La discussione in calce al primo post sul «Potere Pappone» non accenna a spegnersi e nemmeno a calare di intensità. Nel momento in cui scriviamo, siamo intorno ai 350 commenti e il livello è davvero molto alto. Nel frattempo, sono accadute due cose che, se possibile, mettono altra carne al fuoco. O meglio: cucinano in modi inattesi gli stessi ingredienti, fornendo ulteriori spunti, esempi, chiavi di lettura.
Lunedì scorso, nel prime time di Rai 3, è andato in onda il «doppio elenco» di Fini e Bersani sui valori della destra e della sinistra.
Ieri sera siamo andati alla prima bolognese dell’ultimo film di Guido Chiesa, Io sono con te.
Il mesto doppio elenco possiamo analizzarlo subito, perché lo avete visto tutti, o comunque ne avete letto.
Il film di Guido, invece, uscirà nelle sale soltanto venerdì sera (in sole 15 copie, ahinoi). Ci è piaciuto molto. Lo ammettiamo, avevamo dei timori, dovuti anche alla lettura di recensioni e interviste. L’opera, invece, ci ha sorpreso in positivo. Certo, ci sono dei punti critici (di cui vorremmo discutere con voi), alcuni passaggi rischiano di idealizzare la figura materna, ma Io sono con te tocca con sensibilità tutti i temi su cui stiamo dibattendo ultimamente:
– la donna come fondatrice di una genitorialità liberante e non apprensiva;
– la donna come portatrice non solo della propria differenza ma di un universale;
– l’universale come rottura della Legge che fonda ogni divisione: puri e impuri, ebrei e gentili, liberi e schiavi, donne e uomini, adulti e bambini etc.
– la messa in crisi del modello mentale del Padre Severo;
– l’affermarsi di una figura di padre disposto ad apprendere dalle relazioni e interrompere la coazione a ripetere.
A costo di sembrare patetici: questo film merita di sopravvivere nelle sale, di resistere all’urto del primo week-end di programmazione e, magari, di conquistare qualche schermo in più. Chi può vada a vederlo, perché la prossima settimana vorremmo parlarne in modo approfondito, insieme.
E ora passiamo alle cose brutte.
***
Premessa: dal segretario del PD non ci aspettavamo certo affermazioni radicali, estreme, rivoluzionarie. Sappiamo da sempre che quel partito non rappresenta il nostro modo di intendere la politica. Ciononostante, ci aspettavamo quantomeno delle affermazioni. Non le abbiamo sentite.
Bersani parte bene. Il primo punto del suo elenco è la necessità di rovesciare la narrazione dominante, cambiare punto di vista e far scaturire da una differenza (i più deboli) una verità universale, valida per tutti. Una mossa che abbiamo invocato spesso contro le storie tossiche del potere.
«Se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli puoi fare davvero un mondo migliore per tutti»
L’unico appunto che si potrebbe fare è sulla scelta di “più deboli” come etichetta per nominare il nuovo punto di vista. E’ un etichetta, appunto, debole, anche per il ricorso al comparativo (“più deboli”). Già il termine “esclusi” poteva funzionare meglio. Gli esclusi possono ribellarsi e rovesciare la loro condizione. I deboli sono destinati alla sconfitta. Essere esclusi è una condizione storica, dovuta ai meccanismi sociali. Essere deboli è una caratteristica naturale, legata all’individuo. Si poteva scegliere “oppressi”, “emarginati”, “ultimi”, al limite il cattolicissimo “umili”. “Più deboli” fa venire in mente Guzzanti nei panni di Yoda/Veltroni che consiglia al portiere del Centrosinistra: “Usa la debolezza” e finisce con l’ipnotizzarlo prima di un calcio di rigore.
Non a caso, dopo questo attacco, l’elenco comincia subito a infiacchirsi. Bersani smorza l’affermazione successiva, sembra che si vergogni della sua forza, dice una verità e allo stesso tempo la sminuisce. Forse vorrebbe essere ironico: ma allora l’intenzione è peggio del risultato. Avalla l’idea di una sinistra poco convinta, poco affermativa, debole, insicura, che quasi chiede scusa per le sue idee.
«stai bene se anche gli altri stanno un po’ bene»
Noialtri, quando dobbiamo rivedere le bozze dei nostri romanzi, partiamo sempre da una ricerca con i termini «un po’» e «quasi», per poi sterminarli. Non ha senso tirare in ballo un’idea per poi indebolirla. Se vuoi dire che un tizio è “quasi convinto” devi trovare una parola della lingua italiana che esprima quel concetto, ma in maniera piena, non approssimativa. La parola c’è, puoi star sicuro. Usare “quasi” è un segno di pigrizia e di pressapochismo. La lingua dev’essere esatta, affilata, tagliente.
Da qui in avanti la lettura di Bersani sprofonda sotto una valanga di negazioni e scenari negativi.
«Se pochi hanno troppo e troppi hanno poco, l’economia non gira»
Al di là del concetto espresso – condivisibile o meno – è l’espressione stessa ad essere perdente. La cuspide della frase è l’immagine deprimente dell’economia che non gira. Per evitarla, basterebbe dire che una distribuzione equa della ricchezza non è solo giusta, ma anche economicamente desiderabile. Stesso discorso per la frase successiva:
«L’ingiustizia fa male all’economia»
Ma andiamo avanti.
«Ci vuole un mercato che funzioni, senza monopoli, ecc.»
George Lakoff insegna che non si può “negare un frame”. Bisogna combatterlo con un frame diverso. Se mi parli di mercato senza questo e senza quello, nel mio cervello attivi e rinforzi il concetto di “mercato”, punto e basta. I tuoi “senza” valgono zero, come la negazione “non” quando mi ordini di “Non pensare all’elefante”. La frase successiva, da questo punto di vista, è ancora peggio.
«Ci sono beni che non si possono affidare al mercato»
Molto meglio sarebbe dire che ci sono “beni comuni” , elencarli, e sostenere che lo Stato deve garantirli in certe forme. Bersani invece ci sta dicendo che il mercato va bene, a patto di essere buoni. Qualcuno, in passato, diceva la stessa cosa del colonialismo.
Si arriva così alla parte sul lavoro:
«Un’ora di lavoro precario non può costare meno di un’ora di lavoro stabile»
Qui l’andamento “in negativo” dell’elenco combina un vero disastro. Invece di sostenere che il lavoro dev’essere una garanzia, dev’essere stabile e via discorrendo, Bersani finisce per dirci che il lavoro precario va bene, purché non costi meno di quello stabile.
Anche il discorso sulle tasse non esce da questo schema:
«Chi non paga le tasse mette le mani nelle tasche di chi è più povero di lui»
Dovresti dirmi, piuttosto, che chi versa le tasse contribuisce al bene comune e che lo Stato mi deve garantire che il mio contributo venga utilizzato in questo senso. “Contributo”, “contribuente”, “bene comune”, “equità”: sono queste le parole chiave affermative che si dovrebbero usare parlando di tasse.
Anche sulla salute, sulla scuola, sull’ambiente e sull’eutanasia il discorso è tutto in negativo.
«Davanti a un problema serio di salute non ci può essere né povero, né ricco»
Mentre è chiaro che poveri e ricchi ci sono, ma devi garantire a tutti le stesse cure.
«indebolire la scuola pubblica vuol dire rubare il futuro ai più deboli»
Mentre dovresti dirmi che rafforzare la scuola pubblica significa dare un futuro ai nostri figli.
«Non abbiamo il diritto di distruggere quello che non è nostro»
Mentre abbiamo il dovere di rispettare l’ambiente perché anche noi siamo l’ambiente.
«Se devo morire attaccato a mille tubi, non può deciderlo il parlamento»
e poi bisogna
«combattere contro ogni illegalità»
Frase vaghissima e negativa, quando invece dovresti spiegarmi perché ritieni la legalità un valore di sinistra.
Ma la degna conclusione di questa retorica oppositiva è la frase finale dell’elenco.
«combattere l’aggressività che ci abita dentro»
L’enunciato non è solo contraddittorio (“essere aggressivi contro l’aggressività”?) e pericoloso dal punto di vista psichico, ma ancora una volta si basa su una visione in negativo dell’essere umano, che per essere “di sinistra” dovrebbe reprimere una sua caratteristica naturale. Al contrario, se proprio vogliamo metterla in questi termini, essere di sinistra non ha nulla di innaturale. Le neuroscienze dimostrano che l’empatia è cablata nel nostro cervello. Siamo “fatti” per capire gli altri e per collaborare. Questa nostra potenzialità, sempre secondo Lakoff, è alla base del modello narrativo che incornicia la visione “progressista” della realtà: il modello del Genitore Comprensivo, incentrato appunto sull’empatia e sulla cura.
Il discorso di Bersani fallisce perché non riesce a iscriversi in questo modello e d’altra parte non propone nessun frame alternativo, se non – per negazione – quello dell’avversario politico.
