Il 23 Dicembre 2020, in diverse città d’Italia, Priorità alla Scuola è scesa in strada davanti alle scuole con cartelli che dicevano «Ci vediamo il 7». Tutti sapevano che la scuola non avrebbe riaperto. Tutti sapevano che la curva dei contagi si sarebbe alzata, sarebbe stato impossibile il contrario. E a quel punto quali sarebbero state le misure prese?
Prima un rinvio (all’11). Poi un po’ di articoli adeguati sui giornali giusti. Poi un po’ di shopping e infine l’ennesimo rinvio. Ad eccezione di Toscana, Valle d’Aosta, Abruzzo e Alto Adige, l’apertura delle scuole è stata rimandata a più avanti. In alcune regioni fino al 31 gennaio.
Come volevasi dimostrare.
Sulla chiusura della scuola si assiste a un dibattito tra istituzioni preoccupante, dal momento che diversi attori, pur giocando un ruolo chiave, non si assumono la responsabilità politica, portando a un’opacità de facto. È opaco il modo in cui si arriva alle decisioni (spesso poco chiare anch’esse), e non si capisce nemmeno chi sia l’effettivo decisore. Questo è grave, anche a prescindere dalla scuola.
In un sistema fondato sullo scaricabarile, tocca guardare anche alle azioni di chi sta su un gradino diverso.
Ma prima: che si può fare per riaprire la scuola nelle migliori condizioni di sicurezza possibili?
Una campagna di screening con tamponi rapidi della popolazione legata alla scuola. Se le regioni lo vogliono questa può essere una possibilità. Arcuri dixit (dal minuto 53:30)
Un aumento dei trasporti pubblici (ma tranquilli! Sull’Emilia-Romagna già ci siamo!)
Mettere in sicurezza lavoratori e lavoratrici fragili che con la volontà del Governo potrebbero essere introdotti tra i beneficiari dei vaccini, su base volontaria.
Con eccezione dell’ultimo punto, è su queste basi che le scuole superiori toscane hanno riaperto l’11 Gennaio.
1. Posizionamento
Per evitare facili fraintendimenti, preferisco chiarire subito la mia posizione sulla riapertura delle scuole.
Sono favorevole alla «riapertura della scuola» perché penso che la Dad sia un veleno che ci impedisce di vedere che alle superiori – e in alcune regioni anche in altri gradi – il diritto all’istruzione è sospeso da un anno. E i pochi studenti in presenza sono in balia di quello che accade momento per momento. Anche se, riferendomi alla mia esperienza personale, penso che la loro presenza in questi mesi abbia fatto la differenza.
Il dibattito sulla relazione tra chiusura della scuola e diminuzione dei contagi è ancora in essere e scontiamo ancora la mancanza di dati chiari. Ma ciò che sappiamo per certo è che la scuola non è stata luogo di focolai. Non è poco, anche perché, se prendiamo ad esempio la realtà bolognese, sappiamo di altri contesti che risultano molto più a rischio, ma non entrano nel dibattito pubblico. Il 18 Dicembre, in una piccola ma rilevante inchiesta a puntate su Zic.it leggevamo:
«C’è un’azienda di Zola Predosa in cui sono positivi 12 dipendenti su 20. C’è un’altra piccola fabbrica metalmeccanica di Castel Maggiore in cui ci sono 15 operai positivi su 25».
Se questi fossero i numeri della scuola, li avremmo avuti in prima pagina sui quotidiani per giorni e giorni.
Sulla riapertura, dunque, sposo la linea espressa nelle piazze da Priorità alla Scuola: la scuola deve essere l’ultima a chiudere e la prima a riaprire. Si proteggano le categorie fragili, ma c’è bisogno che la scuola rimanga aperta, anche per ottenere condizioni migliori. È quanto scrive il Sindacato Cobas e mi sento di interpretare più nettamente quanto suggerito dal testo: è inverosimile che ciò che non abbiamo ottenuto finora in termini di sicurezza, venga concesso con la prosecuzione della chiusura della scuola. Per lo meno non è stato così durante questo anno di chiusura.
Ha senz’altro senso che in alcuni periodi di estrema difficoltà si chiuda la scuola. Ma il caso eccezionale è diventato la norma. L’emergenza è diventata normalità.
Tuttavia questa posizione non sembra essere molto diffusa. Al contrario, diversi sondaggi – alcuni con domande smaccatamente tendenziose, altri meno – mostrano che una buona parte dei docenti è contro il ritorno in aula. Sarebbe difficile pensare il contrario, visto il dibattito. Ma occorre interrogarsi su una questione di fondo: da quando il diritto all’istruzione è diventato così prescindibile da rendere il corpo docente tanto rinunciatario?
Non voglio sminuire la posizione di queste persone: posso capire la persistenza di un effettivo timore per il contagio nonostante le rassicurazioni fornite dai dati; e posso capire che in molte persone stia subentrando un onesto rifiuto dello spirito di sacrificio ossessivamente invocato. Ma mi interrogo sul costo di queste posizioni: senza una presenza a scuola rischiamo veramente di abbandonare la scuola pubblica, con serie conseguenze per il futuro anche degli insegnanti che vedranno peggiorare le proprie condizioni di lavoro, vedi il nuovo contratto nazionale.
E resta comunque la questione degli otto milioni di studenti e studentesse, che in mancanza di scuola se ne stanno a casa.
Il corpo docente non deve sacrificarsi sull’altare dell’Istruzione. Però studenti e studentesse in questo momento sono persone private di un diritto, in stato di sofferenza, con pochi margini di autonomia, succubi di decisioni prese da chi ha più potere di loro, a danno della loro salute psicologica e della loro formazione. Occorre bilanciare il rifiuto del martirio col rifiuto di essere complici di questa ingiustizia. E bisogna farlo avendo ben chiaro che il rischio zero non esiste e che il rifiuto del lavoro non va praticato a detrimento di soggetti più deboli.
Vorrei anche dire che questa visione non mi induce minimamente a risparmiare critiche al sistema scolastico attuale. Anzi, forse la scuola sta diventando prescindibile proprio perché è molto difficile da difendere. Personalmente, non esito a definire fascisti diversi elementi strutturali della scuola italiana, degni eredi di Gentile. Senza dimenticare la svolta liberista degli ultimi trent’anni o il comportamento dannoso di parte del corpo docente.
Se la scuola è comunque un luogo diverso dalla famiglia, non per questo è un luogo “liberato” dalla violenza e dalle forme di sopraffazione diffuse nella nostra società. Anzi, come ampiamente discusso durante l’Assemblea Rete nazioAnale TFQ del 7-8 Novembre (il cui report, se pubblicato, farebbe un gran bene a tant*, please!), la scuola è un luogo centrale della riproduzione sociale… e nella nostra società di cose che non funzionano ce ne sono parecchie, a partire dal sessismo, dal razzismo e dall’abilismo.
È vero, nella scuola c’è poco da difendere.
Ma quel poco vale tantissimo.
2. I danni, ti metto in conto i danni
Girolamo De Michele ha rilevato che dopo anni di dismissione la scuola sta effettivamente ricevendo fondi significativi. Dopo anni a chiedere la stabilizzazione del corpo docente precario, la messa in sicurezza degli edifici scolastici e l’eliminazione delle classi sovraffollate tramite l’immissione di nuovo personale, questo potrebbe essere il momento buono. Tuttavia i soldi stanziati per il progetto «Next Generation EU» – che significativamente in Italia diventa «Recovery Fund» – sono destinati ad altro:
«9,8% per “Istruzione e Ricerca”, quasi la metà dei quali “Dalla ricerca all’Impresa”, contro il 24,9% per “Digitalizzazione Innovazione Competitività e Cultura”. È bene saperlo, e sapersi regolare».
Tale flusso di denaro sta facendo brillare gli occhi a diversi imprenditori e non solo a loro. La sensazione è stata palpabile, come testimonia De Michele, in un evento tenutosi online il 27 Novembre, gli «Stati generali della didattica digitale»: una giornata di incontri tanto significativa da raccogliere la partecipazione della ministra Lucia Azzolina e due suoi stretti collaboratori, la vice-ministra Anna Ascani e Patrizio Bianchi.
Durante la giornata è stato possibile ascoltare interventi entusiasti del fatto che ora corpo docente e corpo studentesco possano rimanere in contatto 24 ore al giorno, 7 giorni a settimana. A queste prolusioni non ha fatto seguito alcuna critica, anzi, il clima era piuttosto in linea con queste osservazioni. Le uniche critiche condivise riguardavano l’impreparazione dei docenti alla svolta digitale e alle possibilità che questa ha portato con sé.
Nel corso dell’evento, Tito Boeri – non certo un riottoso anticapitalista – ha proposto diversi studi con cui analizzare i danni provocati dalla DAD. Ha parlato di quelli provocati a studentesse e studenti, ovviamente. Rispetto a quelli provocati al corpo docente il dibattito svanisce.
L’intervento lo trovate a questa pagina, nel panel 1, minuto 13. Boeri ha rilevato che nelle regioni dove si è aperto il 14 Settembre e non il 24 c’è stato un effettivo, benché limitato, aumento dei contagi. Anche qui, sarebbe strano il contrario: stiamo parlando di una decina di milioni di persone che si mettono in moto tutte insieme.
Dopo un passaggio sul fatto che l’Italia detenga saldamente il record europeo di giorni di chiusura delle scuole, Boeri ha mostrato alcuni dati che provengono dall’estero e che si concentrano in particolare sulle primarie. Suggerisco due dei contributi segnalati dallo stesso Boeri:
■ Per Engzell, Arun FreyMark, Verhagen, «Learning inequality during the Covid-19 pandemic».
■ Elisabeth Grewenig, Philipp Lergetporer, Katharina Werner, Ludger Woessmann, Larissa Zierow, «Covid-19 school closures hit low-achieving students particularly hard».
Ciò che colpisce in prima istanza, è l’aumento significativo delle ore passate di fronte a uno schermo. E qui aggiungo: ben al di là della DAD, dato che sappiamo che diversi studenti utilizzano i videogiochi o guardano serie tv durante la DAD e dunque l’attività allo schermo è moltiplicata per due.
Ma soprattutto, di fronte a una situazione di sofferenza trasversale, a pagare maggiormente il prezzo per la chiusura delle scuole è chi era già in condizione di difficoltà e vede le sue capacità fossilizzarsi.
Non a caso Cesare Mirabelli, ex presidente della Corte Costituzionale, in un’intervista pubblicata sul «Sole24Ore» il 10 Gennaio, ha dichiarato:
«La reiterata chiusura delle scuole superiori in presenza, ormai da un anno, va ben oltre il perimetro delle misure emergenziali. Si configura una possibile violazione della Costituzione agli articoli 3 e 34: principio di uguaglianza e diritto allo studio».
3. Quale «apprendimento»?
Alcuni degli studi citati da Boeri sono a loro volta ripresi sul «Sole24Ore» di Domenica 10 Gennaio. A usarli sono personaggi legati agli Invalsi, alla Fondazione Agnelli e a Confindustria. Soggetti che stanno effettivamente criticando la Dad da una prospettiva neoliberale. Questa prospettiva, a fronte di troppo poche voci a favore della riapertura della scuola nella cosiddetta «sinistra», rischia di aggravare l’egemonia culturale neoliberista. Se la sinistra non difende più il diritto all’istruzione universale, lo farà il capitale… pro domo sua.
Anche per questo è legittimo non lasciarsi convincere dalla cornice di senso espressa da Boeri. E in effetti i grafici che mostra si basano su un criterio di «apprendimento» abbastanza scivoloso, poiché muove dal presupposto che si possano monetizzare e calcolare capacità circoscritte. Inoltre non si prende in considerazione il fatto che l’apprendimento è un processo sociale di condivisione, cooperazione, conflitto. Un processo in cui la salute mentale e fisica gioca un ruolo chiave.
Per avere un quadro più ampio è possibile interrogare la sfera emotiva di chi ha subito la DAD. L’indagine IPSOS per Save The Children copre in parte questa falla. La ricerca ha avuto molta risonanza sui quotidiani, anche per questo riporto solo una slide, riguardante lo stato emotivo degli studenti, e il dato sul tasso di abbandono che secondo IPSOS potrebbe riguardare trentaquattromila persone.
Bisognerebbe agire e con decisione, ma esiste un refrain che serve a stroncare molte discussioni: «I giovani non vogliono tornare a scuola».
A parte che questa attenzione nei confronti di cosa dicono i giovani sarebbe bello vederla anche in altre occasioni – come quando dicono di cacciare ENI dalla scuola –, non possiamo pretendere che tutte le studentesse e gli studenti abbiano la piena consapevolezza di cosa stia accadendo loro. Non ce l’abbiamo noi adulti, figurarsi loro. Chi è adolescente sta sviluppando proprio in questi anni la capacità di orientarsi tra emozioni che conosce ancora poco e il lessico che usa per esprimerle è incerto e acerbo. Ancora: queste capacità mancano a noi adulti, per loro è peggio. La vignetta di Mauro Biani sull’Espresso lo illustra perfettamente.
C’è poco da fare, su questo argomento siamo noi adulti che dobbiamo combattere in prima linea e smetterla di dire cosa fare a chi è più debole di noi.
«Ma la scuola è una prigione». Sì. Ma anche le mura domestiche possono esserlo o diventarlo. Abbandonata la scuola, quali sono i contesti ai quali si va incontro in questo periodo? La famiglia, Instagram, la Play Station, lo sfruttamento lavorativo. Questa è la realtà.
Agostino Miozzo, presidente del Comitato Tecnico Scientifico, diceva di riaprire le scuole già il 16 Novembre , aggiungendo: «ho la percezione che la tradizionale cultura di disprezzo del bene primario che è la scuola e la formazione dei nostri giovani si traduca bene nelle reazioni di molti improvvisati politici del nostro disgraziato Paese».
Il 9 Gennaio, lo stesso Miozzo ha ribadito: «è più pericolosa la didattica a distanza che il ritorno in classe fatto con buon senso».
Se persino uno dei più alti responsabili della gestione della pandemia va dicendo da due mesi che la scuola deve essere riaperta; se la ministra dell’Istruzione aveva promesso più volte che questo sarebbe successo; se persino il premier, in diretta nazionale, aveva dichiarato che il 7 Gennaio si sarebbe tornati a scuola… perché non è successo? Colpa della curva dei contagi? È colpa nostra e della nostra irresponsabilità?
4. «Siamo pronti»
Siamo pronti. Prontissimi. Adesso apriamo, giuro, manca poco.
Ragazzi state sereni.
Tutta l’estate siamo stati rintronati dalle più roboanti promesse, tra cui quelle di una scuola più inclusiva. Tutto teorico, perché l’evidenza ci diceva tutt’altro.
La scuola non era nemmeno iniziata che in alcune regioni la sua apertura è stata rinviata a dopo le elezioni del 24 settembre.
E qui è successo qualcosa di strano: dopo aver fallito la riapertura delle scuole, dopo aver insistito per fare dei concorsi che poi ha interrotto, dopo aver lasciato la scuola nel caos, è inspiegabile il fatto che la Ministra Azzolina sia ancora al suo posto.
Per altro, essendo giovane, donna e meridionale, Azzolina è stata ed è il bersaglio perfetto per un branco di uomini desiderosi di mostrarsi forti e capaci, pur non essendolo, e che di lavoro fanno i Presidenti della Regione.
De Luca ha vinto la prima mano richiudendo la scuola praticamente subito, indicandola come responsabile di un aumento di contagi che nemmeno tecnicamente poteva esserle attribuito, viste le poche settimane di apertura. Poco dopo si è scagliato contro una donna che testimoniava il desiderio della figlia di andare a scuola. Una descrizione melodrammatica? Può darsi, ma comunque non sufficiente per giustificare la risposta di De Luca che in poche parole offendeva la bambina, la madre, la scuola e restituiva un’idea di istruzione del tutto «gentiliana»:
«Credo sia l’unica bambina d’Italia che piange per andare a scuola, l’unica al mondo a dare pure la motivazione: voglio imparare a scrivere, mi manca la grammatica e la sintassi, mi mancano gli endecasillabi. È un Ogm, cresciuta dalla mamma con latte al plutonio, l’unica al mondo è stata trovata da questo intervistatore.»
Spirlì, neo-entrato presidente della Calabria, ha tentato la zampata per superare il collega chiudendo d’ufficio tutte le scuole dal 16 novembre, salvo essere bloccato dal TAR.
Notevole per la tenacia è stato Emiliano (Puglia) che ha condotto un’impressionante ping pong a botte di ricorsi al Tar, con tanto di istigazione alla delazione su Facebook. La sua costanza ha prodotto una mostruosità destinata a lasciare il segno: studenti e studentesse sono stati spinti a rimanere a casa col suggerimento di preferire (ed esigere) la DAD al posto della didattica in presenza.
Il premio fantasia va comunque alla Regione Lombardia: dopo l’epoca Gallera, l’8 Gennaio Letizia Moratti ha assunto il ruolo di assessore alle politiche sociali, nonché la vice-presidenza della Regione. La ministra dell’iIstruzione che più fece infuriare i movimenti studenteschi e universitari dopo il 2000, assume oggi un ruolo di spicco nella Regione più colpita dalla pandemia.
Le lezioni del passato? Ma sì, fottiamocene.
5. «Vorrei ma non voglio»
Quando si parla di regioni il nome decisivo è però quello di Stefano Bonaccini, Presidente dell’Emilia-Romagna nonché Presidente della Conferenza delle Regioni, un organo cruciale in questa situazione, dato che le regioni hanno il ruolo di gestire sanità, scuola e trasporti. Bonaccini lo sa, dato che è anche promotore dell’autonomia all’emiliana. Del tutto simile a quella Veneta e Lombarda, ad eccezione della pronuncia delle zeta.
I problemi per Bonaccini sono iniziati con la fine dell’anno scolastico 2019/20 ed è a partire da questo momento che le sue mosse vanno seguite con attenzione.
A fine Giugno, Bonaccini fa la voce grossa a nome della Conferenza delle Regioni, definendo «irricevibili» le Linee Guida per la riapertura della scuola. Dopo qualche giorno, l’accordo arriva, sebbene tra i due testi non vi sia praticamente differenza. Tuttavia secondo Bonaccini il risultato è sufficiente per un quadro di «omogeneità e certezza delle norme in tutto il Paese».
Alla riapertura della scuola, l’omogeneità andrà a farsi fottere e le certezze ancora le aspettiamo.
Il 13 Luglio, Priorità alla Scuola organizza un presidio davanti alla Regione per protestare contro le linee guida. A interloquire col gruppo è l’assessora Paola Salomoni cui viene rimproverata la mancanza di tavoli dedicati ai trasporti per garantire una riapertura in sicurezza. L’assessora risponde nicchiando: si faranno, sono stati convocati, stiamo aspettando…
Dopo un’ora di battibecco, a Salomoni scappa che Bonaccini è comunque il Presidente della Conferenza delle Regioni, non può decidere per conto suo. Ancora oggi, Bonaccini rimane bifronte e la dialettica fra i suoi due ruoli, condotta da lui stesso in modo solipsista, avrà una notevole importanza rispetto alla chiusura della scuola, in Emilia-Romagna, ma non solo.
Il 26 Ottobre, Bonaccini istituisce la DAD al 25% per un mese. Tutti puntano il dito sui trasporti, che in realtà dovevano essere a posto ormai da tre mesi. Bonaccini dichiara che lui avrebbe concesso una maggiore presenza in aula e che la decisione è stata presa suo malgrado. Peccato che lui stesso, due giorni prima, abbia proposto di estendere la Dad al 100%.
Il 28 novembre Bonaccini dichiara che secondo lui si aprirà a gennaio «perché la quasi totalità delle regioni preferisce così». In realtà la possibilità di aprire ci sarebbe, Bonaccini stesso dichiara: «per noi ci sono le condizioni per riavere la scuola in presenza, anche se non al 100%»
Tuttavia in Regione qualche reticenza rimane: il 5 Dicembre Paola Salomoni si mostra perplessa rispetto al ritorno in aula e all’organizzazione dei trasporti. Le esternazioni tuttavia non hanno seguito: se ci sono contraddizioni interne alla Regione Emilia-Romagna, queste vengono risolte lontano dai riflettori.
A risolvere ogni incertezza arriva però il governo che, nel dubbio, chiude le scuole e avvia il paese verso le feste natalizie.
L’obiettivo diventa aprire il 7 gennaio, ma nonostante le rassicurazioni di Conte in diretta nazionale, i dubbi aumentano. Due incontri online avvenuti poco prima di Natale, chiariscono la situazione a numerose associazioni emiliane che avevano testimoniato la loro preoccupazione. Il 17 Dicembre, i gruppi incontrano Daniele Ruscigno, sindaco di Valsamoggia, secondo il quale il 7 Gennaio sarà possibile riaprire le scuole della seconda cintura al 100%. Il 22 Dicembre, agli stessi gruppi Paola Salomoni dice che l’Emilia Romagna è pronta a riaprire al 75%, anche in virtù di accordi presi dalla Regione coi privati in merito all’utilizzo degli autobus.
Il 23 Dicembre, tuttavia, le percentuali calano. La regione, che dichiara di aver sistemato la situazione dei trasporti ormai da diversi mesi, ora punta al 50% degli studenti in presenza per la riapertura di gennaio.
«Ti amo al 40%» diceva Pina Sinalefe in un trailer di Maccio Capatonda. Titolo del film: Che cazzo dico.
L’1 Gennaio Bonaccini rilascia una dichiarazione il cui carpiato temporale è degno dell’inizio di Cent’anni di solitudine:
«Noi eravamo già pronti in questa regione a partire dal 7 gennaio anche col 75% di capienza per le scuole superiori, però mi sono fatto carico come presidente della Conferenza di tutte le Regioni di proporre il 50% di partenza in presenza perché la maggioranza delle Regioni chiedeva questo ed è giusto trovare un equilibrio e una moderazione»
Le contraddizioni cominciano a essere piuttosto grossolane. Bonaccini comincia a cercare aiuto dall’alto del suo duplice ruolo: il 2 gennaio incalza il governo per forzare una chiusura: «condivido le preoccupazioni dei miei colleghi e sarebbe giusto che il governo ci riconvocasse per prendere una decisione definitiva.»
E la decisione definitiva deve essere uguale per tutti, a prescindere dalla curva dei contagi nei territori, come a marzo. Della logica e dell’autonomia tanto desiderata da Bonaccini non c’è traccia.
Lo fa notare anche il direttore scolastico regionale Stefano Versari su Repubblica il 4 Gennaio:
«Ritengo sia meglio, rispetto a decisioni forzatamente unitarie, che [la scelta sulla riapertura delle scuole] tenga conto delle diverse esigenze territorio per territorio. Si tratta di una decisione legata alla situazione pandemica di contesto […] Altrimenti si invoca il regionalismo quando siamo noi a voler scegliere e poi si chiede lo statalismo quando la decisione è scomoda. Questo è un regionalismo a scartamento differenziato.»
