«Ufo 78: diario di una genesi durata sedici anni»
Così avevamo chiamato il testo richiestoci da Tuttolibri come puntata della rubrica «Diario di scrittura». Ben sapevamo, naturalmente, che i giornali intitolano i pezzi seguendo altri criteri.
Il testo è uscito a tutta pagina il 15 ottobre 2022, illustrato da una celebre foto di Peter Kolosimo sorridente e a pugno chiuso.
Tra le persone che lo hanno letto, diverse ci han detto che merita di essere diffuso anche oltre TTL, per la luce che getta sul metodo di lavoro a lungo termine di Wu Ming e sulla poetica nostra e non solo nostra, dati i riferimenti a varie collaborazioni e progetti.
Per questo motivo lo hanno ripreso sui loro siti i colleghi Mariano Tomatis, col titolo Genesi (e genealogia) di Ufo 78, e Giuseppe Genna, che ha usato il titolo originale e scritto un cappello introduttivo ad hoc, al solito urgentemente criptico.
■ Qualche tempo fa, per un breve momento, abbiamo anche intrattenuto l’idea di partire da un’ur-versione del “diario di una genesi” per realizzare un video, dopodiché abbiamo scartato l’idea. Impostazione troppo didascalica. Ma quando Massimo Maugeri del magazine on line Letteratitudine ci ha chiesto un inedito, un’outtake, una frattaglia, è a quella scaletta che abbiamo pensato, così gliel’abbiamo spedita, dopo averla intitolata, appunto: «Traccia per un video che abbiamo deciso di non realizzare».
La colonna sonora del romanzo e altri ascolti
C’è chi sta apprezzando, per accompagnare la lettura o comunque moltiplicare i possibili punti d’ingresso nel romanzo, la colonna sonora di Ufo 78 che la casa editrice Einaudi ha caricato su Spotify e YouTube. Non sono proprio tutti i brani citati nel libro, ma quasi.
La versione su YouTube è un po’ più lunga perché due tracce su Spotify non sono disponibili.
Come sempre, non inviamo visite a YouTube direttamente, bensì passando per un’interfaccia libera che, arginando le pratiche invasive di Google, tutela sicurezza e riservatezza degli utenti. Chi arriva lì può comunque decidere di passare oltre e usare YouTube, c’è il collegamento diretto.
Per Spotify non sembra esistere un corrispettivo, ergo mettiamo l’indirizzo e sia chi legge a dire «que será, será». Buon ascolto.
■ A proposito di ascolti: la mattina dopo l’evento «Aspettando Ufo 78», di cui abbiamo pubblicato la registrazione nello scorso speciale, Eleonora Carta – collega scrittrice nonché coordinatrice della Fiera del Libro “Argonautilus” – ha ospitato Wu Ming 1 a Radio Fiera, l’apposito spazio sull’emittente di Iglesias Radio Arcobaleno. Ecco qui la chiacchierata, che verte interamente su Ufo 78 e dura diciannove minuti. Buon ascolto.
–
Come sempre, segnaliamo che quest’audio è disponibile anche nella nostra audioteca su Archive.org, su Apple Podcasts e nel feed di Radio Giap Rebelde.
«La paranoia è il vero cattivo del romanzo»
Su «La Lettura» – supplemento culturale del «Corriere della Sera» – del 16/10 Daniele Giglioli firma un’articolata recensione di Ufo 78 intitolata «Chiedi agli Ufo dove stiamo andando». Che è un bel titolo.
Da anni Giglioli intrattiene coi nostri testi un dialogo serrato. Anche stavolta afferra molto bene le tematiche del libro e coglie i punti essenziali della poetica che abbiamo cercato di mettere in pagina. Alcune osservazioni non ci convincono, ma questo fa parte del dialogo e magari avremo modo di parlarne.
Un problema è che la recensione contiene una grande quantità di spoiler, ragion per cui ne riportiamo solo uno stralcio “sicuro” e invitiamo a procurarsela e leggerla dopo aver letto il libro. Del resto, è proprio a chi ha già letto il libro che Giglioli sembra rivolgersi.
