Un viaggio che non promettiamo breve è ormai uscito da alcuni mesi, eppure continuano a uscire recensioni. Non solo continuano a uscire, ma il flusso si va facendo più intenso. Forse alcune letture avevano bisogno di decantare, forse la mole del libro ha richiesto l’attesa del momento giusto, fatto sta che sempre nuove recensioni arrivano.
Solo nei primi giorni di maggio ne sono state pubblicate tre, molto acute e importanti. Tutte riflettono sulla particolare natura mutante – e forse mutagena – del libro. Che non è un “normale” reportage narrativo, e non è una “normale” inchiesta, ma anche come «romanzo di non-fiction» sembra avere qualcosa di spiazzante, se non di… aberrante.
A cosa si deve questa impressione?
Ha provato a rispondere alla domanda Elia Rossi sul sito letterario La Balena Bianca. Nella recensione intitolata «Qualcosa di nuovo nella non-fiction», Rossi descrive una particolare tensione dialettica tra due polarità, le due macro-tipologie testuali entro le quali oscilla il libro, ovvero fiction e non-fiction:
«[…] D’accordo, già Manzoni aveva unito i due poli di narrative e di non-fiction e molti altri fino ad oggi hanno giocato a mescolarli. Ma Wu Ming 1 ha provato a radicalizzare il carattere di entrambi, mettendo a dura prova la loro possibilità di rimanere uniti.
Prendiamo l’elemento non-fiction: le interviste a personaggi reali, ma pur sempre caratteristici (facili da trasformare in tipi letterari), le battaglie epiche dei No Tav, gli aneddoti pieni di pathos… insomma tutti quelli che, nelle scienze umane, vengono chiamati dati soft (cioè scientifici, realistici, ma pur sempre umanamente coloriti e facili da trasformare in narrative) hanno un ruolo secondario nella costruzione dell’opera. Alla base ci sono quelli che, nelle scienze umane, si chiamano dati hard. Parliamo di numeri, di analisi economiche del sistema produttivo e del suo indotto, di statistiche e trend. Sono dati che occupano pagine intere e ai quali, senza dubbio, viene dato un ruolo molto più pregnante che in qualunque altra opera di narrative non-fiction.
Eppure, altrettanto estremo è il ruolo che viene dato all’elemento di narrative. Si pensi alla figura di H.P. Lovecraft, che dal mondo dei morti ritorna nello stato di dormiveglia dello stesso Roberto Bui per consigliarlo. Eccolo che interloquisce sui dati del progetto Tav, valutando come sia meglio gestirli. Eccolo che scrive numerose lettere, che commenta in diretta lo sviluppo narrativo del progetto e termina dicendo: “mi tenga aggiornato, continui pure a inviarmi i brani ultimati. Dacché sono morto, ho talmente poco da fare…”
Specularmente: in poche altre opere di narrative non-fiction erano stati inseriti dati così hard da un punto di vista dell’invenzione letteraria da generare stridore al contatto con la realtà.
Quella di Wu Ming 1 è una scrittura che rischia molto, poiché in ogni momento cammina sul crinale del divorzio di realtà e finzione, avendo dato ad ognuno dei due partner delle ragioni autonome (saggistiche al primo, narrative – e pure di genere! – al secondo) che hanno la priorità sulle ragioni della coppia. La scommessa è estrema […]» [Continua a leggere qui.]
⁂
Su Doppiozero, Enrico Manera firma una lunga e articolata recensione intitolata «Partire e tornare insieme».
