Facile presentare il libro come un romanzo sugli ultras del Cosenza. Facile non equivale a sbagliato, perciò sì, potremmo definire B.D.D – romanzo degli anni zero un libro che ha per protagonisti e narratori degli ultrà.
Non si tratta di poco, ma come suole dirsi, non c’è solo questo.
Gli eroi dunque sono ultrà ed ex-ultrà del Cosenza, la Brigata Drogati e Delinquenti che dà il titolo al romanzo. Ora, per chi non ne è al corrente, occore dire che la curva cosentina e il suo rapporto con la città rappresentano un’esperienza importantissima nella storia della politica di strada, dell’aggregazione dal basso in questo paese. Sono un pezzo della storia delle classi popolari che merita di essere raccontato, e Dionesalvi, coinvolto da sempre nelle questioni di curva, di strada, di aggregazione, attento alle dinamiche di inclusione- esclusione, lo fa in modo svelto, autoironico, convincente.
Fuori i fascisti dalle curve, fuori le curve dagli stadi . Durante la presentazione del libro a Casalbertone, nel momento della discussione, ci si rendeva via via consapevoli che quello slogan, programmatico, è in qualche misura già in atto nella realtà dei movimenti. Quello che i gruppi ultrà dicevano già a fine anni ’90, e cioè che la sperimentazione di tecnologie repressive, da manganelli e gas di “nuova concezione” alla gestione puramente militare della curva-strada avrebbe finito per colpire settori sempre più allargati della società è evidente da anni. Gli ultrà sono il settore della società su cui sono stati sperimentati metodi polizieschi che per strada si sono affacciati all’inizio degli anni zero. I fascisti fuori dalle curve non ci sono andati, in compenso i metodi di repressione diretti alle curve ora sono in città e ti aspettano ogni volta che decidi di metterci faccia e corpo, per strada. Questo è l’aspetto cupamente negativo con il quale lo slogan si è fatto reale. Ma a essere patrimonio della città, della città antagonista a quella istituzionale, repressiva e poliziesca, ci sono anche i modi di aggregazione e il sapere tecnico delle curve. Dopo la faccenda della tessera del tifoso, c’è stato un esodo, un movimento verso l’esterno. La cosa ha una sua evidenza materiale, diretta, come sa chiunque abbia riflettuto bene sul 15 ottobre 2011, e come sostengono molti che erano presenti quel giorno. Questo per chi è interessato al piano, difficile e vitale, della politica di strada.
Ma del libro – diretto, antielegiaco, alla ricerca del reale – si devono dare letture meno estrinseche, forse meno strumentali. I racconti di curva del protagonista tratteggiano una sorta di romanzo di formazione. Il rapporto di amore profondo per la città alternativa di cui parlavamo è quello di chi è immerso in una realtà fatta di storie difficili, di modi più o meno efficaci di sopravvivere e di resistere possibilmente a testa alta. Come quando da preadolescenti si esplorava il territorio casalingo a delineare una precisa mappa interiore, metabolica, colta anche con i sensi e con l’istinto. Passaggi segreti tra cortili, buchi nelle reti, varchi nelle siepi, possibili nascondigli, vie di fuga nella periferia rotta dalla natura, dall’erba, dai binari. Tutte cose che possono servire, come la consapevolezza che muove le pagine di B.D.D ., come il rapporto strettissimo dei protagonisti con la materia inerte e quella vivente della città.
È che dietro a B.D.D. – romanzo degli anni zero c’è un’idea forte di letteratura popolare. Un pò come il punk delle origini, che univa rottura e ricerca di autenticità, e per questo si esprimeva nei tre minuti canonici del rock n’ roll, la forma più classica possibile, come se si tratasse davvero di andare in classifica: il libro si legge in fretta, lasciando spesso dietro di sè la voglia di rileggere passaggi, di approfondire. Gli snodi narrativi sono ben oliati, come quelli di una band abituata a suonare molto dal vivo, e in qualsiasi situazione. Vien voglia di mettere indietro la puntina, di risentire un pezzo particolarmente buono.
Claudio Dionesalvi sceglie infatti di veicolare storia orale e locale, protesta sociale, resoconto storico utilizzando i canoni della letteratura di genere. Il romanzo ha la struttura di un noir, in cui gli eroi-antieroi cercano di risolvere un delitto che ha una vittima collettiva. Qui la forma-noir equivale agli stilemi “facili” del rock ‘n roll nel punk ’77. È l’argomento del contendere a essere potenzialmente dirompente.
Colpisce la sicurezza con la quale viene delineato il piano propriamente politico del romanzo. Un complotto con tanto di setta massonica, ma i membri mica ci credono alle stronzate stile Giacobbo. Sanno che il loro è semplicemente un modo efficace di occupare il luogo del potere. Alla fine si scopre che la setta, la sua rete di clientele, altro non è che la borghesia di un’intera città. La New Age come instrumentum regni: suona molto contemporaneo alle mie orecchie.
