Dopo le feste, con ogni probabilità, La Q di Qomplotto andrà in ristampa per la quarta volta. Cinque tirature in dieci mesi, per un totale che tra non molto toccherà le ventimila copie. Cioè il doppio di quel che contavamo di vendere nella migliore ipotesi.
È evidente che questo «romanzo di un’inchiesta» ha toccato punti sensibili, ha intercettat… No, no. «This is clumsy bullshit», direbbe Dylan. Sono formule a rischio cliché. È ancora presto per capire. Tempo al tempo.
Con questo speciale riprendiamo i fili del dibattito innescato dal libro e soprattutto riprendiamo la serie La Q di Podqast, dopo una pausa non breve. L’ultimo episodio – l’ottavo, intitolato «Lumi» e con ospite Gad Lerner – risaliva all’estate.
Anche questa nona puntata, come la precedente, è stata registrata live, di fronte a un pubblico.
Nelle scorse settimane alla facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Roma 2 di Tor Vergata si è svolto, suddiviso in quattro incontri, un seminario sul cospirazionismo.
Ideazione e cura si devono alla professoressa Simona Foà, docente di Teoria della letteratura e a lungo coordinatrice del corso di Laurea Magistrale in Scienze dell’Informazione, della comunicazione e dell’editoria. Il seminario traeva spunto direttamente dalla pubblicazione di La Q di Complotto.
In un certo senso, il libro è “tornato a casa”. Il suo primo nucleo narrativo e concettuale, infatti, ha preso forma proprio nelle aule di Tor Vergata, nell’anno accademico 2018-2019, quando Wu Ming 1 – per l’occasione docente a contratto – ha tenuto il corso di Giornalismo culturale, dedicandolo proprio alle fantasie di complotto.
Il 15 novembre scorso WM1 ha inaugurato il seminario, in dialogo con Simona Foà e con Carmela Morabito, storica della psicologia e delle neuroscienze cognitive, che a Roma 2 insegna Fondamenti della psicologia e Introduzione alle Scienze del comportamento e coordina il corso di Scienze dell’informazione.
Durante l’incontro si è parlato molto del libro, della sua costruzione e dei suoi temi da angolature peculiari, fino a quel momento “improposte”. Da qui la scelta di farne la nona puntata del podqast.
Si intitola «Forme» perché la domanda a cui si cerca di rispondere è: perché il libro ha quesa forma, queste forme?
Trattandosi di un intero incontro seminariale, questa puntata dura più delle precedenti: due ore e un quarto spaccate.
Tema musicale della sigla:
Foggy Dew, ballata insurrezionale irlandese scritta da Canon Charles O’Neill (1887–1963).
Rielaborazione per pianoforte di Frederic Rzewski (1938-2021), eseguita da Thomas Kotcheff.
In background:
cut-up di frammenti da Foggy Dew rovesciati e mescolati con criterio ambarabàciccicoccò. In memoria del compagno Rzewski, che ci ha lasciati nel giugno scorso.
Come sempre, la puntata è ➙ su Vimeo, sul canale Youtube di Alegre (che in ossequio al nostro degoogling non linkiamo), ➙ su Apple Podcasts e ➙ su Archive.org.
Buon ascolto.
Altre novità e uscite riguardanti La Q di Qomplotto
■ Sulla rivista on line Limina è da poco uscita ➙ un’intervista a Wu Ming 1 a cura di Eleonora Savona.
■ Sul giornale di strada berlinese Arts of the Working Class, numero di novembre-dicembre, è uscito un articolo di WM1 intitolato ➙ «A Few Things We Need to Throw Away if We Want to Beat Conspiracism in Our Game» [Un po’ di cose di cui dobbiamo sbarazzarci se vogliamo battere il cospirazionismo nel nostro gioco]. Per chi ha letto il libro e seguito le discussioni in Italia nulla di nuovo, è una sorta di abstract… ma anche gli abstract servono.
Nella secchezza dell’esposizione, qui dovrebbe risultare ancora più chiara la radicale distanza de La Q di Qomplotto da geremiadi come quelle dell’ultimo rapporto Censis su un’Italia «in preda all’irrazionalismo», cioè a «complottismi», «negazionismi», «pseudoscienze» ecc. L’approccio del libro non è semplicemente la critica di tali geremiadi: ne è proprio l’antimateria. Il bello è che a brandire il rapporto come un randello è la stessa intellighenzia che da poco ha celebrato post mortem Roberto Calasso, uno che ha scritto:
«Irrazionale […] Sotto l’etichetta di quell’incongrua parola, disutile al pensiero, si [trova] di tutto. E si [trova] anche una vasta parte dell’essenziale».
