[È trascorso esattamente un mese dall’ultimo florilegio. Noi siamo ancora in tour e ci rimarremo per un bel pezzo (fino alla primavera 2015). La discussione prosegue fitta nello «Spoiler Thread». Nel frattempo sono uscite molte recensioni, alcune egregie. Qui sotto riportiamo alcuni estratti, con link ai testi completi, più immagini, interviste, link e lo Spirito di Marat. Buona lettura.]
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«L’armata dei sonnambuli è, certamente, l’oggetto del grande complotto del misterioso mesmerista di fede realista che intende combattere il governo rivoluzionario con la sua stessa arma: le masse. Ma sonnambuli sono anche i protagonisti del periodo rivoluzionario. D’altronde Victor Hugo, modello letterario dei Wu Ming per questo romanzo, non definì Napoleone, il figlio della Rivoluzione, “il potente sonnambulo di un sogno che si è dileguato”? Il sogno iniziato con la presa della Bastiglia, che convince le masse popolari della possibilità di diventare finalmente attori della Storia, non solo agenti passivi delle scelte prese a Versailles. Tant’è che poi il popolo di Parigi andrà a prendere la famiglia reale nella loro sfarzosa reggia e la trascinerà nella capitale, prigioniera della volontà della maggioranza.
La rivoluzione, spiegano i Wu Ming, è “un tema sottotraccia a tutta la nostra produzione, un’urgenza dei nostri tempi, che si sta riaprendo dopo un lungo periodo di congelamento”. Già in Q molti lettori e diversi critici lessero una riflessione sui movimenti degli anni di piombo, filtrata dalla minuziosa ricostruzione storica dell’Europa del XVI secolo, teatro delle vicende narrate nel romanzo. L’impressione è che i Wu Ming usino il romanzo storico per parlare di questioni moderne, un po’ come già Umberto Eco – senza la stessa verve politica e polemica del collettivo – ha fatto con i suoi bestseller. Non è un caso allora che gli autori parlino de L’armata dei sonnambuli come punto d’arrivo della loro produzione, tanto da aver già anticipato che, dopo questo romanzo, inizieranno a percorrere altre strade. L’attualità di un romanzo ambientato nella Rivoluzione francese non sfugge a nessuno. I parallelismi tra il crollo dell’ancien régime e le difficoltà in cui si dibattono le fragili democrazie europee, soffocate dalla Grande Recessione e dall’avanzare del “populismo” (sprezzantemente giudicato dalle élite con lo stesso astio con cui l’aristocrazia parlava del fenomeno dei sanculotti e delle loro radicali soluzioni), sono abbastanza evidenti. Sennonché, la posizione assunta dai Wu Ming appare chiara con la scelta di non iniziare dal principio, dal 1789 o ancora prima, ma in medias res, nel momento culminante, proprio come Victor Hugo fa nel suo ultimo romanzo, pubblicato nel 1874, Novantatré (Hugo, 1998), in cui parla della Rivoluzione narrando del suo periodo più cupo, quello del Grande Terrore.
Il perché è presto detto: non può esserci rivoluzione senza rivoluzione. Il Terrore non è un episodio storico a sé stante, uno “slittamento” degli ideali del 1789, come tanti storici successivi tenteranno di spiegare, dividendo la Rivoluzione in due distinte fasi (tanto che anche una bella fiction del 1989, in occasione del bicentenario, si divideva in due parti: les années lumières e les années terribles). Giustificazioni a posteriori che lasciano il tempo che trovano, alla stregua di quella di Benedetto Croce che tentava di sostenere come il fascismo fosse una parentesi, uno “smarrimento della coscienza” (Croce, 1963) nel percorso tutto sommato condivisibile della storia italiana. Il Terrore non fu una parentesi, un incubo dal quale improvvisamente ci si risveglierà come tanti sonnambuli (ecco l’altra interpretazione del titolo del romanzo): è parte integrante della Rivoluzione francese.»
– Roberto Paura, Una rivoluzione senza rivoluzione?, su «Quaderni d’altri tempi» n. 49.
