Ne abbiamo scritto su Internazionale ormai svariati mesi fa; da allora la lotta dei facchini della logistica e, di conseguenza, la repressione si sono fatte ancora più intense e radicali. Soprattutto a Bologna e soprattutto alla Granarolo, ma anche in altre parti d’Italia. L’episodio recente che ha spinto il direttore della rivista Giovanni De Mauro a scrivere dell’argomento in prima persona è infatti accaduto a Milano: il pestaggio del sindacalista Fabio Zerbini da parte di una squadraccia padronale, o mafiosa, o entrambe le cose.
Qualche giorno fa ci chiama Guizzo, amico e compagno dai tempi dei tempi, e fa: – Sabato [oggi, N.d.R.] qui a Bologna c’è il corteo dei facchini, il padronato si è mosso coi carri armati ed escono articoli terribili, noi cerchiamo come possiamo di rompere, o almeno allentare, l’accerchiamento dei media. Abbiamo già chiamato Valerio [Evangelisti, N.d.R.], adesso lo chiediamo a voi: ci scrivete al volo un comunicato di solidarietà, anche solo quindici-venti righe? Per noi sarebbe importante.
All’altro capo c’è Wu Ming 1: – Senti, io non so quanto possa spostare, ma lo scrivo volentieri.
[Dialogo interiore, cioè inter nos:]
– Che altro si può fare?
– Metterci in ascolto, trasmettere le voci della lotta, condividere informazioni e aggiornamenti…
– È qualcosa.
– Ma è poco, e non è giusto cavarsela con poco. Non è giusto, e soprattutto non è possibile.
Il testo è stato diffuso insieme a quello di Valerio. Dopo che Repubblica-Bologna ne ha parlato, ci è giunta voce di mugugni in viale Aldo Moro, in via Rivani e pure in quella via del centro, aspetta, com’è che si chiama? Hai presente, dove c’è quel palazzo coi bassorilievi…
Insomma, nel PD e dintorni commenti irritati, come nei giorni del referendum sulla scuola: – Ancora quelli là?!
Sì, ancora questi qua. E tifiamo asteroide. E quelli di noi che sono in città andranno al corteo.
– È qualcosa.
– Non molto.
– Si fa quel che si può.
– Si può quel che si fa.
Poco dopo si sono aggiunti i contributi di Alberto Prunetti, Girolamo De Michele e Wu Ming 4. In partnership con Carmilla, li pubblichiamo tutti uno in fila all’altro. Nell’ordine: WM1, Evangelisti, Prunetti, De Michele, WM4.
In coda, svariati link che spiegano la situazione.
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Lo sciopero è sciopero, un picchetto è un picchetto e un crumiro è un crumiro e quindi, tagliando con l’accetta, uno che accetta la logica della guerra tra poveri e tradisce i suoi compagni.
L’accetta che taglia corta la definizione di “crumiro” è la stessa che spacca il mondo in due quando la situazione arriva al dunque.
Il “dunque” è che la società è divisa in classi. Il “dunque” è che lo sfruttato sta da una parte e lo sfruttatore dall’altra.
Un padrone è un padrone, un padrone è uno sfruttatore e ogni padrone combatte incessantemente la lotta di classe.
Un padrone «di sinistra» è un ossimoro vivente (anzi, un ossimoro non-morto).
«Cooperativa» è una parola che non significa più un cazzo.
Dovrebbe essere l’ABC, ma l’analfabetismo di ritorno ci strangola.
Il grande, grandissimo merito dei lavoratori in lotta nella logistica, in Emilia e in altre parti d’Italia, è di aver ricominciato ad alfabetizzare.
In questi giorni più che mai afflitti da un discorso pubblico portato avanti quasi solo da infami e interamente composto da minchiate, e mentre i padroni indulgono nei più canaglieschi ricatti (si veda la vicenda Electrolux), le lotte nella logistica sono, come suol dirsi, ossigeno.
E ci sono tanti modi di usare l’ossigeno.
