[Il primo giugno scorso, Wu Ming 2 ha presentato al Festival della Viandanza di Monteriggioni il progetto del Sentiero Luminoso da Bologna a Milano. Per l’occasione, ha scritto anche un articolo che rilancia e sintetizza molte nostre riflessioni sul tempo, l’utopia e il cammino. Il pezzo è stato pubblicato su L’Unità del 31 maggio. Lo riportiamo qui sotto. A seguire: aggiornamenti, proposte e notizie sul Sentiero Luminoso. Buona Lettura.]
Movimento lento.
di Wu Ming 2
Se inserite in un motore di ricerca la parola “lentezza”, il risultato è una lista di siti che propongono di vivere, viaggiare, lavorare, mangiare fuori tempo rispetto ai ritmi incalzanti della quotidianità. Dietro questa comune rivendicazione, però, si nascondono e spesso si mescolano due visioni del tutto differenti. Da una parte, quella di chi vuole ritardare l’arrivo del futuro e quindi considera la lentezza come una sorta di macchina del tempo, capace di riportare in vita gli aspetti più sani di un passato ormai perduto. Dall’altra, quella di chi ritiene che nessun cambiamento reale, e dunque nessun futuro vivibile, possa prodursi senza una rottura del tempo.
Credo che l’approccio più utile e fecondo al tema della lentezza, consista nel sottolineare questa seconda prospettiva, evitando di farsi contagiare dalla prima. I bei tempi andati in cui la vita seguiva un altro ritmo erano infatti tempi di schiavitù, di mortalità infantile, di piccole città stato sempre in lotta tra loro, di donne confinate in casa, di lavoratori senza diritti. In poche parole: erano bei tempi, forse, soltanto per un pugno di privilegiati che se li potevano permettere.
Se l’apologia del passato suona reazionaria e stucchevole, non sempre le cose vanno meglio con l’evocazione del futuro. Il più delle volte finiamo per raccontarcelo come una semplice proiezione del presente, dritta davanti a noi a distanza di tempo, ovvero come un presente invecchiato, che di conseguenza non scalda il cuore a nessuno.
Le continue, frenetiche innovazioni tecnologiche ci danno l’impressione di un mondo che cambia a ritmi velocissimi, anche se spesso quelle innovazioni non sono altro che obsolescenza programmata, merci pensate per diventare vecchie prima di consumarsi, così da alimentare un paradossale “consumo senza consumo”. Il classico cambiamento che non cambia nulla e anzi riproduce il sistema di cui è figlio, il solito tran tran. In questo senso la frenesia è davvero il contrario dell’utopia. Perché chi si lascia incalzare dal presente è incapace di pensare il futuro, se non come “presente invecchiato”, presente spruzzato di morte. La lentezza invece dovrebbe essere soprattutto questo: darsi il tempo di desiderare un altro tempo, un altro stato di cose, diverso da quello presente. Si potrebbe dire che essa è necessaria come impulso utopico, ma non è sufficiente come programma. Anzi, spesso è proprio nel passaggio della lentezza da impulso a programma, da stimolo per pensare un mondo nuovo a chiave di volta per costruirlo, che nasce la confusione tra i due approcci di cui sopra.
Il capitalismo si è imposto come sistema produttivo imponendo sulla vita un unico tempo: quello del lavoro. La diffusione degli orologi ha sancito questa distruzione della crono-diversità: il tempo del pasto diventa la pausa-pranzo di un’ora, il tempo di una pisciata in fabbrica viene quantificato, il tempo libero è dalle-alle.
Non contento, nella sua fase più tardiva il capitalismo si è mangiato anche lo spazio: ormai siamo tutti dentro la globalizzazione, in cerca appunto di spazi alternativi, liberati, utopici. Ma non basta liberare lo spazio, se il tempo rimane schiavo. Occorre creare una doppia discontinuità: nel tempo e nello spazio. Non a caso, uno dei movimenti alternativi più interessanti degli ultimi vent’anni – i NoTav della Val di Susa – proprio su questa doppia articolazione hanno costruito il loro successo. Radicamento sul territorio, presidi, marce, luoghi simbolici (cioè un altro spazio) insieme al rifiuto delle scadenze imposte dai cantieri, con vent’anni di mobilitazione ad libitum, pazienza, racconto, critica, riscoperta della Storia (cioè un altro tempo).