Il 5 gennaio, il governo decide di prendere tempo fino all’11 Gennaio e intanto mandare tutti in Dad. Ore e ore di lavoro organizzativo svolto durante la pausa natalizia per organizzare il rientro in sicurezza buttate nel cesso. Chi ha organizzato un ritorno in presenza deve rimandare tutto, non si sa a quando. Le comunicazioni dai dirigenti arrivano con la Befana. La sfiducia comincia a montare in modo significativo.
Come reagirà l’Emilia Romagna? Negozierà col governo un’apertura nelle zone meno colpite? Ancora una volta, Paola Salomoni toglie le castagne dal fuoco a Stefano Bonaccini:
«Almeno sulla scuola sarebbe necessario un orientamento nazionale […] per evitare una situazione ancora più confusa su aperture e chiusure. Ma noi siamo pronti a partire lunedì al 50%».
La decisione arriva nel weekend del 9-10 gennaio e il criterio sarà del tutto opaco. Morale della favola: «siamo pronti da luglio», ma le scuole superiori dell’Emilia-Romagna andranno in DAD fino al 25 Gennaio.
Vorrei aprire, ma in verità non voglio.
6. La svolta possibile
Sappiamo cosa succederà: la curva sta già salendo, la cosiddetta «seconda ondata» in realtà non è mai finita. E se dopo un anno di pandemia la chiusura è l’unica soluzione prospettata per la scuola qualunque sia lo scenario, c’è qualcosa che non va. Le indiscrezioni sull’istituzione di nuove zone coi colori dei Power Rangers e con criteri molto più limitanti, ci parlano di una riapertura ancora più difficile.
Tuttavia, proprio per le contraddizioni espresse tanto dal governo, quanto da Bonaccini & Friends il rientro a scuola potrebbe essere un obiettivo alla portata. Tocca muoversi e far sentire la pressione nelle diverse regioni.
Nei prossimi giorni sono previste proteste in tutta Italia. A Bologna, così come in altre città, mercoledì 13 gennaio ci sono presìdi davanti alle scuole, mentre venerdì 15 ci sarà una manifestazione unitaria, davanti alla Sede della Regione, alle 17:30. La settimana successiva è verosimile ci saranno altre proteste.
Ancora una volta: non tifiamo per il martirio. Ma come in questi mesi molti e molte altre lavoratrici hanno lottato sul loro posto di lavoro per ottenere migliori condizioni di sicurezza, tocca farlo anche dentro la scuola.
Se i trasporti sono stati potenziati (e se non è così in Emilia-Romagna qualche testa dovrebbe essere saltata già da un po’, visto il numero di dichiarazioni in proposito), pensiamo ai tracciamenti. Il 7 gennaio, il vicecommissario Arcuri ha dichiarato in diretta nazionale che per un ritorno a scuola è sostenibile un’attività di screening diffusa su tutto il Paese con i tamponi rapidi, basta farne richiesta. Prima di Natale in Emilia-Romagna è stato possibile. Che si faccia anche ora. E che si mettano in sicurezza lavoratori e lavoratrici fragili.
La Toscana è un esempio. È la regione in cui più ci si è battuti per il ritorno a scuola, con presìdi settimanali. Si è ottenuto non solo il rientro a scuola, ma condizioni di sicurezza decisamente migliori che altrove.
Occorre avere chiaro un principio: il problema non è l’11, il 18 o il 25 gennaio.
Se non ci muoviamo il problema è l’1 settembre.
E gli anni a venire.
«Avete preso un bambino che non stava mai fermo
L’avete messo da solo davanti a uno schermo
E adesso vi domandate se sia normale
Se il solo mondo che apprezzo
È un mondo virtuale.»
(Argentovivo, Daniele Silvestri, feat. Manuel Agnelli e Rancore)
* plv è un attivista e insegna, da precario, italiano e storia nelle scuole superiori di Bologna. Fa parte della Rete Bessa e di Priorità alla Scuola. Ha collaborato con Giap per diversi articoli sulla scuola, varie cronache da Bologna (qui e qui), da Ventimiglia (qui e qui) e dalla penisola iberica (qui e qui). Ha insegnato letteratura portoghese e brasiliana e sulla rivoluzione portoghese ha scritto un articolo per Nuova Rivista Letteraria: «Garofani rossi per sbiancare la storia» (pdf qui).
Stamattina, al presidio davanti al liceo scientifico Righi di Bologna sono comparsi gli studenti. La settimana scorsa ce n’erano molto pochi, mentre oggi erano almeno la metà dei presenti, con gli striscioni e le cartelle depositate sulla scalinata della scuola, su ognuna un foglio con il proprio nome.
C’è da sperare che l’esempio di Milano, dove è stato occupato un liceo, dilaghi.
Con loro, noi altri. Uomini e donne di mezza età. Genitori. Al momento l’unica opposizione reale al governo demenziale della pandemia. Il governo che ha deciso che quasi tutto poteva riaprire fuorché le scuole superiori. Il governo – e le regioni – che in un anno se ne sono infischiati della scuola e del diritto all’istruzione. Tanto c’è la DAD. Il governo che purtroppo – piange il cuore a dirlo – ha in una parte consistente del corpo docente il suo migliore alleato. Per paura, sì, per timore della colpevolizzazione, certo, per “senso di responsabilità”. Ma purtroppo anche per quieto vivere, potendoselo permettere. Senza capire, come fa notare il post di plv, che è anche il loro futuro in gioco, le condizioni lavorative che verranno imposte, il modello di scuola che uscirà da questa sperimentazione di massa. Senza capire come viene facilmente letto il rifiuto di tornare in aula dagli altri lavoratori, che questa opzione non ce l’hanno e magari entrano ogni giorno in una fabbrica… o in un ospedale.
Che poi siano i neoliberisti, i “renziani”, a ergersi a difesa del diritto all’istruzione dà la misura della debacle storica che il movimento per la scuola pubblica ha subito nell’ultimo anno. La pandemia rischia di sancirne la fine. Nei fatti è già così. E molti dei protagonisti “storici” di quelle battaglie oggi sono alla retroguardia, oppure nascosti dietro a qualche sigla sindacale che si spende in roboanti chiacchiere anziché sensibilizzare la categoria.
E allora tocca a noi. Alla nostra mezza età. Risollevare dalla polvere quella bandiera, e chiedere che il tempo e le risorse vengano usate per garantire protocolli di sicurezza degni di questo nome. Ché aumentare il numero dei mezzi pubblici per gli studenti – come è stato fatto in Emilia-Romagna – per poi tenere chiuse le scuole significa gettare soldi pubblici dalla finestra. Come era già successo a settembre, per l’allestimento delle aule supplementari alla Fiera di Bologna: un milione e mezzo di euro (nostri) nel cesso. I soldi vanno investiti e le scuole riaperte in sicurezza.
Ma, ancora, come dice il post qui sopra, se la pretesa è quella del rischio zero, allora non ci siamo proprio. Allora si è complici di chi le scuole non vuole riaprirle perché metterle in sicurezza da Aosta a Ragusa è troppo difficile, troppo sbattimento, quindi meglio la DAD, costa meno e nessuno si contagia. Qualcuno si perde per strada? Amen, c’è la pandemia, che volete? Le vostre teste. Ecco cosa vogliamo. Ché di una classe dirigente totalmente inetta non si sa proprio cosa farsene.
Tocca a noi difendere il diritto all’istruzione universale, reggendo l’urto delle facili accuse di “irresponsabilità” o peggio. Senza strutture d’appoggio, tutto da rifare. Senza nemmeno un megafono, figuriamoci un impianto di amplificazione. Perché da un anno a questa parte le realtà di movimento con più esperienza hanno scelto di disertare le piazze. E del resto, con quale faccia potrebbero ripresentarsi oggi? La codardia non ha mai pagato e la paura è il collante delle dittature. Inclusa la paura dello stigma morale. Per saperlo non c’è manco bisogno di avere studiato la storia o la filosofia politica: basta avere letto Harry Potter. O avere visto i film.
E allora, aquì estamos. Al freddo, davanti a una scuola. Prima di tornare al nostro lavoro, chi ancora ce l’ha, e alle nostre vite. Perché è questo che si fa, sempre e comunque. Si vive. Si va avanti. Si affrontano le difficoltà e si studiano modi per superarle. Non ci si abbandona al fatalismo e alla rinuncia a ciò che rende la vita collettiva degna d’essere vissuta.
Udire collegh* con cui mi sentivo in sintonia anche politicamente, elogiare Galli secondo cui le scuole dovrebbero restare chiuse perché a detta sua “[…]la scuola, piaccia o non piaccia, per il movimento che induce è uno dei serbatoi importanti della diffusione di questa infezione” mi scoraggia parecchio. Possibile che non gli si chieda su quali dati si basa la sua asserzione? E se anche dovesse essere vero quello che dice, si risolve tutto con un altra serrata completa sine die? Questo fatto mi scoraggia assai: sembra l’epitome di quanto affermi tu, Wu Ming 4, per cui una visione virocentrica del chiudere tutto, visto quello che è successo poche ore fa nel cdm, viene ritenuta del tutto accettabile, anzi fulgida, rispetto alle infime mosse di un Renzi qualunque. D’ora in poi dovremo esordire con “non sono renziano ma…”. Che sconforto.
Commento che condivido in pieno, questo di Wu Ming 4. Aggiungo una piccola testimonianza, priva di qualsiasi valore euristico e scientifico, visto che si basa su un’esperienza personale. Mia figlia quest’anno in Toscana non ha perso un solo giorno di scuola alle primarie, dopo anni in cui stava a casa per raffreddori e influenze varie a settimane alterne: tra mascherine, distanziamento (triste, fanno ricreazione sul banco, ma sempre meglio che stare a casa a guardare la tv) e soprattutto il fatto di uscire in giardino ogni giorno, non importa se fa freddo o tira vento, non ha preso neanche un raffreddore finora. Anzi, a dire il vero ha perso un giorno, quello in cui l’ho portata a fare il vaccino anti-influenzale. Per il resto, nella sua scuola ci sono state due classi che hanno dovuto chiudere dieci giorni perché c’era un caso di covid (due studenti che l’avevano preso dai genitori ma che non hanno contagiato i compagni di classe), ma non ci sono state vere emergenze (e l’incidenza del covid tra gli insegnanti e il personale Ata di questo distretto scolastico non mi sembra abbia visto numeri rilevanti, direi meno che in altri comparti lavorativi, ma ripeto, lascio che siano le statistiche a illuminarci).La cosa assurda è che a marzo si diceva che è difficile far rispettare ai bambini certe norme, mentre la realtà sembra dirci l’opposto. Grazie alla scuola, mia figlia è molto più scrupolosa di me (ovviamente se glielo dice la maestra si mette il gel, se glielo dico io col cavolo!). Ripeto, non voglio generalizzare, ma di certo questo periodo per chi ha ancora le scuole aperte è sicuramente più semplice. E con poche misure di buon senso (più scuolabus, personale a bordo, gel, mascherine e controllo temperatura, e soprattutto giardino a go-go) non è stato perso un singolo giorno di scuola e non abbiamo avuto casi. (Certo, viviamo in provincia e i numeri sono bassi anche per gli adulti, però è la situazione di tante altre zone del paese che, lontane dai centri metropolitani, si ritrovano le scuole chiuse per scelte calate dall’alto sull’onda di logiche emergenziali).
Stessa esperienza. Figlia in quarta elementare, tempo pieno, finora nessun contagio.
Devo dire che le insegnanti hanno il buonsenso di tenere le finestre aperte anche col freddo (raccomandando l’accortezza di vestire i pargoli a strati). Certo la ricreazione si fa sul banco, la mensa è stata sostituita dall’aula, ma i bambini (tutti ligi e rispettosi delle raccomandazioni) non sembrano soffrirne. La mia è la realtà di un centro medio-piccolo, nel quale si va a scuola o accompagnati dai genitori o col “piedibus” (solo una minoranza usufruisce dello scuolabus), tuttavia dopo un quadrimestre il bilancio è positivo. Si può estendere il modello ai ragazzi più grandi? Non lo so, per il semplice fatto che mentre con la primaria è sufficiente il buonsenso degli operatori (insegnanti, personale ATA, cuochi, genitori e, ovviamente, alunni), con le scuole superiori è necessario l’intervento della politica, con la sua attività di pianificazione (trasporti e non solo), ed è qui che il meccanismo si inceppa, ma non certo per “colpa” degli studenti.
L’anno scorso,o due anni fa, ho rivisto un compagno di scuola e amico e gli ho detto che mi sento in colpa per aver maltrattato i miei insegnanti del liceo, che poi erano anche i suoi. Meritando per questo la sospensione in quarta. Insieme a Bobo e Forla, ma per motivi differenti. Che poi, coincidenze della vita, si sono iscritti tutti e due al DAMS qui a Bologna. Forse per ottenere una forma di “risarcimento” per i sogni che ci avevano rubato. Una fame di sogni e utopie che a scuola non si coltiva e che per qualcuno diventa una fame cronica, un bisogno primario esistenziale, se a scuola non riescono a spegnerti dentro. Gli ho detto che avrei voluto chiedere scusa ai miei insegnanti. E lui, che è sempre stato un ragazzo tranquillo e pacato, mi ha risposto: No, mai. Se lo sono meritato. (…)
Nel corso degli anni ho avuto solo due insegnanti davvero fantastici: uno alle medie ed uno al liceo. Tutti e due di lettere. Insegnanti indimenticabili per il loro modo di esserci vicini e di provare a capire. Tutti gli altri erano l’espressione di una scuola che vede nella burocrazia la massima realizzazione della vita scolastica. Perfino nei rapporti personali con gli studenti, considerati come ” nemici”. Noi qui e loro lì. Il corpo docente ha delle grandissime responsabilità nello sfascio a cui assistiamo. Ma non da oggi. Mi verrebbe da dire “da sempre” e anche per quanto riguarda il fenomeno dell’abbandono, in generale. Da quando la scuola è stata pensata come istituzione per normalizzare tutto ciò che non è normale ed è inaccettabile. La scuola è quel posto in cui ti preparano ad incassare con rassegnazione le ingiustizie della vita. Poi ho anche amici insegnanti davvero in gamba, dal punto di vista didattico, ma dei gran codardi. Gente che pensa che l’ infermiere debba rischiare la vita ( eh, si sa!, è il suo mestiere) mentre l’insegnante fa didattica a distanza. Anche quando la sicurezza sul lavoro dovrebbe essere la prerogativa di ogni mestiere e che a scuola è più ” facile” da realizzare. Magari anche pensionando in anticipo tutti i lavoratori più esposti al rischio. Comunque, per non sbagliare, sempre meglio mandare avanti prima gli altri.
Credo che alcuni insegnanti stiano perdendo quel poco di credibilità che avevano di fronte ai loro alunni e così anche tutti quei genitori che non muoveranno un dito per salvare il futuro dei figli.
Filo, non posso che condividere quanto racconti nella parte autobiografica della tua esperienza scolastica. Anche se non sono mai stata sospesa, lo è stata, in certo modo e ben più a lungo, la mia vita. Io di ‘sta supposta meraviglia della scuola ho i seguenti ricordi: bullismo, bullismo sessuale (fermato perché per caso lo dissi alla segretaria della scuola, le maestre zitte e mosca, minimizzare, ‘so regazzi, bambini nel mio caso, loro ti tirano i sassi, ti alzano la gonna e giù in cinque contro una, ma tu cosa gli hai fatto? Dì, su… ah gli hai tirato il maglione? Ah, dici che era per difenderti? Ma allora sei tu la prima… ricorda niente questo modo di procedere???), emarginazione, insegnanti ciechi, insegnanti istigatori perché bisognava stroncare una classe un po’ troppo attiva e io ero abituata a prendere la parola anche per le istanze comuni, compagni che se la battevano, conformismo benpensante grondante in docenti e discenti anche quando dissidenti, forse soprattutto, gli altri ti lasciavano più vivere, consumi supposti alternativi come lasciapassare per una socialità paradossalmente o forse no sempre più superficiale man mano che si cresce, paternalismo a fiotti, logorrea compiaciuta perché inconcludente, anzi forse proprio per quello, non decidiamo così non disturbiamo, repressione di ogni curiosità, stimolo, passione, bisogno di approfondimento, cui veniva lasciato il solo sfogo della goliardia fine a sé stessa, libri banali carichi di idealismo, morale e retorica da romanzo nazionale, compiti a valanga correzioni mai, aule gelide e buie, tristi banchi squallidi e scomodi e soprattutto una sconfinata inadeguatezza e arretratezza di contenuti e approcci critici del tutto insufficiente alla mia fame di conoscenza e di sapere. Del tutto.
Poi miracolosamente, l’università, dove vieni trattato almeno in parte da essere consapevole dotato di ragione, non da pacco imbecille da incasellare silente nel registro in attesa dello sfogo sorvegliato a ricreazione; dove veramente ti portano vicino alla possibilità di sapere, di capire, di sviluppare pensiero e la tua persona, invece di insegnarti a essere bistrattato perché tu introietti abbastanza l’obbedienza al capo e all’ordine di beccata da non creare problemi né nutrire aspettative nel lavoro esecutivo che ti è destinato. La rabbia ancor più cosciente per aver passato due lustri sprecando in vecchi approcci estetizzanti e crociani i classici, l’arte decontestualizzati e tanta storia ormai irrecuperabili.
Poi certo, se fai politica attiva rischi anche lì. Ma almeno imparare puoi sul serio, fino a che livelli lo racconta bene Carlo Rovelli. E infatti all’università non ci resti, ci restano in genere i figli dei capi.
Quale può essere il fine di un’istituzione che ti scoraggia a tal punto la vita? Il giornalista Michele Santoro racconta delle occupazioni del’68: “Facciamo l’amore nelle aule che emanano l’odore di una violenza continuata e profonda”: ecco, appunto.
Omologazione, repressione, violenza immateriale e pervadente, burocrazia come massima garanzia dell’ordine scolastico: “Io devo svolgere il programma.” E tutto taccia.
Due eccezioni le posso raccontare anche io (più un’altra generosissima ma di un cattocomunismo intollerabile nei contenuti): una terza maestra alle elementari in terza, che invece di dettare s p i e g a v a. Niente di trascendentale, direi. Ma miracolo: il cervello doveva funzionare. A noi selezionare l’importante, sintetizzare, appuntare. Ovviamente ai compagni non andava bene: era faticoso e lasciava l’ansia da prestazione.
Sarà un caso se ho poi seguito la sua materia fino al dottorato?
L’altra alle medie: ci buttava nel presente, all’epoca piuttosto agitato. Energica, intelligente. Mi faceva leggere portandomi i suoi libri, raccomandandosi: “Questo non lo posso dare a tutti (Il giovane Holden)”. Seconda media. Se ne andò presto, date le premesse. Non credo di averle mai trattate male. Né di averne avuto voglia.
Magari perché non trattavano male me. O meglio, l’allieva me.
Ciao dea del sicomoro, grazie per queste bellissime parole.
Un bravo insegnante può imprimere un segno decisivo nella vita di uno studente e così anche un pessimo insegnante. Alcuni insegnanti si barricano dietro al cliché piccolo borghese del proprio titolo, come il medico o l’avvocato. Come se fossero avulsi dal contesto in cui operano, come se non fossero parte integrante di una trama dal tessuto fittissimo. Ma la stima ed il rispetto si conquistano sul campo, appassionando gli studenti, cercando di amarli e comprenderli, di ridurre le distanze. Di dargli gli strumenti per non rimanere intrappolati nella condizione materiale da cui provengono. La scuola dovrebbe promuovere il desiderio di migliorare la propria condizione di partenza. E invece non è così, oltre a tutto ciò che tu hai descritto benissimo e che fa da “contorno”. Non c’è solo l’enorme problema del rientro a scuola ma di come tornarci. Di come fare scuola. Perché questa scuola così non va bene. E, come diceva Dude altrove, non si può semplicemente tornare a scuola come se niente fosse. Si dovrebbe andare a scuola per imparare sui banchi a combattere contro le ingiustizie e non accettarle come fossero l’inevitabile prezzo da pagare. Alle medie, l’ eccezionale professor Pasqua teneva incollata al banco una classe di teppisti in erba, leggendo Rosso Malpelo. Gli altri insegnanti non riuscivano neppure a tenere l’attenzione della classe per dieci minuti.
Quando si parla di insegnanti, bisogna mettere da parte l’ atteggiamento reverenziale ed anche quello sprezzante. Uscendo dallo stereotipo patetico/ romantico dell’ avanguardia intellettuale e da quello degli statali fannulloni (narrazione funzionale allo smantellamento dell’istruzione pubblica). Tra gli insegnanti ci sono persone di tutti i tipi. Dal razzista alla persona eccezionale, un caleidoscopio che riflette la complessità della società in cui viviamo. Un commento di Tuco, tempo fa, mi aveva ricordato un episodio di razzismo in classe. Lo avevo rimosso. Alle elementari un’ insegnante prendeva in giro davanti a tutti un bambino la cui famiglia era appena emigrata dalla Sicilia. Se ci penso oggi, mi sale ancora un senso di rabbia, vergogna ed impotenza. Credo che se il corpo docente iniziasse a considerarsi come un corpo unico ( e questo è il lavoro politico da svolgere) senza farsi disintegrare da privilegi aleatori, che non coincidono coi diritti, e che creano frammentazione e frustrazione fra precari e “garantiti” sarebbe meno avulso dal contesto e politicamente incisivo. La scuola potrebbe assumere allora una posizione centrale nelle lotte. Penso che se gli insegnanti si percepissero come lavoratori, come tutti gli altri, ma con un carico di responsabilità differente da chi produce automobili o sposta patate ai mercati generali, saprebbero come Elisa, plv o Girolamo, l’importanza di tornare a scuola, di non arroccarsi in una posizione difensiva, isolata ed incomprensibile alla maggior parte dei lavoratori con gli stessi identici problemi. Non mi sento neanche di parlare di solidarietà, basterebbe un gesto di spontanea “generosità” nei confronti degli alunni. Molti lavoratori non possono scegliere di fare ” smart working”, devono andare a lavorare. Ma, soprattutto, vogliono andare a lavorare. Anche solo per dare alla vita una parvenza di normalità che non ha più. Lo “smart working” ( la dad) e l’insegnamento sono incompatibili, perché non si tratta di amministrare pratiche da remoto. Credo che se gli insegnanti non saranno capaci di reagire, saranno, prima o poi, ” asfaltati” e travolti dai loro studenti. E, a quel punto,non faranno parte del cambiamento perché saranno percepiti come parte organica del sistema.
Ciao filo, grazie per la risposta. Data l’ora non sarò molto dettagliata, per adesso, ma volevo dirti qualcosa subito, partendo dal piacere che mi ha fatto leggerti. Inizio dalla fine. Non riesco a vedere egoismo nell’esitazione degli insegnanti, nonostante tutto il male che continuo a pensare della categoria. Ci vedo soprattutto smarrimento, incertezza, dovuta al comportamento disastroso del governo tanto quanto delle regioni. Non mi sembra giusto invocare la solidarietà da parte loro perché tutti gli altri lavorano, come si è letto qui neanche troppo tra le righe. Il liberismo stato-padronale ci suona questa canzone al ribasso da decenni. Non mi piace. E non condivido troppo questa “pedagogia del ritorno” rivolta ai docenti in sé e per sé, così come penso che la richiesta degli studenti sia reale, ma investa anzitutto la scuola percepita come luogo di socialità e normalità esterna alla famiglia, prima ancora che luogo di didattica.
