[Ieri, durante la «Giornata mondiale dell’ambiente», la classe dirigente bolognese ha subito due contestazioni da parte dei movimenti contro il malterritorio, la cementificazione e le grandi opere che stanno per abbattersi sulla città, in primis il cosiddetto «Passante di Bologna».
Da tempo esponenti della giunta e lo stesso sindaco Lepore devono fare i conti con simili proteste, ma quelle di ieri venivano dopo le recenti alluvioni, e soprattutto dopo i penosi, sguaiati tentativi – da noi documentati – di negare l’evidenza. L’evidenza di politiche che hanno devastato il territorio. Il fatto che le azioni siano avvenute nel giro di poche ore, mandando all’aria i rituali della farlocca «partecipazione» à la bolognaise, segnala che i responsabili del malterritorio non possono più metterci la faccia impunemente.
La prima contestazione, a cui eravamo presenti, ha interrotto e infine fatto saltare un momento di smaccato greenwashing, organizzato all’auditorium Enzo Biagi della centralissima Sala Borsa. Titolo della cerimonia: «Bologna missione clima. Salute, diritti ed economia alla prova della crisi climatica». Le officianti erano la vicesindaca Emily Clancy e Anna Lisa Boni, che sarebbe l’assessora a… Mica facile dirlo, gli assessorati non hanno più un nome, solo interminabili, barocchi elenchi di improbabili deleghe. Ecco quelle di Boni: «Fondi europei, cabina di regia PNRR, coordinamento transizione ecologica, patto per il clima e candidatura “Città carbon neutral”, relazioni internazionali» C’era anche, collegata da Baltimora, la virologa Ilaria Capua (mah!).
La seconda contestazione è avvenuta subito dopo, pochi chilometri più a sud, a un incontro pubblico sul cosiddetto «Nodo di Rastignano», una bretella d’asfalto il cui cantiere si è insediato al parco del Paleotto dopo un violentissimo disboscamento… per poi essere spazzato via dalla piena del Savena. L’incontro, però, non aveva il fine di ridiscutere l’opera con cittadine e cittadini, ma di spiegare che l’indiscutibie ripresa dei lavori non avrebbe interrotto la viabiità. C’erano la sindaca di Pianoro Franca Filippini e – collegata via telefono – Valentina Orioli, assessora a Bologna con deleghe a «Nuova mobilità, infrastrutture, vivibilità e cura dello spazio pubblico, valorizzazione dei beni culturali e Portici Unesco, cura del patrimonio arboreo e Progetto impronta verde». C’erano anche altri amministratori della cintura bolognese e della Città metropolitana, ma il ruolo principale era stato ritagliato per «i tecnici dell’impresa esecutrice dei lavori». Impresa curiosamente mai nominata, nemmeno nella locandina dell’evento. L’anodino ordine del giorno non ha retto al fuoco di fila di interventi e domande puntuali, a cui tecnici e politici hanno risposto da un lato chiamando i carabinieri, dall’altro farfugliando e non andando oltre il «si deve fare».
Alcune persone presenti a entrambe le azioni hanno scritto un dettagliato resoconto della giornata, che ci sembra importante proporvi. Buona lettura. WM]
Con quella faccia un po’ così
Se ne sono viste troppe, davvero troppe.
Mesi, per non dire anni, per non dire decenni, in cui i rappresentanti del Comune, della Città Metropolitana di Bologna e della Regione blateravano del loro grande impegno contro l’emergenza climatica e nel frattempo approvavano progetti di cementificazione o cantieri per la classica «opera che il territorio attende da trent’anni».
Così, con la stessa faccia con cui Matteo Salvini parla di un Ponte sullo Stretto “green”, abbiamo visto presentare colate di cemento, «Disneyland del cibo», giardini asfaltati, nuovi stadi, nodi stradali al posto degli alberi di un parco naturale, autostrade che finiscono nel nulla, ferite in montagne che andrebbero difese, leggi regionali contro il consumo del suolo che aumentano il consumo del suolo. Solo che a furia di avere quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, prima o poi qualcuno te lo fa notare.
Specialmente quando un evento come l’alluvione di queste settimane strappa i vestiti al re, che invece di fermarsi un momento e ammettere gli errori commessi continua a invocare l’esigenza di «stringersi a coorte» per ripartire come prima e più di prima, magari immaginando di allestire delle «task force».
«We are not fucking angels», si ricordava durante l’assemblea popolare del 27 Maggio scorso (qui tutti gli interventi). Ma, per quanto da più parti si stia gridando ad alta voce, chi governa la città ha una spocchia tale da non rendersi conto di quanto le sue iniziative appaiano come autentiche provocazioni.