Fini, spiace dirlo, ha impostato il suo discorso in maniera più efficace. Il suo modello di riferimento è quello del Padre Severo, e lo sostiene con grande assertività. Così facendo rischia di far breccia nel cuore di molti moderati, pronti a dimenticare che il buon Gianfranco ha retto il moccolo a Berlusconi per 16 anni, firmando le due peggiori leggi dell’attuale ordinamento: quella sulle droghe e quella sull’immigrazione.
Il primo concetto che Fini introduce è la cittadinanza come premio e non come diritto.
«E’ bello, nonostante tutto, essere italiani. Perché è un piccolo privilegio»
«i figli degli immigrati onesti, domani, saranno anch’essi cittadini italiani»
Messa giù in questi termini – onestà, privilegio – anche un’idea deteriore di cittadinanza può apparire positiva. “Un passo avanti” rispetto all’immagine “razzista” che la destra italiana si porta dietro dai tempi del fascismo. In realtà, anche sotto il fascismo – prima delle leggi razziali – i sudditi coloniali potevano acquisire la cittadinanza italiana, purché la meritassero con particolari dimostrazioni di fedeltà. Nel 1933 venne introdotta una legge che permetteva ai meticci, figli di padre italiano, di ottenere la cittadinanza anche se non erano stati riconosciuti. Lo scopo ultimo – secondo il ministro delle colonie De Bono – era quello di evitare il formarsi di “un nucleo di popolazione meticcia”, non inquadrato né tra gli indigeni né tra gli italiani, e dunque “elemento di pericolosa irrequietezza”. Nell’applicare la legge, però, il governatore dell’Eritrea concordò con i giudici di escludere “i meticci di cattiva condotta” e quelli sposati o conviventi con donne eritree. Inoltre, il conferimento dell’ambito “premio” doveva considerarsi “revocabile”.
Rispetto a questo quadro – cittadinanza come premio, cittadinanza come forma di controllo e cittadinanza patrilineare – il discorso di Fini produce uno scarto solo rispetto all’ultimo elemento. L’unica negazione contenuta nel suo elenco, riguarda infatti i padri e la Patria.
«La Patria, da qualche tempo, non è più soltanto la terra dei padri»
La cittadinanza-premio diventa così il concetto cardine che può tenere assieme il modello conservatore del Padre Severo e l’idea di Patria come terra dei figli.
«Destra vuol dire cultura dei doveri»
«Chi sbaglia paga, prima o poi, e chi fa il proprio dovere viene premiato»
«Senza l’autorità della legge non c’è libertà, ma solo anarchia»
«L’uguaglianza dei cittadini dev’essere garantita nel punto di partenza. Da questa vera uguaglianza la destra vuole costruire una società dove il merito e le capacità siano i soli criteri per selezionare la classe dirigente. Un paese in cui chi lavora di più, guadagna di più e chi merita ottiene i maggiori riconoscimenti»
Questo è un vero e proprio temino sul modello del Padre Severo: la disciplina come obbedienza all’autorità, misura di premi e punizioni, strumento per farsi strada nella vita, origine di ogni gerarchia. Morale, ricchezza e potere vanno di pari passo. Una volta garantita l’uguaglianza delle opportunità, chi è più bravo, più disciplinato e più obbediente arriva in cima, mentre gli esclusi sono colpevoli della loro condizione.
Peccato che in realtà proprio quest’impostazione conservatrice abbia come inevitabile sbocco un paese berlusconiano. “Papi Silvio” è un prodotto del modello del Padre Severo. Chi infatti può garantire la meritocrazia? Non lo Stato, che Fini liquida con la classica formula liberista.
«Per la Destra, lo Stato deve essere efficiente, non invadente»
Dunque il mercato, la mano invisibile, garantirà la giusta ricompensa ai cittadini retti, disciplinati e capaci. Si è ben visto, ormai, quanto questa favola sia inconsistente. Nelle mani del mercato, l’uguaglianza delle opportunità diventa carta straccia, e il liberismo si trasforma in una selezione innaturale, dove trionfa chi più si vende, chi imbocca più scorciatoie, chi più prevarica e più si mostra.
Fini, invece, nasconde questa parentela stretta tra “Papi Silvio” e il “Padre Severo” e conclude con una frase fiduciosa e ottimista, ancora una volta affermativa.
«Non dobbiamo costruirla dal nulla, quest’Italia migliore: c’è già. Dobbiamo solo far sentire la sua voce»
Anche per noi l’Italia migliore c’è già, o meglio: gli italiani migliori. Sono quelli che ogni giorno difendono i beni comuni e lottano per dignità, solidarietà e autodeterminazione. Queste persone non si sono certo scordate chi sia Fini e cosa abbia fatto in tutti questi anni. Oggi avanzano in ordine sparso, con molte voci, ma sapranno trovare una lingua comune, lontana da elenchi vuoti e tristi giochini.
Perfetta analisi del tortellino e della tappezzeria. Sono stati ridicoli, ma il peggio credo siano gli italiani che gli andranno dietro, che avranno condiviso, e applaudito. Immagino in particolare molti “sinistri” elogiare Fini, la sua visione ampia e quasi progressista (?!)… Certo con un avversario del calibro di Bersani, il compitino era facile. Però la visione del Padre Severo, che avete colto molto bene, temo sfugga ai più, anche tra coloro che si definiscono di sinistra. C’hanno abituati a camminare così in basso, ad avere così poco, che il primo Fini che dice qualche ovvietà, sempre nel quadro del suo pensiero di destra, viene salutato come un grande cambiamento. Io non so se il governo cadrà, ho qualche dubbio, ma in ogni caso ci aspettano ancor tempi bui, se non si trova una via per uscire da questa condizione. E mi preoccupa ancor di più il berlusconismo senza Berlusconi.
Che dire, è la regia del PD.
Due leader che fuori dalla televisione non esistono (Fini è virtuale, quanto conta Bersani si è visto con le primarie a Milano), che rappresentano non la buona politica ma la politica dei “buoni”, con Berlusconi caricaturalizzato da Albanese e dato per morto: è un universo virtuale, a cui Saviano dà una patente di realtà che lo spettacolo in sè non merita. Certo, ci sono Englaro e Welby, ma lì il messaggio è: liberi di morire. Ammetterete che non è il massimo per un paese prostrato che avrebbe bisogno di un’iniezione di strategia vitale.
C’è in giro una paraculaggine insopportabile, nel fingere che fatto fuori Berlusconi (se poi ci si riesce), tutto andrà a gonfie vele, quando il massimo che si riesce a denunciare è la criminalità organizzata.
Se si volesse veramente far male bisognerebbe dire che criminale è il signor OMSA che delocalizza in Serbia con un’azienda in attivo, che fiancheggiatori oggettivi della mafia si è anche quando si compra uno scudo di fumo, e anzichè sparare su simboli (Ratzinger) sarebbe ora di cominciare a parlare di cosa sta facendo la Compagnia delle Opere ad un settore amplissimo che va dalla sanità alla scuola.
Tra Scodinzolini e Fazio non vedo una gran differenza: sono entrambi al servizio di un progetto di cosmesi della realtà, due “partiti dell’amore” dalle cui neolingue la parola “battaglia” è stata accuratamente espunta.
Oggi più che mai, l’unica televisione buona è quella spenta.
Riguardo a quel ”piu’ deboli” di Bersani, io credo che la questione comparativo vs. superlativo sia qualcosa di piu’ di una scelta di comunicazione e rifletta piuttosto due modi diversi di intendere i valori di sinistra. In estrema sintesi, mi sembra qualcosa di prossimo alla contrapposizione fra l’idea marxista e quella socialdemocratica. In quest’ottica, la scelta lessicale di Bersani non fa una piega.
@Valter: Sì, è un universo virtuale. Non a caso, il momento migliore del programma è stato quando Cetto La Qualunque, col dito puntato verso tutto lo studio, ha dichiarato: “Ricordatevi: VOI siete la fiction, IO sono la realtà”
@alessandroa: come detto nella premessa, non ci aspettavamo da Bersani un pensiero radicale, né che partisse da un’analisi di classe, proponendo un analogo efficace di “proletari”. Tuttavia, parlare di “più deboli” mi sembra davvero cattiva retorica, anche in un quadro socialdemocratico. Mentre il concetto di esclusi è incompatibile con il modello conservatore del Padre Severo, quello di “più deboli” rischia di dire la stessa cosa: che l’uguaglianza delle opportunità e un mercato “buono” possono essere il fondamento della giustizia sociale. Parlare di esclusi, di emarginati, non è niente di rivoluzionario: significa solo far capire che il problema non è la fragilità di certi individui, ma i meccanismi escludenti della società.
Aggiungo un elemento. Bersani ha pure detto che “per guidare un’automobile, che è un fatto pubblico, bisogna avere la patente, che è un fatto privato. Per governare un paese, che è un fatto pubblico, bisogna essere persone perbene, che è un fatto privato”.
A quando la patente di perbenismo?
Dio mio. Se questa fosse la sinistra, ci sarebbe davvero da mettersi a piangere.
Io pero’ ritengo ineludibile la domanda
“Chi infatti può garantire la meritocrazia?”. Anche perche’ si puo’ formulare in termini pratici, per esempio ogni volta che andiamo in un ospedale vorremmo tutti, penso, essere curati da un medico molto bravo, se non dal migliore. Come facciamo a renderlo possibile? Il numero di medici in un paese e’ fissato, come scegliamo chi ne fa parte?
