twitter di sinistra” sembra avere la parte del leone in questo. Pure qui è partita una campagna “mettiamo anche le scuole in lockdown”. E pure qui sembra che tantissima gente di “””sinistra””” spinga per misure sempre più estreme, repressive e poliziesche (anche dall’efficacia quantomeno dubbia). Il che è ancor più pazzesco quando si pensa che a metterle in atto e arrogarsi sempre più potere grazie alle politiche emergenziali è il governo più di destra degli ultimi decenni, e non credo che chi ne fa parte non veda l’ora di cederlo, questo potere incontrollato. Ma le stesse persone e gli stessi media che si sono stracciati le vesti davanti alle manovre scorrette legate alla questione-Brexit sembrano non aver nulla da dire su questo. Anzi, spingono perché si vada sempre più in là, e collaborano ad alimentare un clima di paura fomentato da numeri e proiezioni che lasciano quantomeno perplessi. Paradossalmente, l’opposizione e l’allarme riguardo alle inaudite restrizioni delle libertà individuali vengono piuttosto da parlamentari e media conservatori.
L’unica buona notizia sembra essere la reazione degli studenti di Manchester, che trovandosi improvvisamente davanti a barriere che li chiudevano dentro al campus, hanno ben pensato di protestare (e tirarle giù: https://www.bbc.co.uk/news/uk-england-manchester-54841278)
Io mi riferivo proprio al raccontarsi storie, all’interno dei vari nuclei familiari, in opposizione allo streaming su Netflix, per esempio.
«…ci si ritrova dentro l’epopea delle nostre famiglie, de* nostr* (bis)nonni e (bis)nonne travolt* dalla guerra dall’altro lato del fronte».
Non potrei essere piu` daccordo. Non so pero`, oggi, 2020, in quanti possono avere la fortuna di leggere il presente attraverso la lente del vissuto personale di congiunti che si sono dovuti confrontare in prima persona con le atrocita` di una guerra o anche “soltanto” con le difficolta` di una vita fatta di stenti. Io “puo`”, come disse quel famoso filosofo. Mia figlia adottiva no. Certe relazioni personali facevano (e in rari casi ancora fanno) parte di un esperienza formativa essenziale che pero` purtroppo e` insostituibile in quanto, cognitivamente, non viene assimilata allo stesso modo di un racconto in terza o quarta persona. Il racconto puo` (e mi permetto di dire deve) pero`, in certi contesti, fungere da “spanner in the works” (in particolare per i piu` giovani e gli anziani), fungere da attrezzo per una ri-configurazione specifica del pensiero che agevoli l’atto di immaginazione del cambiamento a venire. Nell’esperienza umana, a mio parere, i gradi di separazione dagli eventi contano; quindi se da un lato riconosco che il momento potrebbe essere propizio per «tirare calci in culo» dall’altro sono anche cosciente del fatto che e` proprio a causa dell’influenza di un educazione profondamente autoritaria, nella quale l’anima dell’organizzazione sociale risiede, appunto, nell’autorita`, che probabilmente risiede la maggioranza dei problemi moderni della societa`, sopratutto «…lo spostamento su posizioni reazionarie di tanta “bella gente” ».
Ok, però io mi riferivo ad un altro tipo di umorismo, molto complice, teso totalmente a deresponsabilizzare perché “siamo sulla stessa barca”, e con l’implicito che “tanto non c’è niente da fare, nessuno saprebbe fare meglio”. Questo secondo me sta facendo tanti danni quanto quelli del governo (esagero, ma neanche tanto) perché non è vero, qui l’abbiamo detto tante di quelle volte…, che non si ptoeva fare niente e non è vero che per forza di cose si debba essere così sciatti anche ora. Non stiamo guardando “Oltre il giardino” anche se il protagonista è terribilmente simile.
Sì, è vero, anche se mi pare che i due “umorismi” possano presentarsi ibridati, allo stato naturale, per così dire. E ammetto che ieri sera, mentre guardavo Conte, ho pensato precisamente a “Oltre il giardino”.
Assisto per altruismo nel tempo libero una persona, con patologie, over e con alcuni sintomi ed a lui, per ora in attesa del tampone, che era seguito da ASL per la sua condizione pregressa ora è stata sospesa l’ assistenza leggera, perchè poteva contagiare operatori ed altri assistiti della comunità.
Sul “sistema chiuso” , oltre al fatto che i medicali( protesi, macchinari etc.) si è detto sopra che fatturano 10 volte tanto dei vaccini per le multinazionali e quindi si capisce quale possa essere il peso politico dell’ industria del settore.
Non ho visto se tra i commenti è stato fatto notare, ma l’1 Novembre il TG3 ha intervistato il prof. Remuzzi e nell’intervista sono state dette en passant cose come se fossero scontate, ma che in realtà sono abbastanza importanti. Qui l’intervista: https://www.facebook.com/tg3rai/videos/3688856134506264
In particolare, da circa 1:27, la risposta alla domanda della giornalista sulla situazione negli ospedali e come affrontare l’emergenza.
Cose non banali dette da un'”autorità” in TV su un canale di un certo peso:
1) La maggior parte di questi malati possono essere curati a casa con successo (ma non c’è organizzazione… Guarda un po’, non c’è neanche un protocollo condiviso per la cura del paziente a casa)
2) Remuzzi suggerisce di mandare in ‘ospedali covid’ chi ha PAURA e chi invece ha veramente bisogno di cure, di mandarlo nei veri ospedali… (no comment.)
3) Le Terapie Intensive al momento (3 giorni fa) non sono così intasate ed in situazione critica, non si arriva al 25% di posti occupati.
IMPORTANTE
4) Remuzzi dice che c’è bisogno di capire CHI sono queste persone che muoiono e DOVE muoiono, perché attualmente i morti non vengono dalle TI. (WTF?! Cioè al momento non sappiamo ancora DOVE la gente muore?)
5) Avanza l’ipotesi che vengano ancora dalle RSA (I MORTI ARRIVANO ANCORA DALLE RSA?!)
6)Potrebbe anche essere che le persone che muoiono arrivino in ospedale per i motivi per cui sono sempre arrivate… E sono positive al Covid. Quest’ultima frase si presta a molteplici intepretazioni che non c’è neanche bisogno di sviscerare.
Ma di cosa stiamo parlando di preciso?
Sul punto 6, va detto che non è una rivelazione. Tuttora, per dire, la più giovane vittima del Covid in provincia di Ferrara è un ragazzo pakistano di 35 anni residente a Cento, morto il 30 luglio… di cancro ai polmoni. Aveva scoperto di essere positivo al momento del ricovero, il 17 giugno, da paziente oncologico, e non ha mai avuto il Covid (avrebbe pure fatto a cambio volentieri, direi). Ricordo benissimo di aver letto della classificazione come morto di Covid prevista dalle linee guida del ministero, in due diversi articoli che davano la notizia. Trattando la questione in modo neutro. Li avevo letti con attenzione perché qualche giorno prima c’era stato il caso di una donna di 94 anni di Codigoro, anche lei ricoverata e poi morta per altre cause – c’era l’intervista al nipote, politico locale – ma risultata positiva al tampone al momento del ricovero e quindi considerata morta di Covid, malgrado fosse rimasta sempre asintomatica e nel frattempo si fosse anche negativizzata. Ricordo benissimo anche di aver pensato che è esattamente così, con la mancanza di trasparenza, che si alimenta il complottismo. E lo confermo. Perché è vero che le cause di morte dovrebbero essere confermate dall’ISS, ma a quanto pare non interessa a nessuno. E infatti nell’elenco delle vittime della provinicia che si legge sui quotidiani locali, si trovano ancora al loro posto “donna di 94 anni di Codigoro” e “uomo di 35 anni di Cento”.
Tuttavia, proprio perché quei dati sono sporchi e lo sono sempre stati, penso che dobbiamo stare attenti anche a letture capziose che sovrastimino il numero dei morti attribuiti al Covid per ragioni burocratiche. Non sappiamo quanto pesino quei morti sul totale. Non possiamo dire se e quanto contribuiscano all’aumento di mortalità che stiamo registrando in questo momento. Anche Remuzzi poteva sollevare la questione in modo più diplomatico. Soprattutto perché alla fine la questione fondamentale è identificare meglio i soggetti a rischio, non contare meglio i morti.