Il complotto, dice Dionesalvi, ce l’abbiamo davanti agli occhi. È una dinamica che si svolge ininterrottamente, dalla quale derivano a cascata tutti i problemi, tutta la sofferenza sociale che attraversa non da ora il paese. Il nome ultimo di questa dinamica è sfruttamento , che ha sempre anche un connotato di manipolazione . B.D.D . è un romanzo sulla lotta di classe.
In questa chiave, il piano della strada risuona con le vicende di una collettività via via sempre più vasta, fino a dire cose di interesse generale, che possono essere comprese e apprezzate a prescindere dalla conoscenza diretta del contesto e dell’eventuale passione per gli undici in braghe corte che corrono dietro a un pallone. C’è una pletora di personaggi, che sono sempre solidamente in carne e ossa e nella loro pelle, lontanissimi dai tipi e dalle macchiette dello strapaese. Orgoglio e passione, aneddotica e riscatto.
La divisione di classe, anzi di classi, non è un argomento né un elemento alla moda nella produzione letteraria del “nostro” paese. Ci sono passaggi, atmosfere e scene intere, in B.D.D, che evocano un film del 1978, Rockers (Ted Bafaloukos), una sorta di Ladri di Biciclette-che-diventa-Robin Hood, opera della cinematografia di un paese in via di sviluppo come la Giamaica, influenzata in modo evidente dal cinema italiano. Il tentativo di creare un afflato epico da spaghetti western convive con l’attenzione alla realtà quotidiana, al ritmo della parlata di strada, alle andature e alle irriducibili idiosincrasie dei corpi. È in questo senso che aspetti della poetica di B.D.D . si mostrano analoghi. Il tentativo di mettere in risonanza le ragioni dei corpi e delle menti e le istanze propriamente pubbliche, la lotta per la giustizia contro la mistificazione delle gerarchie create, garantite e perpetuate dal denaro, e di farlo presentando una storia avvincente e ampia è esattamente lo stesso. In Rockers , è la borghesia nera e bianca a essere implicata direttamente in un gioco criminale che rischia di distruggere il protagonista, un musicista Rasta del ghetto. In B.D.D. è chiaro che a nascondersi e svelarsi assieme, nelle dinamiche che impattano sulla vita dei protagonisti, non è che la forza del denaro e di chi lo manovra.
Che dire di più per ora, Claudio? Sì, giusto, che aspettiamo il prossimo, di romanzo. Come accade spesso con i Ramones, vero pallino della tua curva, ne vogliamo ancora.
Voglio chiudere ricordando Valerio Marchi, l’intellettuale che più di tutti ha affrontato i nodi che innervano un romanzo come B.D.D. Credo che anche l’autore sarebbe d’accordo. Non possiamo sapere con certezza se il romanzo gli sarebbe piaciuto. Io ritengo di sì, e torno a praticare il mio lavoro di analisi e mediazione culturale cercando di rimanere fedele a quanto Valerio ha trasmesso e insegnato.
Per capire gli anni novanta del nostro scontento abbiamo dovuto leggere un “Romanzo degli anni zero”. Peccato solo che la parole comitiva non ne esca tanto bene…
A quel tempo, infatti, negli anni novanta, avevo una piccola comitiva. Si prendeva una macchina, ci si dava un appuntamento, si andava allo stadio. Destinazione: il Libero Liberati di Terni. Noi eravamo un trio, talvolta un quartetto, che, per amore della Cultura (e non sotto-cultura!) Ultrà, partiva alla volta di Terni. Nella mistica tardo-operaista la città sembrava (ed è!) una sorta di Manchester italiana (che poi, sta cosa della Manchester, mo la dice anche Wikipedia, ma allora Wikipedia non c’era…). La frequentazione fu rara poiché, gioco-forza, la vita ci aveva diventare tifosi di altre squadre e dunque la Curva Est ci accolse solo una decina di volte in tutto.
L’ultima (con la est che era la est) fu proprio un Ternana-Cosenza dove andammo con alcuni cosentini della diaspora romana. Anche lì, prima o poi bisognerà dire, come sostiene giustamente il buon Francesco, che i calabresi hanno avuto il merito storico, epocale, di trasformare un quartiere iper-fascista e pericoloso, come piazza Bologna, in un quartiere frequentabile.
Ci avvicinammo agli ultrà proprio perché lì, nel contesto delle curve, era stato ripreso quel salutare circolo (di derivazione politica) fra ocupar, resistir, producir (come riassunsero i mitici Sem Terra). Per certi versi e ancora di più che nel fantomatico “Movimento”; il Movimento è sempre stato troppo palloso e “costruttivo” (e poco organizzato con quel ritornello “sull’eterno ritardo …”). In un Ternana-Livorno (si odiavano!) vedemmo bruciare gli striscioni della EST da quelli della EST stessi pur di “fare casino”.