Dite “nelle mani del mercato, l’uguaglianza delle opportunità diventa carta straccia, e il liberismo si trasforma in una selezione innaturale, dove trionfa chi più si vende, chi imbocca più scorciatoie, chi più prevarica e più si mostra.”
Purtroppo temo quest’idea sia smentita dal fatto che nazioni sicuramente piu’ liberiste dell’Italia garantiscono la meritocrazia senza dubbio piu’ di quanto succeda da noi. Qundi il liberismo deve avere almeno qualche complice, probabilmente con un ruolo piu’ importante, in questo misfatto…
In ogni caso sono ancora alla ricerca della risposta “di sinistra”, non quella del PD, ovviamente, a questa domanda. E la superficialita’ con cui spesso la vedo trattata mi fa sempre dispiacere.
@enrico.
“nazioni sicuramente piu’ liberiste dell’Italia garantiscono la meritocrazia senza dubbio piu’ di quanto succeda da noi”.
Boh, mi piacerebbe sapere da dove ricavi questa convinzione. Pensi agli Stati Uniti? E come fa un paese senza welfare ad assicurare che i meritevoli privi di mezzi non restino indietro? Con le borse di studio pagate dalle fondazioni? Pensi alla Gran Bretagna? Una delle società più aristocratiche del pianeta?
A me pare che senza stato sociale e scuola pubblica di qualità, la meritocrazia sia solo un eufemismo per nascondere un discorso classista. Il liberismo, dagli anni Ottanta in poi, si è dedicato allo smantellamento dello stato sociale, cioé al contrario della meritocrazia. Perché se togli certe garanzie – non solo “nel punto di partenza” ma lungo tutta la vita delle persone – allora il ricco e i suoi leccaculo l’avranno sempre vinta sul meritevole e sul capace.
a proposito di meritocrazia. fermo restando che condivido cio’ che ha scritto wuming2, ho la sensazione che in italia questo termine abbia subito uno slittamento semantico. in italia “meritarsi qualcosa” significa *veramente* “meritarsi qualcosa da quello che te la puo’ concedere”. non c’e’ nessuna ipocrisia. ad esempio: “se vuoi un avanzamento di carriera te lo devi meritare” significa *veramente* “fai quel che dico io e non rompere i coglioni”.
@ WM2. Ho fatto un esempio concreto: la sanita’. Vuoi veramente sostenere che la selezione dei medici in Italia sia piu’ meritocratica di quella di UK e USA? Avevo anche aggiunto che ben mi guardo dal sostenere che quella lo sia davvero… Ma il confronto?
Considera tutto il welfare che vuoi, non sono certo io a volerlo ridurre. La domanda rimane: come si fa selezione?
O vuoi negare che una selezione esista?
Ancora piu’ strano: il settore editoriale italiano e’ senza dubbio piu’ liberista(!) di quello della sanita’ e quindi secondo la vostra posizione e’ nel primo che si ha una “selezione innaturale, dove trionfa chi più si vende, chi imbocca più scorciatoie, chi più prevarica e più si mostra”.
Uno dovrebbe dunque dedurre che un medico semianalfabeta, figlio di medico, nipote di medico e’ comunque stato scelto in modo piu’ “naturale”, di un autore di Einaudi, che deve evidentemente o mostrarsi, o prevaricare, o imboccare scorciatoie…
“Dietro i teatrini della politica si erge il faccione sghignazzante della realtà.” Fini, Bersani & C. sono pessimi teatranti di politiche economico militari decise a ben altri livelli. L’Italia è stata ed è una pedina importante nello scacchiere geostrategico mondiale, i nostri pessimi teatranti sono espressione diretta di quella plutocrazia mondiale che determina le politiche militari economiche e sociali nel nostro paese. Faccio alcuni esempi in ordine sparso. Di recente, il noto Edward Luttwak ha dichiarato a Ballarò che gli Stati Uniti vogliono Fini come nuovo premier, mica parla a caso quello. Come non ricordare lo sdoganamento di Fabio Fazio a Tommaso Padoa Schioppa, uomo dei banchieri europei, ministro dell’ultimo Prodi ora impegnato ad aiutare il governo greco nella ristrutturazione del debito (auguri!!!); oppure il D’Alema che brindava sorridente al cinquantesimo della NATO mentre fioccavano bombe sulla Serbia. Qualcuno ricorda lo strano caso del Britannia? http://www.carmillaonline.com/archives/2005/12/001619.html#001619
Oggi, in assenza di una struttura organizzata che recepisca il malessere di tante componenti della società italiana, oltre alla necessità di ricostruire questa struttura è fondamentale tentare in ogni dove di connettere i diversi fronti di lotta, per trovare sintesi, filo conduttore, connessione sentimentale, condivisione analitica che faccia emergere un intellettuale collettivo capace di esercitare egemonia culturale e sociale, passaggio determinante per tentare di uscire da trent’anni di destrutturazione dei fondamenti costituzionali nel nostro paese.
Giusto, giustissimo analizzare le implicazioni di un programma che, senza dubbio, ha sparigliato le carte denotando “fame” di contenuti; altrettanto giusto usare queste analisi come punto di partenza per sbirciare gli sghignazzi “dietro le quinte”.
my 2 cents: ho l’impressione che l’*unico* valore di una trasmissione come quella di cui si sta parlando è la sua capacità di sincronizzazione dell’attenzione di milioni di persone che hanno visto e reagiscono nello stesso momento a uno stesso fatto o alle stesse parole. nel 2010 la tv ha ancora questo potere.
ora, capisco anche che l’urgenza della situazione economica, sociale, psichica richieda una riflessione costante e in tempo reale su ciò che accade. tuttavia non capisco perché discutere di fantasmi (i vari pseudo-leader politici e le loro retoriche consunte e pure mal recitate, etc.). Quando invece abbiamo in mano la capacità di creare *noi* altri discorsi di riferimento, di definire noi l’agenda, l’attualità. Forse è una riflessione un po’ ingenua però anche a quello serviva la cara vecchia mitopoiesi, no?
Dire che la tv fa male o è puro spettacolo è una cazzata (citofonare Debord, se non risponde citofonare Blissett). In realtà abbiamo disperato bisogno di questa sincronizzazione sociale, di personaggi che tutti conoscano, di fatti rilevanti su cui discutere, di idee che ci facciano sentire parte di un gruppo, una società (e che possano provocare reazioni locali e globali a catena, possibilmente positive).
Nel loro piccolo (?) Giap e Wu Ming sono strumenti per creare questo effetto di sincronizzazione sociale senza dipendere dalla scaletta di un programma televisivo, per altro patetico (Saviano a parte)….
@enrico.
Secondo me la meritocrazia non si misura guardando cosa produce, ma *come* lo produce e *quanto*, potenzialmente, si lascia alle spalle. Se in UK ci sono ottimi medici, ma il 99% di loro è figlio di buona famiglia o di altri medici, mi viene il dubbio che la meritocrazia sia andata a farsi friggere, e che la selezione non si basi sul merito, ma sulla pura competizione (nella quale, lo ripeto, trionfa il nepotismo, la lobby, il denaro).
Quanto all’editoria, hai ragione. E infatti nessuno dice che sia il paradiso. Se non vuoi imboccare scorciatoie, prevaricare, mostrarti, devi fare molta fatica, inghiottire rospi, e non è affatto detto che sarai premiato. Quando poi lo sarai, anche solo un pochino, ci sarà sempre quello che verrà a dirti che siccome il sistema è marcio, sei marcio anche tu. E tu, magari, per non prendere scorciatoie, ti sentirai pure in dovere di rispondergli con calma.
A proposito di editoria. Pare che un piccolo passo, in una direzione diversa, lo si stia muovendo proprio in questi giorni:
http://loredanalipperini.blog.kataweb.it/lipperatura/2010/11/18/piccoli-passi/
Parzialmente OT, lo preannuncio, e invito a tenerne conto, perché questa non diventi una discussione, anziché sul tema generale, sull’esempio che sto per fare. Cioè: perché non diventi una discussione focalizzata sull’eccezione anziché una disamina della regola.
Non farei di tutta l’erba (la trasmissione) un fascio.
Io sono abbastanza d’accordo con quello che dice Valter: il disastro dei due elenchi qui analizzati si inserisce in un frame che appartiene all’intera trasmissione. Ho trovato agghiacciante il primo piano di Beppino Englaro, evidentemente a disagio, mentre alle sue spalle intonano “La canzone di Marinella”…
Però… è innegabile che almeno *un* momento della trasmissione abbia, per così dire, toccato il reale, e lo abbia non solo toccato, ma colpito con forza: Saviano che parlava dei rapporti tra mafie e Lega Nord ha provocato uno scossone nell’immediato (Maroni non aveva mai avuto reazioni così scomposte) e, chissà, forse contribuito a innescare un processo i cui risultati profondi vedremo emergere più avanti. Dieci milioni di persone hanno visto quel monologo, quindi la Lega non poteva ignorarlo, doveva reagire. Se la reazione messa in campo sinora sia adeguata o meno, lo vedremo.
