WM4 recensisce il romanzo di Kader Abdolah Il messaggero, Iperborea, € 17,00
Da un punto di vista a-confessionale le religioni sono un fatto storico, culturale. Sono portatrici di un messaggio definito dal corso degli eventi e dalle forze storiche che mettono in movimento, messaggio che anche quando viene canonizzato in un solo testo sacro rimane soggetto a diverse interpretazioni. L’Islam non fa eccezione, naturalmente, e tuttavia la vulgata mediatica e politica occidentale preferisce presentarlo come una religione afflitta ab origine da tare congenite, quindi immutabili. Potrebbe anche bastare questa considerazione a riconoscere l’importanza di un romanzo come Il Messaggero, cioè il romanzo della vita di Muhammad, profeta dell’Islam.
L’autore, Kader Abdolah, iraniano di formazione marxista, ha osteggiato tanto il regime dello Scià quanto quello khomeinista, al punto da dover lasciare il proprio paese. Dal 1983 vive in Olanda e oggi è uno dei più noti scrittori in lingua olandese. Ma al di là della biografia politicamente corretta dell’autore, i meriti del romanzo non sono solo culturali, bensì prima di tutto narrativi.
L’espediente efficace è l’adozione dell’io narrante di Zayd ibn Thalith, trascrittore del Corano e fedele servitore, nonché figlio adottivo, di Muhammad, che dopo la morte del profeta decide di scriverne la biografia. La biografia dell’uomo, prima che del messaggero di Allah, senza trascurare le debolezze, gli espedienti, i retroscena anche scomodi della sua grande impresa. Zayd lo fa attingendo non solo alla propria memoria – consapevole di come la vicinanza in una vita spesa all’ombra del grand’uomo non sia affatto sufficiente a raccontarlo in tutte le sue sfaccettature -, ma soprattutto andando a intervistare le persone che gli sono state accanto nella grande avventura di cambiare il mondo. Ne esce il racconto polifonico di una rivoluzione. Perché questo ha fatto Muhammad: una rivoluzione, e come tale Zayd ce la racconta. Ci descrive l’Arabia pagana e ci fa capire quale clamorosa trasformazione venne innescata, in pieno Medioevo, nel giro di una sola generazione. Ci racconta di come un mercante semianalfabeta, con l’aiuto di un pugno di uomini e donne, scatenò il più grande rivolgimento culturale dopo l’avvento del cristianesimo. Rivolgimento che fu anche sociale, politico, e letterario. Nel romanzo c’è una riflessione profonda sul potere della parola, parlata prima ancora che scritta, e sul linguaggio poetico che può ispirare una nuova visione delle cose (“Voleva scatenare una rivoluzione. E aveva compiuto un’impresa inaudita nella lingua araba”). Così ci viene presentato Muhammad, come un poeta, a prescindere dalla fede nutrita nella sua ispirazione divina. “Mentiva, mentiva in un modo incredibile. E credeva alle sue bugie. Forse mentire non è la parola esatta: immaginava. Sosteneva che i testi del Corano gli fossero stati rivelati, mentre li inventava tutti lui. Da solo. Nella sua testa, e io adoravo la sua fantasia”.
Questa qualità immaginativa dà avvio a un movimento che avviene prima di tutto nella lingua, cambiando il senso alle parole, inventando neologismi poetici e tautologie, infine coniando un nuovo soggetto della storia.
Come Paolo di Tarso prima di lui, fondatore dell’altra grande religione universalista, Muhammad sceglie di rivolgersi agli schiavi e alle donne proclamando l’eguaglianza di tutti gli esseri umani davanti a Dio, senza distinzioni di classe, etnia o genere. E come Gesù di Nazareth entra in conflitto con i ricchi mercanti, chiamando in causa gli strati più umili della società.
“…Si rivolse agli schiavi e alle donne. Fu una mossa brillante. Perché nessuno nella nostra storia aveva mai fatto conto sulle donne. Di punto in bianco come per magia, Muhammad si ritrovò con un esercito molto potente. Un esercito di schiavi, poveri e donne che lui chiamò ‘l’esercito di Allah’.”
Le donne, nell’Arabia pre-islamica “tra le mura di casa e nelle tende venivano trattate come cani”. Le figlie femmine venivano uccise, perché improduttive e scomode.