Nell’estratto che proponiamo, il recensore parte elencando i motivi a noi cari ritrovabili in Ufo 78, per poi puntare dritto al nocciolo poetico-politico del romanzo:
«[…] Una schietta passione per le controculture supportata da una mostruosa, avrebbe detto Fantozzi, erudizione in materia. Un atteggiamento di apertura, spigliata quanto ragionata, molto al di là dell’opposizione crederci/non crederci, verso quello straordinario patrimonio della mente umana che è la leggenda. La crescente, rispetto ai loro esordi, presa di posizione a favore di quell’universo di persone che vivono ai margini della società senza pretendere di occuparne il centro. Un realismo non magico, termine abusato e ormai da abbandonare, ma disposto alla sorpresa, al dettaglio non a posto nel quadro, alla pista che non porta magari da nessuna parte, e comunque non dove ti eri ripromesso di andare. Un culto per le coincidenze che è riuscito felicemente a evitare la paranoia – il vero cattivo del romanzo: è importante – in cui si sono infognati surrealismo e situazionismo pur con tutte le loro altezzose difese culturali. Una capacità di cogliere i nessi tra macro e microstoria affinata allo spasimo: Aldo Moro è in una prigione; il “movimento” sta per finirci; il Paese pure; forse l’intera modernità razionalistica, che va giustamente fiera delle sue formidabili prestazioni, scienza, Stato di diritto, laicità, individualismo, capitalismo, socialismo, è essa stessa una prigione che sbandiera libertà. È per questo che i più sprovveduti, nell’impossibilità di credere che in questo mondo un altro mondo sia possibile, quando butta malissimo ricominciano a guardare il cielo, chi in cerca di un nuovo Padrenostro (il socialismo intergalattico), chi più semplicemente di ciò che non sappiamo perché magari è da lì che si può saltar fuori dalla rete.
Speranze illusorie? Per chi attende una palingenesi senz’altro. Ma per chi sa o intuisce che questa vita, la sua vita, l’unica che ha, è connessa da mille fili […] ad altre vite altrettanto queste, uniche e irripetibili, è lecito sperare e talora sperimentare che non uno ma molti altri mondi sono possibili […]»
P.S. Non concordiamo sul fatto che a guardare il cielo siano i più «sprovveduti», a meno che con questo termine Giglioli non intenda i più spossessati. Noi, immodestamente annoverandoci tra essi, pensiamo che a guardare il cielo siano spesso i più provveduti. Di slancio utopico, di risorse esistenziali per resistere, di voglia di cambiare.
■ Una recensione che non contiene alcuno spoiler è apparsa su Carmilla proprio stamattina, l’ha scritta Luca Cangianti e si intitola «Gli Ufo sono qui». Eccone un passaggio-chiave:
«Ufo 78 è una sperimentazione straniante e riuscita dove si mescolano gli stilemi della scrittura cinematografica, del romanzo a enigma e dell’inchiesta ex post: “Ancora ai romanzi stai?” afferma un personaggio, dando ironicamente voce alle convinzioni metaletterarie degli autori.»
Appuntamenti prossimi venturi
Ricordiamo gli appuntamenti della settimana entrante.
Tecnicamente non è un appuntamento incentrato su Ufo 78, ma giocoforza sarà anche un preludio alla presentazione dell’indomani: mercoledì 19 ottobre alle h 20 saremo a Bologna, al cinema Lumière (sala Mastroianni), per la proiezione del documentario di Armin Ferrari A noi rimane il mondo. Sui sentieri della Wu Ming Foundation.
Giovedì 20 ottobre alle h. 18 saremo sempre a Bologna, al Centro sociale della pace, in via del Pratello 53, per la prima presentazione del romanzo. Con proiezioni, musica e una lettura dell’attore Marco Manfredi.
Subito prima della presentazione ci sarà un momento informativo sulla manifestazione nazionale «Convergere per insorgere», che si terrà a Bologna sabato 22 ottobre.
Ricordiamo che il calendario completo del Flap 22 – come abbiamo chiamato la prima branca del tour di presentazioni di Ufo 78 – è qui.
Intanto, come vuole la buona educazione, essendomi registrato oggi, vi ringrazio per l’accesso e vi saluto. Volevo ringraziarvi di aver scritto questo libro per un motivo biecamente egoistico: mi diverte moltissimo. Essendo uno che, per motivi vari, ha sempre frequentato i temi e gli argomenti da voi usati (ed evidentemente amati), per me questo romanzo è un luna park intellettuale di quelli che, ad ogni pagina, ti fanno dire: “Uh! C’è anche questo!”. A proposito di colonna sonora, vi segnalo solo un piccolo errore, non per fare il Sapientino, ma perché so che tenete alla precisione: McGuinn dei Byrds si chiama Roger, non Jim come è detto a pag. 265 del libro. E siccome vado a memoria e non controllo, spero che un neurone fallato non mi regali una figura di melma. Vi saluto e grazie ancora.
Grazie dell’apprezzamento e dell’entusiasmo! Riguardo a McGuinn, tranquillo, nessuna figura di melma e al tempo stesso la menzione nel romanzo è giusta: nel 1966, l’anno di Mr. Spaceman, si chiamava ancora Jim, diminutivo del nome di battesimo James. Cominciò a farsi chiamare Roger l’anno dopo, adducendo motivazioni legate a una sua rinascita spirituale.
