La morte, la fanciulla e l’orco rosso, di Nicoletta Bourbaki. Finalmente in libreria l’inchiesta storica sul “caso Giuseppina Ghersi”

Copertina di La morte, la fanciulla e l'orco rosso

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Arriva oggi in libreria il saggio d’inchiesta storica del collettivo Nicoletta Bourbaki La morte, la fanciulla e l’orco rosso. Il caso Ghersi: come si inventa una leggenda antipartigiana (Edizioni Alegre).

Il testo che segue non è una recensione, ma è più di una semplice segnalazione. Potremmo definirlo un «invito ragionato alla lettura».

Nel settembre 2017 l’improvviso clamore mediatico-politico suscitato dalla storia “riemersa” della giovane Giuseppina Ghersi – uccisa a Savona nell’aprile 1945 – lasciò perplessi noi Wu Ming e soprattutto insospettì Nicoletta Bourbaki, il gruppo di lavoro sulle falsificazioni e manipolazioni storiche nato su Giap.

Da allora Nicoletta ha condotto ricerche approfondite, ricostruendo la genesi – o per meglio dire, la fabbricazione – di quella storia.

La morte, la fanciulla e l’orco rosso è il risultato di un’inchiesta durata cinque anni. Con questo libro, Nicoletta sottrae un episodio della guerra di liberazione allo sciacallaggio, restituendolo alla storiografia.

Il libro ha due citazioni in esergo. Una ve la lasciamo scoprire; l’altra è di Primo Levi, tratta dal racconto «Ferro», in Il sistema periodico (Einaudi, 1975):

«Fu ucciso, con una scarica di mitra alla nuca, da un mostruoso carnefice‑bambino, uno di quegli sciagurati sgherri di quindici anni che la repubblica di Salò aveva arruolato nei riformatori.»

Qui Levi ricorda la morte dell’amico Sandro Delmastro, partigiano di Giustizia e Libertà in Val Pellice e nel cuneese.

Avere o non avere l’età

Sia durante la guerra civile, che fu materialmente combattuta da giovani e giovanissimi, sia nell’anno in cui Einaudi mandò in stampa Il sistema periodico, la percezione delle età della vita era molto diversa da quella odierna.

Nel 1944-45 a quindici, quattordici e persino tredici anni si poteva già essere «mostruosi carnefici» e «sciagurati sgherri», come si poteva essere eroi ed eroine, o semplicemente persone cresciute in fretta e impegnate a sopravvivere.

Trent’anni dopo, constatazioni come quelle appena fatte non avrebbero stupito nessuno. Da un lato, le memorie della guerra civile erano ancora vive; dall’altro, la società italiana era mediamente giovane e vitale, e c’era protagonismo giovanile di massa. Era normale essere militanti già da adolescenti. Non era nemmeno infrequente pagare cara tale militanza, a causa della repressione di stato o della violenza tra nemici politici.

Difficilmente, dunque, lettori e lettrici di Ferro potevano stupirsi leggendo di un assassino fascista di quindici anni. Infatti Levi non costruì l’effetto choc di quel passaggio sulla giovane età in sé, ma sulla sproporzione tra l’esistenza piena, intensa, fantasiosa di Delmastro e quella breve, disgraziata, incarognita di chi lo uccise.

Negli anni Venti del XXI secolo, in una società italiana mediamente attempata e lessa, gravata da retoriche paternalistiche e politiche infantilizzanti, la situazione è molto diversa. Oggi chi vuole diffamare i partigiani ha gioco facile nel decontestualizzare e sbraitare che «uccidevano bambini». Basta tacere il fatto che, secondo lo stesso parametro, erano «bambini» anche molti partigiani.

Insomma, se si racconta questa storia enfatizzando l’età di Giuseppina Ghersi – morta due mesi prima di compiere quattordici anni  – si va fuori contesto e fuori strada.

Non a caso la narrazione della «bimba vittima dei partigiani-mostri» si è potuta diffondere solo negli ultimi anni, a sensibilità già mutata. Come appurato da Nicoletta Bourbaki, per mezzo secolo la morte di Ghersi non ha avuto spazio neppure nella pubblicistica post-repubblichina. Nei libri di Giorgio Pisanò, pur numerosi e corposi, Ghersi è nominata a malapena, in una lista di «donne savonesi uccise perché fasciste o presunte tali».