“Muhammad predicava: ‘Basta! Basta umiliare le donne! Il paradiso è ai piedi della madri!’… Le donne erediteranno la metà di ciò che spetta agli uomini. (Gli uomini erano sgomenti. Le donne, che non avevano mai ereditato niente, avevano tutt’a un tratto diritto ai loro beni)”.
Mentre ci racconta di questo radicale mutamento di prospettiva, Zayd/Abdolah non fa sconti all’umana natura di Muhammad, presentandocelo come tutt’altro che ascetico, proprio quando si tratta di amare le donne – tante: spose, schiave e non solo – e facendo risalire alle complesse beghe coniugali del profeta l’introduzione del velo femminile. Sono i rischi della reductio ad unum laddove l’Uno passa per l’inevitabile umana contraddizione del Suo unico profeta. Abdolah individua così la radice del paradosso islamico per antonomasia ai nostri occhi occidentali: proclamando la pari dignità della donna, Muhammad pretenderà di difenderla prescrivendo la sottrazione della donna stessa allo sguardo degli estranei, cioè imponendole una parziale invisibilità. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore… e dalle tentazioni. E’ il paradigma di ciò che accade piano piano nello spazio liberato dall’Islam: al vecchio ordine se ne sostituisce uno nuovo, che mentre si nutre di versetti poetici fustiga i poeti sulla pubblica piazza. E’ il racconto di questa nemesi, o se si preferisce, della dialettica tra rivoluzione e controrivoluzione interna a ogni forzatura teleologica della storia, ad animare le pagine del romanzo. La crescita del movimento intorno alla figura di Muhammad va di pari passo alla sua crescita carismatica personale, da predicatore sballato a scaltro capo politico, da succube del proprio spleen visionario a messaggero egemone e spregiudicato della parola divina. Al suo fianco si trova un pugno di amici e seguaci, semplici mercanti che diventano capi militari e attivisti religiosi: Abu Bakr, Omar, Uthman, Ali (i futuri califfi, guide dei fedeli, dopo la morte del profeta). Abdolah/Zayd narra la loro lotta come quella di un movimento politico rivoluzionario, fatta di mosse e contromosse, inganni, menzogne, battaglie, ricerca illecita di fondi (eufemisticamente definita “rapina santa”), eredità raccolte e rimesse in gioco. Una cavalcata epica, tra luci e ombre, che va dalla testimonianza passiva delle origini alla persecuzione, dalla clandestinità alla guerra aperta, dal compromesso con gli altri due monoteismi in funzione antipagana alla rottura della convivenza, fino alla vittoria e alla fondazione di nuove istituzioni.
Tuttavia Abdolah è attento a raccontarci il passaggio dalla poesia al potere senza manicheismo e senza mettere in discussione la forza positiva di ogni progetto di trasformazione radicale del mondo, capace di lasciare il proprio segno nella storia. Ciò che emerge dalle pagine del romanzo è al fondo la consapevolezza che una selezione netta tra parte buona e cattiva di un evento storico di portata epocale è solo un tentativo banale di eludere il complesso divenire delle cose umane, che invece solo come tale può essere indagato e narrato.
E’ questo il punto di forza dello sguardo di Zayd. Uno sguardo a prescindere dal divino, in grado di guardare alle cose senza pagare pegno ad alcuna verità rivelata:
“Muhammad l’ha fatto per Lui. Ma io per lui.”
Lo slittamento dall’iniziale maiuscola alla minuscola, alla fine della cronaca, sembra contenere la chiave dell’intero romanzo: la fondazione di un nuovo discorso operata da un poeta demiurgo rende possibile, a coloro che sappiano porsi in relazione con la sua figura storica, di realizzare se stessi e il proprio particolarissimo destino, nello spazio che costui ha saputo aprire. Questa potenzialità irriducibile, al netto di qualunque trascendenza, reitera eternamente e universalmente il messaggio disvelato.
E’ la convinzione che Zayd porta con sé nella tomba, dove giacerà felice, perché “ha svolto bene il suo compito”, e che suona come una nota limpida nel chiasso conformato che ci circonda.
Recensioni equilibrate come queste sono validi antidoti alle esegesi forzate, strumentali (oramai corollari scontati e prevedibili) dei recenti episodi di cronaca. Il tempismo di questo post può essere efficace.
Per come ne parli, sembra un romanzo scritto da voi.
