Ritornano. Scendono dai monti, si spostano col buio, appaiono inattesi al limite dei campi e negli hinterland delle grandi città.
È un eufemismo dire che i lupi si erano «quasi estinti». Li avevamo sterminati. A fucilate, con le tagliole, coi bocconi avvelenati. È accaduto più o meno cent’anni fa. All’epoca le nostre “aree interne”, sull’arco alpino e lungo la dorsale appenninica, erano ancora abitate. Nella seconda metà del Novecento si sono gradualmente spopolate. A partire dagli anni Ottanta, dalle minuscole e inaccessibili enclave dove si erano rintanati, i pochi lupi superstiti hanno ricominciato a guardarsi intorno. E a camminare. E a macinare chilometri. Sempre più chilometri. Decine di chilometri nel corso di una sola notte.
È stato così che il lupo ha ripopolato le nostre montagne, ed è ormai avvistato anche in pianura. Durante il «lockdown» del 2020 ha colto l’occasione per spingersi dove non avremmo mai immaginato, poco fuori le nostre città e a volte addirittura dentro.
Come stiamo rispondendo a questa riapparizione, a quest’antica e rinnovata presenza?
Siamo indecisi tra fascinazione e inquietudine. Il lupo è come un reduce che torna
da una guerra di cui ci eravamo scordati. Riporta a galla memorie culturali, ci accende
lampi nella mente.
Luca Giunti è un grande esperto di lupi. Da anni ne studia spostamenti e comportamenti,
cataloga le storie e leggende che li riguardano, e come un antropologo studia le reazioni di noi umani di fronte alla loro ricomparsa. In Le conseguenze del ritorno confluiscono anni di perlustrazioni, riflessioni e incontri, in un trascinante ibrido di divulgazione scientifica, riflessioni sul posto del lupo nella nostra cultura, ricordi ed esperienze personali, curiosità e riflessioni politiche.
Perché quella dei lupi è anche una questione politica.
«I lupi hanno sempre abitato la nostra penisola. Sono stati costretti ad assentarsi per sessant’anni, un periodo breve nelle dinamiche naturali. La vita non ama i vuoti, li riempie. Lasciato libero spazio al lupo, il lupo si è allargato. E dove torna solleva sempre gli stessi problemi: provoca danni e suscita paure. I danni sono concreti e attuali, le paure molto meno. Ma le affrontiamo con pensieri medioevali.»
LUCA GIUNTI (Genova, 1961) è guardiaparco presso le aree protette delle Alpi Cozie in provincia di Torino. Naturalista e fotografo (#sbaluf) partecipa a progetti Life dell’Unione europea ed è autore di articoli divulgativi e scientifici. Ha pubblicato il volume fotografico Con gli occhi del cuore (Edizioni del Graffio, 2009). Con Luca Mercalli ha curato il saggio Tav No Tav. Le ragioni di una scelta (Scienza Express, 2015). Ha collaborato al libro collettivo Perché NoTav (PaperFIRST, 2019). Ha scritto il capitolo «Saggezza della natura e cattivi pensieri» per l’ebook Dopo il Virus. Cambiare davvero (edizioni Gruppo Abele, 2020). Ha partecipato al film di Gabriele Salvatores Fuori era primavera. Viaggio nell’Italia del lockdown.
Le conseguenze del ritorno è il diciassettesimo titolo della collana Quinto Tipo diretta da Wu Ming 1 per le Edizioni Alegre e sarà in libreria dall’1 luglio 2021. Puoi comprarlo anche direttamente dal sito di Alegre.
A Quinto Tipo ci si può abbonare: con soli 45 euro, usufruendo mediamente del 30% di sconto, quattro UNO – «Unidentified Narrative Objects» – atterreranno a casa tua senza spese di spedizione per l’Italia, a partire proprio da Le conseguenze del ritorno. Se vuoi abbonarti, → visita questa pagina.
Felice del ritorno del lupo, una specie di grandissimo valore anche per la salute degli ecosistemi che ho avuto la fortuna di vedere in natura, acquisterò subito il libro convinto di poter imparare molto.