Naurk. Remuzzi (che fra parentesi è uno dei pochissimi scienziati italiani che si sta occupando della materia COVID di alto livello. H Index: 180. Burioni: 30, così, giusto per capire), dice un paio di cose che purtroppo sono vere, sono state dette anche nella prima fase dell’epidemia (a marzo), ma in qualche modo sfuggono all’attenzione e non vengono messe al centro dei discorsi, quando forse ci dovrebbero stare. 1. In ospedale ci va un sacco di gente che non dovrebbe andarci: lo dicono in tantissimi (poi arriva Burioni e sbraita dicendo che sono tutte stronzate), ma la realtà è quella, gli ospedali si intasano, e c’è pure il rischio che chi non lo aveva se lo prende in ospedale il COVID. 2. stanno di nuovo morendo nelle RSA?: sì. Facendo una rapidissima ricerca su Google (ma proprio di 5 minuti) si vede che ci sono una marea di RSA in cui i contagi sono quasi al 100% e ci sono, ovviamente, anche i morti. Dopo tutto quello che è accaduto a marzo (con decessi nelle RSA che pesavano il 44% sul totale) rivedere le stesse dinamiche e non sottolinearle come IL problema è da matti. CIoè, se i media di stato mi bombardano ogni giorno col bollettino dei morti per farmi cacare sotto e farmi accettare qualsiasi DPCM quando poi è probabile che quasi metà di quei morti vengono da quei posti in cui si sapeva che c’era un rischio elevatissimo e niente si è fatto per scongiurarlo, allora io di quel bollettino non ne voglio più sapere nulla. Stessa cosa dicasi per gli ospedali. Ancora troppi contagi nelle strutture ospedaliere, che invece dovrebbero essere le più protette. Se a questo ci si aggiunge che la famosa medicina territoriale che TUTTI, ma proprio tutti dicevano che era la prima cosa da attivare, è completamente fallita, la voglia di dire “di che c… stiamo a parla’??” è fortissima.
D’accordo con le vostre osservazioni.
Questa storia della salute dei cittadini come leitmotiv apologetico di qualunque scelta politica (spero) si rivolterà contro gli stessi che lo hanno utilizzato. Forse pochi temi come la salute -se analizzati seriamente- può scoperchiare il vaso di pandora del sistema in cui viviamo ed aprire alla complessità delle cause (e non solo degli effetti) che concorrono alla salute di Homo sapiens.
Quanto potrà durare questa mistificazione ideologica? Davvero ci siamo dimenticati tutti di colpo cosa significhi salute? Davvero dobbiamo arrivare ad ucciderci per capirlo?
Anche il mantra che il covid ha un alto tasso di ospedalizzazione crollerà quando ci si renderà conto che questo è un problema proprio perché la salute delle persone è attaccata da più parti (inquinamento, salute, stress, accesso alle cure, lavoro che ti procura tumori, cibo di merda, vita sedentaria, ecc. lo so che chi legge GIAP queste cose le ha ben presente).
Eppure persino i tentativi di sfruttare l’occasione per parlare (figurati per agire) di salute a 360° sembrano vani da inizio anno…
Ieri mattina ho appreso dell’ultimo editto governativo, dapprima lievemente incredulo (ce lo aspettavamo, ma si sperava in un soprassalto di buon senso da parte del nostro Primo Ministro), poi sempre più incazzato. Una tantum, per sfogare questa rabbia in qualche modo, non distruttivo (soprattutto del mio equilibrio psichico), ho scritto al signor Conte, dopo aver trovato, sul sito della Presidenza del Consiglio, un indirizzo email dedicato, che fa capo alla segreteria della Presidenza del Consiglio dei Ministri (presidente@pec.governo.it, gli si può scrivere anche senza pec). Il mio messaggio: «Signor Presidente, le scrivo dal Piemonte, in merito al suo ultimo – ennesimo – decreto sulle misure per fronteggiare l’epidemia.
Dopo sue ripetute e convinte rassicurazioni, anche recentissime, che escludevano un ritorno alle gravi misure limitative delle libertà civili e individuali prese dal suo Governo lo scorso marzo, ecco che ci risiamo, in forma addirittura inasprita.
Sono passati circa otto mesi da quei giorni, ma le gravi lacune del sistema sanitario che all’epoca vi avevano convinti ad agire così duramente, rimangono intatte, non si è fatto, apparentemente, nulla per risolverle (comunque nulla di determinante) e quindi siamo daccapo, dobbiamo ancora, e più di allora, soffrire per la limitazione delle nostre libertà, come se questo fosse l’unico rimedio possibile.
La maggior parte dei giovani non va più a scuola, i bar e i ristoranti, che avevano fatto tutto il possibile (e anche di più) per adeguarsi alle misure imposte dal Governo che lei presiede, devono nuovamente chiudere, per almeno un mese; cinema, musei e teatri a loro volta chiusi e addirittura è in vigore il coprifuoco, misura che si dovrebbe prendere soltanto con una guerra in atto. Mi dispiace doverglielo dire, ma mi sembra che non siate, o non siate più, lei e i suoi colleghi, all’altezza del compito, e credo che dovreste prenderne atto, perché è veramente, ormai, una realtà conclamata.
La saluto cordialmente».
Probabilmente il mio è stato un gesto naif, se ne faranno un baffo, i suoi impiegati, ma chissà. Qualcosa si sente il bisogno di fare, perché fregarsene totalmente non è per niente facile.
Nel long form di Repubblica c’è una panoramica che mi pare abbastanza centrata, al entto dell’esigenza di deresponsabilizzare il governo, che però se si legge con attenzione ne esce come una combriccola di volenterosi incompetenti (sempre meglio che criminali, come invece credo io). C’è pure un curioso richiamo al peccato di hybris che forse farà pensare i nostri ospiti.
Ma a parte questo ci sono cose che qui abbiamo detto e ripetiamo da qualche mese:
– il disinteresse per la questione che è durato fino al 16 ottobre (!)
– il tracciamento saltato
– l’accidia delle regioni nel dotarsi di strutture e personale
– il problema della medicina territoriale (col richiamo che arriva da lontanissimo)
– l’incapacità di comprendere dove ci si contagia davvero
– il mancato intervento sui trasporti
La spiegazione è da “repubblica” (la burocrazia, il conflitto stato/regioni ecc, cosa che coglie parte del problema che però mica nasce dal nulla ovviamente) ma il quadro a me pare che sia abbastanza fedele.
Una cosa che a me pare interessante e che non so se sia stata detta qui è l’intrecciarsi con le dinamiche delle forze di governo, per esempio a proposito dell’utilizzo del MES. Insomma il pezzo a me pare buono nella descrizione e mediocrissimo nel rintracciare i collegamenti tra gli eventi, ma abituato all’orribile di questo periodo mi ha quasi fatto piacere.
Segnalo l’intervento della professoressa Antonella Viola, dell’Università di Padova, riportato ieri dall’Huffington Post. È interessante in quanto interpreta con molta chiarezza, e con un atteggiamento che forse Lukács definirebbe “cinico-ingenuo”, la filosofia sottesa ai recenti provvedimenti governativi.
“Da domani gran parte del Paese dovrà affrontare nuove restrizioni e pesanti sacrifici. Saranno settimane difficili e dolorose. Il coprifuoco non ha una ragione scientifica, ma serve a ricordarci che dobbiamo fare delle rinunce, che il superfluo va tagliato, che la nostra vita dovrà limitarsi all’essenziale: lavoro, scuola, relazioni affettive strette. Oggi l’unica cosa che mi sento di fare è lanciare un appello ai cittadini: diamo un senso a questi sacrifici! […] Se non cambieremo il nostro modo di vivere, se non faremo tutti la nostra parte, persino queste misure non avranno l’effetto sperato. Non organizziamo serate in casa con amici e parenti! […] L’unica cosa che funziona contro questo virus è limitare il numero di persone che incontriamo nelle nostre giornate. Dobbiamo restringere il cerchio delle nostre relazioni, personali e professionali. Facciamo tutti la nostra parte: la storia siamo noi!”