«Due vendicatori si aggirano in questi stessi giorni per l’Europa: lo Scaramouche giustiziere di Incredibili sulle ceneri del Terrore robespierriano raccontato da Wu Ming (L’armata dei sonnambuli, Einaudi) e il Beppe Grillo mattatore della Vecchia Politica sulle macerie di due incompiute repubbliche italiane analizzato da Oliviero Ponte di Pino nel bel libro Comico & Politico (Raffaello Cortina Editore), recensito su queste pagine da Marco Belpoliti.
Entrambi i volumi prendono le mosse (casualmente?) dalla Rivoluzione Francese e dal ruolo che vi ebbero gli artisti di teatro come gruppo ai margini della società costituita, che li aveva in passato ghettizzati; piccola enclave instabile ma dotata di una sapienza antica, disponibile a sovvertire ogni cristallizzazione sociale. Ambedue avanzano l’idea che gli attori, grazie alla loro tecnica dell’emozione e alla loro capacità di rappresentazione, emergono nelle tempeste della storia a cavalcare i venti della rivolta, dell’atto spettacolare qui e ora, del “colpisci uno per educare cento”, esibendosi piuttosto che in spettacolini didattici e consolatori in atti simbolici, in comportamenti trasgressivi che dovrebbero propiziare un nuovo ordine, o almeno impedire che il vecchio sistema sopravviva o si ricompatti.»
– Massimo Marino, Grillo: oltre il teatro della crudeltà, su «Doppiozero»
«La Parigi dei primi anni ’90 del settecento in cui Wu Ming ci trascina è un micromondo sotto gli occhi del mondo di fuori, di cui percepiamo soltanto in sottofondo gli echi di paura e di ammirazione, mentre per le sue strade viviamo lo scontro tra le fazioni rivoluzionarie, o cripto-reazionarie, attraverso gli occhi di un pugno di personaggi perfettamente descritti e introdotti, affascinanti, ben delineati. Da questi si dipanano le sottotrame destinate a convergere in un concerto di ibridazioni di genere, dall’horror, al fumetto, al soprannaturale (c’è un riferimento a Wolverine, per dire), che pur spiazzando, non inquinano la credibilità dell’atmosfera storica, che anzi ne esce felicemente arricchita in un buon connubio di impegno, storia e di evasione. Fuori dalle vicende dei personaggi, comunque avvincenti, l’affresco sullo sfondo resta potente, solido, dai colori realistici, rafforzato dai contributi documentali ed epistolari che inframmezzano i capitoli. Più difficile da valutare la ricerca sul linguaggio, una sfida non da poco, nel simulare in italiano i dialetti e gli slang popolari della Francia dell’epoca. Senza aver fatto nessuna analisi linguistica, l’impressione è che spesso l’operazione riesca, altre volte, anche quando suonare un po’ forzata, abbia comunque la capacità di spezzare il ritmo della narrazione permettendo agli autori di divertirsi con sberleffi, neologismi e l’arte antica, sempre raffinata, del turpiloquio creativo. Mutano come detto anche gli stili (epistola, documento, narrazione classica, discorso libero indiretto e linguaggio parlato popolare) e la persona narrante che varia dalla terza, alla prima, alla quarta, in una polifonia nella quale i Wu Ming sono maestri (e non da oggi) nel non mettere mai a rischio l’unità strutturale dell’opera.»
– Daniele Trovato, L’Armata dei Sonnambuli, dal blog «Ozia»
«Teatrale nella forma, ricco, straricco di metafore e allegorie, continui richiami al presente, chiamate alle armi senza tempo, galleria di figure indimenticabili che comunque rivisiterò al più presto. Perchè è difficile, molto difficile non rileggere questo capolavoro.
Ho il bisogno fisico, impellente, di rivedere Scaramouche all’opera. Devo piazzarmi di guardia, all’angolo del vicolo buio dove si nasconde per indossare la terribile maschera dal naso abbastanza lungo da contenere un rostro. Un rostro da conficcare nei globi oculari dei Sonnambuli. Dileguandosi poi nelle tenebre della notte, aiutato dal mantello nero che lo avvolge. Come Batman.»