Nella scena finale del film Lo squalo, una bombola d’ossigeno viene conficcata tra i denti del mostro e fatta esplodere. Del mostro non rimangono che frattaglie, e i nostri eroi nuotano verso casa.
Buona nuotata, compagne e compagni. [WM1]
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Non avrei mai pensato di dover assistere, nel 2014, a eventi degni degli inizi del ‘900. Lavoratori licenziati per avere scioperato contro la riduzione ulteriore di paghe da fame, violenze contro poveri diavoli per spezzarne i picchetti, arresti arbitrari e pestaggi di sindacalisti, false promesse e false accuse da parte delle autorità, campagne stampa menzognere che addebitano le violenze a chi le subisce. Vittime di tanta prepotenza gli stessi sfruttati del 1900: i facchini, poverissimi e precari, costretti a un lavoro massacrante e a condizioni di vita indegne.
La sorpresa viene dall’identità dello sfruttatore: cooperative che mantengono arbitrariamente quella denominazione ormai solo formale, appoggiate dal consenso, dalla complicità attiva o dall’indifferenza di sindacati “ufficiali” di cui il tempo ha ingiallito il colore e deturpato le funzioni. Forze che non si vergognano di tradire clamorosamente la loro stessa storia.
Io spero che i lavoratori della logistica tengano duro, in nome di quel valore supremo che ispirò proprio quei proletari come loro che fondarono cooperative e sindacati: la dignità. Auguro invece la sconfitta a coloro che l’hanno persa. [VE]
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La lotta è possibile e va oltre la rappresentanza politica. Passa da istanze dirette e sollecita un nuovo sindacalismo conflittuale. I facchini hanno molto da insegnarci. Certo, sono molto strategici, perché muovono merci e le possono fermare. Ma hanno a che fare con un padrone che parla il linguaggio mellifluo di ogni padrone. Padroni che davanti alla rivendicazioni ricordano che sono compagni, che hanno fatto sacrifici, che stanno per chiudere. Che perdere diritti è l’unico modo di conservare un posto di lavoro. Al dunque, le cooperative o l’imprenditore “illuminato”, di destra o di sinistra, pagano poco e sfruttano tanto. Chiedetelo ai facchini, alle maestre d’asilo o alle guide turistiche. Siamo tutti “soci” del capitale, salvo quando si tratta di dividerne i profitti o di subirne il fallimento.
Niente sconti, allora: ci stanno prendendo in giro. Prima di buttarsi dalla finestra ci faranno morire d’inedia. Anche nella crisi c’è una gerarchia e un lavoratore working class dei nostri giorni (operaia, facchino, cassiera, commesso, addetto pulizie, operatore di call center) vive, lavora, fallisce e muore peggio di un imprenditore. O di un presidente o socio fondatore di una cooperativa, che è tale solo per i vantaggi fiscali delle cooperative.
E allora basta con le vecchie cooperative. Perché l’unica forma di cooperativa valida per il futuro sarà quella che espropria e annulla la figura del padrone o del presidente o dei soci fondatori. Facciamoci leveller: livelliamo i poteri nei posti di lavoro. L’esempio è quello argentino delle cooperative di lotta: imprese destinate al fallimento, recuperate dai lavoratori. Reggono il peso della crisi con un salario equo, lo stesso per tutti, senza mobbing o prevaricazioni gerarchiche. Con ruoli fluidi, tra amministrazione e produzione. Così si resiste alla crisi e al capitale, che camminano mano nella mano per accumulare profitti, sottraendoli dalle tasche dei lavoratori. [AP]
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«Gli uomini, salvo che non siano del tutto imbarbariti, non si lasciano apertamente ingannare e trasformare in schiavi inutili a sé stessi», scrive Spinoza parlando di un popolo che fronteggiava la pretesa d’autorità assoluta di Alessandro Magno: parole che marciano sui propri piedi, ovvero sulle gambe delle lotte per il diritto di non essere assoggettati, ogni volta che un suddito si alza in piedi e rifiuta di considerare superiore un proprio pari.