Bè, se uno degli scopi di una recensione è quello di invogliare alla lettura del libro in questione, questa ci è riuscita alla grande, almeno con me :-)
Fra l’altro, la casa editrice “Marietti 1820” pubblicò una decina di anni fa un libro intitolato “Cento domande sull’Islam”.
Mi ricordo che una cosa che mi colpì molto leggendolo era che vi si raccontava la differenza sostanziale di come un musulmano percepisce il testo fondativo della sua religione rispetto ad un cristiano.
Nel caso dei vangeli, cioè, si “accetta” una certa qual opera di redazione da parte dello scrittore: è un testo ispirato da un influsso divino ma pur sempre elaborato, in ultima istanza, da un uomo. Nel caso del Corano, invece, lo scrittore funge da semplice canale, strumento, mezzo di comunicazione, praticamente scrive un dettato. Parole Definitive. Vado a memoria, dunque vedo se riesco a ritrovare il libro e a riportare la citazione corretta perché credo che sia interessante.
@ Sir Robin,
Vero, sono due diverse concezioni del testo sacro. Per invogliarti ancora di più a leggere il romanzo di Abdolah ti dirò che inizia proprio così, con la definizione del testo “vero” per accumulo di fonti variegate, e la distruzione di tutto quello che avanza (cioè quello che entrerebbe in contraddizione con quanto già acquisito). Ma soprattutto è un testo che va componendosi nel corso della vita di Muhammad e viene definitivamente redatto dopo la sua morte, dai suoi seguaci. Quindi storicamente qualcuno un ordine testuale ha pur dovuto imporlo. A questo si aggiunge la lettura dei comportamenti del profeta e dei suoi seguaci come atti a carattere normativo (la Sunna) che in quanto tale non può non essere anch’essa storicamente ridefinita. Non è il caso di dimenticare che la principale divisione religiosa all’interno dell’Islam, quella tra sunniti e sciiti, tra le altre cose si basa anche su quali e quante fonti siano state tramandate in modo giusto e secondo la giusta linea dinastica o versione originale.
La morale della favola, sulla quale Abdolah imposta il suo romanzo è che per quanto un testo possa essere considerato verbo divino non mediato, nel momento in cui precipita nella storia è inevitabilmente soggetto alle interpretazioni umane.
Eccola:
“Quello della rivelazione coranica è, infatti, un dogma essenziale per il musulmano. Nella rivelazione cristiana il redattore del testo sacro è allo stesso tempo co-autore con Dio e scrive sotto l’influsso dello Spirito Santo. Si parla quindi per la Bibbia di “ispirazione”. Quando un cristiano apre il Vangelo, legge: Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo, Marco, Luca o Giovanni. Questo secondo è essenziale e lo stile dell’uno e dell’altro evangelista è ben riconoscibile. Nell’islam le cose non stanno così: il Corano non è considerato soltanto un testo rivelato bensì munzal, disceso, su Maometto. Il testo sarebbe semplicemente la trascrizione letterale di un Corano “increato” che si trova da sempre presso Dio e che è “disceso” sotto la forma di un Corano storico.
Appoggiandosi su alcuni versetti la tradizione musulmana suggerisce che questa “discesa” sia avvenuta in blocco nel momento della chiamata profetica di Maometto, chiamata la Notte del Destino. Dice il Corano: «In verità lo rivelammo nella Notte del Destino. Cos’è la Notte del Destino? La Notte del Destino è più bella di mille mesi. Vi scendono gli angeli e lo Spirito, col permesso di Dio, a fissare ogni cosa. Notte di pace fino allo spuntar dell’aurora». Un altro riferimento si trova nei primi versetti della sura del Fumo (XLIV): «Hā mīm. Per il Libro Chiarissimo! In verità Noi l’abbiamo rivelato in una notte benedetta perché sia monito agli uomini. In quella notte è dispensato ogni ordine saggio».
I musulmani sostengono quindi che in quella notte il Corano, che fino a quel momento stava in Cielo “preservato su tavole pure”, sia stato letteralmente “fatto scendere” su Maometto che in seguito lo ha comunicato ai suoi fedeli “a pezzi”, secondo le circostanze. Non si tratta quindi di una creazione di Maometto che è semplicemente il “ri-trasmettitore” materiale di un testo che gli viene “dettato” da Dio tramite l’arcangelo Gabriele.”
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A parlare qui è tale Samir Khalil Samir, non musulmano bensì gesuita, egiziano con passaporto italiano, in qualità di esperto. Il libro, del resto, non è altro che una lunghissima intervista, appunto “Cento domande sull’Islam”.