L’alluvione in Veneto e la denuncia di rapporti tra leghisti e ‘Ndrangheta in Lombardia sono un potenziale uno-due in faccia all’unico partito che dà per scontato di cadere in piedi dalla crisi politica di questi giorni.
L’alluvione rende visibile il fatto che la Lega, dopo anni a riempirsi la bocca di “radici” e di “territorio”, ha letteralmente reciso ogni radice (senza alberi il suolo non tiene l’acqua piovana) e devastato il territorio.
La connivenza tra ‘Ndrangheta e borghesia lombarda dimostra che “Roma ladrona” era un transfert.
Fine dell’intermezzo.
Mi sembra molto interessante quello che fa notare Binaghi a proposito della virtualità di Fini e Bersani. Si tratta di due figure la cui importanza è data più dalle posizioni che occupano che non da un reale riscontro in termini di consenso. Che è poi il termomentro dell’esistenza di un soggetto politico, quale che sia.
Quello che mi domando, allora, è quali siano le forze politche NON virtuali che operano attualmente nel Paese e, soprattutto, una politica REALE, non ridotta a teatrino virtuale, è ancora possible?
Passando nello specifico dell’analisi delle due retoriche: se Fini si presenta come l’incarnazione del Padre Severo, che diventa dunque il modello valoriale a cui si richiama la destra, allora Bersani dovrebbe, dato il carattere oppositivo dell’intera operazione (dx vs sx), incarnare, o perlomeno proporsi di incarnare, il ruolo del Padre Comprensivo. E’ chiaro che questa operazione non riesce, proprio per la debolezza di una retorica fondata sulla negatività: che fa di Bersani un Padre-un-poco-meno-Severo di Fini. E della sinistra, almeno di quella che trova spazio nella realtà politica virtuale, la copia sbiadita della destra.
In quest’ottica, mi chiedo se sia sufficiente un semplice cambio di paradigmi retorici entro la logica binaria della paternità severa-comprensiva, per fondare un discorso del tutto nuovo? E non piuttosto l’elaborazione di un concetto di genitorialità che superi questa opposizione binaria.
Ho in mente, come esempio, il discorso che Luc Boltanski fa a proposito della rappresentazione a distanza della sofferenza. Secondo Boltanski esistono tre topiche (costruzioni narrative) per rappresentare la sofferenza a distanza: una topica della denuncia, propria del discorso progressista-socialista, focalizzata sull’individuazione e la messa in accusa del responsabile della sofferenza, una topica del sentimeno, propria del discorso conservatore, focalizzata sulla retorica della beneficenza e sulal figura del benefattore.
Entrambe queste topiche hanno come effetto la distruzione dell’empatia, e la messa a distanza del sofferente, che diviene invisibile.
La terza topica, o topica estetica, è propria della rappresentazione “artistica” della sofferenza, che non avvicina l’orrore della sofferenza a partire da una posizione definita, ma permette di farlo sentire (to feel), ed esistere solo in quanto orrore puro, infatti “in questa topica lo spettatore simpatizza, in realtà, con l’infelice per quel tanto che questi si da a vedere. Egli “si impone agli sguardi”, si “sente penetrato, posseduto dall’altro” con una “passività d’oggetto sottposto agli sguardi” e “si fa cosa agli occhi degli altri e ai propri”, come dice sartre a proposito di Baudelaire.”
@ Flavio
per trovare la politica in Italia, in questa fase storica bisogna guardare sopratutto fuori dalla politica strictu sensu. In questo momento ci sono, da Aosta a Palermo, da Trieste a Gallipoli, centinaia di comitati, coordinamenti, associazioni, collettivi, circoli, reti che si mobilitano su obiettivi in apparenza circoscritti ma in realtà strategici e portatori di universalità: la scuola pubblica, l’acqua pubblica, l’immigrazione, la dignità di chi lavora, l’ambiente e il territorio, la cultura che resiste ai tagli, le tematiche educative, la riqualifica di aree urbane dismesse o degradate, il corpo, le scelte di vita.
Tutte queste energie, tutta questa passione, scontano l’assenza di una cornice che accomuni anziché dividere. E questa, certo, è una strategia ben precisa di occultamento, ma non possiamo sempre dare la colpa agli altri e mai a noi stessi: noi siamo vittime di una certa “retorica delle differenze” e di una “paura di ogni universale” che, negli ultimi anni, ci ha di fatto *settorializzati*, “corporativizzati” (è il verbo usato da Binaghi in un suo commento nel mega-thread), a volte addirittura balcanizzati.
In questo momento ci sono lotte dappertutto. Molte sono “solo” difensive (lo sono giustamente, sia chiaro), ma non tutte. Il problema è che, salvo rari casi e nobili tentativi, non vengono collegate tra loro né da chi le racconta né da chi le porta avanti in prima persona. Nei media le troviamo quasi tutte, ma “impaginate” in modo che restino separate. Ieri molte città italiane sono state percorse da grandi cortei sulla scuola. Nei giorni scorsi abbiamo avuto intense lotte per i diritti dei migranti, lo sciopero della fame di una precaria, le contestazioni a Berlusconi sui luoghi dell’alluvione veneta, la protesta dei vigili del fuoco siciliani, la lotta durissima dei pastori sardi. Nelle settimane precedenti, scontri e autorganizzazione dei cittadini contro le discariche in Campania, lotte operaie radicali come quella alla Ducati Energia di Bologna (uno sciopero a oltranza conclusosi con una vittoria). Appena ieri: a Pomigliano un referendum di fabbrica “incorniciato” in modo ricattatorio si è rovesciato in un segnale di resistenza operaia, l’ex-carcere dell’Asinara è stato occupato da cassintegrati… E il grande movimento per l’acqua pubblica, che è riuscito a mettere sull’agenda nazionale un tema “invisibile”… E quei sindaci combattivi che vanno contro grandi interessi e vengono uccisi o esautorati…
Se queste lotte trovassero il loro comune multiplo, incrociassero i percorsi di chi sta cercando non solo di resistere ma di costruire qualcosa, e fossero accompagnate dalla condivisione di saperi nuovamente *fondativi*, quest’incontro produrrebbe mille volte più politica di tutti gli pseudo-eventi politici strombazzati dai Tg.
È vero che i vari Bersani e Fini (ma anche Vendola, per dire) sono funzioni di un sistema di potere, non veri soggetti politici. Ma è appunto in tale veste che li si può (deve) analizzare.
La sensazione che Bersani e Fini abbiano in fondo detto la stessa cosa con parole diverse è dovuta al fatto che… è così.
Indicatemi un punto in cui il discorso di Bersani (del PD, della pretesa opposizione politica italiana “di sinistra”) esce dalla narrazione mainstream per produrne una diversa e io mi rimangio tutto.
Sulla funzione sincronizzatrice della TV sarei d’accordo, salvo nell’attribuire a tale funzione, di per sé, un valore positivo.
La TV è un medium autoritario per sua natura. Non conta nulla il messaggio che veicola (se poi non sei nemmeno tecnicamente in grado di presentarlo, di gestirlo, tanti saluti… ). La sincronizzazione può essere positiva usando altri media, più aperti e orizzontali, più a fruizione attiva (mi vengono in mente Jenkins e la sua “cultura convergente”, per es.).
Sulla meritocrazia, d’accordo con WM2. La meritocrazia dei paesi anglosassoni è più una competizione interspecifica, in cui la posizione di partenza disuguale – sia pure per diverse vie – garantisce comunque chi ne ha una vantaggiosa. La differenza è che non si basa sulla corruzione, forse.
Ma è la panzana deleteria della competitività che andrebbe disarticolata ed eliminata dalla scena (cosa che il PD si guarda bene dal fare, ovviamente).
Preferisco il modello scandinavo, se proprio devo scegliere. Ma in Italia è improponibile.
In Italia è improponibile qualsiasi forma di economia capitalista efficiente, che funzioni secondo un’etica diffusa, ad essa intrinseca. Le ragioni sono strutturali, storiche, culturali e persino geografiche.
Viceversa, ciò è possibile laddove questo modello economico è nato e si è affermato o dove esistono una coesione sociale e un processo di identificazione collettiva che garantiscano il funzionamento dei sistemi di controllo, dei contrappesi spontanei dentro la società stessa (come in Germania).
Anche a me, poi, Fazio sembra solo un normalizzatore dal volto umano. Che lui lo sappia o no.
@WM1
Se dici una cosa del genere, io penso a Lenin e al “Che fare?”. Sì, lo so, è stato già citato in discussione (nel mega-thread ed anche altrove) ma qua mi sembra che il problema sia calzante, quello dell’organizzazione. E allora? Partito? Sindacato? Le risposte del ‘900 le conosciamo: oggi è possibile un universale politico che si dia secondo queste forme o ne serve una nuova? E questa emergerà dalla prassi o va pensata nella teoria?