Mission impossible
Questo clima si è palesato ieri, in Sala Borsa, la biblioteca centrale della città, ad un evento dal titolo «Bologna missione clima», che prevedeva la presenza dell’assessora alla transizione ecologica Anna Lisa Boni e della vicesindaca Emily Clancy. Il titolo dell’evento era una provocazione: «Salute, Diritti ed Economia alla prova della crisi climatica», ma nessuno dall’alto è sembrato accorgersene.
Eppure l’assessora era già stata contestata insieme a Daniele Ara – assessore PD con deleghe alla scuola – in un evento precedente del tutto simile a questo. Evidentemente la lezione non è servita.
Nel suo intervento, Boni – che per essere più friendly ha chiesto di essere chiamata Anna Lisa – ha chiamato a raccolta le forze dei privati per sfruttare le occasioni offerte dalla transizione energetica e dai fondi del PNRR. Clancy, intervenuta subito dopo, ha insistito più volte sul coinvolgimento delle aziende e sulla partecipazione dei soggetti sociali. Grandi assenti da entrambi i discorsi due opere da tempo ampiamente contestate per il loro forte impatto climatico e sulla salute: l’allargamento della Tangenziale/A14 (aka «il Passante») e il cantiere (o meglio, il «fu cantiere») del Nodo di Rastignano, legato all’amministrazione della Città Metropolitana.
Dopo le loro presentazioni, un esponente della galassia contraria a queste due grandi opere ha preso la parola, mentre attorno si alzavano cartelli e striscioni. Tra le altre cose, l’intervento ha rimarcato una delle tante contraddizioni: sebbene il Comune si ostini a sventolare l’idea di essere «Carbon Neutral» (come se il problema fossero solo le emissioni di CO2, e solo quelle di Bologna), la stessa Società Autostrade ha già ampiamente ammesso che il Passante provocherà l’aumento del transito di auto (si prevede +25mila al giorno) e dunque di quelle stesse emissioni (tra molte altre).
Passante must (not!) go on
L’intervento deve aver sorpreso parecchio. Anche perché subito prima Clancy si era fatta carico delle istanze dal basso con una retorica piuttosto comune da parte di chi amministra questi territori:
«A volte i movimenti sono più coraggiosi delle istituzioni quando si tratta di cambiamento climatico. Credo che le piazze degli ultimi anni ce lo abbiano fatto vedere in modo molto chiaro».
Proprio quelle piazze e quei movimenti si sono ampiamente espressi contro quest’amministrazione: non solo il 22 Ottobre trentamila persone hanno marciato sulla tangenziale per protestare contro il suo allargamento, ma più di recente Fridays For Future ha rimarcato il proprio dissenso alle politiche del Comune interrompendo un altro evento dal titolo provocatorio, il «Festival della sostenibilità». In quell’occasione doveva essere presente il sindaco Lepore, che però non si è fatto vedere.
Nella sua risposta la vicesindaca ha rimarcato che alcune opere, tra cui il Passante, sono state decise da molto tempo a livello locale, regionale e nazionale. Sono «in contraddizione col nostro tempo storico» ma ormai è andata, bisogna essere «realisti, non ideologici» (quasi nello stesso momento, stava dicendo le stesse cose Giorgia Meloni), e dunque si può solo approvarle per poi mitigarne alcuni impatti.
Su queste presunte mitigazioni è già stata fatta chiarezza da tempo. Il bello è che, senza accorgersene, la stessa Clancy ne ha denunciato la logica, prima ancora che partisse la contestazione. Ha infatti sostenuto che l’inquinamento da traffico va contrastato con provvedimenti di larga portata, per non scaricarne la responsabilità su chi non può permettersi un’auto elettrica. Peccato che Autostrade per l’Italia, nel valutare l’impatto futuro del Passante, abbia ampiamente sovrastimato il rinnovo del parco auto cittadino, sposando proprio la prospettiva contestata (a parole) da Clancy: «Perché preoccuparsi del biossido d’azoto? Tra vent’anni avremo auto che depurano l’aria. Basta aspettare!»
Alla fine, il discorso di Clancy si riduce a: «il Passante fa schifo, ma noi potevamo giusto spruzzarlo di verde, perché non contiamo niente». E allora perché non prendere la posizione giusta, invece che dare il proprio «sì» al progetto? Si sarebbero mantenute dignità e credibilità, si sarebbero evitati veleni e lacerazioni, nella politica cittadina sarebbe risuonata una voce diversa da quella del partito del cemento. Ma non poteva andare così, perché il sì al Passante è stato la merce di scambio tra PD e Colazione Civica per portare quest’ultima al governo. Clancy è vicesindaca perché ha accettato il Passante.