Vorrei anche aggiungere che il punto in questione credo sia particolarmente significativo e all’ordine del giorno, per molti motivi e tutti molto importanti: sia confessionali e strettamente inerenti all’ambito più puramente religioso, di conoscenza e dialogo fra modi diversi di concepire il rapporto con la fede.
Ma sia anche perché, in qualche modo e a suo modo, ricorda a noi, uomini del XXI secolo alle prese con le temperie di un testo elettronico sempre più pervasivo ma evanescente, che il rapporto con la parola scritta ci ha definiti come civiltà.
Bene o male siamo il prodotto della cultura del libro, anzi siamo proprio “genti del libro”, cioè della parola (in qualche modo) scritta, fissata sulla carta. Storicamente tutto ciò che ha riguardato una qualche ri-declinazione di questo tipo di strumento ha prodotto più di qualche sconquasso. Non so se avete presente quel che successe dalle parti di Wittenberg qualche tempo fa… ^__^
Su Paolo di Tarso io starei molto attento a farlo passare come “amico delle donne e degli schiavi”. Nelle sue Lettere invita le prime a essere sottomesse ai mariti poichè il marito è capo della moglie “come Cristo è il capo della Chiesa” (Efesini 5, 22-23-24) e invita gli schiavi a non ribellarsi e a obbedire ai loro padroni (Efesini 6, 5) poi certo in cambio di tale sottomissione i mariti devono amare le mogli e i padroni trattar bene gli schiavi, ma l’uguaglianza proclamata si riferisce ad una dimensione trascendente, lo status quo non è messo in discussione da Paolo di Tarso, del resto ebraismo cristianesimo e islam sono religioni patriarcali come patriarcali erano anche l’Arabia pre-islamica e il mondo greco-romano però non è da trascurare che anche nel paganesimo greco-romano esistevano collegi sacerdotali femminili che avevano pari dignità con quelli maschili (cosa che scomparirà nelle tre religioni monoteiste il cui Dio unico è declinato indiscutibilmente al maschile, i casi di sacerdoti donna in ambito protestante e rabbini donna in talune correnti ebraiche riformate sono fenomeni recenti tipici di società dove la laicità si è affermata e radicata).
Che poi il velo (hijab, niqab o burka che sia) voglia “difendere” le donne, bè sì questo è quello che si vuol far credere e certo molte musulmane osservanti ci crederanno pure, ma con tutto il rispetto credo che lo scopo sia un altro: il velo alle donne serve solo a difendere i mariti dal timore di perdere il controllo sul corpo della moglie e sopratutto a garantirgli che non ceda alle “tentazioni” con altri uomini facendo venire meno la certezza della paternità, infatti l’unico modo per gli uomini di avere la certezza della paternità dei figli era controllare e reprimere con le lusinghe o con la forza l’erotismo, la libido di entrambi i sessi, ma in specie quella femminile poichè solo le donne rimangono incinte: a questo fine sono riconducibili molteplici aspetti che ritroviamo un po’ in ogni cultura e tradizione o almeno in quelle più diffuse: l’esaltazione della sposa vergine e dell’amore monogamo specie per le donne, l’infibulazione che garantisce la verginità pre-matrimoniale (usanza pre-islamica che l’islam si è guardato bene dallo sradicare), l’adulterio punito col ripudio o con la lapidazione, fino banalmente al fatto che generalmente una donna che ha relazioni sessuali con più uomini veniva (e credo venga ancora) giudicata più severamente di un uomo che sessualmente disinvolto.
Del resto basta leggersi i dieci comandamenti, fondamento nella lettera o nella sostanza dei tre monoteismi, per rendersi conto: la donna e la roba sono messe sullo stesso piano: entrambe non vanno neanche desiderate se sono “proprietà” altrui e in questo modo si legittima in maniera sacrale (i dieci comandamenti li ha dettati Dio!) la proprietà privata (la distinzione fra ciò che è “roba tua” e ciò che è “roba d’altri”) che come sappiamo è la base di ogni ingiustizia.
interessante poi notare come come vi sia il comandamento “Onora il padre e la madre” e nessuno abbia pensato ad un “Onora il figlio e la figlia”
Consiglio di informarsi su ciò che Giuliana Sgrena (che non è una Santanchè qualsiasi) pensa del velo islamico e con lei molte donne provenienti da quella tradizione.
