di Nicoletta Bourbaki (*)
INDICE
0. Antefatto
1. La versione di Canfora: problemi di metodo
2. La versione di Sessi: quando «problemi di metodo» è un eufemismo
3. Allargando l’inquadratura tutto cambia
4. L’origine della leggenda (1983)
5. L’uovo di Colombo: leggere i documenti
6. La versione di Canfora (Slight Return)
Nel 2019 abbiamo pubblicato un trittico di articoli su Norma Cossetto.
Il primo era un’analisi critica storiografica e politica del film Rosso Istria, cofinanziato dalla Regione Veneto.
Il secondo una ricostruzione della genesi della narrazione “consolidata” su Norma Cossetto, una narrazione basata poco sulle fonti e molto su fantasie per niente innocenti.
Il terzo era una recensione del fumetto neofascista Foiba rossa e soprattutto del libro di Frediano Sessi Foibe rosse, per il quale abbiamo proposto la definizione di «oggetto narrativo male identificato». Due opere d’ingegno in teoria distanti sul piano culturale e politico, in realtà più simili tra loro di quanto si potrebbe immaginare.
L’anno successivo, intorno al 10 febbraio, Luca Casarotti – che, oltre a essere uno studioso di diritto romano e un musicista, fa parte del nostro gruppo di lavoro ed è il presidente dell’ANPI di Pavia – è stato attaccato dal giornalista Gian Micalessin per aver criticato la distribuzione istituzionale nelle scuole del fumetto Foiba Rossa. Ne abbiamo parlato su Medium, nella nota I veleni del Giorno del Ricordo (nei media e nella scuola).
Micalessin, prevedibile come può esserlo un giornalista che scrive per un giornale che si chiama «il Giornale», ha utilizzato contro l’Anpi quella che i cossettologi considerano l’arma fine di mondo: la storia della laurea ad honorem concessa a Norma Cossetto dall’Università di Padova nel 1949, per volontà, così dice la vulgata, del prof. Concetto Marchesi, latinista di fama, personalità di spicco dell’antifascismo padovano durante l’occupazione tedesca, e padre costituente nelle file del Partito comunista italiano.
Questa storia – in alcune varianti Marchesi è anche indicato come relatore di tesi di Norma Cossetto – ci è sempre sembrata molto strana, così abbiamo deciso di approfondirla.
1. La versione di Canfora: problemi di metodo
Per prima cosa abbiamo letto la biografia di Concetto Marchesi in quel momento più recente, quella scritta da Luciano Canfora, che anche in altre occasioni si è occupato del latinista: Il sovversivo. Concetto Marchesi e il comunismo italiano, Laterza, Roma-Bari 2019.
Canfora accenna alla vicenda di Norma Cossetto partendo da un articolo di Marchesi uscito il 31 dicembre 1944 su «l’Unità», intitolato Partigiani del Nord. Questa la citazione, così come la propone Canfora:
«la lotta partigiana ebbe inizio disordinato, in vari luoghi e con varia intensità […] via via che la tendenza dell’attesa cedeva alla risolutezza dei gruppi di azione. I principi furono torbidi, tra il settembre e l’ottobre [del 1943]».
Canfora ipotizza che con l’espressione «i principi furono torbidi» Marchesi intendesse
«riferirsi a episodi quali la sadica, e infamante per chi la commise, uccisione di Norma Cossetto: istriana, allieva a Padova e a lui ben nota, massacrata da una banda di partigiani titini (o anche italiani) tra il 24 settembre e il 5 ottobre 1943, in zona tra Antignana e Parenzo (Istria), in quanto figlia di un esponente fascista locale. La notizia di tale infamia si diffuse poco dopo il 13 ottobre, quando la riconquista, da parte tedesca, di quella zona portò all’arresto degli assassini-aguzzini. E fu, in seguito (maggio ’49), su proposta di Marchesi, da poco fuori ruolo, che la Facoltà di Lettere di Padova suggerì – e il rettore Aldo Ferrabino approvò – il conferimento postumo a Norma Cossetto della laurea ad honorem».
Ma nell’articolo di Marchesi – incluso in: Concetto Marchesi, Scritti politici, a cura di Maria Todaro-Faranda, Editori Riuniti, 1958; si può leggere qui – non c’è nulla che suggerisca un possibile riferimento all’Istria del settembre/ottobre ’43. L’espressione «principi torbidi» usata da Marchesi è riferita all’affollamento di antifascisti dell’ultimo minuto che dopo l’8 settembre 1943 si avvicinano alla resistenza per interessi personali:
«proprietari, industriali, profittatori [che] sbucarono fuori dalle vacillanti linee fasciste per promettere e donare […] dame vecchie e nuove dell’alta società […] [che] s’inserirono per giocare alla guerra […] ufficiali di carriera [che] si posero il problema della propria sistemazione».