Qui il link:
https://www.huffingtonpost.it/entry/antonella-viola-il-coprifuoco-non-ha-una-ragione-scientifica_it_5fa27766c5b6f1e97fe56366
” abituato all’ orribile di questo periodo” è, purtroppo, tristemente una sensazione che si diffonde come ineluttabile. Anche se poi viene rispedita al mittente, a volte con gioia di vivere a volte con disperazione, da tutti quegli studenti che vogliono tornare a scuola, a vivere una vita ” normale”. Rassegnarsi può essere “saggiamente pericoloso” per la salute. Avendo deciso di prendere una seconda laurea, sto sperimentando sulla mia pelle la tortura della didattica a distanza, surrogato inutile ed incomparabilmente inadeguato alla trasmissione del sapere. Non esiste alcuna trasmissione di sapere senza dialettica. Senza rapporto, senza confronto, senza conflitto.
Avevo scritto dell’intervista a Remuzzi anche io, perché mi era sembrata sconvolgente una così candida “ammissione di responsabilità” da parte di alcuni scienziati nel sottolineare, finalmente, tutte le schifose inadempienze del governo. Perché ormai è pacifico parlare di responsabilità anche senza puntare il dito contro il colpevole. Nel frattempo però al governo proseguono con la “politica del ponte levatoio”. Chiudere per tenere fuori il nemico, per fermarlo. Come se fosse possibile.
Leggendo il commento di Isver e sentendo altre storie simili, mi chiedo perchè cause di decessi per altre malattie debbano essere spacciate per covid. Dei vertici sanitari non mi fido molto, ma di quelli che lavorano in prima linea si, perchè devono registrare cause di decessi non veritiere?
In questa maniera si alimenta il complottismo.
Sulle responsabilità di mal gestione della pandemia continuo a sentire persone che colpevolizzano più i singoli comportamenti che queste clamorose falle, con la conclusione che è giusto chiudere tutto.
Pr quanto riguarda la (dis)informazione, quando a settembre continuavano a decantare il modello italiano e a denunciare le manchevolezze del governo Trump, ho fatto un rapporto tra popolazione e morti covid di Usa e Italia (con tutti i limiti dei dati). Il risultato è stato sorpendente perchè i rapporti erano simili (0,061% contro 0,058%)..mia bisnonna diceva di non sputare in aria perchè poi lo sputo ricade su di te.
“Dei vertici sanitari non mi fido molto, ma di quelli che lavorano in prima linea si, perchè devono registrare cause di decessi non veritiere?”
Devono perché devono. Sono le linee guida del ministero. Che hanno anche una ragione di essere, o comunque l’avevano all’inizio della pandemia, quando ad esempio non si sapeva che questo virus potesse causare anche problemi cardiaci, fino all’infarto. Gli infarti da Covid non sarebbero stati conteggiati.
Il problema è che a distanza di mesi non c’è il minimo interesse a ripulire quei dati. E chi tocca quelle linee guida adesso, muore. Già mi immagino le reazioni. Vogliono nascondere i morti!!!
Con il mio primo commento su questo spazio vorrei stimolare la discussione su una domanda che mi sto ponendo da giorni e a cui non riesco a dare una risposta.
Il punto di partenza non può che essere il dato di fatto che questo governo (rectius, questa classe politica) ha fallito miseramente e si sta trascinando pateticamente utilizzando gli stessi stilemi della scorsa primavera: spettacolarizzazione della pandemia, colpevolizzazione del cittadino, difesa cieca degli interessi della grande produzione industriale… ormai non si può più parlare di incapacità, ma di complicità al virus e a questa sindemia.
Dalla primavera ad oggi c’è stato il tempo per pensare ad una piattaforma, ma soprattutto per provare ad immaginare strumenti per esprimere questo vero e proprio malessere.
Invece mi ritrovo nuovamente a novembre in una città fantasma, senza ormai più alcuna valida (secondo il Governo) ragione per uscire di casa. E l’atto più rivoluzionario che mi sembra di poter compiere è uscire di casa per una corsa e allontanarmi più in là dell’isolato. E lo farò, come tenterò qualsiasi atto di disobbedienza che riesca a regalarmi una qualche sensazione di libertà di cui ho bisogno come il pane, chiuso in una manciata di metri quadri a lavorare tutto il giorno.
Gli unici spazi liberi sembrano essere in mano alla destra più becera (certo alcuni resoconti delle manifestazioni della scorsa settimana danno qualche speranza, ma si tratta di una speranza piuttosto flebile, guardiamoci in faccia).
Il punto di arrivo è una domanda: perché ci siamo fatti trascinare dalla corrente proprio come un Presidente del Consiglio qualsiasi?
Scrolla questa muraglia di commenti verso l’alto finché non trovi un meme con Lenin che arringa una folla. Quel meme dice praticamente tutto quel che c’è da dire sul perché non si è potuta fare alcuna «piattaforma». Con chi avremmo potuto farla, se la sinistra – in tutte le sue gradazioni, anche la più nominalmente “radicale” e persino “antagonista” – ha capitolato subito e si è unita all’esercito degli zelanti? Oggi, con sparutissime eccezioni, è divisa tra chi ha qualche Speranza nell’essere più realista del re (o del Conte) e chi comincia a farsi qualche domanda ma decisamente troppo tardi, e comunque dando ancora risposte sbagliate, perché – questo è il punto – non si improvvisa una critica dell’emergenza all’ultimo minuto. Bisognava, come minimo, evitare di infamare chi la faceva già a marzo, ostentare meno false sicurezze sul magnifico futuro del reddito sociale, evitare di ragionare in base a dicotomie false come solidali/negazionisti. Oggi leggevo su un sito comunista che le piazze hanno ragione a contestare i provvedimenti perché… ci vuole il lockdown totale. «Lockdown fino alla vittoria!», appunto, come nel meme. Provino a presentarsi in quelle piazze con questa parola d’ordine: li linciano.
Tra le macerie, i superstiti e le superstiti di questa “trahison des clercs” del XXI secolo dovranno provare a riconnettere quello che «non sarà inferno», e costruire qualcosa di diverso.
C’è un punto fisso e non negoziabile, una cosa certa, e l’ha detta bene ieri il mio compadre Wu Ming 4 al telefono:
«Non mi sono salvato a Genova nel 2001 per tifare polizia nell’anno del ventennale».
Quel solco per noi è invalicabile. Il nostro piccolo segmento lo presidiamo con la spranga. Altri compagni invece sono pronti a scavalcarlo, vedrai. Pure gente che a Genova c’era.
Grazie, anche se è un grazie dolceamaro.
Parliamo di macerie e solchi invalicabili e in questo sento di trovarmi dallo stesso lato della barricata (che di lati ne ha pur sempre solo due).
E quanto è vero che in un anno si sono persi i punti di riferimento, non tanto quelli collettivi, ma soprattutto alcune “rocce” personali.
Sono solo preoccupato perché in questi sei mesi non ho visto la reazione che mi aspettavo (a partire da me stesso, ne faccio prima di tutto una questione di autocritica, ma è inutile colpevolizzare i singoli proprio come fa il Governo) e comincio a pensare che questa reazione non la vedrò neppure quando saremo davvero ad un passo dal solco e dalle macerie, e forse lo siamo già.
Probabilmente il primo passo resta comunque che reagisca io stesso. Poi si vedrà.
Nel frattempo, ancora grazie per regalarci questo spazio che è stato essenziale per non cadere definitivamente nel torpore di questa prigione domestica.
Aggiungo una considerazione ad uno dei punti da te elencati (colpevolizzazione del cittadino).
Da qualche tempo constato con mano uno degli effetti collaterali della tossicità narrativa che accompagna questa pandemia. Con il virus non ti becchi solo i disagi materiali (che possono arrivare anche all’ospedalizzazione) ma anche lo stigma. Lo vedo in amici e parenti (5 in tutto, quindi campione statisticamente insignificante, lo ammetto) che si sono scoperti positivi (a costo di apparire “salviniano” non voglio usare il termine ammalati); all’obbligatoria distanza fisica aggiungono una distanza sociale per la quale c’è la tendenza a rincantucciarsi nel proprio angolo, lontano da tutto e da tutti. Niente telefono, niente social, niente mail. È come se il positivo percepisse quegli effetti della comunicazione quotidiana per i quali da un lato se ti sei preso il virus è colpa tua, perché chissà che cavolo sei andato facendo in giro invece di startene a casa come fanno le persone serie, dall’altro devi stare lontano perché sei una minaccia, puoi contagiare gli altri, rovinare loro la vita (!!), costringerli a fermarsi, con tutto quello che ne consegue. Se ne è parlato tanto su giap, ed effettivamente questa strategia comunicativa per la quale “il sistema” non ha alcuna responsabilità e la diffusione virale dipende esclusivamente dagli sconsiderati comportamenti individuali, sembra funzionare. Tuttavia, a mio parere, ha il fiato corto, e se gli indicatori continueranno a peggiorare la strategia si rivelerà per quello che è: una affannosa rincorsa a coprire buchi con una coperta cortissima. E, come dicono gli Stark, l’inverno sta arrivando.
