Confessioni di un traduttore dello Hobbit – di Wu Ming 4

Lo Hobbit nuova traduzione

Premessa

Esce oggi in libreria Lo Hobbit, in un’edizione illustrata con gli stessi disegni di Tolkien. Dal punto di vista estetico forse la più bella edizione dello Hobbit mai realizzata. E con una nuova traduzione.

Non avrei mai pensato che potesse essere la mia. Nonostante negli ultimi anni io abbia discusso a iosa della traduzione del Signore degli Anelli realizzata da Ottavio Fatica e di quella “storica” di Vittoria Alliata, e nonostante studi i testi tolkieniani da oltre quindici anni, non mi sarei aspettato che mi venisse fatta un’offerta del genere. Quando è capitato, la prima cosa che ho pensato è che non avevo alcun titolo per farlo. Troppa poca esperienza di traduzione, troppo senso di inadeguatezza, troppa ansia da prestazione verso un autore amato.

Era un pensiero più che legittimo.

Se ho accettato di ritradurre Lo Hobbit di J.R.R. Tolkien è essenzialmente per due motivi, egualmente importanti.

Il primo è proprio che, dopo anni trascorsi a parlare di traduzioni altrui, a polemizzare sul lavoro degli altri, pareva coerente mettermi alla prova in prima persona, mettermi in gioco, accettando di farmi massacrare dal fandom. Perché la cosa scontata – come sa chiunque bazzichi gli ambienti tolkieniani – era che la traduzione sarebbe stata fatta a brandelli, com’era stato per i casi precedenti: Alliata con le sue lacune e libertà stilistiche; Jeronimidis Conte con le sue italianizzazioni; Saba Sardi con i suoi abbagli; Fatica con i suoi… “fatichismi”; Giorgianni/Rialti con l’onere di adeguarsi alla nomenclatura di Fatica (lo stesso che avrei avuto io). Indegnamente sarei stato «sesto tra cotanto senno» e avrei ricevuto la mia dose di critiche, sfottò, insulti, nitpicking, ecc. Ma a darmi lo slancio per gettare il cuore oltre l’ostacolo è intervenuta la solida e inesorabile materialità delle cose.

Il secondo motivo per cui ho accettato di ritradurre Lo Hobbit infatti è che mi è stata offerta quasi la cifra esatta che mi serviva per pagare una spesa sanitaria importante. Soldi che in quel momento non avevo. E quando vivi di sola scrittura perché hai avuto la malaugurata idea di non imparare a fare nient’altro nella vita né di fare uno straccio di concorso pubblico (quante sacrosante cazzate si pensano a vent’anni, soprattutto se sono gli anni Novanta), ti può capitare di dover mettere da parte le remore per necessità.

Questo è quanto. Se qualcuno si aspettava del romanticismo può anche smettere di leggere qui. Tanto più che la prima cosa che intendo fare è autodenunciarmi per avere preso braci per bretelle.

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8 commenti su “Confessioni di un traduttore dello Hobbit – di Wu Ming 4

  1. Che dire, congratulazioni per questo nuovo progetto… e viva la sincerità!
    Non solo per quanto riguarda le scelte stilistiche e lessicali spiegate nel prosieguo al link (sulle quali da non addetto ai lavori non metto becco), ma anche e soprattutto per il riconoscimento delle ragioni spesso alquanto prosaiche che giocoforza influenzano anche i lavoratori in ambito culturale.
    Nel corso dei secoli, tante traduzioni e opere sono nate almeno in parte per motivi di ordine pratico-finanziario, e le cose di sicuro non sono cambiate oggi; si tratta senza dubbio di un campo di indagine potenzialmente molto interessante – oltre che di un frustrante promemoria della mortificazione delle lettere in questa nostra era sempre più tecnocratica.

  2. Quick capsule review: it’s a better brew.

    C’è peró una parola usata in tutte le traduzioni italiane che, a mio personale giudizio, stride forte con l’originale e che mi incuriosiva scoprire se fosse stata sostituita ed è scassinatore, burglar nella versione inglese.

    Scassinatore non mi ha mai garbato, semplicemente non credo renda bene, soprattutto in virtù dell’analisi filologica che ne fa Tom Shippey in «J.R.R. Tolkien author of the century». Mi piace piuttosto pensare che Bilbo Baggins viene assoldato da Thorin & co. come borsaiolo, non soltanto per l’assonanza/risonanza con la parola bourgeois, come dice appunto Shippey, ma anche e soprattutto perchè lo scasso è un furto «aggravato dalla violenza su beni o cose» mentre l’atto illecito del borseggiatore è non-violento oltre a comportare destrezza e sotterfugio. Ovviamente la mia è l’opinione di una persona «generally educated» piuttosto che «professionally educated», quindi chiedo venia.