– Dikotomiko, 25 maggio 2014: vota e fai votare Scaramouche.
«Centrale nel romanzo dei Wu ming è la ferocia e la potenza dei moti dal basso. In barba a chi ha rivalutato come rivoluzione borghese l’evento straordinario che fu quella marea che si sollevò nel 1789, i Wu ming rivendicano la forza della spinta popolare, le azioni di personaggi umili. Anche proprio laddove le aspettative del popolo sono state disilluse e frustrate. La rivoluzione francese in parte fu un fallimento. Ma se i Wu Ming non si astengono dal tratteggiare una rivoluzione fallita ( senza tralasciarne tutte le lacerazioni e i compromessi e le trappole in essa insiti), non rinunciano ad un concetto di lotta vivo, più vivo che mai. E L’armata dei sonnambuli è un romanzo che parla soprattutto di Resistenza contro il potere.
[…] Il magnetismo animale è infatti soggetto ad una duplice interpretazione: o come un vero e proprio incantesimo o in chiave razionale come una sorta di ipnotismo (e appunto i sonnambuli del titolo sono sprofondati in un sonno indotto). Il conflitto messo in scena è quello tra un mesmerismo democratico e razionale, che segue i principi dell’illuminismo e dell’etica (quello di D’Amblanc) e dall’altro lato un mesmerismo totalitario, usato per raggiungere scopi personali e che non tenga minimamente in considerazione la volontà dei sonnambulizzati, trattati alla stregua delle bestie (quello del misterioso villain del romanzo, dall’identità fittizia).
Il magnetismo diventa quindi un’ottima metafora politica, una riflessione sempre attuale sugli abusi del potere e sulla libertà. Non è forse un caso che le vittime del magnetismo scellerato siano rappresentati nel romanzo per lo più da bambini, per sempre danneggiati e irrimediabilmente corrotti da una volontà fascista e brutale.»
– Ilenia Zodiaco, Vive la trance! L’Armata dei Sonnambuli o lo leggete o sbrisga!, dal blog «Con amore e squallore»
«Ogni rivoluzione e perfino ogni periodo di sola effervescenza sociale dispone delle proprie casamatte topografiche: il quartiere parigino di Belleville durante la Comune, San Lorenzo a Roma o Kreuzberg a Berlino negli anni settanta, 23 de Enero a Caracas ancora oggi. Ai tempi della rivoluzione francese l’epicentro rivoluzionario era il Faubourg Saint-Antoine con la sua popolazione di operai dediti alla creazione di beni acquistati dalle classi abbienti. È questo l’intreccio di relazioni umane, di osterie, di club, di comitati, di solidarietà e potere diffuso che si propone di attaccare la reazione: “Abbiamo piegato la volontà della plebaglia, l’abbiamo annichilita, colpendola dove essa era usa radunarsi”, commenta soddisfatto l’oscuro personaggio che impersona la controrivoluzione nel romanzo di Wu Ming. Del resto anche oggi dalle recenti cronache venezuelane apprendiamo che a essere colpiti dall’opposizione antibolivariana sono i presidi medici e sociali di cui usufruiscono le persone dei quartieri popolari, quasi come a volerne spezzare il morale e la rete di solidarietà.