Notare che Pisanò parlava ancora di donne, mentre i suoi epigoni trash puntano a bimbizzare Ghersi il più possibile. Non è casuale l’utilizzo ripetuto della foto in cui aveva otto anni, scattata il giorno della prima comunione.

Dopo l’incubazione in nicchie di estrema destra, dove si è gonfiato di sempre più sangue e liquami, nel settembre 2017 il racconto della bimba e degli orchi rossi è percolato nel mainstream. A quel punto è dilagato, ripreso senza mai un filtro, nella totale assenza di verifiche.

I principali risultati dell’inchiesta

Il gruppo di lavoro ha spento l’occhio di bue che inquadrava Ghersi, mostrando tutto quello che stava intorno a lei, alla sua famiglia, al suo quartiere, alla sua città, per fare chiarezza sull’intero quadro. Tale procedimento ha permesso di farsi le domande più sensate, e di chiedere in archivio i faldoni giusti. Si è così scoperto che:

1. Non è mai esistito alcun «tema dedicato al duce» che avrebbe causato la condanna a morte di Ghersi da parte dei partigiani, come invece vorrebbe il refrain neofascista.

2. Secondo svariate fonti – alcune di provenienza inaspettata – che la ricerca ha fatto emergere e il libro cita con precisione, Ghersi era nota come spia fascista. Molto probabilmente le sue delazioni furono alla base di arresti, deportazioni e fucilazioni, cosa di cui lei stessa fu udita vantarsi.

3. Ghersi andava in giro per Savona con marò repubblichini e brigate nere, minacciando e terrorizzando le persone che sentiva criticare il regime. Anche a Liberazione imminente era solita esibire una pistola.

4. I suoi genitori erano odiati dal vicinato per la compromissione con il regime, per gli exploit della figlia e perché ostentavano ricchezze e privilegi.

5. La famiglia Ghersi-Mongolli seguì per anni diverse pratiche di rimborso per i danni di guerra, ma segnalò l’uccisione della figlia solo nel 1949, nell’ambito di un’indagine confluita in quella a carico di un partigiano per tutt’altri fatti. È dunque falso che ci sia stata una «congiura del silenzio».

6. È falso che non ci siano state indagini né processi: ci furono le une e gli altri, e ne esiste copiosa documentazione. La versione della storia messa a punto dai neofascisti – versione orrorifica e incentrata su uno stupro immaginato ex post – non ha riscontro in nessuno di questi atti e verbali.

7. Svariati dettagli macabri riguardanti l’uccisione di Ghersi non hanno pezze d’appoggio in fonti documentali che non siano le dichiarazioni, posteriori e contraddittorie, dei genitori, e la maggior parte nemmeno in quelle. Tali dettagli sono stati incollati alla storia decenni dopo, al solo scopo di suscitare raccapriccio.

Il gruppo di lavoro è arrivato a queste conclusioni – e ad altre parimenti esposte nel libro – dopo un lungo lavoro di ricerca negli archivi di stato, di raffronto e analisi dei documenti, di ricostruzione non solo storica ma anche geografica e topografica.

La storia e la storia della storia

Il metodo di analisi si è mosso su due direttrici:

■ la ricostruzione storica, derivata dall’analisi, verifica e confronto delle fonti documentali, dalla comprensione del contesto e dalla comparazione con le conoscenze già accumulate;

■ la storia della storia, o la storia delle narrazioni, cioè lo studio di come si sono evolute le narrazioni degli eventi, l’identificazione della loro genealogia, la ricostruzione dei passaparola che nel tempo hanno messo assieme fatti storici reali, dicerie, illazioni e mezze frasi. Mischione che poi viene spacciato per storia.

Il caso Ghersi è emblematico, consente di mostrare come funziona una certa macchina – quella che produce false ricostruzioni di «crimini partigiani» – e in che modo nell’attuale ecosistema informativo tali falsi diventino virali.

Com’è costruito La morte, la fanciulla e l’orco rosso

Chi negli ultimi anni ci ha propinato questa storia ha adattato al gusto del pubblico di oggi narrazioni di lungo corso. Narrazioni addirittura fondative del senso comune dell’Italia repubblicana, circolanti fin dall’immediato dopoguerra. Parliamo dello storytelling sul «cattivo partigiano». Nessun lavoro storiografico sul caso Ghersi e affini può avvenire senza analizzarlo.

