Questi anni a Bologna: le balle «green» della giunta Lepore-Clancy. Prima puntata (di due tre)

Due balle green... tra le tante

Asfalto e pagliacci che fan paura.

1. Memorie del decennio scorso

Facciamo mente locale. Guardandoci intorno, in cosa riconosciamo l’eredità delle due giunte guidate da Virginio Merola? Cosa ha lasciato a Bologna quel decennio, che grossomodo coincide con gli anni Dieci?

Poiché se ne è parlato di recente, qualcuno ricorderà subito la consegna «chiavi in mano» e gratis di una vasta area pubblica a Oscar Natale Farinetti. In quel periodo l’amministrazione fece uno spropositato, scriteriato investimento su FICO, confermatosi poi il progetto demenziale che a noi era sempre sembrato.

FICO è stato la parte più visibile – solo in senso figurato, perché ben poca gente è andata a vederlo – di un processo più ampio. Altre consegne chiavi in mano hanno riguardato l’intera città, proprio in quegli anni offerta in pasto al modello «RyanAirBnB», ovvero: traffico aereo forsennato con relative emissioni climalteranti, inquinamento, rumore infernale tutto il giorno (chiedere a qualunque abitante del Navile); turismo mordi-e-fuggi, con sempre più aree del centro ingurgitate dal «food» (ogni due numeri civici as magna, roba da diventare anoressici per protesta); sregolata crescita di AirBnB, con sottrazione di migliaia di appartamenti al mercato degli affitti e conseguente, devastante crisi abitativa.

Una crisi che da allora si allarga a spirale, pagata soprattutto da studenti e studentesse fuorisede, ma anche dalla classe lavoratrice precarizzata, dalle giovani coppie impossibilitate a convivere se non in condizioni indegne, dalle famiglie sfrattate per far posto agli affitti brevi.

Contemporanea al danno, la beffa: mentre trasferirsi a Bologna per studiare diventava proibitivo, l’amministrazione passava sopra a ogni ostacolo pur di consegnare interi isolati a «studentati» per ricchi, come The Student Hotel (poi The Social Hub) in via Fioravanti, di cui ci occupammo qualche anno fa, Beyoo Laude Living in via Serlio, e i Camplus che spuntano dappertutto.

Legata al suddetto modello, nello specifico alla crescita smodata del traffico aereo, è la tragicommedia, tuttora in corso, del cosiddetto «People Mover», ufficialmente «Marconi Express».

Per chi non è di Bologna: trattasi del costoso trasporto su monorotaia che – tra clamorose defaillances tecniche, buchi di bilancio e numerosi episodi imbarazzanti che hanno dato vita a meme e barzellette – arranca dall’aeroporto alla stazione e viceversa.

Per collegare aeroporto e stazione via treno sarebbe bastato posare poche centinaia di metri di binari. La linea Bologna-Verona passa proprio lì accanto, ci mettevi uno scambio et voila: avremmo avuto un treno suburbano per l’aeroporto, allo stesso prezzo di una corsa per Borgo Panigale, che oggi costa un euro e cinquanta, mentre per prendere il People Mover devi sganciarne undici.

L’amministrazione Merola ricevette più volte questo suggerimento, ma tirò diritto, indifferente a ogni critica, perché – come praticamente ogni progetto di infrastruttura per la mobilità a Bologna – il People Mover non aveva solo una finalità trasportistica, ma anche immobiliare.

Zone di periferia nord-ovest non ancora cementificate furono occupate dai grandi piloni della monorotaia, e al Lazzaretto fu costruita un’inutile stazioncina intermedia. Ci scende solo qualche forestiero che si sbaglia, se non lo avvertono in tempo.
Inutile sotto l’aspetto trasportistico, sì, ma utilissima a supporto della speculazione.

Intorno a quei piloni e a quella fermata oggi cresce il cemento, dopo un po’ che non guardi ti giri e ha coperto altri ettari, è come gli angeli piangenti nemici del Dr. Who: avanza di soppiatto e ti spedisce nel passato, a un’idea di sviluppo urbano vecchia di almeno sessant’anni. Con la differenza, rispetto ai Weeping Angels, che il cemento avanza anche se lo guardi.

Weeping Angels di cemento avanzano e spingono Bologna sempre più indietro, nel più cieco sviluppismo.

Nel frattempo si era realizzata la nuova stazione sotterranea AV, che ha sempre fatto schifo a tutti senza eccezioni. Addirittura la sconfessò a tempo di record l’allora AD di Rete Ferroviaria italiana, in quanto spazio squallido e disfunzionale.

La stazione AV dava le spalle al centro e si affacciava sulla Bolognina, dunque fu ritenuta fin da subito un altro volano per grandi speculazioni, quelle che investirono per prima via Fioravanti e la zona retrostante. Ecco dunque il complesso residenziale della Trilogia Navile, la nuova sede del Comune con intorno piazza Liber Paradisus, la pensilina Nervi, The Social Hub…

Negli anni Dieci via Fioravanti divenne l’avamposto della gentrification di un quartiere popolare e multietnico, e il teatro di uno scontro tra due opposte idee di città. Contro chi cercava di resistere al nuovo andazzo, i poteri cittadini scatenarono sgomberi a tappeto: XM24, Ex-Telecom e tanti altri.

tettoia Nervi sedicente piazza Lucio Dalla

La pensilina Nervi, sedicente «piazza Lucio Dalla».

