P. T. Barnum, pioniere di quasi tutto

[La notizia è fresca fresca: Marc Zuckerberg, proprietario e padre-padrone di Facebook, è stato convinto da Bill Gates a dare in beneficenza una grossa porzione delle sue ricchezze. E’ sempre più ripugnante lo spettacolo dei nababbi che fanno la carità sotto i riflettori. Lo è per tanti motivi. Alcuni li ha spiegati molto bene, in varie occasioni, Slavoj Žižek:
«La beneficenza è come cioccolata con dentro un lassativo (la cioccolata genera costipazione): il veleno diventa la propria cura. Ecco la funzione della beneficenza oggi: nascondere l’origine del problema… Grazie alla beneficenza il capitalismo  si può autoassolvere. La beneficenza è parte integrante del sistema.» Qui un’animazione dedicata alle posizioni di Žižek sul tema.
Guarda la casualità, sul numero di GQ appena giunto in edicola c’è un nostro ricordo di “nonno” Barnum nel cui finale tocchiamo, seppure velocemente, questo tema. Eccolo qui.]
.

.Il 25 giugno 2010 l’America ha celebrato il bicentenario della nascita di Phineas Taylor Barnum, «the greatest showman on earth», esponente-chiave della generazione-chiave degli USA del XIX secolo. La generazione di Abraham Lincoln, Walt Whitman, Edgar Allan Poe, Henry David Thoreau.

Tutti ricordano Barnum per il circo, ma quello fu il suo «hobby della vecchiaia» (parole sue). Vi si dedicò a sessant’anni, quand’era già uno degli uomini più celebri d’America. Prima era già stato… beh, era stato tutto. Anche in un secolo ricco di vite picaresche, avventurieri e self-made men arricchitisi nei modi più strani, è difficile trovare una biografia più poliedrica: Barnum fu giornalista (da giovane finì in galera con l’accusa di avere diffamato un reverendo); impresario di artisti e atleti; promoter di eventi di ogni sorta, dai concorsi di bellezza alle gare di poesia; pioniere dei media e delle tecnologie nell’entertainment; ideatore di beffe che sfruttavano la sete di scoop dei giornali; proprietario e direttore dell’American Museum di New York, maestosa galleria di freaks, «stranezze», animali esotici – comprese due balene – e bric-à-brac da ogni parte del mondo; scrittore di best-seller, in primis un’autobiografia che, alla fine dell’Ottocento, era il libro più venduto negli USA dopo la Bibbia; conferenziere dei movimenti per la temperanza (era lui stesso un ex-etilista); sindaco di Bridgeport (la città del Connecticut dov’era cresciuto); deputato all’Assemblea di Stato del Connecticut… Ed è solo una parte delle sue «qualifiche». Durante la sua carriera fu ricevuto dalla regina Vittoria, dallo Zar Alessandro III, da Lincoln alla Casa bianca e altri capi di stato.

Su Barnum abbondano leggende e dicerie infondate. Ad esempio, non pronunciò mai la frase: «Nasce un babbeo al minuto, basta trovarlo e sei a posto». Inoltre, il suo cognome è usato quasi sempre in senso dispregiativo: «roba da circo Barnum», «Bernard-Henri Lévy è il P.T. Barnum della filosofia» etc.

P.T. Barnum è una figura che mette in crisi. Semplice e complicata, ammirevole e abietta. Fu senz’altro un capostipite della pop culture. Sotto quest’aspetto siamo tutti suoi nipoti. Si trattò certamente di un uomo di genio, capace di intuizioni epocali, capace di trarre sintesi impensate dai flussi di immaginario che percorrevano la società americana in un’era di tumultuosa innovazione. Le sue non erano episodiche «trovate»: ognuna si inseriva in un portentoso insieme. Chi arrivava a New York in treno dall’Ovest passava davanti a Iranistan, la sua magione di campagna. Di fronte a quella festa di minareti, cupole e richiami orientali, un aratro solcava i campi. A trainare l’aratro era un elefante. Lo scopo era incuriosire i viaggiatori a tal punto che, una volta giunti in città, si precipitassero a visitare il museo.

Barnum fu a suo modo un umanista e, per dirla con Leslie Fiedler, «un educatore di massa». A Bridgeport, una statua in suo onore lo raffigura con un libro in mano. Fece più di chiunque altro nel campo della divulgazione delle scienze naturali: le mostre che allestiva al suo museo non avevano alcun rigore né coerenza, ma misero le masse a contatto con la zoologia, la paleontologia, la botanica, l’etnologia e il «pensiero selvaggio». Certo, in quelle proposte c’era sempre qualcosa che oggi stride, come il razzismo tipico dell’epoca. Mentalità che a volte Barnum riuscì a trascendere, altre volte no. Fu un convinto abolizionista in tema di schiavitù (tanto da subire un attentato incendiario filo-Confederato), ma detestava i nativi americani.