Le ulteriori fonti di Canfora sono tre, elencate in due note al testo che rispettivamente recitano:
«Debbo molte informazioni su questo orribile crimine alle ricerche solerti di Maria Grazia Ciani»
«La vicenda – più volte riproposta nella polemica sulle gesta iugoslave in Istria – fu illustrata ancora una volta in Italia, in sede parlamentare, al Senato il 31 maggio 2002 (cfr. Atti parlamentari, Senato della Repubblica, XIV Legislatura, Risposte scritte ad interpellanze, fasc. 33, pp. 1283-1284). Del profondo turbamento di Marchesi per la vicenda Cossetto mi parlò (1° ottobre 1983) Lanfranco Zancan».
Proviamo quindi a ripercorrere le fonti indicate da Canfora.
Maria Grazia Ciani è una rinomata grecista, traduttrice di Omero; dopo aver lasciato l’Istria durante l’esodo giuliano-dalmata, si è laureata a Padova, dove è stata docente.
Abbiamo cercato traccia delle sue «ricerche solerti» sul caso Cossetto, che Canfora non specifica, e abbiamo trovato un solo possibile riferimento, vale a dire il romanzo breve – o racconto lungo – di evidente ispirazione autobiografica Storia di Argo (Marsilio, Venezia 2006). Leggendolo, abbiamo constatato che si tratta di una rievocazione di ricordi d’infanzia dell’autrice, nata nel 1940.
Non entriamo nel merito di una valutazione del libro sotto il profilo letterario né sotto quello storiografico, se non per dire che ci sembra far parte di quel filone di memorialistica degli «esuli giuliano-dalmati» di taglio vittimista, caratterizzata da un inconfondibile mood passivo-aggressivo e non esente dai peggiori clichés orientalisti applicati agli «slavi», dipinti sempre con i tratti disumanizzanti di una violenza minacciosa e atavica.
In ogni caso, nel breve romanzo di Ciani non vi è alcuna traccia della vicenda Cossetto. Né poteva esserci, data la sua impostazione di memoir di un’autrice che, all’epoca dei fatti, aveva tre anni. Ne abbiamo concluso che l’esito delle «solerti ricerche» di Ciani debba essere stato comunicato a Canfora sotto forma di comunicazione privata, per via epistolare o più probabilmente a voce.
Il Lanfranco Zancan che ha riferito a Canfora del «profondo turbamento di Marchesi per la vicenda Cossetto» è stato, anche lui, docente all’Università di Padova – era farmacologo – e ha incrociato l’esistenza di Concetto Marchesi in una fase cruciale della lotta antifascista. Nel novembre 1943 Zancan aveva nascosto Marchesi in casa propria per sottrarlo all’arresto da parte dei tedeschi, irritati per il discorso inaugurale dell’anno accademico padovano.
Come probabilmente per Ciani, anche in questo caso si tratta di una fonte orale, questa volta un po’ più circostanziata, vista la data dell’1 ottobre 1983. Se la testimonianza di Zancan si è limitata a riferire questo stato d’animo di Marchesi, possiamo solo prenderne atto e notare che il suo contenuto è privo di ulteriori riscontri. Presumibilmente, la testimonianza è stata raccolta mentre Canfora lavorava a La sentenza, una ricerca sull’omicidio di Giovanni Gentile pubblicata nel 1985 da Sellerio.
Veniamo ora all’unica fonte scritta e pubblicata citata da Canfora. Si tratta di una citazione che ci è subito parsa alquanto evasiva e criptica.
Evasiva: Canfora scrive che la vicenda Cossetto è stata «più volte riproposta nella polemica sulle gesta jugoslave in Istria» ed è stata «illustrata ancora una volta in Italia, in sede parlamentare». Non fornisce alcun riferimento alle volte precedenti in cui la storia di Norma Cossetto è stata «riproposta», né ci spiega per quale motivo, a suo parere, quest’ultima illustrazione «in sede parlamentare» debba essere privilegiata fra le altre, al punto da assurgere a fonte per un testo storiografico di valore scientifico.