Oggi l’amministrazione Lepore-Clancy ha l’impudenza di esibire quelle ferite al tessuto urbano e alla biodiversità sociale del quartiere come propri fiori all’occhiello. È il caso della sedicente «Piazza Lucio Dalla», che della piazza ha ben poco – è una spianata di cemento con sopra una tettoia in laterizio e cemento armato – e che noi continueremo a chiamare col suo vero nome, pensilina Nervi. La storia di questa presunta «eccellenza» è strettamente legata alla speculazione edilizia e agli sgomberi.

Come ben ricostruito da Wolf Bukowski, «piazza Lucio Dalla» fu realizzata col mezzo milione di euro pagato dall’allora The Student Hotel al Comune, in cambio della sopraelevazione di un piano. Secondo i regolamenti urbanistici cittadini, in cambio di un aumento di cubatura TSH avrebbe dovuto mettere a disposizione più verde. In quel caso, invece, si «monetizzò» la deroga – qui c’è la delibera – e con quei danari fu terminata la pensilina Nervi.

Per costruire The Student Hotel si era sgomberata con violenza una realtà abitativa di oltre ottanta famiglie. La pseudo-piazza è dunque figlia di quello sgombero, e in qualche modo lo celebra ogni giorno.

Quando si parla degli «anni di Merola», con riferimento alle forme dell’abitare, non bisogna dimenticare che l’ex-dipendente di Società Autostrade non è stato solo sindaco per due mandati (2011- 2021), ma anche assessore all’urbanistica, alla casa e alla pianificazione territoriale, dal 2004 al 2009. In quella veste, per dirne soltanto una, diede il via libera alla costruzione di Borgo Lumiera: tredici villette a schiera, al posto di un capannone agricolo, di fronte al monumento ai caduti di Sabbiuno, uno dei luoghi più panoramici e densi di memoria di tutta la collina bolognese, sito a noi sacro, di cui abbiamo scritto più volte.

Il progetto segnò la fine di quella «salvaguardia dei colli» iniziata negli anni Sessanta con l’assessore Giuseppe Campos Venuti, da sempre citata come uno degli ingredienti del «modello Bologna», insieme alla tutela del centro storico e all’attenzione per le periferie.

Periferie che, nell’epoca meroliana, furono aggredite in ogni direzione: a est mostri di cemento in via Scandellara; a ovest il tentativo di distruggere il bosco dei Prati di Caprara; a nord, est e ovest un’orgia di centri commerciali e supermercati.

Daniele Ara

Daniele Ara

Daniele Ara, oggi assessore alla scuola ma allora presidente del quartiere Navile, fu chiesto conto dell’epidemia di nuovi supermercati, vicinissimi l’uno all’altro, mentre diversi centri commerciali già realizzati erano in crisi e ormai mezzi chiusi. Lui diede una risposta da manuale liberista:

«Esiste libertà e concorrenza nel commercio. Decide il consumatore se sono troppi. Bravi o meno bravi.»

Tradotto: che se ne costruiscano senza limiti, poi chi va male chiude. L’idea che il problema fosse a monte, nella cementificazione e nelle colate di asfalto, non sfiorava nemmeno la maniglia della porta dell’anticamera della sua mente.

Il suolo è un mondo, è l’ecosistema più prezioso che esista sul pianeta, ma per costoro è niente, è solo superficie “vuota” da coprire.

Gli anni Dieci furono caratterizzati anche da farlocchi «percorsi partecipativi», la cui vera natura raccontammo facendo inchiesta sul Passante di Bologna.

Passante che è il progetto più pericoloso e impattante nato allora, l’eredità più pesante di quel decennio: un’autostrada a 16/18 corsie che correrebbe dentro la città, attraversando le sue periferie.

Matteo Lepore

L’ideologo di tutta questa tumultuosa trasformazione urbana in senso neoliberale, di questa Bologna da mettere in vetrina, da svendere e da mangiare, è stato ed è Matteo Lepore, il sindaco attuale.

Delle giunte Merola, Lepore fu uomo-immagine e assessore di punta, con una pletora di deleghe tra cui quelle al turismo, alla «promozione della città», alle relazioni internazionali, all’«immaginazione civica», all’«agenda digitale» (Bologna come «smart city» ecc.), allo sport e alla cultura.

2. Per cosa ricordare questi anni e questa giunta

Sindaco e vicesindaca.

La giunta Lepore-Clancy – come potrebbe essere altrimenti? – porta avanti le stesse politiche di quelle Merola, funzionali agli stessi interessi economici, su scala ancor più ampia e se possibile con maggiore arroganza. Checché ne dica una certa ex-opposizione nel frattempo incorporata e fanatizzata a difesa dello status quo felsineo, la continuità con gli anni di Merola è ovunque si posi l’occhio.

A dispetto dei vacui proclami, la crisi abitativa, conseguenza di politiche che l’amministrazione continua a portare avanti, disgrega sempre più esistenze. Il centro storico è foodificato oltre la saturazione. Ryanair continua a spadroneggiare sulle teste – letteralmente sulle teste – degli abitanti delle periferie nord, dove il passaggio degli aerei in decollo e in atterraggio è incessante.