    • Lo so che “scassinatore” non è granché, ma non ho trovato alternative. “Borsaiolo” è più un ladruncolo di strada, uno che ti scippa il portafogli o la borsa, appunto. Invece nello Hobbit il concetto è proprio legato all’idea del furto con scasso, cioè all’introdursi in casa d’altri per sottrarre dei beni. E secondo me ci sta pure come concetto, perché Bilbo è un buon borghese che deve trasformarsi nel suo contrario, cioè in un violatore di proprietà privata.

  3. Buona fortuna.
    A leggere la canzone di Tolkien in inglese citata dal post sono stata colpita dal ritmo, ancora più che dalla rima. Sembra fatta per essere cantata, scandita e direi quasi danzata. In ogni caso detta ad alta voce.
    Si sa nulla su questo?
    Intendendo sia una attività compositiva di Tolkien sia una sua abitudine di cantare, magari in compagnia, o con i suoi figli, testi allegri, burleschi, o più compassati?
    O su Tolkien e la musica più in generale?
    Di certo il canto è una presenza importante nelle opere da lui pubblicate, dalle taverne alle sale degli Elfi. E pure nella letteratura epica che lui studiava.
    Tutte le traduzioni invece sembrano molto letterarie, auliche, tese magari a ricostruire la rima, ma decisamente meno fluenti. Da lettura silenziosa.

  4. Complimenti Wu Ming 4 per il prestigioso incarico e per la bella somma promessa (e spero incassata)!
    Mi ha colpito la tua umiltà nel non ritenerti degno dell’incarico fino ad invocare lo stato di necessità come concausa della tua accettazione. Perché cotanta modestia? Se chi lavora per Bompiani ti ha scelto, o sono matti oppure, da gente del mestiere quali sono, ti ritengono giustamente in grado di tradurre un’opera bella e importante come quella che ti hanno assegnato.
    Azzardo due spiegazioni: per prima cosa sei tra i pochi esemplari di dinosauro ancora rimasti che non si vendono senza vergogna ma che al contrario tendono a presentarsi in pubblico esibendo un po’ meno di ciò che valgono. In secondo luogo credo che il tuo senso di indegnità sia riferito non tanto ai nostri contemporanei ma al passato. Quello che un secolo fa era un modesto letterato, filosofo, artista (inizio a pensare che lo stesso valga per matematici e fisici) nel 2024 fa la sua porca figura. Un po’ come i romani nel secolo V d.C. o gli ateniesi nel secolo III a.C.: memori della grande civiltà, viviamo nella barbarie. E come animali sociali non possiamo sottrarci se non in minima parte alla mediocrità dei nostri tempi. Ammesso che sia così, questo non autorizza a fare di ogni erba un fascio, per cui è giusto celebrare un successo professionale e augurarsi che la traduzione piaccia a tutti, anche ai critici più biliosi!

  5. Premetto: non sopporto Tolkien né tutta la “Tolkienologia”… Ma avendo un moderato interesse per le lingue e un lavoro che mi costringe quotidianamente a scrivere in tre lingue diverse ho apprezzato molto la riflessione sulla traduzione.

    Detto ció, non si sta ignorando l’elefante nella stanza? Il Signore degli Anelli, e specialmente lo Hobbit, sono libri pensati per un pubblico giovane, pre e adolescenziale perció, anche considerando le idiosincrasie di un autore fissato con il medioevo anglosassone (e una molto personale visione dei miti nordici) non si dovrebbe considerare per l’adattamento anche il pubblico di riferimento?

    Per dire: “Aracnaccio” funziona a livello logico e filologico ma non sarebbe stato piú adatto un piú semplice “ragnaccio”? Non dico di tradurlo “in corsivo da TikTok” ma eliminare tante considerazioni accademico-Tolkeniologiche per produrre un testo piú accessibile e in linea con l’idea originale.

    • Domanda: secondo te l’originale «attercop» Tolkien lo scelse pensando all’immediata comprensibilità da parte di un pubblico preadolescenziale?

    • Precisazione: Lo Hobbit è stato senz’altro scritto pensando a un pubblico molto giovane; questo vale già meno per Il Signore degli Anelli, che è scritto con uno stile completamente diverso e infarcito di poesie, poemetti, frasi in lingue inventate, termini arcaici o obsoleti, ecc.

      Detto questo, visto che è dello Hobbit che si parla, Tolkien non si è fatto scrupolo di usare la parola “attercop” in una rima. Si tratta di un termine dell’Old English, rimasto in uso in un vecchio dialetto dello Yorkshire e – nella forma “ettercap” – nello scozzese. Sinceramente non so quanti ragazzini anglofoni potessero capirne il significato nel 1937, e tanto meno adesso. Direi pochissimi o nessuno. Ho ritenuto quindi di dover riprodurre un effetto analogo a quello ricercato dall’autore, cioè trovare una parola astrusa, che rimandasse alla lontana a “ragno”. Potevo trovare di meglio? Magari sì. E avrei anche potuto decidere di non complicarmi la vita e rendere tutto molto più comprensibile traducendo “ragnaccio”. Ho provato invece a rispettare lo stile di Tolkien, anche se non pretendo certo di averlo fatto nel modo migliore possibile.

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