L’irrazionale chic va bene, anzi, benissimo. La rabbia sociale, invece, fa bvutto bvutto bvutto.
■ Wu Ming 1 è uno dei partecipanti al podcast in otto puntate ➙ Reactionary Digital Politics, realizzato da Alan Finlayson, Rob Gallagher e Rob Topinka.
«In the 1990s tech evangelists told us that the internet would bring the world together; that it would help us share knowledge and learn from each other. Spoiler Alert: that didn’t happen. The world of digital politics is filled with hucksters, ideological entrepreneurs performing invective for a few likes and subscriptions. It’s a recruiting ground for far-right extremists, cultists and conspiracy fantasists. And it’s changing how all of us think, feel and do our politics.
This eight-part podcast series reports on the findings of a three-year academic research project into the political ideologies, rhetorics and aesthetics shaping the age of digital politics. Featuring interviews with leading scholars and researchers in this field – including Whitney Philips, Matthew Feldman, Becca Lewis and Wu Ming 1 – it asks why right-wing & reactionary groups have been so successful in using digital technologies to push their ideologies, exploring the history and theory to assess the prospects for politics in an age of digital communication.»
■ Il 9 novembre scorso il telegiornale della Radiotelevisione Svizzera di lingua Italiana ha intervistato Wu Ming 1 su La Q di Qomplotto.
In Italia, se dici che non vuoi apparire, quasi sempre chi fa TV cade dalle nuvole, come per dire: ma come? Apparire è la cosa più importante al mondo! E da quel momento è tutto un: dài che non dite sul serio, non è possibile, dài che è un vezzo, l’abbiamo capito… Vi riprendiamo mascherati? Vi mostriamo di spalle? Inquadriamo solo un occhio in primissimo piano? Su, non rendeteci la vita difficile, non esiste che uno va in onda senza mostrarsi, dài… ‘Sta roba va avanti da più di vent’anni. Le eccezioni – lodevoli e di cui siamo grati – a quest’andazzo le potremmo contare sulle dita e forse non le useremmo nemmeno tutte.
La troupe elvetica, invece, non ha fatto un plissé: non c’è problema, nella vita apparire non è obbligatorio, questo è il notiziario, non un talent show, non siamo mica tra pagliacci…
Di più: l’operatore ha adottato una soluzione che è l’uovo di Colombo ed è perfettamente in linea con la nostra poetica: a “parlare” è il libro.
➙ A questo link si possono vedere sia il servizio andato in onda (video in alto) sia l’intervista completa (video in basso). Domande di Mattia Pacella. Buona visione.
■ Un’altra intervista a WM1 è uscita sul n.102 della rivista francese CQFD, ottobre 2021:
➙ «Le complotisme est toujours la traduction d’un malaise réel».
Ricordiamo che il libro uscirà in Francia e in Québec nel 2022, per le edizioni Lux, con il titolo Q comme Qomplot. Traduzione di Serge Quadruppani e Anne Echenoz.
Per ora è tutto. Buoni irrazionalismi.
Che poi su 4chan non è tutto finito in bolle lisergiche.
Ad esempio c’è un progetto di fiction collettiva chiamato SCP Foundation che è nato proprio con un post su 4chan del 2007.
https://it.wikipedia.org/wiki/SCP_Foundation
Il post fondativo descriveva, sotto forma di dossier, una creatura extra-naturale(SP-173) e i modi per contenerla (SecureContainProtect):
http://fondazionescp.wikidot.com/scp-173
Il filone ha preso subito piede ed è ora una realtà enorme con migliaia di scrittori che vi contribuiscono. C’è addirittura una community italiana affiliata al progetto internazionale:
http://fondazionescp.wikidot.com/
La mia curiosità è: come è successo che i primi post sul filone QAnon non siano diventati dei semplici copypasta di pura fiction? Quali sono gli elementi in quei post che hanno solleticato la testa di chi li ha letti in senso complottista?