Soprattutto, la città è sempre più minacciata da immani colate d’asfalto e cemento.

Il mercato immobiliare è in drastica contrazione, a Bologna molto più che nel resto d’Italia. Nel primo trimeste del 2023 le compravendite sono calate del 22,8% rispetto ai primi tre mesi del 2022. Prevedibile: chi ce li ha ormai i soldi per comprarsi casa in una città divenuta costosissima, che comunque ti muovi ti succhia il sangue?

Eppure ovunque si costruisce, si costruisce, si costruisce, si costruisce, si costruisce e ancora si costruisce. Ovunque cantieri, reti arancione, gru. Sembra la riproposizione, con settant’anni di ritardo, del piano regolatore del Dopoguerra, quando si pensava che Bologna dovesse diventare una città da un milione di abitanti.

Fu proprio per correggere le assurdità di quel progetto che nacque la mitica «urbanistica riformista», oggi celebrata, ma per rinnegarla meglio. Basti pensare che gli asili, nella «città più progressista d’Italia», ormai si fanno in project financing, cioè il privato che li costruisce – magari nel parco di un’altra scuola – rientra dell’investimento gestendoli per qualche decennio. E pazienza se questo modello economico ha già prodotto mostri inutili come il parcheggio Michelino.

Un anno fa L’Espresso pubblicò un reportage su Bologna coperta di cemento. Riletto oggi, dopo che le alluvioni del maggio scorso hanno mostrato quali conseguenze può avere un simile consumo di suolo, l’articolo fa molta impressione. Descrivendo la querelle sulla demolizione dell’asilo Roselle, anticipava quella sull’abbattimento delle scuole medie Besta e di parte del parco che le ospita. Progetto contro cui è nata e si è estesa una mobilitazione – una delle svariate in corso in città – che sta creando molte difficoltà alla maggioranza di governo locale.

Sulla città incombe il Passante. Non c’è ancora un progetto esecutivo, eppure i cantieri si sono già insediati, dopo l’abbattimento di interi boschi urbani. Qualcuno ci ha fatto anche un video, «La polka degli abbattimenti».

Insieme al Passante, premono anche tutte le opere che il Passante deve «sbloccare»: allargamenti, nuove «bretelle», nuovi svincoli… Di queste minacce racconta un altro video,  Il signore degli Asinelli – Le due torri e il passante di mezzo.

Il signore degli Asinelli – Le due torri e il passante di mezzo. from nemesi produzioni on Vimeo.

E il progetto di tram? Pure quello comincia a perdere parte della sua patina «green». Non solo per realizzarlo si tireranno giù centinaia di alberi – circa settecento, si legge nei documenti, ma queste stime preventive sono sempre per difetto –, ma la realizzazione implica numerose colate di cemento e asfalto e le stazioni, anche stavolta, faranno da volano a nuove urbanizzazioni.

Il tram sarebbe una buona idea. Smantellare la rete tramviaria fu uno dei tanti errori fatti in città durante il boom economico. Il problema è che questa attuazione del tram, tanto per cambiare, prepara nuovo consumo di suolo. Ce ne occuperemo prossimamente.

È un elenco di schifezze già pesante, eppure gravemente incompleto. Le periferie nord e nord-est stanno subendo assalti impetuosi, di cui è faticoso anche solo tenere il conto. Bologna è scossa da conati di cemento. Bisogna tenere d’occhio l’area dell’ex-CAAB, perché anche dalla crisi di FICO si vuole uscire con una «ripartenza», cioè cementificando a tutto spiano. E così pure dalla crisi della Fiera.

Il bello è che quest’amministrazione, annuncio dopo annuncio dopo annuncio, continua a descriversi come «green»: l’obiettivo della «neutralità carbonica della città» entro il tal anno… Tutto il clamore sul limite ai 30 all’ora… Il cantiere della Garisenda come occasione da cogliere per realizzare «un arcipelago di isole pedonali»…

È – tutta – fuffa.

Sono diversivi, o nella migliore ipotesi palliativi, e comunque sempre focalizzati sul centro. Quel che sta accadendo davvero in città, in tutta la città, lo abbiamo appena descritto.

Secondo gli stessi fautori dell’opera, il Passante porterà in città venticinquemila autoveicoli in più al giorno. Di fronte a questo e altri dati di realtà, tanto le vanterie sui 30 all’ora quanto le chiacchiere sulla «neutralità carbonica» di Bologna si rivelano insensate.

Se vivessimo in un film di Frank Capra, le alluvioni del maggio scorso avrebbero fatto riflettere, convinto la classe dirigente a fermare i processi che deturpano il territorio. Dalla tragedia, una nuova consapevolezza. Succede il contrario: a quei processi si dà un’accelerata.

La classe dirigente si è preclusa ogni riflessione nascondendosi dietro un espediente retorico, un escamotage che abbiamo denunciato mentre ancora pioveva: il ricorso al cambiamento climatico come diversivo deresponsabilizzante. «Non è colpa nostra, delle nostre politiche, è il cambiamento climatico! Sono precipitazioni eccezionali, in tot ore sono caduti tot millimetri, cosa possiamo farci», ecc.

