[Da oggi è disponibile su un gran numero di piattaforme digitali – Bandcamp, Spotify, Apple Music, a elencarle tutte si fa notte, qui alcuni link – l’album di Elem + Wu Ming 1 Rifrazioni dalla macchina del vento. È la versione in studio dello spettacolo tratto dal romanzo La macchina del vento (Einaudi, 2019) che l’ensemble di trio sperimentale partenopeo + scrittore bassopadano portò in giro per l’Italia fin dentro la pandemia. L’ultima data fu a Napoli il 3 settembre 2020.
Il tempismo è perfetto: come già anticipato qui, l’io narrante de La macchina del vento, Erminio Squarzanti, sarà tra i personaggi principali di Gli uomini pesce, romanzo che WM1 ha in cantiere da anni e consegnerà all’editore all’inizio dell’estate. L’uscita è prevista per ottobre.
Elem è un trio fondato nel 2012 dall’artista visuale Loredana Antonelli e dai musicisti Marco Messina (99 Posse) e Fabrizio Elvetico (Illachime Quartet). Rifrazioni dalla macchina del vento è la loro terza uscita, dopo l’EP eponimo (2015, Elastica Rec) e l’album Godere Operaio (Mahana Bay, 2018).
Qui di seguito, il testo di presentazione scritto da WM1 per l’album.]
14 novembre 1939. Ventotene, «isola in mezzo alle onde, ov’è l’ombelico del mare» (Odissea, 1,50). Qui – A casa del Diavolo… oppure degli dei – c’è la più affollata colonia di confino degli antifascisti. Mentre in Europa comincia la Seconda guerra mondiale, dal piroscafo Regina Elena sbarca un nuovo elemento. Giacomo Pontecorboli viene da Roma, si presenta come fisico e ha un segreto: è reduce da un esperimento che lo ha sconvolto, culminato in una doppia scomparsa. Quella di un amico, e quella dell’unico prototipo esistente di una macchina rivoluzionaria.
Erminio Squarzanti è un giovane socialista di Ferrara, cresciuto mentre sorgeva La stella di Balbo. Qualcuno avrebbe potuto impedirla, quell’aurora. Stava già partendo da Pontelagoscuro, ma una brutta notizia lo ha fermato.
Erminio studiava lettere classiche a Bologna. Quando lo hanno arrestato stava scrivendo la sua tesi: «I mari d’Italia nei miti greci». Guardacaso, proprio ora sull’Olimpo si sta riunendo il consiglio degli dei, il Dodekatheon. Una seduta movimentata.
C’è una missione da compiere a Ventotene. Per questo Hermes – dio dei viaggi e degli sconfinamenti, protettore di latitanti e guerriglieri, nonché inventore della zampogna – salpa da Napoli il 9 gennaio 1940.
Nel 2005, pochi mesi dopo l’uscita di New Thing, mi viene l’idea di un romanzo ambientato al confino di Ventotene. Per svilupparla, comincio a leggere ricostruzioni storiche e svariate memorie e biografie di confinati e confinate. Una pubblicistica vasta, in gran parte fuori catalogo, ma che si sta riaffacciando in libreria. Il tema del confino era da anni “passato di moda”, ma è in corso un piccolo revival, propulso anche da un’esternazione di Silvio Berlusconi.
Nel settembre 2003, in un’intervista alla rivista inglese The Spectator, l’allora presidente del consiglio ha dichiarato: «Mussolini non ha mai ammazzato nessuno. Mandava la gente a fare vacanza al confino.» Parole che hanno scatenato polemiche e riacceso l’interesse per l’argomento.
Il confino è tutt’altro che un capitolo marginale, nella storia di questo Paese. All’epoca colpì direttamente migliaia di famiglie. Oggi milioni di italiane e italiani hanno nell’albero genealogico un confinato, in certi casi più di uno. Al confino furono mandati molti futuri dirigenti della Resistenza, membri dell’Assemblea Costituente e in generale protagonisti della vita politica italiana. Il primo nome che viene in mente è Sandro Pertini. Conobbero il confino nomi importantissimi della letteratura italiana a venire, come Cesare Pavese, Natalia Ginzburg e Carlo Levi.
Dopo le prime ricerche, butto giù un rudimentale «soggetto», che per vari motivi rimane nel cassetto. Ogni tanto, però, lo ripesco, faccio un supplemento di ricerca e prendo nuovi appunti, chissà mai che un giorno…
Nel 2017 decido che è giunta l’ora. Per molte ragioni, la storia che ho immaginato mi sembra più attuale di quando l’ho concepita
Nel 2018 sbarco a Ventotene, per esplorare l’isola e i suoi radi tragitti, decidere l’esatta ambientazione di ogni scena e tracciare ogni spostamento dei miei personaggi, la cui principale attività quotidiana è in fondo camminare. Camminare è quel che faccio anch’io, da mane a sera, per le vie del paese e da un capo all’altro dell’isola, e sempre col taccuino in mano, perché, come diceva Majakovskij, «il taccuino è tutto».