E’ chiaro che l’importanza di queste due variabili dipende dal fatto che la nostra stessa vita si svolge nello spazio-tempo e sarebbe impensabile all’infuori di esso. Tuttavia, c’è una particolare attività nella quale queste due dimensioni della nostra esistenza sono coinvolte in maniera molto evidente: il movimento. Attraversare un certo spazio in un certo tempo. Per questo credo che il movimento lento – camminare, pedalare – sia l’esperienza che più di ogni altra può trasmetterci l’impulso utopico a desiderare un altro futuro. Abbiamo bisogno di prendere coscienza della nostra frenesia e di quello che essa ci fa perdere e ci occulta. Ma per farlo dovremmo riuscire a guardarci da fuori, e questo non è affatto facile, se rimaniamo immersi nel byt, la parola che in russo indica la quotidianità. Se vogliamo immaginare un beat diverso – un altro ritmo e un altro tempo – dobbiamo prenderci una pausa dal byt. Camminare può essere questa pausa. Soprattutto: camminare attraverso spazi che ormai sono pensati per altri tempi, per altre velocità. Andare a piedi da Bologna a Firenze, il “collo di bottiglia” d’Italia, dove si concentrano due autostrade, tre statali, quattro linee ferroviarie. Costruire un sentiero da Bologna a Milano – come stiamo cercando di fare sul nostro blog – per imparare a leggere il paesaggio di quella Grande Pianura che ormai consideriamo tabula rasa, buona giusto come piedistallo per capannoni, outlet in forma di villaggio, villette a schiera e infrastrutture. Perché camminare, – immergersi nel territorio senza la mediazione di un finestrino, liberi di guardarsi intorno, privi di ostacoli da evitare al volo, – ci consente soprattutto di rallentare e approfondire lo sguardo. Di capire che il futuro è davanti a noi, ma non lo si raggiunge correndo in linea retta. Occorre scartare, deviare, scoprire passaggi sghembi e segreti, come un viandante che cerca il suo sentiero, perché sa che esiste, magari nascosto, e per questo in tanti lo chiamano utopia.
***
Il Festival della Viandanza è stato una grande occasione di incontro e di confronto sul progetto del Sentiero Luminoso. Ne sono nati suggerimenti, proposte, consigli di viaggio che sommati ai commenti raccolti su Giap e alle mail piovute in queste settimane, formano già un tesoro prezioso.
Massimo Montanari della Compagnia dei Cammini mi ha proposto di partire da Bologna con una squadra di asini – nel senso stretto di Equus Asinus – e di raggiungere con la medesima l’elegante Piazza Duomo. Alberto Conte di Itineraria mi ha spalancato il mondo delle tecnologie GPS e di strumenti come MapSlow e Land. Roberta Ferraris mi ha messo a disposizione gli articoli di Airone e NoLimits (1997) sul suo viaggio a piedi da Milano a Bologna (e poi Roma, insieme a Riccardo Carnovalini). Valentina Scaglia mi ha indicato luoghi imprevisti dove attraversare il Po e scampoli di antiche foreste in mezzo ai campi di mais.
Nel frattempo, per vie telematiche, il solito Simone Franchino mi ha messo in contatto con i NoTav di pianura, mentre Matteo Toller preparava un tumblelog dedicato al progetto e che aprirà le porte a settembre. Andrea Mainardi si è offerto di farmi da guida tra i cippi partigiani nella zona di Correggio, Francesco di Spazi Indecisi ha cominciato a segnalarmi edifici abbandonati e archeologie industriali. Claudio Madella (aka Clettox) mi ha segnalato la lotta per il Pagiannunz di Abbiategrasso, Paolo Menzani di Transitum Padii mi ha promesso percorsi alternativi tra Parma e Piacenza e poi oltre il Grande Fiume…
Tutto questo per dire che:
1) L’elaborazione del percorso richiederà più tempo del previsto e la partenza è fissata per la tarda primavera del 2014.
2) Come suggerito da Vecio Baeordo, ho deciso di delimitare lo spazio all’interno del quale individuare il Sentiero Luminoso, altrimenti la raccolta di info e suggerimenti diventa ingestibile. Poiché il progetto ha come nucleo fondamentale la coppia di opposti velocità/lentezza e in particolare il tracciato AV tra Bologna e Milano, ho stabilito di considerare due linee guida: 1) Il tragitto del TAV – inteso come fascia, larga 4 km, 2 da una parte e due dall’altra; 2) Il percorso geometricamente più breve tra le due città, ovvero la retta che le congiunge (ma poiché le città non sono punti sul piano, si tratta in realtà di due rette: una che unisce il punto più a Nord della Tangenziale di Milano con il rispettivo punto più a Nord di quella di Bologna, e l’altra che fa lo stesso con i punti più a Sud. Combinando queste tre linee si ottengono i confini del territorio che attraverserò in cammino.
A settembre, sull’apposito tumblelog, forniremo le coordinate precise e gli strumenti per visualizzare il percorso. Al momento, giusto per stimolare ulteriori consigli, diciamo che l’area d’interesse è delimitata a Nord da Nonantola, Novellara, Casalmaggiore, Crema, Melzo e a Sud da Modena, Parma, Piacenza, Somaglia, Rozzano.