Criptica: per quale motivo un decano della storiografia come Canfora ci dà solo gli estremi bibliografici degli atti del Senato, senza dirci nulla di più su questo importante momento di vita parlamentare? Per esempio: chi ha presentato l’interpellanza, chi vi ha risposto, e di che tenore erano interpellanza e risposta?
Leggendo gli atti del Senato abbiamo scoperto che la fonte di Canfora altro non è che la risposta scritta dell’allora – nel secondo governo Berlusconi – sottosegretario all’istruzione Stefano Caldoro a un’interrogazione presentata dall’allora senatore Renato Meduri.
Alcuni di noi hanno sorriso durante la lettura, riconoscendo il personaggio: Meduri, classe 1937, esponente di spicco del neofascismo calabrese, è stato uno dei capi dei «Boia chi molla!» nel 1970; nel 1979 – stando a quanto lui stesso racconta in un’intervista del 2015 – ha dato sostegno e ospitalità al neonazista Franco Freda prima della fuga di quest’ultimo in Costarica. Senatore di Alleanza nazionale per più legislature, Meduri ha presentato nel dicembre del 2001 un’interpellanza al governo, nelle cui premesse è detto fra l’altro:
«che all’entrata dell’Università di Padova è stata da tempo collocata una lapide dedicata ai “martiri del nazismo”; che detta lapide fu voluta dall’allora Rettore dell’Università prof. Concetto Marchesi, indicato da diverse fonti (tra le quali il libro del senatore Giorgio Pisanò Storia della Guerra Civile […]) come uno dei mandanti dell’assassinio del filosofo Giovanni Gentile; che in tale lapide a ricordo dei “martiri del nazismo” figura anche il nome di Norma Cossetto, orrendamente seviziata e violentata da 17 partigiani titini. La descrizione del terribile atto criminoso è riportata dallo storico Arrigo Petacco nel suo libro L’Esodo».
Dopo le premesse, Meduri
«chiede di sapere se non si intenda controllare la veridicità di quanto sopra esposto ed in caso affermativo se non si intenda chiedere alle competenti autorità quantomeno di togliere il nome di Norma Cossetto, martire istriana massacrata dai comunisti italo-titini nel settembre del 1943, dalla lapide posta all’ingresso dell’Università di Padova».
Nella sua risposta al senatore Meduri, il sottosegretario Caldoro si limita a riportare il contenuto di una comunicazione da parte del rettore dell’Università di Padova, in cui si ripercorre l’iter del conferimento della laurea ad honorem a Norma Cossetto e si osserva che
«l’espressione “martiri del nazismo” non compare in nessuna lapide dedicata ai caduti universitari per cause belliche. La lapide, ove è inciso il nome di Norma Cossetto, riporta oltre un centinaio di nomi di studenti, docenti e non docenti caduti tra il 1943 e il 1945 per la causa della libertà».
Caldoro – ossia, per suo tramite, il rettore dell’Università di Padova – non dice nulla, nella sua risposta, riguardo alle circostanze dell’uccisione di Norma Cossetto, né circa un presunto ruolo di Marchesi nella vicenda del conferimento della laurea ad honorem. Tutti i particolari riportati da Canfora – la sadica e infamante uccisione, o massacro, ad opera di una banda di partigiani titini, o anche italiani; l’arresto degli assassini-aguzzini da parte dei tedeschi riconquistatori; la proposta di Marchesi del conferimento postumo della laurea ad honorem quale risarcimento del misfatto –, tutte queste circostanze, ripetiamo, non ci sono nella replica di Caldoro.
Qualcuna di esse è invece presente nell’interrogazione dell’anziano camerata Meduri, il quale peraltro – a differenza di Canfora – ha citato puntualmente le proprie fonti: la Storia della guerra civile in Italia 1943-1945 del fascista, e anche lui senatore, Giorgio Pisanò; e il volume L’esodo. La tragedia negata degli italiani d’Istria, Dalmazia e Venezia Giulia del giornalista e divulgatore Arrigo Petacco.
Fonti, si direbbe, non particolarmente attendibili, dato per esempio che Meduri, sulla scorta di Pisanò, ha erroneamente attribuito a Marchesi il ruolo di mandante nell’esecuzione di Giovanni Gentile. Errore non rilevato da Canfora, che pure sull’argomento ha scritto un intero libro.
2. La versione di Sessi: quando «problemi di metodo» è un eufemismo
Nel febbraio 2020 abbiamo riletto anche le pagine di Frediano Sessi, e le nostre perplessità sono aumentate.