La macchina del vento esce nel 2019, e da cosa nasce cosa. Spettacoli dal vivo, una diramazione narrativa in forma di graphic novel, discussioni, polemiche… Qualcuno critica il romanzo – polemizzando direttamente con un suo personaggio, roba da The Purple Rose of Cairo – perché «antieuropeista», colpevole di lesa maestà nei confronti del Manifesto di Ventotene. Altri, senza aver letto una riga, attaccano il romanzo per il motivo contrario, perché «europeista».
La collaborazione con Elem ha radici in un progetto precedente. Nel 2017 Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro ha prodotto una versione teatrale del romanzo di Wu Ming L’armata dei sonnambuli, scritta dalla drammaturga Linda Dalisi e andata in scena prima nel cortile d’onore del Palazzo Reale di Napoli, poi al Teatro Nuovo della stessa città, con la regia di Pino Carbone, le scenografie di Luigi Ferrigno… e le musiche di Fabrizio Elvetico e Marco Messina, cioè 2/3 di Elem.
La terza componente, l’artista visiva Loredana Antonelli, entra in gioco quando a Marco e Fabrizio viene l’idea di lavorare su La macchina del vento. Dopo una prima prova in pubblico a Mezzocannone occupato (9 maggio 2019), ci si mette all’opra per costruire uno spettacolo vero e proprio, con suoni e immagini. Lo portiamo in varie città, per qualche tempo, prima che nel marzo 2020 i decreti pandemici fermino le attività di teatri, locali, circoli e festival.
Quando l’emergenza cala (temporaneamente) d’intensità, riusciamo a fare un’altra data a Napoli. È il 3 settembre 2020. Cogliendo l’occasione della mia presenza in città, registriamo in studio la traccia vocale. Marco e Fabrizio tornano al lavoro sulle musiche. Questa collaborazione va fissata, storicizzata. Ci vuole l’album.
C’è voluto ancora del tempo, ma finalmente l’album c’è. E verrebbe da dire: meglio tardi che presto. Meglio adesso che prima. Non solo perché più passa il tempo più La macchina del vento sembra attuale, ma perché, proprio mentre scrivo queste note, sono impegnato nella stesura del sequel, ambientato a Ferrara e nel Delta del Po nel biennio 1943-45. A essere precisi, non è proprio un sequel, ma narra quel che accadde a Erminio dopo il confino.
In attesa che la storia prosegua, nulla di meglio che ascoltare, dentro questa suite elettrizzante, frammenti delle puntate precedenti.
Καλή ακρόαση!
Mettere in musica un testo per me vuol dire sia creare una musica che lo accompagni, che far emergere la musicalità del testo stesso. Così come sta alla voce esprimere la musica delle parole attraverso il suono. Dopo un primo ascolto del lavoro di Elm e Wu Ming 1, butto giù qualche appunto, al solito in forma non strutturata, che però vadano oltre il “mi piace”.
Ad esempio: bello il montaggio delle tracce sonore dell’epoca all’interno della narrazione, così come la giustapposizione con la musica originale in “La stella di Balbo”;
notevole il lavoro di Wu Ming 1 nel passaggio fra le varie voci dei personaggi, soprattutto in “Pontelagoscuro”;
bello il ritmo narrativo in “A casa del diavolo”, che riesce a far sentire il perché si finiva al confino;
“La stella di Balbo – coda”, negli appunti presi sul mio quaderno ho scritto solo che “spacca”, andrebbe ascoltata col volume al massimo.
Una riflessione e un discorso a parte meritano le belle immagini che accompagnano il lavoro, ma sarebbero da vedere alla giusta distanza, sulla stessa parete, magari mentre la musica riverbera sulle superfici.
Non posso non notare come questo lavoro si incastri con quello sui racconti di Veglione Rosso, sia da un punto di vista narrativo che di ricerca musicale. Ci sarebbero da far ascoltare entrambi i lavori, uno dietro l’altro, dai racconti di Veglione Rosso ai brani tratti da La macchina del vento, giusto per vedere in filigrana le trame dei biechi neri al lavoro nei decenni. E poi magari andare oltre e immaginare, che so?… una lettura in musica di brani del Petrolio di Pasolini, così da connettere fra loro storie che sembrano distanti da noi.
L’officina di lavoro della Wu Ming Foundation, nonostante non sia andato a buon fine la raccolta fondi per la creazione di Melologos, continua a sfornare gioiellini sonori. E ancor più di questi tempi, se ne sente il bisogno.
Grazie delle impressioni, Yamunin.
La raccolta fondi non arrivò alla cifra fissata, perché avevamo messo insieme i costi di più progetti e quindi era molto alta, quindicimila. Ne raccogliemmo comunque novemila, per niente male, solo che la formula era “tutto o niente” e quindi li restituimmo a chi aveva donato. Però poi il laboratorio Melologos lo abbiamo fondato lo stesso :-)
Rifrazioni… non è una produzione di Melologos ma, come hai ben colto, lo spirito è il medesimo.