La storia della cultura ultrà(s) è nascoste nelle pieghe di un noir. Guai però a pensare che il romanzo sia rivolto solo chi, alla cultura ultrà, deve qualcosa, come noi. Il romanzo parla di un gruppo che studia, si organizza, si “arma” e alla fine vince (o perde?). Questi sono i veri punti. L’organizzazione: la riunione, il bar, l’appuntamento, la chiacchiera: intorno a questi 6 giorni nasceva il settimo. Le armi, poi, quelle metaforiche (per carità!). Nel romanzo, ad esempio, una fotocopiatrice, un computer: cose banali ma che, usate a modo, possono diventare “pericolose”. Alle fine si vinca o si perda è secondario (tanto perdiamo sempre come il Cosenza). L’importanza è sempre nel fatto di averi provato, di esserci visti, di aver condiviso idee, bagni sporchi, treni sgangherati. Queste suggestioni sono universali anche per chi crede essere gli ultrà “brutti, sporchi e cattivi”.
“Fuori i fascisti dalle curve, fuori le curve dagli stadi”. Questo fu il verbo cosentino: subito apprezzammo lo spirito provocatorio e militante; dopo capimmo, a Genova, lo spirito profetico: la repressione delle curve fu portata fuori dagli stadi. Ora Claudio tenta di portare la curva nella letteratura: il tentativo è alto e, per una volta, molto ben riuscito.
Letta la recensione mi è venuta in mente una cosa che da sempre vorrei vedere “nero su bianco” con una certa sistematicità, complessità d’analisi, anzi se qualcuno le ha me le linki per piacere che io non riesco, forse per mia ignoranza, a trovare nulla, se non fonti parziali(qualitativamente e quantitativamente) che poi col cervello devo ricollegare in un “disegno unitario”: lo spostamento politico della maggior parte delle curve di squadre di rilievo “nazionale”(A e B) da una connotazione “di sinistra” a curve “non politicizzate”(es: la Roma) o “di destra”(è il caso del Milan? o rientra nel primo caso).
Insomma ci si potrebbe scrivere un saggio su questo legame Ultras/Politica, il calcio come fabbrica del consenso e la miopia di una sinistra, istituzionale e salottiera, degli ultimi 20 anni troppo snob per occuparsi di un aspetto popolare e importantissimo del nostro paese.
Qualcuno ha qualcosa d’interessante da leggere, cartaceo o virtuale che sia?
Il mio piccolo contributo, per quel poco che so sull’argomento e` che che sulla curva del Milan ci sarebbe da fare un ragionamento meno politico. Le voci che ho raccolto, indirettamente, non essendo di Milano, sono su presunti legami di gente influente nella curva attuale (confermati anche da arresti e procedimenti in corso) con la criminalita` organizzata. Queste persone avrebbero escluso e preso il posto (con la forza) delle vecchie organizzazioni.
Non so quanto queste dinamiche e relative analisi possano essere generalizzate alle altre curve.
Ti riferisci alla questione dello scioglimento della Fossa? Se si, risulta anche a me quello che hai scritto, ma penso, sottolineo “penso”, che sia stato solo l’ultimo evento di una lunga depoliticizzazione della curva “proletaria” di Milano e non so se sia corretto estranierlo da una visione politica.
Lo scioglimento della fossa, ultimo baluardo di sx nella curva del Milan, dovuto, sembra, persino ad un tradimento di altri gruppi ultras della curva si inserisce proprio in questa fascistizzazione/commercializzazione delle curve.
A sx sono rimasti in pochi e sempre più colpiti da daspo: Livorno, ternana, Genoa.
Gente che prima faceva politica ed antagonismo in curva e pure fuori.
Gente che portava allo stadio problemi reali della loro città, o internazionali.
Ora mi sa che il fascio ha preso piede.
Le curve sono secondo me uno specchio abbastanza credibile del paese dove viviamo.
