Joséphine Albario, la «veggente indecorosa» di Lourdes, protagonista del nuovo libro di Mariano Tomatis

Harley MS 4425, f. 108r.

[A pochi mesi di distanza dallo splendido Incantagioni è in uscita, stavolta per Eris Edizioni, un nuovo testo – agile ma denso – del nostro amico e compagno di strada Mariano Tomatis, scrittore, storico dell’illusionismo, «iniettore di meraviglia».
A noi Wu Ming par di riconoscere un pattern. È stato certamente durante la stesura di Incantagioni che a Joséphine Albario è accaduto quanto già accadde a Vitaliano Ravagli durante il lavoro per 54 e ad Aleksandr Bogdanov durante il lavoro per Ufo 78: la sua storia si è resa indipendente e ha dato vita a un altro libro.
Anche stavolta ospitiamo un contributo di Mariano, e anche stavolta si tratta di un tiro a effetto, perché “lancia” il libro seguendo una traiettoria imprevedibile, partendo da una storia che nel libro… non c’è. Buona lettura. WM]

di Mariano Tomatis

Una delle apparizioni della Madonna più curiose di sempre risale al Medioevo. Nel suo Dialogo sui miracoli (1222) Cesario di Heisterbach racconta la storia di una religiosa la cui avvenenza non passa inosservata. Suor Beatrice ha attirato le attenzioni di un giovane sacerdote, ma poiché l’interesse è reciproco, si trova divisa tra la vita monastica e una prospettiva di coppia.

Presa la decisione di abbandonare la tonaca, lascia le chiavi della sacrestia sull’altare e rivolge alla Vergine una confessione piena di lucida consapevolezza:

«Signora, ti ho servito quanto più devotamente mi è stato possibile, ecco ti restituisco le tue chiavi; non sono capace di resistere oltre alle tentazioni della carne».

Per un po’ la vita a due funziona, poi l’uomo si allontana e per Beatrice le cose si complicano. Per sbarcare il lunario decide di prostituirsi. Il lavoro sessuale le procura da vivere per quindici anni, al termine dei quali la donna decide di tornare in convento. Al suo rientro in monastero, si accorge di una cosa strana: le consorelle non si sono neanche accorte che è stata via per tanto tempo. Quello che apprende di lì a breve è sconcertante: la Madonna ne ha coperto l’allontanamento, apparendo nelle sue vesti in attesa del suo ritorno.

Raccontando a Beatrice quanto è accaduto, la Vergine spiega:

«Per quindici anni ho provveduto alle tue mansioni durante la tua assenza; ora torna al tuo posto e fa’ penitenza, perché nessuno conosce il tuo peccato».

Secondo il cronista tedesco, la suora quamdiu vixit gratias egit («fu grata [alla Madonna] fino alla fine dei suoi giorni»).

La storia ebbe grande diffusione in tutta Europa e perfino in Oriente, tanto che oggi se ne contano almeno cinquantaquattro versioni diverse. Le varianti sono discordi sugli anni trascorsi lontani dal convento, l’identità dello spasimante (a volte è un nobile laico) e le modalità della separazione: nella versione spagnola di Don Alfonso il Saggio, è la donna ad abbandonare l’uomo. Su un solo elemento tutte concordano: la bizzarra natura del miracolo, un’apparizione mariana che nessuno ha potuto riconoscere come tale, visto che la Madonna si è presentata nelle vesti di un’altra persona ed è passata inosservata, svolgendo tutte le mansioni con diligenza e discrezione.

Anche se la trama ricorda la parabola evangelica del «figliuol prodigo», il cui protagonista è un padre disposto a riabbracciare il figlio al termine di un periodo di vita dissoluta, la vicenda di suor Beatrice mette al centro una figura materna i cui gesti sono ancora più radicali: Maria non sanziona in alcun modo l’abbandono della tonaca né ha in serbo un castigo esemplare per una donna che ha sacrificato la propria verginità «seguitando disonestamente gli appetiti della fragile carne» – come scriverà Jacopo Passavanti nel Trecento.

Invece di concepire una pena, la Madonna si spende per coprire le espressioni del desiderio di Beatrice, salvandone la reputazione in un contesto fortemente sessuofobico e proteggendola dalle malelingue e dalla morte sociale che colpisce chiunque pratichi il lavoro sessuale. Andando ben oltre il «Chi sono io per giudicare?» di Papa Francesco a proposito dell’omosessualità, la Vergine mette in piedi un elaborato dispositivo illusionistico che consente a Beatrice di sperimentare, per tutto il tempo necessario, la propria corporalità – anche in modalità non conformi alle norme religiose e sociali.