Non la condivido perché credo che chiedere la riapertura per sollevarsi la vita non giovi a niente. Vedo la destra salviniana invocare riaperture quanto qui, altro che banca centrale (penso che la prudenza delle regioni sia dovuta alla voglia di mettersi al sicuro da vicende tipo lo scaricabarile sulla Val Seriana e non saprei dar loro torto, con tutta la disistima per i presidenti) e la parola d’ordine “riapertura a oltranza” mi convince ancora meno. Un conto è dire: riapriamo a titolo *sperimentale* con una forte campagna generalizzata di test volta a individuare i luoghi e le catene di trasmissione, limitandosi per qualche settimana a tornare in presenza in uno o due distretti in alcune zone accuratamente scelte, sufficientemente numerose da essere davvero rappresentative della situazione nazionale e dei diversi livelli di contagio delle comunità, e poi prendere e/o rivendicare una decisione. Su questo ti dico: Magari!
Un conto invocare con ragioni vagamente “morali” la riapertura totale subito. Questa seconda cosa non mi convince per niente. Anzi, la trovo eminentemente pericolosa e guardando alla situazione generale più egoista del suo contrario. Tutto l’affare chiusure/riaperture sta venendo gestito sulla base di chi strilla più forte per ultimo, senza base razionale vera. Ovviamente i padroni strillano più forte degli altri. Ma la conseguenza che vedo, se non si ha più che chiara la necessità di una apertura *graduale* e attentamente monitorata di ogni cosa e della scuola in primis, ciò che appunto non si è fatto né preparato, né men che meno richiesto, è la caduta progressiva di ogni misura di protezione per la semplice stanchezza di doverle applicare senza uno scopo chiaramente individuato e spiegato a livello politico e governativo e senza alcun miglioramento della condizione epidemica. Insomma un avvio dolce al modello svedese, dove sono così contenti che… adesso invocano la chiusura, forse no, proprio contenti non sono, ma che è stato sotto sotto sempre spinto su queste pagine (con tanto di patologizzazione dei non convinti, perché tanatofobici, infodemici ecc.). Magari per pura insofferenza di fronte all’idea di malattia. Non mi convince.
Se mi chiedo cosa sia mancato un po’ ovunque direi che è proprio il controllo del territorio. Finché continuiamo a mettere le categorie a confronto non ci si concentrerà mai su questo
Sulla necessità di essere uniti precari e non e sul rispetto per i dipendenti pubblici: sfondi una porta aperta (: ‘Notte…
Io sono decisamente d’accordo con la critica all’idea “moralista” di riapertura, basata solo sulla “diversità” della scuola rispetto ad altri luoghi di lavoro. Temo però che ci sia una sopravvalutazione della “base razionale”, perché a me pare che sia quella, la base razionale, che sia caduta in mano a chi strilla più forte. La “base razionale” ci ha sempre detto che, rispetto a qualsiasi altro luogo, la scuola è meno insicura per esempio. Fatto il primo mese di giusta precauzione, visto che non si sapeva nulla, dal secondo – su base razionale – si doveva aprire. Ricordo che, sempre su base razionale, rimangono due le misure per difendersi dal contagio: distanziamento ad un metro e lavaggio frequente delle mani. Su base razionale poi si sa che bambini e adolescenti TENDENZIALMENTE (mi scuso per il caps lock, non so come si fa il corsivo) contagiano quasi niente e, se si infettano, per fortuna hanno pochissime conseguenze. Naturalmente un po’ diverso il discorso per insegnati e ATA ma rimane, su base razionale, quanto si diceva prima: è uno dei luoghi meno insicuri, allo stato nessuno è riuscito a indicare uno più sicuro della scuola (ho chiesto varie volte, chiedo di nuovo se ne avete in mente qualcuno).
Sempre a proposito della “base razionale” imploro di lasciar perdere le considerazioni sulla Svezia, magari ricordando che in Norvegia e anche Danimarca e Finlandia non fanno cose tanto diverse.
robydoc,
hai toccato un punto cruciale. È vero che gli adolescenti contagiano molto più dei bambini, ma contagiano comunque MENO DEGLI ADULTI. Però da un anno a questa parte si è “irrazionalmente” deciso che le scuole sono un luogo privilegiato di contagio. Così i figli stavano a casa, mentre si continuava a mandare i genitori al lavoro – moltissime fabbriche e uffici erano aperti anche durante la fase 1 grazie alle “autocertificazioni” del codice Ateco, e molti luoghi di lavoro hanno riaperto nella fase 2. La situazione creatasi è grottesca. Gli adolescenti possono fare quasi tutto, incluso sport all’aperto (ancorché senza contatto), eccetto andare a scuola, cioè nel luogo dove è maggiore il controllo sanitario. E invece di immaginare e organizzare le scuole come presidi sanitari, ci si accanisce a dire che devono restare chiuse. Assurdistan forever? Non del tutto, perché una ragione di questo “scambio” c’è, ancorché odiosa. Cosa differenzia le scuole materne, elementari e medie – che hanno riaperto da settembre – dalle superiori? L’età di chi le frequenta. Ragazzi e ragazze delle superiori possono restare a casa senza un adulto. Ergo i genitori possono tornare al lavoro. Far girare l’economia è più importante dell’istruzione, della formazione e della socialità di una generazione. Messaggio forte e chiaro.
Per altro, nessuno sta invocando l’apertura “totale subito” delle scuole. Tutti, sia qui che a palazzo Chigi, parlano di iniziare al 50%, vedere come va e progredire fino al 75%. Del 100% per ora non si parla.
Anche perché la possibilità della riapertura scolastica è commisurata a quanto si è fatto o si deve fare per garantire il potenziamento dei trasporti e l’applicazione dei protocolli di sicurezza. Sarebbe bello che fosse stato fatto durante questo lungo anno di chiusura scolastica, ma in Assurdistan non è questo il modo di procedere generalmente: la politica deve essere messa davanti al fatto compiuto. Allora muove il culo. In un anno, se avessero voluto, avrebbero potuto rifarle nuove le scuole e approntare i trasporti. Ma se non c’è un movimento (e perfino il potere giudiziario dei TAR) che spinge, questi hanno già trovato l’Eldorado della DAD e se la tengono stretta. Non meraviglia, come faceva notare Girolamo, che buona parte dei finanziamenti alla scuola previsti dal Recovery Fund siano stanziati per implementare la didattica digitale.
Detto questo, come emerge da certi sondaggi nelle scuole superiori, alla maggior parte degli studenti la DAD sta pure bene. Ed è facile capire perché: a casa si è meno sottoposti al controllo dell’insegnante (senza ricadere in quello dei genitori, che o vanno a lavorare, visto che ha riaperto quasi tutto, o sono in un’altra stanza, in smartworking), si può “copiare” più facilmente, ci si sveglia più tardi la mattina, non ci si deve lavare-vestire-prendere l’autobus al freddo, ecc. Credo che ci farei un pensierino pure io. Ciò non toglie che una generazione di persone semi-istruite singolarmente, isolate tra le pareti di una stanza, cinque/sei ore al giorno davanti a uno schermo per sei giorni a settimana, è una cosa che fa impressione perfino a scriverla. O almeno la fa a noi, che non facciamo accademia, ma questa cosa ce l’abbiamo davanti agli occhi da un anno.
Quanto alle ragioni “morali”, scusa, ma a cosa ti riferisci? A meno che per “morale” non si intenda la necessità che le persone ricevano un’istruzione fino a 18 anni, non solo per apprendere cose, ma anche e soprattutto per “formarsi” in una comunità di diversi esterna alla famiglia, che chiamiamo scuola, e nella quale, come dice plv nel post, «c’è poco da difendere, ma quel poco vale tantissimo». Questa è stata una storica battaglia egualitarista e illuminista, vinta in secoli di lotte dal basso. La vogliamo abbandonare?
Quanto ai “modelli”, svedesi o di qualunque altro paese, io direi che sì, è meglio lasciar perdere. Diciamo che a sud delle Alpi tutto possiamo fare fuorché guardare in casa d’altri, perché a prescindere che l’erba dei vicini sia più verde o più gialla, di certo il nostro prato è morto stecchito. Non abbiamo fatto la fine della Svezia, non abbiamo fatto la fine degli altri paesi scandinavi, ma abbiamo fatto la fine dell’Italia. Meglio stendere un velo pietoso.
Sulla questione “morale”, qualunque cosa intendesse dire Robydoc, la mia impressione è che la scuola debba essere aperta e funzionante anche solo per poter dire, con una certa efficacia, che la scuola è una merda e che la società va descolarizzata. Posizioni che non sono le mie, ma chiunque le voglia sostenere, dovrebbe essere abbastanza intelligente da capire che con la DAD al 100% di scuola non se ne parla neppure, le alternative non vengono calcolate, e persino uno sciopero studentesco perde di senso. Gli studenti bolognesi che adesso protestano contro la riapertura – perché “20 adulti hanno deciso al posto loro”, come se il TAR fossero i 20 adulti che hanno firmato il ricorso – dovrebbero almeno rendersi conto che la loro protesta ha un senso perché intanto la scuola ha riaperto, e che qualunque battaglia per la scuola o contro la scuola si deve comunque combattere in presenza, non dietro uno schermo.
Aggiungo che l’ostilità contro i “20 che hanno deciso per tutti” (cioè i firmatari del ricorso al TAR), non è una prerogativa di ragazzi e ragazze poco avvezzi all’alfabeto della politica. In chat di genitori e profili Facebook, in questi giorni, ho visto emergere più volte l’aggettivo “antidemocratico” per bollare l’azione di quelle 20 persone. Secondo svariati adulti raziocinanti sarebbe antidemocratica la possibilità data anche a un singolo cittadino di ricorrere a un giudice contro un amministratore che compie un abuso di potere. Questa gente è talmente assuefatta a un’idea di democrazia come petizione on line da firmare in centomila, che non riesce più a riconoscere il minimo sindacale di democrazia borghese quando se lo trova di fronte. Per costoro, va benissimo un solo uomo che decide per tutti, in barba alle leggi e alla costituzione – purché si chiami “presidente di Regione”, ma guai mai che venti persone comuni possano fermarlo con un’azione giudiziaria. Non sarà un caso che il fascismo è nato proprio in questa sfortunata penisola.
E’ il berlusconismo degli antiberlusconiani. Bonaccini faro della democrazia e gente anonima votata da nessuno che si permette di imporgli il rispetto della cosa lì, come si chiama… la costipazione… sì, mi pare una roba del genere.
Che spettacolo, ragazzi.
Una generazione completamente fottuta – e lo posso dire perchè è la mia – che lavora alacremente per fottere la successiva.
Ormai bisogna arrendersi all’evidenza. La sinistra italiana non ha semplicemente paura del morbo. La sinistra italiana E’ il morbo. The Walking Dead.
E quando dico sinistra, intendo tutta la sinistra. Perché quella cosiddetta radicale ha dichiarato guerra alla scuola fin dal primo momento. Un po’ perché nell’ottica marxista (di un mollusco cefalopode) volere le scuole aperte è una posizione filopadronale sic et simpliciter. Un po’ perché una bella fetta di ‘sti figuri, mi pare di capire dai profili social, insegna. E guadagna uno stipendio di merda che non giustifica il rischio. Mentre io, aperta parentesi, che guadagno uno stipendio di merda lavorando in fabbrica, tutto l’anno, di notte e di sabato, sono costretto a sperare che non chiudano come a marzo perché altrimenti a fine lockdown rischio di non avere più neanche quello stipendio di merda. Chiusa parentesi.
Soltanto adesso, comunque, forse per la tardiva consapevolezza dell’allineamento con intellettuali del calibro di De Luca, inizio a vedere qualche tentativo di recuperare un minimo di dignità sulla questione scuola da parte di esponenti della sinistra di movimento. O meglio, qualche tentativo di mettere il cappello sulle proteste degli studenti, che almeno ai miei occhi di dignitoso ha poco o nulla. Dopo mesi passati a cercare di dimostrare, dati (mancanti) alla mano, che la seconda ondata è stata causata dalla riapertura delle scuole, non solo in Italia ma in tutto il mondo, e a urlare che riaprire le scuole tout court è criminale, adesso difendono i poveri studenti strumentalizzati dai cattivoni (di paglia) che vorrebbero mandarli allo sbaraglio, quando invece loro in fondo chiedono solo un po’ di considerazione.
Per fortuna la mia scarsa autostima mi ha sempre tenuto lontano dalla politica attiva. Altrimenti la tentazione di andare alle assemblee imbottito di tritolo temo sarebbe stata troppo forte.
“Una generazione completamente fottuta, che lavora alacremente per fottere la successiva”.
Beh, direi che siamo già a buon punto.
Copio qui sotto il testo di una lettera che sta girando nelle scuole bolognesi ed è oggetto di “sondaggi” plebiscitari via Whatsapp.
Non servono commenti.
Mi auguro solo che qualche gruppo studentesco scriva una lettera di altro tenore – senza dover dire “viva la scuola”, al contrario, anche mandando affanculo tutti, genitori e insegnanti, ma magari dimostrando di aver resistito al lavaggio del cervello.
“Noi, alunni della classe quinta X del liceo YYY, siamo qui per invitarvi a partecipare a una protesta contro le decisioni prese autonomamente da un gruppo di 20 adulti. ci sentiamo violati, non ascoltati e dobbiamo fare qualcosa. non si può mostrare al mondo solo una faccia della medaglia, perché si, la scuola ci manca, ma la salute viene prima di tutto. non ci sentiamo sicuri a procedere così, non ci sentiamo a nostro agio ad andare a scuola sapendo e ignorando che ogni giorno muoiono centinaia di persone per qiesto virus. la scuola procede benissimo anche a distanza, e abbiamo il dovere morale di rinunciare a quello a cui si può rinunciare. e sinceramente non è così male rinunciare a 5 ore al giorno con freddo e mascherina costantemente addosso.
quindi unitevi a noi e dite no al rientro a scuola, rientro che è stato deciso da 20 adulti, non da uno stato una regione o un qualche politico, decisione presa in discordanza con tutti i pareri e le previsioni degli esperti.
da lunedì 18 si continua con la D.A.D.
inoltrate a più persone possibile, a gruppi di classe e non.”
«[…] ma la salute viene prima di tutto. non ci sentiamo sicuri a procedere così, non ci sentiamo a nostro agio ad andare a scuola sapendo e ignorando che ogni giorno muoiono centinaia di persone per qiesto virus. la scuola procede benissimo anche a distanza, e abbiamo il dovere morale di rinunciare a quello a cui si può rinunciare»
…mamma mia!
…a discolpa di questi ragazzi, va detto che il tenore della stampa generale è quello. E sono mesi che da quasi ogni fonte informativa arriva proprio solo quel messaggio.
Pochi che citino i dati, ma la maggior parte dei titolisti a dire basandosi esclusivamente sul “senso comune mainstream” (il che mi ricorda un bias cognitivo dei complottisti) che le scuole non sono luoghi sicuri, che se la situazione è questa le scuole sono una minaccia, etc. etc.
E’ difficile sottrarsi a questa visione, specie da parte di adolescenti che comunque percepiscono qualche vantaggio a starsene a casa.
Comunque sono d’accordo anche con Isver e WM4 che trovo molto attenti a fare sempre notare che le proprie condizioni materiali di partenza incidono un bel po’ sulle opinioni.
“non ci sentiamo a nostro agio ad andare a scuola sapendo e ignorando che ogni giorno muoiono centinaia di persone per qiesto virus. la scuola procede benissimo anche a distanza, e abbiamo il dovere morale di rinunciare a quello a cui si può rinunciare.”
Peggio di quanto pensassi. D’altra parte sono in quinta superiore, la scuola aveva già fallito con questi qui prima della pandemia. Scusate la brutalità.
Mi colpisce particolarmente che abbiano introiettato il moralismo degli adulti. Quando dicono di sentirsi colpevoli per il fatto di non rinunciare ad andare a scuola – la nuova movida – con centinaia di morti al giorno, è come se si guardassero con gli occhi dei wannabe Savonarola che hanno imperversato in questi mesi sui social. E secondo me questo discorso pesa molto più di quello della sicurezza, propria e altrui. Fermo restando che il grosso del lavoro lo fa comunque la comodità di arrivare a un diploma già di per sé inutile col minimo sforzo. Chiedo scusa di nuovo.
Credo che il mondo studentesco sia lacerato e che se molti studenti esprimono posizioni come quella riportata qua sopra, sia per effetto del doppio legame patogeno di cui si è parlato ampiamente su Giap. Tra l’altro, si tratta dello stesso meccanismo psicologico di sottomissione che porta i bambini vittime di abusi in famiglia a sviluppare un rapporto di dipendenza estrema dall’approvazione dei genitori abusanti.
Ma vi posso assicurare che se i ragazzi incontrano un adulto che si relaziona con loro in modo appena appena decente, le cose cambiano del tutto. I miei studenti, dopo aver dato l’esame, mi hanno ringraziato per le lezioni in presenza, per il dialogo che c’è sempre stato, per le spiegazioni extra ai capannelli che si formano a fine lezione, insomma per tutte le cose che dovrebbero essere normali e che ormai non lo sono più, e non è affatto scontato che tornino a esserlo.
Cito questa parte
«Detto questo, come emerge da certi sondaggi nelle scuole superiori, alla maggior parte degli studenti la DAD sta pure bene. »
infatti, e hai spiegato molto bene i motivi: come emerge anche dai commenti sopra, “la scuola” per un adolescente non è necessariamente una “zona di comfort”, anzi, spesso tutt’altro, è certamente molto più confortevole risparmiare quella mezz’ora o anche ora di viaggio al mattino presto e rimanere in tuta davanti al PC senza il controllo diretto di nessuno a casa propria, e a quell’età non è affatto detto che si abbia lo spirito critico per capire quanto sia utile e formativo proprio l’uscire da quella “comfort zone”.
Perciò è veramente fastidioso e disonesto l’uso che sui media viene fatto di quei sondaggi (ovviamente senza evidenziare l’orrore di una generazione di gente isolata in casa per parecchie ore al giorno) per dire che “i giovani” non hanno voglia di far niente e per derubricare le proteste e le manifestazione per il rientro in classe a “elucubrazioni” di secchioni o di primedonne in cerca di visibilità mentre invece si tratta del sacrosanto diritto/dovere all’istruzione!
“non ci sentiamo a nostro agio ad andare a scuola sapendo e ignorando che ogni giorno muoiono centinaia di persone per qiesto virus. la scuola procede benissimo anche a distanza, e abbiamo il dovere morale di rinunciare a quello a cui si può rinunciare.”
Ogni giorno muoiono centinaia di persone anche a causa del cancro, ma non per questo si fa divieto assoluto alla popolazione di venire a contatto con sostanze cancerogene o la si obbliga per legge a mettere in atto ogni possibile misura preventiva contro questa malattia. Vietato fumare, vietato bere, vietato mangiare carne rossa, vietato respirare l’aria delle grandi città e dell’area padana, vietato vivere a Taranto… devo continuare?
Bene.
Ora spiegatemi, di grazia, perché per questo virus ci si comporta diversamente, instaurando in mezzo mondo regimi, di fatto, autoritari. NON. HA. IL. MINIMO. SENSO. LOGICO. Né etico. Né sanitario. Né umanitario. Un c***o di niente.
E non venite a dirmi che tutto questo scempio è giustificato dal sovraffollamento negli ospedali, perché come sono in grado di gestire numeri atrocemente alti di pazienti oncologici, allo stesso modo possono attrezzarsi per gestire i malati di covid. Non si può abolire la vita per timore della morte! La salute prima di tutto? Non saprei. Forse ci sono cose più importanti della salute e certamente ci sono cose più importanti della Sicurezza, ormai divenuta una sorta di feticcio e di (dis)valore fondativo della società. Ripigliamoci! E dai! Mica si può accettare tutto questo!
Roby, non sono stata io a parlare ampiamente di Svezia per prima, figurati poi una commentatrice del tutto isolata come potrebbe farlo. Paradossalmente e come mi accade per molte cose di quell’approccio sono venuta a conoscenza qui su Giap. Se mi ci richiamo adesso è perché il discorso c’è stato qui e a lungo. Se qui su Giap sulla scuola come luogo sicuro ci si affida tanto (sia pur on esclusivamente) a esempi stranieri, si deve poter guardare altrove, per capire e distinguere non per copiare e immortalare, anche in altre circostanze.
Quando se ne è parlato si è giustamente sottolineata la diversa densità demografica e il diverso stato della sanità svedesi, forse anche le diverse abitudini sociali e di vita rispetto all’Italia.
Malgrado le condizioni più propizie quel modello ha portato comunque a un rapporto popolazione/decessi che ha causato proteste e polemiche, riprese addirittura dal discorso annuale del re, finendo con il far rimettere in discussione quella scelta.
Per quanto riguarda gli altri paesi del nord non sarei così sicura che abbiano agito tutti allo stesso identico modo della Svezia.
Dea tocca aver pazienza, perché il mio invito a lasciar perdere era (anche) destinato al fatto che spesso (sempre?) si parla del tema avendo un’idea vaga. Tu dici che “non sarei così sicura” quindi non sarebbe meglio essere sicuri prima? Senza considerare che di “identico” non esiste niente, manco da città a città, figurati da stato a stato.
Sul resto, oltre ai post, io mi sono soffermato a lungo, non posso pretendere che chi ne parli, anche qui, abbia seguito tutto, però per me è difficile ricominciare sempre da capo, spero mi perdonerai. Al limite qualche spunto: non c’è una variazione apprezzabile del tasso di mortalità; non ha senso comparare interi paesi riferendosi a morti o contagiati (che sono dati diversi); la relazione tra misure di contenimento e output è molto labile (si sta parlando di quelle che lasciano chiuse le scuole e a casa le persone, non TUTTE); condizioni propizie boh, non so che intendi. Però dai, almeno noi, lasciamolo perdere il “discorso del re”. E la scelta è sempre stata in discussione, ci mancherebbe pure. Ah, sono anni che la Svezia ha problemi con le terapie intensive. La Svezia è un paese capitalista eh? Ma la giusta critica ad un governo che non è il nostro (pensa che Tegnell ha detto, anche se poi ha cercato di scusarsi in qualche modo, che la colpa dei tassi alti di mortalità è degli immigrati…) è cosa diversa dalla specifica maniera con cui si è affrontato il problema. Per questo invitavo a lasciar perdere, perché non va liquidato come, perdonami, fai tu troppo velocemente.
