Fantasie di complotto sul clima. Un’inchiesta di Wu Ming 1 su Internazionale, seconda puntata

Dal diaporama delle conferenze tenute da WM1 sulle fantasie di complotto sul clima come doppio dell'attivismo climatico

Dal diaporama delle conferenze «Climate Activism and Its Double», tenute da Wu Ming 1 a Bruxelles e a Parigi rispettivamente l’1 e il 4 dicembre 2023.

[WM1:] Sul sito di Internazionale si può leggere la seconda puntata della mia inchiesta intitolata «Perché dobbiamo prendere sul serio le fantasie di complotto sul clima». Qui sotto, un breve sommario dei contenuti. Ricordo che la prima puntata è qui.

Guardiamo il cielo: cosa ci dicono le scie degli aerei? Il «punto cieco» delle fantasie di complotto. Le narrazioni mainstream sulla crisi climatica: soluzionismo tecnologico; riduzionismo carbonico; individualismo verde; eccezionalismo deresponsabilizzante. Tutta questa roba è peggio delle fantasie di complotto sul clima. Il doppio dell’anticapitalismo: riflessioni a partire da Doppelgänger di Naomi Klein. Peccato l’edizione italiana. Quel doppio, però, siamo noi. Non c’è «noi» contro «loro». Il trutherism sul 9/11 nel movimento altermondialista di vent’anni fa. Cosa sono i nuclei di verità. Contro il pensiero binario: la critica e autocritica di Klein su sinistra e pandemia. La bellezza delle fantasie di complotto, with a little help from our friends Leopardi, Baudelaire, Bufalino, Rilke e Kant.

→ Buona lettura.

Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)

66 commenti su “Fantasie di complotto sul clima. Un’inchiesta di Wu Ming 1 su Internazionale, seconda puntata

  1. Un esempio di soluzionismo tecnologico e al tempo stesso di occultamento dei costi esterni (aka nascondere la polvere sotto il tappeto) è fornito dalle pseudosoluzioni proposte per risolvere il problema delle grandi navi da crociera. A Trieste sono diventate una presenza talmente ingombrante da deformare tutto lo spazio urbano su su fino in altopiano. Le grandi navi inquinano ammerda. Quando sono ferme all’attracco devono tenere i motori accesi per far funzionare tutto quanto, in quella che di fatto è una piccola città da 5/8mila abitanti tra passeggeri ed equipaggio: aria condizionata, illuminazione, montacarichi e ascensori, cucine, negozi, intrattenimento ecc. ecc. E’ stato calcolato che una nave attraccata alla stazione marittima in pieno centro inquina più di tutte le macchine che circolano in città. Ora gli uomini d’ingegno hanno trovato la soluzione, eureka! Elettrifichiamo le banchine. Così invece che tenere i motori accesi la nave si collega alla rete elettrica cittadina e tutto diventa pulito e siamo tutti contenti. Il problema è che se ci si limita ad “attaccare la spina”, nel momento in cui la nave si accende, un intero rione finisce al buio. Elettrificare le banchine in realtà significa costruire nuove linee elettriche ad alta tensione e nuove centrali di smistamento dedicate, con tutto ciò che comporta in termini di consumo di suolo; e soprattutto significa aumentare la produzione di energia elettrica da qualche altra parte, ad esempio alla centrale a petrolio/metano/carbone di Monfalcone, o alla centrale nucleare di Krsko in Slovenia; oppure significa costruire campi di pannelli solari sul Carso, sottraendo terreno prezioso all’agricoltura, e sacrificando l’unico polmone verde della città.

    – Ma allora tu cosa proponi? Eh?

    – Semplicemente propongo l’abolizione delle grandi navi.

  2. Grazie per questi due articoli, e per la Q di Qomplotto, i podcast, le informazioni e soprattutto lo sguardo che avete mantenuto su tutto ciò che è accaduto e sta accadendo intorno a noi. In questi 3 anni e passa, come tante altre persone, non riuscivo più a capire cosa stava accadendo intorno a me ma anche a me. Cosa stavo diventando? Un complottista? Un novax? Un fascista o un amico dei fascisti?
    Questi due articoli, proprio perché pubblicati da una rivista (a cui tra l’altro sono abbonato) mainstream, come si usa dire, portano finalmente il maiale fuori dal porcile, in redazione e mostrano che forse non è proprio un maiale o forse lo siamo anche noi qua fuori. Perché in questi 3 anni milioni di persone sono state bandite, fisicamente e psichicamente, dalla comunità dei giusti e ficcate a forza nel girone dei nemici del genere umano, come veniva definito per decreto imperiale dai primi imperatori cristiani di Roma chi si ostinava a seguire il paganesimo invece della nuova religione. Io perlomeno mi sono sentito così.
    Questi articoli meritano riflessioni più approfondite di queste righe, ti ringrazio ancora di averli scritti. Mi fermo solo un attimo su un punto: per “i complottisti”, scrivi, “dovremo parlare di una forma culturale di asimbolia, creata dagli scambi di messaggi e dall’imitazione reciproca, in contesti fortemente influenzati da determinati bias, pregiudizi, ed errori di ragionamento” ma credo che questo non sia per nulla il codice identificativo dei “complottisti” ma di tutta la società, compresa quella che bella bella si immagina di seguire i fari e i luminari del “metodo scientifico”. Come tra l’altro ha ben mostrato l’equipe di Walter Quattrociocchi dell’università della Sapienza.
    Vivendo a tu per tu, non virtualmente nelle chat, ma per frequentazione, a suo modo necessaria, xchè si ha bisogno, oggi soprattutto, di una comunità umana di riferimento che non ti consideri una merda, ma con queste persone io non vedo ne stupidi, ne ignoranti, ne egoisti, al contrario. Lo posso dire, sono spesso belle persone, generose e a cui importa la sorte dei figli e della società in cui tutti viviamo.
    Un saluto. E grazie ancora.

    • Grazie, questa metafora del maiale non l’avevo mai sentita :-) Chiarisco che in quelle righe non intendevo fornire un “codice identificativo” di nessuno, non credo nemmeno che esistano, “i complottisti”. Esistono comunità che si formano intorno a certe narrazioni, ma “complottista” è in certi momenti potenzialmente chiunque di noi. Quel passaggio riguarda molto specificamente l’asimbolia, il fatto che nelle fantasie di complotto ciò che è simbolo o metafora di qualcosa, ciò che “sta” per qualcosa, diventa il qualcosa. Quello che descrivi tu è in generale, in qualunque comunità, l’effetto a cascata di bias e preconcetti.

  3. Condivido pienamente il commento di Andreanza e apprezzo lo sforzo di WM1 per quello che mi sembra un non facile, ma necessario, cambio di prospettiva rispetto al problema del cospirazionismo.
    Tale problema ha un duplice aspetto. Il primo è quello dell’analisi dei meccanismi sociali e culturali che danno luogo a certi fenomeni “di costume”: la polarizzazione indotta delle opinioni a cui abbiamo assistito durante gli ultimi tre anni, con il conseguente rischio di inibire le nostre capacità critiche nei confronti di fenomeni storici (economici, politici, sociali e antropologici) complessi, rappresenta senza dubbio un portato della propaganda capitalista. Il secondo riguarda invece i famosi “nuclei di verità” del cospirazionismo, che andrebbero a mio parere analizzati senza preconcetti iniziali, siano essi di natura ideologica che pratico-empirica.

    Mi rendo conto che per la sua natura e per la rivista a cui è destinato, l’articolo di WM1 è per forza di cose limitato a presentare gli estremi del problema, e mi auguro che questa ridefinizione della questione delle fantasie di complotto sia solo l’inizio di una discussione aperta, di un percorso da fare insieme, se vogliamo.

    Sollevo una questione. Nella prima parte dell’articolo si è accennato alla “geoingegneria solare”, sdoganando un tema cruciale e informando il grande pubblico sull’appello del 2022 di una parte del mondo scientifico per un “Non-Use Agreement” di tali tecnologie. Le mie domande a WM1 sono le seguenti: come valuta l’attività più che decennale di un sito quale Nogeoingegneria.com rispetto certi argomenti, tabù per il mainstream? Come valuta la parabola di un giornalista come Giulietto Chiesa, di cui al di là delle legittime critiche non credo si possano mettere in dubbio onestà intellettuale e deontologia professionale? Un articolo come questo al link (che vi invito tutti caldamente a leggere, o magari rileggere), non esprime forse un puto di vista molto simile a certe considerazioni emerse nei due pezzi su Internazionale, con dieci anni di anticipo? Non è forse il caso di riconsiderare degli aspetti di molte cose che sono state fatte passare per semplice cospirazionismo, col risultato di ritardare una presa di coscienza più generale rispetto problematiche inerenti allo stadio attuale del Capitalismo? E’ quello che stiamo facendo?

    https://www.nogeoingegneria.com/effetti/politicaeconomia/geoingegneria-il-clima-di-teller-stranamore/

    • Su Nogeoingegneria il mio giudizio è che l’approccio di quel sito sia sensazionalistico e poco rigoroso, molto disinvolto nel passare dai nuclei di verità a congetture che tramite domande retoriche diventano certezze su cui vengono costruite le argomentazioni successive. Vi si leggono informazioni riscontrabili e pertinenti accanto ad altre prese da fonti secondarie come minimo molto discutibili, ragionamenti fondati ma spesso stiracchiati, segnalazioni utili alternate – anche nello stesso articolo – alle scie chimiche, fantasie di complotto sul clima di prima e di seconda generazione, anche in contraddizione l’una con l’altra. Mi sembra che da quelle parti si usino troppo i nuclei di verità come palle da giocoliere. Ed è la stessa cosa che ho sempre pensato di Giulietto Chiesa, fin da quando ebbe la svolta truther sull’11 Settembre e per un po’ fece coppia con Maurizio Blondet, andandoci insieme anche in televisione.

      • Riguardo a quando scrivi:

        «Mi rendo conto che per la sua natura e per la rivista a cui è destinato, l’articolo di WM1 è per forza di cose limitato a presentare gli estremi del problema, e mi auguro che questa ridefinizione della questione delle fantasie di complotto sia solo l’inizio di una discussione aperta, di un percorso da fare insieme, se vogliamo.»

        In questo caso il mio «ben venga» è in realtà un «ben prosegua», perché su questi temi ho scritto un libro di 600 pagine che è frutto anche della discussione aperta che qui si svolge da anni :-)

        • Sì, come ho scritto anche altrove la mia conoscenza del vostro lavoro è limitata, e riguardo questo sito mi sembra di essere arrivato ad assemblea già iniziata, e da parecchio. Non potendo leggere tutto (anche se per alcune cose ci sto provando) mi può capitare di tirare fuori argomenti già affrontati qui, se non proprio di dire cose che per voi sono banalità. Quello che intendevo con la mia frase, mal formulata, è forse che per me si tratta dell’inizio di una discussione aperta, visto che spesso rispetto certe cose mi sono trovato in un soliloquio o in un dialogo con dei muri fatti di preconcetti se non proprio di propaganda.

          Ammetto che il mio approccio a certi problemi, a certi nodi della storia (come possono essere l’11 Settembre o il Covid) rischia di essere pregiudicato dal trasporto emotivo, anche se in chiave opposta a quello che succede a livello di massa – ma infondo il meccanismo è lo stesso. Questi problemi mi sembrano appunto nodi nel senso che sono momenti topici in cui differenti linee e piani sembrano convergere, interagire tra loro in modo così sinergico che paiono prendere vita propria, e di qui il rischio della deriva delle fantasie. L’analisi dei processi e la conoscenza della storia ci dimostra come tali linee e piani vengano da lontano e seguano un loro naturale sviluppo, ma ciò non toglie che il nodo problematico spesso assuma aspetti simbolici così grandi e inquietanti che diventano allo stesso tempo un rischio (di deriva) e un’occasione per scardinare narrazioni ben consolidate nella massa. E intendo qui in primis tutta la narrazione sulla fondamentale bontà di questo mondo, su questo sistema politico ed economico come l’unico possibile.