@ sleepingcreep
quello mi sa che è un passo da fare più avanti. I soggetti politici organizzati non nascono dalla testa di Giove, ma dalla sintesi di varie forme di organizzazione che nascono nei conflitti reali. In ogni caso, non credo sia riproponibile il partito leninista, creatura di circostanze storiche diverse dalle nostre. “Che fare?” è una buona domanda, ma solo se ci si è anche chiesti “Cosa c’è?”, “Dove, esattamente?” e “Chi?”.
@wu ming 1
copio e incollo dal Sanguineti
“siamo i proletari del mondo d’oggi: non più gli operai di Marx o i contadini
di Mao, ma “tutti coloro che lavorano per un capitalista, chi in qualche
modo sta dove c’è un capitalista che sfrutta il suo lavoro”. A me sta a
cuore un punto. Vedo che oggi si rinuncia a parlare di proletariato. Credo
invece che non c’è nulla da vergognarsi a riproporre la questione.
E’ il segreto di pulcinella: il proletariato esiste. E’ un male che la
coscienza di classe sia lasciata alla destra mentre la sinistra via via si
sproletarizza. Bisogna invece restaurare l’odio di classe, perché loro ci
odiano e noi dobbiamo ricambiare. Loro fanno la lotta di classe, perché chi
lavora non deve farla proprio in una fase in cui la merce dell’uomo è la più
deprezzata e svenduta in assoluto? Recuperare la coscienza di una classe del
proletariato di oggi, è essenziale. E importante riaffermare l’esistenza del
proletariato. Oggi i proletari sono pure gli ingegneri, i laureati, i
lavoratori precari, i pensionati. Poi c’è il sottoproletariato, che ha
problemi di sopravvivenza e al quale la destra propone con successo un libro
dei sogni.
(Edoardo Sanguineti)”
Che proletariato e sottoproletariato si vadano mescolando è chiaro a tutti; che l’odio sia naturalmente fomentato nelle dinamiche quotidiane che a volte portano magari a preferire d’esser povero ma il più vicino possibile a una vaga e sognata idea di libertà, anche questo è chiaro…cosa non mi è chiaro sono le cornici…oltre alla natura dell’essere umano, il mistero più grande, e soprattutto dell’essere umano italiano, mistero per me ancora più grande…apprezzo molto la campagna Internet for Peace che Wired sta portando avanti e spero in sviluppi interessanti…vivo in inghilterra e le proteste sono anche qui molte e differenti ma tutte incorniciate in un piccolo frame…mi chiedo quale elemento possa davvero aprire le menti ad orizzonti più ampi e i cuori a egoismi più piccoli…
Com’era naturale, l’attenzione di chi commenta è tutta per la nostra analisi degli elenchi di Fini e Bersani e quindi, allargando, per il reale che quegli elenchi lasciavano fuori.
Dobbiamo stare attenti, una discussione così rischia sempre di allargarsi troppo, fino ad arrivare a parlare di tutto e di niente.
Soprattutto, non vogliamo che passi in secondo piano il nostro invito a vedere il film Io sono con te. Nel post c’era anche quello. Ragion per cui, ribadiamo l’invito. Entro lunedì scriveremo le nostre impressioni sul film, e pensiamo sia più utile offrirle a chi può comprenderle e quindi interloquire nel merito, non in modo vago.
Tra l’altro, il film di Chiesa e gli elenchi non li abbiamo accostati per puro caso. Il tema del Padre Severo vs Genitore Premuroso è presente in entrambi. Quello dell’empatia, pure. Così come la questione del rapporto tra differenza e universalità.
La nostra analisi di Fini & Bersani voleva essere concettuale e linguistica, non sui contenuti. Come premesso, dal punto di vista delle idee ci aspettavamo ben poco. Ma vista tutta la discussione sulla retorica delle storie tossiche, ci sembrava utile fare un piccolo esercizio pratico.
“Il film di Guido, invece, uscirà nelle sale soltanto venerdì sera (in sole 15 copie, ahinoi). Ci è piaciuto molto. Lo ammettiamo, avevamo dei timori, dovuti anche alla lettura di recensioni e interviste. L’opera, invece, ci ha sorpreso in positivo. Certo, ci sono dei punti critici (di cui vorremmo discutere con voi), alcuni passaggi rischiano di idealizzare la figura materna, ma Io sono con te tocca con sensibilità tutti i temi su cui stiamo dibattendo ultimamente”.
La lettura di alcune recensioni e interviste che si trovano in rete ha fatto storcere il naso anche a me per lo stesso motivo (il pericolo di derive, magari involontarie, verso una retorica della maternità) ma non avendo ancora visionato la pellicola mi astengo da qualunque giudizio: mi fido del vostro. Se riesco, nel week end vado a vederlo, nel frattempo cerco di riprendermi dalla delusione per il film di Martone/De Cataldo :-(
Premetto che non ho visto la trasmissione, quindi non so come sia stata l’elencazione dei due dal punto di vista della ‘performance’ televisiva.
Non so chi abbia preparato i due elenchi (cioè chi ne sia stato l’autore: loro stessi? i loro ghost-writers? gli autori della trasmissione parlando con loro? i visitatori del sito della trasmissione?), non so quante mediazioni abbiano portato a quei due elenchi. Dall’analisi linguistica così puntuale che avete fatto, comunque, emerge in modo del tutto evidente il “miagolare nel buio”, di guzzantiana memoria, della sinistra(?) rappresentata da Bersani.
Tanti “non” in un unico elenco programmatico che dovrebbe dire cosa “è” la sinistra, fanno davvero impressione…
Quoto i due interventi di WM1: anche secondo me la maggiore utilità della puntata, il punto più alto, è stato il discorso di Saviano dei legami tra Lega e ndrangheta. Leggendo Miglio (a cui tra l’altro è intitolata la famosa scuola di Adro, è il maggior “teorico” della lega) e commentandolo Saviano ha detto qualcosa di *centrale*: la mafia persiste soprattutto perché il nord industriale non riesce a fare a meno di essa; il nord è una delle zone più ricche e industrializzate del mondo perché la mafia gli abbatte i costi del mercato del lavoro, i costi sociali, i costi ambientali, la concorrenza. Sono cose che tutti sanno ma che nessuno aveva ancora detto in tv con questo seguito: è un fatto di grande portata e forse potrebbe esserlo stato ancor di più (secondo me il Saviano oratore non è stato all’altezza della sua pagina, mi è sembrato che anche lui in alcuni punti avesse paura di essere troppo netto). La reazione di Maroni e l’arresto ad orologeria di Jovine lo dimostrano.
Mi interessa ancora di più il discorso sulla necessità di una cornice per le miriadi di piccole lotte locali (e il fatto che questa cornice non possa subito essere un partito). Vorrei che se ne parlasse, vedo questa esigenza un po’ ovunque. Secondo me manca purtroppo anche il medium, il *luogo*, per un dibattito che voglia essere creatore di una nuova cornice: internet, ma dove, come, quale internet? Anche la protesta di Paola Caruso è stata oserei dire paradigmatica a proposito. Ritorna anche il discorso sul soggetto fatto nell’altro thread: quale soggetto può incaricarsi di questo senza condizionare, delimitare, “mosaicizzare” a sua volta il dibattito?
Scusate se sono andato troppo OT.
in riferimento alla risposta data da wuming1 a flavio riguardo la mancanza di una cornice comune per le singole lotte degli italiani “resistenti”, consiglio a tutti (soprattutto a uomoinpolvere che sembra interessato all’argomento) di leggere “la guerra civile fredda” di Daniele Luttazzi.
il concetto di guerra civile fredda è esattamente quello descritto da wm1: una miriade di lotte atomizzate che gli italiani non riescono a collegare fra loro, visto l’ottundimento provocato dall’aggressività dei media.
Luttazzi dice che gli italiani non sanno più collegare i fatti e le notizie l’una all’altra, reagendo solo a stimoli particolari e perdendo di vista il quadro generale di oppressione quotidiana.
la mia è una sintesi brutale, per cui vi consiglio di comprare il libro.
scusate l’off topic, ma il commento di wm1 mi ha fatto pensare immediatamente al libro di Luttazzi.
Possibilità che il film sia distribuito in qualche sala a londra, Uk?
Due punti mi colpiscono:
La donna come fondatrice di una genitorialità liberante e non apprensiva.
Non ho visto il film, ma ho insegnato la materia. Ci provò Sibilla Aleramo a fondare una genitorialità liberante e non apprensiva. Le fu tolto il figlio e ogni accesso al suo patrimonio. Le si scagliarono contro i bersaglieri dell’essenzialismo biologico. Erano altri tempi, ma neanche tanto. Come si fa in un paese come questo a riprovarci, quando a scuola, nell’età formativa, la mamma è ancora indicata come maggior responsabile delle disfunzioni educative dei figli? Quando si verificano problemi si sente sempre solo dire “dov’è la mamma?”. Poi si scopre che la madre è separata, lavora dalle 8 alle 10 ore al giorno, ha un altro figlio adolescente che la accusa di avere abbandonato il padre oltre a renderle la vita impossibile in mille altri modi. Ecco, questa sarebbe la normalità, quella che si vede dalla privilegiata finestra sul mondo che è la secondaria pubblica italiana.