Barnum fu pioniere di tutto quello che oggi ci soffoca: il godimento pre-fabbricato, l’invadenza della pubblicità, la monetizzazione di ogni istante di tempo libero, la pubblicistica «How-To» e «Self-Help», dove apparentemente compri un «metodo», ma in realtà compri un distillato di ideologia. Uno dei suoi best-seller fu infatti il trattatello The Art of Money Getting. Nel 1890, un anno prima di morire, approfittò della nuova invenzione di Edison, il fonografo, per registrare il primo messaggio commerciale. Le sue memorie fecero da modello per quelle di tanti altri self-made men, che di volta in volta ci infliggono i ricordi dei loro exploit. Almeno Barnum se le scrisse da solo, ed era davvero «fatto da sé», non come altri, che si spacciano per tali ma si rivelano «fatti» da padrini politici o alleati mafiosi.

Barnum fu un benefattore. E’ vero che sfruttava i suoi freaks (nani, giganti, donne barbute, tronchi umani). Ma senza di lui, che vite avrebbero vissuto? Esistenze di disperazione, derisi o sottoposti a violenze, intrappolati nei tanti buchi di culo della provincia americana. Al seguito di Barnum avevano un salario, un mestiere, amicizie, amori, esperienze fuori dal comune. Il «generale» Tom Thumb (alto 102 cm.) e sua moglie Lavinia (81 cm.) visitarono la Casa Bianca e si intrattennero con Lincoln e il suo governo.

Barnum finanziò istituzioni benefiche ed educative, sostenne molte buone cause, aiutò singoli e comunità. Anche in questo fu nobile pioniere di un fenomeno che ci ammorba: la strombazzata beneficenza dei ricchi. Magnati del software, pirati delle «ricostruzioni» nei paesi dell’est, rockstar che si spacciano per paladini dei poveri e degli affamati… Tutta gente che prima fa i miliardi, magari speculando e rovinando intere economie nazionali, poi rimette in circolo qualche briciola e ci fa pure bella figura. Quanto ai beneficiati, ai poveri di turno, contraggono un ennesimo debito, simbolico anziché monetario, e tutti noi diventiamo ancor più succubi di un pugno di tycoons, narcisi della filantropia che monopolizzano le Buone Azioni.

E almeno con Barnum il cuore si gonfiava di gioia e meraviglia. Quando vediamo Bono Vox fare la carità sotto i riflettori, si gonfia sì una parte del corpo, ma, sia detto tra noi, non è il cuore.

Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)

12 commenti su “P. T. Barnum, pioniere di quasi tutto

  1. […] This post was mentioned on Twitter by ji, ji. ji said: RT @Wu_Ming_FoundtP. T. Barnum, pioniere di quasi tutto: [La notizia è fresca fresca: Marc Zuckerberg… http://goo.gl/fb/WMrSD […]

  2. E d’altronde fama e ricchezza per questi presunti benefattori arrivano da una buona fetta dell’umanità intera, la quale probabilmente non aspetta altro che beatificare i propri idoli in virtù di queste azioni di maniera; e allora grandi standing ovation per i vari bono o gates di turno. Questi personaggi non fanno altro che riempire un vuoto, occupare uno spazio di carenze individuali. Con grande estro commerciale: sopperisco io da solo (con la donazione) alla mancanza di voialtri, oramai indifferenti o, peggio, fuorviati dalla realtà delle cose del mondo. Così giustamente lavando centinaia di migliaia di coscienze, le quali si convincono sempre più della migliore oppotunità di un tale sistema economico.
    E con rammarico penso al fatto che probabilmente oggi, ad esempio di carità, venga preso molto più in considerazione l’atto di questi cosiddetti nababbi, che l’esempio di un personaggio come Francesco da Assisi.
    Quanti oggi sarebbero disposti a rinunciare davvero ad una buona parte, se non tutto, del loro benessere, o meglio benestare? Quanti disposti a fare marcia indietro in questa corsa impazzita della società moderna? E quanti a sostituire l’accumulare con il dividere equamente? Mi piacerebbe tanto fare una conta.
    Purtroppo l’uomo oggi è stato preso per la gola. Le comodità l’hanno talmente indebolito che, per fare uno stupido esempio, scegliere di prendere le scale anzichè l’ascensore, oppure farsi in casa le tagliatelle anzichè comprare quelle del signor Rana, sembra equivalere ad una regressione nella linea evolutiva in genere. Nel senso che è stato affidato troppo della vita alle facilitazioni dimenticando forse chi è l’uomo e da dove arriva.

  3. Ho trovato l’animazione di Zizek talmente bella da indurmi a comprare il pdf che tanto costava una cifra irrisoria(tipo80cents).