Aggiungo che, dal mio limitato punto di vista, condivido la frase: «dove torna solleva sempre gli stessi problemi: provoca danni e suscita paure. I danni sono concreti e attuali, le paure molto meno. Ma le affrontiamo con pensieri medioevali.» che mi spingo addirittura a considerare una buona metafora anche per cose più generali come il complottismo e tutta una serie di “problemi” sociali (un esempio a caso le periferie e le classi disagiate che votano l’estrema destra?):
se tu, da cittadino che fruisce dell’ambiente rurale solo la domenica e in vacanza, sminuisci le paure, le angosce e i problemi economici reali dell’allevatore che vive tutto l’anno in aree marginali trattandolo in stile “borionesco”, senza dargli alcun supporto e anzi tacciandolo di essere retrogrado e ignorante (il debunking arrogante) otterrai solo di fargli votare il Sindaco o il Presidente di Regione più retrogrado di lui che gli prometterà (contro ogni senso e contro ogni norma) di aprire “il controllo della popolazione” del lupo.
Se invece accogli i suoi dubbi e le sue paure come originate da fatti reali e gli insegni come affrontarle con il dovuto supporto sia tecnico-scientifico che economico, otterrai molto di più e avrai un alleato sul territorio per poter meglio gestire il fenomeno limitandone gli aspetti conflittuali.
Ciao Cugino. Le tue osservazioni sono giustissime. Le paure degli allevatori, però, non vengono sminuite ma semmai strumentalizzate e ingigantite in maniera funzionale a costruire una narrazione pro sistema.
La paura del lupo è ancestrale, è forse il capro espiatorio per eccellenza più antico in assoluto. Ma le soluzioni proposte per arginare i danni concreti prodotti dalla paura del lupo sono benzina sul fuoco dello sfruttamento ambientale. Se il lupo si spinge fino a valle è anche per il ripopolamento selvaggio dei cinghiali in zone in cui i cinghiali non c’erano. Grazie ai cacciatori, che godono di coperture politiche trasversali. Da destra si porta avanti il discorso delle armi e della “legittima” difesa della proprietà privata. Da sinistra c’è la totale adesione ad un modello economico capitalistico di sfruttamento del territorio, delle risorse e degli animali. I lupi uccidono il bestiame perché il loro ecosistema è stato sconvolto. E, spesso, quando trovano abbondanza di risorse vanno in overkilling. È un fenomeno che stiamo producendo ed alimentando noi. Esattamente come facciamo coi branchi di cani ferali al sud Italia che si alimentano della spazzatura che noi produciamo in abbondanza. Determinando episodi di appropriazione delle risorse e possessività, che possono avere risvolti ” pericolosi”. Perché l’immondizia, di solito, è nei centri urbani o ai suoi margini.
L’antidoto millenario allo sconfinamento del lupo si chiama cane da pastore maremmano, cane da pastore guardiano, in generale. Ricostruire una cultura della convivenza equilibrata fra specie è la sfida. Per ora vince la logica della sopraffazione e della distruzione. Delle armi e dell’invasione degli spazi delle altre specie. Cosa ne pensa Luca Giunti?
“Ricostruire una cultura della convivenza equilibrata fra specie è la sfida. Per ora vince la logica della sopraffazione e della distruzione. Delle armi e dell’invasione degli spazi delle altre specie. Cosa ne pensa Luca Giunti?”
Questo inizio mese il mio budget culturale l’ho già sperperato tutto, dio scribacchino! De Lillo e Luca Giunti.
LCdR è bello pieno di esperienza diretta; roba che fa bene in quest’era di pratiche quotidiane ultra-mediate. Dalle pagine esce il suono della neve calpestata.
Posso dire che il testo dà un bel contributo alla lotta per una «convivenza equilibrata fra specie»; mi sembra un riuscito tentativo di ampliare il discorso.
Nel capitolo Paure:
«Occorre usare bene le parole, spiegare i termini con precisione»
Parla di esseri
«completamente rinselvatichiti, che non dipendono più e mai da noi per alimentarsi»
mi ha riportato indietro nel tempo, ad un passato abbastanza remoto della mia personale esperenza formativa, alla frustrazione di non riuscire a “ri-addomesticare” un randagio.
«Più e mai da noi». Non dipendono.
Poi mi ha ricatapultato in un passato meno remoto. Ad incontri altri dove ho provato la stessa frustrazione ma verso esseri umani.
Un gran bel libro.
In conclusione dico però che mi sarebbe piaciuto vedere la stessa precisione nel descrivere, al capitolo «Cattiva politica e buona gestione» i “fuciletti rumorosi”, “le pallottole di gomma”; in base a quali criteri si stabilisce inoltre se un pastore è “sensibile” e “informato”.
Trovo che se aspiriamo realmente a trovare un equilibrio l’uso sproporzionato della della tecnologia, ad ogni livello, meriterebbe più “precisione”.