          Se mi sono permesso di mettere il link di un articolo di Giulietto Chiesa di 10 anni fa è perché credo che la priorità oggi sia, insieme a quella di discriminare, anche quella di riunificare. O meglio, la separazione del grano dalla pula è il primo passo per mettere poi insieme quanto c’è di buono e trasformarlo in materia prima in grado di dare a tutti il nutrimento di cui abbiamo bisogno. Al di là dell’analogia contadina, mi sembra che l’idea di complottismo abbia già fatto abbastanza danni e creato divisioni in quel poco che resta del movimento altromondista; e personalmente ho i miei sospetti che come le narrazioni ufficiali siano costruite a tavolino, lo stesso accada a certi livelli per le contro-narrazioni. Per questo la domanda sul sito Nogeoingegneria.

          Mi fermo, ma vorrei andare avanti e fare altre domande. Ci saranno altre occasioni.

  4. È online un’intervista che ho rilasciato a Radio Blackout sui temi dell’inchiesta in due puntate:

    https://radioblackout.org/2023/12/fantasie-di-complotto-sul-clima-una-intervista-con-wuming1/

  5. Grazie come sempre per queste analisi, riflessioni e letture dei dati che fanno luce sulla comprensione della realtà e ci aiutano a tentare di correggere il dibattito sui cambiamenti climatici e sul ruolo delle narrazioni tossiche riguardo questi temi quando ci troviamo a discutere nel mondo social e in quello reale. Spesso mi capita di ragionare con amici che sposano appieno le teorie cospirazioniste e pensano che le scie chimiche siano lanciate apposta per obnubilare le coscienze oppure che l’IA servirà a dominare il mondo e sostituirà l’essere umano nel lavoro, oppure che è in atto un progetto di sterminio della razza umana, anche grazie ai vaccini. Nuclei di verità, come giustamente dite, intorno ai quali si fondono tonnellate di narrazioni affascinanti che hanno come elemento comune il “loro contro noi”: loro sono i potenti che vogliono controllare il mondo e la natura e noi siamo i soggetti passivi che subiscono il dominio. Secondo me è su questo aspetto che dovremmo puntare per ripartire. Ripartire dal noi contro loro, dagli sfruttati contro la classe egemone. Non è facile spiegare che c’è una base comune (la lotta di classe), ma che per condurla bisogna anche mettere in discussione il nostro stile di vita, il nostro essere consumatori, il fatto che il capitalismo ci ha portati ad un livello di ben-avere (non più benessere) a cui è difficile rinunciare e, per riprodurlo, il sistema produttivo ha bisogno di nuove forme di sfruttamento della natura (ieri e, in parte oggi, le fonti fossili; oggi e, molto di più domani, le terre rare), di nuovo asfalto, nuovo cemento, forse anche di nuove centrali nucleari (come le alimenti, sennò, le auto elettriche? A pannelli solari?).
    La gente vede la discrepanza tra quanto accade le politiche messe in campo. C’è il new green deal europeo, che dice che dobbiamo arrivare alla decarbonizzazione e all’uso prevalente di fonti di energia rinnovabile tra qualche anno? Ma vede pure che si autorizzano nuovi mega impianti rinnovabili nelle aree boschive o agricole, oppure che si autorizzano, come a Nardò, disboscamenti di antiche aree boschive per allargare la pista della Porsche. Questa contraddizione è talmente aperta che lascia spazio a forme nuove di narrazioni distorte. L’unico modo per venirne fuori è quello della discussione permanente, condivisa e coordinata. Un po’ com’è successo, per un breve periodo, a Trieste sulla questione green pass, che ha dimostrato come sia possibile mettere in crisi le politiche “mainstream” attraverso una discussione collettiva.

  6. Quello poco che resta del mio stile di vita e del mio ben-avere (che cosa, una scrivania Ikea e una Panda pagata a rate?) me lo tengo ben stretto, se permetti.

    Vorrei anzi ampliarlo, per esempio sostituendo la scrivania Ikea con una bella scrivania di massello, che non traballi se scorreggio mentre lavoro e che duri almeno tre generazioni.

    Sono sicuro che i corrieri che muovono l’energivora logistica dell’Ikea e pisciano nelle bottigliette sarebbero ben felici di fare i falegnami nelle botteghe artigianali che furono dei loro nonni (sia pure con strumenti più moderni e affilati).

    Ikea, invece, vorrebbe sostituire i già poverissimi materiali con altra plastica: https://archive.is/WhqpL
    …ma plastica riciclata, è chiaro: https://archive.is/hOsnI

    Trovo la retorica dell’austerità pericolosissima, puro veleno, e ritengo che giunti a questo punto, ogni volta che qualcuno la sfodera, si debba sparare a vista e poichiedersi se aveva del merito.

    Raccomando: https://journals.openedition.org/osb/1913
    https://www.jstor.org/stable/26377293

    La prova della sua nocività, quanto della sua declinabilità in infinite salse, l’abbiamo vista quando è stata sfoderata durante la crisi sanitaria per ottenere il peggior risultato possibile, a forza di catene di montaggio aperte e “dobbiamo fare sacrifici”, “rinunciare alla passeggiata”.

    Non ho una grande simpatia per i miliardari, ma attenzione a forzare troppo sul “loro contro noi”, perché si rischia di trovarsi i “loro” sbagliati per le mani, soprattutto se consideriamo che spesso questi “loro” sono meccanismi impersonali, automatismi, virus mentali, semantici, talvolta meramente estetici.

    Raccomando ancora una volta la lettura dell’illuminante The Chaos Machine anche per ricongiungere questi specifici puntini.

    • Aspè, mi sono espresso male, un po’ per via del limite dei caratteri e un po’ per via di limiti personali! Le varie teorie sulla “decrescita felice” e sul riduzionismo dei consumi sono pericolose e non sono fattibili. Una volta raggiunto un certo grado di sviluppo è antistorico tornare indietro. Cioè, non si può fare. Quello cui mi riferisco è un mettere in discussione gli equilibri che si sono creati finora: se il solo Occidente consuma l’80% delle risorse globali e supera le capacità di rigenerazione del pianeta, un’autocritica dovremmo pur farcela, sennò se continuiamo ad accettare questo modo di produzione e questi livelli di consumo, rischiamo di arrivare ad un punto di non ritorno e i cambiamenti climatici di oggi saranno un piacevole ricordo.
      Il “noi contro loro” è una sintesi (estrema) di una nuova (auspicabile, almeno per me) declinazione dei rapporti sociali, della lotta di classe, che ovviamente non è più quella degli anni del PC, ma un diverso conflitto, dove – come ben dici – i “loro” sono automatismi prodotti dalla classe egemone, elementi culturali, semiotici, in cui il nostro modo di vivere si è fuso. E’ qui che volevo arrivare quando parlavo del mettere in discussione il nostro stile di vita, che in molti aspetti è quello che il modo di produzione capitalistico ha voluto.

      • Ma sarà poi ancora vero il consumo dell’80 per cento oggi? O cosa sarebbe oggi l’Occidente? India, Cina, Corea (forse quest’ultima già compresa) Russia ecc. sono dentro o sono fuori? Supereremmo la metà della popolazione mondiale.
        Qualcuno partito a vivere in Cina mi raccontava che nella metà sud di quel paese è vietato il riscaldamento per non aumentare l’inquinamento (o forse il consumo di energia). Non so quanto sia vero, di certo mi sembra un’austerità tra le più micidiali.
        Per completare queste a mio parere non intelligentissime cinquecento battute obbligatorie che obbligano sovente alla prolissità, finisco con l’aggiungere qualcosa che avrei preferito tralasciare non trovando più il riferimento che mi sembrava fosse uscito su Jacobin riprendendo un articolo scientifico: aumento dei decessi per polmonite nel Regno Unito, si parlava di cinquecentomila morti in alcuni anni, in epoca prepandemica, dovuto a povertà, difficoltà di pagare il riscaldamento eccetera, negli anni subito prima del referendum per la Brexit del 2016.
        E sì @rinoceronte ha ragione: a parte il fatto che il grosso dei consumi è dell’industria e non delle famiglie, il livello dei consumi individuali si è notevolmente contratto da quindici-venti anni nel modo più infelice e inquinante: una casa con una cucina o un forno nella cucina o una vasca da bagno nel bagno sono sempre più lussi impossibili, l’accesso alla cultura e agli svaghi lo stesso, certe terapie ugualmente, oggetti durevoli di qualsiasi tipo idem; i costi dei trasporti collettivi privatizzati – non privati – (a proposito, qualcuno ha seguito la vicenda Alitalia?) impongono a volte il mezzo individuale come il meno costoso benché più scomodo. Quindi finiamola una volta per tutte di considerare ricevibile questa interessata solfa eco-colpevolizzatrice spacciaballe. Siamo già tornati indietro, @giox: chi sta sotto i trentacinquemila lordi l’anno è indietro da un pezzo, almeno nelle città o in qualsiasi località turistica, pure paesini sperduti sui monti dove i prezzi delle case si adeguano a quelli delle piattaforme di locazione breve estere.

        • Mi è guizzato via il commento mentre lo stavo editando:
          Forse su queste basi materiali e sul contesto altrettanto materiale che ha permesso il loro imporsi dovremmo riflettere quando siamo confrontati al complottismo e relative fantasie comprese quelle che nascono nell’humus più retrivo (per quanto il lasciapassare fosse anzitutto una insensatezza inutile continuo a considerare la battaglia sui vaccini un terreno tra i più plutonici in questo senso e totalmente importata nel suo duplice aspetto: col fanatismo religioso di destra – o che sta tentando di dare una nuova identità alla destra, non saprei – alla base delle scelte di troppi partecipanti smaniosi di martirio e capi famelici di visibilità c’è poco da illudersi, non siamo dalla ninfa del Rocciamelone e pure i Gilet Jaunes francamente sono tutt’altra cosa e tutt’altro paese). Stesso dicasi per il bisogno di appartenenza che si esplica via internet: francamente, dopo che qualsiasi partito di sinistra più o meno di destra e suoi ascendenti ha approvato dalla fine della scala mobile ai contratti para subordinati del governo Prodi-Rifondazione, al sistema pensionistico contributivo puro e Fornero, alla privatizzazione bipartisan dei dipendenti pubblici cioè al taglio dei loro salari tranne pe chi come docenti universitari è rimasto in regime pubblicistico, tralascio il resto, a cosa dovrebbero voler appartenere queste persone? Ai girotondi GKN? Per carità lotta sacrosanta e felice che vada bene, ma l’estetica del pomeriggio felice tutti insieme non cambia la cena a cipolle né l’isolamento di fondo tra chi ci va a mescolarsi ma con un reddito e una posizione di un certo tipo (e certe cose proprio non le vede, non c’è verso) e chi no.

        • Quando a Roma chiunque dà addosso al sindaco che vuole vietar le automobili non elettriche anche in sosta all’interno della circonvallazione del GRA è questa nuova povertà che si manifesta. I trasporti sono cari oltre a essere radi, scomodi e lenti, i taxi anche a trovarli non ne parliamo, le famiglie sono spinte per forza ad alloggiare lontano dal luogo di lavoro e dei servizi dalle scuole alla sanità, la guerra fatta allo smartworking da destra e pure da sinistra perché ci privava dei corpi (!) cioè della ressa forzata in stanzette e compagnie alienanti – se mai avrei capito perché nel privato favoriva uno sfruttamento di ore non facilmente rilevabili – trasportare un peso o accompagnare un anziano non lo puoi fare con la tessera gratis dei mezzi proposta dall’amministrazione e un’auto nuova, quando magari vivi in coabitazione pure se hai il cosiddetto posto fisso, non puoi permettertela. Anche su questo @rinoceronte aveva visto giusto quando scriveva di riappropriarsi delle città. La destra queste cose le sente e le intercetta, cioè fa bene il mestier suo; la sinistra ogni volta che si parla di basi materiali sembra assai più spaesata, tra attacco al “piccoloborghese”, quello monicelliano pero’, la distanza dal cui squallore quotidiano la rassicura sul suo proprio valore e talvolta riuscita sociale, e imbarazzo da non comprensione del problema (che ha contribuito volenterosamente a creare), per pauperistica convinzione che si sia ormai tutti viziati spreconi o per livello e ambiente di vita fondamentalmente diverso (alla peggio vado all’estero a insegnare).