A parte il fatto che il cambiamento climatico è conseguenza proprio del paradigma sviluppista che stiamo descrivendo, l’escamotage permette di distogliere l’attenzione dallo stato in cui le precipitazioni trovano il territorio. Stato che è conseguenza di politiche pluridecennali, ed è un’enorme concausa del disastro.

Inaugurato in Emilia-Romagna, questo stratagemma è oggi utilizzato da amministrazioni PD ovunque ci siano alluvioni. Nei giorni scorsi è stato usato in Toscana, come denunciato in quest’articolo.

Tornando a Bologna: per cosa ricorderemo questi anni, questa giunta, questa classe dirigente?

Noi, e con noi molta altra gente, li ricorderemo per il combinato disposto di devastazione ambientale e greenwashing.

3. Due balle «green»

Il lavaggio-in-verde è demandato in gran parte a Coalizione Civica, che giustifica il proprio voltafaccia sul Passante e altri grandi opere, e la propria cooptazione nella sfera del PD, con presunti risultati ottenuti e supposte compensazioni che il suo stare al governo garantirebbe.

Nel 2021, dopo aver approvato la conformità urbanistica del Passante, la maggioranza firmò un ordine del giorno che impegnava Lepore e la sua giunta su tre questioni:

  1. L’Osservatorio Ambientale per il monitoraggio degli impatti dell’opera: qualità dell’aria, rumore, cantieri…;
  2. Le opere di mitigazione dell’infrastruttura.
  3. Il potenziamento del Servizio Ferroviario Metropolitano.

A suo tempo, abbiamo già espresso il nostro parere in merito a questi impegni: sono foglie di fico stese sul Passante per poterlo chiamare «di nuova generazione», «simbolo della transizione ecologica» ecc.

A prescindere da queste valutazioni, dopo due anni ci sembra venuto il momento di una prima verifica: quali di questi impegni sono stati mantenuti?

Secondo la giunta, due: l’Osservatorio è partito ed è una garanzia, si legge; il Servizio Ferroviario Metropolitano è stato potenziato, dichiarano.

La vera risposta è nessuno. Nessun impegno è stato mantenuto. Lo dimostreremo, nei dettagli e documenti alla mano, nella seconda puntata di quest’inchiesta.

Fine della prima puntata – di due tre.
Aggiornamento: la seconda puntata è qui.

La terza puntata, scritta dal Comitato Besta, è qui.

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17 commenti su “Questi anni a Bologna: le balle «green» della giunta Lepore-Clancy. Prima puntata (di due tre)

  1. Come sempre puntuali, circostanziati ed efficacissimi.
    In nome del profitto i capitalisti ed i loro esponenti politici (del PD o di FdI nulla cambia) devastano il territorio, rapinano il proletariato e le classi subalterne con un travaso di ricchezza dai poveri ai ricchi impressionante e colpevolizzano e reprimono la miseria. Il tutto ammantandosi di una finta patina green mentre l’infiltrazione mafiosa non è più una infiltrazione ma da decenni è una parte integrante ed in alcuni settori egemone del sistema economico della nostra regione.
    Capite perché abbiamo scritto la canzone AEmilia Paranoica?
    https://yewtu.be/UDqcHCCDYXk

    • Ciao, abbiamo sostituito il link a YouTube, ricordiamo che Giap è un sito degooglizzato :-)

  2. Riceviamo e pubblichiamo la lettera che un abitante della zona Pescarola – una delle tante aree del Navile tormentate dallo sregolato traffico aereo – ha indirizzato proprio oggi al sindaco Lepore e ai media locali.

    LETTERA AL SINDACO E ALLA STAMPA CITTADINA

    Buongiorno

    Una spessa coltre di ipocrisia grava su Bologna, la città più progressista d’Italia recita uno slogan, appunto uno slogan. Ma una città non si governa a colpi di slogan.

    Chi governa la città si preoccupa di sostituire i bus urbani a gasolio con bus a idrogeno per tutelare la salute dei cittadini, vieta di fare barbecue perché inquinano e multa con multe salate i trasgressori, impone dal 1 luglio 2023 il limite di velocità di 30 km. in città (sanzionato dal 1 gennaio 2024). Molto bene. E i 100.000 aerei l’anno del Marconi, un aeroporto attaccato alla città?. Ma quelli non inquinano, dai loro motori non escono tonnellate di sostanze estremamente nocive per la salute perchè vanno ad acqua. Solo qualche signore anziano e non aggiornato continua a credere che gli aerei vanno a kerosene, un derivato del petrolio.

    Non c’è nessun dialogo con i cittadini, o meglio c’è una finta partecipazione, un finto ascolto. D’altra parte da lei, signor sindaco, come già era successo con il suo non rimpianto predecessore Merola, non si può pretendere che tuteli la salute dei cittadini, anche se sarebbe un suo preciso dovere. La salute può passare in secondo piano, non può certo scavalcare l’economia. In questa città le persone valgono meno del profitto economico. Una città governata da una sinistra (ma è ancora tale?) disposta a concedere tutto al mercato. Ma non vi viene il dubbio, egregi governanti, di avere fatto scelte folli e sbagliate, favorendo lo sviluppo di un aeroporto low cost attaccato alla periferia di una grande città (esattamente il contrario di quello che avviene in tanti Paesi) e con un’unica pista rivolta verso la città? AdB, come qualsiasi altra impresa, ha come unico obiettivo il profitto. Ma la politica aveva e ha il sacrosanto dovere di tutelare la salute dei cittadini, un compito al quale ha vergognosamente abdicato.