Mi chiedo poi se nel libro di Abdolah si accenni a Soukaina, una bisnipote di Maometto che il velo si rifiutò sempre di indossarlo.
Chiedo scusa per le sviste ed eventuali errori di battitura del mio post. Forse è facilmente intuibile, ma non sono credente (agnostico sempre più tendente all’ateismo, per l’esattezza) e diffido in particolar modo delle cosiddette religioni rivelate che ritengo essere ideologie molto pericolose..
Preciso che non credo assolutamente che Dio abbia dettato i Dieci Comandamenti nè abbia ispirato o “fatto discendere” altri testi su qualcuno. La notazione serviva solo a ribadire come nella Bibbia si sia voluta sacralizzare la proprietà privata.
Su Paolo di Tarso suggerisco la lettura del libro di Alain Badiou San Paolo. La fondazione dell’universalismo (Cronopio), una lettura che – mettendo in questione anche le traduzioni consuete di diversi termini-chiave del testo greco – rovescia molte interpretazioni consolidate (soprattutto “a sinistra”). Badiou vede Paolo come portatore di un messaggio di eguaglianza radicale, alla luce di un evento che ha prodotto una discontinuità nel mondo, cioè la resurrezione di Cristo. La “fedeltà” a questo evento implica perseguire la svalutazione delle differenze precedenti (uomini e donne, ebrei e gentili, liberi e schiavi). Anche sui passi della Lettera agli Efesini dedicati al rapporto uomo-donna, Badiou scrive cose molto significative. Purtroppo non posso riportare qui alcuni passi né fare citazioni testuali, perché la mia copia del libro ce l’ha WM4 :-) Comunque, Badiou contesta con forza l’idea che Paolo sia il capostipite della misoginia cristiana, dice che ogni “separazione” professata nelle Lettere serve solo a preparare un’asserzione ancor più universale, fa parte di un andamento discorsivo in cui ciò che conta è l’universale. Inoltre, anche sulla questione dell’obbedienza all’autorità ci sono sorprese. Certo, molte cose di questo libro (e di Badiou in genere) vanno prese con le molle, ma la lettura (benché molto densa) è parecchio stimolante.
Faccio notare che Badiou non è l’unico filosofo comunista o comunque pensatore radicale ad aver fatto i conti col pensiero di Paolo di Tarso: ci ha fatto i conti Taubes, ci ha fatto i conti Pasolini, ci ha fatto i conti Tronti, ci ha fatto i conti Agamben, ci ha fatto i conti Zizek… Qualcosa vorrà pur dire se, nel cercare di ricostruire un pensiero critico o (ancor più nello specifico) un’ipotesi comunista, così tante paia di occhi si sono rivolte di nuovo a quell’uomo (per Badiou il prototipo del “militante”).
Un’altra cosa e poi smetto: sarà senz’altro vero che nell’Arabia pre-islamica le donne erano maltrattate..nonostante questo però Khadija, prima moglie di Maometto, donna ricca e colta ha potuto ereditare le attività mercantili del padre e pare che le abbia portate avanti bene per poi abbandonarle quando sposò Maometto.
Del resto anche nel mondo antico pre-cristiano dove la condizione femminile era certamente poco invidiabile, vi sono state notevoli eccezioni da Aspasia di Mileto a Ipazia di Alessandria.
@ Paolo1984
da lettore (come te) della recensione e non ancora del romanzo, non ritrovo in questo post alcuna “difesa” del velo alle donne e quindi non capisco bene il motivo della tua contro-perorazione. La recensione riporta che Abdolah fa “risalire alle complesse beghe coniugali del profeta l’introduzione del velo femminile” (e già questo significa non dare per buone le spiegazioni tradizionalmente offerte), e la questione della sottrazione della donna allo sguardo maschile è definita “paradigma di ciò che accade piano piano nello spazio liberato dall’Islam: al vecchio ordine se ne sostituisce uno nuovo, che mentre si nutre di versetti poetici fustiga i poeti sulla pubblica piazza.”
“Qualcosa vorrà pur dire se, nel cercare di ricostruire un pensiero critico o (ancor più nello specifico) un’ipotesi comunista, così tante paia di occhi si sono rivolte di nuovo a quell’uomo (per Badiou il prototipo del “militante”)” wu ming 1
Può voler dire tante cose, ad esempio, può voler dire che la tradizione cristiana ha avuto una notevole influenza sulla nostra cultura e i pensatori comunisti e radicali sentono comprensibilmente il bisogno di farci i conti con una riflessione che vada al di là dell’oppio dei popoli di marxiana memoria (che per me resta valido in linea di principio) e magari di trovarci dei punti comuni.