  7. Tra la pubblicazione del primo e del secondo spezzone delle fantasie di complotto sul clima ho presieduto una riunione in cui ho cercato di promuovere una collaborazione tra una sezione di un sindacato di base del pubblico impiego e un’associazione locale nata sull’onda degli odiatissimi vaccini pediatrici prima e covid poi. La strategia è stata di far emergere i pregiudizi reciproci per poterli riconoscere e superare. Da una parte i comunisti invidiosi per natura, fannulloni e anacronistici, dall’altra i bottegai, complottisti seriali piccolo borghesi. Alcune delle intuizioni dell’articolo le ho espressamente utilizzate per stimolare un’autocritica ai membri dell’associazione, in particolare quella sul ricorso alla teoria del complotto frutto di una pigrizia intellettuale che cerca (e trova) soluzioni semplicistiche alle grandi questioni del nostro tempo.

    Sul tema evocato dal doppio di Naomi Klein, ritengo che la polarizzazione nel dibattito pubblico, in ecologia politica come in altri ambiti, sia dovuto, oltre all’ormai noto funzionamento degli algoritmi dei social network, soprattutto dal bisogno di nostro bisogno di appartenenza a qualcosa che supera la sfera individuale. In una società in accelerato stato di liquefazione dei legami tradizionali (non è un giudizio ma una constatazione di fatto) di fronte al vuoto un tempo colmato dall’appartenza famigliare, professionale o religiosa, si sente forte il bisogno di appartenere ad una corrente di opinione, progressista o conservatrice che sia. Non più strutturata in militanza partitica o sindacale, ma ridotta all’osso dell’opinione pura, esternata sui social. In molte occasioni mi pare che le opinioni che esterniamo non siano frutto di un pensiero ma soltanto la rivendicazione di un’appartenenza. Solamente le personalità più forti, purtroppo, riescono oggi a sottrarsi a questa logica tribale di appartenenza postmoderna, uscendo dal buco dove sono confinate le nostre idee, e riuscendo così ad esprimere un pensiero libero. Complimenti ai Wu Ming per esserci riusciti.

    • Grazie, Alfeo, a questo punto sono curioso, e immagino che la curiosità sia di chiunque abbia letto il tuo commento: sei riuscito ad avviare la collaborazione tra i due ambiti?

      • É troppo presto per dirlo ma sembrerebbe che almeno le basi siano state fondate, superando i pregiudizi di fondo e creando tra le persone una certa simpatia o almeno una non-antipatia. Non abbiamo ancora iniziato a fare nulla insieme, per cui manca la prova del nove.
        Nel concreto, un pezzo di storia in comune l’abbiamo potuto trovare nell’esperienza della pandemia, dove da un lato il sindacato di base si è dimostrato capace di difendere i lavoratori a prescindere dalla loro tribù di appartenenza e dall’altra un gruppo di persone antivacciniste è riuscita ad andare oltre la puntuale protesta del momento arrivando vitale fino ad oggi, pur tra mille limiti e contraddizioni. Si potrebbe dire “compagni di sventura, compagni per la vita” parafrasando un passo di Simone Weil nel libro “La prima radice”. Una delle poche eredità positive che può lasciare una guerra.

        • Molto interessante. Mi sembra uno scenario non dissimile da quello in cui avevamo sperato due anni fa, durante la grande mobilitazione triestina contro il green pass, che seguimmo da molto vicino e su cui Andrea Olivieri scrisse un reportage a puntate memorabile. Letto oggi è ancora più significativo:

          https://www.wumingfoundation.com/giap/2021/11/strange-days-no-green-pass-trieste-1/

          https://www.wumingfoundation.com/giap/2021/11/strange-days-no-green-pass-trieste-2/

          https://www.wumingfoundation.com/giap/2021/11/strange-days-no-green-pass-trieste-3/

          Era certo una mobilitazione-calderone, ma ci intervenivano collettivi di compagne e compagne e ai cortei partecipava quasi tutta la classe lavoratrice della città, lo vedevi dagli striscioni delle fabbriche. Infatti si espresse nel modo più icastico nell’occupazione del varco 4 del porto. A differenza di quanto accadeva altrove, la lotta aveva una forte connotazione sindacale e anche per questo le fantasie di complotto avevano un ruolo marginale. Ricominciarono a prendere piede dopo la sconfitta e il riflusso.

          Se la sinistra anche sedicente “radicale” e i ceti politici “di movimento” non fossero stati così presi da virocentrismo e tanatofobia, se fossero stati meno schiavi dei loro pregiudizi, se invece che prendere per il culo da lontano sui social – o, come fece una nota radio, tendere “trappoloni” ai compagni triestini per farli passare come utili idioti di fasci che in realtà non c’erano e se c’erano non contavano nulla –, se invece di comportarsi in modi così puerili avessero cercato di capire le ragioni di chi interveniva in quella lotta, di chi aveva scelto di stare nelle contraddizioni cercando di tenere saldi alcuni paletti, probabilmente la “cattura” reazionaria che avvenne nella fase finale non ci sarebbe stata. Lo scoramento e la depressione che oggi imperversano avrebbero avuto un contrappeso nel mantenersi di legami saldi. E oggi, confronti tra soggettività diverse basati sui nuclei di verità delle rispettive visioni del mondo sarebbero più facili.

          Ma è un periodo ipotetico dell’irrealtà: il pensiero binario pandemico che oggi Naomi Klein denuncia ex post faceva sì che anche sedicenti marxisti provassero timor panico di fronte alla contraddizione, che invece, come cantavano gli Stormy Six, «muove tutto». Del resto, nella sinistra italiana c’è ancora chi crede che quello dei Gilets Jaunes fosse un movimento «fascista»…

          • Segnalo questo pezzo di Erasmo Sossich – che parte come un racconto di famiglia e continua come un’analisi retrospettiva degli scazzi e delle convergenze mancate in epoca Covid, del ritardo che scontiamo per via di quegli scazzi etc. – perché mi sembra molto importante.

            La convergenza impossibile. Pandemia, classe operaia e movimenti ecologisti

            https://www.monitor-italia.it/la-convergenza-impossibile-pandemia-classe-operaia-e-movimenti-ecologisti/

            • Il problema, cazzo, è che la crisi climatica è reale, è già qua, e gli effetti li stiamo già subendo. Trovare un modo per parlarne in modo concreto e senza supponenza è ineludibile. Di certo non ci aiuta l’uso che i benpensanti hanno fatto della “scienza” come manganello durante la pandemia (in realtà, l’uso di una serie di proposizioni apodittiche e prescrittive infiocchettate in un linguaggio che suonava scientifico). Con Alpinismo Molotov abbiamo provato a proporre un metodo, un possibile approccio: partire dai propri territori, dai luoghi familiari, imparare a leggere i segnali di quello che sta succedendo.

              https://www.alpinismomolotov.org/wordpress/2024/01/02/siccita-incendi-e-alluvioni-la-crisi-climatica-tra-adriatico-e-alpi-giulie/

              • Credo che la questione dell’autocritica ci debba essere. Almeno per quella parte di persone che, resesi conto delle distorsioni verificatesi con la gestione della pandemia, in termini di negazione violenta di diritti come il lavoro e lo studio, non se la sono sentita di contaminarsi con il “fascistume” che occupava le piazze e magari occuparne di altre. Che una volta presa la decisione di vaccinarsi, si sono comodamente sedute ad aspettare la fine della tempesta. Che però imperversava sugli altri. Nella disperazione sono sceso in piazze stranissime ed eterogenee dove spuntavano sia bandieroni tricolore che rituali con lumini new Age che bandiere della pace che i neoinni come “la gente come noi non.Io provo un forte rancore verso chi non ha voluto sporcarsi le mani e di cui non riesco a liberarmi e forse non mi va di farlo. Pur non avendo aderito ad alcuna teoria del complotto, non mi sono vaccinato per pura ed irrazionale contrapposizione e sfiducia verso “istituzioni” che ci hanno cresciuti a pane e complotti salvo poi tacciare di complottismo chi semplicemente si rifiutava di accettare la “proposta” vaccinale.

                • Mi ricordo anche io il disagio di immergermi in quelle piazze ricoperte da tricolori, piene di gente con cui non avevo mai scambiato nulla. E cominciai ad andare in piazza con cartelli tipo “compagni, dove siete?” oppure “compagne, il mio corpo, la mia scelta, giusto?”. Ma non c’era nessuno…e anni dopo oggi quando si ritira fuori il discorso green pass, tutti vogliono dimenticare. Nessuno vuole muoversi una critica, va solo spazzato via il brutto periodo. Per questa ragione ormai è diventato quasi impossibile confrontarsi. Perché è come se non si volesse partire dai presupposti di una rottura profondissima. Si è lasciato che marcissero lavoratori e gli studenti, si è tacciato chi ha disobbedito di essere fascisti, e in alcuni giornali cosiddetti rossi si è letto pure che chi rifiutava il siero era borghese per forza perché voleva dire che se lo poteva permettere. Scontri fittizi come quelli generazionali, o quelli sui diritti civili. Conosco i limiti del mondo in cui sono immersa molto meglio del mondo in cui ero prima, proprio perché ne ero esterna. Non capisco i compagni, e come Alessan, non me la sento di perdonare senza che ci sia stata la benché minima analisi.

              • (1/2 — ho provato a sfoltire, giuro)

                Lo scritto a mio avviso coglie diversi elementi sensati; ho molto apprezzato il periodo sull’autodeterminazione della classe operaia, fa eco con un discorso che facevo io sotto il post delle Besta.

                Mi pare però che arranchi nelle conclusioni, poichè si trascurano, in senso matematico, le definizioni.

                Ad esempio… “il problema è […]”.

                Come si fa a dire “qual’è il problema” se non siamo d’accordo su come definirlo? “Essere un problema” è in realtà un rapporto transitivo: è vero che “gli operai FIAT sono un problema per Agnelli” tanto quanto “Agnelli è un problema per gli operai FIAT”.

                Dobbiamo insomma capire se siamo la FIAT o se siamo gli operai.
                Se siamo la classe operaia quasi integralmente cooptata nell’alt-right o se siamo la sinistra bramina.

                Poi dobbiamo chiederci se una convergenza è possibile.

                A margine, dovremmo anche parlare del fatto che entrambe le classi sono largamente usate come squadre nel grande Subbuteo di Zuckerberg e da esso ricevono ordini: l’ho fatto in un altro lunghissimo commento in risposta a “dude”: la questione mi sembra invero la più fondamentale, ma non la riaprirei qui.

                Comunque, la risposta di tuco mi pare emblematica del fatto che la possibilità di una convergenza è questione ancora apertissima: “il problema è che la crisi climatica è reale”.

                Certo, come sono “reali” tante altre cose, ma “la crisi climatica” è l’apice e l’emblema di tutto quello che alla classe operaia in media non interessa e non può interessare.

                Certo, ne subisce le conseguenze, come subisce le conseguenze della guerra, delle epidemie, dei meteoriti, della deriva dei continenti, delle decisioni della gente che porta la cravatta e della sfiga, ma è abituata a mitigarne le conseguenze nel proprio immediato, giorno per giorno.

                Non si illude nemmeno per un attimo di poterne controllare le cause.

                • (2/2 — ho provato a sfoltire, giuro)

                  “Risolvere la crisi climatica” è qualcosa che suona moltissimo come “salvare il mondo”, qualcosa di ancora più grande di “cambiare il mondo” (che non è poco).
                  Quella lì è roba da classe dirigente.
                  Da padroni del mondo, da Batman (di Nolan) nella sua villona.

                  La classe lavoratrice vuole al massimo salvare il proprio salario e comprare ai figli i giocattoli a Natale.

                  È a mio avviso sensato, in questo senso, il partire da luoghi e cose familiari, ma… è ancora prematuro.

                  Molto prima di poter sperare di chiedere alla classe lavoratrice un aiuto per “salvare il mondo”, sia pure indicandone la disgregazione in atto già nel proprio orticello, bisogna farla salire dibbrutto nella piramide dei bisogni.
                  No, anzi, bisogna eliminare l’intera nozione di classe subalterna, bisogna rifondare la società, serve l’utopia delle utopie.