Ciao Filo,
sono generalmente d’accordo con te. Preciserei solo meglio, forse:
– “sminuite” da un certo tipo di politica di centrosinistra in salsa “greenwashing” o da un certo tipo di ambientalismo funzionale al sistema che ha individuato (il sistema, dico) un nuovo modo di far soldi nel green new deal;
– “strumentalizzate e ingigantite” dalla destra che vuole fare soldi alla vecchia maniera e a cui dell’ambiente non è mai fregato nulla.
Entrambi i casi (sminuite/ingigantite) sono funzionali «a costruire una narrazione pro sistema» come dici tu.
Circa i cani da guardania, sono convinto anch’io (più che altro per sentito dire, eh) che sia la soluzione migliore per avere una convivenza equilibrata, soluzione che guarda caso “proviene” da dove il lupo italiano è sopravvissuto in questi sessant’anni (ricordo di aver letto da ragazzo un bel manuale cinofilo sul pastore maremmano-abruzzese).
Tuttavia proprio perché prevede l’impiego di esseri viventi che vanno allevati e addestrati oltre che impiegati nel modo corretto, non è una soluzione semplice e immediatamente trasferibile senza problemi in altre realtà così, dal giorno alla notte. Per questo che nel mio post parlavo anche di supporto tecnico-scientifico oltre che economico.
Cosa comunque che credo con i progetti Life wolfalps in questi anni sia stata fatta.
I pastori guardiani non hanno bisogno di essere ” addestrati”, la difesa del loro gruppo affiliativo ( il gregge) è inscritta da millenni nel loro DNA.È una selezione genetica che non ha bisogno di istruzioni. Esiste da quando l’uomo ha abbandonato la caccia per dedicarsi prevalentemente all’ agricoltura e alla pastorizia. Da quando da nomade è diventato stanziale. Ma non è questo il punto: la questione è relativa alla paura che viene strumentalmente alimentata per danni considerevolmente piccoli causati da lupi o da orsi al confronto dei danni prodotti dall’azione di disboscamento/ allevamento e sfruttamento intensivi praticate dall’ uomo. E causa del surriscaldamento globale. Siamo sempre ancora nel campo di una narrazione diversiva che sposta l’ attenzione dal problema di fondo. Un problema che si traduce in allarme sociale ed emergenza, un falso problema. Lo schema di gioco è sempre lo stesso, spostare il peso delle responsabilità dal più forte ai più deboli. L’abbiamo già visto tante volte. Come diceva Dude forse bisogna riconsiderare un modus vivendi ma non a livello di scelte personali ma di scelte collettive e politiche. Diventare vegani non è sufficiente se l’industria della carne continua a produrre quantità superiori al fabbisogno vitale degli abitanti del pianeta e per giunta mal distribuite. L’occidente mangia per il resto del pianeta ( con conseguenti sprechi ed abusi alimentari, causa di malattie per noi e per gli animali) mentre gli altri continuano a morire di fame. L’arrivo dei lupi ” a valle” è la conseguenza di uno sconvolgimento dell’equilibrio ecologico.
Ciao Filo,
sto leggendo il libro adesso, coi miei ritmi ultralenti, e relativamente ai cani quello che intendevo viene molto meglio spiegato nelle pagine da 62 a 70 (sono arrivato lì :-)).
E cioè che non è che al pastore di una valle torinese basta comprare un paio di cani da guardania e ha risolto il problema.
Ne serve un gruppo, li deve crescere col gregge, li deve curare nel loro lavoro e soprattutto in una valle turistica quando risolvono il problema del lupo ne creano altri con bikers ed escursionisti.
Il che ne fa comunque un’ottima soluzione, solo volevo dire che non esistono soluzioni facili e senza pensieri, in un settore che di problemi scarsamente percepiti dai cittadini ne ha già molti (e ben evidenziati nel libro: accessi*, condizioni di vita e di lavoro, socialità, etc).
In ogni caso il libro mi piace molto e restituisce molto bene e in modo equilibrato la realtà, i problemi e le dinamiche di certe realtà rurali.
Bella la parte sugli amministratori “vecchi” anche quando sono giovani con l’invidia delle località più “turistiche”.
*ricordo un articolo di un blogger ambientalista che vive in una realtà rurale “di cintura” a mezz’ora da un Capoluogo regionale e che sputava fuoco e fiamme per l’apertura di una pista agro-silvo-pastorale (fondo naturale, ci vanno solo trattori e fuoristrada) in una lontana valle alpina pastorale dove già solo il paese in cui sarebbe stata realizzata la strada era distante più di un’ora di curve dalla prima “cittadina” di 7000 abitanti.