Poi è innegabile il fascino del pensiero religioso, rappresenta la più riuscita forma di consolazione davanti alla paura della morte (e pure una formidabile arma di dominio e controllo sociale a cui tutte le altre, in un modo o nell’altro si ispirano) perciò ritengo che i non credenti siano destinati a restare minoranza.
Grazie del consiglio letterario, ma con tutto il rispetto per i pensatori che hai citato, rimango sempre scettico e diffidente davanti a questi..come vogliamo chiamarli? “innamoramenti” comunisti verso la religione
@ Paolo 1984
“Grazie del consiglio letterario, ma con tutto il rispetto per i pensatori che hai citato, rimango sempre scettico e diffidente davanti a questi..come vogliamo chiamarli? “innamoramenti” comunisti verso la religione”
A parta forse Pasolini, direi che *nessuno* degli esempi che ho citato è descrivibile in questo modo. Anzi, proprio in alcuni di quei testi trovo la massima *ostilità* teorica ed etica verso l’idea stessa di religione.
Comunque, il consiglio era rivolto a tutti, poi ci sarà chi ha voglia di seguirlo e chi no, come per tutti i consigli, che non sono ordini.
Forse ho malcompreso il passo sul velo.
Ma quando ho letto “proclamando la pari dignità della donna, Muhammad pretenderà di difenderla prescrivendo la sottrazione della donna stessa allo sguardo degli estranei, cioè imponendole una parziale invisibilità.” mi sembrava di averci visto una parziale giustificazione dell’operato di Maometto m io dubito che volesse difendere le donne dagli sguardi altrui, forse voleva difendere i futuri o già presenti mariti di quelle donne.
Ma potrei aver malcompreso, sono argomenti che mi interessano molto e mi “scaldo” un po’ forse troppo.
Appunto: “pretenderà”.
Alcuni chiarimenti.
Il romanzo di Abdolah non è giustificazionista né apologetico.
La lettura della vita di Muhammad che fornisce è totalmente storicizzata e laica, anzi, direi proprio atea, visto che il rapporto del protagonista voce narrante – come dichiarato appunto nel finale – non è con Dio, ma con Muhammad, che nel romanzo è definito come un visionario che credeva fermamente alle proprie visioni.
Proprio perché il taglio narrativo è quello del romanzo storico, Abdolah può raccontare l’impresa di Muhammad e dei suoi seguaci per ciò che è stata: uno dei più grandi sconvolgimenti culturali della storia, che ha portato un popolo di beduini sprofondati nel deserto a diventare una delle culture più fiorenti e potenti del mondo conosciuto. E proprio perché non concede nulla alla religione come rivelazione divina, può descrivere la nascita dell’Islam come una rivoluzione, con tutte le sue luci e le sue ombre.
Abdolah racconta qual era la considerazione delle donne vigente nell’Arabia pre-islamica, nel Medioevo più cupo. Raccontare che Muhammad prescrisse la fine di certe pratiche anti-femminili e pretese una condizione diversa per la donna non significa sostenere che emancipò le donne in senso moderno. Infatti Abdolah non lo fa, anzi, spiega proprio come quell’istanza di dignità femminile venne in qualche modo neutralizzata e resa compatibile con la società patriarcale. Ciononostante la nuova cultura che andò affermandosi avrebbe portato con sé quella contraddizione, che infatti ancora oggi, grazie all’impatto con le società laicizzate, continua a esplodere nel variegato mondo islamico.
Abdolah però fa anche un’altra cosa: fornisce una lettura del perché alle donne venne imposto il velo. Velo che prima non portavano, nonostante fossero per molti versi trattate anche peggio. Paradossalmente è proprio l’attribuzione di dignità alla donna che spinge Muhammad a tutelare il quieto vivere patriarcale attraverso l’introduzione del velo. Nel romanzo questa decisione viene fatta risalire a motivi prosaici, cioè alla difficile gestione delle sue molte mogli da parte di Muhammad stesso. Quindi davvero non c’è l’ombra di apologia nel suo racconto.