Bisogna capire cos’era successo nel frattempo su 4chan:
1. la conquista dell’egemonia da parte dell’alt-right nella prima metà degli anni Dieci (nel 2016 la community aveva una composizione diversa da quella di qualche anno prima);
2. il ritorno nell’immaginario americano del Satanic Ritual Abuse (alimentato anche dal successo di True Detective S1 nel 2014) aveva risvegliato il “can che dorme” della caccia al pedofilo-satanista, fenomeno che aveva già causato sconquassi e drammi negli anni Ottanta e da allora era “in sonno”;
3. il fenomeno Pizzagate, nato proprio su 4chan: una sintesi di fantasie di complotto politico e Satanic Ritual Abuse, il vero preludio a QAnon.
Poi bisogna tenere conto di cos’era successo nel frattempo nel Paese: Trump alla Casa Bianca, circondato da una fauna che sembrava venire – e a volte davvero veniva – direttamente dalle culture wars combattute in rete, comprese quelle partite da 4chan.
Infine, bisogna tenere conto di com’era il rapporto tra 4chan e il mondo intorno:
1. la community galvanizzata dall’eco che l’imageboard aveva nei media e nei social media più mainstream;
2. profittatori e mestatori vari che guardavano a 4chan in attesa della “next big thing” da monetizzare.
Nel momento in cui “Q” lascia i primi messaggi, ci sono tutte le condizioni perché vengano interpretati in un certo modo (cioè in continuità tematica col Pizzagate) e perché qualcuno decida di farne la “next big thing”.
[«This is clumsy bullshit», direbbe Dylan. E allora dio cane ci toglieremo le mascherine e ci dipingeremo il volto di bianco, e rovisteremo nel baule di Scarlet Rivera, mentre Martin Scorsese e Mariano Tomatis berranno una tazza di caffè con Sam Peckimpah e George Melies. Il tuono rotola nella valle là sotto. La quarantena è finita, e adesso alla radio trasmettono Hurricane. E’ il 1975, o forse il 1976 (non è rimasto più nessuno a cui chiederlo, sono morti tutti quanti, e quelli che non sono morti non ricordano più niente). Dovreste starci attenti con le citazioni compadres, perché il mondo è diventato un casino, e il passato si mescola col futuro, e quello che è successo con quello che sarebbe dovuto succedere. Il tempo l’abbiamo buttato fuori dalla finestra. Ma prima o poi rientrerà dalla porta (quella che dà sul vicolo) e allora tutto quanto riacquisterà un senso, perché sarà solo qualcosa che è successo tanti anni fa.]
Stavo spulciando questo paper https://arxiv.org/abs/2101.08750.
Innanzitutto metto le mani avanti e, qualora ci sia -su la Q di Qomplotto- qualche riferimento/nota a questo studio, mi è passato attraverso gli occhi.
Si tratta di una ricerca che tenta, con un approccio data-driven, di rispondere a 3 domande sul fenomeno QAnon:
1) Come funziona il processo di canonizzazione di QAnon? In altre parole esiste una QDrop “canonica”?
2) Quali sono i principali argomenti delle QDrops e quali idee trasmettono ai lettori/aderenti alla narrazione?
3) Come e dove l’eventuale contenuto canonico QAnon viene condiviso sui social media.
Zompando a piè pari la parte metodologica dello studio, mi limito a notare che il dataset è corposo e, soprattutto, è stato costruito usando i principali siti aggregatori di sta pazzia(qmap.pub & co. -ora chiusi-) come base di crawling dalla quale partire per andare a ravanare tutte le drops presenti sulle principali “fonti originali”, cioè 4chan, 8chan/kun e Voat. Inoltre sono stati analizzati tweet di due anni sempre relativi a QAnon.
Le conclusioni riguardo alla domanda 1 vanno nella direzione che no, non esiste una canonicità nelle QDrops. In particolare tutto fa pensare che gli autori siano diversi e si siano avvicendati nel tempo e attraverso le varie piattaforme, dando perciò sostegno alle ipotesi presenti anche nel tuo libro, WM1.