Confermo la tua sensazione con il mio piccolo (non statisticamente rilevante) campione. I positivi che conosco si isolano (socialmente) ancora prima di essere isolati, senza parlare del momento di attesa dei risultati, che è vissuto da ventenni che conosco come se si trattasse delle analisi per la positività all’HIV alla fine anni 80. Mica è colpa loro, questo terrorismo mediatico metterebbe in difficoltà chiunque.
Aggiungo che persone a me care (cui ho poi provato a far notare il problema delle loro affermazioni) hanno più volte commentato il fatto che un soggetto (famoso o no) fosse positivo al virus con una frase del tipo: “eh ma chi sa quanto stava fuori quello lì…” pure se quello lì era una persona che andava in ufficio tutti i giorni fino alla scorsa settimana (e tenuto conto che fino a dpcm contrario si è liberi di comportarsi come cautelativamente ci pare).
Da tenere d’occhio cosa succederà in Francia – dove tutto è anticipato rispetto a qui, ma i dati sembrano continuare a peggiorare – per capire quanto è corto il fiato di questa strategia.
Solo per citare un’esperienza diversa, nella mia cerchia fino, ad ora almeno, le cose vanno abbstanza bene: nessuno stigma, curiosità per come mai sia capitato (visto che siamo tutti sufficientemente prudenti), battutacce se è è capitato a quello magari più cazzone, nessuna particolare tensione nell’attesa del risultato se non quella per capire che tipo di terapia da seguire. Non so dire quanto dipenda anche dal fatto che sia una cerchia abbastanza consapevole, quanto dipenda dal fatto che un paio di noi siano da mesi abbastanza dentro la questione e quindi ispiriamo un po’ di fiducia perché cazzate non ne abbiamo fin qui dette, quanto le caratteristiche del “gruppo ampio”.
https://archive.vn/rauOa
Nel leggere questo articolo mi sono chiesta il motivo per cui l’autore si ponga due interrogativi secondo me banali, se intesi non come punto di partenza per l’analisi di interessanti dinamiche della psiche umana, ma come segno della scarsa empatia o peggio della irresponsabilità dei soggetti coinvolti. Perché questo è il messaggio che, magari sbagliando, vi ho letto.
In primis. A chi dovrebbero rivolgersi i cittadini per rappresentare una condizione di disagio se non al proprio Sindaco? Vero è che non è certo potere di quest’ultimo derogare alle disposizioni governative, ma egli incarna la figura che deve rappresentare gli interessi della Comunità che guida. Ovvio che nel caso di specie anche se lo facesse rimarrebbe inascoltato, ma la scelta di manifestare sotto casa di Gori mi pare pure comprensibile.
Il secondo interrogativo però è quello che mi ha colpito maggiormente: si stupisce il giornalista ( ed io mi stupisco che si stupisca, scusate il gioco di parole) che questa manifestazione abbia luogo proprio a Bergamo, città che ha contato un elevato numero di vittime del Sars-Cov2 e che nell’immaginario collettivo è il luogo che ha fatto da sfondo alla processione notturna dei camion militari. Spesso qui su Giap è stato sottolineato come quella scelta non sia stata dettata solo motivazioni di carattere logistico, ma che sottesa ad essa vi fosse la deliberata volontà di mostrare a tutti gli italiani indisciplinati un muto corteo che
si imprimesse nelle retine e poi nelle menti come monito.
Mi vengono in mente così tanti libri e films ed immagini di cronaca che raccontano di come l’istinto più forte di tutti, quello di sopravvivenza, permetta all’uomo di andare avanti ballando persino tra le macerie causate da un bombardamento o afferrando la vita è tenendosela stretta anche dopo aver vissuto lutti e orrori. Ed il giornalista si stupisce?
Incredibile anche la considerazione finale con quel “purtroppo” dal sen fuggito che sembrerebbe voler dire “meglio vedere sfilare i morti che vedere manifestare i vivi”. Per il resto, Mandragola, è interessante il fatto che siccome a questi non si può certo dire “non avete visto i morti” allora la colpevolizzazione prende le strade dello stupore e diventa “ma come? eppure avete visto i morti”. Pornografia morale, nn c’è dialogo possibile con questa gente, la pandemia ha fatto venir fuori la terribile miseria morale, lo schifo che si nasconde dietro il generico perbenismo.
Mi sovviene un passaggio de “ La Storia” in cui la Morante descrive la reazione della comunità dinanzi al ritorno di pochi sopravvissuti tra coloro che erano stati deportati con un convoglio partito dalla Tiburtina.
“ Difatti I racconti dei giudii non somigliavano a quelli dei capitani di nave
, o di Ulisse l’eroe di ritorno alla sua reggia. Erano figure spettrali, come i numeri negativi…La gente voleva rimuoverli dalle proprie giornate come dalle famiglie normali si rimuove la presenza dei pazzi, o dei morti.”
È una forza primordiale che spinge l’uomo ad aggrapparsi alla vita, anche dinanzi agli abissi più profondi in cui l’umanità è precipitata.
“Esultate coste! suonate campane!”
Quattro mesi dopo l’inchiesta del nyt, 3 mesi dopo l’appello del nejom e due mesi e mezzo dopo questo articolo, I sacri esperti del Cts hanno parlato: i test rapidi antigenici si possono fare in alternativa ai molecolari.
https://www.ilpost.it/2021/01/12/test-antigenici-cosa-cambia/
Peccato che ora, chissà come mai, costano dai 22 ai 65 euro invece dei 10$ che costavano in america a settembre. Dicono che è perché li hanno migliorati… almeno qualcuno ne è uscito migliore, verrebbe da dire!
Adesso magari si potrebbe pensare di farne uno a settimana o all’uopo in caso di positivi in classe invece di chiudere le scuole a tempo indeterminato.
Ma questo forse per la quarta ondata di settembre… che fretta c’è(ra maledetta primavera)?
Scusa ma io nell’articolo che segnali leggo che “d’ora in poi in molti casi non sarà più necessario per le autorità sanitarie confermare la positività al test antigenico con un successivo tampone molecolare”. Solo questo. Del resto il problema coi test rapidi sono i falsi negativi, non i falsi positivi. I casi di sintomatici risultati anche ripetutamente negativi al test rapido, almeno qui in Veneto, sono innumerevoli: il ricorso improprio a test rapidi una delle cause della drammatica situazione veneta di questi giorni?
Inoltre, uno dei reagenti utilizzati per l’esecuzione di uno dei test COVID (non so quale) scarseggia (il suo prezzo è aumentato). Ne sai qualcosa?
Magari il CTS deve prestare attenzione a situazioni più stringenti della divulgazione del New York Times. Magari non c’è solo incapacità dietro certe decisioni (perché sempre deridere, perché)
Se non serve più il tampone molecolare per confermare la positività al tampone rapido, significa che in quei casi il tampone rapido può sostituire quello molecolare. Cioè proprio ciò di cui si discuteva a ottobre sulla scia dell’inchiesta del NYT e dello studio apparso sul NEJOM, che raccomandava questo passaggio per il motivo che l’articolo del Post riassume in una frase: il tampone rapido «è più affidabile […] nel caso sia rilevata una positività: nel senso che è più raro segnali come positiva una persona in realtà non contagiata.» Ed è proprio dei casi di positività che si parla: se il tampone rapido darà risultato positivo non ci sarà bisogno di confermarlo con un molecolare. Questo passaggio serve anche a non sprecare tamponi molecolari per confermare ciò che non ha bisogno di essere confermato.
Questo lo capisco, ma il problema sono sempre stati i falsi negativi, non i falsi positivi; almeno, non nella misura in cui, per esempio, i falsi negativi sono diventati un problema nel Veneto, dove il ricorso ai test rapidi è stato sin qui massiccio (opinione mia, naturalmente). E (sempre opinione mia) CTS autorizza la certificazione di positività con test rapido perché bisogna risparmiare sull’esecuzione di test molecolari (sicuramente anche per critica reperibilità dei reagenti: ripeto, c’è almeno una commodity che sta attraversando un momento molto difficile), non perché preoccupi la possibilità che sulla base del test molecolare siano rilevate false positività – o forse si potrebbe dire false contagiosità – altrimenti sono tutti stupidi o in mala fede?