                  Serve ripartire da quegli slanci puramente ideali ed estetici che in certi circoli, sinceramente, difettano.

                  Altrimenti la classe lavoratrice ti dice di andare a quel paese, ché è troppo occupata a guidare camion, cercare di pagare le bollette, scaldare l’abitazione in classe energetica G col gas, spostarsi con la macchina per accompagnare i genitori che abitano a 40km.

                  E la Domenica andare per tornanti con la moto Euro 1, dondolandosi tra le curve per dimenticarsi per un attimo che la vita è una merda (da anni), magari sperando di cuccare al bar le divorziate con la giacchetta in similpelle e gli slogan in inglese tatuati sull’avambraccio.

                  E la classe lavoratrice ha legittimamente paura che gli si porti via pure quello, e poco avviene per rassicurarla o proporre un’alternativa.

                  Poi potete dire al camionista che “clima e salario è la stessa lotta”, ma questi cercherà lo stesso di investire il vostro corteo.

                  Tanto, se viene l’apocalisse nel 2044 (che a voi pare vicinissimo) si arrangerà, come ha sempre fatto, giorno per giorno.

                  • Se guardi il pezzo di alpinismo molotov che ho linkato, tre le altre cose troverai un video girato da una associazione di pescatori sportivi. Il video è tamarro e cazzone come solo i pescatori sportivi sanno essere, ma documenta una situazione reale, e lo fa dal punto di vista di persone che almeno in parte appartengono alla classe operaia, e le domeniche le passano sul fiume a pescare con lo stesso spirito con cui tu vai a farti un giro in moto. Loro la realtà della crisi climatica la toccano, e infatti sono incazzati per la gestione delle acque, che è appiattita sulle esigenze dei viticoltori. Ma non c’è solo la classe operaia bianca. Ci sono anche quelli (che tra l’altro il tempo per andare a pescare non ce l’hanno) che fanno gli operai per sei mesi in Friuli, e poi per sei mesi tornano in Senegal per il raccolto, e quando tornano raccontano della siccità, o delle alluvioni, e di come l’agricoltura stia diventando impossibile da quelle parti. Insomma il mondo è complicato e ciò è un bene.

                    P.S. Il pezzo su AM si concludeva così: Si troverà sempre qualcuno che se ne uscirà dicendo che non c’è nessuna siccità, che l’acqua in realtà c’è, ma “loro” la tengono nascosta. Che la colpa delle inondazioni è degli ambientalisti che si oppongono alla regimentazione dei fiumi. Che il cambiamento climatico c’è, ma non è causato dall’inquinamento, bensì dalle macchie solari o dalle scie chimiche. Alla fine anche tutta questa gente toccherà il reale, e forse si renderà conto che le vere scie chimiche sono quelle che escono dalle ciminiere delle raffinerie, non dagli aerei fantasma degli ambientalisti. Che i “poteri forti” sono le compagnie petrolifere, i miliardari dell’high-tech, il complesso militare-industriale, e non i rifugiati climatici. Che se non si cambia tutto, saremo noi i prossimi rifugiati climatici.

            • Leggendo dell’impossibilità della convergenza tra movimenti climatici e classe operaia mi è venuto in mente il ricatto di Taranto. E ricordo come lì la contrapposizione fosse artificiosa, perché i Riva prima e Arcelor-Mittal poi hanno sostenuto che non si può produrre senza inquinare (e, in troppi casi, morire). In altre parti del mondo, tuttavia, questa contrapposizione non c’è.
              Quando, alla fine del pezzo (peraltro bellissimo e, per quanto mi riguarda, condivisibile quasi tutto), l’autore conclude che “il problema siamo io e mio zio”, a mio parere si esercita per l’ennesima volta con l’autocritica che porta a lotte di retroguardia. La zia, oggi, solidarizzerebbe con i trattori che vogliono continuare a fare come hanno sempre fatto, come se nulla stesse accadendo, come se la mancanza di pioggia fosse una cosa che non li riguarda. Rivendicare l’uso dei pesticidi non è rifiutare il ricatto del capitale, così come, a suo tempo, rifiutare il vaccino non era una battaglia di libertà anticapitalistica. Criticare il capitalismo da posizioni conservative significa combattere una battaglia persa, perché il sistema sarà sempre un passo avanti. Se esso dice: “per combattere la crisi climatica la strada è l’auto elettrica che tu non ti puoi permettere” la risposta non può essere: “rifiuto l’auto elettrica”, ma piuttosto “dammi un’auto elettrica a condizioni accettabili sennò ti blocco il paese” (non già: dammi il gasolio a condizioni accettabili sennò ti blocco il paese. E taciamo per ora il fatto che anche l’elettrico ha alternative). Come dice tuco qui in basso, bisogna fare campagne di alfabetizzazione scientifica se si vuole convincere le persone della gravità della situazione. Credo sia un errore seguire il diffidente sul suo terreno con l’illusione di inglobarlo e sottrarlo al complottismo.

              • Grazie per il link. È un documento che fotografa benissimo il momento.

                Come per Marcello, anche a me non convince quel: «il problema siamo io e mio zio». La trovo un’autocritica controproducente.

                Significativo, all’interno di questo discorso, il contributo di Timothy Morton.

                Riguardo all’ecologia/ecologismo, alle nostre latitudini è in corso da molti anni una «guerra ontologica».

                Inutili quindi a mio avviso i mea culpa; servirebbe più impegno da parte di tuttx, una prassi continua capace di generare una *reale e diversa* consapevolezza ecologica, collettiva e profonda, che vada oltre Lovelock e proposizioni tipo:

                «È la natura, l’unica cosa in cui credo».

                Con tutto il rispetto per la zia di Erasmo e chi in queste cose crede affettivamente.

                Anche perché il discorso ecologico è soltanto uno degli aspetti del cambiamento. Sicuramente il più evidente; quello percepito a livello sociale e quindi più facilmente co-optabile dall’ultraliberismo, attraverso il fascismo moderno. Penso per esempio alle paranoie che giravano già molti anni fa sull’Agenda 21, ora 30.

                In chiusura, il discorso ecologico credo rappresenti soltanto un primo passo, un *portale* per la nostra specie verso un necessario mutamento del paradigma scientifico.

              • Ciao Marcello. In effetti mia zia mi aveva informato delle mobilitazioni degli agricoltori tedeschi ancora prima che la notizia arrivasse sui media mainstream, e si è posizionata fin da subito al loro fianco. Così come lei, molte altre persone, ed anche una parte dei movimenti sta prendendo posizioni di apertura sul tema ( si vedano i reportage o l’editoriale di InfoAut, i comunicati di ARI, o le prese di posizione di Ultima Generazione e di Ecologia Politica Network.
                In merito alla questione, ho scritto qui:

                https://www.monitor-italia.it/contro-il-green-deal-europeo-sul-movimento-dei-trattori-in-piemonte/

                • Il greenwashing descritto negli “appunti dei primi giorni di febbraio” è la nuova (ma forse farei meglio a dire solita) politica europea. Però gli elementi razionali della protesta (ad es. l’opposizione alla logica dei gettoni, che strozza i piccoli produttori, che è di Asti-Alessandria ma non di Torino, mi sembra di capire), si perdono nel mare di rivendicazioni più prosaiche, che poco o nulla hanno a che fare con la transizione verde, e buona parte di chi protesta si riterrà soddisfatta dalla riduzione dell’IRPEF. E l’unione fra l’italiano e il francese è illusoria, perché entrambi hanno le rispettive bandiere sulle spalle, e dunque altro non è che l’unione dei popoli salviniana o orbaniana (esattamente il contrario dell’internazionalismo).
                  Infine, e lo dico consapevole del rischio di urtare qualcuno, la maggior parte di quegli stessi agricoltori che se la prende con il green deal, e molti di quelli che li applaudono quando passano nelle loro “marce”, insultano (e qualche volta prendono a calci) i ragazzi di extinction rebellion o ultima generazione (anche se questa sembra guardare alla protesta con una certa disponibilità), che bloccano le stesse strade, sbeffeggiano i fridays for future, e le loro rivendicazioni sono essenzialmente di natura economica, senza una critica al modello. Dove sono questi signori quando si tratta di bloccare i passanti, i ponti, i condomini costruiti sui greti dei fiumi? E allora di quale comunanza parliamo? Costoro la fanno autocritica? L’hanno mai fatta? Sinceramente non riesco a capire perché la sx di lotta debba sentirsi in colpa per il fatto di non andare loro incontro, di non intercettare le loro istanze lasciandole alla destra complottista. E pace se, come dici a ragione, il capitale alimenta e sfrutta questo “dividi et impera”.

              • “Dammi l’auto elettrica a condizioni accettabili” mi pare precisamente la domanda in linea con le aspettative tecnologiche e scientifiche del capitalismo. A partire dal “dammi”, cioè forniscimi il prodotto che vorrei. Ricordo bene come negli anni 90 invece anche nel contesto delle realtà ambientaliste meno… rivoluzionarie, come il WWF, e il WWF veneto in particolare, dove militavo, la domanda era: come facciamo noi a mettere nel piatto della discussione politica un sistema di trasporto diverso? Tante, tante auto in meno e più trasporto pubblico? Abbiamo portato in Italia una mostra dei verdi tedeschi, INCUBO AUTOMOBILE (molto efficace e ben fatta). Se oggi la soluzione è anche a sx l’auto elettrica, altro che lotta di retroguardia, siamo tornati indietro con la macchina del tempo.

            • Grazie per il link.

              Più che difficoltà di convergenza si potrebbe parlare di creazione di fossati di separazione.

              Chi si è opposto al vaccino lo ha fatto sul principio, per me basilare, che sul mio corpo decido io.
              Questo i “movimenti” di fatto non lo hanno accettato, entrando in profonda contraddizione, con l’aggravante di aver fatto propria la narrazione degli organi di potere istituzionali.

              Dall’altra parte la pandemia ha però anche annientato qualunque attendibilità della scienza (di qualunque scienza), a causa della lunga serie di bugie dette anche sul vaccino.

              Credo sia veramente difficile costruire un ponte su questo fossato.
              Forse, come ha già detto qualcuno, con la ricostruzione di comunità materiali.
              Una bella sfida nell’epoca della rivoluzione digitale del capitale.

            • Ciao. Vi segnalo anche questo pezzo, che si colloca un po’ nello stesso filone riflessivo, e prova a riflettere sui rapporti che legano i movimenti nogp e il movimento dei trattori, a partire dalle piazze torinesi e dalle mobilitazioni degli agricoltori piemontesi. Si tratta di una riflessione meno personale, meno sedimentata e molto situata, ma che cerca di attualizzare e aggiungere qualcosa in più alla discussione in corso, e nella quale questa relazione sta venendo alternativamente rimossa o utilizzata per screditare il movimento. Considerando che i movimenti NoGp sono stati l’unica sponda urbana di questo movimento, e che da Torino stanno organizzando i pullman per scendere a Roma per la manifestazione nazionale del 15 febbraio, penso abbia senso provare a intervenire nel dibattito portando un altro punto di vista.

              https://www.monitor-italia.it/contro-il-green-deal-europeo-sul-movimento-dei-trattori-in-piemonte/

            • Del bellissimo scritto di Erasmo Sossich, denso di analisi politica, mi sembra importante porre in evidenza la riflessione che sviluppa sul piano dell’esperienza personale. In primo luogo quando constata che il ricordo della pandemia è per la maggioranza di ciascuno di noi un doloroso passato, impossibile da elaborare e quindi da seppellire nell’oblio. Poi quando, raccontando dei giorni successivi al cenone di Natale e delle occupazioni che legano quotidianamente lo zio e la zia, indica nella capacità di prendersi cura degli altri in concreto il requisito preliminare per la legittimità di qualsiasi proposta politica. Tradotto in parole d’ordine: fare i conti con la realtà, evitando di nascondere la testa sotto terra, o peggio, di prendersi in giro.