Non ora, non qui
«Non è questa la sede!», hanno continuato a ribadire Boni e Clancy dopo l’interruzione del dibattito, invitando a un dialogo in momenti dedicati.
Peccato che, da più di un mese, tutti i lunedì Piazza Maggiore ospiti una rumorosa «Spentolata», durante la quale si chiede a gran voce una valutazione di impatto sanitario del Passante. In realtà la richiesta è stata avanzata più di un anno fa. L’amministrazione Lepore-Clancy non si è mai degnata di rispondere.
Il problema, dunque, è che la «sede giusta» non esiste. Per quanto ci riguarda, ogni sede è giusta.
Soprattutto, non può non stupire che in un evento dedicato al clima, in cui la «salute» è ripetutamente tirata in ballo con tanto di intervento di Ilaria Capua, sia omesso il tema dell’impatto sanitario del Passante.
La provocazione è stata tale che chi stava protestando e spentolando in piazza, a venti metri dalla sede dell’incontro, ha deciso di entrare in Sala Borsa e interrompere l’evento: chi prima non voleva sentire è stato costretto a farlo.
Quando l’evento è stato annullato, il pubblico presente si è allontanato, ignaro di avere in tasca un volantino pirata che si mimetizzava perfettamente tra il materiale di propaganda del Comune.
«È surreale il problema che questo governo ha col dissenso», dichiarava poche settimane fa Elly Schlein, dopo la contestazione alla Ministra Roccella al Salone del Libro di Torino.
«Piantatela con queste buffonate», ha detto ieri l’assessora Boni, indispettita dalle critiche. Le proteste vanno bene solo quando sono contro la maggioranza attualmente al governo nazionale; quando invece a essere chiamati in causa sono gli amministratori nostrani, i discorsi cambiano.
E quando non si riesce a schivare la protesta, come ha fatto Lepore un mese fa, e non si riesce nemmeno a dare la colpa ad altri, si possono sempre chiamare le forze dell’ordine, come avvenuto ieri in un’altra occasione, l’evento «Nodo di Rastignano. Le prossime fasi di lavorazione».
«Non è all’ordine del giorno!»
Il Nodo di Rastignano è un asse stradale ai piedi del Parco Paleotto che affianca il fiume Savena. Come si ricordava qui, per insediare il cantiere dell’opera si sono abbattuti più di millecento alberi, e ora quel cantiere non esiste più: l’alluvione l’ha spazzato via, tanto per ricordarci che il limite è stato già abbondantemente superato. Eppure, l’idea è quella di proseguire come prima, anzi, più di prima.
Franca Filippini, sindaca di Pianoro, ha tenuto fin da subito a precisare che quello era un incontro solo tecnico sulla viabilità. «Oggi non si parlerà dell’alluvione», ha detto, cosa che ha fatto infuriare non poche persone presenti in sala. Qualcuno ha gridato: «È inaccettabile che non si parli di quel che è successo!», e sono partite le contestazioni.
Dopo un paio di interventi, sono arrivati i carabinieri, chiamati dalla sindaca, e si sono disposti all’entrata. Agenti in borghese riprendevano e identificavano.
«L’alluvione non è all’ordine del giorno!», hanno continuato a ripetere amministratori e tecnici. Pare però che il meteo non sia d’accordo: durante il weekend nuove piogge hanno causato altre frane e allagamenti in mezza regione.
Numerosi gli interventi, incalzanti le domande: «Qualcuno di voi è disposto ad assumersi la responsabilità di dire che l’esondazione del Savena non c’entra col disboscamento?»; «Qualcuno di voi si assume la responsabilità di dire che il cambiamento climatico non c’entra con questo continuo sperpero di miliardi di euro per incrementare ancora il traffico privato?»
A parlare sono stati soprattutto i tecnici dell’impresa esecutrice, segno di un ulteriore elemento di tendenza: la politica si è auto-esautorata, la sua unica funzione è quella di porsi al servizio dei soggetti privati che materialmente cementificano il territorio. Governa direttamente il capitale.
Curiosità: qualcuno ha chiesto ai suddetti tecnici il nome dell’impresa per cui lavorano, visto che sulla locandina non c’era. Hanno reagito in modo stizzito, lamentando che si stava alludendo a «illeciti» – cosa che nessuno aveva fatto, si era solo chiesta un’informazione basilare – e in definitiva non hanno risposto, dicendo che «è tutto agli atti».
Per un bizzarro scherzo della tecnologia, mentre uno di costoro parlava, recava proiettata sulla fronte la scritta «ECO DEMOLIZIONI», invisibile dal tavolo dei contestati ma vistosissima dalla sala.