In realtà sono sempre stati un problema anche i falsi positivi, benché se ne sia parlato pochissimo e rispetto a quello dei falsi negativi sia forse un problema “controintuitivo”. Le percentuali di falsi positivi stimate negli studi linkati a ottobre erano sorprendenti. Fino a ottobre noi (ormai unico paese in Europa) facevamo uscire dall’isolamento con doppio tampone di controllo risultato negativo. C’è un sacco di gente che è rimasta prigioniera in casa per mesi perché continuava a risultare positiva, nonostante fosse già accertato da decine di studi che al 21esimo giorno non si era più contagiosi. E magari il loro era un falso positivo dal principio… Proviamo a vederla in quest’ottica, la questione dei possibili falsi positivi. Quante esistenze, anche di soggetti deboli, ragazzi ecc. abbiamo costretto a un isolamento immotivato? Quanti tamponi molecolari abbiamo sprecato per via di un ottuso ritardo nel recepire l’evidenza scientifica e per altrettanto ottusa fiducia in un risultato che dipendeva da un’iper-sensibilità, da un eccesso di precisione? Oggi al 21esimo giorno si esce dall’isolamento anche se positivi al tampone, ed è giusto così. Oggi si usa il tampone rapido per vedere se si è positivi, ed è giusto così. Rispetto ad altri paesi, siamo arrivati tardi a entrambe le realizzazioni.
Dare la colpa ai tamponi rapidi della situazione del veneto è ridicolo. Oggi il veneto è la regione “peggiore” d’Italia per incidenza con un valore di 400 circa, allora quando Piemonte e Lombardia hanno raggiunto il valore di incidenza di 700 prima di natale di chi era la colpa? Dei Tamponi naso faringei o della gestione folle di questa vicenda?
Il virus è in giro per il paese, o per l’Europa, le misure di contenimento “speranzose” servono a meno che poco (la stessa AEI oggi è costretta ad ammettere che se c’è un effetto lo hanno solo le misure in zona rossa, quell’altre servono a nulla, però ce le dobbiamo portare dietro senza motivo come le ruote di superfantozzi). E’ inutile che quando sale in una regione o in un paese si cominci a strillare “eh lì i panettoni” “eh lì gli svedesi” “eh lì i tamponi rapidi”.
LA faccenda della minore sensibilità. non posso che rinvitarti a leggere il NEJOM: sfruttare un test che ha il 99% di precisione rispetto a uno che ha il 90% ma con il primo servono 48-72 ore di tempo per avere una risposta è una scelta disastrosa. E si è visto, abbiamo fatto saltare il tracciamento in tutta italia.
PEr di più il falso negativo del test rapido riguarda quasi sempre individui con carica virale così bassa da non essere contagiosi.
Se neanche la marcia indietro del ministero vi fa cambiare idea, che dirvi di più?
Sul fatto che poi i 750 esperti del governo non abbiano tempo di informarsi su cosa succede nel mondo attorno al coronavirus poi, credo si commenti da solo.
Non ho scritto (“strillato”) che la colpa è solo dei test rapidi. Non ho parlato di panettoni e non ho parlato di svedesi. Di sicuro il problema delle false positività non ha niente a che fare con la crisi in Veneto: questo è poco ma sicuro! Di sicuro la “retromarcia” del ministero non ha niente a che fare col problema delle false positività (eventualmente si tratta di non sprecare tamponi, questo è corretto).
Chiedo: qual è il motivo, secondo voi, della situazione critica che stiamo vivendo in Veneto?
Forse è un misto di sfiga, prossimità a territori altrettanto in crisi (Slovenia, per esempio) e applicazione di misure blande di contenimento. E magari anche un certo numero di falsi negativi in circolazione ha fatto la sua parte.
Il vostro intervento di ottobre, secondo me, era partito male ed è invecchiato peggio.
«Il vostro intervento di ottobre, secondo me, era partito male ed è invecchiato peggio.»
Commento ben strano, considerando che il tema sollevato dal NYT e dal New England Journal of Medicine è stato preso in considerazione in quasi tutti i paesi, e le proposte fatte allora sono state recepite. Oggi i test antigenici sono usati praticamente in tutto il mondo. Se ti risulta che da qualche parte qualcuno stia dando a quei test le colpe che sembri propenso a dargli tu riguardo alla situazione in Veneto, facci degli esempi. Ai miei occhi ha tutta l’aria di una correlazione spuria: in Veneto si fanno molti test rapidi, in Veneto «la situazione è brutta», ergo i primi sono causa della seconda.
P.S. Anche in Emilia-Romagna da settimane si fanno i tamponi rapidi in farmacia, sono gratis per genitori, studenti e personale della scuola, e adesso gratis anche per i dipendenti delle aziende. Ieri è stato annunciato un nuovo stock di 250.000 tamponi.
Scusami, a volte scrivo per esperienza diretta o, in questo caso, per sentito dire da conoscenti che hanno fatto esperienza diretta dell’imprecisione del test rapido. Del resto non leggo altro che il Post, Internazionale e Giap. Comunque ho fatto una breve ricerca e ho trovato questo: https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/12/17/crisanti-in-veneto-uso-inappropriato-dei-test-rapidi-non-da-barriera-ma-da-gruviera-natale-si-a-zona-rossa-in-tutta-italia-ma-con-negozi-aperti/6040232/
Un’altra cosa che ho trovato è questa:
https://corrieredelveneto.corriere.it/veneto/politica/20_novembre_21/coronavirus-scienziati-cts-test-rapidi-efficaci-ma-medici-meglio-tamponi-1e7e64f6-2bd1-11eb-b6e1-cdacf0d69043.shtml
In linea con la novità appena introdotta, non mi pare che il CTS ignorasse i contenuti delle pubblicazioni di settembre sul test antigenico, tutt’altro.
Il vostro post partiva, se non sbaglio, da un commento di AlexJC, ma fondamentalmente si trattava di un malinteso, che poi è invecchiato male: il fatto che il problema fossero le false positività (non voglio sminuire, dico che si tratta di una questione tutto sommato secondaria, mentre il problema principale è sempre stato il tracciamento e la possibilità di avere in circolazione dei falsi negativi).
Ciao,
porto anch’io un po’ della mia esperienza indiretta e “de relato”, per quanto mi renda conto che non possa essere un dato significativo.
Relativamente al “problema” dei falsi positivi io conosco diverse persone (ed è un dato percepito come significativo anche da altri a livello di “bar”) che, in seguito alla positività da più o meno asintomatici o paucisintomatici al tampone molecolare, sono poi rimaste positive per 1 o più tamponi successivi alla fine dei periodo di quarantena e che hanno quindi poi dovuto attendere i 21 gg per poter essere dichiarate “libere” (anche perché in alcuni casi un ulteriore tampone non viene più fatto e si viene direttamente inviati ai 21 gg). Questo forse non sarà un problema sanitario diretto, ma contribuisce a intasare la situazione e a generare ricadute pratiche negative, e quindi in qualche modo a incentivare comportamenti irresponsabili e pericolosissimi da cui ovviamente mi dissocio ma che penso esistano, del tipo che se uno è asintomatico e non ha la mutua potrebbe cercare di evitare di sottoporsi a un tampone.
Relativamente al “rapido”, dal punto di vista dei tracciamenti e dei “falsi negativi”, io trovo che sia molto più problematico, come si diceva sopra, dover fare lunghe prenotazioni, code e attendere 48-72 ore per un risultato, che non andare in farmacia o dal dentista a fare un rapido alla prima comparsa dei primi sintomi sospetti o dopo un contatto “pericoloso”, e così tracciare e bloccare subito i positivi individuati, che anche al netto dei falsi negativi costituirebbero subito un numero molto rilevante.
Anche perché, mentre il soggetto aspetta i risultati del tampone ed è chiuso in casa, i suoi contatti pregressi (non conviventi, ovvio, ma magari colleghi di lavoro in ambiti non tracciati o persone frequentate occasionalmente) che potrebbero essere stati infettati e che non sanno della condizione “di pericolo” in cui si trovano, sono liberi di girare e infettare a loro volta.