    I cittadini chiedono da anni la tutela dell’ambiente e della salute e se non siete in grado di farlo non potete rimanere in un ruolo inadatto. Una amministrazione realmente interessata al bene comune e alla salute dei cittadini non avrebbe approvato nel 2020 il Masterplan del Marconi che si propone l’obiettivo di 12 milioni di passeggeri, ma l’avrebbe bloccato. Già i 10 milioni di passeggeri del 2019 (che saranno sicuramente raggiunti e superati quest’anno) avevano provocato un impatto insostenibile su zone densamente abitate del quartiere Navile specialmente d’estate: in ogni giorno dei mesi da giugno a settembre 2019 100 aerei al giorno di media avevano sorvolato le case del Navile. E questa estate la media è stata ampliata: da maggio a ottobre ogni giorno 100 aerei al giorno di media hanno sorvolato le case del Navile. Ma a voi, signori governanti, cosa interessa? Vi guardate bene dall’abitare al Navile. Quindi anzitutto profitto, profitto e poi ancora profitto. La salute? Beh, quella viene dopo, molto dopo, anche se la Costituzione, questa illustre sconosciuta, impone esattamente il contrario.

    E naturalmente continua lo scandalo dei voli notturni sulla città.

    Anche stanotte il Marconi ha regalato l’ennesima notte in bianco a migliaia di persone, tra cui tanti bambini che stamattina devono andare a scuola e tante persone che si devono alzare presto per andare al lavoro. Stanotte 5 aerei sono atterrati dal lato città (23,20; 23,40; 23,50; 00,00; 00,20) e 2 aerei sono atterrati lato città all’alba (05,30 e 05,50). Gli atterraggi (basta vedere la rotta su Flight Radar 24) seguono una linea retta che parte in genere poco prima di Castel San Pietro e taglia in due la parte nord della città, sorvolando San Donato (a 450/500 metri circa di altezza), la Bolognina (a 300/350 metri), Pescarola (a 150/200 metri). Ci sarà stato sicuramente un uragano sulla città con venti fortissimi o un nebbione fittissimo: stranamente non ci siamo accorti di così avverse condizioni meteo.

    Quello che stiamo notando, signor sindaco, è che la sua perentoria e meritoria richiesta di fermare i voli notturni sulla città, rivolta a ENAC e ENAV, si sta rivelando efficace come le grida di manzoniana memoria, visto che il divieto, formalmente operativo dal 19 giugno, dal 20 giugno ad oggi è stato violato almeno 80 volte.

    Bologna 10 novembre 2023

    Gianfilippo Giannetto

  3. Quasi ogni giorno faccio un po’ di strada in bici per andare a lavoro, un tragitto che segue un buon tratto di tangenziale e che mi fa vedere i cantieri del passante, quelli del tram e quelli dei nuovi palazzi di Via Scandellara. I lavori e le reti che si portano con sè sono ovunque e facilmente visibili e non fanno che aumentare. Per me che vivo qui da poco e non conosco bene la storia della città e dei suoi miti, “Bologna la rossa” significa questo: chilometri e chilometri di reti rosse che infestano tutta la periferia nord bolognese, da borgo panigale a san lazzaro.
    Per la mia scarsa conoscenza della storia di Bologna e dintorni pensavo che il pd stesse proseguendo il lavoro già cominciato decenni fa dal partito comunista (costruire costruire costruire nonostante tutto). Non è così mi par di capire. L’asilo citato nell’articolo dell’espresso, così come le stesse scuole Besta (chi si sta opponendo al progetto albericida ci tiene a sottolineare che le nuove scuole sarebbero un passo indietro, o anche più di uno, rispetto alle scuole esistenti per questioni pedagogiche legate agli spazi, al contatto con il parco all’esterno etc.) raccontano un’altra storia. Probabilmente ci sono tanti altri esempi. Cosa consigliate di leggere a proposito? Per capire un po’ meglio come si è sviluppata la città negli scorsi decenni e come finora per fortuna non si erano sviluppati i colli.

    • In questi casi si corre sempre il rischio della “retrospezione rosea”, anche guardando agli anni Sessanta e Settanta ritroviamo scelte che col senno di poi – ma in alcuni casi pure con quello di allora – risultano sbagliate e nefaste. Nell’articolo citiamo lo smantellamento della rete tramviaria (portato a compimento nel 1963), in altre occasioni abbiamo parlato della Tangenziale lasciata costruire a ridosso della prima periferia (inaugurata nel 1967), un altro esempio è il sistematico intombamento dei corsi d’acqua cittadini, come il Ravone (che nel maggio scorso ha distrutto le pareti della propria tomba ed è risorto in superficie prendendosi via Saffi) e così via.