I politici, non potendo fare scena muta, a qualche domanda hanno dovuto rispondere. Il Nodo di Rastignano è stato difeso dicendo che è un’opera «progettata da decenni» – appunto, intanto è cambiato il mondo! – e che chi vive sull’Appennino ne ha bisogno perché ci sono pochi mezzi pubblici. «Ma non avete sempre governato voi del PD?», ha chiesto qualcuno. «Chi altri li ha tolti i mezzi pubblici se non voi?»
A quel punto un assessore del Comune di San Lazzaro ha avuto un attacco di collera e ha gridato a chi contestava: «E voi, voi come ci siete venuti qui? Siete venuti in bici o in macchina?» A parte che molte persone erano venute coi mezzi, questo è un classico escamotage da disperati: la responsabilità della classe dirigente che approva sempre più colate d’asfalto non è la stessa del cittadino che per spostarsi usa o deve usare l’automobile.
Un altro amministratore ha detto: «io parlo continuamente con gente che mi dice di volere strade, bisogna pure tenerne conto, bisogna mediare diversi interessi».
All’incontro c’era anche Valentina Orioli, assessora del Comune di Bologna, ma «a distanza», presenza assente che l’ha tenuta al riparo. Ha parlato solo verso la fine dell’incontro, dicendo che «per problemi di collegamento» non aveva potuto ascoltare la discussione, ma ribadendo che si tira diritto coi progetti e coi cantieri.
This is the way
Si era detto già all’assemblea del 27 Maggio: è finita l’epoca in cui gli esponenti di amministrazioni cittadine, metropolitane e regionali potevano mostrarsi in pubblico con la sicumera di chi parla di emergenza climatica senza che le sue responsabilità gli vengano rinfacciate.
Prima che le anime belle di turno gridino alla «violenza» o al «fascismo degli antifascisti», si sappia che questa è una pratica molto comune in giro per il mondo. In Spagna e in America Latina viene chiamata «escrache» e ha lo scopo di non lasciare passerelle mediatiche a chi esercita violenza rifiutandosi di ascoltare le istanze urgenti della società.
Non piace? Ci mancherebbe altro! Le proteste sono state finora fin troppo educate, vista la situazione.
Ci sono altri modi di protestare? Certo, ed è facile parteciparvi. Per seguire quel che accade si può fare riferimento ai canali Telegram «Lotta al passante: eventi» e «Bolognesi contro il passante», oltre che alle assemblee dei numerosi gruppi coinvolti.
In più, ogni lunedì in Piazza Maggiore una spentolata chiede rumorosamente la valutazione di impatto sanitario e viste le risposte continuerà a farlo.
Inoltre:
Dal 9 all’11 Giugno ci sarà la «Bicitendata No Passante», una Critical Mass che inizierà alle 17 dal parchetto dell’ex XM24. Portare una maschera e il necessario per accamparsi.
Il 10 Giugno Extinction Rebellion prevede di occupare un tratto della Tangenziale/A14 interessato dal progetto di allargamento.
L’11 Giugno, al Parco di Villa Angeletti, dalle 11 del mattino si terrà il (FE)STIVALe con incontri e musica fino a sera per raccogliere fondi a sostegno delle popolazioni alluvionate.
Infine, il 17 Giugno alle 16 è prevista una manifestazione dal titolo «10.000 stivali» con partenza da Piazza XX Settembre e corteo «per portare sotto la regione il fango che abbiamo spalato». Obiettivo dichiarato: una moratoria contro il Passante e il rigassificatore di Ravenna.
Ma è bene essere spicci: al di là delle iniziative già in calendario, se vogliamo risvegliarci dal torpore degli ultimi anni è necessario ripartire dalle basi.
Mai come ora la devastazione dei territori è sotto i nostri occhi. Per prendere parola basta un po’ di voce, un cartello, a volte anche meno. Un pizzico di coraggio, un briciolo di fantasia. Un tanto di dignità.
Quella che manca a chi ci governa.
