Una voce si ode da Rama. Pensieri su «Un viaggio che non promettiamo breve» #WM1viaggioNoTav

Rama

Una raffigurazione di Rama, il mondo dispiegato sulle pareti interne di un’immensa astronave cilindrica cava, narrato dallo scrittore di fantascienza Arthur C. Clarke.
Per coincidenza (il nome è preso dal pantheon induista), quel mondo si chiama come una città menzionata nella Bibbia e come una grande città megalitica che secondo alcune teorie fringe sarebbe esistita in Val di Susa intorno al 3000 a.C.
La Val di Susa è una valle glaciale, ha un profilo a U e può ricordare la metà residua di un paesaggio cilindrico esistente in quel luogo nella notte dei tempi. Nell’ammirare le ricostruzioni della Rama di Clarke, è difficile non sovrapporvi immagini e chimere della Rama valsusina.

[Il tour di Un viaggio che non promettiamo breve si avvicina alla sua conclusione. Stasera a Vigevano e domani a Pavia si terranno, rispettivamente, la trentesima e trentunesima presentazione del libro. L’ultima sarà a Vittorio Veneto il 19 marzo. Da lì all’estate le occasioni di parlarne saranno più rade, fuori dal tour vero e proprio. Invitiamo, come sempre, a seguire il nostro calendario. Dopo l’estate, ci sarà qualche presentazione al Sud e il recupero di alcune date primaverili “saltate”.
Intanto prosegue la discussione intorno all’opera e ai temi che affronta. Non ci riferiamo agli impotenti mugugni di Casapound, ma a interventi ben più seri. Sul numero attualmente in edicola de L’Indice dei Libri del Mese, Franco Pezzini firma uno dei più begli interventi sul libro scritti sinora. Lo riproponiamo qui sotto. Segnaliamo anche la lunga intervista a Wu Ming 1 apparsa su un altro mensile, A Rivista Anarchica. On line qui. Buona lettura.]

Una voce da Rama 

Franco Pezzini

Franco Pezzini

Un’inchiesta può essere – senza perdere in rigore o in veridicità – anche un grande romanzo? Si tratta di intendersi sulle categorie adottate, ma alla luce delle continue trasformazioni delle forme narrative mi pare si possa offrire alla questione risposta affermativa. Che calza a questo Viaggio che non promettiamo breve, diluviale racconto di vicende di singoli e comunità, insieme epos e Commedia umana, weird tale e atlante, travelogue e testimonianza memoriale. Nel resoconto in cinque parti di Venticinque anni di lotte No Tav i toni possibili, adeguati e necessari ci sono tutti, dal comico al dolente, dal malinconico al grottesco; c’è l’assedio e c’è il ritorno, come un tornare a casa in vari sensi possibili. Ma persino il resoconto puntuale di argomenti in genere poco digeribili – dati tecnici, viluppi burocratici, proclami politici – riesce a incalzare con efficacia il lettore. L’autore riesce a cucire tutto questo in un affresco corale di cui colpisce l’ampiezza di respiro: non solo per l’entità del lavoro che ha preso forma poco a poco nel corso di anni, ma per la capacità di portare alla luce le qualità di un incredibile laboratorio collettivo, ridotto da certa (non-)informazione a covo di strambi banditi. Di qui la narrazione particolareggiata delle lotte, attraverso montagne di articoli, filmati, voci non sforbiciate; e una quantità di incontri con testimoni, ricordi di persone scomparse, ricostruzioni di dibattiti, anche ripensamenti autocritici (dolorosi, severamente onesti) su certe dialettiche fallimentari tra diversi linguaggi di opposizione.