Di sera poi, questa famiglia felice si rilassa sul divano e guarda Mediaset, dove non è che l’autostima e il ruolo fondativo della genitrice vengano mai in qualsiasi modo incoraggiati.
Cambiare la narrazione, sì: ma dove, come e quando? Di certo non a scuola, dove siamo presi con le bombe, e far accettare un percorso guidato sulla consapevolezza del bullismo è già rivoluzionario.
Poi: non avete commentato le diverse accezioni di “eroe” utilizzate dai due geni della comunicazione qui presenti in video. Probabilmente perché reduce dalla recensione del saggio di Wu Ming 4, visto che scrivendola riflettevo proprio sul lessico di destra in riferimento al concetto, mi chiedo: che vuol dire per questi due essere un eroe? Per Bersani, eroi sono quelli che salvano i ragazzi dall’abbandono scolastico, nonostante le condizioni in cui versa lo stesso personale scolastico. Molto bene: allora non abbia bisogno di eroi, ma di soldi.
Per Fini, se non ho capito male (faccio ancora fatica a concentrarmi quando parla un fascista), eroe sarebbe chi difende la Patria nel quotidiano e dal terrorismo, il che implica che per salvare noi dal terrorismo si fanno incursioni nelle scuole ammazzando civili nell’altrove di cui nulla si sa, e dove ci sono parecchi eroi alla Bersani che insegnano nonostante tutto.
Insomma, la mia impressione è che la parola eroe, come la parola precario, sia molto in voga, e la si ficchi nei discorsi, da una parte e dall’altra, senza che vi sia alcuna riflessione sull’essenza dell’eroismo, che non è se non funzione narrativa e la cui presenza nel discorso deve essere associata a una necessità reale, e non a vuota prosopopea, il cui effetto è sempre e irrimediabilmente lo svuotamento di significato, proprio come è successo con il termine precario.
Non è una coincidenza che vi siano echi tra quel che scrive Luttazzi e quel che si scrive qui. Le parti teoriche del libro di Luttazzi ripropongono analisi di Lakoff e del Rockridge Institute. Sono testi che cerchiamo di usare anche noi. Solo che noi lo facciamo citandoli e citando i loro autori, affinché chi ci legge possa risalire a essi, conoscerli senza intermediari più o meno trasparenti, verificare se l’utilizzo che ne facciamo è pertinente o meno, pedissequo o meno. Luttazzi ha scelto un altro approccio. Ma qui siamo già OT.
Postilla: per non dire di quando il precario è l’eroe, che è puro delirio.
@seimiliardi
su questo non ne abbiamo un’idea. Ma se è distribuito in sole 15 copie in tutta Italia, figurarsi la distribuzione all’estero…
Leggo che le liste della spesa le ha scritte un unico ghost writer: http://chiarelettere.gruppi.ilcannocchiale.it/?t=post&pid=2563971 e non mi stupisco… non so voi!
Ciao Claudia!
Il film di Chiesa (che oggi compie gli anni :o)) mi è piaciuto moltissimo, come forse hai letto nella mia recensione, soprattutto perché si fonda molto anche su un libro di Jean Liedloff tradotto anche (male) in italiano con il titolo di “Il concetto del continuum”. A parte qualche aspetto un po’ datato sul ruolo del padre nella coppia genitoriale (che secondo me il film infatti supera), l’ho trovato un approccio decisamente geniale e rivoluzionario, e credo che l’avrei messo in pratica se avessi avuto dei figli, ma certamente prevede che si faccia i genitori per davvero, soprattutto fino al primo anno di vita del bambino. Però è un approccio che prevede uno Stato di impronta scandinava, non certo il nostro… Te lo consiglio cmq, volessi mai allevare dei cuccioli d’uomo ;o)
Il film è cmq molto molto bello in generale, e se ti capita di poterlo vedere in lingua originale (arabo) con i sottotitoli te lo consiglio VIVAMENTE perché è davvero molto più emozionante e verosimile..
Per favore, non cominciamo a discutere del film adesso, quando non è ancora uscito nelle sale e nessuno può interloquire. Vi chiediamo di pazientare, e di attendere il nostro post approfondito.
La sinistra “moderata” è rimasta letteralmente senza parole, senza una narrazione da proporre, senza un futuro da tratteggiare. La destra postfascista-liberista-patriottica sta riuscendo in qualche modo a delineare una sua linea, un’idea di destra. Un’idea di merda contro nessuna idea. Ottimo.
Orfani, senza padri, senza un dibattito politico che valga la pena stare ad ascoltare.
Per ricostruire un’idea del nostro futuro bisogna unire le lotte, trovare un frame comune, essere padri ma nello stesso tempo lasciare liberi i figli di criticare, di sovvertire. Se non gli piacerà il futuro che abbiamo costruito amen, ma almeno un tentativo sarà stato fatto. Sempre meglio di questa palude asfittica, senza prospettive, a cui i nostri politici vogliono relegare il paese. L’insoddisfazione comune può essere un punto di partenza, qualcosa su cui fare leva. Ma poi deve subentrare la soddisfazione pe qualcosa che si è costruito, che si ha avuto la forza di difendere e portare avanti. Non a oltranza, con i paraocchi, ma con un’idea precisa di futuro. Capire cosa ci renderà soddisfatti. Un paese meno inquinato, più pulito, dove l’acqua e l’istruzione sono beni comuni e garantiti a tutti, dove la cultura è al centro del progetto e non appendice scomoda da tagliare all’evenienza, dove il mercato la televisione i giornali la scuola il mondo del lavoro i diritti dei lavoratori sono qualcosa di diverso da quello che vediamo oggi.
Dove Berlusconi eil berlusconismo sono solo un brutto ricordo, su cui magari si potrà fare una bella risata.
Ho visto annozero stasera. Faccio sempre più fatica a seguirlo perché mi rendo conto che è fondamentalmente inutile assistere al classico teatrino. Approfondimento? Solo per caso, a volte, per breve tempo. Per la discussione che qui si svolge vorrei citare i cittadini del L’Aquila, intervistati da Sandro Ruotolo. Dicono bene, il 20 hanno invitato tutta Italia, per vedere cosa succede lì, perché L’Aquila non è un diritto solo dei suoi cittadini, ma di tutti gli italiani. Così Pompei, così oserei dire nel mio “piccolo” lo stretto di Messina, che rischia di essere deturpato per le manie di grandezza di un vecchio malato. Questa è la cornice in cui muoversi, credo, consapevolezza e condivisione. Io ancora oggi devo spiegare, a Roma, ad una ragazza di Perugia, perché sono contraria al ponte sullo stretto, e capisco che il movimento no ponte sta fallendo. Dobbiamo parlare tutti, con tutti, condividere e collaborare, perché i bisogni sono comuni, e lottare a Messina contro un ponte, a L’Aquila contro l’abbandono della città e in Val Susa contro la Tav, ma separati, non ha senso. Come leggevo prima su twitter: “The miracle is this: the more we share, the more we have.” Leonard Nimoy
Oltre che ai miseri contenuti quello che mi ha colpito negativamente ancor di più è il modo con cui sono stati detti.
Per tutta la trasmissione, come nella precedente, Fazio non fa altro che proporre elenchi, elenchi ed ancora elenchi.
Ai due cosa era stato chiesto? Di fare uno elenco l’uno dei valori della destra e l’altro della sinistra. A parte che avrebbero potuto al limite parlare di centro-destra e centro-sinistra. Ma secondo voi questo elenco l’hanno fatto?
Io non ho sentito un elenco di valori ma una sorta di comizio in versione bignami. Avevano la possibilità di parlare ai cittadini con un linguaggio diverso per parlare una volta tanto di ideologia e di valori appunto.
Ed invece si sono rapportati con i cittadini sempre nello stesso modo come se fossero ad un comizio, come se stessero facendo una relazione ad un loro congresso, come se fossero intervistati. Sempre nello stesso modo, con la stessa intonazione con la stessa mesta enfasi. Non dico che dovevano concepire una nuova “Qualcuno era comunista” di Gaber ma trovare qualcuno che gli scrivesse qualcosa di meno noisoso, questo sì.
Ecco l’elenco completo delle sale in cui, a partire da stasera, si proietta Io sono con te. Sono 20 copie, un piccolo passo in avanti rispetto alle 15 paventate all’inizio.
TORINO – ROMANO
GENOVA – SANSIRO
FIRENZE – SALA ESSE
SARZANA – ITALIA
PADOVA – MPX
PORDENONE – ZERO
CATANIA – ARISTON
PESARO – LORETO
BOLOGNA – RIALTO
MILANO – APOLLO
GALLARATE – ARTI
PADERNO – METROPOLIS
ROMA – FIAMMA, INTRASTEVERE, TIBUR, ALHAMBRA
VERCELLI – BELVEDERE
CUNEO – DON BOSCO
NAPOLI – LA PERLA
CAGLIARI – ALKESTIS
Avevo progettato di andare a vedere il senza dubbio (per me) straordinario “Porco Rosso”, ma l’idea di parlare di film qui è parecchio allettante.