A riguardo è evidenziata nel paper una fase climactica di affastellamento autorale che, passando attraverso QDrops esclusivamente dedicate al dissing e alla delegittimazione vicendevole dei falsi Q, culmina con la pubblicazione delle password(scrivo password per semplicità ma si tratterebbe tecnicamente di tripcodes -mai nome più appropriato-) hackerate dei vari Q sulle image boards. Siamo ad Agosto 2019 e, da allora in poi, gli autori che si alternano sono principalmente 2. Potremmo ipotizzare che si tratti, da allora in poi, addirittura di Watkins & Brennan stessi(come ipotizzi anche tu nel libro).
Il “take away” più nuovo di questo studio riguarda, secondo me, la risposta alla domanda 2.
Gli autori del paper hanno passato il corpus testuale delle QDrops a loro disposizione attraverso una diavoleria algoritmica open source di Google che promette(spesso non invano) di automatizzare il discernimento di contenuti inappropriati(hate-speech, incoherent contents, etc.). La conclusione della Sibilla Cumana è stata che no, le QDrops non costituiscono di per se stesse contenuti inappropriati. Questo perché, molto semplicemente, le QDrops usano uno stile criptico, riportando accenni e divinazioni spesso poco concrete e coerenti. Le operazioni di hate-speech verso un particolare individuo/gruppo e, in generale, di incitamento (anche molto pratico) alla violenza vengono effettuate tramite interazioni e commenti dagli “adepti” nella miriade di bolle social(e non solo) legate a QAnon.
Cioè in definitiva, come dicevi tu qui sopra, i livelli a disposizione dei mestatori erano molteplici. Soprattutto il profitto che si può trarre da una situazione come questa è esso stesso multilivello e multi-ambito. D’altronde come infilarsi in queste crepe per mettersi in saccoccia due soldi di attenzione, lo abbiamo esperito molto da vicino anche qui da noi in questi mesi.
Ho scordato una cosa, anche se OT.
Voglio esprimere una lode sperticata verso i ricercatori che hanno prodotto questo paper non banale e verso tutti quelli che rivolgono il loro impegno, anche se magari non totalmente, verso direzioni simili.
Sono scienziati/professionisti che posseggono una conoscenza altamente remunerata da -chi-sappiamo-noi e, invece, dedicano parte o tutto il loro tempo a questo genere di studi.
Il data mining/analysis/modelling/whatever rappresenta una chiave di volta importantissima per questo genere di analisi sociali, dove il taccuino non basta. Purtroppo sono tecnologie che vengono usate, nella maggior parte dei casi, per scopi pro-sistema. Di più. Costituiscono il cannocchiale attraverso il quale il Vikingo capitalista sta avvistando le nuove terre da razziare, da anni ormai.
I Leonardo dei giorni nostri esistono e sono tanti, il problema è che sono chiusi negli uffici delle multinazionali. Invece di aiutarci nello sforzo collettivo di immaginazione per andare oltre, sono ab-usati per ficcarci sempre più in quello che già c’è.
Non vi dico di chi è la citazione, ma fa più o meno così:
“Le più grandi menti dei nostri giorni impiegano il loro tempo a far fare alla gente più click sui banner pubblicitari”
Cosa sono le drops in Questo caso?
I Leonardo sono sempre vissuti negli uffici di qualcuno negoziando con fatica le ore di libertà e finendo con il tarpare più che con l’esplicare la propria inventiva per vivere, non è che lui abitasse su una collina zappata di persona: era al servizio di vari principi e re e dava loro, di base, i mezzi per aumentare le loro rendite economiche o di immagine. Forse il XX secolo è stato un momento di maggiore libertà, in quel contesto era più facile scegliersi un padrone meno esigente in termini di profitto immediato.
Forse anche lui dopotutto cercava intervalli di pace in cui fare quel che gli piaceva durante i festeggiamenti dell’equivalente del sol invictus, ma non proprio durante le feste di corte, perché erano per lui momenti di lavoro nel montaggio degli spettacoli per i sovrani e i cortigiani di turno.
Le QDrops sono le frescacce originali che hanno alimentato il delirio cospirazionista di QAnon. Sono fisicamente dei post apparsi su vari forum(di quelli che “va tutto bene purché si parli”) firmati da un tale Q il quale millantava di essere un ex-dipendente di qualche agenzia di intelligence e ci offriva questa sporta di inside-information sul deep state e compagnia assurda. Comunque se vuoi saperne di più qui c’è chi ne sa proprio tanto e l’ha pure messo per iscritto.