      Sono scelte coerenti con l’idea di modernità, di sviluppo e di mobilità incentrata sulle auto che era egemone dentro il PCI come altrove.

      Come si ricorda qui sopra, il primo piano regolatore del Dopoguerra, quand’era sindaco il mitico Dozza, prevedeva un’espansione edilizia e infrastrutturale della città in ogni direzione, colli compresi.

      Però a partire dal 1960 cominciò ad affermarsi un’altra idea di urbanistica. Il nome da cercare per capire quella stagione è Giuseppe Campos Venuti. In questo articolo uscito dopo la sua morte nel 2019 viene detto a grandi linee quel che è importante sapere. Giusto l’ultima riga del pezzo è discutibile: sì, le tracce di quelle politiche urbanistiche ancora si vedono, se uno sa guardare, ma a partire dagli anni Ottanta quel modello si è cominciato a rinnegarlo (nella prassi, mentre a parole gran sviolinate retrospettive) e da tempo, come racconta con efficacia il reportage de L’Espresso, ciò che ne rimane è sotto attacco.

      L’altro nome da cercare è Pier Luigi Cervellati. Se Campos Venuti è ricordato soprattutto perché «salvò i Colli dal cemento» (in realtà fece anche molto altro), di Cervellati si ricorda sempre il recupero del centro storico. Recupero ma non gentrification, al contrario! Per Cervellati un centro storico si salva solo se salvi i suoi abitanti, le sue forme di vita, i ceti popolari. L’opposto di quel che si è fatto negli ultimi decenni: infighettimento, espulsione dei ceti popolari verso le periferie se non fuori città, omologazione commerciale delle vie ecc.

      Cervellati è quello che ha chiuso alle auto Piazza Maggiore, prima si parcheggiava sul Crescentone, ma appunto, quella pedonalizzazione, al contrario di quelle odierne, era parte di una politica che del centro non faceva un salotto fighetto né un unico grande ristorante, ma lo recuperava come cuore vivo della città. Oggi Cervellati va per i novant’anni ed è ancora agguerrito, ha criticato il progetto di Passante, per dire.

      Mi sono concentrato su questi due nomi mica per concedere alcunché alla narrazione individualistica ed “eroica”, non fecero mica tutto da soli, anzi, riuscirono a combinare qualcosa proprio perché erano parte di un processo collettivo, in una fase storica caratterizzata da grande partecipazione politica, sociale, culturale, civile. Proprio in quegli anni nel movimento operaio le lotte contro le «nocività in fabbrica» si stavano trasformando in lotte più estese, quelle che oggi chiamiamo lotte ambientali. E la sinistra dell’epoca, per amore o per forza, ruotava intorno al pianeta del movimento operaio.

      Intendiamoci, non era l’Eden, quella Bologna e quel PCI avevano anche grossi difetti, tanto che si beccarono la rivolta del ’77, che non capirono né all’epoca né dopo. Ma se si legge qualcosa di Campos Venuti o Cervellati, e poi si legge una qualunque intervista all’attuale assessore all’urbanistica Laudani (boh, facciamo questa), si percepisce un.. no, «divario» non rende l’idea, è più uno strapiombo.

      Su come quell’idea di urbanistica sia stata tradita da chi amministra oggi, e da quel socialismo urbano si sia passati a un neoliberismo incontrastato, si può leggere il libro collettaneo Consumo di luogo, 2017, scritto per smontare la nuova legge urbanistica regionale, nel frattempo divenuta addirittura famigerata. Tra gli autori c’è anche lo stesso Cervellati.

      • Nel 2005, dunque ben diciotto anni fa, usciva per le edizioni Baskerville il libro della geografa Paola Bonora Orfana e claudicante. L’Emilia “post-comunista” e l’eclissi del modello territoriale.

        Ecco come, nel fare l’inquadramento generale delle sue tesi, l’autrice descriveva la situazione di Bologna e dell’intera regione. Dimostra che le dinamiche erano già chiarissime nel dettaglio almeno una ventina d’anni fa.

        Parte dicendo che le amministrazioni di sinistra avevano costruito

        «una originale forma di economia sociale di mercato che è riuscita a far interagire i diversi attori, anche quando antagonisti. Una visione che, ibridando il materialismo dialettico delle origini con il riformismo del “nuovo corso” e le alleanze allargate che vi erano implicite, ha prodotto una sorta di autoritarismo partecipato e cooptativo (irto di contraddizioni e sovente lacerato da conflitti interni) che ha in ogni modo consorziato la società e l’ha orientata sulla strada del successo.
        Un dispositivo semiotico a forte riconoscibilità, che ha retto anche quando il sogno di una “via alternativa”, capace di coniugare attenzione sociale e economia di mercato, è tramontato, travolto dalla crisi delle idee, dal rimescolamento dei soggetti sociali e da un’adesione poco meditata alle lusinghe neoliberiste.
        Un itinerario che il libro ripercorre. Assegnando all’immagine-mito dell’Emilia rossa, che si è costruita sul protagonismo militante e la volontà di autodeterminazione del primo ventennio del dopoguerra, una carica performativa che è riuscita a influenzare anche i decenni successivi. Benchè fossero nel frattempo sbiadite le ragioni ideali che l’avevano generata e divenute evidenti le aporie. Una rinuncia che non ha colto il graduale disciogliersi delle reti delle appartenenze e il disperdersi del capitale sociale e della coerenza istituzionale che erano stati i principali motori dello sviluppo emiliano.
        Una situazione che oggi mostra segnali allarmanti di frantumazione, instabilità, vuoto progettuale. L’affievolirsi del senso identitario e della coesione mettono a dura prova un sistema esausto, che ha abdicato alla propria peculiarità e non sa dare direzione all’agire – neppure sul piano di quella “buona amministrazione” che è stata uno dei principali segni di riconoscimento dell’immagine emiliana. E che oggi è imbalsamata in una logorante impasse.»