Ma la reazione manda in piazza le proprie armate di mostri eterodiretti quando il riflusso è già iniziato, quando le varie fazioni rivoluzionarie hanno finito per massacrarsi vicendevolmente e la rivoluzione ha affievolito la sua spinta propulsiva, facendo emergere nuove contraddizioni. Da questo punto di vista, molto interessante è il fenomeno della gioventù dorata, dei moscardini, che nel romanzo compaiono con il nome di “muschiatini” […]»
– Luca Cangianti, Scaramouche siamo noi, su «Micromega»
«Una delle dimensioni più interessanti è quella della reinvenzione della lingua. I Wu Ming fanno un certosino lavoro di ricostruzione della lingua sanculotta, bestemmie comprese: una vox plebis corale che si basa sullo studio del giornale radicale Le Pére Duchesne e che in italiano usa come collante delle astruse e fantasiose parole che la compongono il bolognese e il ferrarese. Per rendere l’Occitano dell’Alvernia l’italiano dei Wu Ming invece si avvicina al Piemontese. Una sorta di alleanza tra dialetti gallo-italici insomma. C’è poi l’utilizzo politico della lingua: chi non pronuncia (anzi p’onuncia) più la R della rivoluzione e chi la maRca pRopRio per sottolineaRe la sua fede RivoluzionaRia. Per il povero traduttore che dovrà curare la versione francese saranno cazzi.
Se amate Wu Ming ne uscirete malati. Su Twitter abbondano lettori che si ritraggono con la maschera di Scaramouche, che scrivono parole come “gecchi”, “aristocchi”, “muschiatini” per rivolgersi al presente, chi produce finte locandine di film famosi con i protagonisti de l’Armata dei sonnambuli come divi (il set di Mariano Tomatis è in vendita alle presentazioni). Dal libro al web, dalle cartoline agli origami delle maschere di Scaramuche: la storia diventa prodotto transmediale, oggetto vivente che rilegge il passato e irrompe nel presente. Libri che escono dalla carta. Ce ne fossero.»
– Luca Barbieri, Rivoluzione anno zero: attorno all’Armata dei Sonnambuli, su «A Nord Est di che».
«Partirei proprio da qui, perché l’aspetto legato al linguaggio, con il quale ad esempio si esprimono i sanculotti dei vari foborghi che animarono i mesi più caldi della rivoluzione, mi sembra non abbia altri precedenti così riusciti se non in quel meraviglioso romanzo epico che è l’Horcynus Orca di D’Arrigo, dove l’autore messinese crea proprio un idioma dello Stretto.
Ed è ricca di neologismi ed espressioni popolari torbide la parlata del vulgo parigino; inutile affannarsi ad interpellare la Crusca, “sdozzo”, “zagno”, “buridone”, “sbrisga ”sono termini desunti dal bolognese.
Un omaggio a Bologna che fa il pari con la scelta di inserire l’attore Leonida Modonesi tra i protagonisti della vicenda, un riportare tutto a casa per chiudere un’epoca, dalla Frankenhausen di Thomas Müntzer fino a via Verdi, passando per la Costantinopoli di Altai e l’America incontaminata dei nativi di Manituana.
Quando Norman Davies uscì nel ‘96 con la sua Storia d’Europa, analizzando la rivoluzione francese non diede molto spazio al ruolo esercitato dai sanculotti, esortando in maniera indefinita a ricercare: “un’influenza che non è sempre stata adeguatamente valutata”.
Non sappiamo quanto volutamente lo storico inglese abbia invece ignorato gli studi di Daniel Guerin, nelle cui pagine più acute de: “La révolution et nous” aveva giàtracciato quel modello insuperato di rivoluzione democrazia diretta che si sviluppònei mesi fra il maggio del 1793 e il luglio del 1794, sui quali si concentra proprio la storia narrata da Wu Ming.
Mesi nei quali gli avvenimenti si susseguono in maniera vorticosa, come i cambi di direzione politica che sembrano seguire ora le masse in rivolta del lumpenproletariat parigino, ora le strategie della borghesia che trasformando il terrore sociale in terrore politico finirà per consegnare la rivoluzione nelle mani di uno stato centralizzato, burocratizzato e poliziesco.
Il secondo aspetto che più colpisce è rappresentato dai personaggi femminili. La grande novità dell’opera.
Un universo a dire la verità poco esplorato fino ad ora nei romanzi precedenti e colonna portante invece dell’Armata dei Sonnambuli.
Storie spezzate e dolorose, aperte come cicatrici che ancora fanno male.»