«Caro Socio consumatore, vieni pure a fare la spesa in Coop. Troverai, oltre ai prodotti che cerchi, molti lavoratori che ti accoglieranno con la gentilezza e la professionalità di sempre. Troverai molti lavoratori che vogliono bene alla cooperativa, che non si tirano indietro davanti al lavoro, ma anzi si rimboccano le maniche, perché sanno che il lavoro è anche sacrificio e fatica», scrivono i consiglieri di amministrazione di una Coop (quella Estense, il 18 dicembre scorso: ma potrebbe essere Adriatica, o Granarolo): parole che rivelano la pretesa dei padroni che i sottomessi non si limitino ad obbedir tacendo, ma siano anche contenti di sacrificarsi e faticare.
Ogni volta che un subordinato rivendica il diritto a vivere non con la servitù volontaria, ma con la dignità dell’insubordinazione – quale che sia la sua lingua, il suo colore, la sua origine, alla catena siam tutti uguali – i padroni, quali che siano le loro lingue, i loro colori, le loro origini tremano e si rifugiano dietro il manganello del gendarme: perché sanno che ad essere messa in discussione non è solo la retribuzione e l’orario, ma la favola del guadagnarsi da vivere col sudore della fronte. E perché sanno che le lotte in corso parlano anche a quelli che sollevano tremanti la testa dai luoghi bagnati di servo sudore: perché quel volgo disperso che non ha altro nome, se non quello di servo, potrebbe imparare il significato di un nome comune – compagni. [GDM]
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Ciò che evidentemente è andato perduto per strada – una strada lunga e tortuosa, ma che è stata percorsa di buon passo – è proprio un concetto fondamentale: difendere i lavoratori dai soprusi del padronato. Un tempo era la ragione sociale del sindacalismo, del resto, nonché il principale movente delle formazioni politiche di sinistra.
In questo senso un caso più tipico della lotta dei facchini della logistica non si potrebbe dare. I facchini sono il gradino più basso della catena lavorativa, la manodopera meno qualificata; per di più sono in maggioranza di origine straniera, quindi sottoposti a un doppio ricatto. Non sono né buoni né bellini, bensì proletari immigrati che fanno vite ben poco invidiabili. Difficile trovare un soggetto più debole e più esposto alla corsa al ribasso del costo del lavoro.
E infatti si incazzano, insorgono, cercano di farsi notare come possono, bloccando i camion, inceppando la filiera logistica. Per questo vengono accusati di essere dei violenti, licenziati, denunciati.
Non solo: i senatori emiliani del PD inoltrano una richiesta d’intervento all’esecutivo, affinché i blocchi dei facchini vengano fatti cessare. Insomma: intervenga il governo a rimuovere l’ostacolo.
C’è stato un tempo in cui una richiesta del genere sarebbe giunta dai partiti di destra, mentre i partiti di sinistra avrebbero casomai chiesto di rimuovere o sanare la contraddizione sociale che produce quelle proteste, non già le proteste stesse. Ma da tempo ormai i sedicenti “democratici” ci hanno abituati a uno spettacolo che più che paradossale è davvero grottesco e miserabile (come quando hanno cercato di convincere i bolognesi – senza riuscirci – che finanziare le scuole private, a pagamento e confessionali, fa bene alla scuola pubblica).
La Cgil di Bologna segue a ruota, sostenendo che le lotte dei facchini rischierebbero di «scatenare una guerra tra poveri». Anche qui occorre dire che un tempo i sindacalisti avrebbero saputo che esiste un solo modo per sventare la guerra tra poveri, ed è stare compatti dalla parte dei poveri, esposti allo sfruttamento e al ricatto. Da quale altra parte si dovrebbe stare in una vicenda come questa? Con le cooperative che – lo sanno anche i sassi – conservano solo una lontana eco degli intenti che le fecero nascere e sono ormai a tutti gli effetti imprese d’affari?