        Poco più avanti, Bonora coglie i primi segnali dell’odierno combinato disposto di devastazione ambientale e greenwashing:

        «Il tema della salvaguardia ambientale, e più in generale della vivibilità e della qualità del vivere, vengono ricondotti a riferimenti valoriali che non partono dagli uomini e dalle loro esigenze vitali ed esistenziali, ma rovesciano la prospettiva e ragionano a partire dall’attrattività.
        Una piegatura dell’idea di sostenibilità che scorge solo il versante economico e confonde aspettative di crescita quantitativa e aspirazioni allo sviluppo qualitativo.
        Ma la crescita esasperata finisce per erodere il territorio, per risucchiare le sue risorse senza concedere tempi di ricostituzione. Un processo che coinvolge tutte le componenti in gioco, ma che sul piano ambientale ha conseguenze particolarmente nefaste.
        La città che si disperde nelle campagne, la congestione che si metropolizza, lo spazio abusato e consumato, la mobilità individuale liberalizzata, l’ammorbamento dell’aria, l’inquinamento da rumori, lo spreco energetico, l’accumulo di rifiuti, l’incuria dei suoli, dei corsi d’acqua, dei sottosuoli, e via elencando.
        Se ci fermassimo alla lettura dei documenti di piano, potremmo cadere nell’equivoco di ritenere i temi di natura ambientale al centro delle preoccupazioni dei governi locali. Senza accorgerci che in realtà le uniche iniziative prese rispecchiano un copione teso a sedare il dissenso. Rappresentazioni di grande efficacia comunicativa, che coinvolgono gli spettatori pesando sulla quotidianità; e dunque non passano indifferenti – è evidente che penso alle limitazioni alla circolazione e a tutto il disagio che esse comportano ai cittadini. Ma che non incidono sulle cause e assai poco influiscono sugli effetti.»

  4. Avevate presagito che la crisi della Fiera potesse portare a nuovi conati di cemento nel quartiere. Nei giorni scorsi il Consiglio comunale ha approvato una delibera proprio sull’ampliamento del quartiere fieristico, per “rilanciarlo” attirando nuovi investimenti, costruendo un nuovo padiglione e legare le sue attività a quelle del Tecnopolo dall’altra parte di via Stalingrado, nel quartiere di San Donato.
    E, a proposito di consumo di suolo…”Così il rilancio della Fiera costerà alla città altri tre ettari di suolo”, articolo sul giornale online BolognaToday consultabile a questo indirizzo: http://www.bolognatoday.it/cronaca/espansione-fiera-consumo-suolo.html

  5. ciao,
    tutto giusto, solo la frase “ogni due numeri civici as magna, roba da diventare anoressici per protesta” nonostante il tono scherzoso risulta comunque sminuente di un disturbo ben piu’ serio di cosi’, che si manifesta nel cibo/mangiare ma e’ manifestazione di problematiche piu’ complesse e legate ad altri aspetti, e comunque poco piacevole da leggere per chi ha sensibilita’ sul tema. senza pipponi [ma forse dovrei per superare il limite di battute], ma rimane un po’ di amaro in bocca perche’ sapete fare di meglio.
    just my 2 cent perche’ per il resto e’ sempre bello leggervi.
    andrea

    • Una curiosità: se avessimo scritto “ogni due numeri civici as magna, c’è da impazzire”?

      • personalmente lo trovo comunque manifestazione di poca sensibilita’ sul tema dei disturbi mentali, e sul potere del linguaggio.
        ma se proprio non c’e’ questa sensibilita’ perche’, in un contesto di critica, non usare espressioni che sono basati nella volonta’ del soggetto ‘tirare una molotov’ invece che espressioni che ne privano la decisionalita’ ‘diventare anoressici/impazzire’?
        perche’ non si decide di soffrire di qualche disturbo mentale.
        al massimo uno scipero della fame, se proprio il punto e’ il rifiuto del cibo per la sovraesposizione, che almeno e’ un accollo che si puo’ scegliere.

        • Faccio notare che abbiamo alle nostre spalle millenni di letteratura, poesia e canzoni in cui si è fatto uso metaforico della follia e dell’impazzimento, dalla «stultifera navis» a «La notte mi fa impazzire» passando per lo «studio matto e disperatissimo». È alquanto asfittico, astorico e “astenico” ridurre la questione alla poca sensibilità nei confronti dei disturbi mentali, tanto più che il detto uso caratterizza anche chi di tali disturbi ha avuto esperienza diretta, da Artaud ad Alda Merini.
          Restando nel regno delle metafore, ce n’è una particolarmente frusta, ormai, quella del dito e della luna. Frusta, ma a cui, quasi per miracolo, ogni tanto qualcuno dà una nuova intensità.