Forse lo spostamento a destra delle curve (sui due casi citati: il Milan ha anche il problema di avere un presidente che fa politica e che ha fatto vivere alla squadra un periodo d’oro e questo giocoforza ha spinto a destra soprattutto le “nuove” leve della curva; sulla Roma, i Fedayn sono diventati apolitici, ma non hanno più l’egemonia sulla curva nella quale i gruppi di destra sono cresciuti parecchio) è dovuto all’essenza stessa delle curve e al rapporto delle “aree politiche” con la violenza. Con la fine della violenza politica la sinistra perde il suo unico legame cone i gruppi ultrà, appunto l’utilizzo della violenza che è invece per la destra un carattere fondante. Diciamo che se la sinistra utilizza la violenza estemporaneamente e per perseguire uno scopo, la destra utilizza la violenza costantemente (a partire semplicemente dal linguaggio) e senza scopo prefisso, il fine della violenza per la destra è la violenza stessa. Ora, caratteristica fondante del mondo ultrà credo sia una sorta di “vitalismo battagliero” incentrato sull’azione del gruppo ultrà come riflesso dell’azione del gruppo-squadra di riferimento. L’ultra deve vincere la partita, sia quella di calcio, sostenendo la squadra, sia quella “di curva”, sconfiggendo i tifosi avversari con gli scontri, che hanno il culmine nello “scavalcamento” per invadere lo spazio degli avversari. Insomma, la caratteristica dell’ultra mi sembra essere sostanzialmente quella del soldato che cerca di interpretare l’eroe in senso pagano (e qui mi riferisco a tutto il gran lavoro di WM4) ed è una caratteristica pienamente destrorsa. Mi sembra piuttosto naturale pensare che le curve scivolino sempre più verso destra.
Dovevo aggiungere a “che hanno il culmine nello scavalcamento, per invaderel o spazio degli avversari” la seguente frase: “proprio come accade in guerra, dove lo scopo dell’azione militare è generalmente l’invasione del paese nemico”.
Da cosentino doc – poco frequentatore di stadi di calcio – mi incuriosisce tantissimo questo libro. Spero che all’interno si faccia menzione a Padre Fedele e al suo particolare rapporto che ha avuto con la curva.
Una città difficile Cosenza…
Scusate, non riesco a commentare nel post precedente. Come si chiama il generale nella foto di “keep calm and tifiamo rivolta”?
Giap.
Scusate, non riesco a commentare nel post precedente e non trovo un link per scrivervi in privato, ma penso si tratti di una cosa importante. Stasera, partecipando al blog di Grillo sul tema dei 12 senatori “traditori” e del voto segreto al Senato che non assicurerebbe la “trasparenza”, ho constatato che lo staff della Casaleggio e Associati manipola sistematicamente il meccanismo di rating che permette di rendere più visibili i commenti più apprezzati. Tolgono voti ai commenti in disaccordo col contenuto del post, per renderli meno visibili, e li aggiungono a chi è d’accordo, per renderlo più visibile. Così, tra mezzanotte e l’una, i primi 10 “commenti più votati” erano tutti stabilmente contrari al contenuto del post di Grillo e favorevoli all’elezione di Grasso, e avevano ottenuto fino a 100 voti di rating. Lo so perché li ho letti e votati tutti uno per uno. Cinque minuti dopo, quando sono tornato a controllarli, tutti questi commenti erano improvvisamente scomparsi. Non erano stati superati da altri: al contrario, al loro posto si leggevano commenti molto meno votati, con circa 30 voti ciascuno. Questi commenti erano però tutti favorevoli al post di Grillo. Così nell’arco di cinque minuti la tendenza che era stata di tutta la serata è stata completamente ribaltata. Non credo si possa spiegare altrimenti, se non col fatto che l’admin ha declassato i commenti anti-grillo per renderli meno visibili, e promosso i commenti pro-grillo per renderli più visibili. Ciò è confermato, tra l’altro, dal fatto che il mio stesso commento, con cui poco dopo ho provato a denunciare l’accaduto, ha prima raccolto 6 voti in tre minuti, e poi si è ritrovato improvvisamente senza alcun voto, quindi escluso dalla lista dei “commenti più votati”. Insomma, mi sono convinto a sufficienza che la manipolazione del rating è una prassi ordinaria dello staff di Casaleggio, attraverso la quale si alimenta l’idea che il blog è in accordo con la volontà degli utenti (argomento ripetuto da molti dei grillini più avvelenati), mentre invece è la “volontà degli utenti” che è forzosamente accordata alle direttive del blog. Purtroppo non ho potuto fare una capture del “prima e dopo”, perché non prevedevo una simile situazione. Penso però che appostandosi di notte su un post “caldo” come questo e facendo capture a ripetizione mentre montano i post contestatari, potrebbe essere possibile “fotografare” il momento in cui lo staff di Casaleggio interviene. Il che, se non erro, permetterebbe di sottolineare la differenza tra democrazia diretta e controllo delle masse. Ve lo dico perché da solo è difficile che ci riesca. Spero che vi interessi. Ciao.
PS. So che anche voi cancellate i post ecc. Ma è diverso perché il blog di Grillo si propone come un veicolo di democrazia diretta e come un rimedio alla mancanza di trasparenza dei partiti, mentre funziona proprio manipolando il voto degli utenti.
Noi blocchiamo preventivamente i commenti dei troll/squadristi. E’ molto diverso. Quel che viene pubblicato, qui rimane.
Aspetta, com’era? Ah, sì: “Keep calm and tifiamo rivolta!”
Appunto.
Ragazzi, bisogna aprire un post “La rivolta”.