Breve domanda (perdonate l’OT): c’è qualche probabilità’ che l’iniziativa “e-book al popolo” si allarghi, in un futuro non troppo lontano, magari anche alla collana Quinto Tipo? Inoltre, che voi sappiate, esistono altri autori che rendono disponibile il loro lavoro seguendo lo stesso principio?
Sono svariati i titoli che mi interesserebbe leggere, per esempio nel catalogo di Alegre, ma le risorse economiche sono talmente limitate che, anche facendo sacrifici, non ce la si fà proprio a stare dietro alle proposte dell’editoria moderna, ed è un vero peccato perchè il tempo per leggere, invece, ci sarebbe.
Se posso poi permettermi un suggerimento: perchè non offrire un abbonamento, come per il cartaceo, anche per il download, magari multiplo, tipo un mensile/annuale, grazie al quale poter leggere un determinato numero di opere a costi minimi; un offerta non poi tanto dissimile a quella degli ubiqui abbonamenti alle varie piattaforme digitali di streaming in video. Volendo la si può considerare anche una questione prettamente materiale, un beneficio economico, sia per la casa editrice che per le autrici/autori: per quanto possa valere a livello statistico la mia esperienza personale vi confesso che, nella quasi totalità dei casi, se un testo letto su uno schermo mi “prende”, riesce a “trasmettermi” qualcosa, sento poi come il “bisogno di possederne” la versione cartacea; chiamatemi pure feticista ma tant’ è. Concludo precisando inoltre che la sola ragione che raramente mi trattiene dal comperare la versione cartacea di un e-book che ho letto e che mi è piaciuto è, ancora una volta, il costo eccessivo (genrealmente al di sopra dei €30).
Ah, rilancio l’appello di Dude per una maggiore accessibilità planetaria a tutti i beni culturali, non solo su Giap. Che già dà un gran bel contributo, anche con la battaglia contro il copyright. E aggiungo anche che poi per fruire della cultura e, soprattutto, per vivere la vita ci vuole anche un tempo bonificato integralmente dal lavoro ( almeno per quanto mi riguarda). Anche io comprerò questo libro, perché fra i tanti argomenti trattati mi sembra uno dei più importanti e dei più attuali. Una vera metafora del nostro rapporto col pianeta e con le altre specie, dei rapporti di forza tra le specie, del nostro mostruoso rapporto con il concetto di spazio che, ovviamente, va molto oltre al concetto di distanziamento fisico e che prevede una forma di ” esame di coscienza politico” sull’ invadenza degli esseri umani. Spazio che non è necessario solo in quei contesti urbani in cui sei costretto a vivere pigiato come in una scatola di sardine per proteggerti da un virus.
Fin quando ci saranno recinti e staccionate ci sarà sempre un lupo che si allena a saltarle, pronto a riprendersi la libertà e il diritto alla vita.
La tribù dell’homo dalle interiora sature di cadaverina si illude ma, in fondo all’anima, sà che si stà raccontando panzane. Sà e sente, in maniera sempre più decisa che ad attendere appena al di fuori del suo campo visivo/percettivo, ferventi di ri-apparire, esistono migliaia di specie animali e vegetali, nel corso dei secoli intenzionalmente ed inesorabilmente sterminate, avvelenate o forzate ad estinguersi; tutto ciò è stato fatto in nome di un insensato diritto divino, di un esigenza pacchiana e criminale a “stendere o’mesale”, ad a-pprofittare dell’altro per garantirsi la fettina, il pecorino, le costolette, la passata e, perchè no, magari un appetitoso conto in banca.
Migliaia di specie pronte a ritornare per rivendicare, se mai ve ne fosse bisogno, che la distinzione tra preda e predatore è un costrutto dell’homo pallidus; che per valicare montagne, passeggiare per sentieri non serve un microchip o un satellite nel cielo; quelli servono per giustificare la presenza del celerino; esemplari come il lupo fanno paura perchè sono la prova vivente che per procurarsi cibo non servono recinti.
Sulle Alpi dell’AD 5001, dalle parti di Venaus, quando dell’ “homo pallidus” non saranno reperibili che maleodoranti relique fossili e qualche rudere (oltre all’intero catalogo della produzione dei Wu Ming in formato digitale, sigillato in una capsula del tempo) il lupo giocherà ancora libero sghignazzando dei fondi UE.
Ciao Dude, la tua riflessione sull’anno 5021 (con annessa quella che io interpreto come una polemica sui fondi UE*) dal mio punto di vista non fa che confermare ciò che normalmente penso già:
non è “l’ambiente” ad aver bisogno di un’umanità più o meno ecologista (anche se l’umanità ne ha una responsabilità etica),
viceversa è l’umanità, ecologista o meno, ad avere sul piano pratico bisogno dell’ambiente.