              Un quinquennio di (pur altalenante) impegno politico-sindacale mi hanno insegnato quanto è importante prendersi cura della propria famiglia, amici, parenti, cani e gatti. Che la militanza spesso è motivata da un desiderio di evasione da sé stessi, non molto diversamente dalla passione sfrenata per un videogioco. Che la sincerità dell’impegno e la capacità di fare i conti con la propria realtà personale sono requisiti essenziali per decidere, anche e soprattutto in politica, a chi affidarsi e di chi diffidare.
              Da questo punto di vista compagni e novax, progressisti e conservatori, integrati ed esclusi, tutti siamo in uguale misura sfidati dalla difficoltà oggettiva di riconoscere una realtà, una forza in apparenza ineluttabile, che giorno dopo giorno lavora al nostro annientamento.

              • > Che la militanza spesso è motivata da un desiderio di evasione da sé stessi, non molto diversamente dalla passione sfrenata per un videogioco.

                Sì.

                Grazie per avere avuto il coraggio di dirlo.

                Questo.

                Non voglio fare di tutta un’erba un fascio (“ehi, ho molti amici omosess attivisti!”), ma mi pare fattuale che presso la sede della qualsiasi organizzazione militante X o associazione universitaria Y si trovino manciate di figuri del genere, che non sapendo dipingere si dilettano di scrivere cartelloni.

                Menzionavo altrove un risultato recente (https://www.psypost.org/2024/02/dark-personality-traits-linked-to-engagement-in-environmental-activism-221188) per cui il narcisismo sarebbe ampiamente sovrarappresentato tra gli “attivisti” (ma non fra i “sostenitori”).

                Tant’è, tanti soggetti del genere, quando scoprono che possono avere la botta di dopamina in altri modi (ad esempio brandendo il potere quando se lo ritrovano in mano), cambiano le proprie priorità anche in modo importante.

                E tradiscono sistematicamente le cause da decenni, se non secoli.

                Senza fare nomi, o almeno senza farli qui, li abbiamo tutti presente, credo (chi è stato il primo, Stalin?)

                La questione, forse, andrebbe affrontata e problematizzata.

                È una gran brutta scatola di vermi da aprire e può portare all’autodistruzione con facilità, ma l’alternativa forse è peggiore, perché soggetti del genere, che stanno perennemente a rota, sono velenosi.

                Diciamocelo: l’everyman largamente inoffensivo ma che alle urne una volta ogni cinque anni vota “contro i comunisti”, che odia, ha probabilmente incontrato un figuro del genere sulla sua strada e ne ha ricevuto una gran brutta impressione.

  8. Il reportage di Andrea Olivieri fu per me aria pura e fresca nell’atmosfera mefitica che rendeva difficile anche solo pensare. Cosa sta succedendo? Ecco sta succedendo questo. Mio fratello, insegnante, era a Trieste con un suo amico a “dare una mano”. Già allora c’era di tutto. Ho una foto dell’amico di mio fratello con Paragone. I giornalisti rai che si aggiravano con le telecamere spesso venivano maltrattati. Ma c’era già allora un perché: i servizi erano fatti tagliati e apparecchiati per mostrare quanto fuori di testa erano le persone che stavano la. Olivieri ha mostrato come stavano le cose. Grazie ancora.

  9. Riprendo: io frequento un gruppo locale che solo per capirci possiamo chiamare novax. Però dentro ci sono anche persone vaccinate. C’è una discussione interessante su questo. Un gruppo che mi ha “salvato la vita”, xchè qui nn sono solo. Leggendo l’ultimo internazionale, quello con zero calcare, c’è un articolo , QUESTO REGNO NON ESISTE, che racconta come in Belgio ci siano sempre più persone che nn pagano le tasse e si rifiutano di avere rapporti con lo stato. Si sono fatti delle carte di identità personali… Sono convintissime di quello che fanno. Io conosco una signora qui che ha fatto questa scelta, con motivazioni e strategie pari pari quelle dell’articolo. Si trova in grande difficoltà, ovviamente, anche xchè ha dei figli e nn ha marito. Non ha nemmeno più il gruppo di persone di persone che avevano fatto questa scelta, xchè l’hanno buttata fuori. Queste sono persone. Prima di tutto. Oggi sono tanti gli strumenti messi in piedi per evitare di vedere le persone. Faccio parte di un altro gruppo che si occupa di politica, un giorno ho affrontato questi discorsi con una persona di sx, che ha cominciato ad alterarsi. Io ero molto tranquillo e alla fine ci siamo lasciati abbracciandoci. Però lui nn è più tornato, perché non poteva stare in un gruppo in cui c’era un novax. Ma cosa ci è successo?

    • Grazie del contributo, Andreanza, invito però a stare molto all’erta di fronte a questa tendenza “sovranista-individualista” che sta prendendo piede nella disperazione generalizzata. Il movimento dei “Sovereign Citizens” negli USA esiste da anni e ha seminato devastazione, ha mandato un tot di gente allo sbaraglio e in malora a colpi di pseudo-teorie para-giuridiche, convincendole che con qualche “geniale” escamotage ciascun individuo avrebbe potuto dichiararsi entità indipendente, libera da doveri nei confronti di qualsivoglia istituzione. Ovviamente la matrice di questo vago “movimento” è anarco-capitalista, cioè ultraliberista, e basata sull’individualismo “di frontiera” e sul suprematismo bianco tipici dell’espansione colonialista verso ovest.

      In Europa abbiamo visto un fenomeno simile a metà anni Dieci, quando per un breve periodo fu in auge l’indipendentismo triestino: un paio di arruffapopoli avevano convinto un po’ di gente, se ricordo bene un centinaio di persone, che nessuno poteva obbligarle a pagare le tasse allo Stato italiano perché Trieste non ne faceva parte. Ovviamente, invece, qualcuno che poteva obbligarle c’era, ed è andata a finire piuttosto male. Stessa cosa in Germania col movimento di estrema destra dei Reichsbuerger secondo cui l’attuale stato tedesco è illegale.

      Negli ultimi anni queste correnti si sono ibridate con le fantasie di complotto di matrice QAnon.

      QAnon che purtroppo serpeggia anche nei milieux antivaccinisti o comunque post-antiGP italiani, ne ho avuto riscontro di recente leggendo una specie di inchiesta antropologica su quel mondo, basata su decine di interviste fatte soprattutto a Siena e a Modena: nelle testimonianze ho trovato un sacco di riferimenti e “dog whistles” che ben conosco: “grande risveglio”, “bambini spariti” ecc. Non sono riuscito a capire la postura dell’autore di fronte a tali “fischi per cani”: non li ha riconosciuti? Oppure li ha riconosciuti e ha deciso che in fondo gli andavano bene? In ogni caso, non sono minimamente tematizzati.

      Insomma, bisogna sempre mantenere il doppio sguardo: puntare sui nuclei di verità per riuscire a mantenere un contatto con queste persone, ma allo stesso tempo restare molto vigili di fronte a certe derive, continuare a spiegare da dove vengono certi enunciati e certe pseudosoluzioni. Non condannare, ma nemmeno condonare.

      • Riporto questa esperienza personale perché mi ha colpito una frase in particolare dell’intervento di Andreanza, quando ci dice di:

        «Un gruppo che [gli] ha “salvato la vita”».

        Nel 2023, con spirito antropologico, ho provato ad espandere la cerchia delle mie conoscenze (all’interno della quale c’è praticamente soltanto il mio cane). L’ho fatto iniziando a frequentare uno di questi gruppi cittadini, composto da poco più di una ventina tra uomini e donne, età media (azzardo) 45. Gruppo che in pandemia si era schierato in maniera netta contro vaccini e green pass.

        Proponevano un referendum contro la vendita di armi all’Ucraina e si sentivano rappresentati da un’associazione che si era data il nome di CLN Oggi.

        Ho partecipato ad una ventina tra incontri, banchetti per la raccolta firme, cene. Ho fatto tutto il possibile, nel limite delle mie capacità, per stabilire un dialogo costruttivo.

        Ho riscontrato, tra le altre cose, molto rancore per l’essere stati lasciati soli, (frase enunciata sempre e da chiunque al maschile).

        C’era evidente difficoltà e diffidenza nell’affrontare argomenti anche magari complessi tuttavia possibili.

        Confrontandosi poi su temi più mainstream, migrazioni, clima, gender ricevevo repliche a dir poco approssimative. Limite mio.

        Di contrasto si discorreva con molta disinvoltura, imbarazzante leggerezza e abbondanza di dettagli di temi come il sangue contaminato dei vaccinati e/o complotti di ogni genere.

        In chiusura, tornando alla “vita salvata” di Andreanza, quella frase mi ha anche ricordato un passaggio di quella «boiata» che è Altái.

        «Volevamo giustizia. E una ragione per vivere e morire. Io ebbi la fortuna di uscirne vivo e di incontrare persone che mi spiegarono qualcosa del mondo. Qualcosa che non si trova scritto nella Bibbia o nel Corano, ma nei libri contabili».

        • Mi ritrovo. WM1 dice che bisogna restare vigili di fronte a certe derive; è vero, ma constato che la questione è simile a quella di fronte alla quale ti sei trovato/a tu, ossia che all’interno dei movimenti che rifiutano il vaccino, o la cittadinanza, o la stessa forma giuridica di persona inserita in uno Stato, certe derive, prima o poi arrivano, sembrano essere inevitabili. È come se la carica rivoluzionaria e antisistema delle persone che vi aderiscono abbia già, in nuce, la degenerazione che le porterà verso le derive di complotto. E non c’è cristo che tenga. La mia impressione, poi, è che queste persone facciano fatica a capire che la grande maggioranza, se non la totalità, delle teorie complottiste, è, come dice WM1, di matrice ultraliberista. L’essere lasciati soli che lamentano le persone che frequentavi è l’analogo del “ci hanno rubato la rappresentanza” dei trumpiani che assaltano il Campidoglio. E proprio perché questo “loro” è indefinito, basta un cacicco qualsiasi per coagularle e farle diventare fenomeno.
          Andreanza dice: “oggi sono tanti gli strumenti messi in piedi per evitare di vedere le persone”. Sarebbe opera di chiarezza sapere chi mette in piedi questi strumenti, di quali strumenti si tratta, come agiscono, che obbiettivi hanno, perché messa così, la frase mi sa tanto di giustificazione preventiva da un lato e di presunzione dall’altro (ne senso: io sto qui, credo quello che credo e faccio quelle che faccio perché mi sono convinto che le cose vanno in un certo modo; tu devi fare lo sforzo di convincermi che sbaglio).

      • E’ interessante come il liberismo sfrenato in campo economico abbia preso a piene mani – oltre che dalle scienze sociali storte in chiave hobbesiana – dal cesto del genere western.
        La nostra cultura senza cultura è talmente innervata di questa roba qui che lo sventurato di turno, spesso eccitato da chi vuole guadagnare arruffandolo, diventa senza saperlo la versione farsesca di un avventuriero di frontiera, uno con la carta d’identità auto-firmata.
        Anche chi, come McCarthy, di frontiera se ne intende ha capito da tempo che john wayne è un prototipo umano fuori tempo massimo, tanto che – e qui bisogna citare Giuseppe Genna – il suo john wayne più recente è sopraffatto da un mondo che non capisce più e che si muove nell’ombra più scura mentre lo prende a schiaffi a ogni occasione.
        Ecco, il rischio piuttosto concreto è proprio questo: le persone lasciate in balia del cellulare, dei capibastone per profitto, e di tutto quanto s’è discusso qui su Giap negli ultimi anni sono persone che prenderanno inevitabilmente schiaffoni da una realtà che per loro è un grande buio e la vicenda della signora fermata nel bresciano ne fornisce un triste esempio.

  10. Avrei soltanto una cosa da dire riguardo al fatto che:

    «[…] all’interno dei movimenti che rifiutano il vaccino, o la cittadinanza, o la stessa forma giuridica di persona inserita in uno Stato, certe derive, prima o poi arrivano, sembrano essere inevitabili».

    Chiariamo che di inevitabile, per gli esseri viventi, c’è soltanto quell’«usanza che tutti, prima o poi, dobbiamo rispettare».