Per quanto ci sembri ridicolo citarlo il discorso di fine anno di un re odierno è comparabile a quello di un presidente. Se sceglie di trattare un tema del genere rimettendo in discussione una scelta governativa vuol dire che è un tema difficilmente eludibile in quel paese in quel momento. L’interesse del fatto sta in questo, non è questione di vedere in un re una qualche sorta di riferimento né di superiorità: dovrebbe andare da sé, mi perdonerai. La Svezia *ha* attuato misure diverse, o diversamente costrittive (il motivo per cui è stata citata su Giap è infatti quello) ed è proprio per evitare ripetizioni che ho evitato di scendere in dettagli che tutti abbiamo in mente a cominciare dai metri (1,2 o dipende) o di citare fonti che iniziano a ipotizzare le misure meno restrittive come fattore di maggiore mortalità/popolazione rispetto a altri paesi nordici oltre che le debolezze del sistema sanitario. Poi certo, sulle condizioni locali si può e si deve parlare a lungo in ogni circostanza: si può persino concludere che siccome all’estero tutti gli studi dicono che a scuola non ci si infetta, a scuola in Italia non ci si infetta e mi pare proprio che qui qualcuno abbia usato in parte anche questo argomento. Tuttavia, non condivido l’idea che sia del tutto trascurabile quanto meno osservare il rapporto morti/popolazione (personalmente non ho parlato di casi) di un paese nel momento in cui, di fatto, stiamo andando verso quell’approccio.
La scelta che qui e oggi vedo imporsi infatti è: apriamo tutto, piantiamola con le restrizioni di qualsiasi tipo (soggiorni prolungati in luoghi chiusi in primis, cioè quasi tutti i luoghi di lavoro tra cui la scuola), se mai elargiamo un po’ di test rapidi fatti a iniziativa del singolo. Le altre circostanziate vessazioni lasciamo che cadano da sé per comprensibile sfinimento o per le proteste dovute alla loro persecutoria assurdità. Nel frattempo insaponiamo un po’ di saccente condiscendenza su quei fobici che continuano a avanzare dubbi e togliamoci queste seccature di torno, se mai ci penserà il vaccino che tanto sta arrivando.
Non è un approccio che sosterrei.
E con questo quanto a me chiudo.
«(con tanto di patologizzazione dei non convinti, perché tanatofobici, infodemici ecc.)» (Dea del Sicomoro)
Non vorrei buttarla sul “chi ha cominciato prima”, ma veramente la “patologizzazione” è stata (prevalentemente?) un’altra e cioè quella fatta dai “media mainstream” nei confronti di tutti quelli raggruppati più o meno arbitrariamente sotto la voce “negazionisti”, “novax”, etc., dicendo che se una posizione è irrazionale (ascientifica?) è per definizione “folle”, quindi non solo non hai diritto a esprimerla, ma devi pure starci attento se non vuoi andare a finire nel campo dei TSO…
Il che, pur non piacendomi le posizioni “troppo” irrazionali, mi piace ancora meno e mi sa di pensiero unico autorizzato (per il solito discorso che oggi mi va bene perché ce l’hanno con gli “irrazionali”, domani chissà, magari ce l’avranno con quelli della maglia del mio colore e mi andrà meno bene).
Diverso è il discorso della tanatofobia che è stato fatto qui, di cui però è stata accusata non una persona o una categoria di persone, ma in generale la società occidentale più moderna, che ha un problema di rimozione della morte e della malattia.
Il tutto sia detto “absit iniuria verbis” (trovato su wikipedia, io non so il latino).
Approfitto dello spazio ancora a disposizione per fare una chiosa personale sulle esperienze con la scuola, gli insegnanti etc…
Io non ho particolari cattivi ricordi degli insegnanti (a parte quella di italiano delle medie!): ne ho avuti di buoni e di meno buoni, alcuni con evidenti problemi nella gestione delle classi, altri molto severi, altri “giusti”, stimolanti, etc., ma all’epoca non avevo lo spirito critico per giudicarne l’operato professionale e per cui non ho particolari ricordi “brutti” a loro associati.
Invece ho avuto molti più problemi con i compagni. Anche lì, niente di “troppo” irrisolto, anche grazie a tanti bei ricordi legati al nucleo di veri amici conosciuti alle superiori e con alcuni dei quali sono in rapporti ancora oggi, ma ho visto e subito direi parecchio bullismo e ricordo tante fughe (mie), una certa prudenza con chiunque non fosse “della classe” e una certa angoscia a salire sul pullman della scuola per i lunghi viaggi da e per l’Istituto Tecnico…
“Non vorrei buttarla sul “chi ha cominciato prima”, ma veramente la “patologizzazione” è stata (prevalentemente?) un’altra e cioè quella fatta dai “media mainstream” nei confronti di tutti quelli raggruppati più o meno arbitrariamente sotto la voce “negazionisti”, “novax”, etc., dicendo che se una posizione è irrazionale (ascientifica?) è per definizione “folle”, quindi non solo non hai diritto a esprimerla, ma devi pure starci attento se non vuoi andare a finire nel campo dei TSO…”
Che poi: è irrazionale avere una scala di valori diversa da quella maggioritaria che mette la sicurezza al primo posto? Se la mia scala di valori prevede che i diritti umani fondamentali siano più importanti della “Dea Sicurezza”, e quindi rifiuto in blocco tutti i metodi di “contenimento del contagio” che siano lesivi dei diritti delle persone, che dico di male? Sono più che favorevole ai vaccini e a qualunque cura efficace si renda disponibile! Dico solo che non si può usare la scusa della sanità pubblica e della sicurezza (in senso sanitario, ma anche a proposito di criminalità e terrorismo) come mezzo per abolire, di fatto, la socialità e il diritto delle persone a vivere come dei caz** di esseri umani. E se questa è un’opinione ascientifica, beh, buongiorno. Da quando l’etica e la politica sono scienze esatte? Se dovessimo essere governati unicamente dalla scienza e unicamente sulla base di giudizi “vero/falso”, senza mai porci sul piano del “giusto/ingiusto”, ci troveremmo in una distopia. Spoiler: ci siamo già, perché siamo governati, di fatto, da un gruppetto di scienziati che pretendono di abolire la vita per scongiurare la morte.
Ciao dea del sicomoro,non ho affatto invocato la solidarietà degli insegnanti nei confronti degli altri lavoratori. Ma nei confronti degli studenti si però. Il “resto del mondo”, nonostante la propaganda di destra acclami a gran voce le riaperture, sa che la vita lavorativa/ produttiva dei grandi monopoli capitalistici non si è mai fermata. E l’unica cosa che si è davvero bloccata è la scuola e tutti i comparti produttivi/ ricreativi, considerati superflui e sacrificabili. Questo, ovviamente, non giustifica nessun tipo di sconsiderata riapertura. Ma mi sembra, purtroppo, che la chiusura delle scuole superiori sia utile a mantenere inalterato tutto ciò che non si ha davvero intenzione di cambiare: sanità, trasporti, scuola.
Il colpevole immobilismo del corpo docente, salvo rare ed eroiche eccezioni, lascia basiti. Un qualunque altro lavoratore saprebbe che il suo posto di lavoro e/o i suoi diritti sono in pericolo. Lo dovrebbero sospettare anche loro. La paura non può spiegare tutto. Ci sono anche altre più sottili motivazioni. E non può essere strumentalmente utilizzata per condurre battaglie pro o contro la ripresa della vita sociale/ relazionale di tutti noi che comunque, in nome del profitto, stiamo lavorando. Moltissime fabbriche in Lombardia non hanno mai chiuso, neanche nei momenti più bui della pandemia. Anzi soprattutto in quei momenti. Non sarebbe stato più utile al contenimento della pandemia chiudere le fabbriche e non le scuole? O trovare il modo di tenere aperto in sicurezza, ricorrendo a chiusure mirate (senza un’aprioristica prevenzione) come suggeriva Robydoc? Sulla paura bisogna cominciare ad intraprendere serie riflessioni: fino a che punto si può limitare la vita sociale di una popolazione con la motivazione di una irrazionale paura? Fino a che punto ci si può arrogare il diritto di paralizzare la vita degli altri per la propria paura? Senza mettere prima in campo tutte le soluzioni praticabili. La paura non giustifica tutto ciò che stiamo vivendo e neanche i numeri. Visto che la vita produttiva non si è mai davvero fermata.
«La scuola procede benissimo anche a distanza» è una frase che immagino ideata nel tepore di una comoda cameretta o nella quiete del salotto, nel dopo cena, dopo una giornata faticosa passata magari a seguire attentamente, sullo schermo, la lezione, indisturbati. Parole scaturite subito prima o immediatamente dopo una pausa merenda.
Ovviamente non so se in effetti sia così ma di una cosa posso dirmi sicuro: chi fà affermazioni del genere, in realtà, se ne strafotte altamente dei problemi altrui; altro che «dovere morale di rinunciare a quello a cui si può rinunciare».
La scuola, in quanto diritto che uno stato dovrebbe garantire al cittadino, quando funziona, era stata pensata per creare appunto cittadin*, esseri con sviluppate capacità critiche. Non utenti soddisfatti o meno di un servizio. Ma forse la rotta verso la quale ci si immagina navigare quando si afferma che «la scuola procede benissimo», è quella che, se Dio vuole, ci riporterà il più presto possible a riattivare la stessa identica economia di mercato neoliberale, estrattivista e criminogena, con-causa del diffondersi della pandemia. Se così è, se queste sono le intenzioni, allora quest* ragazz* hanno perfettamente ragione: «la scuola procede benissimo anche a distanza». Dove un tempo i nostri antenati hanno lottato con i corpi per uscire dalla miseria, oggi alunn* e insegnanti, non sapendo più che farsene di certi diritti e dei loro corpi, si stanno virtualmente sacrificando per l’edificazione della scuola del futuro; lo fanno fornendo volontariamente, tra una pausa pipì e un post su Insta, un infinita quantità di meta-dati, elementi dal valore incalcolabile nonchè assolutamente indispensabili ad un architettura tecnologica in fase di sviluppo; fanno tutto ciò nella piena e fiera consapevolezza che questo loro sacrificio contribuirà, così come fece il sangue degli antenati in passato ma in modo molto meno cruento, alla creazione di un futuro nuovo e migliore che si realizzerà forse sopratutto grazie all’introduzione di servizi educativi di massa. Bye bye scuola dell’obbligo. Sarà previsto un free trial iniziale, in modo da ampliare il piu possibile le possibilità di scelta del percorso formativo; per gli utenti più esigenti saranno poi disponibili servizi Premier che garantiranno accesso non solo a contenuti VR esclusivi ma anche e sopratutto a specialissime VR networking opportunities specifiche al prescelto “field of interest”.
Filo… sommare due situazioni non annulla il problema, lo raddoppia e non giova né agli operai né agli insegnanti. C’è già chi ne approfitta qui per schizzare livore, infatti.
E la tendenza a patologizzare qualunque osservazione discorde con il richiamo a sentimenti socialmente stigmatizzati fa anche peggio. Desolantemente peggio.
Figurarsi se non sono per la chiusura delle fabbriche: di fatto è stato solo quando si sono fermate anche quelle, sia pure parzialmente, che a primavera hanno iniziato a diminuire i casi in maniera consistente. Al contrario, quando Assolombarda ha voluto tenere aperto e il governo le ha scodinzolato dietro, abbiamo avuto la Val Seriana. E insisto, sarebbe da capire se, a torto o a ragione, i presidenti temano con l’apertura delle scuole di aumentare casi che il sistema sanitario non potrebbe gestire nemmeno male come fa adesso, diventandone capri espiatori. Con questo non voglio solidarizzare con i presidenti più di quanto si possa decentemente fare con il governo di Alzano e di tutto il resto: da Zaia a Bonaccini cosa ci si possa aspettare da tutti costoro si sa fin troppo bene, inclusa la distruzione della sanità.
Dover precisare ogni volta tutto questo è avvilente.
I primi punti che mi sono venuti in mente leggendo e ho buttato giù di impulso:
1) dati ufficiali sui contagi a scuola non ce ne sono: il MI a settembre abbia avviato una rilevazione. Alcuni numeri sono apparsi nelle dichiarazioni della Azzolina per dimostrare che erano bassi ma senza fornire riferimenti sul come erano stati raccolti, se coprissero tutto il territorio nazionale e gli ordini e gradi di scuola, e poi sono scomparsi a ottobre. Si è ipotizzato che fossero i numeri raccolti dai dirigenti scolastici al ministero e che la difficoltà di stare dietro ai tracciamenti. I dati dell’ISS che sono stati presentati dai giornali come conferma che non ci sono stati focolai nella scuola in realtà sono, come afferma l’ISS stesso nel documento, parziali e sottostimati. Ci sono in giro vari studi fatti dopo lunghe attese per avere i dati (MI, regione Piemonte) che sembrano indicare che l’incidenza del virus nel personale scolastico sia molto più alta della media. Ma su questo non mi pronuncio perché non ne ho le competenze. Faccio notare però che non esistono dati ufficiali a cui fare riferimento e non mi sembra una cosa che faccia ben pensare.
Faccio notare anche che il tracciamento in Italia è saltato da quando siamo arrivati a 35.000 contagi (Miozzo dixit)
2) Agostino Miozzo: capo del CTS che ha elaborato il protocollo per gli esami di stato a cui hanno preso parte 500.000 che non prevedeva né test sierologici né tamponi e l’autocertificazione di stare tanto bene (con benedizione dei sindacati che lo hanno firmato); per le riaperture di settembre ha accorciato la distanza di sicurezza tra studenti per adattarle agli spazi disponibili nelle scuola dai 2 metri universalmente riconosciuti al metro e mezzo, poi al metro e infine al metro dalla “rime buccali” che corrisponde al mezzo metro tra i banchi; che ha indicato inoltre, che tutti ci si poteva togliere la mascherina una volta seduti: il famoso “metro statico”. Davvero lo vogliamo far diventare una fonte sulla sicurezza delle scuole?
3)Mettere in contrapposizione categorie di lavoratori porta sempre a peggiorare le condizioni di tutti. Se le fabbrichette del bolognese sono insicure si devono chiudere, non usarle per dire al personale scolastico di non fare tante storie.
Il fatto poi che in presenza sarebbe più facile ottenere quello che non si è avuto in un anno mi pare molto improbabile tenuto conto che al momento sono già in presenza scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo grado e parzialmente e professionali tecnici. Vi risulta che ci siano stati aumenti di organici e spazi?
4) Azzolina appare solo di sfuggita e quasi quasi per suggerirne una posizione di capro espiatorio perché donna, giovane e meridionale. Siamo sicuri che si possa assolvere così chi istituzionalmente ha il compito di occuparsi della scuola? Di sicuro le responsabilità delle regioni sono quelle che sono, ma vogliamo fare finta che il problema della sicurezza a scuola non sia competenza sua?
Se siamo arrivati a settembre in maniera completamente impreparata, senza organico a causa di un folle cambiamento delle modalità di reclutamento del personale precario, con l’istituzione di ulteriori forme di precariato ancora peggiore (il “personale covid” licenziabile in tronco in caso di dad) l’imposizione della dad a colpi di ordinanze e poi con un contrattino ignobile senza nessuna contropartita, è colpa delle regioni?
Ok, ti rispondo punto per punto:
1) Per fortuna non esistono solo gli studi fatti sulle scuole in Italia e i dati del ministero. Ci sono ormai ricerche fatte in vari paesi del mondo nel corso dell’ultimo anno e pubblicati su riviste scientifiche. I risultati non sono univoci, ovviamente, ma nessuna ricerca è riuscita a dimostrare che le scuole siano particolari focolai epidemici. Questo non significa che non ci si contagi a scuola, ovviamente, ma soltanto che le scuole non sono luoghi privilegiati di contagio rispetto ad altri (certo se i protocolli di sicurezza vengono applicati). Quindi non si capisce perché dovrebbero essere chiuse a oltranza, considerando che oltre a un luogo di lavoro sono anche un presidio democratico che garantisce un diritto costituzionale tra i più importanti, soprattutto a tutela delle fasce sociali più deboli.
2) Il senso di citare Miozzo era «se perfino lui…». Questo perché Miozzo è il capo del CTS, cioè il consiglio del sovrano che insieme a Conte ha diretto il paese nei mesi del lockdown duro. Poi deve essersi accorto delle conseguenze sulla vita della generazione più giovane e se si leggono in sequenza le due interviste linkate nel post si ha quasi la sensazione che abbia qualcosa da farsi perdonare. Dopodiché (sempre leggendolo, eh) si capisce quale posizione sta esprimendo: «Adesso abbiamo l’obbligo come comunità scientifica di valutare il rischio potenziale del ritorno di milioni di studenti alla scuola in presenza, e dobbiamo fare l’impossibile affinché questo sia un livello di rischio accettabile».
Ti suona irragionevole, considerando che in Italia non solo non si è fatto l’impossibile, ma nemmeno il possibile e l’ovvio?
3) Per quale ragione il personale scolastico dovrebbe tornare al lavoro soltanto a rischio zero? Se questa condizione dovesse valere per tutti gli altri lavoratori, nessuno farebbe più niente, e moriremmo tutti di fame e di malattie curabili. Il rischio zero non esiste. Occorre fare il possibile (e anche «l’impossibile», come dice Miozzo) per abbassarlo ad un livello minimo quel rischio. Inoltre il personale scolastico potrebbe essere vaccinato, come il personale medico.
Il problema più grave da affrontare sulla scuola sinceramente a me sembra un altro: lo spostamento di milioni di studenti ogni giorno su mezzi pubblici che per ovvie ragioni non possono essere affollati. Che fine hanno fatto tutti quei pullman turistici che non portano più i turisti? E i treni locali non vogliamo potenziarli? Poi c’è il tema degli spazi, che dovrebbe essere affrontato con l’acquisizione da parte dello stato e delle amministrazioni di edifici da adattare a scuole, per dimezzare le classi; questo implica assumere nuovo personale. Poi ci sono anche le cose più facili, come reintrodurre il medico scolastico, e i tamponi rapidi nelle scuole per isolare gli infetti just in time. Ci sono un sacco di provvedimenti che potevano essere assunti durante questo lungo anno di scuole chiuse. Un sacco di cose per cui battersi e lottare anziché rassegnarsi alla rinuncia al diritto all’istruzione, e a restare a casa a stipendio pieno a fare la DAD finché la pandemia non sarà passata (e alla prossima si fa uguale?).
Quanto alle lotte… In presenza è certamente più facile lottare, sì. Da casa non si lotta. Al massimo si clicca. Su questo proprio non ci piove. E infatti noi genitori abbiamo preso a trovarci di fronte alle scuole. E a Milano gli studenti hanno occupato il loro liceo. E una prof dorme nella sua scuola a Faenza. E speriamo che le emulazioni dilaghino. Altroché.
4) Sull’Azzolina, rileggi con più calma il post, per favore. Il personaggio è introdotto dicendo che è incredibile che sia ancora al suo posto dopo il flop clamoroso del suo ministero. Poi è *anche* diventata un capro espiatorio per altri. Ma nessuno l’ha assolta. Suvvia, basta leggere.
1. Sul punto. Ti rispondo con un’ANSA del 22 Dicembre
“FIRENZE, 22 DIC – Prosegue la campagna di test rapidi a Firenze per studenti e personale scolastico, realizzati dal Comune col sostegno economico di Fondazione Cr Firenze, per verificare eventuali positività al Covid. Fino ad oggi, tra elementari e medie, sono stati eseguiti circa 9mila test rapidi che hanno segnalato 12 casi di positività. I successivi tamponi molecolari hanno confermato solo otto casi positivi (sei bambini e due adulti), mentre negli altri quattro il risultato ha dato esito negativo. Si conferma dunque, si fa sapere da Palazzo Vecchio, che è positivo l’uno per mille dei soggetti della popolazione scolastica fiorentina. “I risultati dei test rapidi continuano a dimostrare che la scuola è un luogo sicuro e che nelle aule non ci sono focolai Covid – ha detto l’assessore all’educazione di Palazzo Vecchio Sara Funaro -. Siamo soddisfatti di come sono andati finora i test e ci auguriamo che alla ripresa delle lezioni, dopo la pausa natalizia, i numeri dei positivi continuino ad essere così bassi. È importante che i nostri ragazzi frequentino la scuola e lo facciano in sicurezza. Fare lezione in classe ha un’importanza enorme sia a livello formativo che sociale e dobbiamo garantire la presenza a scuola per tutti”. (ANSA).
Lo 0,0125%. Stiamo parlando dell’unica campagna di screening a tappeto svolta in Italia, in una Regione che era Zona Rossa fino a poco tempo fa.
Sul tracciamento hai ragione, ma è saltato quando non c’erano i tamponi rapidi. Ora sì. Ce ne sono a milioni e sono a nostra disposizione, bisogna volerlo e organizzarlo.
Non dimentichiamoci poi che il tracciamento a Ottobre era ad inseguimento. In Toscana, dopo averlo ottenuto, e con le scuole aperte, si sta spingendo renderlo bisettimanale. Senza scuole aperte questo non lo ottieni.
Si vuole inseguire Miozzo? Esattamente il contrario: perfino Miozzo si sta accorgendo del problema. Così come perfino i Confindustriali, gli Invalsi e gli Agenelli si rendono conto dei danni della Dad dopo mesi che movimenti complessissimi ma tenaci lo ribadiscono. Vogliamo lasciarla a loro questa critica?
2. Nel tuo commento mi sembra manchi totalmente la questione di prospettiva, perché così aggira il nodo. Il virus è un problema, ma non è l’unico. Ce ne sono altri e altri ancora stanno nascendo. Vanno affrontati pure quelli: il disagio delle persone (studenti e docenti), le conseguenze sulla scuola in quanto struttura, l’uso strumentale della chiusura della scuola per far vedere che si sta facendo qualcosa (“mentre fuori c’è la morte” si diceva in un monologo di Boris).
Siamo in una catastrofe mondiale: come la affrontiamo senza essere noi stessi la catastrofe? Alcune soluzioni per limitarla sono quelle che suggerisco nell’articolo. A questo si aggiungono le solite misure contenitive.
Così eliminiamo il rischio? No. Non è possibile eliminarlo e non sappiamo per quanto: se un visone starnutisce in modo strano rischia saltare tutto per un altro anno almeno.
Dobbiamo cambiare marcia, perché siamo sull’orlo di perdere tutto, col rischio di non vedere la situazione sanitaria migliorare, visto i non-dati che abbiamo. Non bisogna andare a scuola e basta: bisogna andare e contemporaneamente pretendere ciò che non abbiamo preteso finora. È l’unica arma che possiamo giocare a nostro favore.
Perché se stiamo a un punto di saturazione e collasso di ogni sistema sanitario, esigo che mi sia detto e che si agisca di conseguenza facendo vedere che si è fatto tutto il possibile per evitare la chiusura delle scuole. Esigo che mi sia detto qual è il criterio con cui si chiude ed esigo che mi sia data una prospettiva. Perché sono 11 mesi che in ER si è chiuso, 6 mesi che si fanno promesse a vanvera, e abbiamo fatto scuola un mese e mezzo.
Mi sento retorico mentre scrivo questo, poi leggo l’Ansa di Firenze che postavo prima e capisco che è così: culo in strada e le cose si ottengono. Tutto il resto è status su Facebook.
Infatti quando chiedi cosa abbiamo ottenuto in presenza dimentichi il fattore centrale: le lotte. Che il corpo docente non ha messo in campo se non per i pochi docenti presenti in PAS.