Per la prima volta in vita mia ieri sera sono andato sul blog di Grillo, e sono stato fino alle 2 di notte a leggere i post. Confermo, anche se solo come impressione, quanto dice lunobi. Quando rinfrescavo la pagina facevo fatica a ritrovare il post a cui ero rimasto. Non conosco il sito, non riesco a fare analisi sofisticate, ma l’impressione di qualcosa di losco l’ho avuta.
Dopo queste miserie, vengo al sodo: leggendomi tutti i post, ho avuto la netta impressione che sia già scoppiata, la rivolta. Il fenomeno secondo me merita un post dedicato, per l’analisi della rivolta che sta montando nel M5S. Cosa dicono, che istanze portano.
Gliene hanno dette tutte, a Grillo (post alle 23 inoltrate) ad alla Lombardi che era stata mandata in avanscoperta (post subito dopo elezione camera). Tanti ringraziavano e difendevano i 12 senatori. Le avranno cancellate (ora vado a rivederlo), ma io le ho lette…
Si vedevano chiaramente i pattern di pensiero, che sarebbe utile analizzare.
Sotto sotto ho un sospetto: l’avete scritto voi il plot? Un altro grande romanzo? Dalla teoria alla pratica! Detto, fatto! RIVOLTA!
Meglio non si poteva scrivere, non so come ci siate riusciti: il PD che riesce a proporre nomi presentabili, il PDL che presenta l’impresentabile e perdipiù in contrapposizione perfettamente “monodimensionale”: un avvocato e indagato di mafia contro un magistrato antimafia, bello semplice, monodimensionale, che tutti lo possano capire e valutare!
Il teatrino di Monti…
Lo psicodramma collettivo, urla, pianti…
I diktat ottusi, la rivolta delle coscienze…
Lo fanno da un po’ di giorni, una settimana circa da quello che mi sono reso conto io, non hanno più la pezza di appoggio del “segnala commento inappropriato” che era una giustificazione per le cancellazioni e bannature arbitrarie dello staff e a volte il loro dilettantismo dialettico usciva fuori su questa questione: prima avevano fatto girare voce che servissero 5 click di utenti, poi, quando quelli che loro chiamano “troll” provarono che non funzionava in quel modo, se ne uscirono con la storia che il numero di click necessari dipendeva dalla % di visite in un dato momento; fino ad un anno fa poi praticavano la bannatura sistematica delle email, oggi essendo sotto i riflettori devono essere più cauti e gli è rimasta la manipolazione dei voti per costruire e rafforzare la linea politica di Casaleggio
Ieri è stata una giornata agitata per il blog di Grillo.
Il post riportava il nome sbagliato del papa e sbagliata anche la locuzione latina. Poi è stato corretto.
Il mio commento in cui chiedo all’autore del post di fare un’ora al giorno di storia e vergogna (in questo caso per la definizione di piccola ombra la vicinanza alla dittatura argentina) ha avuto un solo commento negativo secondo il quale anche l’elezione di Gesù mi avrebbe portato a fare critiche.
Interessanti sono i commenti negativi rispetto al post ma che si concludono con W5Stelle; come dire ‘hai scritto una cazzata ma non importa’.
Interessante anche un articolo del corriere della sera in cui viene riportato il post di Grillo tranne la parte della dittatura…
Gente, mozione d’ordine:
abbiamo chiuso i commenti sull’altro post perché ormai erano troppi, ingestibili, e la discussione stava degenerando. Inoltre non è che possiamo parlare di Grillo & soci h24. Abbiamo altro da fare e vogliamo fare anche altro. Quindi tempo al tempo, inutile invadere lo spazio commenti di questo post, che parla di altri argomenti.
confermo che tra mezzanotte e l’una sul blog di grillo girava una larga maggioranza di post critici, feroci e contrari al suo delirante post, di attivisti e votanti m5*, (alcuni insultanti grillo e casaleggio, ma da una prospettiva ‘interna’) e tra questi sicuramente i più votati, ho avuto la sensazione di una vera rivolta!
Importante trovare ora, che Bersani e i giovani turchi rivoltano il tavolo (continueranno?), la via efficace di una forte controinformazione. Come recitava uno di loro ‘la ricreazione è finita’, la durezza della politica seria è una prova che non lascia scampo, ne sa qualcosa anche Bersani che ora è davanti al ‘suo’ passo successivo…
Ragazz*, ribadisco anch’io: keep calm.
Certe cose è stato importante dirle prima, in tempi – come suol dirsi – “non sospetti”, mentre un sacco di gente poco lucida, che mai aveva analizzato il fenomeno prima, si svegliava all’improvviso e inneggiava in modo sguaiato a quelli che sembravano i nuovi vincitori, unendosi alla folla assiepata per saltare su quel carro.
Adesso, però, commentare tutto in tempo reale potrebbe avere esiti malsani.