Tra le varie cose interessanti (e più o meno avvilenti) secondo me va sottolineata fino a farne chiave per tutte le possibili manifestazioni, proteste e analisi, quello che una volta di più “confessano” i politici/amministratori: non comandano loro. Non è certo una novità, e non è certo uno specifico locale, ma a me pare spieghi molto del fastidio che si ha verso la protesta. “Ve la prendete con noi ma non capite che c’entriamo poco”. La seconda parte della frase è verissima le conseguenze non sono certo quelle che traggono loro ma è importante avere chiara l’interscambiambilità del personale politico. Lepore come Bonaccini, come Meloni, come Draghi, come Conte, come Gentiloni per una transizione che è quasi completatata, il dominio dell’economia sulla politica detta in modo superficiale. Per quanto criticabile – e lungi da noi qualsiasi passatismo – il personale politico della prima repubblica interagiva più o meno da pari a pari con i gruppi di potere perché attingeva a risorse, primo il tanto vituperato “partito”, che l’avanzata del capitalismo ha disgregato. Distrutti i centri di mediazione, il partito, il parlamento, i consigli regionali e comunali, sono rimasti dei terminali chiamati “presidenti”, “governatori”, “sindaci”, “ministri” senza nessuna passione politica, interessati ai propri percorsi personali, strumenti per la realizzazione da parte dei gruppi di potere del sogno di essere impermeabili a qualsiasi risultato elettorale. Non voglio certo dire che vanno lasciati in pace, ma ricordarsi che questi sono interlocutori “parziali”, impsotare con loro la discussione e la stessa contestazione provando a trascinarli nelle consapevolezza della loro inutilità sono convinto che possa avere qualche utilità.
Considerazione ineccepibile, robydoc. Si potrebbe dire che proprio perché non contano più niente, gli amministratori possono essere di formazione culturale e qualità professionale sempre più scadente. Io credo che tutto sommato loro stessi ne siano consapevoli, e che riescano a raccontarsela, ogni mattina, allo specchio, a convincersi di poter fare una seppur minima differenza. Tuttavia non dimentichiamoci che ad aiutarli in questo c’è un incentivo materiale.
Gli eletti (da una minoranza di elettori) e assurti alle cariche amministrative (spesso ben pagate o anche molto ben pagate), hanno intrapreso carriere politiche. C’è una convenienza immediata nell’accettare certi compromessi. Se gli amministratori non contano più niente e si limitano a vidimare, intanto si svoltano la carriera, piccola o grande che sia. Così, magari predicando contro la piaga del precariato e la devastazione del territorio, intanto garantiscono la salvezza per se stessi/e. Questa cosa, devo ammetterlo, personalmente faccio un po’ fatica a passarla in cavalleria. Quindi ok, proviamo pure a «trascinarli nella consapevolezza della loro inutilità», è un tentativo che va fatto probabilmente. Sospetto però che gli altri argomenti siano più forti della nostra dialettica.
Contestare gli amministratori per mostrarne tutta l’ignavia, l’incompetenza, l’ignoranza e portarli ad ammettere che i territori li governa e amministra direttamente il capitale – che si tratti di Autostrade SpA o delle grandi imprese della logistica, di Ryanair o di AirB&B, delle lobby del cemento o dell’automotive – di cui loro sono poco più che passacarte, va bene perché questa situazione deve emergere in modo chiaro e netto. Al tempo stesso, però, si dovrebbe trovare il modo di scavalcare i lacché e contestare direttamente i capitalisti. Poco più di una decina d’anni fa, un po’ a causa della strage di Viareggio un po’ per quel che stava accadendo intorno al TAV in Val Susa, Mauro Moretti, allora amministratore delegato di Ferrovie dello Stato SpA – che come altre società del genere era al tempo stesso organismo di diritto pubblico, soggetto privato e comitato d’affari per altri soggetti privati – subì una lunga serie di contestazioni che gli resero sgradevoli parecchi impegni pubblici. Non sempre si può arrivare a un amministratore delegato, ma per causare un danno d’immagine vanno bene anche manager di rango inferiore, caporioni locali, direttori dei lavori… Contestare i momenti pubblici in cui il capitale presenta in pompa magna i suoi progetti, in cui si autocelebra, in cui fa greenwashing è più che fattibile.
“Si potrebbe dire che proprio perché non contano più niente, gli amministratori possono essere di formazione culturale e qualità professionale sempre più scadente”.
Penso sia utile considerare che anche (forse soprattutto) per questa gente il tempo stringe, nel senso che gli/le impiegatə e amministratrici/tori della cosa pubblica fanno parte di una delle (se non LA) principale categorie in fase avanzatissima di estinzione. Forse lo sanno, magari se ne rendono conto; molto probabilmente se ne fregano e anche in questo caso fanno spallucce immaginando che la pervasiva nonché obbligatoria digitalizzazione orientata alla pianificazione degli spazi viventi li scanserà.