E poi un’occhiata al contesto non la si vuole proprio dare? Stiamo assistendo alla più feroce offensiva padronale che si sia mai data dagli anni Settanta. I costi della recessione economica vengono scaricati sui più poveri e sul cosiddetto ceto medio in via di impoverimento. Mentre Marchionne avvia il trasferimento della Fiat all’estero, il ricatto che aveva lanciato qualche anno fa – «Andiamo a fare auto in Serbia» – viene già scavalcato dalla Electrolux, che invece la Serbia vuole farla qui, in Italia.
Mentre l’economia continua a franare, i partiti di governo, Confindustria e il più grande sindacato si trovano compatti su cosa?
Sul cancellare una lotta dal basso organizzata dai lavoratori più deboli, perché mette in discussione i profitti delle grandi cooperative.
L’origine storica del movimento operaio è il rifiuto del ricatto tra accettare condizioni di lavoro sempre più infime o perdere il lavoro stesso. Se si abbandona questa consapevolezza e si butta a mare la storia, allora significa che si sta rinunciando a tutto, alla propria stessa ragione d’essere.
Per fortuna è la storia stessa che torna a mordere il freno, e a ricordarci che le contraddizioni sociali ed economiche non spariscono solo perché si pretende di negarle con la bassa retorica di questi anni tristi. [WM4]
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COSA STA SUCCEDENDO, ESATTAMENTE?
Vice.com: la logistica italiana è diventata un campo di battaglia
Un eccellente reportage di Leonardo Bianchi.
Scarichiamo Granarolo
Il sito dove si organizza il boicottaggio dei prodotti.
Le lotte nella logistica su Infoaut
Le lotte nella logistica su Global Project
Forza contro forza: la lotta di classe nella valle della logistica
Un’analisi di Anna Curcio e Gigi Roggero.
Contro la “voce del padrone”, insieme ai lavoratori della Granarolo
Comunicato del Coordinamento Migranti e altre realtà di Bologna.
#Granarolo su Twitter
(succedono cose quasi tutti i giorni)
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– Allora? È qualcosa o no?
– Qualcosina. E non basta.
– Ovvio che no. L’importante è non pensare, nemmeno per un istante, di potersela cavare con poco.
– No, compadre, «l’importante» è sconfiggere i padroni.
– Grazie al cazzo! Socc’, sei un bello spaccamaroni, eh…
Granarolo “chiagne e fotte” e intanto si compra una storica cooperativa in Friuli che fa latte e Montasio (se non sbaglio), fa joint ventures in Grecia, compra in UK e finanzia il Fico.
…ma beccatevi questo aneddoto: qualche settimana fa ho stampato il mio testo sulla Variante di valico— dove racconto che c’era stata un opposizione all’autostrada interna al PCI negli anni ottanta ma che al giro di boa del’90 (con il passaggio PCI-PDS) era stata spazzata via e i sindaci dell’appennino contrari alla Grande Opera erano stato sostituito con sindaci allineati.
E in effetti al congresso del gennaio 91 è una mozione di sindaci dell’appennino a dare il definitivo via libera al buco che distrugge la Val di Setta.
Sfoglio soddisfatto il mio samizdat, era venuto carino, e mi cade l’occhio su un nome. Non avevo mai fatto due più due: quel Calzolari sindaco di Monzuno dal ’90 – e sostenitore della Variante di Valico che sostituiva un sindaco contrario – era lui: oggi presidente tanto di Granarolo quanto di Lega Coop.
Chiagni e fotti, già: da almeno un quarto di secolo dalla parte giusta, quella dei soldi e del cemento.
Tutti in piazza!
@ wolfbukowski
Anche a me è caduto un occhio sulla interrogazione dei senatori del PD, e non solo del PD (Anna Maria Bernini è un pezzo grosso di Forza Italia in regione): e il mio occhio è rotolato sui nomi delle stesse persone – le senatrici Maria Teresa Bertuzzi e Francesca Puglisi – che dopo aver finto di contrastare le politiche scolastiche di Gelmini hanno appoggiato senza alcun pudore quelle di Profumo. Quando passi da un campo all’altro, e ci trovi gli stessi nemici, qualcosa vuol dire: ad esempio, che forse non sono campi distinti, ma un’unica pianura.