Riguardo al Leonardo del nostro millennio cercavo di discutere intorno alla sua esistenza, in qualche modo rispondendo alla classica domanda “E’ mai possibile che, nonostante tutta questa conoscenza istantaneamente a disposizione di tutti, non si palesi qualcuno del livello delle grandi-menti-dei-bei-tempi-andati?”
Grazie per la risposta, in realtà la domanda voleva essere un po’ diversa: le “drops” sono un modo normale di chiamare i post lasciati in quei social o in quell’ambiente o è una definizione esclusiva degli interventi di questo enigmatico personaggio?
Su Leonardo: andrebbe definito il concetto di «grande mente dei tempi andati ». È probabile che si palesi in un qualche contesto, ma quante possibilità abbiamo di conoscerlo e in quanto tempo dalla sua azione? Quanti e quando conoscevano il lavoro ingegneristico di Leonardo fuori dai committenti?
Ho l’impressione che oggi i Leonardo siano ancora di più che nel Rinascimento dei collettivi, dei gruppi che agiscono insieme, come del resto i tuoi svizzeri, e forse lavorano anche per organismi diversi, quindi potrebbero essere semplicemente più difficili da identificare.
«Qdrops» è puro gergo della sottocultura QAnon del periodo 2017-2020. In realtà all’inizio i messaggi di «Q» erano chiamati «Qcrumbs», e di conseguenza gli ermeneuti erano chiamati «bakers», e volta per volta la sintesi interpretativa era chiamata «dough».
[Il che mi sembra denotare curiose idee in materia di panificazione: non mi sembra che di norma un fornaio usi briciole del pane già fatto come materia-base di un nuovo impasto.]
Più probabile Watkins padre e Watkins figlio.
Grazie, Fabio, tra le altre cose quest’analisi conferma quella che già citavo nel libro e nel podqast qui sopra: l’analisi stilometrica delle Qdrops fatta dagli svizzeri di Orphanalytics. Pare proprio che l’autore 1, la persona che scrisse la prima sequenza di Qdrops nell’ottobre-novembre 2017 (e che forse si ispirò al nostro romanzo Q), sia uscito di scena poco dopo (l’1 dicembre è la data in cui si sarebbe verificato il “cambio di mano”), in coincidenza col passaggio del “gioco” da 4chan a 8chan.
Tra l’altro, poco prima di intervistarmi per la tv svizzera, Mattia Pacella mi ha detto di aver parlato con quelli di Orphanalytics e pare sia in arrivo una nuova analisi, ancora più approfondita e mirata.
Ti consiglio di leggere il paper, se e quando hai tempo, è piuttosto potabile. Loro vanno ben oltre l’analisi stilometrica. E’ molto ben sostanziato il loro metodo e, se hai pazienza di leggere, vedrai come sono stati brillanti nel costruire il data-set e a sfruttare quantitativamente il meccanismo dei trip-codes.
Sono dei ricercatori di iDRAMA Lab, un laboratorio internazionale che fa solo questo. Tra l’altro sul sito di iDRAMA troverai anche un sacco di altre ricerche interessanti tutte indirizzate al cercare una risposta ad interrogativi sociali che ci poniamo spesso(tutti i giorni direi) anche qui su Giap, attraverso metodi quantitativi data-driven.
Sì, certo, dico che «tra le altre cose» conferma l’esito dell’analisi stilometrica, infatti qui c’è molto di più, sto scorrendo il pdf e vale la pena leggerselo bene.
E comunque no, nel libro non ho fatto in tempo a tener conto di questo studio. LQdQ l’ho chiuso a fine febbraio ed è uscito il 25 marzo, il paper è stato “submitted” alla Cornell il 20 gennaio e l’ultima revisione è del 21 maggio. Ma mi fa piacere che ne escano svariate conferme di quanto avevo scritto, arrivandoci in tutt’altri modi :-)
Io sono perso ormai, sto in alto mare, mi sono troppo incastrato con i paper di questi. Ma che titoli c’hanno?
“It is just a flu”: Assessing the Effect of Watch History on YouTube’s Pseudoscientific Video Recommendations
…
“I’m a Professor, which isn’t usually a dangerous job”: Internet-Facilitated Harassment and its Impact on Researchers
…
Stiamo sempre a discutere di come gli algoritmi delle multinazionali favoriscano le bolle, finalmente qualcuno che ci mette la testa in maniera analitica.