Nella scrittura del suo libro, Sessi deve per forza aver consultato la documentazione dell’Università di Padova relativa al conferimento della laurea ad honorem, ma non ha indicato nessun riferimento d’archivio in bibliografia. Nella finzione narrativa è l’amica di Norma, Andreina Bresciani, a mostrare all’autore i documenti d’epoca, da lei gelosamente custoditi.
Da quei documenti risulta però che il relatore di tesi non fosse Concetto Marchesi, come asserito dalla sorella Licia Cossetto, bensì il geografo irredentista Arrigo Lorenzi. Il Sessi narrante osserva anche che in quelle carte «si sente la mancanza di qualcosa»: non solo Concetto Marchesi non compare come relatore, ma non compare proprio in nessun modo. Sessi allora, pur di tenere fermo il punto di un Concetto Marchesi promotore della laurea ad honorem, si lancia in strampalate congetture sulla fase geopolitica, tripli salti mortali pur di non ammettere che da decenni su questa cosa non la si racconta giusta.
Sessi ipotizza che la diceria che Concetto Marchesi fosse il relatore di Norma Cossetto potrebbe essere un falso messo in giro (da chi?) per «nascondere la tragedia delle foibe» (sfugge il nesso logico), e rimprovera a Marchesi di non aver smentito la diceria.
Più avanti, Sessi interpreta l’assenza di riferimenti a Marchesi nei documenti d’archivio relativi alla laurea ad honorem come il segno che Marchesi inizialmente (nel 1946) avrebbe proposto l’attribuzione della laurea perché all’epoca Togliatti criticava Tito, ma poi si sarebbe tirato indietro perché nel 1949 il Pci non poteva più criticare Tito, in quanto la Jugoslavia offriva rifugio a molti comunisti italiani «implicati nei regolamenti di conti del nostro dopoguerra».
Si tratta di una tesi talmente rovesciata rispetto alla realtà storica da risultare addirittura demenziale. Nel giugno 1948 il persistente ma, fino a quel punto, sotterraneo conflitto tra Stalin e Tito divenne pubblico con l’espulsione della Jugoslavia dal Cominform. Il Pci da un giorno all’altro smise di considerare Tito un eroe della lotta al nazifascismo e prese a dipingerlo come un criptofascista traditore della rivoluzione. Tra il 1948 e la morte di Stalin nel 1953, molti quadri comunisti italiani espatriati in Jugoslavia rimasero fedeli a Stalin seguendo le direttive del Pci, e per questo subirono processi politici, scontarono condanne anche molto dure, o decisero di tornare in Italia. Esattamente il contrario di quanto sostenuto da Sessi.
Sessi infine ipotizza addirittura che Marchesi, dopo aver proposto la laurea ad honorem per Cossetto, ne abbia discretamente fatto modificare la motivazione, e fatto sostituire la dicitura «uccisa dai partigiani slavi» con la più generica «caduta per la libertà».
A noi invece sembrava, in quel febbraio del 2020, che l’assenza di ogni riferimento a Concetto Marchesi nella documentazione relativa alla laurea ad honorem avesse una spiegazione più semplice: Concetto Marchesi, in quell’operazione, probabilmente non aveva avuto nessun ruolo.
3. Allargando l’inquadratura tutto cambia
In quei giorni strani di febbraio abbiamo incontrato, nelle nostre verifiche online, una tesi di laurea magistrale in storia, compilata e discussa all’Università di Padova nel 2013 da Giacomo Graziuso sotto la supervisione della prof. Giulia Albanese: Gioventù e Università italiana tra fascismo e Resistenza: l’attribuzione delle lauree Honoris Causa nell’Archivio del Novecento dell’Università di Padova [1926-1956].
In quella tesi è ricostruita con dovizia di fonti una storia completamente diversa da quella che racconta Sessi.
Il lavoro di Graziuso non si occupa specificamente di Norma Cossetto, e questo ci ha permesso per la prima volta di allargare l’inquadratura, operazione fondamentale quando ci si vuole occupare di narrazioni storiche quantomeno dubbie.
Leggendo la tesi si appura che la laurea ad honorem di Norma Cossetto non fu un riconoscimento specifico a lei, ma rientrava in un’operazione a vasto raggio dell’Università di Padova che, nell’arco di un decennio a partire dal 1946, in cinque diverse cerimonie, ha attribuito lauree ad honorem ai suoi studenti caduti durante la guerra.