Ti rispondo più brevemente sul resto:
– Scrivi “contrapposizione tra lavoratori” ma intendi “contrapposizione tra docenti”. E già questo mi sembra significativo.
Inoltre, ma sono io che apro una “contrapposizione tra lavoratori” o la contrapposizione esiste e va superata in avanti? La logica per cui se io dico che bisogna tornare faccio contrapposizione, mentre chi dice che bisogna stare in Dad assume una posizione neutra non mi torna moltissimo.
– Su Azzolina ti invito a rileggere, come suggerisce WM4.
E comunque a me sembra indicativo che pas scriva ai docenti (e solo a loro e solo quelli della secondaria di secondo grado dei licei, perché professionali e tecnici sono parzialmente in presenza) e non a governo e regioni e che i Cobas parlino anche loro solo di superiori perché tutto il resto della scuola è già in presenza senza tamponi, screening, diminuzione degli studenti per classe ecc. Io il disagio degli studenti non lo ignoro, la dad so quanto fa schifo senza che me lo dica boeri, so anche quanto fa schifo la scuola in presenza. Dico che bisogna ottenere per tutti le garanzie del minor rischio possibile e non assecondare metri statici e amenità simili e ritrovarsi con classi in quarantena in giorno sì e uno no.
PaS a regioni e governo ha scritto, ed è stata anche criticata per questo da alcuni compagni di strada (“se vi rivolgete alle regioni fate da sponda all’autonomia differenziata”). E con quella lettera in mano è andata a fare presidi sotto le sedi delle regioni, in particolare dell’E.R., dal momento che Bonaccini presiede la conferenza delle regioni. Te ne fossi accorto potevi esserci anche tu. Combinazione, proprio mentre scrivevi questo commento abbiamo pubblicato la nostra analisi (ma l’avevamo preannunciata da giorni) del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza: non so se si possa considerare una lettera, ma è una critica punto per punto, e numero per numero, all’uso del Recovery Fund e alle politiche di governo.
Ci sono andato anche io davanti alla Regione, il 25 novembre, quando ho scioperato con infermieri e autisti Tper. Il 25 settembre invece ero con loro davanti alla prefettura e il giorno prima il presidio lo abbiamo fatto davanti al parlamento.
Ma davvero per fare una critica alla lettera di pas linkata in questo intervento devo esibire il mio curriculum? tra scioperi e relativi presidi davanti a regione, prefettura e parlamento bastano?
Davvero se dico che mi sembra assurdo chiedere di tornare a scuola ai docenti invece che chiederlo a chi deve assicurare tamponi, tracciamento, mezzi, aule e meno studenti per classe significa che son un docente fancazzista?
Ma perché «invece di»? Tutti coloro che si sono mobilitati in questi mesi per la riapertura scolastica hanno chiesto e chiedono PRIMA DI TUTTO alle amministrazioni locali e al governo centrale di garantire il rientro IN SICUREZZA. La manifestazione di domani a Bologna è convocata davanti alla Regione. Ho un volantino sottomano, dove leggo che le richieste sono:
– Potenziamento dei trasporti
– screening sistematico e periodico
– Vigilanza davanti alle scuole per evitare assembramenti
Io ci avrei aggiunto pure la vaccinazione per il personale scolastico su base volontaria.
Casomai quello che qualcuno, tra cui il sottoscritto, ha rilevato, è che di insegnanti in piazza se ne sono ancora visti pochi. E mi interrogavo su questo. Evitiamo, per favore, di proiettare un film che non esiste.
Chiusisti contro apristi non ha molto senso. Gli studi fatti all’estero possono indicarci una pista da approfondire, non da riprodurre acriticamente, perché le realtà locali hanno sempre il loro peso. Doveroso prenderli in considerazione e sperimentare a nostra volta, sapendo che si tratta di un esperimento i cui risultati saranno passibili di correzione. Ad oggi essi non ci danno una certezza assoluta per escludere un rischio maggiore di quello che siamo disposti ad accettare e che a sua volta dipende da differenti priorità degli individui. Un padrone sarà dispostissimo ad accettare il rischio “perché lo zero non esisteeee… la sicurezza costa e le risorse sono limitateeee” di far crepare dieci persone su cento, forse “i movimenti” (detto senza alcuna simpatia per i collaborazionisti di questo governo) potrebbero pensarla diversamente. I piagnistei sulla DAD di Confindustria possono benissimo nascondere altro che la preoccupazione per i cervelli degli studenti: vale a dire, la scuola è ormai l’unico servizio pubblico di massa non essenziale, cioè escluse comunicazioni e sanità, che faccia vedere come si possano fermare i luoghi di lavoro o comunque parlare di farlo. Questo può essere una gran seccatura per tanti poveracci, che magari scoprono che i figli a casa richiedono energie, emozioni e spazio sul divano quando manca una stanza tutta per sé, ma chiederne la riapertura da parte padronale può anche diventare un modo per evitare che nel privato vengano ottenute misure più incisive di quelle inadeguatissime che ci sono adesso. “Ormai lavorano anche quei lazzaroni degli insegnanti… già tre mesi di ferie… che volete ancora…”.
A quel volantino avrei quindi aggiunto, ma non sono di Bologna, la forte e coordinata richiesta di provare il suggerimento avanzato da tempo, di aprire a livello nazionale solo un distretto o due per zona (rossa, arancione o arcobaleno), monitorando cosa succede in modo serio, analizzare i risultati e solo poi decidere cosa come e quando aprire. O chiedere di aprire.
Mi sembra appropriato lasciare un commento che infama e insulta gli insegnanti e la scuola (vogliamo metterci anche “i dipendenti pubblici”?) sotto un post e un commento *bellissimi* che cercano di avviare una lotta collettiva che unisca genitori, studenti e docenti in un momento doloroso e difficile per il sistema di istruzione pubblico, in cui un diritto costituzionale è violato.
Mi sembra appropriato perché dà perfettamente l’idea del clima che si respira nel Paese, e di quello che deve subire una insegnante ogni volta che va a cena da amici. C’è *sempre* quello che….”Voi dipendenti pubblici tutelati rubapane a tradimento”.
*Tu* hai avuto una cattiva esperienza a scuola e dei pessimi insegnanti? Ma perché non generalizzare a tutta la categoria?
La scuola? “Ti ruba i sogni e” – anziché insegnarti il pensiero critico, come negli ultimi trenta anni io ingenua ho creduto di fare – “normalizza il creativo e il buon selvaggio, plasmandolo a guisa di ciò che desidera la classe dominante”.
Io mi sento *insultata* dal tuo commento, Sara (@filoapiombo). Se fossimo su Twitter, chiederei di rimuoverlo “perché fomenta l’odio nei confronti di un gruppo o una categoria”. Questo, per fortuna, non è Twitter. Ma – non avrei mai creduto di scriverlo su Giap – mi viene anche da dire “purtroppo”, perché quindi il commento sta.
Odi tanto la scuola? In molte regioni gli studenti hanno appena provato come è stare per un anno praticamente senza. Se questo anno non ti ha fatto cambiare parere, non riuscirò certo io.
Odi tanto i docenti? Se siamo i più anziani d’Europa e i meno pagati d’Europa, non è certo colpa nostra – e nonostante questo andiamo in classe, dopo tutte le battaglie perse nelle piazze. E nessuno di noi è convinto, credimi, di essere un martire o un minatore.
Ma, per come la penso io personalmente, ti devi vergognare per quello che hai scritto. Grazie a plv e Wu Ming 4, per sagge parole che condivido al 100% e un barlume di speranza.
Una gran codarda
Aldecoa, è vero, i toni di filo-a-piombo sono stati grevi e forse anche gratuitamente offensivi, ma erano rivolti alla sua esperienza e alle sue conoscenze personali, non alla categoria. Anche le sue riflessioni finali riguardano «alcuni insegnanti». Per questo non siamo intervenuti. Del resto, come avrai visto, nessuno ha ripreso quel commento, proprio per il suo taglio molto soggettivo.
Ti possiamo garantire che qui non c’è alcuna avversione indiscriminata verso gli insegnanti in quanto tali. Due di noi WM sono figli di insegnanti di scuola secondaria, ancorché in pensione, e la compagna del terzo è maestra di scuola primaria. Quello che fa rabbia, infatti, è che l’assenza di troppi docenti dalle lotte per la riapetura scolastica in sicurezza rischia proprio di alimentare quegli stereotipi molto diffusi sugli insegnanti che “non hanno voglia di lavorare” e che “si accomodano sui propri privilegi”…che conosciamo bene. Sarebbe importante che il corpo docente fosse in prima linea in massa in questa battaglia, che è anche una battaglia per salvare la sorte lavorativa degli insegnanti nel prossimo futuro: un sacco di gente si dovrebbe tappare la bocca. Come dicevamo, però, decenni di controriforme scolastiche – e non solo quelle – hanno picchiato duro e non si può pretendere che siano passate come acqua fresca sul livello di autocoscienza dei lavoratori e delle lavoratrici della scuola, sul loro modo di concepire il proprio ruolo, ecc. Probabilmente c’è un grande lavoro politico e sindacale da fare. Chissà, magari se questo neonato movimento prendesse piede, potrebbe servire un po’ anche a questo… È un auspicio.
Capisco, grazie mille per il chiarimento.
È interessante il commento di Wu Ming 4 più sotto, in cui prova a elencare tutto ciò che sarebbe necessario per una riorganizzazione completa in sicurezza della vita scolastica.
È una strada complessa logisticamente, e ci sono idee a prima vista buone che in realtà temo sarebbero difficilmente percorribili. Un esempio: svolgere una parte delle lezioni al pomeriggio è di solito soluzione sgradita alle famiglie, per via di tutti gli impegni pomeridiani dei ragazzi. (E chi terrebbe, al mattino, quelli rimasti a casa? E i figli piccoli dei docenti al pomeriggio?)
Chiariamoci: tutto si può risolvere, con sufficiente impegno e fondi, ma alcune di queste questioni sono complesse, e lo sono maggiormente ad a.s. in corso. (Cambiare l’orario docenti di un istituto corposo ad anno avviato non lo auguro a nessuno.)
Ci sono poi i rifiuti psicologici, di unirsi a questa battaglia: c’è chi ha paura del virus, chi non vuole cambiare proprio nulla perché è a un passo dalla pensione, chi è incarognito per anni di lotte contro lo sfascio della scuola nella totale solitudine… Scontiamo, come avete rilevato, gli anni di tagli, mancati investimenti, mancato ricambio generazionale. E spesso, coloro che ti chiedono di sostenerli sono gli stessi che fino a tre giorni prima ti davano del privilegiato (mentre magari il tuo stipendio non bastava neanche a pagare la babysitter). È dura mandare giù e fare finta di niente e mettersi al fianco di chi fino al giorno prima, per dirla con Camilleri, se ne è catafottuto della scuola e della cultura, fino al giorno in cui non gli è venuta completamente a mancare.
Sarebbe bene fare riflettere le persone su come lo sfascio della scuola pubblica sia un male per tutti nel lungo termine…una lunga strada in salita di riacquisizione della consapevolezza politica. È dura.
Aldecoa, vorrei solo chiarire che il mio elenco di «tutto ciò che sarebbe necessario per una riorganizzazione completa in sicurezza della vita scolastica» era assolutamente “panoramico” e fatto nella consapevolezza delle difficoltà che comporterebbe. Detto questo, le difficoltà vanno messe in conto e affrontate. Altrimenti ci resta il fatalismo.
plv in un commento diceva giustamente che se a lui insegnante pendolare mettessero un orario spezzato a scuola, cioè ore al mattino e ore al pomeriggio, si incazzerebbe come una pantera. Be’, un provvedimento del genere non solo sarebbe ingiusto, ma anche illogico. Se l’obiettivo è alleggerire il trasporto pubblico, fare compiere ai prof due viaggi al giorno anziché uno aggraverebbe il problema invece di alleviarlo.
Al pomeriggio le famiglie fanno fare ai ragazzi e alle ragazze molte attività… Già. Per l’atavico problema che non si fanno a scuola quelle attività, come invece avviene in altri paesi, dove restare a scuola il pomeriggio è normale. Dicevo invece io in un mio commento che una pandemia mondiale dovrebbe essere l’occasione buona per ripensare alcune cose sulla scuola…e magari riprenderci anche un po’ del maltolto nel corso dei decenni. Però non lo si otterrà restando a casa, certamente, ma soltanto se si fa un gran casino.
Soprattutto vorrei fare notare una cosa: non è mica necessario ricominciare in presenza al 100%. Si era parlato di 75%, poi di 50%. Insomma ci sono varie possibilità intermedie tra mandare milioni di adolescenti a scuola tutti in una volta e tenerli isolati davanti a uno schermo cinque ore ogni mattina sei giorni su sette (fa impressione perfino scriverlo). Si tratta di immaginarle queste possibilità, di studiarle e capire come si possono mettere in pratica. Alcune erano già state organizzate, come l’alternanza DAD e presenza in modo da andare a scuola almeno tre giorni a settimana, alleggerendo il trasporto pubblico e guadagnando spazio dentro le scuole. Questa mi sembra addirittura a costo zero. La didattica in presenza, la vera didattica, va riconquistata, se necessario “un centimetro alla volta”, diceva Tony D’Amato.
Dici che tra gli insegnanti «c’è chi ha paura del virus, chi non vuole cambiare proprio nulla perché è a un passo dalla pensione, chi è incarognito per anni di lotte contro lo sfascio della scuola nella totale solitudine…».
Chi ha paura si fa vaccinare.
Chi è a un passo dalla pensione va mandato in pensione (o in aspettativa finché non arriva alla pensione).
Chi è incarognito e scoraggiato va coinvolto, perché ne va anche del suo lavoro. Meglio trovarsi oggi in piazza a fianco di gente che fino a ieri ti considerava una privilegiata e che ha mosso il culo soltanto quando le hanno tolto la scuola, piuttosto che trovarsi domani a subire una riforma “digitale” che liquida la scuola pubblica “novecentesca”, magari in nome del “se arriva un’altra emergenza siamo già attrezzati…” o “così studenti e insegnanti possono fare scuola dovunque e comunque h24, 7 su 7”. Altro che pendolarismo, quella sarebbe la flessibilità perfetta.
«Sarebbe bene fare riflettere le persone su come lo sfascio della scuola pubblica sia un male per tutti nel lungo termine…una lunga strada in salita di riacquisizione della consapevolezza politica. È dura.»
Hai ragione, è dura, e anche durissima. Ma intanto hai un piccolo movimento che quella consapevolezza la sta portando in strada. Ed era da aprile che lo aspettavamo. È soltanto una scintilla, ma dopo l’anno plumbeo che abbiamo passato a me sembra già un piccolo incendio.
“un commento che infama e insulta gli insegnanti e la scuola (vogliamo metterci anche “i dipendenti pubblici”?)”
Davvero ho detto questo?… Non mi sono spinta affatto al luogo comune del dipendente pubblico mangiapane a tradimento, mi sono limitata a rilevare l’ ignavia di molti ( a occhio e croce sembrano tanti) insegnanti in questo momento. Nient’altro. Ma mi pare davvero sotto gli occhi di tutti. Se la lotta non parte dai “fruitori del servizio scuola”, dubito possa partire in maniera significativa dagli insegnanti. E penso che gli studenti non agiranno per recuperare/ ripristinare ciò che c’era, ma sotto la pressione di una prospettiva di futuro da scrivere. Per non marcire in un presente senza tempo.
Intanto, comunque, sarebbe stato leale se tu avessi firmato il tuo commento col tuo nome, visto che sai il mio. Questo sarebbe servito ad una maggiore trasparenza. Hai utilizzato il mezzo dell’offesa arrecata alla categoria come dispositivo strumentale all’ autodifesa personale. La chiusura corporativa negli interessi di una categoria produce effetti deleteri se dietro non si intravede la difesa di un diritto invece che di un privilegio o più privilegi. Se gli insegnanti intraprenderanno una vera lotta, lo dovranno fare in nome e in difesa di un bene comune, oltre che che della sicurezza.
“avviare una lotta collettiva che unisca genitori, studenti e docenti” è l’obiettivo da raggiungere. Ma forse ti sfugge che tra queste categorie di persone si è creata una frattura, quasi insanabile, perché gli interessi degli uni sono stati contrapposti a quelli degli altri, già prima della pandemia. E questo sarebbe il primo scoglio da superare per avviare una battaglia… Il corpo docente e i lavoratori della sanità sono ancora lo zoccolo duro del settore pubblico. Uno sciopero di questi due comparti potrebbe mettere in ginocchio qualunque governo. Basterebbe volerlo, per ottenere molte cose.
Queste frasi sembrano preconfezionate:
“perché fomenta l’odio nei confronti di un gruppo o una categoria”.
“dà perfettamente l’idea del clima che si respira nel Paese”
A questa, e ad altre amenità, credo sia più opportuno non risponderti… sarei greve ma non gratuitamente offensiva.
“anziché insegnarti il pensiero critico, come negli ultimi trenta anni io ingenua ho creduto di fare ” . Ma… tu non sei l’ unica insegnante italiana e non rappresenti tutto il corpo docente che è composto da una moltitudine incredibile di soggettività con differenti fini ed intenzioni. Non mi pare che lo scopo/ ambizione di alcuni insegnanti sia ” insegnare il pensiero critico”… Ammesso che si possa trasmettere così ex cathedra. Questa mi sembra più una tua narcisistica aspirazione. La dad è fallimentare ma alla base di questo fallimento c’è anche l’ incapacità di trasmettere il sapere con passione, anche di persona. Figurati come ci si può annoiare dietro ad uno schermo.
“In molte regioni gli studenti hanno appena provato com’è stare per un anno praticamente senza. Se quest’anno non ti ha fatto cambiare parere, non riuscirò certo io.” Questa frase è completamente campata per aria e sconclusionata. Non avevo bisogno di cambiare parere perché, se devo scegliere con chi stare, sto con gli studenti. L’unica parte da prendere è solo la loro.
“Odi tanto i docenti? Se siamo i più anziani d’Europa e i meno pagati d’Europa, non è certo colpa nostra – e nonostante questo andiamo in classe, dopo tutte le battaglie perse nelle piazze. ” Non ti preoccupare… non è mai colpa vostra.
“ti devi vergognare per quello che hai scritto”… Questi sono toni di così scarso spessore e valore che per fortuna non capita frequentemente di sentirli qui.
quando mi riferivo al mettere i lavoratori l’uno contro l’altro mi riferivo in realtà al primo commento.
“Ma purtroppo anche per quieto vivere, potendoselo permettere. Senza capire, come fa notare il post di plv, che è anche il loro futuro in gioco, le condizioni lavorative che verranno imposte, il modello di scuola che uscirà da questa sperimentazione di massa. Senza capire come viene facilmente letto il rifiuto di tornare in aula dagli altri lavoratori, che questa opzione non ce l’hanno e magari entrano ogni giorno in una fabbrica… o in un ospedale.”
Per il resto dei punti scrivo un altro post e cerco di rispondere a tutti e due
1) l’unico studio italiano è fatto dall’ISS ed è per sua ammissione incompleto e sottostima i focolai. Questo è un fatto. Tra le altre cose chiederei che governo e ministero raccogliessero i dati perchè possano essere studiati. Gli studi del resto del mondo non li conosco, ma direi che le condizioni locali e temporali influiscono nei risultati. O le classi di 30 persone sono uno standard mondiale?
2) mi pare strano citare a favore della riapertura in sicurezza chi ha inventato il metro di distanza tra le rime buccali statico, ovvero quello che ha messo il sigillo scientifico sulla boiata che a settembre si ritornava a scuola in sicurezza. Ti sembra davvero così strano?
3) Quando mai ho parlato di rischio zero?
” lo spostamento di milioni di studenti ogni giorno su mezzi pubblici che per ovvie ragioni non possono essere affollati. Che fine hanno fatto tutti quei pullman turistici che non portano più i turisti? E i treni locali non vogliamo potenziarli? Poi c’è il tema degli, che dovrebbe essere affrontato con l’acquisizione da parte dello stato e delle amministrazioni di edifici da adattare a scuole, per dimezzare le classi; questo implica assumere nuovo personale. Poi ci sono anche le cose più facili, come reintrodurre il medico scolastico, e i tamponi rapidi nelle scuole per isolare gli infetti just in time. Ci sono un sacco di provvedimenti che potevano essere assunti durante questo lungo anno di scuole chiuse.”
Queste sono le cose per cui solo da settembre mi sono fatto 3 scioperi con conseguenti presidi. E questo si deve continuare a chiedere e forte a chi lo deve garantire: Governo e Regioni. Non fare appelli ai docenti perchè siano coraggiosi e ritornino a scuola perchè medici e infermieri vanno in ospedale.
Scuola per scuola sarebbe più forte, si dice una cosa retorica e falsa. La lotta ci deve essere e forte a partire da chi (ed è la stragrande maggioranza dei docenti e ata) va già a scuola senza nessuna delle garanzie che hai elencato sopra.
4) “E qui è successo qualcosa di strano: dopo aver fallito la riapertura delle scuole, dopo aver insistito per fare dei concorsi che poi ha interrotto, dopo aver lasciato la scuola nel caos, è inspiegabile il fatto che la Ministra Azzolina sia ancora al suo posto.
Per altro, essendo giovane, donna e meridionale, Azzolina è stata ed è il bersaglio perfetto per un branco di uomini desiderosi di mostrarsi forti e capaci, pur non essendolo, e che di lavoro fanno i Presidenti della Regione.”
Queste sono le uniche parole in tutto l’artico dedicate all’Azzolina. Ho letto bene? mi sono perso qualcosa?
1) Non lo so se le classi di 30 persone sono uno standard mondiale, ma so che si dovrebbe chiedere che venisse messo un tetto a 20. Direi che una pandemia mondiale è l’occasione giusta per farlo.
Quindi si lotta per rientrare a scuola con classi ridotte nei numeri, divise su turni, o acquisendo spazi più grandi, insomma studiando soluzioni perché la scuola possa essere la cosa che descrive bene Girolamo nel suo commento. Perché è prima di tutto un’esperienza formativa delle persone. Ma se non si mette davanti questa idea di scuola, se la si considera un luogo di lavoro/apprendimento come un altro, se si scrive DAD ma si legge smartworking (o smart learning), c’è un problema di prospettiva grande come una casa. Prospettiva politica e sindacale. E si finisce per trovarsi dalla parte sbagliata della barricata.
2) Vogliamo contestualizzare la presenza di Miozzo nel post, per cortesia?
C’è scritto questo: «Se persino uno dei più alti responsabili della gestione della pandemia va dicendo da due mesi che la scuola deve essere riaperta; se la ministra dell’Istruzione aveva promesso più volte che questo sarebbe successo; se persino il premier, in diretta nazionale, aveva dichiarato che il 7 Gennaio si sarebbe tornati a scuola… perché non è successo? Colpa della curva dei contagi? È colpa nostra e della nostra irresponsabilità?».