Chissà se questo variegato insieme di (in)competenze, intelligenze, (in)esperienze si sia mai posto la domanda su cosa potrebbe accedere alla loro “carriera” nel momento in cui, per il riconoscimento dei problemi da considerare in rapporto alle situazioni in cui un progetto va ad agire, non serviranno più interlocutrici/tori sul territorio (come “de facto” già avviene anche se in maniera non ufficiale) in quanto l’iter burocratico in toto, per questioni di “efficienza”, sarà affidato ad un sistema di intelligenza artificiale generativa. Roba da fantascienza, vero?
Personalmente sono d’accordo con quel tizio che ipotizza che:
«Il capitalismo [sia] un Intelligenza Artificiale adattabile che apprende automaticamente/autonomamente come estrarre vita dalla biosfera con sempre maggiore efficienza e senza un fine logico».
@Dude, solo una mini-precisazione:
occhio a non confondere gli “amministratori”, che negli enti pubblici sono cittadini eletti, con i funzionari, dipendenti, tecnici che fanno funzionare l’amministrazione (pubblica).
I primi appunto si occupano degli indirizzi politico/amministrativi e sulle relative singole competenze (spesso troppo poche) e motivazioni si può ulteriormente approfondire: nei comuni ed enti più piccoli spesso la motivazione è semplicemente un misto di voglia di aiutare partecipando attivamente e di desiderio di apparire ed essere visibile alla comunità, mentre in quelli più grossi, come scritto sopra, spesso si tratta del primo passo di una carriera da politicante o la ricerca di posizioni “prestigiose” che diano rendite di posizione. (Con tutte le sfumature intermedie possibili fra piccoli e grossi, anche nei piccoli si cercano rendite di posizione).
I secondi invece non sono eletti: sono assunti o incaricati. Si tratta di dipendenti o consulenti.
Poi, quanta “coscienza di classe” alberghi in ciascuno di essi può essere oggetto di ulteriore dibattito, ma non sovrapporrei le due categorie in termini di responsabilità nell’indirizzare le scelte politiche e i fondi.
Mini-precisazione dovuta.
Però c’è un però: come si legge anche nel pezzo sopra, sono tecnici e consulenti insieme all’amministrazione che, oltre a tenere banco durante gli incontri con la cittadinanza, si occupano, in fase di sviluppo dei progetti di rilevamenti, compilazione moduli, consulenze con residenti e “non addetti” etc. Un ruolo insomma fondamentale.
Possiamo anche non sovrapporre i ruoli l’uno sull’altro in termini gerarchici, di remunerazione, di potere politico.
Ma.
In quanto a responsabilità sulla effettiva esecuzione materiale di un qualsiasi progetto, se immaginiamo quest’ultimo come un continuum che parte dalla fase di ideazione fino ad arrivare a quella di inizio lavori, tecnici/consulenti, a libro paga o liberə professionistə che siano, rappresentano un nodo di giuntura importante tra l’amministrazione e l’opera realizzata. Indispensabili ma, ripeto, a breve sacrificabili sull’altare dell’efficienza.
Sarebbe forse opportuno, per loro, per tutti, che si crei invece una rottura. Certo, costerebbe sacrifici…ma sarebbe solo un anticipare i tempi, a mio parere.
Non è tanto una questione di «responsabilità nell’indirizzare le scelte politiche e i fondi». Come si vede chiaramente la politica di palazzo non può più nulla. È più un problema relativo alla ampia sensazione di impotenza che pervade la categoria di cui tu parli.
Comunque di questi temi ha trattato in maniera estremamente più esauriente e utile Bifo nel suo «Futurabilità». Te lo consiglio.
Il Testo Unico degli Enti Locali prevede una separazione netta fra le figure di pianificazione e direzione politica e quelle tecnico-amministrative. Come dice Cugino le prime, elette, impartiscono le direttive, le seconde, non elette, trovano la soluzione per applicare quelle direttive. Ma a valle della legge c’è la realtà.
Il dirigente assunto tramite concorso può anche rifiutarsi di usare i soldi del PNRR per rifare la pavimentazione della piazza del paese, sostanzialmente non gli succede niente. Ma non pochi dirigenti sono consulenti, incaricati direttamente dal sindaco (lo prevede lo stesso TUEL); questi non si rifiutano, dato che la consulenza è a carattere fiduciario.
Negli incontri, i cittadini spesso non sanno se il tecnico che hanno di fronte è titolare dell’ufficio o è un consulente a tempo; nella realtà, quindi, la situazione è quella descritta da dude: il confine fra le figure del politico e del tecnico è una fumosa terra di mezzo dove i ruoli si mescolano. Spesso l’assessore non sa che pesci prendere, e la sua direttiva è figlia di suggerimenti “tecnici”.
Per parafrasare un famoso libro, non di rado siamo di fronte a volenterosi carnefici degli interessi lobbistici.