Fatti salvi alcuni paletti relativi alla militanza in formazioni collaborazioniste, il riconoscimento era destinato ai «caduti per la libertà o sul campo d’onore». Già in questa dicitura è possibile riscontrare un margine di ambiguità che nel tempo avrebbe creato contraddizioni anche stridenti. La formula infatti, in discontinuità con le lauree ad honorem attribuite durante il periodo fascista, era pensata innanzitutto per onorare i caduti nelle formazioni partigiane, ma lasciava aperto uno spiraglio anche a chi, prima dell’8 settembre 1943, era morto indossando la divisa italiana nelle guerre imperialiste volute dal regime fascista.
A decidere sull’attribuzione delle lauree ad honorem fu un’apposita commissione che nel corso degli anni cambiò più volte composizione. Ne fecero parte sia personalità puramente accademiche – Efisio Mameli ed Enrico Guicciardi – sia personalità dal forte profilo politico – l’azionista Norberto Bobbio, fino al 1947, e i democristiani Luigi Carraro e Lanfranco Zancan –, ma Concetto Marchesi non ne fece mai parte.
Proviamo ora a sintetizzare il lavoro della commissione, e come viene trattato il caso di Norma Cossetto.
In una prima fase si raccolgono segnalazioni su casi di studenti morti per cause belliche. Nel 1946 si inviano a famiglie, associazioni «di combattenti», a comuni di residenza, ecc. lettere di richiesta di informazioni dettagliate sui singoli casi. Successivamente la commissione vaglia i documenti e delibera sull’attribuzione delle lauree ad honorem. La prima cerimonia si svolge l’11 giugno 1947, la seconda l’8 febbraio 1948.
Il primo contatto tra l’Università di Padova e la famiglia Cossetto risale alla primavera del 1948. In settembre l’università riceve dalla famiglia la documentazione richiesta, e nel novembre la commissione delibera la concessione della laurea ad honorem. La laurea viene ufficialmente attribuita nella cerimonia dell’8 maggio 1949.
La quarta e la quinta cerimonia si svolgono rispettivamente nel 1954 e nel 1956.
Durante tutto l’iter non risulta che Concetto Marchesi abbia svolto alcun ruolo. Il suo nome compare nei verbali una sola volta, cioè quando la commissione, il 3 dicembre 1946, oltre ad affidare al rettore Meneghetti il compito di pronunciare l’elogio di Marchesi nella cerimonia dell’11 giugno 1947, registra la volontà di Marchesi in merito alla targa da apporre nel cortile del Bo: secondo Marchesi la targa non avrebbe dovuto riportare i nomi degli studenti caduti, ma solo la motivazione della medaglia d’oro al valor militare concessa all’università. È peraltro cosa nota a chiunque entri al Bo che alla fine si optò per una targa che riportasse i nomi dei caduti.
Come abbiamo accennato, la formula «caduti per la libertà o sul campo d’onore» risultava ambigua. A Desiderio Milch, morto ad Auschwitz dove era stato deportato in quanto ebreo, nella seduta del 26 maggio 1948 viene negata la laurea ad honorem perché «la morte era dovuta a ragioni esclusivamente razziali». La laurea gli viene poi assegnata nel 1954. Annotiamo che nella stessa seduta del 26 maggio 1948 viene invece dato sostanzialmente il via libera – con la sola richiesta di ulteriore documentazione – alla laurea a Norma Cossetto, «uccisa dai partigiani slavi», in quanto caduta per «la causa dell’italianità».
Quello di Cossetto non è l’unico caso in cui la laurea viene assegnata a studenti caduti per mano di partigiani.
Nella cerimonia dell’8 febbraio 1948, ad esempio, la laurea viene attribuita a Decio Astorri, tenente dei carabinieri, fucilato dai partigiani greci a Farsala in Tessaglia nel marzo del 1943.
Nel febbraio del 1943 a Domenikon, poco lontano da Farsala, l’esercito italiano si era reso responsabile di uno dei più efferati crimini di guerra commessi in Grecia durante l’occupazione nazifascista: il massacro di 135 civili come rappresaglia per un attacco partigiano in cui erano rimasti uccisi nove militi italiani. La commissione ignora completamente il contesto in cui avvenne la morte di Astorri, anteponendo un astratto concetto di onore a ogni altro tipo di valutazione.
4. L’origine della leggenda (1983)
A quel punto ci era chiaro che l’intera faccenda della laurea voluta da Concetto Marchesi era un’invenzione.