Tempo al tempo. “Sfebbriamo” Giap, nell’ultimo mese abbiamo parlato quasi solo di grillismo. Lasciamo lavorare la vecchia talpa, lasciamola scavare. Andiamo avanti, parliamo delle lotte vere, continuiamo in positivo la nostra agitazione culturale e politica.
Questo thread è dedicato a un libro di Claudio Dionesalvi. I commenti su Grillo sono OT e poco rispettosi di quest’autore.
Tifiamo rivolta. E che sia la rivolta giusta, lungo le giuste linee di frattura.
Pur seguendolo, ed apprezzandolo, da anni, per la prima volta intervengo su Giap. Lo faccio in questa discussione perché credo di poter dare un mio piccolo e disordinato contributo sull’analisi di un mondo, quello delle curve, di cui mi sento parte, frequentandolo in maniera militante da oltre un decennio (a Genova, sponda blucerchiata, tanto per giocare a carte scoperte). Il mondo ultras è un mondo estremamente eterogeneo e denso di contraddizioni; per questo ogni tentativo di ricondurre il movimento ad un fenomeno unitario è, secondo me, vano. Premesso questo, uno spunto di riflessione che credo potrebbe essere interessante su queste pagine, riguarda il conflitto che il mondo ultras ha vissuto (e continua a vivere) con quell’insieme di pratiche commerciali e repressive sintetizzate nella locuzione “calcio moderno”. Un conflitto intenso che ha segnato profondamente l’identità del mondo ultras nell’ultimo quindicennio e che ha, secondo me, fatto da ponte all’esodo di tante ragazze e ragazzi dalle curve verso l’esterno, verso le piazze, che WuMing5 registra nell’articolo. L’offensiva del “calcio moderno” è, a mio parere, un caso emblematico degli sviluppi capitalistici nell’ultimo decennio e si è mossa sostanzialmente su due binari: quello commerciale/consumistico che ha ridotto una passione popolare a prodotto televisivo, a banchetto per gli sponsor, che ha mercificato il modo di vivere lo stadio trasformando il tifoso in cliente, e riconducendo la genuinità del tifo in circuiti consumistici calati dall’alto; e il binario poliziesco/repressivo che ha visto in un decennio un’escalation spaventosa di sistemi di controllo (biglietti nominativi, steward, tornelli, stadi militarizzati, telecamere ovunque, tessere del tifoso) e di repressione (trasferte vietate, daspo, leggi speciali, accanimenti polizieschi e giudiziari). Un’offensiva che ha intrecciato questi due elementi fino a raggiungere il culmine con l’introduzione della tessera del tifoso: un sistema di controllo e insieme un sistema di fidelizzazione, la fusione perfetta dell’aspetto consumistico e di quello repressivo (faccio notare che gli estensori di questo progetto hanno da sempre giocato su questa ambivalenza, così che quando qualcuno attaccava la tessera come progetto consumistico si sentiva rispondere “ma no è un progetto per la sicurezza!”, mentre quando si faceva notare che era un inquietante sistema di profilazione e controllo dai piani alti si rispondeva che era solo “un innocuo progetto di fidelizzazione”). Lo slogan “NO AL CALCIO MODERNO” che ha infiammato le curve di tutta Italia (e non solo) è stata, ed è, una battaglia di resistenza, una battaglia intimamente politica (o che quantomeno ha profondamente politicizzato il mondo ultras), anche se forse il movimento ultras non ne ha mai davvero preso coscienza. E’ stata una battaglia che ha messo a nudo le ambiguità del mondo ultras (insieme alla sua fragilità e alla sua ingenuità politica), e che è stata declinata in maniera multiforme ovunque (anche nelle curve più schierate) fondendo elementi di destra (dalla nostalgia “per il vecchio calcio che non c’è più”, all’insofferenza per “il nostro calcio invaso da sponsor, e calciatori, stranieri”, etc.) con elementi di sinistra (dal rifiuto delle logiche commerciali che annientano l’autorganizzazione dei tifosi, alle contestazioni contro la militarizzazione degli stadi, etc.). In ogni caso una battaglia che ha coinvolto, come forse nessun’altra in questo paese negli ultimi anni, un’enorme massa di giovani in ogni città italiana. Un conflitto che, seppur vissuto in maniera confusa (e attraversato anche da retoriche non certo positive), ha spesso prodotto energie antagoniste che si sono poi riversate nelle piazze giovanili degli ultimi anni. L’articolo fa riferimento al 15 ottobre 2011, io retrodaterei di almeno un annetto: il movimento studentesco del 2010, culminato il 14 dicembre, era già infarcito di giovani ultras che negli stadi avevano sperimentato forme di aggregazione e, dal punto di vista più pratico, situazioni delicate. Personalmente sono convinto che il salto di qualità nella conflittualità espressa dal movimento studentesco del 2010 rispetto a quello del 2008, sia dovuto anche all’irruzione nelle piazze dei ragazzi delle curve, ragazzi