Grazie dell’informazione. Vi devo anche l’avermi fatto notare la somiglianza del testo di Extraterrestre con quella di Mr. Spaceman: non ci avevo mai fatto caso. Per altro in quegli anni l’inglese, per la stragrande maggioranza degli italiani, era (quello sì!) un oggetto non identificato. I prestiti più o meno indebiti dalla musica straniera erano una prassi ancora comune, seppure non più tanto diffusa quanto negli anni ’60. Finardi era bilingue e aveva le orecchie ben aperte sulle cose d’oltreoceano. Non che questo, credo, diminuisca la sua qualità. Tra l’altro ho avuto modo di intervistarlo un paio di anni fa, insieme ad un altra persona, e devo dire che raramente ho visto qualcuno altrettanto appassionato e disponibile a rispondere. Ma questa, come diceva la voce narrante di Conan il Barbaro, è un’altra storia :)
Il confronto tra i due pezzi è interessante. Sì, entrambe le canzoni sono incentrate su una richiesta a un extraterrestre: «won’t you please take me along», canta Mc Guinn; «portami via», canta Finardi. Però le motivazioni sono diverse, e anche quel che accade prima e dopo.
Il protagonista della canzone dei Byrds è sorpreso da un incontro ravvicinato e ne approfitta per chiedere all’«uomo dello spazio» di poter andare con lui a «fare un giro». Garantisce che durante quel giro si comporterà bene («I won’t do anything wrong»), e dopo non succede poi chissà che, la canzone ha un andamento leggero e scherzoso.
Invece il tipo che vive nell’abbaino finardiano cerca attivamente il contatto, con tutte le proprie forze psichiche tenta di convocare gli estraterrestri, perché è giunto a un tale livello di misantropia da voler emigrare in pianta stabile, da solo, su un pianeta sconosciuto. L’extraterrestre lo accontenta, ma le cose non vanno affatto come sperato, tanto che il tipo fa un nuovo appello, ma non sappiamo se verrà ascoltato. È una canzone disperata, che racconta una storia tragica, proprio nell’accezione classica del termine. Finardi ha scavato molto più in profondità, insomma.
Verissimo, quando Finardi si trova di fronte un bravo intervistatore o intervistatrice, che gli dà modo di sviluppare i propri ragionamenti, collegare episodi in apparenza lontani e parlare davvero di musica, è una vera festa per il pensiero. C’è un’intervista così, lunga e densa, sul numero di Musica Jazz del mese scorso, intitolata «Non mi fermo mai alla prima stazione». Consigliatissima.
Molto interessante. In pratica, con Extraterrestre è avvenuto il processo contrario di quello più diffuso con i “prestiti” di quegli anni, laddove in genere si andava nel senso di una banalizzazione: vedi l’esempio arcinoto di Pietre, presa di peso dalla dylaniana Rainy Day Woman #12&13. Credo comunque che Finardi non abbia il posto che merita nella storia del cantautorato italiano. Magari, me ne rendo conto, può sembrare un’affermazione esagerata, visto che i riconoscimenti critici che gli sono dovuti li ha sempre avuti, ma mi riferisco alla percezione che ne hanno gli appassionati. Anche dal punto di vista strettamente musicale, i suoi album di quegli anni erano fra i meglio arrangiati e suonati dell’intera scena. Basta pensare a Diesel, dove sul brano omonimo la prestazione strumentale è veramente maiuscola, con un performance straordinaria di Patrizio Fariselli al Rhodes (e in realtà anche degli altri Area che partecipavano alla session). Continuando a riferirmi agli spunti musicali offerti dal vostro romanzo, leggevo che avete scartato (e capisco che nell’econonima strutturale del libro sarebbe stata di troppo) una parte sulla musica di destra di quegli anni. Sarebbe interessante esplorare il tema. Ho trovato azzeccatissima la cosa che dice Jimmy sul fatto che i musicisti orientati a destra – ma potremmo dire gli artisti e i creativi in genere – erano la versione tarocca e svilita di quelli di sinistra. E’ così. Non producevano niente che avesse una cifra specifica, originale. Fa eccezione forse, e in parte, un certo prog. Mi viene in mente il Museo Rosembach, band di Genova dove per altro militava Giancarlo Golzi, il quale ha avuto poi tutt’altro destino fondando i Matia Bazar. Vabbè, il discorso diventerebbe lunghissimo :)
Eh, bello spunto! Un musicista di destra – parecchio di destra – che in quegli anni, muovendosi ai confini della musica progressiva dove quest’ultima sfumava nell’avanguardia vera e propria, fece cose interessanti è Raul Lovisoni. Prati bagnati del monte Analogo (1979), realizzato in tandem con Francesco Messina, è un bel disco.