La possibile motivazione era facilmente immaginabile: utilizzare la figura di Concetto Marchesi – comunista, antifascista, costituente – come salvacondotto, utile a dare forza alla tenuta della narrazione dei cossettologi e alle sue finalità politiche. Si trattava quindi di capire: invenzione di chi? Risalente a quando?
Andando a ritroso nelle fonti che avevamo già consultato e che nei post precedenti abbiamo citato, abbiamo scoperto che il nome di Marchesi in relazione a Cossetto compare per la prima volta nel luglio del 1983 nell’articolo Tutta la verità sulle foibe. 1943-1945. Le stragi di italiani in Venezia Giulia, Fiume, Istria e Dalmazia di Antonio Pitamitz, pubblicato sulla rivista «Storia Illustrata», n. 306, maggio 1983.
Ce ne siamo già occupati nella seconda puntata: quell’articolo è fondativo, vi compaiono per la prima volta molti dettagli che diverranno parte della vulgata su Norma Cossetto.
Con riferimento alla laurea, Pitamitz afferma:
«l’Università di Padova, su proposta di Concetto Marchesi, e con l’unanimità del Consiglio della Facoltà di Lettere e Filosofia, le conferì la laurea “Honoris Causa”».
E poi continua:
«E, come ha dichiarato Licia Cossetto a Storia Illustrata, a chi obiettò che non era da dare, perché Norma non era caduta per la libertà, che non era una partigiana, Concetto Marchesi rispose che era caduta per l’italianità dell’Istria, che lui la conosceva molto bene e meritava più di chiunque altro quel riconoscimento».
Va notato che nel 1970 Flaminio Rocchi – nel suo L’esodo dei giuliani, fiumani e dalmati, Difesa Adriatica, Roma 1970, pp. 60-61 – si era limitato a scrivere che «nel 1949 l’Università di Padova le attribuirà la laurea ad honorem in lettere». Invece nel 1990 lo stesso Rocchi, nella seconda edizione del medesimo volume, propose una nuova versione, aumentata persino rispetto a quella di Pitamitz:
«Padova 1949. Il rettore dell’Università conferisce la laurea a Norma Cossetto. Stava preparando la tesi di laurea con il professore comunista Concetto Marchesi. Questi, appresa la notizia della sua tragica morte, propose personalmente il conferimento della laurea».
E più avanti:
«A coloro che obiettavano che la Cossetto non era una partigiana, Marchesi rispose che essa se la meritava più di ogni altro, perché era morta per l’italianità dell’Istria».
Quindi possiamo dire che con buona probabilità è stata Licia Cossetto a inventare la storia della laurea ad honorem voluta da Concetto Marchesi, e che è stato Antonio Pitamitz a renderla pubblica.
Diventa quindi ancora più ridicolo il modo in cui Sessi tratta tutta la questione: rimprovera a Marchesi – morto nel 1957 – di non aver smentito una voce – quella secondo cui sarebbe stato lui il relatore di Cossetto – entrata in circolo dopo il 1983. Una voce che, sempre secondo Sessi, aveva lo scopo di «nascondere la tragedia delle foibe» (?).
Ce n’era abbastanza per decidere di consultare direttamente la documentazione di Padova. Ma eravamo ormai alla fine del febbraio 2020. Di lì a poco sarebbe arrivato il lockdown e gli archivi sarebbero rimasti chiusi per chissà quanto tempo. E poi c’era La morte, la fanciulla e l’orco rosso da condurre in porto. Così il dossier è finito nel cassetto, e lì è rimasto per molto tempo.
5. L’uovo di Colombo: leggere i documenti
Passano gli anni, tra pandemie, guerre, crisi climatica. Tutto cambia, tranne la strana, morbosa attrazione del ceto politico italiano per Norma Cossetto; attrazione che si rinvigorisce ulteriormente nell’atmosfera satura di nazionalismo e di militarismo che avvolge la nuova fase.
Arriva il 10 febbraio 2024 e all’ennesimo intervento dell’assessore di turno che per l’ennesima volta, dopo una rapida consultazione di Wikipedia, ricicla la solita storia di Concetto Marchesi che personalmente si adopera per far assegnare la laurea ad honorem a Norma Cossetto, decidiamo finalmente di riprendere in mano il dossier.
Non troviamo nessuna difficoltà nel consultare i documenti che ci interessano, conservati nell’Archivio del Novecento dell’Università di Padova.
Nel faldone su Norma Cossetto e nei verbali della commissione troviamo conferma a quanto avevamo ipotizzato leggendo la tesi di Graziuso: in tutta la procedura per l’assegnazione delle lauree ad honorem Concetto Marchesi non ha avuto alcun ruolo.