Rimane un dubbio: la “fascia” ferroviaria di 4 km è stabilita in maniera arbitraria. L’idea sarebbe quella di considerare un territorio che “sente” la presenza della linea AV, ad esempio come impatto visivo. Non sono però riuscito a trovare valutazioni precise sull’ampiezza di questo tipo di impatto. Anche perché il tracciato AV non è sempre uguale: a volte passa su viadotti alti 12 metri, altre volte è solo “in rilevato” e nel caso del ponte sul Po è sorretto da due torri di 60 metri… Qualcuno ha un criterio da suggerire?
Altra domanda: qualcuno sa dirmi se la diga sul Po che si trova a Isola Serafini – con annessa conca malfunzionante – è transitabile a piedi?
***
Sempre a proposito di storie e di sentieri, ricordiamo che anche quest’anno WM2 accompagnerà un piccolo gruppo di vaindanti lungo la Via degli Dei, da Bologna a Firenze, in collaborazione con la Compagnia dei Cammini. Si parte il 5 settembre e si ritorna il 10. Qui per info e prenotazioni.
Ogni luogo ha la sua croce: a Melzo e nei suoi dintorni sud c’è il progetto di costruzione della tangenziale Est -Esterna e quindi ti segnalo il blog del comitato No-TEM che potrebbe essere un interlocutore interessante per la parte finale del percorso… sempre che tu non sia già in contatto ;)
http://notemsimetro.wordpress.com/
Per il resto… devo trovare un modo per dare una mano, questo progetto è fantastico ;)
Grazie del suggerimento. Ho controllato su OpenStreetMap il tracciato della TEM e di sicuro il Sentiero Luminoso lo dovrà attraversare. Quindi ci sarà modo di parlarne e magari di incontrare qualcuno del comitato.
Good news da San Francisco,guys: Altai è in bella vista nella vetrina di Citylights!! Ed è fra i pochi libri di autori italiani insieme a Pasolini…be’, complimenti e benarrivati nel tempio dei banned books! Molt probabilmente lo sapevate già, ma non si sa mai… Scusate l’intromissione nel discorso,ma spero la notizia sia ricevuta con piacere
Resto sempre colpito nonostante le distanze da come tutto finisca sulla stessa strada.
l’idea è meravigliosa.
io sono appena tornato da Santiago e le idee NO Tav si sono dimostrate tragicamente attuali anche a quelle latitudini.
http://storify.com/scriptavolant/caminando
Mi chiedevo perché la scelta del nome Sentiero Luminoso. A me tornano in mente i termini Perù, Guzman, Michael Campbell-Johnson e molto altro. Una storia (una fra le tante) che mi ha da sempre affascinato, incuriosito e spaventato a un tempo.Una di quelle che nessuno ha mai raccontato per bene, una delle tante. Ecco, ero curioso.
Sendero Luminoso c’entra in maniera piuttosto sghemba. Una ventina d’anni fa, con alcuni amici, iniziammo a cercare sentieri per andare a piedi da una città all’altra, o da Bologna al mare, là dove di sentieri segnati col biancorosso non ce n’erano proprio. Chiamavamo quella pratica “sentierismo militante”, e per pura assonanza con la formazione maoista peruviana, ci definivamo “senderisti”. Oggi, riprendendo quell’antica mania in chiave narrativa, mi è venuto naturale pensare a un “Sentiero Luminoso” da Bologna a Milano, ma il collegamento politico con l’omonimo gruppo è ben più che vago…
Rendo noto anche qui il magnifico suggerimento che mi è arrivato via mail da un giapster di Crema: la “Strada Regina” da Cremona a Milano, una strada romana di probabile epoca imperiale. Io ne ignoravo l’esistenza, ma l’aspetto più affascinante è che a testimoniare l’antico tracciato ci sono solo pochissime basole della pavimentazione originaria, mentre ci sono chilometri di rogge, siepi, canali, confini comunali, limiti di poderi, filari di alberi che visti su una mappa al 10mila, o anche solo su una foto satellitare, risultano perfettamente allineati, tirati con il righello com’era tipico delle strade romane. Insomma il paesaggio ha una sua memoria millenaria, conserva e custodisce storie e solo se impariamo a leggerlo possiamo disseppellirle.
Ciao!
Vedo con molto piacere che stai applicando al percorso il darsi dei limiti. È vero che l’ho scritto io, ma scrivendolo pensavo a come voi fate i libri, quindi tutto torna :-)
A proposito del dubbio sulla fascia ferroviaria collego un ricordo di parecchi anni fa, quando in Francia stavano costruendo le prime linee TGV, con quello che hai scritto: considerare un territorio che “sente” la presenza della linea AV.