A sorprendere è la distanza tra l’azione di Maria in questo racconto e la sequela di valori che le vengono attribuiti dal catechismo domenicale – dalla rinuncia al piacere fisico alla sottomissione cieca a un Dio che concepisce i rapporti amorosi solo entro rigide norme.

Come se non bastasse, il resoconto non proviene da un libello anticlericale dai toni boccacceschi: il religioso che ne firma la versione più antica lo riporta in mezzo a un’ampia casistica di miracoli, inquadrandolo come ennesimo segno della misericordia della madre di Gesù. Eppure saremmo in difficoltà a definire «mariano» il comportamento della Madonna di Cesario di Heisterbach, perché da sempre il mio nome di battesimo è sinonimo di adesione all’ortodossia cattolica, obbedienza e umile remissione alle gerarchie. La Maria travestita da suora, complice tollerante di una renitente ai voti che vende il proprio corpo, si trova agli antipodi rispetto alla figura venerata sugli altari. Quali potenziali forme di resistenza si nascondono dietro narrazioni tanto più sorprendenti quanto più devianti?

In God Save the Queer Michela Murgia chiama «vantaggio narrativo» il potere della Chiesa di decidere per tutti e tutte quali rappresentazioni della divinità esprimano l’ortodossia e quali siano «inferiori, deviate o non rilevanti»: quel potere di rappresentazione collettiva è

«un potere di privilegio [e] nella pratica sarà sempre il privilegiato a decidere la forma di Dio per tutt3» (Murgia 2022, p. 54).

Ripercorrendo la storia del cristianesimo, la scrittrice individua un momento chiave nella sua promozione a culto di Stato: in quel momento, «disegnare Dio a propria immagine fu il modo in cui le classi privilegiate riuscirono a rendere letteralmente sacrosanto il dislivello dei diritti che c’era da prima» (p. 59) – e poiché quel Dio aveva l’aspetto «di un anziano maschio bianco solo al comando» (p. 62), il cristianesimo offrì anche un prezioso (e solido) puntello al sistema eteropatriarcale.

Michela Murgia si era già occupata di egemonia narrativa in Ave Mary. E la Chiesa inventò la donna, evidenziando le strategie con cui la Chiesa aveva trasformato la Madonna in un modello che serve a rendere docili le donne: uno stereotipo culturale che attribuisce al femminile una naturale propensione alla tenerezza e all’accudimento, contrapposta alla razionale funzione di guida riservata all’uomo. Anche questa è una forzatura funzionale al sistema patriarcale, perché silenzio e remissione femminili sono virtù fondamentali per la costruzione di una famiglia tradizionale, basata sul matrimonio di una coppia eterosessuale, in cui autorevolezza morale, prestigio e forza psicologica sono monopolio del maschio. Partendo dal proprio vissuto, l’autrice aveva confessato di aver

«patito spesso rappresentazioni limitate e fuorvianti di [sé] come donna, il più delle volte contrabbandate attraverso altrettante povere interpretazioni della complessa figura di Maria di Nazareth» (Murgia 2001, p. 7).

Con il nome che porto, non mi sono mai sentito estraneo alla faccenda: al di là dei generi, quello denunciato dalla scrittrice è un

«imprinting culturale […] [che] continua a condizionare il nostro stare insieme da uomini e donne con tanta più efficacia quanto meno viene compreso e criticato» (Ibidem).

La scrittrice e regista Virginie Despentes.

Facendo eco a Michela Murgia, anche Virginie Despentes mi sconsiglia di pensare che il problema riguardi solo le persone credenti: in King Kong Theory l’autrice francese scrive lapidaria che «investire la madre di tutte le virtù significa preparare il corpo collettivo alla regressione fascista» (Despentes 2019, p. 22). Non è un caso se – anche nella società laica – la maternità è l’aspetto più glorificato della condizione femminile:

«La mamma sa cos’è giusto per il suo bambino, ce lo ripetono in tutte le salse, quasi avesse questo potere intrinseco straordinario. Replica domestica di quanto si profila a livello collettivo: […] uno Stato che si pone come madre onnipotente è uno stato fascistoide. Il cittadino di una dittatura torna allo stadio neonatale: pulito, sfamato, tenuto in fasce da una forza onnipresente, che sa tutto, che può tutto, che su di lui ha ogni diritto, per il suo bene» (pp. 21-2).