Dai documenti che abbiamo consultato emerge innanzitutto che Cossetto sostiene l’esame di latino al primo anno con Marchesi. Al terzo anno nel suo piano di studi viene annotato ufficialmente che il suo relatore di tesi è il prof. Arrigo Lorenzi, geografo irredentista e sostenitore della teoria dei confini naturali. Per quanto riguarda le pratiche per il conferimento della laurea ad honorem, sulla busta relativa a Norma Cossetto si legge l’annotazione «uccisa dai partigiani slavi».
Dalle carte risulta che il caso entra nel radar dell’università nel novembre 1946, ma fino alla primavera del 1948 l’università non riesce a mettersi in contatto diretto con la famiglia Cossetto, e pertanto la commissione rinvia di volta in volta la valutazione sul caso. Da notare che gli stessi problemi di mancata comunicazione riguardano numerosi studenti, non solo Cossetto.
Il 13 marzo 1948 l’università invia una lettera alla famiglia Cossetto, in cui chiede, non avendo ricevuto risposta alle precedenti lettere, di compilare un modulo ai fini della concessione della laurea ad honorem, e di allegare un atto ufficiale che certifichi la morte di Norma Cossetto «in fatto d’arme o per causa bellica».
Il 29 aprile Licia Cossetto invia in risposta una lettera scritta a mano, in cui, dopo essersi scusata per non aver risposto alle lettere precedenti, spiega che la sorella «per essere stata sempre una pura italiana, e per essere stata insegnante di italiano in quei luoghi, a soli 23 anni ha dovuto subire torture indicibili ed è finita in una foiba della profondità di 120 metri». Alla lettera sono allegati il modulo compilato e firmato da Licia Cossetto e l’atto notorio del comune di Novara rilasciato su istanza della madre, Margherita Miccattovi Pacchialat vedova Cossetto.
Il 26 maggio la commissione si riunisce, e «pur non mettendo in dubbio l’atto di notorietà, e pur ammettendo ed ammirando il sacrificio della scomparsa per i suoi sentimenti di italianità», chiede alla famiglia Cossetto un ulteriore atto ufficiale in cui le circostanze della morte e «la causa di italianità per la quale la signorina è stata selvaggiamente trucidata» siano attestate da persone che ne abbiano avuto conoscenza diretta, «de visu». Il documento richiesto, contenente la dichiarazione giurata di quattro testimoni del luogo, viene emesso dalla procura di Trieste il 5 agosto 1948, e inviato a Padova il 7 settembre.
Il 16 novembre la commissione delibera il conferimento della laurea ad honorem senza ulteriori discussioni o richieste. Il 26 aprile 1949 l’università spedisce alla famiglia Cossetto l’invito alla cerimonia dell’8 maggio. E questo è quanto.
Si tratta di un carteggio non particolarmente fitto, in cui l’interlocutore della famiglia Cossetto non è in nessun modo Concetto Marchesi, ma l’Università di Padova.
Dobbiamo ora commentare il contenuto di alcuni documenti.
Nel suo libro Sessi riporta la testimonianza diretta di Licia Cossetto, che racconta di aver messo subito in chiaro con Concetto Marchesi che loro padre era un fascista. E sostiene che Marchesi le avesse risposto che «non importava; era una ragazza meritevole, morta così tragicamente, per la libertà dell’Istria». Ma Licia Cossetto, nella sua lettera manoscritta all’Università – e non a Concetto Marchesi, lo ripetiamo –, non mette affatto in chiaro che il padre fosse un fascista. Al contrario, sta bene attenta a non parlare di fascismo, e si limita a parlare di «pura italianità».
Alla commissione questa «pura italianità» deve essere sembrata qualcosa di molto bello e romantico, immaginiamo; ma cosa intendessero dire i nazionalisti italiani quando parlavano di «pura italianità» in Istria, lo spiegò bene il nazionalista italiano Ruggero Timeus nel 1912, dieci anni prima della marcia su Roma:
«Nell’Istria la lotta nazionale è una fatalità che non può avere il suo compimento se non nella sparizione completa di una delle due razze che si combattono».
Concetto chiarito ulteriormente nel 1913:
«Se una volta avremo la fortuna che il governo sia quello della patria italiana, faremo presto a sbarazzarci di tutti questi bifolchi sloveni e croati».