Misà che, in occasione della pausa per i festeggiamenti del sol invictus di quest’anno, spenderò un paio di diottrie appresso a sta roba.
@Fabio: è bene, forse, che qualcuno esponga sperimentalmente che il capitalismo del web crea bolle (ma anche “bonjour monsieur de lapalisse”, e resta da vedere se la disponibilità di dati duri potrà mai cambiare le intenzioni di pubblico e policymaker), ma “Assessing the effect eccetera” mi ha dato l’orticaria per la densità di premesse ratiosuprematiste implicite.
Farei un excursus solo sul titolo: “it’s just a flu” è il meme con cui si deridono gli Ignoranti Irrazionali (nel senso indicato da SteCon), eppure… è una buonissima approssimazione. Se dovessi tradurre in una lingua straniera, o spiegare a un viaggiatore nel tempo dal passato, userei proprio la parola “influenza”, facendo eventuali precisazioni quantitative e qualitative.
Negare la prossimità ontologica di un virus respiratorio rispetto a tutte le altre malattie affini e ammantarlo dei connotati più tipici dell’invasione aliena o della guerra è esattamente quello che permette una narrativa volta a nascondere la sostanziale inadeguatezza e patogenicità strutturali del sistema e calare dall’alto mutamenti antropologici mostruosi in senso capitalista.
“It’s just a flu (only much worse)” è il silver bullet ontologico che permette di rifiutare il manganello e pretendere la prevenzione e la cura (nel senso di tamponielescuoleelepensionieilredditopertutti, solite menate).
Non posso simpatizzare con chi deride chi non vuole posare questo strumento dialettico forse “blunt” ma insostituibile (perché se dismettiamo la differenza ontologica rispetto a tutte le malattie, id est le cose che si curano, si prevengono e un po’ si accettano, allora davvero vale tutto, la militarizzazione, il capitalismo di guerra…)
Però per favore non mettiamoci a discutere nello specifico di un paper che non c’entra direttamente con l’oggetto del post e della discussione. Ricapitolo i passaggi:
1. Viene pubblicato un post su “La Q di Qomplotto”;
2. in calce al post Fabio segnala un paper che rende conto di un’analisi approfondita dell’archivio delle “Qdrops”, analisi principalmente quantitativa ma che conferma precedenti letture “qualitative”, e tra le altre cose contiene interessanti spunti sulla lingua delle Qdrops, sulle strategie retoriche utilizzate da chi le ha scritte, e su come si possano aggirare semanticamente le definizioni di «contenuti dannosi» su cui le grande piattaforme basano le loro policy. Con detto paper siamo pienamente in tema;
3. trascinato dall’esaltazione per aver trovato un insieme di studi per lui parecchio interessanti (soprattutto dal punto di vista metodologico, ma anche per un certo “brio” con cui sono scritti e che si nota fin dai titoli), Fabio ne nomina en passant altri due, a titolo di esempio, che sono dedicati ad altri temi e soggetti di studio;
4. l’en passant di cui al punto 3 diventa il gancio per commentare non il paper dedicato a QAnon ma uno degli altri menzionati a titolo di esempio, perché (sventuratamente) quel paper parla specificamente del Covid (e quindi contiene un trigger irresistibile), e alle orecchie di chi legge qui “risuona” con la retorica dominante sulla pandemia; farlo notare ci sta, però se parte un sotto-thread di disamina di un paper che è stato menzionato en passant è un problema.
5. il sottoscritto interviene con questo stesso commento e fa notare, tramite un riepilogo in cinque punti, che gli eventuali ganci da afferrare per proseguire la discussione in modo percorribile e non deforme sono semmai quelli al punto 1 e al punto 2.
[WM1 ho scritto questo commento prima della tua mozione d’ordine, vedi se ranzarlo, non mi offendo]
Ciao Rinoceronte buongiorno. Seguo il tuo ordine.
“ma anche “bonjour monsieur de lapalisse” ”
No mi dispiace ma non sono d’accordo. Molto brutalmente: un conto è usare la mano e scoprire che l’acqua è calda, un conto è utilizzare un approccio quantitativo per stabilire empiricamente quanto l’acqua sia effettivamente calda. Se poi -nel processo- inventassimo anche il termometro, avremmo lasciato un contributo incommensurabile alla conoscenza collettiva. Come vedi ho appena descritto la scoperta dell’acqua calda.