Se riesco ad ingannare l’istinto, martedì vado.
p.s. Davvero bella l’analisi sui discorsi, anche se penso che pure Fini non abbia fatto sto gran figurone. L’elenco suo mi è parso un mix tra passato e presente di scarso appeal, con le paroline giuste per farlo stonare alle orecchie del centro-sinistra e del centro-destra, ma con le paroline confuse per farlo piacere alle orecchie del centro. Certo alla luce del tipo di alleanza che cerca in Parlamento buon per lui, ma quel tipo di elettorato mi sembra abbastanza evaporato. Bah. Sapranno meglio di me senz’altro i suoi ghost-writers.
p.p.s. A proposito del film di Guido Chiesa, non vi venne in mente “La buona novella”?
Ciao Mazzi :)
rispetto la richiesta di non discutere del film prima che siano iniziate le proiezioni (i primi spettatori staranno uscendo dai cinema ora, presumo), in ogni caso io non lo vedrò perché non ce la faccio proprio ad andare a Padova, e a Trento vedo che non lo danno. Magari girerà in DVD. Una curiosità però ce l’ho: perché la lingua originale è l’arabo?
L’analisi critica, semantica e linguistica, del discorso fatto dall’on. Bersani non fa una grinza. C’è da chiedersi se sia stato un atto cosciente oppure no. E’ strano. Sono una persona umile e grezza, e mi vien difficile pensare che politici di prestigio, come dicono, scelgono il suicidio mediatico. Ho due alternative: 1. La prima volta che ha letto il discorso è stata davanti alle telecamere; 2. Bersani non sa leggere – un auricolare ben nascosto nell’orecchio gli ha dettato ogni parola. Ma gli occhi sugli appunti a far finta di leggere… e perchè no, fanno tutti così!
L’on. Fini invece sembra recitare una parte che già conosce. Lavata e sciacquata se non in Arno, più probabilmente nel Piave. Esercitazioni di triumvirato, aspettando gli altri due: [i]homines novi[/i], o [i]revisi[/i]? Scommetterei sulla seconda. Comunque se questi sono i manifesti politici del prossimo futuro della penisola, dobbiamo farci tanti auguri di buona salute. Ma i problemi veri del popolo dove sono finiti. I posti di lavoro che evaporano come bollicine di co2? I salari? La lotta contro la corruzione e la criminalità? L’innovazione e la ricerca? La revisione delle regole di mercato (ce ne fossero!)? Il cittadino? Il welfare? La gestione degli enti locali e gli appalti pubblici? Le speculazioni edilizie? L’educazione? Sento sempre di più la sensazione umida, sudicia, di un’ennesima fregatura. Ciclica fregatura. Remota fregatura. Partita da molto lontano, nel tempo, ma sempre riproposta. E noi sporchi, umili e sudati, a fregarci col sapone sulla pelle, ogni mattina, per affrontare una nuova giornata.
La lingua è l’arabo perchè è quella degli attori, in maggior parte tunisini e in buona parte non professionisti. Inoltre, si tratta di una lingua semitica e il ‘suono’ rivela particolari affinità con l’ebraico, anche nel cantilenare delle preghiere.
Cristo, e la sua famiglia, erano ebrei, ma erano anche dei palestinesi. Credo che, per paradosso, la scelta linguistica restituisca un effetto di realtà molto forte, oltre a garantire, per chi ha avuto la fortuna di ascoltare l’audio originale, una ‘musica verbale’ che forse fa capire qualcosa di meno ma fa ‘sentire’ molto di più.
L.
Questioni terminologiche, linguistiche e di comunicazione politica. Ma perché non abbracciare un approccio più pragmatico, in cui al di là delle parole e al come conta il che, contano le cose stesse?
Che cosa ha fatto e farà Bersani, che è un politico, non Tullio De Mauro, che certo pecca in qualità comunicative, ma nei fatti qualcosa quando era ministro ha provato a fare.
Cosa fanno le regioni di sinistra come ad esempio l’Emilia-Romagna?
Se sono favorevoli alle reintroduzione del nucleare o alla privatizzazione dell’acqua e delle cure mediche a pagamento di certo non sono di sinistra e i fatti confermano le parole (manzonianamente, in effetti, anche le parole sono fatti, così come è altrettanto vera la massima pragmatica che “dai loro frutti li riconoscerete”).
Una politica di sinistra si misura prima di tutto nelle scelte quindi o anche al contempo nel (pessimo, sono d’accordo) stile argomentativo.
Allora forse il vero problema è che un certo gergo ha un corrispettivo in scelte che non sono di sinistra, qui deve essere posta secondo me la questione. E’ sarà grave magari accorgersi che fatti e parole (le cose del linguaggio) sono la stessa cosa NON di sinistra, si compenetrano e si confermano vicendevolmente. Di che mondo parla questo linguaggio, è un mondo di cambiamento o un mondo in cui l’idea capitalistica impera sempre di più?
Alla fine, sempre con Manzoni, ciò che contano sono le cose stesse, le scelte fatte, le azioni, per quanto le parole stesse performative dei politici siano esse stesse azioni. (qui Eco su Manzoni e il suo pragmatismo linguistico ha detto, come sempre, a suo tempo cose splendide).
Scusate la parziale oscurità, spero di essermi spiegato.
Ho visto che è stata citata la vicenda di Paola Caruso.
Se ne parla anche qui:
http://www.michelamurgia.com/di-politica/lavoro/come-fossi-una-bambola
(scusate, non so che comandi usare per evitare di copiare tutta l’URL).
A proposito di cornici comuni e di convergenza dei vari frammenti di opposizione al regime, che ne pensate, da queste parti, dell’operazione di Giulietto Chiesa e della sua Alternativa?
Sarà superata la forma-partito novecentesca, ma non rimane forse vero che senza organizzazione condivisa, con regole e compiti definiti, è impossibile fare massa critica?
Che l’essere organizzati sia maggiormente auspicabile dell’essere disorganizzati, non ci piove :-)
Quello che intendevo dire è: non è riproponibile tout court una forma organizzativa come il partito leninista, forma ben precisa e codificata, nata in un’epoca in cui la produzione era dislocata sul territorio in un certo modo, la distribuzione idem, le comunicazioni erano di un certo tipo (e il problema era la scarsità di canali e informazioni, non – come accade oggi – la sovrabbondanza che rende sempre più difficile orientarsi e trarre delle sintesi), e la composizione di classe era diversa da quella di oggi. E’ chiaro che, mutate in modo drastico tali condizioni, deve mutare anche la risposta organizzativa.
Detto questo: io ritengo comunque molto utile rileggere il demonizzatissimo (a destra come a sinistra) Lenin, prendere quel che vale la pena prendere, riadattare quel che si può riadattare, rigettare quel che si deve senz’altro rigettare.
Sono contento di vedere che nella lista delle sale dove è distribuito il film di Guido Chiesa una è dalle mie parti. Lo andrò a vedere.
@ wuming1
ho letto la discussione sul blog della british review of books, e sono rimasto molto colpito da quanto sia difficile spiegare agli stranieri la realta’ italiana. (quasi quanto spiegare trieste a chi vive ad ovest dell’ isonzo). mentre leggevo, pensavo che per far capire fino in fondo l’ italia agli stranieri, piu’ che parlare di berlusconi forse bisognerebbe parlare degli apparati dello stato, della mafia, della banda della magliana, dello ior, della p2… forse bisognerebbe partire da personaggi piu’ defilati, come dell’ utri, previti, antonio martino… forse bisognerebbe fare almeno intuire l’ esistenza e la consistenza di quel sottobosco di funzionari ambigui, quella zona grigia tra stato, finanza e malavita. spiegare l’ angoscia quasi insostenibile che ti prende quando tutto questo ti si materializza improvvisamente davanti nella persona di un poliziotto, di un caporeparto, di un politicante, di un professore universitario… forse se una parte degli italiani e’ disposta a far finta di credere che berlusconi abbia dato una mano a ruby per spirito di carita’ cristiana, e’ perche’ era stata costretta a far finta di credere alle sedute spiritiche del marzo ’78.
e forse il cazzo di berlusconi non e’ molto diverso dal cazzo di rasputin.
@ Tuco
hai visto, a un certo punto la discussione si è avviata in quella direzione: Strategia della tensione, P2, Ciancimino, le stragi del ’92-’93… Io non sono sfiduciato, l’obiettivo in fondo non è far capire tutto dell’anomalia italiana; ci si accontenta di far cogliere un 10% della complessità in cui ci muoviamo :-)
@ Tutti
per chi non ci segue su Twitter e non ha beccato il link nella mega-discussione sul Potere Pappone, la discussione a cui fa riferimento Tuco è qui:
http://www.lrb.co.uk/blog/2010/11/18/wu-ming/berlusconism-without-berlusconi/
Ieri sera ho visto “il film di Chiesa sulla Madonna” all’Alkestis di Cagliari. Spettatori presenti: 12. [vorrà dir qualcosa? :-)]
Il film è intenso, ha quasi tutti i tempi “giusti” e riesce a parlare di Maria e Gesù senza mettere in mezzo i superpoteri e la fantascienza dei film tradizionali sull’argomento. Ci sono scene che colpiscono più di altre (la visita dei pastori nomadi al bambino appena nato, i sapienti che “studiano” i bambini per conto di Erode, lo “spiegone” verso la fine quando Gesù va al tempio) ma è tutto l’impianto che convince.