Avendo fatto mia l’idea che il mestiere di raccontare sia una pratica di resistenza e che – per dirla con le parole di Wu Ming – «l’unica alternativa per non subire una storia è raccontare mille storie alternative», nell’estate 2020 ho raggiunto la cittadina francese in cui il mio nome si è caricato di risvolti sinistri nella maniera più esasperata: Lourdes, la sede del santuario mariano più importante della cristianità.

In quella remota periferia francese, a dominare (e saturare) la scena sono due figure femminili le cui storie sono state plasmate con una cura maniacale da una congrega di soli uomini: la veggente Bernadette e la Madonna. Da illusionista, quelle versioni rivedute e corrette mi ricordano la luce che abbaglia il pubblico per nascondere l’istante in cui avviene il prestigio.

Se fossi un debunker, mi affretterei a togliere la corrente e gridare al pubblico che la regina è nuda, ma la mia militanza nel Cicap è solo un lontano ricordo. Non ho raggiunto Lourdes per sottrarre incanto agli episodi di veggenza, mostrandone punti deboli e incoerenze con uno spietato fact checking. Ad attirarmi in quel luogo è stata una veggente rimossa dalle cronache, che di Bernadette fu l’immagine in negativo: una donna chiamata Joséphine Albario, che al destino della santa preferì la libertà delle «cattive ragazze» e pagò la sua scelta subendo la demonizzazione e la condanna all’oblio.

La disobbedienza di Joséphine Albario in un santino ucronico disegnato da Lorena Canottiere, tratto dal libro di Mariano Tomatis.

Atterrito dalla deriva totalitaria di Lourdes, che al mio nome ha associato virtù utili a perpetuare un sistema oppressivo e liberticida, trovo sterile il semplice appello alla ragionevolezza. Contrapporsi alla gentrificazione dell’immaginario impone, al contrario, di diventare veggenti migliori. Italo Calvino nelle sue Lezioni americane individuava nella capacità di vedere una virtù fondamentale del nostro tempo:

«Se ho incluso la Visibilità nel mio elenco di valori da salvare è per avvertire del pericolo che stiamo correndo di perdere una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi» (Calvino 2002, p. 103)

L’autore faceva riferimento all’immaginazione

«come repertorio del potenziale, dell’ipotetico, di ciò che non è né è stato né forse sarà ma che avrebbe potuto essere» (p. 102).

Prima di partire, avevo trovato la stessa allusione ai futuri potenziali in un libro della sociologa Ruth Harris, che in Lourdes. Corpo e spirito in un’epoca secolarizzata aveva negato che la trasformazione del santuario in un presidio ultrareazionario fosse «ine­vitabile, perché Lourdes avrebbe potuto svilupparsi in un’infinità di modi diversi» (Harris 1999, p. 10). Facendo tesoro della veggenza di Joséphine Albario ed esplorando per suo tramite la regione da cui originano i possibili, le biforcazioni e le alternative, mi sono imbattuto in una Lourdes inedita e sorprendente – quella che suggerì a Ruth Harris quell’ucronia che non si è realizzata ma avrebbe potuto.

Mariano Tomatis, La veggente indecorosa di Lourdes. Storia proibita di Joséphine Albario, Eris Edizioni, Torino 2022, con le illustrazioni di Lorena Canottiere.

Il diario del viaggio che ho condotto per riportare alla luce quella controstoria è diventato un libro che inaugura la collana BookBlock+ di Eris Edizioni. La veggente indecorosa di Lourdes. Storia proibita di Joséphine Albario muove dal margine di una donna dall’esistenza travagliata per riportare alla luce – come da uno scavo archeologico – una città cancellata dalla storia, fatta di transfemminismo, autodeterminazione dei corpi e lotte per la terra.

Per evocarne il fantasma, mi sono avvalso delle incantagioni di un nutrito esercito di fattucchiere, da Clara Gallini a Silvia Federici, da Filo Sottile a Giulia Blasi, da Marian Donner a Lorena Canottiere, da Stefania Consigliere a Sandra L. Zimdars-Swartz (e quanto mi è stato prezioso il contributo di Rachele Cinerari!).

Adottare questa prospettiva getta una luce trasversale su questioni apparentemente distanti, come gli incontri ravvicinati del terzo tipo. Durante la presentazione del romanzo UFO 78 a Mompantero (TO), Wu Ming 1 ha risposto a una domanda sul metronotte Pier Fortunato Zanfretta, che nel 1978 fu rapito dagli alieni per undici volte. Pur esprimendo incredulità, lo scrittore si è detto affascinato all’idea che – se si presta fede alla “vulgata” ufficiale – degli extraterresti che viaggiano attraverso le galassie scelgano di manifestarsi in un piccolo borgo di provincia come Marzano di Torriglia (GE).