L’accento non è sul fatto che Miozzo sia una persona seria o poco seria (insieme a lui vengono citati anche Azzolina e Conte), ma sul fatto oggettivo che è uno dei più alti responsabili della gestione della pandemia. La domanda che fa plv è: perché se perfino il capo del CTS, il ministro del’istruzione e il primo ministro erano d’accordo a riaprire le scuole non sono state riaperte? Della credibilità di Miozzo non si fa cenno perché nel ragionamento non è quello il punto, si sta andando da tutt’altra parte.
Detto questo nel mese e mezzo che mio figlio è andato a scuola lo scorso autunno, non è mai stato così controllato: tra tamponi, test sierologici e protocolli, appena qualcuno risultava positivo, scattava una catena di controlli e screening che a molti ha fatto pensare che la scuola sarebbe potuta diventare un presidio medico, se adeguatamente organizzata. Oggi, con i tamponi rapidi e un medico scolastico il tutto sarebbe ancora più velocizzato. Ovviamente parliamo delle scuole superiori, perché alle elementari e medie è ormai acclarato che la contagiosità a quell’età è bassissima, infatti anche se elementari e medie inferiori sono «già in presenza senza tamponi, screening, diminuzione degli studenti per classe ecc.» non si ha notizia di focolai.
3) Tu ti sarai anche fatto 3 scioperi, ma stando a quanto dicono i sondaggi giornalistici e a quanto leggo nei documenti dei sindacati più numericamente rappresentativi, la larga maggioranza degli insegnanti non preme per tornare a lavorare in presenza. C’è perfino chi sostiene, come FLC-Cgil, che «la scuola non ha mai chiuso» e quindi se ne deduce che, per quanto dicano che si deve rientrare a scuola, per loro la DAD è scuola a tutti gli effetti, e quindi che fretta potrà mai esserci? Torniamo al grosso equivoco di cui al punto 1. E infatti di grandi scioperi contro la DAD e per ottenere tutto quello che abbiamo detto non se n’è visti.
Questa purtroppo è la categoria a oggi. Mica tutta. Ma la maggioranza.
Poi uno può anche non farci i conti con questa cosa, ma la cosa resta lì e prende spazio. Come prende spazio che in piazza adesso ci siano studenti e genitori e una componente purtroppo minoritaria di insegnanti che fanno riferimento a PAS (e direi i Cobas come unica sigla sindacale). Secondo me qualcuno dovrebbe farsi qualche domanda.
4) Su Azzolina hai letto bene, si dice che:
– ha fallito la riapertura delle scuole
– ha insistito per fare concorsi che poi ha interrotto
– ha lasciato la scuola nel caos
– non si capisce come possa ancora essere al suo posto di ministra.
Non so cosa si potrebbe aggiungere più di così. Del suo operato non è stato salvato niente.
Dopodiché è evidente che ormai quella ministra conta come il due di coppe quando briscola è denari, visto che nessuno nel governo se la fila più di striscio e men che meno i presidenti di regione. Se poi uno vuole continuare a usarla come sacco da box…è in “buona” compagnia.
I riferimenti sullo sciopero che fai mi hanno dato dei riferimenti in più ed esplicitano i non detti del tuo intervento. Mi limito a dire che per me stare nelle lotte in questo momento ha voluto dire mischiarsi con persone molto diverse da me, che non fanno il mio lavoro e con cui in altre situazioni farei fatica a parlare. Ho preso delle batoste e mi sto facendo il mazzo. Però i movimenti sono questo, che lo vogliamo o no. Inoltre i docenti cui sto girando l articolo mi stanno dando feedback che rendono la mia posizione meno isolata. Francamente non me l aspettavo, segno che io stesso avevo dato per scontato di essere solo, invece la situazione interna ai docenti è complessa. Tocca organizzarsi e usare la propria posizione come punto di forza.
Per il resto mi sa che ti sei perso dei passaggi. Priorità alla scuola e pure la Rete Bessa hanno sempre criticato le azioni del Governo. Questo articolo è il seguito di quello pubblicato a settembre https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/09/a-scuola-di-rabbia/
Girolamo De Michele, che cito entrambe le volte, chiarisce molto bene l’azione di Governo (non è scritto così, ma penso si capisca chiaramente quando si parla del Next Generation EU). Solo che quasi nessuno ha affrontato in modo sistematico il delirio delle Regioni. Inoltre se c è un soggetto istituzionale che esce rafforzato dall’ultimo anno sono le Regioni: di questo dobbiamo prenderne atto.
Sulla lotta che deve partire da chi va in presenza: sono d’accordo. Ma io sono situato diversamente e non mi sembra di andare in contrasto con chi è già in presenza
Però, plv, se la lotta del personale scolastico non è mai partita con numeri consistenti bisognerà pure chiedersi perché. Io alcuni elementi per una risposta li trovo proprio nel commento di Girolamo – mica per niente uno che di scuola vive e ci riflette sopra da un sacco di tempo. C’è un problema di angolo visuale e di concezione del ruolo della scuola.
A forza di fiaccare e sminuire la scuola pubblica riforma dopo riforma, taglio dopo taglio, è impossibile che questo non abbia avuto ripercussioni sul modo dei docenti di vivere e considerare la scuola. Per quale motivo oggi i docenti dovrebbero prendersela tanto se viene sospesa? Per vocazione, forse. Per convinzione politica, forse. Chi ce le ha. Stanti così le cose, nel momento in cui i docenti si ritrovano a fare lezione dal pc, da casa o da scuola (davanti a un’aula deserta), senza chiasso, senza problemi disciplinari, senza una classe di 30 adolescenti da gestire, senza colleghi antipatici con cui doversi confrontare, senza mascherina per ore, ecc. ecc., per quale motivo dovrebbero prendersi *davvero* a cuore il ritorno in presenza?
Aggiungiamoci pure un’altra cosa, credo ancora più dirimente. In queste discussioni stiamo parlando molto dei protocolli di sicurezza e della necessità di riorganizzare la vita scolastica. Siccome i maxi-investimenti che sarebbero stati necessari per salvare la scuola non sono stati fatti e tocca fare con quello che si ha, se si vuole tornare in presenza non resta che organizzare turni – per non sovraffollare i mezzi pubblici e gli spazi scolastici-, sfruttare le ore pomeridiane per fare scuola, decentrare alcune delle attività in presenza, spalmare l’orario scolastico e conseguentemente prolungare la durata della scuola a tutto giugno e tutto settembre, ecc. ecc.
Quindi su un piatto della bilancia c’è il web. Sull’altro c’è un cambio di contratto, di ritmi di vita e di tempi di lavoro, il portato di problemi sindacali che ne consegue, ecc.
Ora, plv, ti chiedo, in sincerità: secondo te quanti dei docenti delle superiori, che attualmente hanno come problema principale quello di destreggiarsi con la tecnologia web e assicurarsi che i propri studenti non “copino” (proprio grazie a quella medesima tecnologia a cui ci si è completamente affidati), sceglierebbero convintamente l’alternativa della riorganizzazione radicale della vita scolastica?
Non pensare a te stesso, please. Me lo chiedo perché penso da sempre che ogni sguardo sia situato e che al di là di quello che uno/a crede o professa giusto in linea ideale, ci siano le circostanze materiali a pesare sul suo giudizio. E secondo te sbaglio a intravedere in queste circostanze materiali parte del motivo per cui portare in piazza i prof e le prof contro la DAD è stato e continua a essere così difficile?
“Aggiungiamoci pure un’altra cosa, credo ancora più dirimente. In queste discussioni stiamo parlando molto dei protocolli di sicurezza e della necessità di riorganizzare la vita scolastica. Siccome i maxi-investimenti che sarebbero stati necessari per salvare la scuola non sono stati fatti e tocca fare con quello che si ha, se si vuole tornare in presenza non resta che organizzare turni – per non sovraffollare i mezzi pubblici e gli spazi scolastici-, sfruttare le ore pomeridiane per fare scuola, decentrare alcune delle attività in presenza, spalmare l’orario scolastico e conseguentemente prolungare la durata della scuola a tutto giugno e tutto settembre, ecc. ecc.
Quindi su un piatto della bilancia c’è il web. Sull’altro c’è un cambio di contratto, di ritmi di vita e di tempi di lavoro, il portato di problemi sindacali che ne consegue, ecc.
Ora, plv, ti chiedo, in sincerità: secondo te quanti dei docenti delle superiori, che attualmente hanno come problema principale quello di destreggiarsi con la tecnologia web e assicurarsi che i propri studenti non “copino” (proprio grazie a quella medesima tecnologia a cui ci si è completamente affidati), sceglierebbero convintamente l’alternativa della riorganizzazione radicale della vita scolastica?”
E qui finalmente forse vediamo esplicitato il senso di tanti appelli al coraggio e quello che veramente si vole dire.
I soldi non ci sono, i mezzi neanche, tamponi e screening niente, quindi spalmiamo l’orario e risolviamo il problema. Fatti spiegare da un docente di cui ti fidi cosa significa questa cosa, se è facilmente realizzabile, e chiedegli se gli sembra giusto che lui/lei si debba immolare perchè Azzolina e Bonaccini sono incapaci o peggio
Infatti ho chiesto a plv, un docente di cui mi fido. E mi ha risposto.
Una cosa però credo possiamo darla per certa: durante una pandemia mondiale la scuola non può rimanere quella che è. Come molti altri aspetti della vita collettiva e lavorativa non sono rimasti quelli che erano. Occorre fare di tutto per salvarla senza che questo contribuisca ad aggravare il problema pandemico o lo aggravi nella misura minima possibile. Sicuramente il cambiamento rappresentato dalla DAD va a detrimento delle fasce più povere e disagiate, compromette un diritto universale conquistato da secoli di lotte, apre un’autostrada alla neoliberalizzazione della scuola, isola i lavoratori rendendoli più deboli, compromette la formazione non solo educativa ma anche psichica e relazionale di una generazione di ragazzi e ragazze con conseguenze al momento difficili da calcolare ma facili da intuire. Se per evitare tutto questo non si può riorganizzare la scuola, allora siamo in presenza di una mentalità corporativa che per quanto mi riguarda si colloca dall’altra parte della barricata.
Torno a rispondere ad AntonioF, anche se ci stiamo incrociando nei commenti. Ho visto anche le risposte a robydoc nel commento sotto e pongo nuovamente la critica di vedere solo una parte del problema.
Come scrivevo, non ho idee pragmatiche su un’ipotetica riorganizzazione. Su questo punto sono all’ascolto. Certo, non sono ingenuo: se Azzolina o chi per lei dovessero riorganizzare un cambiamento sarà problematico, vista la logica con cui ragionano. WM4 scrive sotto: “perché la riorganizzazione scolastica avvenga su una base logica e soprattutto perché non si renda la vita impossibile al personale scolastico scaricandogli addosso tutto il peso della riorganizzazione stessa.” Ineccepibile.
In questo tuo ultimo commento però vedo un altro elemento problematico: l’idea che ragionare su un cambiamento sia necessariamente “immolarsi”. Secondo me no e bisogna lavorare affinché non sia così. Per quanto mi riguarda tra l’altro mi sto già immolando, visti gli effetti disastrosi della Dad sul mio umore e sui miei 3/10 di vista rimanenti.
In più ho l’impressione che siamo su un momento di mutamento clamoroso, in cui la difesa della scuola così com’è (e intendo la sua struttura generale) va modificata. In generale, le cose che scrive Girolamo impongono di rivedere tutto.
Eh sì, dobbiamo immaginarci come fare. L’onda studentesca aveva l “autoriforma” e l “autoformazione”, non c’è un equivalente sulla scuola, va inventato.
Non nego quello che scrivi e riconosco tutti i blocchi concreti che poni. Di certo a lavoro non sono circondato da ferrei attivisti disposti a tutto. Io stesso non ti so rispondere sulla riorganizzazione della scuola come la poni. Banalmente: non ho una posizione sull’ipotesi che circola di rimanere a scuola a Luglio. Mi sembra strampalata, non ci sono ipotesi sul farlo in presenza o meno, il mio stesso contratto andrebbe modificato perché è fino al 30 giugno. Ma anche se fosse un’ipotesi decente, non ho un’idea chiara. Pure sulla riorganizzazione in turni. So che se mi fanno uno spezzato con pausa di 5 ore (come proposto ad un mio amico), mi incazzo come una bestia, anche perché sono pendolare.
Però c’è un altro problema materiale: le forme di organizzazione. La mia impressione è mancato un passaggio del testimone. I problemi che pone Girolamo (il capitalismo cognitivo) sono stati affrontati dai movimenti universitari dieci anni fa. C’è molta gente di quella generazione e di quei movimenti che oggi lavora a scuola. Almeno nel dibattito questi temi dovrebbero essere entrati. Perché non se ne vede traccia?
Un’ipotesi è che le strutture sindacali abbiano fatto da blocco. Non lo dico con acredine, lo suggerisco come dato di fatto: le strutture sindacali non hanno sviluppato al loro interno un dibattito all’altezza di questo cambiamento. Forse in alcuni casi ci stanno arrivando ora. Non ero nella scuola sugli proteste degli Invalsi e sulla Buona Scuola, ma da quel che percepisco lì, nelle discussioni che ci sono state, è successo qualcosa che stiamo pagando. Anzi, chiedo a Girolamo e ad altri prof con più esperienza un’opinione in merito.
Ora anche il personale che magari potrebbe assumere le posizioni di questo articolo, è super parcellizzato, va cercato col lumicino, ma secondo me esiste. Solo le manifestazioni sgangherate di questi periodo potrebbero spingerci a guardarci e riconoscerci.
plv, è chiaro che bisogna battersi perché la riorganizzazione scolastica avvenga su una base logica e soprattutto perché non si renda la vita impossibile al personale scolastico scaricandogli addosso tutto il peso della riorganizzazione stessa. Ci mancherebbe altro. Questa mi sembrerebbe infatti un’ottima battaglia da ingaggiare e su cui le organizzazioni di categoria dovrebbero sensibilizzare i lavoratori, invece di frenare qualunque ipotesi di rientro, col rischio che questi diventino parte del problema anziché della soluzione. Del resto, lo hai appena scritto tu stesso rispondendo a un altro commento. Sottoscrivo in pieno.
Faccio un piccolo inciso su una questione specifica, anche se io mi trovo “al di fuori” di questo dibattito (o meglio, ci rientro da genitore), relativamente alla questione dei “lavoratori contrapposti”, citando un paragrafo di WM4 che per me coglie bene il punto (uno dei punti):
«Me lo chiedo perché penso da sempre che ogni sguardo sia situato e che al di là di quello che uno/a crede o professa giusto in linea ideale, ci siano le circostanze materiali a pesare sul suo giudizio.»
Ecco, dire (qui!) che c’è chi sta a casa a stipendio pieno (anche al di fuori della scuola), chi è (per ora) in cassa integrazione e chi invece non sta lavorando e non ha ammortizzatori (o, a parte la questione economica, chi può lavorare da casa e chi invece lavora in presenza e non può lasciare i figli da soli a casa in DAD, ad esempio), non è “neoliberismo”, elogio del martirio e richiesta di “eroismo”, colpevolizzazione di diritti sacrosanti, ma la semplice presa d’atto di un fatto oggettivo che verosimilmente incide sul punto di vista da cui ciascuno vede il mondo, le priorità e pianifica le proprie “risposte” agli stimoli esterni e immagina le proprie “politiche”.
E’ umano che ciascuno di noi tenda a proiettare i propri pensieri, desideri, aspettative sugli altri. Ma situazioni materiali differenti significano che gli altri hanno problemi, aspettative, desideri, differenti da quelli che abbiamo noi e non possono rientrare nella proiezione “nostrocentrica” del mondo che abbiamo in testa.
Guarda che io parlo delle cose che pas chiede nella lettera linkata al tuo articolo e del comunicato dei cobas. La lettera è sostanzialmente rivolta ai docenti a cui si chidede di essere coraggiosi; i cobas dicono ai docenti di fare gli eroi come lo hanno fatto medici e infermieri. Io penso che se si vuole chiamare loro e gli ata alla mobilitazione bisogna farli muovere con l’obiettivo di ridurre il rischio di contagio con screening, test, spazi, trasporti, riduzione del numero degli studenti. L’ennesima campagna di disistima dopo tutte le altre (si imboscano per non fare gli esami; non vogliono farsi il sierologico; si fanno fare il certificato medico perchè non vogliono ritornare a scuola)questa volta da sinistra non porterà a molto.
Non capisco quali sarebbero i non detti miei che però tu hai capito. Spiegali pure così vediamo se ci hai azzeccato
L’articolo è puntuale su un momento e su un contesto. PAS come movimento iniziato ad aprile, che ha continuato a svolgere iniziative per tutta l’estate e in primavera. Puntando sul problema che finora non è stato affrontato ho scelto dei testi specifici.
Il testo dei Cobas (non avrei mai pensato di citare così esplicitamente un testo di un sindacato, però secondo me era necessario) non dice di essere eroi coraggiosi. Chiede in virtù di cosa dovremmo sentirci più facilitati di altri in una situazione e in un contesto specifico. E siamo di fronte ad un’alternativa: mollare tutto o lottare. Lottare tocca tornare in presenza. Se mettiamo le cose in prospettiva qual è la cosa più pericolosa? Lo chiedo davvero.
Non mi accollo nemmeno lontanamente l’idea di aver aperto una campagna di disistima sui docenti. Anzi, ho scritto che comprendo tutte le posizioni, ma scelgo e suggerisco un’opzione determinata. Sollevare questioni e contraddizioni è sano, se non lo facciamo allora siamo destinati al fallimento.
Non entro nei non detti perché secondo me non è questa la sede opportuna, mi limito a quello che ho scritto e non vado oltre.
Chiedersi perché la scuola dovrebbe avere priorità rispetto ad altri settori, equivale a chiedersi a cosa serve la scuola: la risposta alla prima domanda dipende da quello che si risponde alla seconda. Si può tenere chiusa per qualche mese qualsiasi cosa: scuole, fabbriche, stadi, discoteche, bar, ristoranti, reparti di pronto soccorso, piste da sci, chiese, saloni di massaggi e manicure, parchi pubblici… Perché la scuola no?
Se la scuola è solo trasferimento di pacchetti di informazioni ed elaborazione di riassunti a partire dalla rete, la si può fare a distanza. Se insegnare significa accendere una passione, creare relazioni fra soggetti che imparano l’arte della cooperazione, imparare dai propri errori tanto quanto dai propri successi, sviluppare il pensiero divergente, scartare di lato invece che seguire la strada segnata, pensare differente, imparare a imparare: allora la scuola deve svolgersi in presenza e in relazione, oltre che in sicurezza.
Nella società della conoscenza e del capitalismo cognitivo l’intelletto è messo al lavoro: l’esaltazione tecnocratica bypartisan (da Assolombarda a Giorgio Gori, solo per citare quel che s’è sentito agli Stati Generali della Scuola Digitale) per i nuovi orari inconsueti in cui si è svolta la DaD “da cui non si potrà tornare indietro”, il superamento della scansione “dello scorso secolo” istruzione/lavoro/pensione in favore di una “istruzione digitale lunga tutta una vita”, a cos’altro alludono, se non all’intelletto messo al lavoro h 7/24?
Ma è anche vero che questa forza lavoro che è la capacità intellettuale, anche quando viene venduta per un salario, non viene persa da chi la possiede. Nella qualità dell’intelletto, nella sua capacità di riflessione, resistenza, innovazione, creatività sta la differenza fra l’asservimento e il farsi da sé, fra l’obbedienza e l’autonomia dei processi di soggettivazione: se questo è vero, allora nella qualità della scuola (senza pretesa di esclusività) è messa in gioco la possibilità di una vita futura da suddit* piuttosto che da cittadin*. La priorità di una scuola di qualità, in presenza, relazione e sicurezza dipende e discende da tutto questo: le gerarchie fra cosa si deve riaprire e cosa no fanno segno non ai banchi a rotelle e alle ciaspole, ma quale futuro vogliamo abitare.
Condivido questo commento.
«Nella società della conoscenza e del capitalismo cognitivo l’intelletto è messo al lavoro: l’esaltazione tecnocratica bypartisan (da Assolombarda a Giorgio Gori, solo per citare quel che s’è sentito agli Stati Generali della Scuola Digitale) per i nuovi orari inconsueti in cui si è svolta la DaD “da cui non si potrà tornare indietro”, il superamento della scansione “dello scorso secolo” istruzione/lavoro/pensione in favore di una “istruzione digitale lunga tutta una vita”, a cos’altro alludono, se non all’intelletto messo al lavoro h 7/24?»
Ecco appunto. Uno scenario che io non posso che trovare “distopico” e che in gran parte, con la “rivoluzione” dello smartworking, si sta già cercando di sdoganare su ampie fascie di lavoratori.
Non che l’intelletto messo al lavoro 7/24 sia una novità.
Per alcune categorie (i professionisti?) è stato così da sempre. Ma quelli dopotutto “si comandano da soli” (ironia, ovviamente!)
Poi ci sono stati i laureati in posizioni impiegatizie medio alte (responsabili di produzione e simili, ma quelli hanno lo stipendio alto).
Più recentemente ci sono i lavoratori dell’informatica, cui in determinati settori è chiesta reperibilità pressoché continua a fronte delle tutele che i giovani lavoratori più o meno precari hanno oggi.
Ora con lo smartworking si sta andando nella direzione di chiedere questo tipo di reperibilità a chiunque lavori su un PC (tanto sei a casa, cosa vuoi di più?), mentre con la DAD si sta preparando a fare esattamente questo anche le giovani generazioni.
Qua bisogna che i docenti si facciano delle domande e si schierino: chi è per “l’esaltazione tecnocratica bypartisan” e chi no? Non vorrei che i rapporti di forza fossero a favore dei primi, anche per una forma mentis collettiva a cui siamo stati esposti e indottrinati tutti ormai da anni a questa parte.
Rivendicare fra le maggiori tutele il diritto di tutti al tempo libero (e a poterlo passare con i propri cari e i propri amici, in presenza e *all’aperto* e non passando dallo schermo del PC a quello del cellulare nella propria abitazione sanificata) e a degli orari di lavoro e di vita regolari, “umani” e che consentano di pianificare e di organizzarsi una vita al di fuori della reperibilità e degli “zero preavvisi” credo sia importante per tutte le categorie di lavoratori, dagli impiegati a riders.
La discussione tra Antonio F. e WM4/plv sopra è indicativa, secondo me, dell’impossibilità di discutere a partire dai dati. Non è in discussione la buona fede quanto la capacità di riconoscere i propri pregiudizi e la familiarità con certe forme di comunicazione scientifica. Sui propri pregiudizi si può fare poco, il consiglio è di cercare di osservare lavori che contrastano la propria idea di partenza, in modo almeno di testarla. Sulle forme di comunicazione andrebbe invece fatta una campagna a tappeto, diciamo così.
In un rapporto di ricerca si dice SEMPRE di maneggiare i dati con cautela, perché SEMPRE non abbiamo la parola definitiva su un fenomeno. Se ci si aspetta di leggere un rapporto del tipo “abbiamo tutti i dati che dobbiamo avere e vi possiamo garantire senza ombra di dubbio che” temo che si aspetterà a lungo (forse il nuovo testamento è un buon candidato). Inevitabilmente un rapporto di ricerca avverte che si è sottostimato un valore, non si è approfondito un aspetto. Ci si aspetta che il lettore comprenda cosa significhi, lo sappia trattare, non arrivi alla conclusione che “allora il dato non serve a niente”.