Dopodiché forse bisognerebbe chiarirci l’ambito, perché un conto è dire che le band neofasciste facevano schifo, è assodato; ma se per «destra» – culturalmente parlando – intendiamo un ambito non ristretto al neofascismo, e pensiamo ai vari musicisti intrippati con il pensiero reazionario del filone tradizionale/sapienziale, tipo Guénon e roba del genere (ma a suo modo lo stesso Gurdjeff), allora vengono fuori più nomi, e diverse cose interessanti. Interessanti come esito sul piano musicale, intendo, nonostante le premesse come minimo dubbie.
Per un certo periodo alcuni personaggi così orbitarono intorno a Battiato. Non includo direttamente lui perché la sua figura e la sua produzione sono molto più complesse e fanno storia a parte, e perché il suo approccio ai materiali della Tradizione e allo stesso pensiero di Gurdjeff, soprattutto all’epoca, fu parecchio sui generis, frequentemente giocoso.
Sì, infatti è così. La scena prog e psichedelica di quegli anni, non solo in Italia naturalmente, era piena di personaggi che infarcivano i loro testi di riferimenti più o meno esoterici e, in quel senso, al vasto e a volte confuso ambito di una “tradizione” sapienziale e reazionaria che era sì quella di Guénon ma, in certi casi, anche quella di Evola (e lì sì che finiamo parecchio a destra). Però è vero che, in quel contesto, le definizioni si fanno molto più sfumate. Per questo citavo il Museo Rosembach: loro furono accusati di essere fascisti tout court e i riferimenti non erano al magismo primi ‘900. Il loro album Zarathustra era ovviamente ispirato a Nietzsche, ma cominciò a circolare la voce che nella grafica di copertina fosse nascosta una testa di Mussolini. Mi pare di ricordare che loro smentirono, ma fatto sta che una decina di anni fa incontrai un tipo, uno di Genova che negli anni ’70 faceva il batterista in una band sconosciuta e che ancora oggi girava con maglie nere e calzoni militari, che mi disse: “Il Museo Rosembach? Sì sì, li conoscevo, anche loro erano camerati!”. Ammetto di non saperne molto di più.
Ad ogni modo, anche loro si inseriscono in un fenomeno incredibile avvenuto dai primi anni duemila in poi: la riscoperta di una marea di band e artisti praticamente sconosciuti di quegli anni grazie a you tube. Fino a una quindicina di anni fa, se volevi reperire materiale non potevi che setacciare il mercato dei vinili rari. Dai primi anni duemila in poi, su yotube è finito di tutto, anche dischi che allora vendettero dieci copie comprese quelle acquistate dai parenti. E così ora trovi ragazzini di vent’anni che conoscono band underground di cinquant’anni fa. Il fenomeno ha riguardato anche il kraut rock (parlo dei minori, ovviamente, non di quelli celebri). Alcuni di questi artisti, ora settantenni e che magari da decenni fanno tutt’altro nella vita, si sono visti persino ristampare i loro dischi.
Sì, e prima ancora di YouTube le piattaforme peer-to-peer come Soulseek e l’invenzione dei torrent avevano rimesso in circolazione una pletora di materiale incredibile, che poi è finito su YouTube. Il fatto che da anni i giradischi di nuova produzione abbiano un’entrata USB e spesso consentano di trasferire direttamente la musica dal vinile al formato wav, flac o mp3 ha consentito di recuperare abbastanza agevolmente tantissimi dischi mai ristampati in cd.
Riguardo ai settantenni che poi nella vita hanno fatto tutt’altro e si sono visti ristampare i dischi, avrai visto che in Ufo 78 compare Franco Leprino, che ha inciso un solo album progressivo, Integrati… Disintegrati, nel ’77, di cui si accorsero pochi omologhi di Jimmy Fruzzetti, dopodiché ha fatto il regista di documentari musicali ed è stato il primo a rimanere sbigottito quando intorno a quel vecchio disco – menzionato a stento nella sua voce su Wikipedia – si è formato una specie di culto, che poi ha portato alla riedizione :-)
Mai dire mai. Nei primi anni ’60, molti vecchi bluesman dimenticati da trent’anni – alcuni perfino finiti in ospizi pubblici e ormai in attesa solo della fine – non credettero alle loro orecchie quando dei giovani appassionati li andavano a ripescare e gli chiedevano il permesso di ristampare introvabili 78 giri, usciti negli anni ’20 e ’30 e finiti nell’oblio. Alcuni di loro, ormai vecchi, finirono per diventare quasi delle star mondiali con tanto di tour oltreoceano e dovettero riprendere gli strumenti che non toccavano più da prima della guerra. Quando pianti un seme creativo, non sai mai quando il destino ha deciso di farlo germogliare.