Con buona pace di chi ha mostrato negli anni diffidenza verso un registro di scrittura magmatico aperto a suggestioni postmoderne, alla cultura pop, a forme ibride (i famosi oggetti narrativi non identificati, dove l’“identificazione” resta un dato storico, superato a strappi fecondi con il mutare di orizzonte all’intorno), questo Viaggio mostra l’importanza della formula. Reportage dell’autore da continui viaggi in loco, fiumi d’interviste, recupero di racconti valsusini sull’oggi e su passati più o meno remoti, carotaggi d’archivio si raccordano in queste pagine attraverso una solida base narrativa: questa è debitrice di una pluralità di modelli e fonti ma le rielabora in forma originale, in modo da valorizzare via via i diversissimi materiali raccolti. Si avverte così l’influenza del romanzo sudamericano, ma emergono anche ammiccamenti a generi molto più popolari (compare persino Lovecraft buonanima, in dialogo con l’autore) per raccontare con ironia, ma in riferimento a qualcosa di serissimo, un certo bacino anche immaginale d’interessi dietro il Tav; si avverte l’influsso di saghe e canzoni di gesta, e insieme dei grandi romanzi otto e novecenteschi sui rapporti tortuosi tra singolo, collettività e potere. Nessuna retorica facile da coro alpinista di maniera, ma un senso della montagna e del territorio come dimensioni con specificità autentiche e profonde, totalmente ignorate dalle logiche degli affari, e richiamate qui con voce partecipe. E, se movimenti contrari a “grandi opere dannose, inutili, imposte dall’alto” (così la quarta di copertina) punteggiano l’Italia e anzi l’Europa, emerge un’attenzione alla peculiarità del caso Val Susa senza la quale ben poco può comprendersi degli eventi in corso.

La qualità narrativa, dunque; e la seconda osservazione è immediatamente conseguente. In questo lavoro, come pro parte per studi già apparsi e che hanno contribuito all’enorme bibliografia, si documenta con passione e rigore qualcosa solitamente tenuto sotto il livello del non-racconto. Non-racconto non solo nel senso di un tema ignorato (se non per banalizzazioni), ma nel senso di un’indicibilità – è bene non parlarne, farlo è considerato prova di cattiva educazione in salotto, di adesione a derive populiste e magari terroristiche – al pari di altri in questa nostra Italia: esattamente il tipo di irraccontabilità omertosa che un paese libero non dovrebbe ammettere. Chapeau dunque alla Einaudi che ha accettato questo tipo di sfida, con il varo di un libro tanto importante.

Ma a questo punto una terza osservazione riguarda il contenuto. Esaminando qui in modo sequenziale, minuzioso e inattaccabilmente documentato le concatenazioni di articoli giornalistici relative ai singoli fatti, il repertorio dei ricatti retorici, le notizie di nomine e movimenti d’affari attorno al cantiere, le costruzioni progressive sui giornali – titolo dopo titolo – di “mostri” No Tav, le iniziative poliziesche e giudiziarie adottate (come certi pestaggi di singoli manifestanti, il ricorso disinvolto a gas Cs notoriamente causa di tumori e malformazioni, o per altro verso certe accuse processuali, come a Erri De Luca e a una tesista di Antropologia culturale), è inevitabile avvertire – visti i precedenti, cerco di dirlo in termini incensurabili – una grande amarezza e una forte distanza dalle scelte istituzionali. Scomodare Antigone non sembra fuori luogo.

Una leggenda valsusina parla di una città scomparsa che in un tempo remoto si sarebbe allargata nell’area, Rama. Stesso nome di un’altra di cui parla la Bibbia, e citata da Geremia (31, 15): «Una voce si ode da Rama, lamento e pianto amaro». Un lamento che oggi, leggendo dai luoghi della Rama valsusina questo libro nero dell’Italia delle Grandi Opere, sembra in qualche modo riproporsi.

Franco Pezzini

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One commento su “Una voce si ode da Rama. Pensieri su «Un viaggio che non promettiamo breve» #WM1viaggioNoTav

  1. […] «Diluviale racconto di vicende di singoli e comunità, insieme epos e Commedia umana, weird tale e atlante, travelogue e testimonianza memoriale. Nel resoconto in cinque parti di venticinque anni di lotte No Tav i toni possibili, adeguati e necessari ci sono tutti, dal comico al dolente, dal malinconico al grottesco […] Un affresco corale di cui colpisce l’ampiezza di respiro: non solo per l’entità del lavoro che ha preso forma poco a poco nel corso di anni, ma per la capacità di portare alla luce le qualità di un incredibile laboratorio collettivo, ridotto da certa (non-)informazione a covo di strambi banditi.» (Franco Pezzini, «L’Indice dei libri del mese», recensione completa qui) […]