Tuttavia Abdolah non nasconde che le donne diedero un apporto fondamentale all’affermazione dell’Islam. Affermazione che forse senza l’attivazione della componente femminile non avrebbe avuto un successo così repentino e capillare. In questo è facile intravedere un’ispirazione paolina, dato che Paolo di Tarso si affidò proprio a figure femminili nella fase iniziale del proselitismo cristiano. Così come è facile intravedere lo spunto cristiano nell’universalismo islamico. Affermare che tutti gli esseri umani, a prescindere da sesso, censo, etnia, nascita, sono uguali davanti a Dio, sono cioè fratelli e sorelle, rimane una delle affermazioni più sconvolgenti della storia. Nessuna religione “pagana” si era mai potuta spingere a tanto. Ed è il caso di ricordare che anche l’evento fondativo della contemporaneità, la Rivoluzione Francese, avrebbe fatto dell’eguaglianza e della fraternità, declinate laicamente, due suoi principi ispirativi.
Paolo e Muhammad affermano poi un’altra cosa di importanza capitale, e cioè che la Legge di prima è di fatto decaduta, spazzata via o superata da un evento unico (l’Incarnazione e la Resurrezione per l’uno, la discesa del Corano sulla terra per l’altro). In questo modo azzerano il conto del tempo e fondano un soggetto nuovo nella storia: il credente che professa la fede nell’evento e che lotta nel mondo per testimoniarla.
Questi, credo, sono i motivi per cui molti filosofi e intellettuali marxisti o comunque non credenti sentono il bisogno di confrontarsi con queste figure rivoluzionarie. La qual cosa ovviamente non significa affatto fare sconti alle religioni che si sono storicamente costituite sulla base di quelle premesse. L’evento infatti si dà come un unicum nella storia umana, ma la storia poi prosegue diramandosi in mille rivoli su uno spazio che è solo teoricamente liscio e libero, mentre in realtà è pieno di attriti, resistenze, complessità.
Credo che l’interesse di molti comunisti per figure come Paolo o Mohammed prescinda dall’ambito che noi chiamiamo religione. Non si è interessati (almeno io non lo sono, e mi pare nemmeno Badiou) a questioni di carattere morale o a vaghi afflati para-umanitari. E che quando si parla di Paolo o di Mohammed, si tratta proprio di archetipi militanti, e di grandi organizzatori. Al limite basterebbe questo, anche al di là della tematica della fedeltà all’Evento.
Ma è questa tematica che aggiunge profondità e interesse. E’ il tema del rapporto con la Verità il nodo centrale, oggi, della riflessione.
@ Wu Ming 5
Sì, è così. Questo interesse trova riscontro ad esempio nel filone storiografico di sinistra sulla prima Rivoluzione inglese. Studiosi liberal-democratici o marxisti come Michael Waltzer e Christopher Hill hanno sostenuto che fu proprio la rivoluzione religiosa rappresentata dalla Riforma a produrre la figura del militante politico moderno. E la Riforma si proponeva infatti come un ritorno alle radici del cristianesimo e provava a “ripartire” da San Paolo.
Mio padre (ex Avanguardia operaia) mi dice spesso “vuoi fare il militante? Leggi San Paolo”, e io gli rispondo sempre sorridendo con sufficienza.
Forse mi sbaglio : )
@ Giacomo,
Zizek fa addirittura un parallelo tra Paolo di Tarso e Lenin :-)
Cristo sta a Marx, come San Paolo a Lenin.
Premesso che manco io ho letto il libro, volevo riallacciarmi alla discussione su Paolo di Tarso (il Giap sta vivendo una fase di interessamento alla religione!).
Paolo di Tarso m’è sempre stato antipatico.
Tra lui e Pietro, anche nelle pale del Merisi, ho sempre preferito il secondo.
Non sono un teologo cristiano, però da quanto mi è stato dato di capire in questi anni, il Cristianesimo in quanto tale è più opera di Paolo che di Gesù.
Ora immagino che allo stesso modo di Gesù, neanche San Paolo possa essere ritenuto colpevole delle interpretazioni postume del suo messaggio.
Però l’aver posto sempre in rilievo questa faccenda della resurrezione, è stata la fonte della fortuna del Cristianesimo.
Nessuno, in effetti, è risorto trai grandi messia della storia.
Paolo evidentemente ci credette.
