di Wu Ming 2
Circa tre anni fa ho partecipato alla stesura della guida nonturistica di Ussita, un piccolo comune dei monti Sibillini colpito dal sisma del 2016. Il mio contributo si limitava a un breve racconto, scritto in seguito a un soggiorno nel paese e all’incontro con un gruppo di abitanti, la «redazione di comunità». Grazie a quell’esperienza ho potuto apprezzare l’idea di queste guide, strutturate in maniera tradizionale, con tappe e itinerari, ma dedicate a luoghi privi del classico interesse turistico, scelti e narrati da chi li vive, attraverso una voce collettiva o dialogando con fotografi, illustratori, scrittori, artisti.
Per questo, quando mi è stato proposto di immaginare un progetto simile per Bologna, ho accettato volentieri di dare una mano. Insieme a Federico Bomba, Sofia Marasca e Alessia Tripaldi di Sineglossa abbiamo pensato che il tema della guida, il suo fil rouge e il genius loci da evocare, sarebbe stata la resistenza. Ma poiché di percorsi dedicati a quella storica, con la R maiuscola, ne esistono già svariati, abbiamo deciso di considerarla da tre nuove prospettive.
- la resistenza delle piante, ovvero gli alberi scampati alla sega elettrica, i prati sottratti al cemento, gli angoli verdi imprevisti, che vegetano dove non ce li si aspetta;
- la resistenza della cultura, che nasce quando gli abitanti cambiano la destinazione d’uso degli spazi, trasformando un capannone in una sala concerti, una piazza in un campetto da calcio, un palazzo per uffici in un condominio, l’argine di un canale in un anfiteatro;
- la resistenza senza dimora, quella di chi abita in una città ma non ha una casa e deve trovare “là fuori” i posti dove riposare, lavarsi, mangiare, leggere un libro, vestirsi, sognare
A queste prime tre, se n’è poi aggiunta una quarta, la resistenza alla paura, grazie al progetto Cities by Night di Valentina Medda, dedicato alla percezione del buio e della notte da parte delle donne che vivono a Bologna.
Per i primi tre itinerari si sono formate altrettante redazioni di comunità, ognuna selezionata con un metodo diverso: per quella dedicata alle piante abbiamo invitato persone che curano parchi, orti urbani, giardini pubblici e privati, studiose di botanica e scienze naturali, attive in comitati per la difesa di spazi verdi. La redazione “cultura” si è formata attraverso un bando pubblico, mentre quella “senza dimora” è nata al Condominio Scalo, un cohousing sociale gestito dalla cooperativa Piazza Grande.
Anche i materiali prodotti dalle tre redazioni sono stati diversi tra loro: gli esperti e le esperte di piante hanno scelto un luogo di resistenza a testa e lo hanno raccontato in prima persona, in lunghe chiacchierate con le antropologhe Brenda Benaglia ed Eleonora Adorni, che hanno anche coordinato i lavori della redazione “cultura”. Qui invece le tappe sono state individuate con una discussione collettiva, per poi visitarle, raccontarle, accumulare documenti e testimonianze per conoscerle meglio. Infine, al Condominio Scalo, Tommaso Sorichetti ha raccolto indicazioni e storie sui luoghi della città che fanno sentire “a casa” chi una casa non ce l’ha.
Il mio compito è consistito nel dare a questa vasta mole di materiali una forma e una dimensione adatte alle due o tre pagine previste nella guida per ogni tappa, con la grafica di Atelier Tatanka e le illustrazioni di Noemi Viola, Marco Quadri e Francesco Fadani.
Ho tagliato, cucito, integrato, corretto, cercando di far emergere e rispettare il punto di vista collettivo, anche quando si trattava di luoghi che non avrei mai inserito nella mia lista personale. Insieme alle redazioni “delle piante” e “della cultura” abbiamo anche scritto un testo a più mani, con il metodo della scuola di Barbiana, per introdurre i rispettivi percorsi. Infine, ho messo in fila le tappe e costruito tre itinerari, con i suggerimenti per seguirli a piedi, in bicicletta o sui mezzi pubblici.
Al termine di tutto questo lavoro, stampato il libro (da Ediciclo) e in attesa di averlo tra le mani, ancora mi interrogo sul significato del termine “nonturismo” e sul senso di dedicargli una guida – ovvero il tipico attrezzo del turista.