Nella prima parte del libro, dunque, si passano in rassegna alcune vicende giudiziarie che nel dopoguerra coinvolsero partigiani, così come le narrò il Corriere della Sera. Si è scelto quel giornale non solo perché da lì è partito il battage nazionale sul “caso Ghersi”, ma anche per il peso che ha avuto nella costruzione del discorso pubblico nazionale.

A seguire, una riflessione sull’attrazione morbosa per lo stupro che caratterizza le odierne narrazioni antipartigiane.

Quella sul «partigiano stupratore» è un’affabulazione recentissima. Inesistente per oltre cinquant’anni persino nella più accanita propaganda post-repubblichina, ha cominciato a formarsi solo all’inizio del nuovo secolo. In pochi anni è diventata una leggenda urbana ad alto impatto virale, anche grazie a siti, blog e profili social dove si inventano di sana pianta intere vicende – come quella della mai esistita «Jolanda Crivelli» – e cifre.

Sì, cifre. Grumi di numeri che sembrano sputati da registratori di cassa impazziti: «2365 DONNE STUPRATE, TORTURATE E UCCISE DOPO IL 25 APRILE!»

Come e perché lo stupro ha assunto una tale centralità nelle fantasie antipartigiane della destra? Nicoletta si fa questa domanda e ci riflette sopra, in cerca di risposte.

Nella seconda parte di La morte, la fanciulla e l’orco rosso Nicoletta Bourbaki presenta i risultati delle ricerche d’archivio su Giuseppina Ghersi e sulla sua famiglia, quelli che sopra abbiamo enunciato in sette punti.

La terza parte consiste in una rassegna critica delle diverse narrazioni del “caso Ghersi”. Facendo nomi e cognomi dei manipolatori, si ricostruisce la genealogia della storia falsa oggi prosperante.

La quarta parte è una versione aggiornata dell’inchiesta sul presunto «eccidio di monte Manfrei» apparsa su Giap nel 2018.

A ridosso del 25 aprile 1945, un’imprecisata brigata partigiana avrebbe ucciso 200 marò rimasti senza nome, seppellendone i corpi in fosse introvabili sui monti tra Genova e Savona.

Un episodio divenuto brocco di battaglia di pubblicisti e agitatori anti-antifascisti, o tout court neofascisti. Sono esattamente gli stessi personaggi che hanno montato il “caso Ghersi”. Anche gli elementi sono gli stessi: dicerie mai sottoposte a verifica e anzi prese di pacca e ripetute pari pari, e dettagli sempre più macabri, assenti da ogni fonte reperibile, aggiunti a piene mani ogni volta che si narra la vicenda.

La morte, la fanciulla e l’orco rosso si trova nelle migliori librerie, ma è ordinabile anche in quelle così-così, e in ogni caso si può comprare qui.

Che altro dire? Grazie a Nicoletta Bourbaki.

E a tutte e tutti voi, buona lettura.

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Locandina della prima presentazione di La morte la fanciulla e l'orco rosso, Savona , 28 ottobre 2022Poscritto. La prima presentazione del libro avrà luogo a Savona il 28 ottobre, alle h.21, presso la Società di Mutuo Soccorso Fornaci, c.so Vittorio Veneto 73r.
A dialogare con Nicoletta Bourbaki sarà Nicola Stella, già giornalista de «Il Secolo XIX».
La serata sarà patrocinata dall’ANPI Provinciale e dall’Istituto storico per la Resistenza e l’età contemporanea di Savona.

Per contattare autrici e autori del libro e/o organizzare altre presentazioni: nicoletta.bourbaki@wumingfoundation.com
Il calendario delle presentazioni è qui e verrà continuamente aggiornato.
Per essere informati sulle attività di Nicoletta consigliamo il canale Telegram.

N.B. I commenti a questo post rimarranno chiusi fino a data da destinarsi, per evitare interventi frettolosi e discussioni sganciate dall’effettiva lettura del libro. Vogliamo dare al maggior numero possibile di persone tutto il tempo necessario ad assimilare La morte, la fanciulla e l’orco rosso. Che venga letto, e letto bene, e meditato, è la premessa di ogni discussione.

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