Sarà che io sono sul fronte “tecnico”* e mi sento chiamato in causa, ma non condivido questo voler individuare «un nodo di giuntura importante tra l’amministrazione e l’opera realizzata» proprio nei dipendenti dell’amministrazione o nei consulenti (posto che l’affermazione iniziale di robydoc insisteva sui politici/amministratori locali che ormai non contano più niente).
O meglio, capisco benissimo l’argomentazione, che è anche in parte fondata, specie per quel che riguarda i grossi studi di consulenza e progettazione (la chiosa di Marcello è sensata), e la mia “non condivisione” è più emotiva che razionale, ma non vedo perché non estenderla.
Se vale per la partita iva che collabora a progettare le mitigazioni (magari un collaboratore a progetto, neolaurato) oppure per il R.U.P. prossimo alla pensione, perché non dovrebbe valere anche per l’autista del camion che trasporta i tondini di ferro per il C.A. ? O per chi materialmente fa la gettata di calcestruzzo?
O soprattutto, perché non estenderla a ogni cittadino, disinformato o meno, magari anche impegnato a vario titolo su questioni ambientali, che però quell’opera poi la usa e la userà e che costituisce quel “brodo di coltura” denso di “senso comune” nell’accezione più deteriore in cui il piccolo amministratore di cui sopra cerca il suo consenso? (cittadino che poi sarebbe pronto a criticare l’ipotetico R.U.P. ostruzionista per il disagio creato?)
*[almeno a livello teorico, e nel piccolo, comunque. E mi è anche capitato di rinunciare a una piccola commessa e a un potenziale buon cliente, per “obiezione di coscienza”, senza esplicitarlo, tanto per dire. Commessa tranquillamente poi andata in porto con qualcun altro].
Mah. A Trieste chi fa il bello e il cattivo tempo per quanto riguarda i lavori pubblici non è l’assessore, ma il Dirigente del Dipartimento Territorio, Economia, Ambiente e Mobilità. La demenziale ovovia che dovrebbe sventrare un intero versante boschivo per permettere ai crocieristi di salire direttamente dal terminale di sbarco all’altipiano sta talmente tanto a cuore all’ingegnere, che questi ormai dilaga in tutti i mezzi di comunicazione per perorare la causa dell’opera, alla faccia del “ruolo tecnico”. Nel frattempo in sette anni non è riuscito a far ripartire il tram Trieste-altipiano, linea che gli austriaci avevano completato in un anno (1 anno). E in un anno non è riuscito a far impermeabilizzare la volta della galleria di Montebello, la cui chiusura ha spaccato in due la città trasformando in un inferno la vita del rione operaio di San Giacomo. I politici sono pessimi, ma certi tecnici non sono da meno, e non sempre è chiaro chi comanda veramente.
Rischio di farla lunga e di non essere in topic, confido nella clemenza di tutti. In estrema sintesi: avete ragione tutti. Non è automatico prendersela con i “tecnici” (dagli ammministrativi ai geometri, diciamo generici dipendenti della pubblica amministrazione); non è sbagliato farlo (molti processi, visti da vicino, mostrano come la linea venga dettata da questi “tecnici”). Per quanto ne so una generalizzazione è molto difficile, da decenni si discute se “policy determines politics” abbia un qualche senso o meno.
Come tutti quelli che ci si sono scornati ho una mia idea, forse addirittura teoria, quello che però vale la pena ribadire è che l’identificazione del “nemico” – e dei livelli di inimicizia – a me pare importante per aiutarci a sprecare il meno possibile le nostre deboli forze. Nessuna assoluzione per gli ignavi e gli opportunisti, ma la necessità di cercarsi i grandi gruppi edili con relativi amministratori delegati (si finisce sempre nei tondini) per far sentire loro cosa ne pensiamo delle loro “visioni” secondo me va sottolineata.
Da oggi e per tutto il weekend a Bologna sono in programma varie iniziative e azioni contro il progetto che noi per semplicità chiamiamo ATA14, l’Allargamento fino a 18 corsie della Tangenziale e dell’Autostrada A14 nei 13 chilometri in cui scorrono una accanto all’altra, attraversando le periferie cittadine. Ciò che si vuole realizzare è il cosiddetto «Passante di Bologna». Che ancora non esiste.
Quando si dice «il Passante», ancora troppe persone non riescono a figurarsi di che si tratti.
Fino a qualche anno fa era il «Passante di Mezzo», nome usato per distinguerlo dalle altre due opzioni sul tavolo: «Passante Nord» (un nuovo tratto autostradale nella parte più settentrionale della provincia) e «Passante Sud» (traforo dei colli su cui, come cantava Guccini, Bologna tiene il culo). Ora non è più «di mezzo» in quel senso, ma sarebbe sicuramente in mezzo. In piena città, in mezzo ai maroni, in mezzo ai polmoni.