E quindi concordo che (perdona l’OT che a questo punto esula dalla questione lupo e dal libro di Giunti) se domani una catastrofe nucleare azzerasse il genere umano lasciando solo lande devastate, il pianeta terra tirerebbe diritto senza una piega.
La vita vince sempre (cit. Jurassic Park) e l’Ailanto (Ailantus altissima) nel grande piano delle cose ha probabilmente il compito di conservare la clorofilla anche nel wasteland (cit. un saggio delle mie parti).
In poche decine di anni o pochi secoli – un battito di ciglia in scala geologica – flora e fauna si riprenderebbero tutto il terreno perso a causa dell’umanità ormai estinta.
Non penso tuttavia che questo sia uno scenario desiderabile.
Penso invece che nella sacrosanta critica al sistema di sviluppo moderno e nelle lotte ecologiste ci voglia sullo sfondo un modello di scenario desiderabile a cui tendere, che sia equo (per tutti gli umani e anche per tutti gli altri viventi) armonioso e sostenibile, per quanto inflazionata possa essere oggi quest’ultima parola (non ho ancora letto tutto il nuovo post di WM2 e il tuo commento ma li ho solo scorsi velocemente – leggete e scrivete tutti molto più velocemente di me).
Credo infatti che anche “l’uomo nuovo risvegliato dell’età dell’acquario” (anche quando vegano) avrà bisogno come minimo di mangiare tutti i giorni, di coprirsi, trovare rifugio e scaldarsi oltre di tutto il resto a livello di socialità e relazioni, quindi è necessario un modello di società che consenta di ottenere queste cose per tutti senza danneggiare la casa comune e rispettando gli altri esseri viventi.
*So che i fondi UE contribuiscono a finanziare delle ODI e tutto ciò che ci sta intorno, però faccio presente che in settori “marginali” come le politiche ambientali e rurali hanno spesso sostenuto interventi virtuosi altrimenti inattuabili e per cui nessuna amministrazione avrebbe mai speso 2 lire.
Ancora una cosa off topic ma a cui penso da tempo: un “modello di scenario desiderabile a cui tendere” con le proprie politiche, dovrebbe essere non dico “realizzabile” oggi, ma “pensabile” oggi in scenari di vita concreti, questo sì.
Pensabile e condivisibile e a cui tendere insieme almeno fra tutti quelli del nostro stesso schieramento anche quando magari lo schieramento è frammentato e ci sono persone che hanno opinioni e stili di vita e “priorità” politiche parzialmente o settorialmente diverse tra loro.
Trovo che la difficoltà di pensare, immaginare e capire «sì, ok, ma praticamente, nella quotidianità, com’è, come dovrebbe essere il mondo che “noi” vorremmo?» sia il principale problema della sinistra, e credo che a questa domanda sia non solo difficile dare sul piano pratico una risposta univoca, ma anche che le risposte sarebbero diverse in modo profondo anche nella sostanza e nella scala di valori alla loro base.
Ciao Cuz
«anche “l’uomo nuovo risvegliato dell’età dell’acquario” (anche quando vegano) avrà bisogno come minimo di mangiare tutti i giorni, di coprirsi, trovare rifugio e scaldarsi».
Dal punto di vista prettamente materiale il dato statistico dice che l’economia Italiana è di poco sotto la media Europea, meno del 10%
https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php?title=GDP_per_capita,_consumption_per_capita_and_price_level_indices#Overview
Quindi, benestante.
Questo dicono i dati istituzionali.
Alla domanda che mi/ ti poni, lassù, faccio rispondere la professoressa Consigliere:
«…bisogna dissociare povertà e miseria, smettere di pensarle come sinonimi: di fatto, sono due condizioni antropologiche del tutto dfferenti».
Solo una precisazione Dude, forse non necessaria ma che mi sembra corretto fare: con
«anche “l’uomo nuovo risvegliato dell’età dell’acquario” (anche quando vegano)» non volevo in alcun modo “prendere in giro” nessuno. Tantomeno l’etica vegana o un certo filone “new age” che a vario titolo conosco “di vista” e che tutto sommato raccoglie anche il mio consenso.
Era solo per “mettere a terra” le idee e le utopie confrontandole con (quelle che mi sembrano) le necessità oggettive di ogni comunità.
Circa la dissociazione tra povertà e miseria, trovo anch’io che sia una bellissima riflessione quella della Consigliere che mi sento di condividere e di cui tenere conto nell’immaginare il futuro.