Certo, magari si esagera anche un po’, sopravvalutando a volte cose che meriterebbero di restare nel dimenticatoio là dove erano finite. Gli appassionati, come sempre, sono più realisti del re e pensano che qualsiasi cosa, per il solo fatto di essere stata prodotta in quegli anni, debba essere buona. Quanto di quello che consideriamo cult merita di esserlo, giudicandolo con animo imparziale? Molto, ma non tutto.
UFO 78 mi ha portato alla mente Kant, in particolare mi ha fatto venir voglia di rileggermi Che cosa significa orientarsi nel pensiero? Ho l’impressione che, a cadenza regolare, in determinati periodi, nella fase storica “moderna”, il pensiero individuale/colletivo e’ come se venga rapito
da “oggetti” e idee che, se da un lato potrebbero spingere ad “andare altrove”, oltre determinati limiti della conoscenza umana, dall’altro finiscono quasi sempre per produrre poco piu’ di un manipolo di dedicati gendarmi dell’identificazione (come i simpatici ufologi del GRUCAT) o, piu’ recentemente,
prepatatissimi foratori di palloncini.
Altro argomento che ho “percepito” in sottotraccia nel libro (forse sbaglio) e’ uno stimolo alla critica della famiglia tradizionale come luogo unico dal quale attingere affetti ed esperienza. E’ risaputo che negli anni ’70 vi erano coraggiosi tentativi di dialogo sulla necessita’ di trasformare questa istituzione monolitica e millenaria, di aprirla ad esperienze altre, di cui le comuni, credo, fossero una specie di “emanazione”. Un luogo dove quelle ragazz* affrontavano, tra
sconosciuti, un percorso di crescita, si ri-trovavano e ri-orientavano insieme, riuscendo, in un mo(n)do altro da quello imposto, a soddisfare non solo necessita’ psicofisiche ma anche ad esplorare desideri e pulsioni.
Grazie quindi, per l’ennesima volta, del gran bel lavoro. Stimolante come sempre.
Little rant: Jimmy che non cita neanche di striscio Jerry Garcia & co. is simply unacceptable!
Jimmy è europeo fino al midollo, non «sogna di andare in California», la sua mente bussa «alle porte del cosmo, che stanno su in Germania».
(piccolo spunto sui rapporti fra Rock psichedelico californiano e Germania Segreta)
Furio Jesi, come sempre attentissimo a *tutto*, in un breve testo (credo pubblicato sul numero di Riga) si interroga su come fu possibile che un gruppo rock californiano avesse deciso di chiamarsi come il libro di uno dei massimi nomi della cultura tedesca cioè Herman Hesse. Jesi si riferiva agli Steppenwolf, autori della celeberrima ‘Born to be Wild’ e ricostruisce la genesi della passione dei fricchettoni per Hesse, arrivato sulla West Coast credo grazie a Ferlinghetti, se non ricordo male.
>pensiamo che a guardare il cielo siano spesso i più provveduti. Di slancio utopico, di risorse esistenziali per resistere, di voglia di cambiare.
sono d’accordissimo, non a caso l’ufologia in Italia è molto diffusa fra i ravers che di slancio utopico ne hanno da vendere
Le veglie ufofile di Jimmy erano antesignane quiete dei rave. Del resto, se sotto i pezzi di Kosmische Musik che stanno in playlist metti una cassa dritta a 220 bpm (ma già 140 va bene), il gioco è fatto, trovi l’anello mancante.
Tipo così (fatto proprio al volo e alla carlona):
https://www.wumingfoundation.com/suoni/Alpha_Centauri_140bpm.mp3
Ricordiamo anche che agli inizi del ‘900 sbarcarono in California tantissimi/e rifugiati/e e perseguitati/e politiche, ebrei e non, oltre che numerosi dissidenti provenienti dall’Europa in generale e dalla Germania in particolare. Molti di questi erano letteralmente alieni che giungevano in un nuovo mondo portandosi appresso costellazioni di idee che andarono poi ad ibridarsi con la cultura locale creando probabilmente l’humus si cui poi si formo` il movimento hippie. Un esempio su tutti, i Naturmensch e personaggi tipo Gypsy Boots. Ma qui` si va` molto OT.
Per quel che concerne i rave, e` assodato che trattasi di eventi ad alta probabilità` di incontri ravvicinati ed a proposito segnalo uno studio interessante che analizza il personaggio del DJ descrivendone il ruolo di technoshamano che ricopre all’interno di queste esperienze audiovisive collettive.