    Per tutto il resto e nello specifico per quel che riguarda le interazioni sociali che vanno a formare la vita di tutti i giorni invece (on-line o dal vivo) non dimentichiamo che l’essere umano dispone del libero arbitrio, in particolar modo quando si tratta di spendere il proprio tempo. Ore, minuti, secondi che, per moltx, la congiuntura storico/economica, nonostante le difficoltà, ha comunque liberato dal lavoro salariato.

  11. In Veneto, negli ambienti di cui si parla negli ultimi commenti, è molto diffusa la leggenda di una possibilità di sottrarsi alla sovranità dello stato italiano tramite una semplice dichiarazione da depositare comune. Molti siti, accessibili da chi “fa le proprie ricerche”, mette a disposizione degli improbabili testi maltradotti e comunque pensati nell’ambito di ordinamenti giuridici molto diversi dai nostri. Il risultato, per un giurista, è esilarante. E purtuttavia molte persone, anche intelligenti, si affidano a questi strumenti per risolvere i loro problemi: normalmente un debito scaduto nei confronti dello Stato.
    Mi vien da pensare che si tratti di un fenomeno che nel Veneto, e per estensione nel Triveneto trovi terreno più fertile rispetto ad altre zone d’Italia. Per motivi sia professionali che di frequentazioni personali di queste persone ne conosco a decine. Di essi si può tracciare un profilo: politicamente sradicati, senza nessuna appartenenza ad una tradizione storica, quindi senza nessun riferimento a tradizioni di lotta. Unica arma che ritengono efficace: il loro telefono cellulare connesso ad internet. Individui che hanno assorbito fino al midollo l’ethos e il pathos del liberalismo. La contraddizione che vedono è quella, consustanziale al liberalismo, tra libertà individuale e coercizione sovrana. Il secolo che ha elaborato l’idea più alta e perfezionata di libertà, incorporandolo nei testi costituzionali, ha partorito il secolo della leva militare coatta universale e dello sterminio pianificato. L’ordine che si vanta di difendere la libertà individuale ora freme di pulsioni totalitarie. Su questo l’intuito del complottista non si sbaglia. Ciò che soprende invece è la completa assenza di una coscienza del proprio mondo, l’assenza di un’immaginazione del reale. Ma non è il caso di farsi illusioni: anche chi si affida a verità ufficiali spesso si trova nella stessa situazione: soltanto in diversa compagnia.

    • Nelle cronache cominciano a restare impigliati esempi di questo sovranismo personale prêt-à-porter. Eccone uno freschissimo dal bresciano:

      Donna fermata con una patente fasulla “Io posso guidare motoveicoli, autoveicoli, navi e aerei”
      Il documento era firmato con il sangue

      «Si è autodefinita “eterna essenza e fonte di valore”, ed agli agenti ha presentato una “patente” redatta in proprio, firmata addirittura con il proprio sangue. Succede in Valle Sabbia, a Roè Volciano. L’incontro, quantomeno “particolare”, è capitato agli agenti dell’Aggregazione della Polizia locale della Valle Sabbia.

      Gli agenti a un posto di blocco hanno fermato una donna di 65 anni residente in un Comune della Valsabbia. La sorpresa è giunta al momento di chiedere la patente: la donna ha mostrato una dichiarazione dove si definisce “eterna essenza e fonte di valore”, in grado di “guidare motoveicoli, autoveicoli, navi, aerei e affini”.»

      https://www.bresciatoday.it/cronaca/donna-patente-firmata-sangue-valle-sabbia.html

      Documento firmato col sangue: la donna fermata fa parte di un’organizzazione con 10mila adepti

      «Era convinta che bastasse esibire un documento autoprodotto, siglato con il proprio sangue, per poter guidare l’automobile. La storia […] arriva da Roè Volciano, dove una pattuglia dell’Aggregazione della Polizia locale della Valle Sabbia ha fermato l’auto di una 65enne “particolare”.

      La donna guidava un’auto regolarmente assicurata, ma senza la revisione. La patente era scaduta nel 2021, ed è stata sostituita da un foglio stampato in proprio e “approvato” col proprio sangue. Non si tratterebbe di un’iniziativa autonoma, isolata, bensì di uno dei precetti di un’aggregazione internazionale che in Italia conta circa 10mila adepti.

      “Noi è, io sono”, questo il nome del gruppo, è un’organizzazione nella quale i membri sono accumunati dal rifiuto di ogni autorità statale e da ogni regola, leggi e tasse comprese. Nei documenti messi a disposizione sul sito dell’organizzazione si legge che “Tutti gli uomini e le donne sono stati di corpo, sovrani di Sé e hanno il diritto e il dovere di custodia e utilizzo libero ed equo di spazio, terra, luce, aria, acqua e risorse del pianeta in armonia e comunione con lo stesso e tutti gli esseri viventi che lo popolano. L’autodeterminazione e la ricerca della felicità sono diritti naturali inalienabili”.»

      https://www.bresciatoday.it/attualita/noi-e-io-sono-stato-brescia.html

      • Nell’ultimo mese e mezzo, per lavoro, sono entrato in contatto con dichiarazioni seguenti:
        “la presente è una dichiarazione resa da me [nome e cognome], ovvero entità vivente pregiuridica sovrastatale nella veste di essere umano, per la negazione della soggettività giuridica e contestuale rinuncia alla inerente cittadinanza attribuita dallo stato italiano al soggetto giuridico beneficiario [nome e cognome]. La rinuncia alla cittadinanza è estesa a qualunque Stato/ente governativo che non sia garante assoluto dei miei diritti esistenziali primari, prioritari, fondamentali, inviolabili e inalienabili quali libertà e sussistenza dignitosa”.
        Lasciando stare che, come ha già osservato qualcuno qui, una tale rinuncia presupporrebbe andare a vivere nel bosco cacciando e pescando, l’estensore non sembra prendere in considerazione questa eventualità come conseguenza della sua istanza, infatti, ad un certo punto nel documento (9 pagine), sostiene di avere diritto ad un risarcimento per essere stato indebitamente costretto alla cittadinanza dalla nascita, e quantifica detto risarcimento in 1.000.000 € in oro, convertibile in moneta (anche rubli, precisa).

  12. Una cosa che sfugge a chi crede sia possibile vivere rinunciando *veramente* alla cittadinanza, è che la condizione di chi vive senza cittadinanza è precisamente quella del migrante senza permesso di soggiorno, che arriva qua a piedi dal Pakistan attraverso i Balcani, o su un barcone dalla Libia, o anche banalmente in aereo, ma dopo un po’ si ritrova col permesso non rinnovato causa perdita del lavoro o denuncia per rissa. Se fosse *veramente* possibile rinunciare alla cittadinanza, la trafila da seguire a quel punto sarebbe: ricerca di un posto di lavoro e di una casa con adeguata cubatura, richiesta del permesso di soggiorno, e paura costante di finire in un CPR per il rimpatrio verso…. boh? E comunque le tasse bisognerebbe pagarle lo stesso. L’alternativa sarebbe vivere nei boschi, accampati in riva al fiume, mangiando bacche e piccoli roditori, oppure cibo di scarsa qualità acquistato alla LIDL coi soldi ricavati da microspaccio di hashish.

  13. Mi pare che ci sia una cosa che appare e sfugge e riappare, come un miraggio, nella contemporaneità.

    Si tratta del concetto di legittimità, insieme al retro della stessa medaglia, la forza, che si mostrano e si nascondono a turno.

    È assolutamente ragionevole che un insieme di persone, sia grande come tutto il Kurdistan o come una valle o come una famiglia o, perchè no?, un singoletto, non riconosca legittimità ad una struttura di potere quale può essere lo Stato.

    Tuttavia, questi si farà poi comunque valere con la forza, incontestato laddove gli sia largamente riconosciuta legittimità e comunque vittorioso laddove possa brandire la forza maggiore, bombardando i curdi come Erdogan o arrestando e/o applicando, in ultima analisi forzosamente, le variegate sanzioni per il Podista Che Va In Giro A Contagiare.

    Perbacco, io per primo non riconosco alcuna legittimità allo Stato.
    E sono disposto a metterlo per iscritto.
    Come sono disposto a mettere per iscritto di ritenere dovuto il rimborso di tutti i tributi versati negli anni e destinati ad ogni genere di nequizia.

    Solo che io non mi aspetto altro che di essere ignorato o, al peggio, ricevere una manganellata.

    La domanda interessante è cosa si aspetta chi “dichiara la propria indipendenza”.
    È un atto meramente dimostrativo, intellettuale? Una provocazione?
    O c’è chi si aspetta sia fruttuoso?
    (Direi che generalmente si fa prima ad evadere in silenzio).

    Va detto che costoro presentano non poche somiglianze con coloro che contrastano specifiche manifestazioni dello Stato, come qualsiasi manifestante che si prende un lacrimogeno in testa.

    Trovare le differenze è un esercizio interessante.

    P.s.: La questione della forza è il motivo per cui nel caso indicato da Marcello07 il rinunciatario dovrebbe ritirarsi nei boschi, non potendo effettivamente partecipare alla vita collettiva. La larga legittimità riconosciuta allo Stato è la ragione per cui nei boschi non troverebbe una società parallela di fuorilegge come quella della Forseta di Sherwood.

    • “La domanda interessante è cosa si aspetta chi “dichiara la propria indipendenza”.
      È un atto meramente dimostrativo, intellettuale? Una provocazione?
      O c’è chi si aspetta sia fruttuoso?”

      A quanto si vede da anni, la seconda che hai detto.
      Il punto, secondo me, resta la dimensione puramente, assolutamente individuale, individualistica, solipsistica di questi tentativi di evasione – peraltro selettiva, perché nessuno dice di voler rispedire al mittente la pensione, ad esempio – dalla cittadinanza.

      • Un altro punto è la rimozione *totale* della questione dei rapporti di produzione. «Kameraden, sprechen wir von den Eigentumsverhältnissen!» disse quel tale. Questa rivendicazione di secessione individuale parte dall’assioma che lo Stato sia un assoluto a-storico e non la formalizzazione di determinati rapporti di forza, tra classi all’interno di una società, e tra gruppi dominanti su macroscala. Questa consapevolezza invece è alla base anche di qualunque discorso anarchico…. che non sia anarco-capitalista. Ne risulta la mancanza di qualunque orizzonte di liberazione collettiva, e di conseguenza anche individuale. Nel capitalismo reale gli unici che possono vivere *da soli* operando una secessione individuale da ogni Stato sono una manciata di miliardari che sono più ricchi e potenti di molti stati.

        • Nello specifico: chi rivendica la sovranità individuale nell’autoconcedersi il diritto di guidare automobili, aerei, sommergibili, dirigibili e apecar, non mette minimamente in discussione il fatto che esistano automobili, aerei, sommergibili, dirigibili e apecar, e che *per produrre tali manufatti* nel sistema di produzione capitalista si sfruttino altri esseri umani all’interno di una filiera che va dalle miniere alle discariche, che si distrugga in modo irreversibile l’ambiente in cui è possibile la vita umana (un’intervallo di temperatura, pressione e composizione chimica dell’aria e del suolo veramente infinitesimale), che si combattano guerre in cui corpi umani vengono fatti a pezzi, ecc. ecc..

      • Concordando sullo scopo utilitaristico, è interessante capire cosa induce in un errore così grossolano queste persone. Il binomio interesse individuale/interesse collettivo che richiama quello capitalismo/socialismo non è l’unica chiave di lettura del fenomeno: non necessariamente queste persone mancano di generosità verso il prossimo o di senso di appartenenza di classe.