Dispiace che su internet da sinistra ci siano state critiche al vostro appoggio alla manifestazione dei facchini.
Vi accusano di essere “intellettuali bianchi” che si appropriano delle proteste dei lavoratori stranieri (“check your privilege” gnegnegne).
Critiche assurde, fatte da gente che si ritiene di sinistra, libertari, addirittura anarchici.
Io non riesco a immaginare niente di più tipicamente emiliano-romagnolo del mondo delle Coop. Se c’è qualcuno che ha il dovere di andare contro le ingiustizie delle Coop sono proprio gli emiliani, chi altri sennò? Siano nati in italia o nati all’estero, intellettuali o facchini, chi altri dovrebbe protestare contro le “Cooperative rosse” se non proprio gli emiliani? mah.
Purtroppo c’è gente cui il vestito ideologico sta largo e deve allargarsi per farselo calzare.
saluti.
Ok, ma non parliamo di queste idiozie. Il rischio è di spostare il focus dalla concretezza di questa lotta all’astrattezza di disquisizioni dove si tetrapilectomizza ogni concetto con tutti i “tic” della peggiore accademia. Stiamo sul punto, niente OT né tediosi livelli “meta”.
Certamente, non era mia intenzione andare off topic.
Era per ribadire, a chi avesse dei dubbi sulla liceità della vostra adesione, che è una questione che riguarda tutti direttamente (specialmente chi, come voi, in Emilia-Romagna ci vive) e non qualcosa che riguarda unicamente i facchini del Bangladesh.
Per dare un’idea della realtà della logistica italiana, vi dico 2 cose sulla situazione in ditte del torinese (altrove so di situazioni analoghe o anche peggiori): i lavoratori ricevono la chiamata alle 4:00 am per iniziare a lavorare alle 05:00. Niente chiamata? Niente lavoro e niente paga. Assunti con contratti ottocenteschi, lavorano fino a 14 ore al giorno, spesso facendo molta più fatica fisica del dovuto perché privi di idonei macchinari,niente mutua, niente ferie.
Questo mio commento non ha analisi ma spero aiuti a chiarire in che orizzonte si sviluppa questa vicenda
La GDO è, secondo me, un terreno di sfruttamento davvero all’avanguardia, all’avanguardia per quanto riguarda il ritorno a condizioni di lavoro di altri tempi per così dire.
Il sistema degli inventari funziona in modo simile a quello del movimento delle merci, con iper-precarizzazione dei lavoratori – che vanno avanti a chiamata – turni massacranti fuori da ogni regola e via dicendo. Lì non si pesca tra i migranti ma tra i giovani e giovanissimi, che vengono spinti a una competizione selvaggia l’uno contro l’altro. E lì, da che so io, non ci sono le cooperative ma delle multinazionali che esportano ovunque il loro metodo, basato sul lavoro a chiamata privo di qualunque tutela, sulla competizione tra i lavoratori (i “risultati” di ogni lavoratore nel contare le merci vengono inseriti in un software che determina chi sarà chiamato e chi non sarà chiamato per la volta successiva) e su una retorica da vendite piramidali. Cooperative e multinazionali unite nella lotta (contro i lavoratori).
Per chi vuole far risuonare all’estero le notizie su questa lotta e sulle altre lotte della logistica, ecco gli articoli che Struggles In Italy ha pubblicato fino ad ora. Ovviamente parleremo anche della manifestazione di oggi.
http://strugglesinitaly.wordpress.com/?s=logistics
Riguardo invece al fatto che sembra di stare in altri tempi, mi è venuto in mente questo: http://www.youtube.com/watch?v=Eg7bPgrosAE
Uno che diceva: “The artist must take sides. He must elect to fight for freedom or slavery. I have made my choice. I had no alternative”
E’ incredibile, ma purtroppo vero. Oltretutto questo ritorno all’ottocento mi sembra particolarmente insensato, dato che ha come oggetto un lavoro che probabilmente non ha un futuro. Da una parte si schiavizzano i facchini probabilmente per tirare la corda fino a quando non sarà inevitabile investire per robotizzare il tutto, dall’altra si cerca di ottenere tutele prima che non ci sia più bisogno di questa tipologia di lavoratori.