Sentire può benissimo essere inteso nel senso di “udire”. Se non ricordo male il TGV veniva costruito entro una fascia disabitata di 1 km per lato proprio a causa del rumore (la cosa è da verificare meglio, ma ha un senso). Penso che questo dato possa essere un limite *in negativo* per il sentiero: evitare cioè, per quanto possibile, di avvicinarsi alla linea a *meno* di quel chilometro anche a costo di allargare la fascia, secondo me.
Il camminare dev’essere anche piacevole, passare troppo vicino al treno diventa una tortura; mi ricorderebbe troppo certe valli dalle mie parti dove sono state costruite senza criterio e spesso inutilmente strade bianche interpoderali uccidendo la viabilità pedonale invece di ripristinarla, e poi sono stati considerati “sentieri segnati”, con tanto di tacche biancorosse e numerazione dell’apposito catasto, percorsi che costringono senza possibile alternativa a percorrere chilometri superflui di terreni e pendenze adatte alle ruote e non agli scarponi.
p.s. mi sarebbe piaciuto molto la Via degli Dei a settembre, ci ho anche pensato, ma per quest’anno non ce la farò. Spero che ogni tanto ripeterai la formula :-)
Mi scuserete per l’OT ma approfitto di una ley-line in questo sentiero perche’ ho intravisto il nick di Vecio Baeordo.
Vecio, ho appena letto il tuo racconto su Tifiamo Asteroide (vi partecipo anche io) e volevo sinceramente farti i miei complimenti. Chapeau!
P.s.
Teniamoci in contatto.
Beh, se il problema della “tortura” è il rumore, posso assicurare che quei maledetti aggeggi (che si ama per lo più, ma guarda un po’, colorare di rosso) sono straordinariamente silenziosi: anche viaggiando a piena velocità emettono solo una specie di grande fruscio (a pochi metri la senzazione sonora, non il suono, è simile a quando un colpo di vento ti si avvicina nella vegetazione, solo con una netta componente artificiale: l’altro giorno uno di quei cosi mi ha preso alle spalle mentre ero in bicicletta su una strada bianca, completamente soprappensiero, mi è passato ad una decina di metri o poco più, e ho vissuto, prima di riuscire a razionalizzare quel che stava succedendo, un istante di vero terrore, non capivo cosa mi stava piombando addosso).
La tortura che si prova, per quanto mi riguarda, è un’altra, anzi sono due: la prima è l’infrastruttura in sé, piloni in cemento, muri in cemento, massicciata, etc. che si portano dietro lo squallore del degrado di periferia (anche nel mezzo del nulla dei campi di mais e sorgo ci sono i graffittari, del genere che non ha niente da dire, e lo dice pure male), mentre i treni in realtà non sono brutti in senso stretto, hanno linee morbide e colori vivaci, vien voglia di giocarci.
La seconda “tortura” è legata alla totale alienità fra te e loro, quelli sul treno, che ti passano vicino e neanche ti vedono, che ti vien voglia di salutare col dito medio, come quando un centauro coglione ti supera a centocinquanta su una strada di campagna dove sicuro non c’è l’autovelox, che poi ti viene da pensare che in realtà anche loro, quelli sul treno, si staranno spostando per necessità o divertimento, come te, e l’alta velocità è molto comoda (lo dice mia cugina, che si muove molto per lavoro, e dal centro di Bologna arriva al centro di Milano/Roma/Napoli senza taxi, autobus o treni navetta), e se mi servisse li prenderei anch’io quei giocattoli colorati, che in fondo forse è pure divertente, a me è sempre piaciuto viaggiare in treno… Poi parlami di schizofrenia….
Insomma, mi sento deficiente ad avercela con un treno, ma lui mi ruba un pezzo di terra, lui e tutti i sui amici superstrade, e tangenziali, e autostrade, e trasversali, e cis-qualcosa, e centri commerciali, e parcheggi, e, e, e (che poi uso anch’io nella vita di tutti i giorni, ché sono così comodi). Ma nella vita vera, o io, o loro!
Per questo, per me, allontanarsi/fuggire (porre una distanza minima) dal treno, è lasciargli una parte del nostro territorio, dargliela vinta: intrecciare il tuo viaggio lento con quello del supertrenodellaferroviaadaltavelocità, e duellare con… e ballare con…. e maledire quel…. coso, è un modo anche per rivendicare un’appartenenza al popolo che ha il culo in strada, un modo per tenere sotto controllo l’appartenenza al popolo dei centri commerciali, delle autostrade, delle multisale, e del supertrenodellaferroviaadaltavelocità.
Che poi, se stai andando da un’altra parte o ti sei stufato di averci la bava dei lumaconi Italo o Freccia Rossa davanti al naso (o di fianco allo stesso), puoi sempre girare i tacchi o il manubrio, e prendere un nuova strada.