Riguardo ad un certo “belittling”(spero di aver capito bene) che tu hai letto tra le righe del titolo(It’s just a flu[…]), ti faccio presente che in queste ricerche non si parla di filosofia o sociologia in senso stretto, quindi i ricercatori hanno preso un argomento che rappresentasse il tipico contenuto iutub anti-razionale o razionale-selettivo, senza stare a spaccare il capello in 4 come si farebbe in altre sedi(qui su Giap ad esempio).
In ogni caso noto che “It’s just a flu[…]” alla fine, come dimostrato dalle risultanze del paper, è la porta di una bolla, altro che no, almeno secondo l’algoritmo di iutub(per essere più precisi il reverse engineering dello stesso).
Ancora riguardo agli irrazionalismi segnalo un articolo di Antithesi / cognord comparso in due puntate su infoaut e che descrive come il negazionismo sia tutt’ora una delle colonne portanti delle proteste anti-gestione-pandemica greche, a differenza dell’Italia, ad esempio, dove alcuni stregoni si sono sicuramente cambiati il cappello, ma il negazionismo in senso stretto è stato portato al centro della “discussione” a fasi alterne.
https://www.infoaut.org/precariato-sociale/la-realta-della-negazione-e-la-negazione-della-realta-pt-1
Prima che mi copriate di bestemmie preciso che non sono d’accordo su quasi nessuna delle conclusioni presenti nel “grosso grasso articolo greco”, però trovo interessanti alcuni appunti d’analisi filosofica che evidenziano come certi irrazionalismi siano conseguenza diretta della tendenza ormai annosa alla soggettivizzazione.
Nota (manco troppo)a margine: viene citato il collettivo Wu Ming(“Conspiracy and Social Struggle”, in: Ill Wil) cioè la posizione che discutiamo e sottoscriviamo da mesi qui su Giap. Siccome loro(gli autori dell’articolo tradotto su infoaut) sostengono che non ci sia niente di buono da ricavare(sottolineo che ovviamente non sono d’accordo) da chi si slancia in proteste generate da tesi sbilenche e soggettivizzanti, la citazione fa più o meno “[…]invece il collettivo italiano Wu Ming[…]”, senza però, almeno per le vie dirette, tacciarli(ci) di rossobrunismo :-D
Se proprio proprio, il link andava segnalato nel thread Strange Days, non in questo. Il testo greco lo abbiamo letto qualche giorno fa. Lo troviamo un concentrato – scritto per ”tenere la parte” – di tutti i clichés e tutte le letture semplicistiche in cui è rimasta imprigionata la compagneria virocentrista negli ultimi due anni (la «difesa dell’individualità borghese», ancora?!). Una roba stenta, con cui si cerca in extremis di giustificare la propria subalternità a una narrazione/gestione della pandemia che ha fatto danni immani.
L’analisi delle ragioni per cui tanta parte della sinistra detta “di movimento”, all’annuncio dell’emergenza, sia scattata sull’attenti “come un sol uomo”, trangugiandosi poi come niente fosse – anzi, tessendone le lodi – manovre diversive e antiscientifiche, escamotages ordoliberisti, militarizzazione, colpevolizzazione dei più deboli, arresti domiciliari di massa epidemiologicamente insensati e quant’altro – quest’analisi, dicevo, si potrà fare quando si sarà maturato più distacco. Di certo, nel frattempo, non possiamo accettare lezioni di supposto “antinegazionismo” da chi pervicacemente nega la realtà di questa gestione pandemica e il ruolo da paggetti reggistrascico che troppi “compagni” hanno avuto.
Meditino su quella massima che parla di pagliuzze e di travi.
Fine OT.
La dottoressa Simona Foà (o forse è Carmela Morabito), intorno al minuto 2:04:00 del podcast, torna sulla necessità/prassi di inventariare il “cassettone degli attrezzi”, in particolare parla di un:
«[…] senso dinamico delle parole portato a modificarsi a seconda del contesto in cui vengono utilizzate […] si tira la valenza semantica fino ad assumere significati paradossalmente opposti a quelli iniziali».
Un esempio: l’uso dei termini, in italiano, teoria e complotto spolverati e ripuliti dal grasso ne LQdQ.