Eppure proprio questo fatto della resurrezione, di questa natura straordinaria di Gesù, ha secondo me poi dato il via a questo progressivo allontanamento – a mio parere – dall’originaria (nei limiti delle nostre conoscenze) predicazione del Nazareno.
Allontamento di cui Paolo non era probabilmente complice, se non col senno di poi.
Però, a conti fatti, Paolo ha posto le fondamenta anche della successiva ascesa della Chiesa.
E deh.
@ Ekerot
“il Giap sta vivendo una fase di interessamento alla religione!”
Più che alla religione, a una certa teologia, e casomai la sta “rivivendo”. Noi siamo quelli che scrissero Q, remember? :-)
Paolo è il giramondo poliglotta e “internazionalista” che, vincendo una battaglia durissima contro il “gruppo storico” degli apostoli più “stanziali” (il cui leader è Pietro), libera la fede dalle pastoie delle vecchie tradizioni e ritualità ebraiche, portando il messaggio anche ai gentili. E’ quello che dice che la circoncisione non è importante, e con essa tante altre cose. Senza di lui, il cristianesimo sarebbe rimasto un’eresia giudaica, un fenomeno “etnico” e poco più. Questo lo rende sommamente interessante come militante, organizzatore, fondatore di discorsività (è tra i *massimi* fondatori di discorsività della storia).
Sul fatto che il cristianesimo di Paolo non sia quello di Gesù, beh, è abbastanza vero. Negli scritti di Paolo, di norma, non si ritrovano né l’aneddotica né le parabole che leggiamo nei Vangeli. Anche perché quando Paolo compie i suoi giri, i Vangeli… ancora non esistono. Le lettere di Paolo precedono la loro stesura di qualche decennio, e sono i più antichi documenti della cristianità.
Infatti.
San Paolo ha creato (o posto le basi per) l’ente temporalspiritualesco più longevo e potente della Storia.
E’ qualcuno da studiare con somma attenzione. E anzi, mi sa che in molti (di quelli che magari lottavano per un ente più giusto, o se vogliamo, meno antipatico) l’hanno studiato con esagerata fretta.
Ma non riesco a farmelo stare simpatico, proprio perché sto ente non è trai miei massimi modelli di ispirazione (a prescindere poi dalle reali colpe di Paolo).
p.s. Sì per voi è sicuramente vero! mi riferivo anche al commentarium che c’ha voglia (io in primis) di confrontarmi con l’argomento. Siamo tutti bene o male imbevuti di cristianesimo e mi piace scoprire i vostri metodi di espulsione delle tossine ;)
Io pian piano mi sto facendo l’idea che fosse un uomo spiritoso.
S. Paolo aveva la doppia cittadinanza, quella romana e quella greca. È imbevuto di quelle due culture e agisce in un mondo -l’impero- che non è solo romano: è un impero greco-romano.
Insomma, è un militante che conosce bene il territorio in cui si muove. Mica poco.
Inoltre, come già mi è capitato di affermare in passato su questo blog, l’eliminazione dell’obbligo di circoncisione (Roma = cultura maschia, virile; Grecia = culto per la bellezza del corpo; ) è stata una trovata colma di intuito, un modo di contrastare Roma dall’interno.
OT: Però, dà da pensare che al Sud Italia, di certo non giudeo, forse un po’ greco, un po’ meno romano, la circoncisione sia pratica rimasta abbastanza frequente sino al recentissimo passato.
Azzardo: eredità della presenza araba in meridione in epoca medioevale. Boh… mi fermo qui, non vorrei dire immani sciocchezze non avendo conoscenze su questo argomento.
Scusate l’OT
Cosa ne pensate del recente endorcement sionista di Saviano?Ho appena visto il suo video-messaggio al raduno degli”Amici di Israele”tenutosi ieri a Roma?
Da suo conterraneo ed estimatore….”Non so se il riso o la pietà prevale”
Su questo blog ci sono ben 3 thread su Saviano e tu ci fai questa domanda nel thread su Maometto?
Come abbiamo detto e scritto più volte, anche in risposta a domande specifiche, siamo in completo disaccordo con la maggior parte delle dichiarazioni di Saviano riguardanti la politica estera e la situazione internazionale, a cominciare da quelle su Israele (ma non ci piace nemmeno quel che dice su Cuba, il Venezuela etc.). Dichiarazioni che comunque non sono una novità recente, quindi nessuno cada dalle nuvole. La pensa così ed è un fatto acquisito.
Chiudiamo qui l’OT, please.