che, grazie alla battaglia contro il calcio moderno, avevano maturato le competenze e l’energia per esprimere una conflittualità più decisa e, stavolta (grazie anche alla contaminazione coi movimenti politici propriamente detti e ideologicamente connotati), certamente più consapevole. Dinamiche di questo tipo, su scala maggiore, sono ormai assodate nella realtà delle rivolte nordafricane con gli ultras letteralmente a guidare la piazza in certi frangenti (mi pare se ne sia accennato anche su queste pagine in passato). Insomma la generazione degli anni zero è anche questo. Trovo molto bello che che WuMing5 definisca patrimonio “i modi di aggregazione e il sapere tecnico delle curve”, è un’idea che spesso, anche nei movimenti, manca ed è mancata (non certo qui dove si sono appoggiate belle iniziative come Futbologia). Il mondo ultras, le ragazze e i ragazzi che ne fanno parte, sono una risorsa preziosa per chi “tifa rivolta”. Certamente andrebbe depurato da incrostazioni di vario genere e da frequenti invasioni fasciste, ma si tratta di forme di aggregazione e autorganizzazione che, anche quando non ne sono consapevoli, sottraggono migliaia di ragazzi alle logiche individualistiche del mainstream dominante, alimentando una socialità autentica, genuina, gratuita, dal basso, fatta di tempo passato assieme e di cose fatte assieme, una socialità (soprattutto negli ultimi anni) fatta anche di conflitto contro il potere, una socialità attraverso cui crescere e attraverso cui tentare di cambiare le cose… per non farsi soffocare.
Bel commento, davvero bel commento, lo avrei voluto scrivere io, ma forse mi manca quella partecipazione attiva al mondo ultras, purtroppo rimango sempre un terrone della povera provincia italiana che tifa una squadra “borghese” del nord.
Nel 2008 ti posso assicurare che c’erano già ultras al fianco degli studenti. Me lo ricordo bene, perchè la sera del 13 Novembre partimmo con un treno da Torino per andare alla grande manifestazione a Roma, che era il giorno seguente. Il treno fermava in varie stazioni, compresa Genova, e proprio quella sera c’era l’anticipo di campionato Juve-Genoa…Alla stazione fummo accolti da un sacco di ultras del Genoa, con tanto di striscione, che ci insultavano. Molti di loro salirono sul treno per venire a manifestare, inizialmente scazzati per la sconfitta, mentre gli altri (pochi) rimasero sul binario continuando ad insultare noi torinesi.
Alla fine finì tutto a tarallucci e vino (e altro.. :D).
Io non sono mai stato tifoso, ma quello che mi ha stupito in quell’occasione è stato il fatto che gli insulti non erano urlati con cattiveria…era più che altro goliardia. Infatti poi la cosa è finita subito lì, il giorno dopo eravamo tutti uniti ad urlare contro la Gelmini per le vie della capitale.
Quelli però erano proprio ultras impegnati. Invece mi è capitato, devo dire purtroppo, di ritrovarmi in alcune manifestazioni con ultras apolitici, che venivano soltanto per “attaccarsi con gli sbirri”.
Quindi, anche se non ho mai frequentato direttamente le curve, posso dire che condivido la tua frase ” Il mondo ultras è un mondo estremamente eterogeneo e denso di contraddizioni;”
Ultima cosa: forse una battaglia che adesso potrebbe unire ultras e sinistra radicale è quella dei numeri identificativi per i poliziotti, ma anche l’introduzione del reato di tortura.
Beh non volevo mica dire che prima del 2010 non ci fossero ragazzi attivi sia nei movimenti sia nelle curve, è evidente che ci fossero (e non solo nelle curve esplicitamente politicizzate!). Semplicemente riflettevo sul fatto che il mondo ultras ha, negli ultimi anni, sviluppato un atteggiamento più politico. Il moltiplicarsi di pratiche repressive e limitazioni di ogni genere, ha attivato una vera e propria lotta politica, sebbene condotta in maniera confusa, e talvolta addirittura senza che chi la stava combattendo si rendesse conto che stava conducendo delle battaglie politiche, intimamente politiche (battaglie che spesso, partendo dalla futilità del calcio, hanno messo in gioco temi fondamentali). Questo, secondo me, ha, rispetto al passato, prodotto una contiguità più marcata con altri movimenti che conducono lotte politiche e ha reso più frequente un travaso di energie e competenze.
Ribadisco, e sottolineo, l’estrema eterogeneità del mondo ultras: io parlo di realtà del mondo ultras sostanzialmente sane, certo con i loro lati oscuri, ma che esprimono una socialità compatibile (e contigua) con quella dei movimenti antagonisti; mi rendo conto che esistano anche altre realtà dello stesso mondo ultras in cui le cose sono, ahimè, molto diverse, realtà in cui le infiltrazioni fasciste e soprattutto criminali sono dominanti e per le quali certamente la mia riflessione non vale.