Mi sembra che valga veramente la pena accogliere lo spunto alla riflessione, lanciato dalla professoressa, sull’attuale rapporto tra libertà di parola e la scienza.
Specialmente quando il Commissario Straordinario, un Generale dell’Esercito, dichiara alla stampa che è:
«[…] la scienza che deve mettere il bollino e l’ultima parola» prima che si possano «[mettere] in campo tutte le risorse possibili della difesa per dare un ulteriore supporto al sistema […] »
https://yewtu.be/watch?v=BkVIONidwSs (Min 1:20)
La scienza quindi, non le scienze, il che, come dice la professoressa nell’intervista a WM1, ha una valenza ideologica [molto] fortetocca quel nodo fondamentale che in troppi, a due anni dall’inizio di questa catastrofe sanitaria e sociale, fuori e dentro le istituzioni, continuano ad ignorare:
«[…] che in questa pandemia l’unica scienza che viene interpellata è la virologia. Niente psicologia, pediatria, sessuologia, esperti dell’età evolutiva»
La deriva del pensiero critico verso le varie “tane cospirazioniste” nasce anche (forse soprattutto) da questo stiracchiamento e abuso della parola scienza nonchè dalla mancanza del dialogo pubblico (assolutamente necessario IMHO) che provveda a fondare/rinnovare l’epistemologia scientifica; a cominciare dal mettere in relazione tutte« le scienze piuttosto che isolarne essenzialmente una o due a scopi economico/militari.
Mi permetto di tuffarmi nel para-OT (anche se dovrei fare altro in questo momento) perché il combinato disposto dei post di WM1 appena sopra e questo di dude toccano un tema per me importante e che con un approccio troppo “tradizionale” e troppo “ratiosuprematista” la sinistra ortodossa-virocentrica rischia di perdersi (anche perché imporrebbe un’autocritica troppo dolorosa e brutale):
“chi nega che cosa?”
“chi è caduto in quale tana di quale coniglio?”
Cioè, come ha gia detto WM1 si vede fin tropo bene la grossa pagliuzza nell’occhio del complottista, ma si perdono completamente di vista varie travi che per un pensiero di sinistra dovrebbero apparire come bestemmie in chiesa e che non sto a ripetere.
Certo, chi la butta sul “it’s just a fluo” si perde in un eccesso di riduzionismo, ma anche chi accetta il “morbo alieno” con crisi isterica da “moriremo tuuutti!!” stile Aereo più pazzo del mondo la fa troppo semplice, accetta una narrazione, perde di vista una enorme quantità di dati e, in definitiva, cade dentro un’altra buca del coniglio bella e pronta, preparata dai padroni del vapore come e peggio delle altre.
La buca che da sinistra ti permette di avallare le gestioni emergenziali prorogate all’infinito, i coprifuoco, le corsie dei supermercati con i pastelli per i bambini chiuse perché “non essenziali”, la sanitizzazione delle strade, la DAD e tutto il resto.
…Fino alla segregazione dei non vaccinati e alla rinuncia al concetto di habeas corpus.
In tutto ciò, concetti come quelli espressi da “dude” sopra (le scienze e non la scienzah virologica) si trovano come punto di partenza e terreno comune anche in moltissimi commenti di siti c.d. “complottisti”, dove, a fianco di troppi cazzari di ogni colore politico, mestatori e cercatori di visibilità, ci sono commentatori che non sfigurerebbero troppo in altri contesti, che hanno un metodo, che cercano di discriminare fra tutte le cazzate che arrivano, che provengono “dal basso” e si sono trovati lì perché era magari uno dei pochi posti “dove stare” e che, quantomeno, oltre a essere ben consapevoli della diversione in corso ormai da 2 anni, stanno anche ragionando a modo loro, e con tutti gli handicap e i bias, su un altro modo di vivere.
Portare “a casa” qualcuno di “questi” sarebbe una buona cosa.
Domani, martedì 18 gennaio, h. 15:30, Wu Ming 1 presenterà La Q di Qomplotto a FIRENZE, per la precisione al MAD, Murate Art District, Piazza delle Murate, nell’ambito di CoImmunitas, corso di formazione per docenti organizzato dall’ISRT, Istituto Storico Toscano della Resistenza e dell’Età Contemporanea. Incontro aperto al pubblico, ingresso gratuito.
Qui una traduzione in greco dell’articolo apparso su Arts of the Working Class.