Nello specifico il rapporto dice che i focolai sono il 2% del totale ma possono essere di più. Quanto di più si crede che possano essere? Già presupponendo che siano il triplo – ma sarebbe un errore pacchiano e fuori fuoco – si arriva a malapena al 6%.
Ancora. Il rapporto dice che i dati sono incompleti e lo dice in 5 righe. Poi ci sono pagine e pagine di revisione di letteratura abbastanza concordante. Solo fuori dai contesti usuali questo non viene preso in considerazione, di solito basta meno, molto meno, per dire una parola sostanzialmente definitiva su un fenomeno.
Non voglio assegnare colpe specifiche però analizza un testo deve cercare di comprendere che i linguaggi mutano a seconda dei contesti. La stessa parola ha un peso differente se detta tra persone che condividono esperienze pluriennali di rapporti di ricerca o se detta all’interno di un dibattito ansiogeno. In genere credo sia colpa degli “scienziati” ma non è che abbia chissà quali soluzioni da offrire, l’ISS deve scriverlo così il rapporto. Però una cosa mi è chiara: non è con i dati che usciremo da tutto questo. Considerato dove ci troviamo dovrebbe essere una cosa familiare: la TAV non ha un solo dato che la giustifichi, ma mica la si è fermata con quelli no?
No, la letteratura non è concordante, neanche quella citata da questo documento. E no, non sono 5 righe. Ultima cosa: in Italia il traccoamento è saltato a fine ottobre.
“I dati raccolti, oltre alla data di diagnosi, includono, tra le altre informazioni, l’età, il comune di residenza e, anche se non obbligatorio, l’informazione se il caso fa parte del personale scolastico (distinto in docente e non docente)oppure se è uno studente,anche sespesso il campo non è compilato. In particolare, in questa fase di forte crescita dei casi, molte regioni hanno evidenziato delledifficoltà a riportare informazioni dettagliate sui casi”
“Come previsto dalDM Salute del 30 aprile 2020, ogni settimana le Regioni/PA comunicano il numero di focolai attivi e per ciascuno il contesto in cui è avvenuta presumibilmente la trasmissione. Spesso però non è stato possibile stabilire con certezza che la trasmissione sia avvenuta in ambito scolastico e che la scuola sia stata la fonte di infezione, pertanto spesso ci si riferisce a casi che hanno frequentato contemporaneamente lo stesso ambito scolastico.” .
Scusa, come sarebbe non è concordante? Qui c’è il rapporto, invito a leggere il paragrafo 6.1 che si intitola appunto “Revisione della letteratura”.
Per il resto rinvio a quanto detto nell’altro commento.
Aggiungo solo per gli affezionati ai numeri che non sarebbe male vedere a) qualche studio scientifico, b) pubblicato su riviste scientifiche, che mostra come l’incidenza nelle scuole sia di particolare rilevanza(ordine lessico-normativo, il primo punto è più importante del secondo, pazienza se non è su una rivista scientifica). Perché va bene, benissimo, dire “questo studio non è preciso”, ma ogni tanto cercare qualche prova delle proprie convinzioni e mostrarla agli eretici aiuterebbe.
Mi permetto di copiaincollare alcuni passaggi del rapporto dell’ISS linkato da robydoc:
«Una revisione non sistematica di alcuni degli studi più recenti condotti per valutare la trasmissione di SARS-CoV-2 in ambito scolastico è riportata di seguito.
Uno studio sulla trasmissione secondaria di SARS-CoV-2 tra studenti, insegnanti e personale scolastico condotto dopo la riapertura delle scuole nella città di Reggio Emilia, in Italia che ha incluso 41 classi (8 nidi e scuole materne, 10 scuole primarie e 18 secondarie) ha riportato nel periodo dal 1° settembre al 15 ottobre 2020, 43 casi primari (38 studenti e 5 insegnanti), di questi 10 studenti e 2 insegnanti hanno creato 39 casi secondari, con un tasso di attacco del 3,9%.
Lo studio evidenzia che il tasso di attacco è più alto nelle scuole secondarie che nelle primarie, mentre la trasmissione secondaria è assente nelle scuole materne e tra gli insegnanti e il personale scolastico.
Un altro studio prospettico condotto in Italia che ha esaminato l’incidenza dell’infezione da SARS-CoV-2 tra gli studenti, e l’associazione tra l’aumento della trasmissibilità di SARS-CoV-2 (misurata come numero di riproduzione Rt) e le date di apertura delle scuole nelle diverse regioni italiane, non ha riscontrato una
associazione significativa tra l’apertura scolastica scaglionata nelle diverse regioni italiane e l’aumento dell’infezione nella popolazione generale. Ha inoltre osservato che bambini e adolescenti in età scolare sono raramente caso indice e che l’incidenza delle infezioni è inferiore negli studenti di qualsiasi ciclo, rispetto alla popolazione generale. Inoltre, almeno nel caso dei bambini delle scuole elementari, il tracciamento dei contatti nelle scuole conferma che hanno meno probabilità di trasmettere il virus, come evidenziato da una riduzione del 29% del numero di casi secondari rispetto al numero di casi secondari causati da un caso indice tra gli insegnanti.»
Seguono altri casi di analoghi studi fatti in paesi stranieri che sostanzialmente sono giunti a conclusioni simili.
Sottolineerei anche altri due passaggi:
«Allo stesso modo uno studio nazionale condotto in Inghilterra tra gli studenti e docenti che frequentavano le strutture scolastiche a giugno 2020 ha evidenziato che le infezioni e i focolai di SARS-CoV-2 negli ambienti scolastici erano rari. I membri del personale avevano un rischio maggiore di infezione rispetto agli studenti in qualsiasi contesto scolastico e la maggior parte dei casi collegati ai focolai erano nel personale.»
Sembrerebbe che l’idea di vaccinare alla svelta il personale scolastico non sia proprio cattiva, appunto. Così come quella di occuparsi di “come” gli studenti si spostano:
«Un limite comune a queste indagini è rappresentato dall’impossibilità di distinguere tra trasmissioni che avvengono in classe e quelle legate ad attività e comportamenti al di fuori della scuola, come l’uso di trasporti pubblici o le attività del tempo libero e la sottostima dei casi asintomatici»
“La Tabella2 evidenzia una notevole variabilità nel numero di focolai riportati settimanalmente,ascrivibile sia ai diversi criteri di classificazione dei focolai scolastici adottati a livello regionale che alla ridotta capacità di tracciamento dei contatti in relazione alla difficile situazione creatasi in seguito all’aumento dei casi che ha limitato la possibilità degli operatori sanitari di effettuare indagini accurate.Il numero di focolai scolastici è quindi sottostimato e, come si può notare dalla Tabella 2, alcune regioni (Basilicata, Campania, Liguria, Molise, Sardegna, Valle d’Aosta) non sono state in grado di riportare l’informazione relativa al setting in cui si sono verificati i focolai.Non è inoltre disponibile l’informazione sul numero di casi coinvolti in ciascun focolaio.”
“A metà ottobre, ad un mese dalla riapertura delle scuole, la percentuale dei focolai in cui la trasmissione poteva essere avvenuta in ambito scolastico era intorno al 3,7% del totale, valore che poi si è progressivamente ridotto.Purtroppo,la forte pressione sui dipartimenti di prevenzione verificatasi nel mese di novembre, a causadall’intensificarsi dell’epidemia e del conseguente forte aumento dei casi in tutta la popolazione, ha portato in alcune aree a un ritardo nella notifica e nell’aggiornamento delle informazioni sui casi individualie anche le informazioni presenti nel sistema di sorveglianza sulla possibile esposizione al virus del personale scolastico sono spesso carenti ed incomplete. “
Ecco, perfetto. Uno dei problemi principali dell’analisi sull’emergenza pandemica è l’opacità di dati del tutto manipolabili – anche in buona fede – dagli attori in campo (e così nascono studi – seppur “scientifici” – contraddittori perché derivanti da una delle fallacie classiche del metodo induttivo, ovvero utilizzare solo certi dati per arrivare a conclusioni predeterminate). La mancanza di una gerarchia delle fonti porta poi alla manipolazione delle informazioni e così alla costruzione dell’infodemia. La domanda principale è se i dati sono “neutri” o “neutralizzabili” nel senso di poter essere resi neutri, o se, al contrario, qualsiasi ricerca scientifica non possa a questo punto essere orientata verso una data inclinazione politica (aperturista o chiusurista che sia). In linea generale, non mi stupisce che la scuola non venga riaperta (così come i cinema e i teatri), perché di fatto non produce Pil: e nel sistema in cui viviamo è del tutto impensabile che un governatore dia priorità all’apertura delle scuole piuttosto che dei bar e i ristoranti, a meno che questa scelta non faccia comodo mediaticamente, ovvero entri in una narrazione del tipo “non dobbiamo compromettere il futuro dei nostri figli e il loro presente formativo”. Perché una simile narrazione emerga e quindi risulti vincente rispetto alle logiche economiche capitalistiche e a quelle scientiste dei rigoristi del lockdown, ci vorrebbe una mobilitazione degli studenti e del personale docente e scolastico tale da far aderire a questa idea anche la maggioranza dell’opinione pubblica (e quindi dei media). Ad oggi, come ben analizzato nell’articolo, questa mobilitazione è purtroppo minoritaria, anche se in crescita.
Veramente assurda la situazione Italiana. Vivo a Lisbona e domani entriamo in un lockdown quasi totale simile a quello del Marzo 2020 causa aumento contagi e decessi. Chiude tutto ma tutte le scuole rimarranno aperte dai 0 ai 18 anni, e anche le università. Dopo la DAD di Marzo e Aprile del 2019, fatta online ma anche attraverso la TV di Stato (che si è poi prolungata fino a Giugno per i più piccini), a Settembre sono state riaperte le scuole e si è deciso che l’istruzione era una priorità assoluta, anche vista l’insostenibilità nel coniugare smart working (da domani obbligatorio) e gestione della prole in casa. A livello scientifico qui si sostiene che le scuole con le dovute precauzioni non sono focolai di contagio e che comunque vanno tenute aperte. C’è da dire che in Portogallo non esistono le regioni come da noi e questo tipo di decisioni sulla scuola sono centralizzate e inappellabili.
Ieri il TAR della Lombardia, su ricorso del comitato “A Scuola!”, ha respinto l’ordinanza della Regione che prevedeva la DAD al 100% fino al 25 gennaio.
Le motivazioni riprendono quelle di un altro ricorso, presentato in Umbria.
In sintesi, si dice che la Regione non ha le competenze per andare contro gli articoli di un DPCM (che prevedeva il rientro in presenza al 50%); che l’ordinanza era carente di motivazioni, illogica e contraddittoria; che andava contro gli articoli della Costituzione che garantiscono il diritto all’istruzione (art.33 e 34), il principio di solidarietà (art. 2) e l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge (art. 3); che violava anche altre norme internazionali e dello stato dove si specifica che il diritto all’istruzione si esplicita nel frequentare una scuola aperta a tutti.
Sempre ieri, gli stessi avvocati che avevano presentato il ricorso umbro, ne hanno depositato uno con misura d’urgenza al TAR dell’Emilia Romagna, in rappresentanza di 21 genitori e dei loro figli, iscritti alle scuole superiori di Bologna, Tra questi 21, ci siamo anche noialtri Wu Ming.
Fin da questa estate siamo scesi in piazza con i genitori, gli studenti e gli insegnanti che chiedono una maggiore attenzione alla scuola, un investimento che consenta le lezioni in presenza anche in una situazione di emergenza. Non intendiamo quindi sostituire le barricate di carta a quelle di corpi, e questo venerdì saremo sotto il palazzo della Regione per ripetere a voce le nostre richieste. La cassetta degli attrezzi delle lotte, in questi giorni difficili, va aperta, inventariata, studiata, per utilizzare ogni mezzo necessario. In questo caso, anche un ricorso al TAR.
Ricorso che qui in Emilia Romagna non ha un esito scontato, nonostante il precedente di altre regioni. Perché si sa, i tribunali non stanno nell’iperuranio, le Regioni non sono tutte uguali, e i presidenti di Regione nemmeno. Staremo a vedere.
Il TAR dell’Emilia-Romagna ha accolto il ricorso e sospeso l’ordinanza di Bonaccini.
Tra poco daremo tutti i dettagli, in un breve post ad hoc.
Vista l’ordinanza del Ministro della Salute del 24/12/2020 che all’art. 1 ( “ misure urgenti di contenimento e gestione dell’emergenza sanitaria”) punto 1 prevede che “ ai fini del contenimento dell’epidemia da COVID- 19 , le istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado adottano forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica ai sensi degli artt. 4 e 5 del DPR 8/3/1999 n. 275 in modo che dal 7 gennaio 2021 al 15 gennaio 2021 sia garantita l’attività didattica in presenza al 50 per cento della popolazione studentesca. La restante parte dell’attività è erogata tramite la didattica digitale integrata “;
Visto il D.L. 5 gennaio 2021 n. 1 recate “ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID- 19 che all’art. 4 ( dal titolo “ progressiva ripresa dell’attività scolastica in presenza” ) comma 3) così prescrive : “ dal giorno 11 gennaio 2021 al giorno 16 gennaio 2021 le istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado adottano forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica ai sensi degli artt. 4 e 5 del DPR 8 marzo 1999 n. 275 garantendo almeno al 50 per cento della popolazione studentesca delle predette istituzioni l’attività didattica in presenza. La restante parte l’attività didattica è svolta tramite il ricorso alla didattica a distanza “ ;
Vista l’ordinanza del Presidente della Giunta Regionale dell’Emilia Romagna n. 3 dell’8/01/2021 con cui si dispone ( punto 1) che “ su tutto il territorio regionale le istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado adottano forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica ai sensi degli artt. 4 e 5 del DPR 8 marzo 1999 n. 275 in modo che il 100 per cento delle attività siano svolte tramite il ricorso alla didattica digitale integrata…” e tanto a partire dall’11 gennaio 2021 e fino al 23 gennaio 2021
Rilevato altresì che ,come peraltro riportato nella predetta ordinanza, nella Regione Emilia Romagna dal 10 gennaio 2021 si applicano le disposizioni dell’art. 2 ( c.d. zona arancione ) del DPCM 3 dicembre 2020, allo stato ancora invariate ;
Dato atto che nell’ordinanza n. 3/2021 per cui è causa si riporta la nota a cura della Direzione Generale Cura della Persona , Salute e Welfare che “in riferimento all’andamento dell’epidemia da COVID- 19 in Emilia Romagna nella settimana compresa fra il 28 dicembre 2020 e il 3 gennaio 2021 sollecita l’adozione di ogni ulteriore misura di mitigazione più stringente atta a migliorare sia l’andamento della curva epidemica e l’incidenza del numero dei contagi sulla popolazione , giudicati preoccupanti, sia la pressione sui servizi che, in relazione al livello di occupazione dei posti letto per degenti COVID, concorrono a definire come “alta” la classificazione del rischio per la nostra Regione”
Rilevato che la succitata ordinanza del Presidente della Regione Emilia Romagna introduce per l’intero territorio regionale in tema di misure idonee al contenimento del contagio da virus Covid– 19 un regime più restrittivo di quello previsto dalla normativa statale sopra richiamata ;
Lo scrivo qui sotto come aggiunta al testo di PLV, nel caso interessi. Priorità alla Scuola ha pubblicato (sulla sua pagina fb, e per chi non è sui social in diversi altri luogo, tra cui questo: http://www.euronomade.info/?p=14153) delle “Note sul recovery Fund”. È un’analisi complessiva del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, cioè il documento di governo sull’uso dei fondi europei, che tiene conto delle bozze precedenti. Quindi può essere utile non solo a chi è coinvolto nel mondo della scuola. Poi, dopo aver esposto la filosofia generale del Piano e averne analizzato alcuni capitoli, c’è un’analisi più dettagliata dell’uso dei fondi proposti *nominalmente* per la scuola. E una proposta finale, non generica ma motivata, che è il minimo indispensabile di ciò che serve alla scuola. Se qualcuno si chiede perché negli ultimi giorni sembravamo silenti, questa è la risposta: stavamo studiando una dopo l’altra le bozze di governo.
Per rispondere a @robydoc: i dati servono, ma accanto ai dati ci sono le interpretazioni, che a volte hanno la forza di un fatto, altre meno. Un documento come questo credo sia in sintonia con l’idea che non si può delegare la decisione politica ai nudi numeri, ma neanche cedere all’idea che tutto vale tutto senza correlazione con la realtà. E che la politica, intesa come gioco di forze fra potere e resistenza, deve sapersi muovere fra questi due estremi, e prendersi (ciascuno dei due fuochi dell’ellisse deve prendersi) la responsabilità delle proprie decisioni.
Mobilitazioni studentesche – ma anche del corpo docente – contro la Dad e per il ritorno a scuola in varie parti d’Italia, ecco notizie da Bergamo, Brescia, Casalecchio di Reno (BO) e Bussoleno (Val Susa).
Grazie per l’articolo. Leggo ora dall’Ansa che si parla di riaprire le superiori al 50%, suppongo solo in zona gialla. In Sicilia è tutto online tranne la scuola dell’infanzia. Personalmente ho dovuto battagliare contro l’idea che i bambini siano untori perché “asintomatici” come se noi adulti non lo fossimo pure, e contro chi ritiene incomprensibile mandare un bambino di 3 anni a scuola visto l’aumento di contagi che stiamo vivendo. Fermo restando che i contatti non si fermano visto che io viaggio sul treno quattro giorni a settimana, consorte lavora pure a contatto con la gente, e l’unico pericolo considerato è un bambino di 3 anni. Io per questa cosa sono impazzita, d’altronde la decisione sulla scuola può essere solo dei genitori e con qualche sacrificio sto mandando il piccolo chiedendo un aiuto esterno visto che non ho come prenderlo all’uscita.
Tutto questo non per raccontarvi i fatti miei, quanto per sottolineare un paio di cose. La considerazione quasi nulla della scuola, dell’infanzia poi, come fosse una ludoteca o un parcheggio per i bambini, purtroppo diffusa. So che molti i bambini in età prescolare li lasciano in casa, da un anno quasi ormai, per paura, non considerando minimamente i danni che gli causano. Io lavoro e viaggio e ho bisogno che il bambino vada a scuola, si può pensare, ma se fossi stata a casa disoccupata avrei avuto “meno” problemi perché avrei potuto portare e prendere io il bambino ma di certo al netto di sintomi influenzali non lo avrei certo lasciato in casa. Sono considerata malissimo per questo.
(scusate il doppio commento) Insomma è sempre una questione politica e di scelte. Perché è un rischio accettabile se noi adulti ci muoviamo per lavoro, a quanto pare (un po’ meno per le donne che potrebbero starsi a casa ad accudire i bambini piccoli, ma questa è un’altra storia patriarcale), mentre non lo è per le scuole che sono come pare evidente sacrificabili. Nel comprensivo di mio figlio ci sono stati forse due casi alle elementari o medie da settembre ad oggi, alla scuola dell’infanzia neanche uno, i plessi sono stati organizzati in maniera tale da evitare gruppi grandi, ad esempio spostando i bambini di 5 anni in maniera tale da fare diversi gruppi separati di bambini di 3 e 4 anni. A me non sembra culo ma una gestione attenta e scrupolosa dei protocolli, e mi pare che si possa fare. Ad inizio anno le maestre ci hanno detto che speravano non dovessimo arrivare a fare didattica online e mi pare che tutto il personale si stia impegnando a che ciò non accada. Ma ovviamente la responsabilità è, dev’essere, di noi grandi. Un messaggio che è passato per fortuna chiaro anche nel tanto vituperato gruppo delle mamme. Io tengo a precisare queste cose perché poi sento di persone positive al supermercato “beccate” dai dottori e cacciate via con annessa chiusura e sanificazione del luogo e mi ripeto che dovremmo essere proprio noi grandi ad assumerci le responsabilità invece di scaricarle sempre sui più deboli. E niente, sono andata lunga, scusate.
Intanto una vittoria: il TAR dell’Emilia-Romagna ha sospeso l’ordinanza di Bunazzén sulle scuole
Senza trionfalismi, col massimo di calma e ponderatezza possibile: è la prova che si può fare. Senza fasciarsi la testa in anticipo, senza precludersi alcuna strada e alcuna possibilità di azione e interlocuzione (salvo rossobruni, Ku Klux Klan e QAnon ;-)), senza dar nulla e nessuno per scontato. Il mondo della scuola è molto più complesso, stratificato e problematico di quel che appare in superficie: chi, al di là delle retoriche consunte, ci sta dentro per davvero lo sa, e sa anche la fatica del lavoro quotidiano, sia in classe che fuori. Che non ci siano masse di lavoratori della scuola pronte a mobilitarsi è un fatto, un problema e, aggiungo, un rompicapo: che sotto la superficie le acque siano meno morte di quel che sembra, e che di questo qualcosa filtri sino alle stanze del TAR (e, spero, non solo quelle), sembra essere altrettanto vero. Certo, se scuola e sanità (su questo @filosottile ha ragione), e magari anche trasporti, si mobilitassero insieme non ci sarebbe governo che potrebbe tenere: è un obiettivo da conseguire, in tempi che temo non saranno brevi. Se nel frattempo ciascuno – insegnant*, ATA, student*, genitor* – fanno quel che è in loro potere fare, piccoli o meno piccoli spostamenti sono ancora fattibili. E non solo nel mondo della scuola.
Nell’articolo cito e invoco il report dell’assemblea Nazionale TFQ.
Dopo l’invocazione il report è stato finalmente pubblicato.
La rete Bessa partecipò all’assemblea e il report è stato utilissimo per richiapparci dopo i mesi di ottobre e novembre, quando la stanchezza ci aveva devastato nel corpo, nell’umore e nella fantasia
Il report ci fu utile per capire chi eravamo e per ricominciare a pensare per cosa vale la pena lottare e cosa bisogna cambiare nella scuola.
Qui il link: https://bsidepride.noblogs.org/post/2021/01/16/scuola-e-prospettiva-transfemminista/
Riporto un estratto:
Non riconoscere la dimensione della riproduzione sociale tra le funzioni della scuola, concentrandosi sulle funzioni di “servizio”, non permette di comprendere come l’alternativa alla scuola resti esclusivamente la famiglia, una delle istituzioni che da sempre riconosciamo come sede della violenza di e del genere. La visione della scuola come mero welfare è pericolosa perché finisce per considerare la scuola come erogatrice di un “servizio” e le “famiglie” e studenti come “utenti”, e questo si avvicina molto alla visione dei comitati NOGENDER che ritengono sia diritto dei genitori influire sull’offerta didattica, in particolare per ostacolare e sabotare qualsiasi progetto di educazione alla sessualità, affettività, e genere. Allo stesso tempo la visione della scuola come “didattica pura” dimentica la dimensione del lavoro “riproduttivo” o “di cura (lavoro affettivo, relazionale) pagato” che in essa si svolge, come se questo avesse meno dignità del lavoro didattico-educativo.