La California fu anche meta di una delle più grandi migrazioni interne nella storia degli Usa durante gli anni ’30.
Fu un’insieme travolgente.. a partire dalla nota crisi del ’29, all’affermarsi dei grandi latifondi e, si direbbe oggi, gli oligarchi che con la loro forza economica compravano le fattorie degli agricoltori di sussistenza, unite allo sfruttamento intensivo della terra, e la meccanizzazione del lavoro tramite i trattori portò ad un fenomeno che determinò l’inaridimento di quelle che erano le “grandi pianure” degli stati centrali e la perdita di lavoro per i braccianti agricoli.
L’insieme di tutti questi fenomeni portò a delle vere e proprie tragedie: le dust Bowl, le tempeste di sabbia, che minacciarono ancora di più i piccoli proprietari e chi viveva del proprio raccolto, i braccianti, e le piccole comunità rurali, sulle quali i grandi imprenditori stavano sul.collo, vuoi per prestiti/debiti loro concessi, vuoi per comprare le loro proprietà per “un pugno di dollari”..
Molto dell’immaginario western prende rimandi anche da questi periodi.. si pensi alla classica scena del cespuglio che rotola portato via dal vento nella terra inaridita.
Ma il libro a mio avviso più bello a riguardo è “Grappoli d’ira” (trad. Furore), dove si narra che i grandi proprietari californiani ricoprirono letteralmente quelle terre e quelle persone di volantini gettati dal cielo, dove si narrava della California come la terra dove bastava allungare un braccio per prendere arance succose e grappoli d’uva senza fatica.
Questo portò ad un’enorme migrazione nello stato dell’abbondanza, tale da aumentare in modo abnorme l’offerta di lavoro e da tenere bassissime le paghe dei lavoratori, scelti a giornata e pagati a cottimo.
Tutte queste perso e e famiglie, partite con auto scassate, i materassi, e tutto quello che riuscivano a caricarci sopra, finiranno accampate in veri e propri campi a ridosso degli appezzamenti, tra tumulti per la richiesta di paghe e dignità di lavoro sedati dalle guardie e dalla polizia, e le giornate passate a cercare qualcosa da mettere in pentola la sera. Molti hippies credo siano nati anche da questi campi.
L’alieno qui è Tom Joad, nel suo cammino verso casa all’inizio del libro, alla sua fuga costretta nel finale, dopo aver percorso la router 66 con tutta la famiglia e non aver stretto niente in pugno.. arrivando però anche a Woody Guthrie (suo figlio canterà a Woodstock) e Bruce Springsteen..
un libro stupendo.. e sempre troppo attuale, purtroppo..
@Lana
Come sei arrivata a Steinbeck e le tumbleweeds Californiane, partendo dall’Hallogallo di Aulla e`un mistero che, forse, andrebbe investigato tanto quanto quello degli UFOs. Di assodato, intanto, c’e`che la cultura musicale della West coast americana e` impregnata di influenze europee, di canti e ballate migranti, di povertà e miseria, misticismo e religiosità, di quel bagaglio che, in poche parole, chi insegui` il sogno americano fino alle estreme coste occidentali, affrontando catastrofi di ogni genere, portò con se`. Jimmy, come dicono i WM, indubbiamente bussava alle porte del cosmo che stanno su in Germania e come lui molt* altr*; ma non va` dimenticato che quella vasta cosmologia era stata impacchettata con le mutande e le pentole in sacchi di juta e valige di cartone per essere contrabbandata altrove, destinata ad una una terra piu` fertile, presso luoghi dove, si sperava, potesse essere coltivata una certa idea di liberta` e di pensiero. La storia poi ci insegna che non andò esattamente come quei cosmonauti speravano, ma le tracce di quei tentativi, i sogni, le aspirazioni universali e le speranze di pace rimangono, sono vive e vibranti anche e sopratutto in versione musicale. Basta sintonizzare le antenne
PS: il link allo studio sul technoshamanismo e` questo:
https://ruor.uottawa.ca/handle/10393/29176
Buonasera mi sono appena registrato. Avevo pensato di farlo per segnalare il refuso tra virgolette su Roger McGuin che ho scoperto non esserlo leggendo la vostra risposta a chi l’ha segnalato prima di me. Poi però arrivato alla fine e leggendo i ringraziamenti con vera emozione, anzi “emozione altissima” ho letto il vero nome del poeta perugino Paul Beathens, che ho conosciuto, proprio nell’anno del rapimento Moro, dei 3 papi, dell’ondata d’avvistamenti UFO. Io allora ero già grande e quelle cose me le ricordo bene. Il libro è bello e per gli ultra sessantenni come me anche molto commovente, Grazie
Alla congiunzione col cosmo!