          • A ‘sto punto anche Pino Daniele aveva poca sensibilità per i disturbi mentali, visto che ha scritto “Je so’ pazzo”: una canzone che utilizza la pazzia come metafora della marginalità e dell’irriducibilità del proletariato del sud.

            Je so’ pazzo, je so’ pazzo
            Si se ‘ntosta ‘a nervatura
            Metto a tutti ‘nfaccia o muro
            Je so’ pazzo, je so’ pazzo
            E chi dice che Masaniello
            Poi negro non sia più bello?

            Non lo dico come iperbole. Patty Smith l’anno scorso è stata accusata di razzismo per “Rock’nroll nigger”, canzone scritta nel ’77, dove nigger, oltre che un riferimento riverente alle radici della black music (Patti proviene dalla working class di Chicago town), era anche chiaramente una metafora per indicare un posizionamento “outside of society”:

            Jimi Hendrix was a nigger.
            Jesus Christ and Grandma, too.
            Jackson Pollock was a nigger.
            Nigger, nigger, nigger, nigger,
            nigger, nigger, nigger.
            Outside of society, they’re waitin’ for me.
            Outside of society, if you’re looking,
            that’s where you’ll find me.

          • si ma qui non stiamo parlando di una rilettura sotto le lenti della pazzia[e oltretutto non mi sembra che i wu ming abbiano esperienza diretta con l’anoressia,ma per favore smentiscimi].
            stiamo parlando di una frase che di metaforico non c’ha niente.
            “ogni due numeri civici as magna, roba da diventare anoressici per protesta”
            dove sarebbe la metafora?io al massimo ci vedo un’iperbole.

            e scusa e’,ma ho iniziato dicendo ‘tutto giusto’ e c’ho pure messo una captatio benevolentiae perche’ non vuole essere una critica sterile e condivido il messaggio di fondo. sto solo segnalando quello che per me e’ problematico in mezza frase perche’ fa male da leggere. fa male pensare che una cosa che ti puo’ uccidere [in italia 3780 morti nel 2023 per dca, sono 10 e mezzo al giorno] venga sdramatizzata cosi’.
            ma vabbe’, mi rassegnero’ che non si riesce a condividere una sensibilita’ diversa dalla vostra.

            adeu

            • Se è per questo la cultura della carne fa miliardi di vittime al giorno (esseri senzienti non-umani) e milioni all’anno (umani). Ma dobbiamo proprio spiegare l’uso dell’anoressia in senso figurato? Il cibo divenuto spettacolo di iperconsumo e spreco, opulenta e oscena rappresentazione di un modo di vivere e di un modello di sviluppo ecocida e “urbicida” insostenibile sotto ogni punto di vista, suscita in chi ha un minimo di distacco critico un disgusto tale che in alcuni momenti si estende al cibo stesso, al desiderio di assumerlo. Estensione che ovviamente sarebbe patologica, perché mangiare dobbiamo.

              • P.S. Quanto al «non mi sembra che i wu ming abbiano esperienza diretta con l’anoressia», non si capisce in base a cosa ti permetti quest’osservazione, dal momento che sulle nostre vite private e familiari abbiamo sempre, programmaticamente e direi poeticamente, mantenuto riserbo.

                • si, ok, ma che c’entra adesso la carne?’diventare vegani per protesta’ lo posso pure capire, li si che c’e’ un collegamento diretto e una scelta attiva del soggetto.
                  perche’ l’anoressia, anche se si manifesta nel rifiuto del cibo non e’ causata da quello direttamente [che sia tanto o poco o faccia schifo vederlo] e non e’ una scelta attiva ‘oggi mi sveglio e divento anoressic perche’…’
                  e’ da come (non) ne parli/ate che deduco (e spero) che non ne abbiate esperienza diretta.
                  perche’ se ce l’avessi magari capiresti il punto di una frase che dice ‘fa male da leggere’ uno che dice ‘diventare anoressici per protesta’.
                  a questo punto aspetto un ‘da iniziare a farsi le spade per protesta’ parlando -giustamente- contro le campagne pro decoro.

                  • Scusa, ma «che c’entra la carne» è una strana domanda: il modello turbo-gastronomico emiliano si basa sull’esistenza ubiqua di immense, orrorifiche – e inquinantissime – porcilaie, autentici campi di tortura e morte per un numero inimmaginabile di maiali (che però vengono rappresentati sorridenti nei loghi delle aziende e nelle insegne dei negozi), e l’overdose di cibo nel centro di Bologna, con relative polemiche anche internazionali, si incentra sull’onnipresenza “pornografica” della mortadella e di altri prodotti suini. C’è molta più dignità nel disgusto per (e nel rifiuto anche solo viscerale di) questo modello – in vari modi letale anche per gli umani – che nella sua accettazione acritica. Detto questo, sulla spiegazione del significante io mi fermo qui, è un sotto-thread fuori tema e fuori luogo. Quanto alle tue continue inferenze sui fatti nostri, basta, su.