Giancarlo Guglielmi, detto «Zeb» per via della somiglianza con Zeb Macahan, personaggio di una serie western di quand’eravamo bambini.
Romagnolo trapiantato a Bologna, negli anni Settanta operaio metalmeccanico e militante della sinistra rivoluzionaria. In seguito, tra le altre cose, editore indipendente. Il nostro primo editore. Molto di più: un punto di riferimento. Non solo a metà degli anni Novanta la sua Synergon pubblicò i numeri della fatidica rivista autoprodotta River Phoenix e il primissimo libro su Luther Blissett, ma nella sede di via Frassinago ci riunivamo per scrivere Q.
Poco tempo dopo, Zeb chiuse baracca e si trasferì a Cuba, dove si rifece una vita e una famiglia. Fu più volte il nostro cicerone – a volte il nostro virgilio – all’Avana. Ricordiamo in particolare il viaggio del 2000, in occasione della Feria Intercontinental del libro.
Per trent’anni Zeb ha raccontato l’isola e la sua gente, e ha sempre difeso il lascito della rivoluzione cubana, senza per questo mettersi le fette di prosciutto sugli occhi. Quando c’era da criticare, anche con durezza, il governo e le sue politiche, lo ha fatto senza remore, come dimostra un suo intervento sulle rivolte anti-lockdown a Cuba che pubblicammo nel luglio 2021.
Zeb è morto in un ospedale dell’Avana ieri, sabato 29 marzo 2025. Era ricoverato da tre giorni per via di una caduta, in seguito a un episodio avvenuto en la calle.
«Ragazzo di strada» fino all’ultimo, en la calle è vissuto, e si può dire che en la calle è morto. Per le strade del mondo continueremo a rendergli omaggio.
Era il padre di Wu Ming 4.
Ciao, Zeb.
Riportiamo qui un ricordo di Zeb scritto da Valerio Monteventi:
ANCHE “ZEB” CI HA SALUTATO
Potremmo dire “non se ne può più” (ma servirebbe a poco), purtroppo un altro compagno degli anni ’70 ci ha lasciato: Giancarlo Guglielmi, detto “Zeb”. Lo ha fatto in quel di Cuba, dove ha trascorso gli ultimi decenni della sua vita, dopo tre giorni d’ospedale conseguenti a una caduta per strada.
Negli anni successivi all’autunno caldo, tra le fila dei gruppi della sinistra rivoluzionaria bolognese, gli operai di avanguardia, pur essendo continuamente citati, erano una rarità (quelli in carne ed ossa).
In quel contesto di penuria di classe la massa di Giancarlo Guglielmi ebbe un suo perché.
Si trattava di un operaione biondo, alto e grosso, con uno scheletro da “bombarda contrabbasso” (lo strumento a fiato che nella, famiglia delle “tube”, ha la sonorità più grave). In effetti la sua sua voce era tonante, le parole dei suoi interventi in assemblea non avevano bisogno di amplificazione.
Giancarlo era un marxista-leninista che lavorava alla Casaralta e che aveva in dotazione un “assemblaggio braccia-mani” che assomigliava a due robuste pale. Nei primi anni del suo arrivo a Bologna, proveniente dalla Romagna, non aveva ancora il soprannome di Zeb, che gli venne dato qualche tempo dopo, quando per tv esplose la serie western “Alla conquista del West” e la guida-scout Zeb Macahan, oltre che protagonista dello sceneggiato, divenne un idolo del pubblico televisivo.
Con Giancarlo il nostro sodalizio politico iniziò dopo il 1977, quando lui operaio alla Cesab io alla Ducati, insieme ad altri compagni della Weber, della Sabiem, della Calzoni e della Caster facemmo nascere il Coordinamento Operaio delle fabbriche di SantaViola e subito ci dotammo pure di un nostro giornale “Nè servi, né padroni”, facendo il verso a un vecchio slogan anarchico.