Nel post qui sopra scrivevamo:
«da un lato [il tampone molecolare] rileva anche minimi residui di RNA virale non infettanti, e dall’altro la procedura è troppo lenta e dunque sui focolai si è sempre in ritardo.»
Oggi su entrambi i punti non sembra esserci più contesa:
– il doppio tampone di controllo per uscire dall’isolamento non si fa più, è assodato (era evidenza scientifica già a giugno) che l’esito positivo anche dopo 21 giorni è dovuto alla presenza di residui del virus non più infettanti.
– il tampone rapido è più adatto per fare lo screening di segmenti di popolazione: scolaresche, dipendenti di aziende ecc. La prassi è questa e sta funzionando.
Su entrambi i punti scrivo per esperienza diretta.
La «primarietà» o «secondarietà» di una questione dipende anche dai punti di vista. Chi subisce le conseguenze di regole che non si basano su evidenze scientifiche ma su pregiudizi, automatismi, ritardi burocratici, non lo ritiene un problema secondario. Ma non c’è solo quello. In uno studio apparso su The Lancet già nell’autunno scorso le possibili conseguenze di un esito falsamente positivo erano prese in esame dividendole in due macro-categorie: «Individual perspective» e «Global perspective». E non a caso il sottotitolo dello studio è «Hidden problems and costs», perché è facile pensare al falso negativo, cioè al soggetto contagioso che si muove libero tra noi, ignaro portatore sano, pericolo per tutti, mentre per considerare l’altro problema, quello del falso positivo, bisogna fermarsi un momento a pensare, perché è molto meno evidente e raffigurabile.
Non è possibile stare ancora a fare ‘ste discussioni dopo un anno. Il problema è trovare il maggior numero di infetti possibile. E a parità di risorse, dove fai 100.000 tamponi, fai almeno 500.000 test rapidi. Ora, ammettendo una prevalenza del 10%, ogni 100.000 persone testate ne hai 10.000 infette e coi tamponi diciamo che le trovi tutte (più un migliaio di falsi positivi, ma di quelli abbiamo detto che ce ne fottiamo). Coi test rapidi, invece, che hanno una sensibilità del 60% rispetto ai tamponi, di infetti ne trovi solo 6 su 10, certo, ma alla fine della giornata, tra chi ha individuato 10.000 positivi veri testando 100.000 persone, e chi ne ha individuati 30.000 testando 500.000 persone, chi ha ottenuto il risultato migliore dal punto di vista epidemiologico? Chi ha tolto dalla circolazione più persone contagiate e contagiose? Se ci sono dubbi su questo punto, forse non è chiaro l’obiettivo.
Cugino, “comportamenti irresponsabili e pericolosissimi” ci sarebbero anche per meno di 21 giorni di stop (21 gg. come da circolare del Min Salute del 12 ottobre 2020: in ritardo rispetto agli altri? boh).
WM1, “il tampone rapido è più adatto per fare lo screening di segmenti di popolazione”: sì, sono d’accordo. Mai detto il contrario. Del resto, CTS autorizza i test rapidi per screening di massa dal 29 settembre (in ritardo? boh) e da ieri autorizza a confermare la positività con test rapido senza molecolare di comprova.
Isver, “hanno una sensibilità del 60%”: Crisanti dice meno, io conosco almeno 4 persone che avevano febbre alta e familiari certificati COVID e sono usciti dal test rapido con esito negativo e ciao, liberi. Cioè, il problema in Veneto è stato l’uso improprio del test rapido, come già scrivevo nella mia prima reazione al derisorio “suonate campane” di AlexJC, che vorrebbe dirci che al CTS sono tutti stupidi, e invece non è vero.
E infine: Isver, non ho detto che me ne fotto dei falsi positivi, ho solo detto che è un problema secondario (io stesso ne ho fatto le spese).
Ancora una volta (l’ultima): non state vivendo nessuna situazione particolarmente tragica in veneto. E’ la situazione normale di una normalissima diffusione virale che le misure “a pendula canis” non fermano come non lo hanno fermato in lombardia, in piemonte, in germania, in svezia in gran bretagna o altrove.
Le uniche misure che si sono rivelate funzionare sono quelle di stampo cinese (improponibili da noi) sudcoreano o giapponese basate sul testing and tracing (e prima che mi dici ma in giappone oggi… si hanno avuto una terza ondata con un picco di 8mila contagi al giorno probabilmente già superato, con una mortalità dello 0,4% su 122milioni di persone).
Il virus è qui, finché non ci sarà un’immunità che frenerà la corsa sarà un continuo tira e molla. E continuare a chiudere aprire richiudere e riaprire (salvo tener sempre chiuse chissà perché tutte le attività meno a rischio come cinema e teatri e incontri culturali) non servirà a nulla.
Segnalo un “data point” forse irrilevante, ma a mio avviso nient’affatto.
L’_influentissimo_ Burioni insieme ai suoi amici/follower accreditati (il suo profilo di Twitter ammette commenti solo da questi) sembra aver preso in mano la lancia e iniziato a suggerire che forse è ora di farla finita con i provvedimenti spettacolari (termine utilizzato esplicitamente nei commenti, insieme a “narrazione”).
https://archive.is/wip/tqnE3
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@RobertoBurioni:
I dati indicano che il contagio all’esterno è molto raro. Perché – con l’arrivo della bella stagione – non riaprire subito bar, ristoranti e pure teatri all’esterno, non lesinando autorizzazioni? A me non dispiacerebbe cenare fuori o assistere a un concerto con il cappotto!
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@carlopiana:
E divertirti!? Non vorrà mica che qualcuno si diverta e rompa la lugubre liturgia del lockdown eterno? Lasci perdere che, a differenza di altre misure, questa non serva a nulla, serve alla narrazione, tanto basti!
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@stebellentani:
Troppo razionale.
Dovrebbero testate quanto più non posso e vaccinare.
Ma sguinzagliano vigili a fermare persino chi cammina solo con mascherina.
Perdonami prof. siamo stati in mani criminali, e ora non c’è altro che sperare
nei vaccini.
#coronavirus esterno
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Se una svolta del genere “nel mainstream”, una svolta tardiva, si badi bene, è in atto, non riesco a gioirne del tutto: come l’estensione _tardiva_ dei diritti dei lavoratori delle piattaforme di e-commerce consolida il dominio dei player esistenti, ottenuto con lo sfruttamento più spregiudicato, temo che l’inevitabile fine della sbornia _a sedimentazione dell’emergenza avvenuta_ possa essere avere implicazioni spiacevoli.
«temo che l’inevitabile fine della sbornia _a sedimentazione dell’emergenza avvenuta_ possa essere avere implicazioni spiacevoli.»
Concordo. A mio modo di vedere credo che i soggetti citati si stiano semplicemente “smarcando” dalla pregressa gestione e dall’attuale Ministro che oggi “Il Messaggero” darebbe come in probabile via di sostituzione e di destinazione ad altro prestigioso incarico.
L’aspetto politico, sempre a mio modo di vedere, sarà che la “palla” della pregressa gestione (con tutto ciò che non ha funzionato e di cui qui si è parlato spesso, dalle sottovalutazioni, agli errori, ai provvedimenti “teatrali” o diversivi o “di facciata”) resterà in mano nemmeno più a Conte e ai 5stelle ma al Ministro e al suo partito che è l’unico rimasto in parlamento a potersi definire “di sinistra”.
Per cui tutto ciò che non è andato e di cui abbiamo parlato, invece di essere analizzato e metabolizzato da tutti con la dovuta autocritica
, sarà semplicemente nuovamente “semplificato” e attribuito nel mainstream e nei “social” “alla sinistra”, rappresentata virtualmente sugli stessi dai citati Twittaroli con lavori rigorosamente dipendenti in strutture o enti che non hanno subito la crisi né hanno mai tardato nei versamenti degli stipendi o tantomeno della cassa integrazione, oltreché senza figli in età scolare.
E a proposito di analisi parziali e autoassolutorie, ieri su giornale del gruppo Gedi veniva evidenziato come l’Italia sia fra i peggiori paesi per numero di morti (cosa ormai risaputa), associando però il numero di morti all’ovvia questione del numero di contagi (più contagi, più morti, è chiaro) ma senza approfondire sui rapporti tra contagiati e morti molto diversi da paese a paese, con l’unico risultato di attribuire “la colpa” dei tanti morti alle mancate chiusure e bypassando ed eliminando dal discorso qualunque critica alle procedure mediche, alla crisi della medicina territoriale e ad altri errori gestionali.