Vorrei parlarvi delle scuole di italiano per stranieri – spero non sia troppo OT dato che si tratta di realtà per lo più del cosiddetto terzo settore e rivolte in generale a stranieri adulti (che all’alfabetizzazione dei minori dovrebbero pensarci le scuole pubbliche), ma a me sembra una di sorta cartina al tornasole interessante, perché punta i fari proprio sulla fascia di popolazione socialmente più fragile.
La rete delle scuole di italiano di Bologna e provincia è una realtà molto sommersa ma molto estesa e prevalentemente volontaria, in cui le realtà di ispirazione religiosa (non solo cattolica perché anche la chiesa valdese è molto attiva sul campo) sono prevalenti, soprattutto dopo la chiusura manu militari dell’Xm che ospitava una scuola frequentatissima. Ma è comunque una realtà variegata, ad esempio ci siamo anche noi dell’associazione Sopra i ponti, una realtà espressa dalla comunità marocchina di Bologna.
Ieri c’è stato un incontro in videoconferenza del coordinamento, chi è interessato può vedere qui la registrazione: https://www.youtube.com/watch?v=_0gg2o7T650&feature=youtu.be . La cosa che salta subito all’occhio è che *tutte* lamentano una caduta verticale dell’utenza con il passaggio obbligato dalla didattica in presenza alla didattica online. Tutte. Qualsiasi metodo abbiano utilizzato, qualsiasi tipo di piattaforma o canale. Per nessuna o quasi la chiusura delle attività in presenza è stata una scelta, ma una necessità in quanto, essendo in generale ospitate in locali pubblici come scuole o biblioteche (ma perfino una moschea!) si sono trovate senza locali in cui operare. In autunno hanno ripreso le attività in presenza – riducendo l’utenza o moltiplicando le ore degli insegnanti – solo le scuole che disponevano di locali in proprietà (immaginate di che orientamento…). Tutte le altre raccontano di tentativi che gettavano il cuore oltre l’ostacolo ma che nonostante tutto hanno visto gli utenti decimati. Credo che prendere atto che la DaD quantomeno non è per tutti sarebbe doveroso.
Qualche giorno fa è uscito uno studio basato su simulazioni (da prendere con le pinze dunque), ma che conferma quel che qui si va dicendo da mesi, dimostrando che nell’ambito di un campus universitario:
– la combinazione di due semplici misure comuni – distanziamento e maschere obbligatorie – previene l’87% delle infezioni Covid-19 all’interno del campus, al costo di soli $170 per ogni infezione evitata;
– l’aggiunta a tale combinazione di test di laboratorio di routine eviterebbe dal 92% al 96% delle infezioni da Covid. Tali misure sarebbero cioè efficaci quanto i vaccini Pfizer e Moderna. Tuttavia, il costo per infezione evitata aumenta notevolmente, fino a 2000 – 17000 dollari ciascuno/a, in funzione della frequenza dei test;
– la chiusura del campus e il passaggio all’istruzione online ridurrebbe le infezioni del 63% tra gli studenti, ma sarebbe comunque meno efficace rispetto all’apertura del campus e all’attuazione di una politica di mascheramento e di distanziamento sociale, che come si diceva ridurrebbe le infezioni dell’87% tra gli studenti (questa parte non mi è chiarissima).
Non ho letto i dettagli dello studio, né sono un esperto. Non sono in grado di capire quanto cambierebbe uno scenario da scuola superiore, invece che da università. Mi pare però che risultati del genere, se confermati, dovrebbero alimentare un bel po’ il dibattito pubblico.
Scrivo qui perché la frammentazione sopra sta diventando illeggibile.
Si stanno intrecciando tre discorsi in uno. Sarebbe più chiaro distinguerli.
Discorso numero uno: È stato appena accennato: la riflessione sulla scuola come istituzione “ideale”, cioè la necessità che vi sia un luogo di apprendimento e di formazione, universale e gratuito, pubblico io aggiungo: laico, fuori dall’ambito familiare. Su questo più o meno siamo tutti d’accordo, o quanto meno non sarà in me che troverete una sostenitrice di Illich su queste pagine.
Discorso numero due: la riflessione sulla scuola come istituzione reale e vissuta da chi qui scrive o dalle testimonianze di varia natura che può portare. Su questo continuo a ritenere che la parola definitiva l’abbia scritta filo: istituzione normalizzante, burocratica, che induce alla rassegnazione, omologante, spezza gambe e spezza teste; conformista, e sempre aperta alla simpatica concezione viriloide della formazione “alla vita” sottintesa come percorso di violenza e sopraffazione che perpetua e abitua a accettare molecolarmente la violenza di classe e non solo. Tutto ciò non è incidente di percorso: è fatale e persino voluto, quando infili persone giovani in un simile tritacarne di oppressione organizzata. Sull’inadeguatezza dei contenuti che gli insegnanti trasmettevano (eppure quanto ne sarei stata avida) e sulla loro spaventosa banalità ho già detto. Se all’università ne salvavo la percentuale di quanti nella scuola non sopportavo un motivo ci sarà. Repellente, ridicola, farlocca: ecco.
Discorso numero tre: la riflessione sulla riapertura delle scuole, che non è né l’una né l’altra cosa, ma è quella oggetto del post e quindi più urgente qui.
A tale proposito scrivevo che chiusisti contro aperturisti (governo/presidenti, genitori/insegnanti, precari/stabili o qualunque altra contrapposizione ci si voglia inserire) era una discussione senza molto senso.
Dicevo anche che qualcosa si sarebbe potuto chiedere di fare *prima* di aprire, per capire come aprire, anziché concentrare il discorso sulla dicotomia di cui sopra. Cose che né i presidenti né il governo hanno fatto a quel che ne so.
Dispiace dover finire a spingerla
Qualcosa si sarebbe potuto chiedere di fare prima di aprire… Buona idea. Chissà perché nessuno ci aveva pensato. Ah, no, aspetta… è da marzo che questi qui chiedono di fare quello che serve per poter aprire le scuole in sicurezza, ma ci è voluto il TAR per far muovere un minimo il culo ai presidenti di regione, che per 10 mesi si erano crogiolati nel sostegno incondizionato del partito dei folgorati dalle incredibili possibilità offerte dalla DAD: far lezione in pigiama scoreggiando liberamente. E che senso ha poi contrapporre chiusuristi e aperturisti, quando si possono ben più utilmente contrapporre la scuola ideale e quella “reale”? Non sia mai che qualcuno arrivi a pensare che per puro caso questa schifezza di istituzione possa contribuire minimamente a formare una persona decente ogni tanto. No, basta con questa visione da commedia romantica, quando ti iscrivi al liceo, se ti va di culo finisci dentro A Serbian Film. Invece l’università… oh, l’università… che spettacolo l’università. Di nullità come certi professori universitari con cui ho avuto a che fare, non ne ho mai più incontrate. Neanche tra il sottoproletariato rurale che sopravviveva per tutto l’anno integrando i proventi della campagna saccarifera estiva con piccoli furti e bracconaggio. E di questi personaggi te ne presenterei volentieri qualcuno. Forse cambieresti prospettiva sulla concezione viriloide della formazione veicolata dalla scuola.
“qualcosa si sarebbe potuto chiedere di fare *prima* di aprire”
dea del sicomoro, se io mi fossi perso tutte le puntate che ti sei persa tu, dico mobilitazioni, documenti, discussioni, societa’ civile in presidio davanti alle scuole persino in realta’di provincia come la mia, se mi fossi perso tutto questo, vedendo ch si parla di scuola avrei pudore di lasciare anche una sola riga di commento, saro’ strano io ma mi sembra evidente che scrivi senza conoscere questa lotta e i termini della questione, e scrivi senza avere niente in gioco in qusta vertenza. Il commento risulta troppo corto per il limite di Giap, ma non ho altro da scrivere.
Quella di Robydoc qui è la fatica di Sisifo. Qualche giorno fa ha linkato il rapporto 2020 dell’Istituto Superiore di Sanità su pandemia e scuola, il quale, benché parli anche di ricerche fatte in altri paesi europei e del mondo, PARLA SOPRATTUTTO DI DATI CHE RIGUARDANO L’ITALIA.
Allora, io purtroppo non ho dimestichezza con le analisi dei dati. Quindi devo arrangiarmi con la conoscenza che ho della lingua italiana e sperare d’essere corretto da chi ne sa più di me. Chiedo scusa in anticipo per la lunghezza delle citazioni, ma qualcuno deve pur farla una campionatura, altrimenti i discorsi fatti in questo thread rischiano di rimanere per aria.
Leggo nel rapporto dell’ISS:
«Da metà settembre (riapertura delle scuole 14-24 settembre), si è osservato un aumento progressivo dei casi giornalieri diagnosticati in bambini e adolescenti dai 3 ai 18 anni di età, che ha raggiunto la fase di picco dal 3 al 6 novembre (oltre 4000 casi). Successivamente la curva ha iniziato progressivamente a scendere, con un andamento simile a quello della popolazione generale.»
Questo mi sembra indicare due cose (correggimi robydoc, per favore): che, come è già stato detto, la scuola è un luogo dove è più facile il monitoraggio e la diagnosi dei contagiati, e che l’andamento dei contagi scolastici rispecchia quello generale, dunque non parrebbe esserci una “peculiarità” dell’ambiente scolastico per la diffusione del contagio.
L’ISS specifica anche che:
«Come previsto dal DM Salute del 30 aprile 2020, ogni settimana le Regioni/PA comunicano il numero di focolai attivi e per ciascuno il contesto in cui è avvenuta presumibilmente la trasmissione. Spesso però non è stato possibile stabilire con certezza che la trasmissione sia avvenuta in ambito scolastico e che la scuola sia stata la fonte di infezione, pertanto spesso ci si riferisce a casi che hanno frequentato contemporaneamente lo stesso ambito scolastico».
In parole povere le persone in età scolare potrebbero contagiarsi fuori da scuola e non lo possiamo sapere. Quello che è certo, dico io, è che a scuola sono senz’altro più “protocollate” e monitorate che altrove.
L’ISS poi entra nel merito:
«Nel periodo 31 agosto-27 dicembre 2020, il sistema di monitoraggio ha rilevato 3.173 focolai in ambito scolastico, che rappresentano il 2% del totale dei focolai segnalati a livello nazionale».
Ancora più nel merito:
«Se si considera l’andamento settimanale c’è stato un progressivo aumento dei focolai con un picco nelle settimane dal 5 al 25 ottobre, una graduale diminuzione fino al 22 novembre e un nuovo aumento fino al 13 dicembre seguito da una stabilizzazione nella seconda metà del mese».
Ora, il primo picco coincide perfettamente con la riapertura scolastica. Il secondo no. Quindi sarà dovuto ad altri fattori in gioco che evidentemente… “giocano” pure loro. Ma siccome non li possiamo mappare, restano avvolti nel mistero. Direi però che se un genitore va e viene da un luogo di lavoro dove non ci sono proprio dei protocolli sanitari bene attuati – e non lo sapremo mai perché ci preoccupiamo soltanto di scuole – forse l’ipotesi che il contagio in questo caso passi da casa anziché da scuola è abbastanza verosimile.
Del resto, infatti:
«…la percentuale dei focolai in ambito scolastico si è mantenuta sempre bassa e le scuole non rappresentano i primi tre contesti di trasmissione in Italia, che sono nell’ordine il contesto familiare/domiciliare, sanitario assistenziale e lavorativo.
A metà ottobre, ad un mese dalla riapertura delle scuole, la percentuale dei focolai in cui la trasmissione poteva essere avvenuta in ambito scolastico era intorno al 3,7%».
Andiamo avanti:
«Uno studio sulla trasmissione secondaria di SARS-CoV-2 tra studenti, insegnanti e personale scolastico condotto dopo la riapertura delle scuole nella città di Reggio Emilia, in Italia che ha incluso 41 classi (8 nidi e scuole materne, 10 scuole primarie e 18 secondarie) ha riportato nel periodo dal 1° settembre al 15 ottobre 2020, 43 casi primari (38 studenti e 5 insegnanti), di questi 10 studenti e 2 insegnanti hanno creato 39 casi secondari, con un tasso di attacco del 3,9%.
Lo studio evidenzia che il tasso di attacco è più alto nelle scuole secondarie che nelle primarie, mentre la trasmissione secondaria è assente nelle scuole materne e tra gli insegnanti e il personale scolastico».
Ancora, sempre l’ISS:
«Un altro studio prospettico condotto in Italia che ha esaminato l’incidenza dell’infezione da SARS-CoV-2 tra gli studenti, e l’associazione tra l’aumento della trasmissibilità di SARS-CoV-2 (misurata come numero di riproduzione Rt) e le date di apertura delle scuole nelle diverse regioni italiane, non ha riscontrato una associazione significativa tra l’apertura scolastica scaglionata nelle diverse regioni italiane e l’aumento dell’infezione nella popolazione generale. Ha inoltre osservato che bambini e adolescenti in età scolare sono raramente caso indice e che l’incidenza delle infezioni è inferiore negli studenti di qualsiasi ciclo, rispetto alla popolazione generale. Inoltre, almeno nel caso dei bambini delle scuole elementari, il tracciamento dei contatti nelle scuole conferma che hanno meno probabilità di trasmettere il virus, come evidenziato da una riduzione del 29% del numero di casi secondari rispetto al numero di casi secondari causati da un caso indice tra gli insegnanti».
Poi ci sono anche le Conclusioni, che vorrebbero fornire qualche linea guida generale:
«La decisione di riaprire le scuole comporta un difficile compromesso tra le conseguenze epidemiologiche e le esigenze educative e di sviluppo dei bambini.
Per un ritorno a scuola in presenza, dopo le misure restrittive adottate in seguito alla seconda ondata dell’epidemia di COVID-19, è necessario bilanciare le esigenze della didattica con quelle della sicurezza. Le scuole devono far parte di un sistema efficace e tempestivo di test, tracciamento dei contatti, isolamento e supporto con misure di minimizzazione del rischio di trasmissione del virus, compresi i dispositivi di protezione individuale e un’adeguata ventilazione dei locali. Secondo l’OMS, la decisione di chiudere, (completamente o parzialmente) o riaprire le scuole dovrebbe essere guidata da un approccio basato sul rischio, per massimizzare i benefici in termini di didattica, benessere e salute per gli studenti, gli insegnanti e il personale ausiliario e allo stesso tempo essere in grado di prevenire nuove ondate dell’epidemia di COVID-19.
Gli elementi sui cui la decisione dovrebbe basarsi sono i seguenti:
1) Epidemiologia del COVID-19 a livello locale, poiché la trasmissione del virus può variare da un luogo all’altro all’interno di un Paese
2) Individuazione dei probabili benefici e rischi per i bambini e per tutto il personale scolastico derivanti dal mantenimento dell’apertura delle scuole:
a) Intensità di trasmissione nell’area in cui opera la scuola (nessun caso, trasmissione sporadica; presenza di cluster o trasmissione di comunità)
b) Impatto complessivo della chiusura delle scuole su istruzione, salute generale, benessere e sulle popolazioni fragili
c) Efficacia delle strategie di apprendimento a distanza
3) Capacità di rilevazione dei casi e risposta da parte delle autorità sanitarie locali
4) Capacità delle scuole e istituzioni educative di operare in sicurezza
5) Altre misure preventive non farmacologiche implementate al di fuori della scuola (distanziamento fisico, uso della mascherina, lavaggio delle mani).
Anche le attività extra e peri-scolastiche per non costituire un innesco di catene di trasmissione devono contemplare il rispetto del
le misure di prevenzione previste.
È pertanto di fondamentale importanza l’uso appropriato degli strumenti diagnostici e di screening, nel contesto di una valutazione del rischio epidemiologico, e della corretta esecuzione delle procedure di isolamento e quarantena quando indicate.
Allo stato attuale delle conoscenze le scuole sembrano essere ambienti relativamente sicuri, purché si continui ad adottare una serie di precauzioni ormai consolidate quali indossare la mascherina, lavarsi le mani, ventilare le aule, e si ritiene che il loro ruolo nell’accelerare la trasmissione del coronavirus in Europa sia limitato.»
Infine:
«La revisione della letteratura suggerisce che date le previsioni secondo cui le misure di distanziamento sociale potrebbero dover essere adottate ancora per molti mesi, c’è un urgente bisogno da parte di tutti i Paesi di identificare le modalità più idonee per riportare in sicurezza gli studenti alla didattica in presenza».
Questo è quello che dice l’Istituto Superiore di Sanità sulla base dei dati italiani (ovvamente quelli a disposizione). Non l’accademia di Svezia o il re del Marocco. Casomai interessasse, eh…
Rimane purtuttavia una fatica secondaria rispetto a quella principale, cioè trovare una qualche forma di senso nei vari “interventi non farmaceutici”. Sarò lungo, spero vogliate scusarmi, e parto da una premessa.
Io credo che gli interventi di contrasto del virus, in Italia ma anche all’estero, abbiano la loro ragion d’essere nelle specifiche situazioni politiche dei paesi. La “razionalità” va cercata spiegando i processi decisionali NON la possibilità/capacità di contrastare (a) il contagio o (b) i decessi.
Finita la premessa la curiosità sugli “effetti” dei provvedimenti presi su base politica rimane. Come detto varie volte non perché una ipotetica “parola definitiva” possa chiudere le discussioni ma per avere un’argomentazione in più da utilizzare nella lotta politica. Ho fatto già varie volte l’esempio della lotta alla TAV, e ho detto come secondo me non è l’irrazionalità intrinseca dell’opera che è riuscita a bloccarla, quanto la straordinaria mobilitazione. Ciò non toglie che la dimostrazione dell’insensatezza dell’opera abbia fornito strumenti agli oppositori e tolto autorevolezza ai favorevoli. La stessa cosa credo possa valere, un giorno, chissà, anche per un eventuale opposizione a questi tipi di lockdown, anzi – per evitare le reprimende dei WM che ci ricordano sempre come ormai sia una parola vuota – a questi tipi di “interventi non farmaceutici”.
E dunque. Sta girando un articolo che si propone, appunto, di provare a cominciare a valutare gli effetti dello stare in casa e delle chiusure dei negozi sulla diffusione del virus (https://onlinelibrary.wiley.com/doi/epdf/10.1111/eci.13484)
L’articolo è firmato da una nostra vecchia conoscenza, il famigerato Ioannidis che purtroppo non piace dalle parti del manifesto ma rimane uno degli epidemiologi dalla reputazione più alta del pianeta terra, a prescindere dal famoso impact factor. Insieme a lui lo firmano dei colleghi dell’Università di Stanford ed è pubblicato sull’European Journal of clinical investigation, che non è una rivista particolarmente prestigiosa ma che adotta la peer-rewiew, come nel caso di questo articolo. –>
–> L’articolo parte da una considerazione qui molto familiare: considerato che i costi di interventi così invasivi sono altissimi è necessario valutare per bene i benefici reali. I costi sono enormi, non altissimi: fame; aumenti di consumi di stupefacenti e overdose, mancate vaccinazioni, aumento di malattie nonCovid, abusi domestici, suicidi, effetti sulla salute mentale. Inoltre, tra i costi, la considerazione che gli effetti economici si riflettono anch’essi, ovviamente, sulla salute. Forse vale la pena segnalare che l’elenco dei costi è accompagnato da riferimenti bibliografici, non sono “ipotetici”. (altro warning: è ricerca scientifica quindi di definitivo non c’è nulla, neppure questi costi, anche perché la lettaratura citata non è sempre soddisfacente).
Detto questo si fa l’analisi dei benefici mnon prima di aver avvertito che l’andamento “naturale” delle epidemie prevede variazioni anche in totale assenza di intervento per via di dinamiche “proprie”, mostrare nei riferimenti bibliografici.
C’è per me un primo motivo di interesse nell’affermazione che “These epidemic dynamics are demonstrated by an analysis showing that slowing of COVID-19 epidemic growth was similar in many contexts, in a way that is more consistent with natural dynamics than policy prescriptions” perché io mi arrovello da un po’ sulla similarità delle curve.
Ad ogni modo il lavoro distingue tra “politiche ampiamente restrittive” e “politiche poco restrittive” e nei dodici paesi considerati c’è anche la famigerata Svezia che, insieme alla Corea, funge da “controfattuale”. Il metodo che provano ad usare è appunto quello di confrontare le curve di Inghilterra, Francia, Germania, Iran, Olanda, Spagna, Corea del Sud, USA, Svezia e Italia. Come forse notate TUTTI hanno adottato politiche di contenimento, la differenza è sulle RESTRIZIONI.
L’altra cosa che per me è fondamentale è che il lavoro tiene in considerazione questi paesi per un motivo che per me è sempre stato dirimente: la possibilità di ragionare anche in termini sub-nazionali, cioè aree (per me i perimetri amministrativi non sono la dimensione ottimale ma sempre meglio della macroarea “Stato”)
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Il risultato è quello che ormai avrete capito: “by comparing the effectiveness of NPIs on case growth rates in countries that implemented more restrictive measures with those that implemented less restrictive measures, the evidence points away from indicating that mrNPIs provided additional meaningful benefit above and beyond lrNPIs.”
Viene concesso che “While modest decreases in daily growth (under 30%) cannot be excluded in a few countries” ma si sottolinea che “the possibility of large decreases in daily growth due to mrNPIs is incompatible with the accumulated data” Ma ancora e peggio: “Only in Iran do the estimates consistently point in the direction of additional reduction in the growth rate, yet those effects are statistically indistinguishable from zero”
La discussione non la riporto ma davvero andrebbe letta e pubblicata per intero: solo un ulteriore dato, visto il thread in cui inserisco questo lunghissimo commento: “school closures may have very serious harms, estimated at an equivalent of 5.5 MILLION LIFE YEARS FOR CHILDREN in the US during the spring school closures alone” Il dato è ripreso da questo articolo che forse chi si occupa di scuola farebbene a conoscere: https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2772834
Naturalmente il paper si conclude con la raccomandazione di usare le cautele di rito nel maneggiare queste “conclusioni”. Siccome verranno poi messe in luce solo quelle io non mi ci soffermo.
Il pingback non va quindi mi permetto di linkarvi qui il mio sfogo/riflessione (https://sweepsy.wordpress.com/2021/01/27/le-priorita-della-societa-finalmente-la-scuola/) in cui tra l’altro riprendo l’allarme lanciato sulla salute globale di bambini e ragazzi, di cui finalmente si comincia a parlare. Sperando che finiscano le aperture e chiusure a singhiozzo e si pensi veramente ad un piano per riaprire senza se e senza ma, in sicurezza certo. E volevo sottolineare, anche se so che qui lo sappiamo tutti, che quel poco che si è ottenuto fino ad ora, e anche il fatto stesso che ci si interroghi e si discuta dei giovani, dimenticati per lunghi mesi, è dovuto al fatto che in primis loro e alcuni adulti hanno ripreso a lottare, che aspettando seduti dietro un pc ci faremo travolgere e continueremo a subire (sì sto scrivendo seduta, dietro un pc, lo so).