– Fabio Cuzzola, Scaramouche contro l’Armata dei Sonnambuli: l’ultimo sipario dei Wu Ming, su «Terra è libertà»
– Frederika Randall, recensione nella rubrica «Italieni» della rivista Internazionale, n. 1050, 9 maggio 2014.
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«Dissezionato qui (in questa Armata dei Sonnambuli che è cuneo narrativo che al contempo sradica e racconta) come corpo vulnerato e vulnerante e tuttavia fremente di rivelazioni anatomopatologiche, il tempo della Rivoluzione Francese viene illuminato attraverso l’azione e l’intersecazione dei piani narrativi che giungono a isolare l’istante in cui il corso vichiano raggiunge lo zenit per poi iniziare la sua parabola verso l’inevitabile ricorso e cioè quell’istante termidoriano in cui l’amplesso della Storia giunge a partorire l’inevitabile climax di un avvenimento che vive quasi come ecosistema autonomo e che governa così le vite di tutti coloro i quali, a tutti i livelli, lo vengono ad abitare in quello stesso frangente. E quel climax è la mutazione quasi antropologica che gli avvenimenti della Rivoluzione Francese subiscono in un avvilupparsi di contrazioni politiche che fanno di quel momento il paradigma universale del percorso e della evoluzione di tante rivoluzioni. Modello, dimostrazione scientifica che mirabilmente gli Autori sanno raccontare come in romanzo di cappa e spada rivisitato da un graphic novel del terzo millennio. E, ancora una volta, come in ogni romanzo dei Wu Ming, la realtà, storica e quotidiana intese come reciproco riverbero di cause ed effetti, non è mai come appare.»
– Angelo Ricci, L’Armata dei Sonnambuli, dal blog «Notte di nebbia in pianura».
ALTRI LINK
I volti de L’Armata dei Sonnambuli – a cura di Roberto Novaresio
Videointervista a Wu Ming 1 su Global Project
Immagini e audio della presentazione al Vag61 di Bologna, con Girolamo De Michele e Mariano Tomatis.
Immagino che abbiate già affrontato l’argomento, ma non me ne sono accorto: vorrei sapere perchè de l’Armata dei sonnambuli non esiste la versione ebook, né gratis come da vostra abitudine, e neppure a pagamento. Grazie dell’attenzione.
Come da nostra abitudine fin dal 1999, ogni nostro libro viene reso disponibile per il download gratuito svariati mesi dopo (tendenzialmente un anno dopo) l’uscita del cartaceo. Q uscì nel 1999 e lo mettemmo scaricabile nel 2000; abbiamo da poco aggiunto agli ebook gratuiti Point Lenana, uscito in libreria nel 2013. L’Armata dei sonnambuli lo metteremo scaricabile nel 2015. Quanto all’ebook a pagamento, abbiamo optato per non praticare quel terreno.
Peccato, è un terreno che da un po’ di tempo mi piace molto praticare, specie per libri molto voluminosi, ma tant’è. Grazie per la risposta.
Nuovi link su L’#ArmatadeiSonnambuli:
Omaggio a Marie Nozière
Gli endecasillabi nascosti
[Spoiler]
Ho trovato azzeccatissima la carrellata iniziale dei multiformi nasi in piazza, una consistenza ‘molle’ rispetto a quello della maschera di Scaramouche. Senza dimenticare l’assenza del naso di LaCorneille, volontà completamente annichilita dalla figura del Cavaliere d’Yvers. Tanta roba.
Come diceva Michel de Certeau si creano degli spazi tra le pagine di un libro, dall’autore/i e il lettore, come un passante in un appartamento in affitto voi avete creato un’intera città da occupare :)
Dopo esserci riuscito con Q e Manituana, proverò a fare entrare nella Rivoluzione i miei alunni con l’Armata dei Sonnambuli…anche stavolta siete riusciti a trovare una via d’accesso alternativa…grazie! Qui, la mia recensione:http://celots.blog.kataweb.it/2014/11/25/wuming-evviva-scaramouche-supereroe-della-repubblica/