Citazioni tratte da: Ruggero Timeus, Scritti politici, 1911-1915, Tipografia del Lloyd Triestino, Trieste 1929, cit. in Livio Isaak Sirovich, Fatti e miti irredentisti e nazionalisti di un alpinismo di frontiera: il caso di Trieste, in «Archivio trentino», 49, 2, 2000, pp. 53-64.
La seconda osservazione sui documenti riguarda i due atti notori e il Foglio informazioni compilato da Licia Cossetto. In tutti e tre i documenti le circostanze della morte di Norma Cossetto vengono descritte in modo molto scarno: arrestata a casa propria a Santa Domenica di Visinada (Labinci) da partigiani jugoslavi il 2 ottobre, fu gettata nella foiba di Surani (Šurani) il 4 (o la notte tra il 4 e il 5) ottobre. Sessi (che queste carte le ha viste) osserva: «come mai le ricostruzioni successive si riferiscono sempre al 26 settembre?»
Già. Come mai? Sessi non ritiene di dover approfondire. Lo faremo noi nella prossima puntata.
6. La versione di Canfora (Slight Return)
In quel processo sempre in atto che è la ricerca storica, la verifica delle fonti – come ci ha insegnato Marc Bloch – è un momento fondamentale, da affrontare con attenzione e disciplina pari alla ricerca, allo spoglio e alla presentazione di quelle fonti. E altrettanta attenzione va applicata alla verifica dell’autorevolezza non solo della fonte, non solo dell’oscuro testimone, ma anche di chi le fonti le propone. In questo senso, pensiamo sia importante, nel passaggio alla prossima puntata, tornare su quanto Canfora scrive a proposito di Concetto Marchesi e la laurea a Norma Cossetto.
Com’è stato possibile che uno storico serio come Canfora prendesse per buona una minestrina fatta di nulla, riscaldata nelle cucine tristi della memorialistica revanscista?
Nel caso specifico il passaggio su Norma Cossetto pare dettato soprattutto dalla volontà di mettere in luce l’umanità di Marchesi, di descriverlo come un uomo che è turbato anche dai «crimini» commessi dalla propria parte. Il Pci-ismo incallito di Canfora, la sua difesa a spada tratta del retaggio di Togliatti (ma anche di Stalin) – compresa dunque la condanna dell’eresia jugoslava –, il suo sospetto nei confronti di tutto ciò che si muova dal basso (dai movimenti di oggi alle jacqueries e vendette di classe del passato) hanno fatto il resto. Ma a nostro avviso non si tratta solo di questo.
Nella storia antica è normale che, all’osso, le fonti consistano in un pugno di «Tizio dice che…», «Caio riferisce che…». Si tratti di Tucidide, Senofonte, Erodoto, Plinio il vecchio, Tacito o chi altri, sulle loro asserzioni e testimonianze lo spazio di verifica delle fonti è molto più ristretto di quello su asserzioni e testimonianze di Indro Montanelli o Giorgio Pisanò o… Maria Grazia Ciani. La storia contemporanea ha a che fare con una mole di documenti sterminata, incomparabile con quella su cui lavorano gli antichisti. Il problema è che le voci messe in circolo da Tucidide non sono dispositivi che operano direttamente nel presente. Quelle messe in circolo da Antonio Pitamitz invece sì. E il rischio di amplificare voci e narrazioni non verificate e usate strumentalmente è sempre dietro l’angolo.
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N.B. I commenti verranno aperti in calce alla seconda puntata di questo dittico, la quinta della pentalogia.
* Nicoletta Bourbaki è un gruppo di lavoro sul revisionismo storiografico in rete, sulle false notizie a tema storico e sulla riabilitazione dei fascismi in tutte le sue varianti e manifestazioni. Il gruppo si è formato nel 2012 in seguito a una discussione su questo stesso blog e ha al suo attivo molte inchieste e diverse pubblicazioni. Nel 2017 ha ideato e curato lo speciale «La storia intorno alle foibe» per la rivista Internazionale. Nel 2018 ha pubblicato on line la guida didattica Questo chi lo dice? E perché? Nel 2022 ha pubblicato per le edizioni Alegre il saggio d’inchiesta storiografica La morte, la fanciulla e l’orco rosso. Il caso Ghersi: come si inventa una leggenda antipartigiana. Lo pseudonimo collettivo «Nicoletta Bourbaki» è un détournement transfemminista di «Nicolas Bourbaki», maschilissimo gruppo di matematici francesi attivo dagli anni Trenta agli anni Ottanta del XX secolo. Nicoletta Bourbaki è su Medium e su Telegram.