        Quello che li porta fuori strada è la loro idea di libertà e del rapporto tra essa e il potere politico. Più che egoisti: alienati. In questo sono figli purissimi dell’ideologia liberale, per cui ogni cittadino nasce con libertà politiche garantite da uno Stato che è al suo servizio. Prima conseguenza: le libertà politiche sono un diritto naturale dell’uomo e non un frutto di uno sforzo, di un atto di volontà: esse non hanno bisogno di essere difese e in nessun caso possono essere perdute. Seconda conseguenza: non esiste nessun rapporto di subordinazione tra cittadino e Stato ma un contratto tra pari, da cui è possibile recedere, senza peraltro perdere le libertà politiche che sono connaturate all’uomo. Manca la consapevolezza del nesso inscindibile tra il riconoscimento di un diritto e l’esercizio di un potere sovrano. Equivoco comprensibile sul piano teorico: negli insegnamenti delle materie giuridiche si sottindende che i diritti sono gratis e che lo sforzo delle persone perbene è quello di inventarne sempre di nuovi, ampliando il catalogo. Meno comprensibile e quindi notevole sul piano del senso comune: un operaio di trent’anni fa mai avrebbe preso sul serio l’utilità di queste dichiarazioni.
        La situazione mi pare così grave che a volte mi verrebbe da augurarmi l’avvento di una tragedia collettiva vera che possa riallineare il pensiero di queste persone alla realtà, ponendo così la premessa minima per una coscienza di classe e un progetto di trasformazione sociale. Ma, considerata la quantità di energia latente custodita negli arsenali nucleari oppure il grado di gravità delle catastrofi ecologiche che da un momento all’altro potrebbero scatenarsi, mi pare un augurio un po’ troppo funesto. L’ultima speranza, la più gioiosa, rimane l’educazione alla libertà delle nuove generazioni: la libertà come il più duro tra i doveri dell’uomo.

        • «[…] non necessariamente queste persone mancano di generosità verso il prossimo o di senso di appartenenza di classe».

          Sulla *generosità verso il prossimo* di questi gruppi di persone sorvolo allegramente anche se avrei materiale per scrivere un trattato.

          Vorrei invece soffermarmi per un attimo sul cosiddetto *senso di appartenenza di classe*.

          L’appartenenza ad una classe sociale non è un’astrazione è un dato di fatto. Ci si può *sentire* eterne essenze, come la signora in Valle Sabbia.

          Poveri lo si è. Oppure si diventa.

  14. Grazie delle sollecitazioni ricevute.
    Nel periodo del COVID ho cercato dei salvagenti che mi tenessero a galla. Delle risposte sensate per quanto stava succedendo. Le persone si facevano delle domande e diventavano in automatico novax pericolosi. Agamben sul Manifesto lanciava un allarme per il significato antidemocratico dei provvedimenti governativi e la sua posizione nn veniva discussa ma bombardata e lui coperto di cacca. È stato un crescendo che ci travolgeva, impossibile da discutere xchè quasi subito chi parlava in termini critici o dubitativi (sul virus, ma anche sui provvedimenti che si stavano affastellando) veniva squalificato come persona, quindi nessuna discussione, riflessione, confronto.

    Marcello07 mi chiede quando parlo di strumenti messi in piedi per “non vedere le persone” di “fare opera di chiarezza” e spiegare “chi mette in piedi questi strumenti, di quali strumenti si tratta, come agiscono, che obbiettivi hanno”.

    La risposta credo è semplice: il sacco dell indifferenziata (o del secco, non so come si dice da te) in cui vengono gettate le persone. Questo è lo strumento principale. Poi a reggere il sacco c’è una marea di gente. La TV, i giornali (manifesto compreso che continuo a leggere da 44 anni), la vicina di casa, il panettiere, i compagni del centro sociale, il mio medico, l’autista dell’autobus, mia cugina, mio padre.

    Una cosa che inizialmente mi ha stupito è che tutti i media parlavano dei “novax”, ma nessuno era interessato a sapere chi fossero. Al netto del gioco stile iene di infiltrare qualcuno e poi condividere i video più gustosi, le uniche riflessioni erano che non era necessario riflettere.

    Poi mi sono fatto, mi sto facendo, è tutto molto magmatico, una mia idea.
    Leggendo e ascoltando. Ad es. Soshana Zuboff che giusto nel 19 ha pubblicato Il capitalismo della sorveglianza. E tra le altre cose di quel’utile saggio (di cui sto proponendo in vari incontri la lettura nel gruppo di cui faccio parte) la Zuboff mostra come la tecnica industriale del capitalismo digitale sia simile a quella messa in piedi dalle potenze europee per la conquista e la colonizzazione dell’America.
    Nascondere ai colonizzati tutte le informazioni su di sé. Cooptare chi ha conoscenza e potere utile alla conquista. Mettere sempre i colonizzati di fronte al fatto compiuto. Ed il frame coloniale è: questi sono uomini a cui manca qualcosa.
    Mi sembra una riflessione interessante.

  15. Dall’articolo, si parla dei magnati di Silicon Valley, affermando “Eppure nessuno li indica come complici del piano delle scie chimiche né, in generale, di alcun altro complotto su scala mondiale. Come mai?”. Posso chiedere dove avete concluso che nessuno li indica come complici? Io da questa parte della barricata vedo tantissimi video su proprio quei magnati, sul capitalismo senza bandiere (vedi Vanguard, Blackrock ecc). E poi la maggior parte delle persone di cui parlate non ci sono proprio sui social media…quindi forse state guardando nei posti sbagliati? Fatevi un giro su telegram.
    Detto ciò, la questione climatica come giustamente indicate è stata ora legata nell’immaginario collettivo a slogan ideati da quelli stessi magnati: placa la tua coscienza con il carbon footprint quando acquisti il biglietto aereo, comprati l’auto eletttrica perché sei un bravo cittadino (non chiederti da dove viene l’elettricità che utilizzi) – e quando metteranno le città 15 minuti, obbedisci come hai fatto col green pass per sentirti un cittadino virtuoso. E i cittadini non si pongono domande, perché il “papà” ha dato loro una bella pacca sulla spalla: ora puoi continuare a giocare, bimbo, senza pensieri perché sei stato bravo – alle cose da grandi ci pensiamo noi. Ecco, forse qui si tocca un tasto un po’ più complesso sulla psiche e il bisogno di quasi tutti gi esseri umani di sentirsi utili e buoni e il paternalismo del potere 2.0. La vera manipolazione è lì…(e sentire le stesse persone imbevute in queste stronzate poi gridare contro il patriarcato, giuro, sarebbe comico se non fosse così maledettamente triste).

    • Non genericamente della Silicon Valley ma delle piattaforme, e il ragionamento riguarda la contraddizione. Vaste comunità formatesi intorno a fantasie di complotto denunciano il transumanesimo e al tempo stesso usano X e tifano Musk che pure sta sperimentando microchip neurali. Attacchi alla mia inchiesta da parte di sostenitori delle fantasie sulle scie chimiche si leggono su Facebook, ergo è gente che denuncia un complotto mondiale atto a controllarci e al tempo stesso non ha problemi con il data-estrattivismo da parte di Zuckerberg. YouTube è stracolmo di video su innumerevoli fantasie di complotto che denunciano la qualunque ma non Google, che nel frattempo stanno arricchendo. Anche un sacco di comunità che si trovano su Telegram poi caricano i video su YouTube.

      Su tutto il resto cerco di rispondere nei prossimi giorni, per ora faccio notare che qui si stanno riaffermando i binarismi che da anni noi ci sforziamo di mettere in crisi, in primis vaccinati vs. non-vaccinati. Noi ci siamo vaccinati ed eravamo contro il green pass. Uno dei più grandi autogol di certe piazze no-gp è stato attaccare chi si era vaccinato (cioè, quando partì il movimento, già l’80% della popolazione) chiamandolo “covidiota”, “zombie”, “schiavo” e predicendone ossessivamente la morte o comunque una cattiva sorte. Come si potesse pensare di allargare il fronte della protesta in questo
      modo rimane un mistero, ma errare è umano. È il perseverare oggi a essere diabolico. L’autocritica non la devono fare sempre e solo gli altri. I commenti tutti emotivi e liquidatori, da una parte e dall’altra, sono non solo inutili ma controproducenti.

      • “Uno dei più grandi autogol di certe piazze no-gp è stato attaccare chi si era vaccinato (cioè, quando partì il movimento, già l’80% della popolazione) chiamandolo “covidiota”, “zombie”, “schiavo” e predicendone ossessivamente la morte o comunque una cattiva sorte.Come si potesse pensare di allargare il fronte della protesta in questo modo per me rimane un mistero (…)”

        Più che il tentativo di allargare il fronte della protesta, credo che era in atto un meccanismo molto antico e molto umano: occhio per occhio, dente per dente. Quando ci si ritrova dileggiati e segregati, si tende al ripiego comunitario e la rabbia tende a sfociare in rivalsa e odio. Sì, odio, il meccanismo alla base è quello, diciamocelo. Se non si riesce a – o se non viene dato modo di – elaborare l’abuso di cui si è stati vittime, da perseguitati si rischia molto forte di diventare persecutori. Lo ha descritto mirabilmente Nietsche nel crepuscolo degli dei, con la storia dei Tschandala (non che io conosca Nietsche più di quel tanto, ma mia figlia liceale lo lesse per la scuola proprio durante la pandemia e mi chiese di aiutarla a capire certi passaggi, e per finire me lo sono letto tutto).

        Questo meccanismo non lo avevo mai vissuto di persona, prima di allora, quindi non ne avevo una conoscenza “incarnata”. Aver potuto riconoscerlo in atto, prenderne coscienza, anche grazie ai dibattiti qui su giap e ai pezzi che avete linkato e pubblicato, mi ha salvato. Anche se la rabbia rimane, per i numerosi tradimenti vissuti, piccoli e grandi.
        E deve poter essere espressa, perche si possa andare avanti insieme.

        Leggendo delle asserzioni sulla necessaria “campagna di alfabetizzazione scientifica”, come in un commento qui sopra (comuni peraltro in un certo ambito scientifico), mi pare che siamo messi male in termini di riavvicinamento.

  16. @Rhino (anche se sto thread è ormai un garbuglio)

    Forse vale la pena precisare che pensare/dire di voler cambiare il mondo non equivale a pensare/dire di voler salvare il pianeta.

    Provare a cambiare il mondo è quello che ci si sforza di fare, con millemila piccoli gesti e parole quotidiane noi esseri umani di ogni età e ad ogni latitudine, nonostante tutto, per esempio inquinando e consumando il meno possibile e alleviando le sofferenze di esseri viventi a noi più prossimi.

    Sono/siamo in tantx (e ci si augura sempre di più) ad essere convintx che cambiare il mondo è possibile perchè è la storia che ce lo dice. Personalmente credo che cambiare il mondo oggi debba significare in primis smetterla di considerare l’economia di mercato legge universale e immutabile, homo oeconomicus una specie reale e superiore e il denaro un idolo.

    Ah, e la tecnologia come intrinsecamente maligna.

    • “Consumando il meno possibile” (di cui “inquinando il meno possibile” è un caso particolare) però è un’affermazione così vaga da poter essere interpretata in mille modi diversi.

      Per il sindaco di Bologna vuol dire “fare superstrade — non si possono evitare le superstrade! — ma dipingendo i piloni con la vernice speciale fatta di lacrime di unicorno”.

      Per altri vuol dire “ascetismo tout-court”.
      E l’ascetismo è una roba che interessa (fortunatamente) a pochi.

      È quello che sto cercando di dire: occorre proporre la via edonistica al cambiamento perché una proposta di cambiamento sia accolta in massa.

      La via ascetica, anche se si prova a nasconderne l’essenza dicendo che “la normalità era il problema” e fregnacce simili, non attacca.

      Ci vuole il pane ma pure le rose, e le rose sono una conquista fondamentale di un secolo di lotte.

      Se una via edonistica al cambiamento non è possibile, il cambiamento forse non merita di essere perseguito, forse è la strada verso una sicura vita di merda (al contrario di quella meramente probabile lasciando le cose al loro corso), forse non c’è veramente un piano, forse c’è dello stalinismo latente, forse è un “armiamoci e partite”.

      Una qualsiasi persona che sta a posto con la testa non potrà che rispondere: “ok, quando sentirò una cosa figa come gli Iron Maiden mi avrete tra i vostri, per ora sento solo Kumbaya con la chitarra acustica e fa sinceramente schifo, siete degli sfigati.”

      Questo precede chiedersi se “il cambiamento climatico sia reale“, che è una forma mentis che fa leva solo su una specifica classe sociale.

      I pochi su cui questo tipo di ragionamento fa presa non hanno bisogno di ulteriore convincimento.