I commenti sotto l’articolo non erano però “proni” a questa interpretazione e alcuni la mettevano secondo me correttamente in discussione: come al solito, però lo spazio lasciato vuoto “a sinistra” veniva copiosamente occupato dai temi e dai portabandiera “della destra”.
Io proprio del Ministro volevo parlare nel thread dove tratta della supposta crisi della forma partito, che non trovo più.
La figura di Speranza mette inequivocabilmente sotto i riflettori (illumina anzi di una luce violenta e improvvisa, per usare un’immagine di WM1 in LQdQ) una questione a mio avviso fondamentale ma rimasta in precedenza almeno _un po’_ in penombra e ambiguità.
È chiaro che il PD e la “sinistra parlamentare” hanno costruito negli anni una identità classista, insensibile alla “qualità umana” richiamata su queste pagine da Consigliere+Zavaroni e rispondente alla borghesia colta, e pertanto contrapposta agli “ignoranti di destra” e in grado di avanzare la pretesa di “curare gli interessi dei più deboli” solo quando questi si facciano soggetti _del tutto passivi_.
È chiaro che il PD è dalla sua nascita anche espressione di correnti _apertamente_ neoliberiste o democristiane, oltre a quelle post-Bolognina.
Ma il partito di Speranza voleva rappresentare una sinistra “dura pura” (le battute si sprecano), e allora com’è che il Segretario è diventato il patrono dell’autoritarismo neoliberista, in continuità con la sinistra parlamentare?
È un interrogativo potente.
In una situazione come quella degli ultimi mesi trovo che un Ministro _in grado di intendere_ e _che volesse_ mantenere una qualche credibilità “di sinistra” sarebbe inevitabilmente dovuto arrivare alle dimissioni, dopo aver provato a fare qualche resistenza alle pressioni padronali, in verità difficilmente arginabili per sempre avendo tre seggi e uno sgabello.
Perchè _proprio tutta_ la sinistra vira a destra?
Forse i dirigenti di partito una volta al governo subiscono pressioni irrestitibili dal mostro neoliberista e tali pressioni _scendono_ (“trickle down”) a valle, scacciando e neutralizzando ogni istanza altromondista?
O è la base stessa che è man mano ubriacata di status quo, e semplicemente lo esprime “verso l’alto”?
È il nostro stesso sistema, come meccanismo ed entità impersonale di cui le persone sono meri automi cellulari, ad essere funzionale al neoliberismo?
Forse i grillini della prima ora avevano intuito una mezza verità a riguardo?
Tutte le precedenti?
Credo di dover leggere “La Sinistra di Destra”, per poi riprendere bene questa questione.
Credo un po’ tutte le precedenti, con una buona percentuale nel mix però di questa:
«O è la base stessa che è man mano ubriacata di status quo, e semplicemente lo esprime “verso l’alto”?»
Spero di non dire castronerie o di non sfociare nel qualunquismo, ma mi sembra che sia proprio molta di quella base, temo, ad essere «rispondente alla borghesia colta, e pertanto contrapposta agli “ignoranti di destra” e in grado di avanzare la pretesa di “curare gli interessi dei più deboli” solo quando questi si facciano soggetti _del tutto passivi_»
Ovviamente con “base” intendo quel tot % di elettori effettivi di quel partito, non “tutta la sinistra”. E anche in quella va fatto un distinguo, perché magari la base la pensa anche bene ed è meglio di come la stiamo dipingendo, ma continua a votare quella forma partito perché comunque il meno peggio è sempre meglio del peggio.
Fra i suddetti elettori alle ultime regionali ci sono stato anch’io e tanti amici che tutto sono fuorché borghesia colta (ma anche qui, mi sa che dipende dai punti di vista).
Io comunque è dall’inizio dei miei commenti sul blog, l’anno scorso, che sostengo che un po’ di “classismo” o comunque di incapacità di vedere chi fra i “deboli” sia più “debole” di chi, siano problemi reali della sinistra parlamentare e dei relativi elettori “tutelati”.
O quantomeno che si vedano le divisioni storiche e “facili” (tu hai la partita IVA, tu lavori in nero, tu sei un “padrone” detto al vecchio lattaio all’angolo che paga l’affitto dei muri e vende 5 bottiglie di latte e 2 etti di toma al giorno) senza vedere i processi in corso e i relativi rapporti di forza.
Comunque anch’io avevo intenzione di leggere “la sinistra di destra” perché mi era piaciuta molto la serie di post sul tema. Ci proverò appena possibile.
A costo di sembrare sclerotico (“that ship has sailed”) vorrei rispondere a me stesso con un’osservazione improvvisa, perchè ho appena intravisto un’ombra inquietante nelle pieghe della realtà.
Mi viene in mente che la macchina teatrale, la caccia al podista, la condanna dell’aria aperta e le psicosi ingenerate, anche qualora fossero state solo pronguate acuzie di una malattia cronica, potrebbero avere avuto un’ulteriore preoccupante funzione.
Cosa sarebbe successo se all’improvviso, come in una visione utopica, in un idillio come quelli – quasi naif – che Bradury amava contrapporre alla distopia, la gente fosse andata a socializzare, divertirsi, _fraternizzare_ al parco, _farsi il proprio divertimento_ in forme di organizzazione spontanea?
Cosa se avessimo tirato fuori la chitarra (da quanto tempo in Italia non si vede qualcuno che canta all’aperto, “busker” o civile?), suonandola sia pure approssimativamente?
Ho sempre sentito vicino quello che il grande Sousa diceva dell’_industria del_ fonografo:
“These talking machines are going to ruin the artistic development of music in this country. When I was a boy… in front of every house in the summer evenings, you would find young people together singing the songs of the day or old songs. Today you hear these infernal machines going night and day. We will not have a vocal cord left. The vocal cord will be eliminated by a process of evolution, as was the tail of man when he came from the ape.”
Cosa se avessimo improvvisato del teatro all’aperto?
Cosa se i bimbi avessero iniziato a saltare la corda?
L’industria del divertimento non avrebbe retto il colpo, l’estrattivismo dell’aria aperta e dello sport rigorosamente a pagamento (il decoro, signora mia, mica possiamo giocare a palla al parchetto!) ne sarebbe uscita male.
Ora, sarebbe preoccupante assai, sotto l’ottica sindacalizzazione-del-delivery menzionata prima, se la corda venisse allentata proprio qualora l’industria del divertemento avesse fatto in tempo ad adeguarsi per “operare in piena sicurezza” senza essere frattanto sostituita da… l’aria fresca e un fiasco di vino.
_Non mi sembra_ che questo sia effettivamente successo, quindi il mio castello di speculazioni parrebbe crollarmi intorno, eppure mi è proprio sembrato di vedere un’ombra.
Può essere una mera allucinazione, o un spunto per qualcuno che sappia annodare dei fili che non sto del tutto afferrando.
Rispondo ancora a questa tua poi cerco di lavorare e di smettere di spammare il blog [ :-)))], però questo tuo commento e le relative suggestioni (“cosa sarebbe successo se?”) che mi rendo conto sono un’iperbole e forse un tuo “divertissement”, implica a mio modo di vedere un problema (che non so come facciate razionalmente a risolvere: io lo risolvo semplicemente credendoci con la mia parte più complottista) che per quanto mi riguarda “attraversa” molti post e molti autorevoli commenti “en passant” degli ultimi tempi sulla gestione della pandemia: e cioè la questione del “pregiudizio di intenzionalità”.
Voglio dire, se si ipotizza o si suppone che alcuni “effetti collaterali” delle misure prese siano stati in fin dei conti funzionali al sistema (la famosa omeostasi), a un mantenimento dello status quo oppure a favorire certuni attori del capitale a discapito di altri, come si fa a pensare contemporaneamente che il combinato disposto di dette misure (che come in ipotesi sarebbe “funzionale a”) sia tutto frutto del caso, di cause concomintanti e di semplici meccanismi automatici, “involontari” e omeostatici, senza che nessun “board” o lobbysta ci abbia messo del suo proponendo questo emendamento piuttosto che quell’altro o questa procedura a scapito di quell’altra altrettanto valida o altrettanto discutibile dal semplice punto di vista delle referenze scientifiche?