Sulle convergenze sulle singole questioni, certamente i numeri identificativi per le forze dell’ordine sono un terreno comune; personalmente però credo che dovrebbero essere i movimenti a prendere sul serio certe battaglie che gli ultras conducono da anni e che sempre più dagli stadi si trasferiscono al mondo esterno: dal daspo proposto ora anche per i cortei, all’arresto in differita, dagli striscioni autorizzati, a certe limitazioni territoriali, da certi sistemi di profilazione di cui la tessera del tifoso è prototipo e che qualcuno vorrebbe estendere ai manifestanti, alla logica emergenziale che produce “leggi speciali”, etc.). “Leggi speciali: oggi per gli ultrà, domani in tutta la città” era un, tristemente profetico, striscione che comparve in molte città oltre una decina di anni fa: oggi tutti sono costretti a prendere atto della verità contenuta in quella frase, ma fino a qualche anno fa in pochissimi la prendevano sul serio. Insomma più che avvicinamenti strategici su singole questioni, sarebbe bello vedere delle convergenze strutturali: questo davvero potrebbe “politicizzare” in maniera sana le curve e, soprattutto, alimentare di energie fresche (e cazzute!) la sinistra movimentista.
Ciao, leggo Giap da tanto ma è la prima volta che scrivo, spesso altri argomentano molto meglio di me cose che potrei dire.
Nello specifico intervengo perchè condivido in larga parte l’analisi nel commento di Ale…, non sono sicuro però che le pratiche più conflittuali portate nelle strade dai movimenti siano “made in ultras” per capirci. Parlo per esperienza diretta ovviamente, non parlo di ciò che succede in tutta Italia ma nello specifico della mia realtà (proprio Genova) dove è vero che tantissimi ragazzi che fanno politica, militanza e movimento frequentano anche le curve, ma la maggior parte ha subito la repressione dello stato per motivi politici e non calcistici, anche perchè negli ultimi anni il conflitto allo stadio è avvenuto sempre più di rado e ha coinvolto sempre meno persone.
Per concludere direi che la contaminazione tra le due realtà è reciproca e grosso modo uguale nella misura (considerando che all’inizio della storia ultras furono le piazze a influenzare linguaggio, slogan e pratiche)
Grazie per lo spazio e scusate la scrittura un po’ farraginosa ma non sono abituato :)
PS: @MarCa: quel treno l’ho preso anch’io (da Genova) e posso assicurarti che era davvero solo goliardia, infatti è stato un viaggio fantastico. A onor del vero però non ricordo nessuno striscione ultras esposto in stazione, solo lo striscione in dialetto (sutta a chi tucca) che però non c’entra niente con lo stadio.
Ah, allora per lo striscione ho frainteso io.
Se non ricordo male era pure rosso-blu, ma devo ammettere che i miei ricordi potrebbero non essere molto attendibili, perchè il viaggio è stato veramente fantastico :-D
Comunque sì, abbiamo legato subito con voi genovesi!
Siccome siamo un po’ OT colgo l’occasione per fare nuovi complimenti al collettivo: con i vostri libri, impegni vari, ma anche con questa splendida piattaforma che è Giap, vi state veramente mostrando come “nazional-popolari” nell’accezione gramsciana del termine.
L’Italia ha bisogno di intellettuali come voi :-)
Leggendo i commenti non so perché mi è venuto in mente ciò che scrisse l’infimo adinolfi sul suo blog in occasione della dipartita di Valerio Marchi cercando di infamarlo in tutti i modi.
Poi ho riflettuto, mi sono ricordato di tante cose ed ho capito.
Valerio era innamorato delle curve così come si era innamorato degli skinheads (dopo i 40 anni, mica da ragazzino!), passavi alla libreria e magari lo potevi trovare che parlava con uno dei boys che avevano la sede a pochi metri, scommetto che non disdegnava di parlare nemmeno con guido zappavigna (che per me era quasi il demonio), Valerio parlava con tutti (un mio caro amico lo nominava solo come “the preacher”); in questo suo parlare, cercare di comprendere e studiare le ragioni del dissenso, della ribellione, della violenza, dell’antagonismo al di là dell’etichetta politica dava fastidio, la cosa divertente è che dava fastidio solo a destra, perché nei suoi discorsi riusciva sempre a portare in primo piano il vissuto di classe o di generazione ed a mettere in crisi i meccanismi identitari e gerachici dei fasci.
In questo “il derby del bambino morto” è un piccolo capolavoro.
Concludendo, i rapporti tra curva e classe, tra curva e “società”, tra curva e politica sono più fluidi, mutevoli e meticci di quanto si vuole crede correntemente, sta a noi cogliere (e sfruttare) le potenzialità rivoluzionarie.