      Qui a mio avviso sta la criticità: la Brigata Secchioni e le Giovani Marmotte della Scienza non riescono a capire, da anni, che nel mondo reale non interessa a nessuno se l’atomo sia divisibile, gli alieni esistano (a-ha, gli UFO!) se il cambiamento climatico “sia reale” o se Padre Pio abbia compiuto miracoli. A nessuno interessava sul serio la trigonometria a scuola, ricordate?

      Forse per intraprendere un tale cammino di cambiamento occorre proprio abbandonare l’economia di mercato (hai detto niente!), o ridimensionarne il ruolo.
      Come fare? Quali alternative?

      È un discorso forse più proficuo da riprendere, insieme a tante questioni il cui sviluppo e messa in pratica sono passati in secondo piano dopo la controrivoluzione, dopo il New Labour, dopo tutte quelle merdate lì.

      Ritengo che i “discorsi di scienza” siano una distrazione più grande di quanto si pensi da tale, fondamentale, sforzo, che però richiede il coraggio di gettarsi oltre il panico da Armageddon imminente: l’ottimismo della volontà e tutta quella roba lì.

      P.s.: Mi pare che la “tecnologia” fine a se stessa (non più come soluzione a un problema, ma come “contraption” che sono esse stesse il fine) sia glorificata e rivestita di un ruolo messianico da trent’anni a questa parte, certo non considerata maligna.

      • Hai ragione. Consumare meno è un espressione estremamente vaga che però non impone l’ascetismo che a te tanto disgusta. Nemmeno esclude l’abbondanza.

        Avrei voluto/potuto usare *ognuno a seconda dei propri bisogni* ma penso sia un intenzione anche più complessa da implementare, a livello individuale.

        Sappiamo, per esempio, che c’è chi considera bisogno/necessità il possedere un SUV da tre tonnellate o una moto da 500 cc per spostarsi nello spazio urbano. Spero che si possa essere d’accordo almeno sul fatto che i bisogni sono una delle caratteristiche della psiche umana più semplici da influenzare/fabbricare.

        Per quello che riguarda il «come fare? Quali alternative?» all’economia di mercato, in questa società io appartengo alla classe lavoratrice, povera e ignorante. Quindi a ognuno il suo: pregasi rivolgersi alla classe dirigente, affluente e laureata. Per esempio: tu cosa proponi?

        Non capisco poi che motivo ci sia per incistarsi su astrazioni riguardanti «cambiamenti accolti dalle masse».

        In questo “luogo” della remota provincia del web e dell’impero le parole vanno a comporre semplici commenti che sono in relazione diretta con la produzione artistca/intellettuale dei WM. Non si pubblicano mozioni d’ordine per un’assemblea di partito a beneficio di ipotetiche masse.

        In chiusura, ci tengo a far notare due cose importanti: primo che le rose sono una specie vegetale, non una conquista sociale. E secondo che, anche se fossero state in passato una conquista sociale, ieri, San Valentino, per le strade cittadine andavano a €5 l’una. Molto più care del pane, dio latte.

        • Le rose sono una metafora, evidentemente.
          Sono “il superfluo”, quello che non è indispensabile alla mera sopravvivenza ma rende la vita bella.

          Visto che siamo sotto un post che parla di cospirazioni sul clima, che ne segue uno sulle devastazioni di Bologna, e prendiamo le mosse dallo scritto di Sossich che parla di masse (rappresentate da “la zia”), mi pare molto rilevante chiedersi come parlare di clima, di territorio, di pianeta in modo costruttivo, e come e quando invece non parlarne, sempre con scopo costruttivo.

          Io, che sono un morto di fame figlio di morti di fame, mi sento di stroncare in toto quanto fatto dalla classe dirigente affluente.
          Il mio consiglio è… tutto quanto scritto sopra.

          Che non è molto diverso dalle ultime righe dello scritto di Sossich, in effetti, ma lo estende (“prendersi cura” è bello, ma in qualche modo riduttivo e infantilizzante: bisogna riconoscere l’autonomia, l’autodeterminazione e il diritto ad essere felici a modo proprio della zia, dello zio, degli operai, dei camionisti).

          A margine, una moto euro 4 da 500cc è l’equivalente di una Panda GPL spompata: al 2024 è letteralmente la più piccola ed economica cilindrata acquistabile (salvo rare 350cc cinesi che dato il peso ridotto iniziano ad essere pericolose in presenza di folate di vento o TIR), è guidabile dai diciottenni con patenti A2 e monta una ciclistica e degli impianti di primo prezzo.

          Direi che è proprio adatta per un uso in città, non certo per andare in montagna col passeggero.

          L’equivalente del SUV è il BMW GS da 1300cc con il kit di valigie da 40 litri e sella riscaldata, infatti negli spot promette le stesse cose (viaggi avventurosi in fuoristrada) e si vende alla stessa fascia demografica (sessantenni ricchi che fanno tutto tranne che viaggi avventurosi in fuoristrada).

          Perché l’esempio motoristico, mio malgrado ricorrente?

          Perché cade a fagiuolo per dimostrare che per riconoscere l’autonomia e il diritto ad essere felici a modo proprio, prima di normare (anche ipoteticamente) quello che un soggetto o una categoria fa (motociclisti, pescatori sportivi… podisti), bisogna conoscere bene le grandezze in gioco e in qualche modo “fidarsi” della sua capacità almeno teorica di farlo correttamente e di giudicare le proprie necessità.

          Altrimenti ti trovi la polizia che arresta il podista come estrema conseguenza:
          “Andavo per i boschi senza fare del male a nessuno! Se non mi alleno per una settimana torno indietro di un anno!”
          “Non ci interessa, la fondazione GIMBE ha detto che c’è la remota possibilità che provochi una strage e non è un cazzo vero che devi allenarti ogni settimana.“

          Poi se come risultato della repressione il podista entra nel tunnel delle fantasie di complotto sui vaccini fatti con peti di scimmia burlona non c’è da stupirsi.

          A ciascuno secondo i suoi bisogni” è non per caso un mantra marxista.
          Andrebbe riscoperto, questo e null’altro sto dicendo.

          • «Le rose sono […] “il superfluo”, quello che non è indispensabile alla mera sopravvivenza ma rende la vita bella.»

            Prova a farlo capire agli imenotteri.
            E una volta convinto quell’ordine prova a cambiare non dico *regno* ma *phylum*.

            Questo per dire che se veramente vogliamo «parlare di clima, di territorio, di pianeta in modo costruttivo» come affermi, è proprio del concetto di cura (che tu ritieni infantile) che probabilmente dobbiamo occuparci e nel modo più inclusivo possibile.

            Giustissimo rivendicare, a livello di specie però, il «diritto ad essere felici» a patto di non dimenticare che accanto al diritto positivo esiste anche un diritto naturale.

  17. Io capisco che possano stare sul cazzo le “discipline scientifiche”, ma dio can, guardare un termometro non è una disciplina scientifica, né annotare mentalmente dove arriva la neve a maggio, o tirare porconi perché il fiume è secco e non si può più farci il bagno, e dopo due mesi di siccità va a fuoco il bosco dove si andava a funghi, e gli occhi bruciano per il fumo. Non è necessaria una laurea in geologia per accorgersi di essere sprofondati nel fango fino ai coglioni, non serve un meteorologo per sapere da che parte tira il vento, e non c’è bisogno di una laurea in storia per riconoscere un fascista.

  18. La discussione si sta avvitando sempre di più, e oltre a essere ingarbugliata sta diventando abbastanza inutile. Sembra quelle discussioni tra liceali, se conta di più il cuore o la ragione, solo che non siamo liceali, siamo vecchi e intorno sta andando tutto in merda. Si dovrebbe parlare di crisi climatica, e di come fare per sottrarre il tema a chi vuole utilizzarlo in chiave securitaria, oppure per rifilare alla gente inutili e incomprensibili gadget tecnologici. Invece alla fine ognuno parla solo di se stesso e dei suoi tiramenti di culo. “Il personale è politico” non voleva dire questo.

  19. Scusa la schiettezza, Tuco, ma non ti passa mai per la testa l’ipotesi che dove tu vedi qualcuno che si sta “avvitando”, qualcuno altro — i partecipanti, per esempio — possa vedere una discussione interessante?
    Non è la prima volta che vedo una discussione che, proprio nel suo divenire interessante, viene derubricata ad un “avvitarsi”.
    Che poi, “avvitarsi” è cosa molto buona: vuol dire disegnare cerchi concentrici fino a circoscrivere “la ciccia”, capire dove è la contraddizione, la differenza di opinione, il principio basilare, l’ipotesi da cui scaturiscono le diverse conclusioni.
    Per chi ha studiato il minimo sindacale di logica matematica, è un processo positivo (per gli altri, immagino, si farà riferimento all’etimologia e con ragionamenti da teologia medievale si concluderà che “avvitarsi” é quello che porta un aeroplano, e dunque una discussione, a schiantarsi).

    Tu pensi che “si dovrebbe parlare di crisi climatica, e di come fare per sottrarre il tema a chi vuole utilizzarlo in chiave securitaria”.

    Il problema è che lo ripeti come un manganello per stroncare le discussioni, benchè “possa stare sul cazzo, diocan”.

    Se posso fare una provocazione: forse bisogna proprio smettere di parlarne.

    Per le persone normali il clima è un portento governato dagli dei, da forze molto più grandi di te, di me, e di noi due messi insieme, e anche se ci aggiungi il tuo cane, il tuo vicino e la sede locale del club delle figurine poco cambia.

    Che sia antropogenico o causato dalle formiche o dai folletti poco cambia: entrambe le cose sono, allo stato delle cose, ingovernabili (a parte voli di fantasia in cui tutti gli homo sapiens della Terra si ritroverebbero ad organizzarsi e adottare un’agenda in comune — per ora questa organizzazione non sussiste e non può sussistere nelle nostre vite, non dopo avere fatto un’inversione ad U rispetto alle tendenze del XX secolo.)

    Vieppiù, per la gente comune l’accesso alle risorse che il mutare della Terra rende più scarse è mediato: il campo, oltre ad essere privo di api, è anche stato espropriato un bel po’ di tempo fa.
    Le patate si comprano col salario.
    Quando un chilo di patate costa come 1/10 di un salario è secondario chiedersi se sia per colpa della politica monetaria della BCE, delle sanzioni che bloccano i fertilizzanti russi o del numero assai ridotto di api in circolazione.

  20. [continua]

    Le fantasie di complotto sono da inquadrarsi in questa cornice: puoi fornire un modello interessante e dalla buona capacità predittiva quanto vuoi, ma non è un modello “actionable”, declinabile in una strategia.
    “Il clima cambia, rinunciate al (supposto) benessere materiale dell’industrializzazione avanzata, così cambierà lo stesso ma vi sentirete pvri; P.S.: Lo dice La Scienza.“.

    Eddai.

    Evitare la deriva securitaria è un obbiettivo interessante, ma slegato dal clima.
    Decoro, securitarismo e repressioni vengono branditi quotidianamente da 30 anni.

    E allora niente, secondo me bisogna parlare di decoro.
    Di securitarismo.
    Di salari.
    Di relazioni sociali.
    Di spazi.
    Di persone.
    Di canzoni.

    Bisogna anche parlare di devastazioni locali, queste sì governabili, come la storia delle scuole già approfondita, nell’ottica di cui sopra.

    Oppure no, per carità, continuiamo a ripetere “il bosco va a fuoco e il fiume è asciutto, diocan, non ci vuole un genio”.

    In effetti, non posso escludere che l’unica speranza per un’utopia che risponda alle aspettative migliori del X secolo possa essere perseguita solo con uno stile di vita che usa intensivamente risorse su scala mai vista prima, per poter sperare di usare la conseguente abbondanza temporanea per stabilire relazioni sociali idonee e rompere lo stallo alla messicana tra capitali, salari, legittime pulsioni individuali umane, ambiente e ripulire poi le conseguenze.

    Era sostanzialmente l’escatologia — ingenua finchè vuoi — in voga nel XX secolo, poi dopo il 2008 si è deciso che di abbondanza temporanea non se ne parla più, e abituatevi a non fare il bagno, che “il clima cambia, diocan, il fiume si asciuga, lo dice la scienza”.

Lascia un commento