volevo complimentarmi con voi per l’ottimo lavoro anche perchè i lavoratori della logistica hanno bisogno del sostegno più ampio possibile! Volevo segnalare che anche a Napoli ci sono dei compagni che lottano al fianco di questi lavoratori parlo del collettivo Clash City Workers.. li conoscete? magari potreste coordinarvi per sostenere ancora meglio questa lotta! vi incollo un link dal loro sito.. http://clashcityworkers.org/documenti/articoli/1250-ancora-piu-repressione-lotta-granarolo-al-bivio.html
Il link a “Forza contro forza: la lotta di classe nella valle della logistica” è scorretto.
Calzolari sul Sole dice “che ha bisogno della scorta”. Eppure qualcuno già il 1° maggio dell’anno scorso s’era chiesto cosa ci facesse sul palco in piazza Maggiore con CGIL e PD, dandosi ovvie risposte.
https://www.facebook.com/events/517513421618103/
Ciao compagn*.
“Non avrei mai pensato di dover assistere, nel 2014, a eventi degni degli inizi del ‘900. ” non vorrei contraddire evangelisti ma ricordo per aver letto su autobiografie della leggera che prima del fascismo a Cremona al mercato generale i facchini si autogestivano il collocamento
Sì, ma Evangelisti ha parlato di “inizi del ‘900”, quando in tutta Italia – e forse anche a Cremona, non so – chi scioperava e/o manifestava era caricato a cavallo dai militari, nella migliore delle ipotesi, o sterminato a colpi di cannone o di mitraglia senza alcuno scrupolo. I picchetti erano sistematicamente aggrediti dalla forza pubblica. Dalle mie parti, a Berra (FE), nel 1902 ci fu l’eccidio di Ponte Albersano, per fare un solo esempio. I soldati spararono sui braccianti e ci furono 3 morti e 34 feriti. E anche lo sciopero generale del 1904 fu indetto dopo stragi di lavoratori in varie parti d’Italia. Penso che Evangelisti, che prima da storico e poi da romanziere ha ricostruito quegli anni in più di un’opera (compreso il romanzo appena uscito), si riferisse a questo: la criminalizzazione di chi sciopera porta in una bruttissima direzione.
ringrazio Wu Ming 1 per la precisazione che trovo completamente condivisibile soprattutto per quanto riguarda le motivazioni di Evangelisti. Io avevo spostato l’attenzione dall’aspetto repressivo a quello delle condizioni lavorative per quanto sia possibile scindere i due aspetti. Per quanto riguarda l’aspetto repressivo rifletto che va commisurato all’ampiezza e alla radicalità delle lotte e mi viene il sospetto che la mancanza di feroci repressioni paragonabili a quelle che citi sia dovuta alla mancanza di tali lotte e non a una presunta superiorità etico-civile di chi amministra la repressione, d’altronde agli inizi degli anni 2000 non ci hanno ammazzato e massacrato a Genova per lotte forse ampie ma neanche tanto radicali? per inciso con tutto il rispetto per le vittime anche a distanza di 110 anni mi piace pensare che i braccianti uccisi dalle tue parti non fossero agnellini sacrificali ma come accade ancora oggi per esempio in Brasile, nei conflitti per la terra si vedono i lavoratori imbracciare i loro attrezzi e magari qualche fucile da caccia per difendere le occupazioni, ma questo aspetto della questione andrebbe discusso in un altro post vorrei solo specificarne il senso cioè se è opportuno adottare delle rapppresentazioni della storia della lotta di classe troppo “vittimistiche” oppure anche se è vero che spesso in questa storia le abbiamo prese e anche di brutto, ma qualche volte le abbiamo pure date e anche questo argomento andrebbe sviluppato, come fate anche nelle vostre opere letterarie, se non altro per invogliare le giovani generazioni e i migranti a guardarci con un pò di ammirazione. Per tornare alle condizioni di lavoro dei facchini il brano, che riporto in fondo, di autobiografie della leggera secondo il mio parere apre uno spiraglio anche nella mia ignoranza su una tradizione di autogestione che per quanto mi riguarda è tutta da conoscere passando anche per la storia dei portuali e delle loro compagnie che gestivano in autonomia lo scarico dei porti fino a pochi anni fa (mi ricordo i continui attacchi negli anni 80 contro i portuali di Genova e la loro compagnia che era troppo poco economica per competere con altri porti e quali sono oggi le condizioni dei portuali di genova?) Ringrazio per l’attenzione e anche a Evangelisti prego di portare pazienza ma mi rimane la sensazione che piuttosto che ai primi del 900 forse si dovrebbe paragonare la situazione attuale ai primi dell’800 cioè a prima del 1848 e per quanto riguarda le condizioni di lavoro dei facchini forse bisogna risalire allo schiavismo.