Ho trovato molto interessante, in proposito, la discussione che è nata nella redazione “cultura” intorno a un minuscolo spazio verde della zona universitaria, il giardino del Guasto. Qualcuno si lamentava di trovarlo chiuso in molti momenti della giornata, spesso anche in contrasto con gli orari di apertura dichiarati. Una ragazza ha risposto che proprio questo aspetto lo rendeva “nonturistico”. Perché le attrazioni turistiche, come insegnano i libri di marketing, devono essere prevedibili (sai cosa vedrai, dove trovarlo, quanto costa, quando apre), classificabili (sai se si tratta di un museo, di una chiesa, di un parco) e redditizie (c’è qualcuno che ne ricava un profitto, più o meno diretto). Si potrebbe dire allora che il nonturismo, all’opposto, riguarda luoghi interessanti e vivi, proprio perché imprevedibili, inclassificabili e senza scopo di lucro.
Eppure, anche una definizione del genere risulta problematica. L’industria del viaggio di piacere è ormai una voce preponderante nell’economia globale e come qualunque altra impresa del capitalismo si dimostra vorace, senza freni, vampiresca, decisa a trasformare in risorsa ogni forma di vita e a estrarre valore da qualunque territorio, fino all’ultima goccia. E’ noto che ci sono posti meravigliosi e segreti che hanno cambiato aspetto, una volta citati da una Lonely Planet o fotografati su Instagram dall’influencer di turno: come accade per gli elettroni, illuminare un luogo ne modifica le caratteristiche. D’altra parte, se nulla è immune dall’essere venduto – compresi l’aria pulita, il silenzio e il cielo stellato – allo stesso modo nessuna destinazione, di per sé, è improponibile come merce turistica: lo dimostrano i tour a pagamento per fotografare catastrofi, le avventure organizzate in paesi «estremi», le soste di torpedoni sulla location di un film, i negozi di souvenir fascisti a Predappio. E poiché il sortilegio funziona anche laddove i visitatori non vengono esplicitamente richiamati, a maggior ragione si rischierà d’innescarlo proponendo “itinerari” e “tappe” all’interno di una guida, per quanto parte di una collana «nonturismo» di «deviazioni inedite raccontate dagli abitanti», ovvero di piccole eccezioni, buone per confermare la regola che trasgrediscono.
La critica coglie una contraddizione reale, di quelle che si possono assumere in maniera feconda oppure svilire in ossimori pubblicitari, sul genere di “autostrada green” o “Fabbrica Italiana Contadina”.
Credo risulterà evidente a chiunque sfoglierà la nostra guida che i suoi percorsi a tappe sono per lo più un pretesto: non che non si possa davvero seguirli, ma due su tre superano i trenta chilometri, e per quanto descritti minuziosamente, penso sarà difficile che qualcuno li completi. Il vero invito non è a camminarli dall’inizio alla fine, ma piuttosto ad assumerli in piccole dosi, come un antiveleno: offerto ai bolognesi, perché non vivano la propria città come turisti, e allo stesso tempo anche ai visitatori, perché imparino ad apprezzare i luoghi che non sono agghindati e mortificati a loro uso e consumo. Una proposta d’incontro reale tra chi abita i quartieri e chi viene da fuori. Un elegio della città che sfugge alla monocultura di ristorantini, decoro e bed’n’breakfast. La città brutta, sporca, buia, disordinata, fuori mano, chiassosa, e proprio per questo rifugio di una biodiversità preziosa, che magari tra vent’anni verrà celebrata, dopo averla distrutta per sempre.
Il 30 settembre presenteremo la guida al Mercato Sonato, nell’ambito del festival Itacà. Si parte alle ore 18.30, con le letture di Wu Ming 2, in dialogo con Federico Bomba, Pierluigi Musarò e le tre redazioni di comunità. A seguire, il concerto dell’Orchestrina di Molto Agevole.
Attenzione! Aggiornamento del 29.09: come scritto qui sopra la presentazione della guida non è più alle Serre dei giardini Margherita, bensì al Mercato Sonato, visto che in giornata è prevista pioggia.
Ri-attenzione! Secondo aggiornamento. Il Mercato Sonato, che ci salva dal rischio pioggia, è un circolo ARCI. Pertanto, diversamente da quanto sarebbe accaduto alle Serre, per l’ingresso è necessaria la tessera ARCI.