Chi ha seguito tutte le discussioni di questi ultimi due anni su giap, troverà tantissime risonanze in UFO 78. Se l’Armata dei sonnambuli è un romanzo nel terrore, UFO 78 è un romanzo nello stato d’emergenza. Il gioco di specchi tra ieri e oggi mi sta instillando un po’ alla volta un sottile senso di inquietudine. E non si tratta solo del rimbalzo visivo (che c’è, ed è reale, e violento) tra i posti di blocco del ’78 e quelli del 2020. E’ qualcosa di molto meno strutturato e allo stesso tempo molto più profondo, che non riesco ancora ad afferrare. Sono circa a metà lettura, non so ancora se e come questa inquietudine si scioglierà.
A marzo del 1978 avevo 12 anni e un pomeriggio, penso fosse domenica 19, avevo in programma di andare con gli amici al cinema Astra in centro a Milano, a vedere Incontri ravvicinati del terzo tipo. I miei genitori non vollero lasciarmi andare perché era successo qualcosa di molto grave che rendeva rischioso andare in giro da soli per la città. È così che per me Aldo Moro e Incontri ravvicinati del terzo tipo si sono incollati tra loro, uniti dalla sensazione di un pericolo che io non identificavo e dalla condizione di prigionia di Moro, dei suoi famigliari (Biagi) e un po’ anche mia (Zanka).
Finito di leggere UFO 78 continuo a sentire nella testa “il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di legalità è inammissibile” che si trasforma in “il sacrificio degli innocenti in nome di un astratto principio di sicurezza è inammissibile”, scavalcando 44 anni.
Come ha scritto qui marco s (che non sono io), grazie Wu Ming per avermi fatto godere come e anche di più di quando ho visto Incontri ravvicinati del terzo tipo (perché poi l’ho visto) e per avermi ribadito di tenere gli occhi ben aperti anche per avvistare Unofficial Fascist Organizations che in nome di qualche cazzo di principio astratto sacrificano gli innocenti.
(1/3)
Ciao a tutti, mi affaccio per raccontare il mio personalissimo avvistamento. Mentre leggevo UFO 78, il ricordo di quell’esperienza ha fatto toc toc a più riprese e mi sono ripromesso di condividerlo con voi. L’intenzione, come spesso accade, è caduta nel pozzo dei “da fare” a tempo indefinito, ma è stato un titolone di La Stampa adocchiato per caso che mi ha ricondotto dentro quel “mood”. Tirandomici per i capelli.
Il mio avvistamento si colloca in Toscana che è il primo – ovvio – punto di contatto col romanzo.
Il periodo è la primavera 2021, in piena nevrosi da covid. Anche qui c’è un parallelo con UFO 78, pur se a valle di metafora.
La stagione è quella del consueto pigro sbiadimento dei colori delle regioni e quindi io+compagna decidiamo di sfruttare l’occasione per qualche giorno di cambio d’aria. La scusa è andare in Toscana a casa dei suoi per lavorare da remoto, io con la speranza di rubare un po’ di tempo al sonno per qualche battuta di pesca qui e là. Eh sì, sono un pescatore accanito, pescatore di mare da riva con la canna.
Fatto sta che una mattina decido di improvvisare una battuta poco a nord di Follonica, all’albeggio. Dovete sapere che si scrive “albeggio”, ma in realtà il pescatore deve presentarsi sullo spot – onde prepararsi adeguatamente – ben prima della mezz’ora in cui comincia a schiarirsi il cielo. Difatti era notte e io mi svegliavo ad un orario indecente, afferravo l’attrezzatura e mi mettevo in macchina ancora incimurrato di sonno. Il piede schiacciava piano l’acceleratore, mentre osservavo il buio della strada delle Collacchie trasformarsi a poco a poco nelle luci dell’inurbato di Follonica. Tutt’a un tratto odo da lontano un abbaiare di sirene che mi viene sempre più vicino, vedo luci blu pulsare nello specchietto retrovisore. Non si tratta di alieni, per ora.
E’ che semplicemente erano tempi strambi quelli, tempi di coprifuoco fino alle 5. Mutatis mutandis, anche nella mia storia – che poi è la nostra storia – i carabinieri sono al servizio di un’isteria di massa. Zombi che sparano raffiche di altolà sul ciglio di strade marzializzate, strade abbandonate.
(2\3)
Dentro ogni auto potrebbe nascondersi IL virus o il corpo di un intisichito Moro infagottato in gran segreto nel buio del bagagliaio.
“…sì, lo so, lo so. Non si potrebbe chiudere un occhio per stavolta? In fondo sto andando a pesca, sono le 3 del mattino, ma chi vuole che contagi?”