Pier Fortunato Zanfretta, il metronotte rapito dagli alieni.

Facendo notare che anche le apparizioni mariane sembrano prediligere il margine, non solo geografico (Lourdes come la frazione dell’entroterra genovese) ma anche di provenienza di classe (Joséphine come Bernadette era nata in una famiglia poverissima), nella stessa sede ho citato la balzana teoria secondo cui gli alieni sceglierebbero di apparirci nelle vesti della Madonna e dei santi per non spaventarci, adottando a tale scopo codici comunicativi per noi rassicuranti (è l’ipotesi che ufologi come Corrado Malanga e Roberto Pinotti chiamano fenomeno B.V.M. con un acronimo che sta per Beata Vergine Maria).

A evidenziare le continuità e sovrapposizioni tra i due fenomeni era stato un lettore tedesco del romanzo, che alla presentazione di Macerata del 29 ottobre 2022 aveva commentato:

«Quando gli italiani hanno cominciato a vedere gli Ufo è stato un passo avanti, perché prima vedevano la Madonna che piangeva.»

Annuendo divertito, Wu Ming 1 ha fatto notare che «è come se ci fosse una casella dell’universo simbolico dove o c’è la Madonna, o ci sono gli Ufo» – e scoprire che entramb3 prediligono le soggettività oppresse e marginali suggerisce opportunità narrative da non lasciarsi sfuggire, nella prospettiva di una scrittura resistente. Cogliendo la necessità di lavorare su quel materiale al di là del semplice debunking, Wu Ming 1 ha tenuto insieme critica e incanto concludendo:

«Sono super scettico nei confronti del racconto di Zanfretta però riconosco in questa storia degli elementi molto potenti e molto affascinanti, molto interessanti. Sono storie che continueranno a interrogarci, non le liquidiamo semplicemente smontandole, trovando la spiegazione razionale. Rimarrà sempre un nocciolo che continuerà – in qualche modo – a intrigarci e interrogarci. Io penso che il mestiere dello scrittore sia lavorare su quel nocciolo lì.»

Nel suo ultimo libro, chiedendosi come ci si difenda da chi cerca di propinarci un’unica versione di Dio (o della Madonna) per convincerci che sia la sola a cui dobbiamo attenerci, anche Michela Murgia propone l’antidoto della molteplicità:

«La soluzione a quell’immaginario stereotipato non è sopprimere la narrazione, ma moltiplicarla, aumentando le storie e rendendo ogni fiaba relativa, solo una delle tante possibili, non l’unica e di certo non l’ultima» (Murgia 2022, p. 68).

La Madonna che si mimetizza di Cesario di Heisterbach, l’indecorosa Joséphine Albario – e con loro, l’Immacolata Concezione di Lourdes (che appare nelle terre comuni per consacrare il concetto di proprietà collettiva) e le prime indomabili fedeli (che abbattevano le recinzioni erette dalla polizia, prefigurando le Fomne contra ’l Tav valsusine) – sono solo alcune delle schegge impazzite che mettono in crisi la narrazione dominante, sfidano la cupezza del non-c’è-alternativa e ci offrono quella che Ehn Nothing chiamava

«una discendenza da cui trarre motivazione per riscaldarci quando ci sentiamo spezzat3 sotto il peso di questo mondo miserabile» (Rivera & Johnson 2021, p. 15).

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Ho scoperto la vicenda di suor Beatrice leggendo il libro di Sandra L. Zimdars-Swartz, Encountering Mary, Avon Books, New York 1991, p. 6. La prima versione della storia è trascritta in Cesario di Heisterbach, Dialogus Miraculorum, vol. 2, J. M. Heberle, Colonia 1851 (“De Beatrice custode”, cap. 34, pp. 42-3). Sulla vicenda è disponibile la ricca dissertazione di Luisa Ferrini, Beatrijs. La leggenda della sacrestana, Edizioni ETS, Pisa 2004.

Le citazioni nel post sono tratte dai seguenti testi:

Ruth Harris, Body and Spirit in the Secular Age, Penguin, Londra 1999.
Michela Murgia, Ave Mary. E la chiesa inventò la donna, Einaudi, Torino 2001.
Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Mondadori, Milano 2002 (I ed. 1988).
Virginie Despentes, King Kong Theory, Fandango, Roma 2019.
Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson, Azione travestite di strada rivoluzionarie, Edizioni minoritarie, Bologna 2021.
Michela Murgia, God Save the Queer, Einaudi, Torino 2022.

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