orlando p. descrizione della mia vita
“1919 subito dopo la fine della I guerra mondiale”
una bella mattina vado sulla piazza di porta pò e parlo con vari facchini compagni di mio padre e spiego a loro le mie tristi condizioni vi è qualche d’uno che reclama a prendermi in società e parecchi sono contenti, quelli che reclamano dicono che in una famiglia come la mia siamo troppo privileggiati perchè in una casa vi deve essere nella società un padre e tre figli e in’altra solo uno a mantenere la famiglia? – a questo io vi do ragione ma voi dovete sapere che mio padre a preso due mogli e perciò me e mia sorella siamo della prima moglie e con la seconda non andiamo d’accordo perciò me e mia sorella si forma un’altra famiglia ed io ne oh il diritto perchè sono il vero figlio di mio padre capo dei facchini di porta Milano e chi non mi vuole vengo di prepotenza perchè anchio oh il diritto alla vita e vedrete che farò il mio dovere e un giorno vi troverete contenti e dopo tre giorni termina la settimana loro anno il tempo di fare il suo consiglio ed il risultato viene affermativo….
Scusa, però non capisco il salto logico dal denunciare (o anche solo il ricordare) la repressione al… “vittimismo”. Dove sarebbe il vittimismo nel post qui sopra? E anche nella mia precisazione, se è per quello. Evangelisti ha semplicemente detto che le violenze contro il picchetto gli ricordano le violenze contro i lavoratori di inizio ‘900. Tu hai fatto un commento che secondo me era fuori fuoco, e ho spiegato cosa intendeva dire Valerio, almeno per come l’ho compresa io. Dove sia in tutto questo il “vittimismo”, non lo capisco.
senza veramente nessun intento polemico ho usato il termine rappresentrazioni “vittimistiche” nel senso di rappresentare solo l’aspetto repressivo che produce vittime però si dovrebbe pure dire che in un picchetto fuori da un posto di lavoro con i crumiri non si dialettizzava e che se si presentavano magari si prendevano a sassate o che quando si scioperava si cercava di danneggiare il padrone magari con il sabot o che quando i lavoratori scendevono in piazza non lo facevano per fare le passeggiate che ci hanno abituato a fare ma si poneva in discussione l’ordine pubblico e che per rimanere in fuoco è assolutamente vero che i facchini vengono repressi perchè si ribellano e si ribellano perchè le loro condizioni di lavoro sono davvero infami e anche se può parere banale io ho modo di lavorarci praticamente tutti i giorni insieme avvalendosi il mio datore di lavoro di una cooperativa per alcune lavorazioni e ti assicuro che alcune cose che raccontano e sono una cooperativa storica che lavora per enti sono davvero raccapriccianti – come l’iscrizione obbligatoria a un sindacato – secondo me peggio di quelle rapppresentate da orlando p. perchè sia pure in un contesto davvero difficile i lavoratori di quei tempi avevano qualcosa che manca a quelli attuali: la dignità che si trova nella lotta e che i facchini trovavano anche nell’autogestione.
ti ringrazio dell’ospitalità e dell’impegno profuso anche a sostegno della lotta dei facchini a cui rinnovo tutta la solidarietà possibile