Del resto, anche «Passante» è un nome che crea confusione, richiama qualcosa che passa e va, mentre questo, se lo fanno, rimane. Va sempre spiegato che si tratta dell’Allargamento di Tangenziale e A14, e che sarebbe solo la prima di decine di altre colate d’asfalto intorno a Bologna. Così, tutto diventa più comprensibile.
Alcune delle iniziative sono elencate in fondo al post qui sopra, altre sono azioni di quelle che non si annunciano. Tra quelle che si annunciano c’è il (FE)Stival(E) a Villa Angeletti, domenica 11 giugno dalle 11 alle 23. In quella cornice, alle 20:30, interverrà anche un membro del nostro collettivo.
Intervento che va dunque ad aggiungersi agli appuntamenti pubblici di questi giorni, già diramati qui: oggi WM2 sarà a Pesaro, domani WM4 sarà a Cremona e il collettivo Nicoletta Bourbaki sarà a Monteriggioni (SI).
Sono un cittadino di Ferrara. Ormai sono sconfortato per come il mio territorio viene trattato e per come gli argomenti vengono trattati. Il nostro Delta ormai prosciugato e arginato sta soffrendo come non mai. Non ci sono strategia di accumulo di acqua nonostante una multiutility dai profitti enormi come Hera. Non ci sono strategie di salvaguardia delle colture locali nonostante i proclami. La pera che è il nostro fiore all’occhiello, esportata ovunque e che dà lavoro a tanti viene lasciata marcire da un batterio dal quale sembra non esserci cura. Vengono fatte opere inutili come un’idrovia quando sarebbe utile destinare risorse alla medicina di prossimità in un territorio tanto vasto quanto desolato e popolato in maggioranza da anziani. Realtà industriali, le poche, vengono abbandonate dal capitale: fox bompani di Ostellato in vertenza da 100 giorni e VM di Cento. È sconfortante come ci si trovi impotenti davanti a tutto questo dove dal basso nulla si riesca ad organizzare. Sembra che una patina di indifferenza avvolga questo territorio come già Bassani se ne era accorto.
Le battaglie di Bologna sono di tutti e dovrebbero essere di esempio anche qua. Ma soluzioni non se ne vedono all’orizzonte
Bonaccini e Lepore sono appena stati contestati in piazza Maggiore durante il dibattito sul post-alluvione, nell’ambito della solita kermesse bolognese del giornale diretto da Molinari.
La media d’età del pubblico, in particolare nelle prime file, era a occhio e croce sopra i 60. Quella di chi contestava parecchio più bassa.
Bonaccini si è molto arrabbiato, si è messo a urlare, ha toccato le corde del suprematismo – «L’Emilia-Romagna è la regione dove si vive meglio!», et voilà i facili applausi dei fan attempati – e ripetuto il solito mantra sulla legge del 2017, che però secondo praticamente tutti gli esperti è stata una sciagura e ha causato più cementificazione.
Lepore, dal canto suo, ha praticamente detto che la cementificazione risale al dopoguerra e al piano Marshall (ergo lui non c’entra), poi ha detto che «bisogna tornare indietro rispetto alle politiche del passato» (!). Si è attribuito lo stop ad alcuni progetti di cementificazione a Bologna e provincia, senza dire che a denunciare quei progetti, e a costringerlo a fermarli, sono stati movimenti dal basso che correttamente indicavano l’amministrazione comunale e quella della Città metropolitana come responsabili della cementificazione. Ha poi fatto un po’ di antifawashing, dicendo che o si sta col PD o a Bologna torna il Podestà.
Insomma, per un po’ hanno dovuto difendersi, giustificarsi, dedicarsi a un tortuoso greenwashing (più volte citata a vanvera Greta Thunberg).
Ogni contestazione, anche rapida, anche minima, aggiunge un sassolino. Devono sentirsi incalzati, stare sul chi vive, essere consapevoli che ogni giorno succede qualcosa.
Nel mentre, in periferia nord, una biciclettata No Passante è arrivata al giardino Virginia Woolf – in via dell’Arcoveggio, dove dovrebbe insediarsi un cantiere del Passante – e lo ha occupato con l’intenzione di piantarci le tende.
Ecco il comunicato di rivendicazione.
Oggi pomeriggio un corteo convocato da Extinction Rebellion ha occupato e bloccato la tangenziale all’uscita Fiera. Mentre scriviamo, il blocco va avanti da un paio d’ore.