“Facciamo così: non procediamo al verbale per violazione del coprifuoco, ma lei adesso scende dalla macchina, le facciamo etilometro e, se tutto va bene, la lasciamo andare… ormai abbiamo segnalato il suo fermo, insomma… qualcosa dobbiamo pur fare.”
La pagliacciata è finita e sono di nuovo in marcia. Vedo rimpicciolirsi le sagome dei brigadieri e, dopo poco, anche le palazzine diventano piccole. Davanti a me, un cielo sempre più basso si fa quasi tutt’uno col nero dell’asfalto.
Finalmente sono arrivato, spengo la macchina, respiro. Già sento la mia piccola scimmia – chi è patito di pesca saprà sicuramente parlarvene – che si agita, vado nel portabagagli e imbraccio l’attrezzatura. Mi prendo un momento prima di abbandonarmi completamente alla foga piscatoria e alzo il naso al cielo, è nero purissimo. Un vero spettacolo per noi di città che, anche di notte, possiamo solo guardarlo attraverso una membrana bianca, mucosa e spettrale. E’ già un po’ che osservo, ma quello che smuove improvvisamente la mia attenzione non è una stella cadente. Piuttosto una catena di luci, di stelle molto nitide legate l’una all’altra da un filo baluginante. E’ un rosario acceso che si muove parallelo alla calotta del visibile. Il fenomeno non si esaurisce presto, anzi, dura decine di interminabili secondi e la catena si fa via via più lunga. Nel frattempo io sono in subordine a quel moto dell’animo che, in inglese, si indica splendidamente col termine “awe”, non riesco a distogliere lo sguardo. Ad un certo punto, però, la awe toglie il disturbo, lasciando spazio a una specie di panico e ad un vortice di tocchi e strusci sullo schermo gelido dello smartphone, frenesia di trovare qualcosa perché – cazzo – qualcuno mi dica che non sono gli pseudopodi de La Guerra dei Mondi quelli che ho appena visto. Invece non trovo niente e il panico sale, si fa azione: devo tornare a casa dalla mia compagna che ho lasciato sola nel letto. Sportello, accendo, accelero, sgommo e sterzo per non so quante volte in dieci minuti sono di nuovo a casa.
Ora sono più tranquillo, continuo a guardare il cielo ma del rosario volante non c’è più traccia.
(3\3)
Il racconto è pressappoco finito qui, almeno in forma di racconto, ma c’è ancora qualcosa di cui devo rendervi partecipi.
Nei giorni seguenti non mi rassegno. Rovisto giornali locali, di carta e online, in cerca di neanche io so cosa per dare un senso alla mia esperienza e – perché no – anche per lavare l’onta delle risate riservatemi dalla mia compagna che avevo svegliato quella stessa notte non appena rientrato in casa. Niente di niente. Zip. Nada. Lascio scivolare l’esperienza nei cassetti dei ricordi e smetto di cercare gli UFO.
Qualche tempo dopo, parlando con un amico, gli racconto dell’accaduto e lui:
“ma certo è starlink”
e io “che?”
“starlink de ilonmasche… su… i satelliti pe’ internet”
E niente, la prima foto che trovo online di quei cosi è pari pari la catenella che avevo avvistato nei cieli della Toscana. Meno male che quella notte non avevo a portata di mano il telefono del Grucat.
Chiudo con un piccolo bonus che ha una frequenza in risonanza multipla con UFO 78. Lascio in calce il titolone de La Stampa di cui ho accennato all’inizio, troverete sicuramente online – a pagamento, ahimè – l’articolo in questione:
‘ Le lezioni sold out dell’ufologo ex ferroviere: “Parlo con gli alieni, Musk li sta aiutando” ‘
Io non ho mai visto gli ufo, ma in qualche momento sul finire degli anni settanta, all’età di 8/9 anni, ho visto in tv questo film:
https://www.imdb.com/video/vi3986670361/?playlistId=tt0045917&ref_=tt_ov_vi
E’ stato uno dei grandi traumi della mia infanzia: il disco volante che atterra dietro la collina e scompare, la gente del paese che comincia a comportarsi in modo strano, il ragazzino che si accorge che *i suoi genitori* sono diventati strani… e poi le persone risucchiate sotto la sabbia, la base aliena sottoterra… ce n’era abbastanza per terrorizzare dei bambini che fino a quel momento in tv al massimo avevano visto super gulp, e l’incredulità non avevano nessun bisogno di sospenderla perché non l’avevano mai avuta. Ripensandoci oggi, mi sa che quel film è all’origine del mito del microchip iniettato col vaccino per controllare la mente delle persone.