Poi, a metà degli anni ’80, ci fu l’uscita di gruppo dalle fabbriche, diversi di noi parteciparono ad un un antistorico viaggio di “indipendenza” ed “autonomia” facendo nascere una cooperativa editoriale che diede alle stampe prima il giornale “Mongolfiera”, poi i libri della casa editrice Agalev. Usciti dalle catene di montaggio, con nessuna intenzione di darsi un’organizzazione produttiva di stampo capitalistico, costruimmo diverse “figure ibride” che sussumevano nelle fattezze dell’“editore spurio” tante altre figure come il giornalista, il fotografo, l’impaginatore, l’addetto alla reprocamera e lo stampatore. Insomma, per far uscire un prodotto editoriale, mettemmo in atto il concetto di “cavarsela comunque”, stimolati dal confronto con la vecchia “teoria/prassi” marxiana. Piena di “soddisfazioni morali”, ma parca di “soddisfazioni materiali”, questa attività editoriale permise a Giancarlo di ricavarsi anche uno spazio proprio, dando vita alla rivista di letteratura “Temporali” e, insieme alla casa editrice Agalev, di organizzare la partecipazione italiana al Festival della letteratura a Managua, in Nicaragua.
Nei primi anni novanta Giancarlo dicise di diventare un editore ancora più indipendente e diede vita a una sua casa editrice, la Synergon, pubblicando il primissimo libro su Luther Blissett.
Infine, dopo questa esperienza, Giancarlo si trasferì a Cuba, in quella parte del mondo che da sempre l’aveva affascinato.
In questa sua avventurosa e appassionante storia di vita c’è un episodio che va assolutamente ricordato.
Nell’estate del 1971 ci fu una lotta durissima contro i 50 licenziamenti alla Viro (la fabbrica di lucchetti e serrature di Zola Predosa).
Nei mesi precedenti, agli scioperi degli operai a sostegno della piattaforma integrativa, la direzione della Viro aveva risposto con una serie di serrate. Era il modo più esplicito per mettere in chiaro la sua inflessibilità nel sostenere le proprie decisioni. Era l’inizio di una guerra durissima che si giocò soprattutto davanti ai cancelli della fabbrica, dove si ripeterono i blocchi per impedire l’ingresso durante gli scioperi. Da qui iniziarono a intensificarsi i contrasti che, via via, diventarono sempre più fisici. Verso la fine di marzo, di fronte alle ripetute proteste dei dipendenti, la direzione della Viro annunciò una lunga serrata che sarebbe durata almeno tre mesi. L’8 luglio la fabbrica venne riaperta, ma con 50 operai “indesiderabili” in meno e con tutte le richieste contrattuali completamente inevase. Tra i lavoratori licenziati, molti erano stati scelti tra i più combattivi.
Per rispondere all’intransigenza padronale, come forma di lotta venne adottato il blocco della fabbrica ad oltranza, con picchetti continui davanti ai cancelli. Sennonché, la Viro sponsorizzava una squadra di rugby e una di pugilato e molti di quegli atleti erano alle sue dipendenze e venivano usati periodicamente come sfondatori: che botte ragazzi lungo la via Bazzanese.
Ne prendemmo molte in quei giorni di picchetti, ma successe anche un episodio, per così dire, in controtendenza: ne furono protagonisti Giardini, un crumiro rugbista, e Zeb.
Venendo al dunque… una squadra di crumiri riuscì a sfondare, ma mentre gli altri se ne andarono dentro, il Giardini rimase nel cortile e con la mano sinistra premuta all’inizio del bicipite destro urlava: «Toh, toh… comunisti di merda, avete visto che sono riuscito ad entrare».
Gli scioperanti risposero per le rime e lo coprirono di insulti. Il teatrino proseguì per qualche minuto, fino a che, a un certo punto, Zeb disse: «E’ inutile urlargli dietro, lasciate fare a me».
Giancarlo, per essere ancora più teatrale decise di scavalcare il cancello, invece di passare dalla parte aperta. Poi, con una calma estrema e con pesanti passi, raggiunse il Giardini e, con una grande scrupolosità, sganciò due cazzottoni che fecero stramazzare lo starnazzante rugbista sull’asfalto. Poi, con la stessa elefantiaca lentezza, Zeb se ne ritornò al picchetto; sul suo volto aleggiava un ghigno sarcastico che celava una profonda soddisfazione.
Fu una storica lezione di “prassi antifascista”, supportata da una strategia di intervento molto efficace… Della serie: «compagni non accettiamo le provocazioni… però…».
Ciao indimenticabile Zeb, che la terra ti accolga come meriti.