Soddisfatto, davvero.
Se l’affluenza sarà così dappertutto, a questo film possiamo già fare “ciao ciao” con la manina, almeno per quanto riguarda le sale. Infatti, il primo week-end è quello che fa decidere se tenere o meno un film in programmazione.
E così il circolo vizioso ha cicli ogni volta più rapidi, scema sempre più veloce la volontà da parte dei produttori di dare fiducia a progetti come questo.
Presto si realizzerà la profezia contenuta nel nostro “Benvenuti a ‘sti frocioni 3”, e “cinema italiano” diverrà nulla più che una contraddizione in termini :-(
Bisognerà pur ribellarsi a questo stato di cose…
chiedo scusa per l’ ennesimo OT, ma in questi giorni le questioni sono tante e si accavallano. ho letto il racconto “benvenuti a ‘sti frocioni 3”, e mi ha colpito molto l’ osservazione sulla lingua e sui dialetti. secondo me uno degli aspetti del potere pappone che andrebbero approfonditi e’ proprio quello della lingua del potere. per dire: in italia un discorso come quello di DFW su “autorita’ e uso della lingua” sarebbe completamente fuori fuoco.
L’analisi del discorso di Bersani è uno spunto per una riflessione.
Un discorso preparato, ripetuto per verificarne la durata, per restare nei tempi, probabilmente scritto con l’aiuto di qualche collaboratore può secondo voi infrangere sistematicamente le regole ELEMENTARI della comunicazione?
Queste regole le insegnano ai manager prima ancora che diventino manager, le trovate in ogni libro e anche in rete. Non c’è bisogno di essere un illuminato o un politico per conoscerle.
Allora perché Bersani SCEGLIE di indebolire a tal punto il suo messaggio?
A me piace ragionare e un’idea me la sono fatta…
Saluti
Diamine WM1, hai chiuso l’altro thread mentre stavo scrivendo!
Capisco le ragioni, per carità… mi permetto di copiare qui quello che avrei detto di là, anche perchè riguarda il pezzo sulla London Review of Books che hai citato più sopra. Se poi è fuori luogo, ti (vi) prego d’ignorarlo.
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WM, prima di chiudere volevo fare un appunto sul tema originario, Berlusconi e il berlusconismo, prendendo spunto dalla discussione sulla London Review of Books, che è qui:
http://www.lrb.co.uk/blog/2010/11/18/wu-ming/berlusconism-without-berlusconi/
Giusto per lasciare un altro piccolo frammento di pensiero. (a proposito, ho molto gradito il sarcasmo dell’ultima risposta “we all play drums”!)
Nel leggere l’intervento sulla LRB – dopo aver letto e partecipato a questo thread – ho provato una sensazione davvero rilassante. Quel testo, pensato per un pubblico non italiano, dice un sacco di cose importantissime con poche e precise frasi. Ok, la stessa lingua inglese spinge strutturalmente al dono della sintesi, ed è anche vero che la stesura di quel pezzo risentiva, come hai ammesso, della discussione avvenuta qui. Ma rimane forte la sensazione che da un punto di vista oserei dire emotivo, quel testo *funzioni*. Così come la definizione di berlusconismo che dai in un commento:
Thus, “Berlusconism” in the broad sense is:
– a peculiarly Italian ideological (and anthropological) synthesis of “anti-communism”, amoral familism and hyper-modern capitalism.
– a populist movement that will certainly undergo some transformations after the demise of its eponymous leader, but this doesn’t mean that it will cease to exist. “Peronism” keeps existing in Argentina long after Peron’s death.
– a view of the world that had Berlusconi as the perfect top representative and will not last long without new (albeit lesser) representatives.
“Dunque, il berlusconismo in senso lato è:
– un sintesi ideologica (e antropologica) peculiarmente italiana di anticomunismo, familismo amorale e capitalismo ultramoderno.
– un movimento populista che sarà certamente soggetto a delle trasformazioni dopo la caduta del suo leader eponimo, anche se ciò non significa che cesserà di esistere. Il peronismo continua ad esistere in Argentina ben oltre la morte di Perón.
– una visione del mondo che ha in Berlusconi il suo rappresentante più alto e che non durerà a lungo senza nuovi (sebbene inferiori) rappresentanti”
Un po’ tutta la discussione poi, è farcita di concetti che sono all’ordine del giorno in tutti i libri di storia e cultura italiana di lingua inglese (da Ginsborg a Sassoon, Foot e Dunnage): familismo amorale, corruzione, divisione nord-sud, la mafia etc. Nulla di nuovo, insomma, salvo appunto il tuo approccio “meticcio” (Lacan+Lakoff +Pasolini etc… per farla breve): non è un caso che alcune delle idee esposte (il “discorso su B. soprattutto) abbiano trovato una certa resistenza tra chi ha letto e commentato. Mi pare cioè che quel pezzo stesso costituisca un embrione di una nuova narrazione, sia per le resistenze che genera nei non-italiani sia per il consenso che suscita in un italiano come me (ora non vorrei davvero ergermi a rappresentante di nulla, ma vivendo all’estero io questo “scarto” narrativo quando parlo d’Italia lo sento eccome).
Tuttavia non riesco davvero a capacitarmi, lo dico in tutta onestà, di quella mia prima sensazione. Forse sarà perchè venivo dalla difficoltà di seguire un thread denso come questo, sarà perchè lì la trama dei fili che si erano ingarbugliato qui mi sembrava semplice e lineare. Allora ho pensato che *narrativamente* le analisi (giustamente) complesse abbisognano di questi momenti di semplificazione in cui non si perde di complessità ma anzi si aggiunge in chiarezza. Su cui è relativamente più facile costruire consenso e catalizzare un accordo di fondo.
Non so se rendo l’idea. Volevo solo farti partecipe di quell’effetto un po’ spiazzante che quel testo ha avuto se messo a paragone con questo thread. Ma magari è solo una sensazione mia…
@ eFFe
“una visione del mondo che ha in Berlusconi il suo rappresentante più alto e che non durerà a lungo senza nuovi (sebbene inferiori) rappresentanti”
In realtà ho sbagliato verbo, ho scritto “last” al posto di “stay”. Non è un verbo completamente sbagliato, ma in questa frase è ambiguo. Il senso era:
“…e che non resterà a lungo senza nuovi (sebbene inferiori) rappresentanti”
Spero tanto che il film di Chiesa venga distribuito in dvd o sia altrimenti reperibile in futuro, temo che non riuscirò a vederlo al cinema. Maledetti bisogni primari!
Magari potrebbe essere messo in streaming a pagamento su mubi.com, così non avrebbe costi di distribuzione troppo elevati e sarebbe reperibile ovunque. Funziona un po’ come last.fm e si può anche “diventare fan” di un film non ancora disponibile invogliando così chi detiene i diritti a renderlo tale.
Sia chiaro non voglio fare pubblicità a mubi. L’ho appena scoperto e in realtà devo ancora decidere se è “cosa buona e giusta”.
Quanto alla precisazione riguardo al last/stay del berlusconismo mi ha fatto venire in mente che in effetti qualcosa probabilmente will last & won’t stay.
Il berlusconismo come deriva del consumismo, come abbandono del modello del padre autoritario e “anticomunismo, familismo amorale e capitalismo ultramoderno” durerà e molto probabilmente farà scuola (credo la stia già facendo). Ma la sintesi-Berlusconi non è forse qualcosa di più? Se il berlusconismo è espressione/anticipazione di ciò che le grandi multinazionali occidentali preparano per una buona fetta di mondo, resta il fatto che Berlusconi “è” una grande multinazionale occidentale. Questo forse ha permesso appunto una sorta di “teaser”, se non di “spoiler”, di ciò che poi avverrà su larga scala, gradualmente e più nascostamente. Questo “effetto spoiler” forse è ciò che non durerà e non a caso avete più e più volte rimarcato il fatto che non si dovrà confondere ciò che in effetti finirà con l’intero fenomeno “berlusconismo” che è appena agli inizi.
Scusate la terminologia poco lacaniana… appena avrò tempo cercherò di affilare gli strumenti.
rileggendo la vostra interessante analisi, e in particolare il punto in cui si paragonano le idee di fini alla legislazione sulla cittadinanza del fascismo pre-leggi razziali, mi viene in mente che questa è la stessa posizione di jean marie lepen, il quale, ricorderete, nominò suo uffico stampa un franco-algerino, visto che in francia un atteggiamento simile (di “promozione etnica”, se mi passate il termine) era (ed è) riservato ai cittadini delle colonie che “docilmente” decidevano di farsi ammazzare nelle guerre della francia.
in risposta alla nomina fatta da lepen, molti estremisti xenofobi uscirono dal partito per fondare Bloc Identitaire, un gruppo anti islamico radicale dei peggiori.
proprio come storace, che ha fondato La Destra dopo la fusione di an nel pdl, assieme alla blasfema santanchè poi tornata nei ranghi berlusconidi.
ecco che risbuca lepen, personaggio ispiratore del fini era-MSI.