Mi scuso perché ora rileggendomi mi accorgo che a una mia domanda molto simile WM1 aveva anche già risposto con dovizia di particolari. Mi sa che sono proprio un po’ asino. Confido che qualche risposta la troverò in LQDQ.
:-)
Come hai compreso, il mio post è ipotesi e osservazioni che non vanno, almeno per ora, da nessuna parte (a parte giusto “che occasione ci siamo persi”, o “poteva andare molto peggio”), fili che non si annodano, una partita di scacchi che finisce in stallo… almeno per ora.
Men che mai volevo presupporre il pregiudizio di intenzionalità, inteso come “complotto perfettamente pianificato e coordinato”.
In merito, spesso quello che si vede credo sia il risultato, la sintesi di pressioni e istanze multiformi sui centri nevralgici di una società altrimenti atomizzata e priva di confronto.
Certo, possiamo immaginare l’amico di Confindustria che premerà per chiudere le scuole e non le fabbriche, specie se distribuisce prodotti informatici.
Possiamo anche immaginare che se a questa pressione non corrisponde una uguale e contraria da parte della società civile e della sinistra di movimento (e non c’è stata), il risultato è che… si chiudono le scuole e non le fabbriche.
Altre volte – e torniamo al commento sopra – quello che si vede magari sono fenomeni _emergenti_ connaturati alla _natura meccanica_ del sistema, anche qualora i suoi componenti siano umani.
Per fare un altro passo di lato, come è stato detto da queste parti un social network è un pezzo di un sistema a retroazione che _induce_ necessariamente qualche fenomeno emergente assente nella “società 1.0”.
In effetti Facebook o le content farm sono la cosa che più assomiglia al “paperclip maximizer” di Nick-Bostrom-il-futurologo-terrorizzante.
Certo è che è ormai consuetudine un livello altissimo di demagogia (Roccodelgrandefratello, santocielo).
A che punto la demagogia che gioca di sponda con i media che vivono di clickbait e gli interessi padronali che si scambiano favori con tutti e due si possa definire complotto, non lo saprei dire.
@Hieronymus: scusa, ma ogni volta che tiri fuori il “liberi tutti aperturista”, che poi sarebbe “come la pensiamo noi” (massa uniforme e compatta) sto male dentro, giuro, e poi iniziano a pulsarmi le vene del collo e bestemmio con tutta la creatività di un veneto con una moglie toscana e un abbonamento cointestato al Vernacoliere.
È frustrante rifare da capo lo stesso lavoro per smontare l’utile cornicetta governativa di aperuristi-chiusuristi su un continuum unidimensionale, che poi è *precisamente* quello che, se una rondine fa primavera, si potrebbe sperare stia mostrando i primi di cedimento (forse).
solo per chiarire,se la tua posizione sulla gestione della pandemia,è uguale a quella dei wu ming non ti considero un fautore del liberi tutti,quando parlo del liberi tutti intendo principalmente una posizione che è portata avanti dalle 2 destre presenti nel paese,che poi significa “facciamo come se il virus non ci sia e amen),bene io questa posizione io non la attribuisco ai wu ming,la loro è una terza via che a me non convince,ma che a mio avviso non può essere equiparata a quella delle destre o dei negazionisti,giusto solo per chiarire così la mia posizione che pure è virocentrica è assai diversa da quella del governo italiano e di altri governi ad esempio che tu ci creda o no io fin dalla scorsa primavera ho sempre difeso l’aria aperta ed i runner(ero uno di loro),scrivo questo solo per chiarire e non far nascere fraintendimenti…
Oh, che diamine, Cugino, fammi continuare con una fondamentale omissione nel precedente: penso anche che certi fenomeni emergenti nella nostra società potrebbero essere dati dalla combinazione di _meccanismi_ con particolari inclinazioni intrinseche insieme al radicamento di assunti inconstrastati, “cornici” solo implicite, spesso intrinsecamente neoliberiste, cornici la cui rivelazione ed esplicitazione è peraltro il pane di realtà come WM.
Pertanto la “pressione uguale e contraria” di cui sopra non solo manca, ma talvolta _non è nemmeno immaginabile_; si è estinto in molti luoghi il “seme” che può germogliare e eventualmente autoalimentarsi, in questo schema del Game of Life di Conway che è andato verso una configurazione bruttina e con tendenze spiccate al peggioramento.
Ed è qui che secondo me ci sono i “low hanging fruit”, nell’esplicitare il bias che rende inimmaginabili – o rende immaginabili fuori tempo massimo – certe idee.
E con questo, basta spam per un po’, promesso.
@Hiero: nel vecchio post arancione scuro mi sono permesso di pubblicizzare una ML che ho creato per proseguire, magari continuiamo là, se no andiamo avanti fino allo sfinimento.
Spammo ancora un po’ anch’io :-)
Non volevo dire che tu o voi “ci mettiate il pregiudizio di intenzionalità”, sono io che faccio fatica a “non mettercelo” (mio limite intellettuale!).
Relativamente al gioco delle pressioni, concordo con la tua interpretazione, con la precisazione che non limiterei al solo “amico della confindustria” locale, regionale o provinciale la provenienza delle spinte, ma ad attori e portatori di interesse più rilevanti.
Circa il fatto che “manca” la spinta eguale o contraria da parte della società civile o della sinistra, concordo, infatti il “sistema” non è in equilibrio e quindi le spinte, in maggioranza provenienti più o meno dalla stessa parte (in modo coordinato? magari non proprio coordinato da un intelligenza comune, ma se diciamo “sincronizzato” sulla base delle varie finestre di opportunità che si aprono e degli interessi e capacità comuni? un po’ come un prato abbandonato su un fresco versante di bassa quota che evolve naturalmente verso un bosco di aceri e frassini per l’insieme delle condizioni di partenza?), lo stanno mandando verso una direzione precisa.
Quello che dici nel commento successivo secondo me è importante per spiegare poi “perché” mancano le spinte “contrarie” e il punto di fondo è proprio che manca secondo me la capacità di “immaginare” non solo la spinta contraria, ma la direzione stessa in cui questa dovrebbe portarci!
Mi spiego meglio: abbiamo più o meno tutti capito qual è la “distopia” in cui siamo diretti e in cui l’omeostasi del sistema è diretto (e “la immaginiamo” anche noi che non vogliamo andarci). Ma abbiamo un’idea comune di quella che dovrebbe invece essere “l’utopia” verso cui tendere insieme in modo coordinato?
Proprio la mia mancanza di basi concettuali comuni (non conosco nessuno degli autori di cui parli nei tuoi commenti a Lqdq o anche qui sopra) mi fa temere di no.
Molto probabilmente il mondo “utopico” cui posso fumosamente pensare io è diverso da quello cui pensano altri qui con opinioni, sentimenti e storie personali diverse dalle mie (non a caso la sinistra è un campo molto frammentato. Molto più di quello delle destre, siano esse sovraniste o globaliste).
guarda rinoceronte io avevo previsto tutto questo,anche se non ci crederai già l’estate scorsa,allora come sapete non la penso come voi sulla gestione della pandemia
la mia linea non era però quella governativa,pur non aborrendo il governo Conte avrei fatto altre cose(di certo non il liberi tutti aperturista),ma non voglio ritornare su vecchie cose anche perchè l’ultimo post sul covid è stato chiuso,comunque per rispondere alla tua domanda,la mia opinione è che nel mondo post 89(secondo me col crollo del comunismo è finita la politica),è emerso un mondo impolitico basato su due pilastri,il primo è il mondo economico variegato nella sua magna complessità ma che alla politica generale ha da le proprie direttive,questo il primo pilastro emerso subito dopo la fine della politica,per effetto dell deregulation voluta dal mondo ecoomico in seguito ha preso forma e forza il secondo pilastro della società attuale,il ritorno dello stato nazione,ma si badi bene questi due pilastri(che condizionano e spesso comandano la politica), un po in combutta un po in lite tra di loro,non vengono dall’alto ma più tristemente come nell’antichità per le religioni,sono evocati dalla gente,non siamo più ai tempi della monarchia assoluta del re sole,la gente dunque è la vera responsabile di ciò che accade,inutile girarci intorno anche se non piace ma è così,calata nella questione concreta questa dinamica ha agito così,quando è arrivato il covid la massa non sapeva che esso era selettivo,quindi temendo per la propria sorte ha invocato misure repressive,ora che ha capito la selettività del virus invoca il liberi tutti economico,mi sembra abbastanza semplice