di Wu Ming 4
Sabato 14 maggio ho presentato per la seconda volta Il Piccolo Regno. L’ho fatto rispondendo all’invito di Chiara e Diletta, le giovani libraie di Spazio b**k, a Milano.
Spazio b**k è uno di quei posti rari per cui vale la pena fare questo nostro mestiere. L’ambiente è molto piccolo: una semplice vetrina sulla strada, due stanze, libri su tutte le pareti. Libri di tutti i tipi, ma con una propensione tematica per la grafica e l’illustrazione. In effetti mi hanno spiegato che lì si tengono anche laboratori, workshop, sull’editoria e sull’immagine.
Ad ogni modo si respira aria pulita: libraie vere, che consigliano libri, che ne parlano con i clienti aficionados, e presentano l’autore a ciascuno con una stretta di mano. Scopro che la persona che dialogherà con me, Elena Orlandi – una delle organizzatrici di Bilbolbul – è bolognese, e abbiamo amici in comune.
Sedute nella saletta ci sono quindici/venti persone, l’atmosfera è raccolta, il clima disteso. Discutiamo per un’ora e un quarto. Prima Elena ed io, poi insieme al pubblico. Oltre che del mio libro si parla di libri per ragazzi, e in particolare dell’assurdità delle categorizzazioni dettate dalle esigenze editoriali. I libri per ragazzi vengono suddivisi, e forse anche scritti, per fasce d’età sempre più specifiche: dai piccolissimi ai cosiddetti «young adults».
Tra il pubblico c’è una persona con un’esperienza cinquantennale nell’editoria per ragazzi, niente meno che Loredana Farina, fondatrice della casa editrice La Coccinella, e interviene proprio per criticare questa tendenza che ha ormai irreversibilmente preso piede e che finisce per condizionare la comunicazione intorno ai libri, e alla lunga anche la scrittura: «Se un libro è buono, non c’è un’età di riferimento».
A questo si riallaccia un altro intervento, per dire che la suddetta tendenza alla compartimentazione anagrafica spiega anche perché Il Piccolo Regno sia passato sotto silenzio stampa. Nessuna recensione (a parte quelle in rete, dei lettori), nessuna nota per l’incursione di uno dei Wu Ming in un territorio nuovo. Non tanto o non solo perché è un prodotto dell’officina Wu Ming (che a qualcuno piace definire “un’azienda”, evidentemente non molto bene avviata, in questo senso), ma soprattutto perché il libro stesso non è incasellabile nei parametri editoriali che condizionano gli uffici stampa. La domanda che facevamo qui su Giap – Il Piccolo Regno è un romanzo per piccoli o per grandi? – è già da panico per chi deve promuovere un libro. Così come lo è per chi dovrebbe leggerlo in anteprima e presentarlo. Per quale fascia di età sarebbe appropriata questa lettura? A quale grado di iangadultità andrebbe fissata l’asticella? Sono domande senza senso. Ci sono ragazzini di dieci anni che leggono già molto, altri che non leggono niente, così come ci sono adulti scolarizzati che non riescono più a leggere narrativa, o perché divenuti analfabeti funzionali “di ritorno” o per un eccesso di deformazione professionale (leggono soltanto saggi). I lettori sono variegati e strani anche più dei gusti in una gelateria vegana, e pretendere di confinarli dentro target commerciali sempre più specifici finisce per depotenziare i libri che si vorrebbero vendere. Non è più il libro a trovarsi un pubblico di lettori, ma il target commerciale a determinare l’ideazione del libro e a condizionarne la scrittura. Se scrivi un libro che sabota questi schematismi e questa tendenza delle politiche editoriali, allora diventa un oggetto narrativo inafferrabile, incomunicabile. Almeno per chi non è capace di uscire da certe dinamiche inerziali. Aggiungici che l’autore fa parte di un collettivo non proprio benvoluto presso certi ambienti editoriali, per il semplice fatto di non frequentarli… e il silenzio è servito.
Una discussione come questa ha offerto una risposta interessante al problema che ci eravamo posti. L’abbiamo trovata in una piccola libreria che ha appena tre anni di vita, dove facilmente si coltiva più saggezza e intelligenza di quanta se ne trovi nelle grandi redazioni, o ciò che ne resta. Questa qualità, insieme alla convivialità e all’umiltà dell’approccio (a un certo punto eravamo tutti lettori, a prescindere dal fatto che nella stanza ci fossero rappresentanti di tutta la filiera editoriale, dalla fonte alla vendita) ha regalato uno di quei momenti “epifanici” per i quali – si diceva – vale ancora la pena fare il mestiere che facciamo.
Grazie a tutte e tutti.
La diffusione della tendenza a categorizzare per età la letteratura mi ricorda una discussione all’Università con la professoressa di letteratura tedesca la quale, alla mia richiesta se anche un autore contemporaneo come Michael Ende (Momo, La Storia Infinita) potesse essere ascritto almeno parzialmente alla corrente romantica per la sua attenzione al tema del fanciullo come essere puro e non corrotto dalla società, mi rispose: “qui non parliamo di letteratura per l’infanzia”.