  4. La “teoria animata” di RSA è una trovata geniale. Pensa che mia figlia di cinque anni e mezzo, pur non capendo quel che viene detto, ne è rimasta affascinata e si è messa a imitare i video! Si piazza davanti a YouTube con foglio e pennarello e poi si mette a disegnare velocissima una sequenza di figure con balloons di “testo” (in realtà dei ghirigori) :-D

  5. Oh.. è arrivato anche Zuckerberg nella grande famiglia del Giving Pledge! Sapevamo tutti che ci sarebbe arrivato.. sarà un’altra argomentazione per chi vuole a tutti i costi convincere gli altri ad usare Facebook? Non lo so e sinceramente spero che questa cosa smetta di essere argomento di dibattito nei bar italiani (solo italiani? non lo so…). Nello specifico, consiglio la lettura di questo articolo (http://bit.ly/eXmPU7), che prende le mosse proprio dal Giving Pledge (il programma dei paperoni filantrocapitalisti).

    Detto ciò, concordo con la lettura di fondo che fate emergere. Mi piace che, al solito, sappiate indurmi a riflettere sulle cose che “stridono” e solitamente ho bisogno di un po’ di tempo e qualche chiacchiera con gli amici per arrivare ad una opinione più o meno stabile su quello che scrivete.
    Ma volevo dire la mia su una cosa: il discorso “senza di lui, che vite avrebbero vissuto?” è controproducente e forse anche metodologicamente sbagliato. Non conosco la figura di Barnum per aggiungere elementi concreti di analisi, ma storco il naso. Se ragioniamo così, allora davvero il filantrocapitalismo diventa qualcosa di più che “meglio di niente” (seguendo Žižek), nel senso che diventa un’approccio alla risoluzione del problema. Forse nel contesto della società statunitense del XIX sec. quelle persone avrebbero potuto avere una vita estremamente peggiore, ma resta il dato: erano sfruttati da Barnum e – in un preciso contesto e in una determinata idea di società – hanno compiuto una certa ascesa sociale. Ma siamo sicuri che questa ascesa andava nel verso giusto? E, precisamente, giusto per loro, le loro volontà e per gli altri a cui si è tolto anche solo il ricordo dell’esempio di un’alterità possibile (che mi sembra il dato peggiore del capitalismo, fonte di mille impasse)?

  6. @ Alfredo
    proprio per via della contraddizione che segnali (su cui peraltro abbiamo impostato l’articolo), Barnum è un personaggio difficile da definire. E’ stato pioniere del peggio, abbiamo scritto. Eppure era molto meglio dei capitalisti di oggi, aveva una statura whitmaniana, una verve creativa e – per quanto possa sembrare strano – una dirittura morale (certo: figlia del suo tempo) che ai nostri padroni coevi manca. Oggettivamente, il “capitalismo culturale” dell’epoca era meno parassitario di quello odierno, c’era una dinamica artigianale e “do it yourself”, Barnum non era solo un organizzatore, promoter e impresario di artisti: era egli stesso un artista, un performer, un alchimista della comunicazione.
    Detto ciò, quei tempi non sono affatto da rimpiangere, e lo dimostrano bene proprio i limiti di Barnum.
    Credo che “ammirevole e abietta”, come abbiamo definito la sua figura, renda l’idea di fondo. Non si può farne un ritratto tutto negativo, ma nemmeno smussare gli spigoli.

  7. Se interessa, su archive.org ci sono tutti i libri di Barnum – a cominciare dalla sua autobiografia – disponibili gratis in pdf, ePub, Mobi/Kindle etc.

  8. Sì… non è un ritratto tutto negativo che ci porta da qualche parte e non mi auguro di farlo per nulla. Riflettevo sul fatto che quel particolare modo di ragionare su una sorta di “effetto collaterale positivo” nasconde un’insidia: secondo me, crea uno spostamento che ci appiattisce all’interno di un solo punto di vista.

  9. @ alfredo
    verissimo, il rischio è forte.
    In questi casi, l’ars oratoria consiglia di invertire l’ordine dei fattori. La retorica non è come l’aritmetica, invertendo l’ordine cambia anche il risultato. Dire: “Certo, erano sfruttati, ma resta il fatto che senza Barnum avrebbero fatto una brutta fine” non è come dire: “Certo, senza Barnum avrebbero fatto una brutta fine, ma resta il fatto che lui li sfruttava”.

  10. Not to bust your, ahem, enthusiasm, ma credo che Zuckerberg abbia solo “promesso” di devolvere fondi in beneficenza. Non l’ha fatto ancora, se non vado errato (o almeno cosi riferiva qualche settimana fa la blogosphere statunitense). Un’altra ragione per mandare a c****** lui e il suo business, secondo il mio modesto parere.

  11. @vito66
    basterebbe mandare a c****** i suoi affari e quelli dei suoi pari. Da buon padre di famiglia.

  12. Un divertente cenno alla questione si trova nell’ultimo romanzo di J. Franzen, “Freedom”: i miliardari dimostrano interesse nella salvaguardia del pianeta (si parla quindi di ecologia e ambientalismo) “perché loro e i loro eredi sono quelli che avranno abbastanza denaro da poter godere del pianeta”.
    A parte tutto, la questione del cioccolato lassativo è certo un’altra annosa questione, anche perché riguarda persone che non solo praticano abitualmente la carità capitalista, ma anche la filantropia universale: vedere George Soros.