Manera sviluppa una riflessione che in altri commenti al libro era assente o soltanto accennata, quella sulla continuità tra Un viaggio che non promettiamo breve e gli altri libri della fucina Wu Ming, a dispetto del suo essere di primo acchito un libro più “difficile”:
«[…] Un viaggio che non promettiamo breve è un libro non-facile da un punto di vista editoriale e senza compromessi […] Questo ne fa, oltre che un oggetto culturale fondamentale per scoprire o approfondire il caso Tav, un libro amatissimo dai militanti e dalla readership più motivata, perché capace di aprire lo sguardo sulle contraddizioni del presente. Appartiene inoltre in modo eminente all’universo Wu Ming, quasi la sintesi di un cantiere di scrittura iniziato all’alba del nuovo millennio: non solo per il coinvolgimento nel movimento o per la riflessione politica che rimanda ai passaggi chiave della critica da sinistra della globalizzazione (Seattle, Bologna, Genova…).
Continui i rinvii interni alla tradizione ribelle ed ereticale di Q e a quella psichico-magnetica di L’armata dei sonnambuli o di L’invisibile Ovunque; alla vena ecologico-indigenista di Manituana, o a quella che passa per le vette e i boschi da Point Lenana a Il sentiero degli dei o di Guerra agli umani di Wu Ming 2, per citare i più evidenti.
Come ha scritto Alberto Prunetti questo “non è un libro solista di un membro del collettivo Wu Ming. È ancora un libro collettivo, corale, polifonico, scritto assieme ai valligiani e ai Giapster”. È come se Wu Ming 1 avesse “tra le mani un mixer e di volta in volta aprisse il microfono a diversi interlocutori”. Questa è ancora “la forza del canone Wu Ming” e un modo di perseguirne lo stile politico […]» [Continua a leggere qui.]
⁂
In una recensione apparsa sulla rivista on line Q Code Mag, Christian D’Elia, come Elia Rossi su La Balena Bianca [ci scusiamo per il doppio bisticcio], ha ipotizzato per Un viaggio che non promettiamo breve una potenziale funzione di apripista. Rossi la ipotizza per poi dubitarne: «Probabile che non saranno in molti a emularlo. La cura necessaria a scrivere un romanzo del genere ha il valore […] di un esempio non facilmente imitabile»; D’Elia si mostra invece più ottimista:
«Un lavoro come questo è un messaggio, di come il genere narrativo si parli e si nutra di quello investigativo, mettendo però i numeri al servizio del racconto, dando ai numeri una platea d’ascolto e di comprensione.
Portando i numeri a essere di nuovo umani, scolpiti nei volti dei valligiani del movimento e di coloro che li hanno combattuti, rimettendo i dati al servizio dell’umano, dell’intimo e dell’universale allo stesso tempo […]
Questa è una stazione di un viaggio, che non sarà breve, verso modalità di reportage/inchiesta capaci ancora di essere romanzo popolare e buona letteratura, che informa, racconta e fa riflettere, senza inaridirsi nelle infografiche e nei tweet.» [Continua a leggere qui.]
⁂
A fine aprile sul sito L’Opinabile era uscita un’altra recensione, stavolta a firma di Gerardo Iandoli. Iandoli sviluppa una riflessione molto originale, tesa a evidenziare una progressione dell’elemento polifonico, della narrazione corale da Q a Un viaggio che non promettiamo breve, fino alla totale collettivizzazione del protagonista, ruolo che nell’ultimo libro viene assunto dall’intera Val di Susa:
«A partire da Q […] il collettivo ha abituato i suoi lettori a un gran numero di persone, nomi, eventi. Ma se nel primo romanzo è ancora riconoscibile un protagonista in mezzo a tante figure, con il passare degli anni i Wu Ming hanno reso sempre più difficile l’individuazione di un vero “personaggio principale” all’interno delle loro storie.
Wu Ming 1, a partire da Point Lenana (pubblicato insieme a Roberto Santachiara), cerca di portare alle estreme conseguenze tale modo di scrivere: all’autore non interessa più raccontare le azioni dei personaggi (elemento alla base della costruzione dell’intreccio, così come già espresso da Aristotele nella sua Poetica), ma far emergere attraverso i vari episodi l’idea di un certo modo di agire. Eppure, Point Lenana è ancora troppo legato al personaggio di Felice Benuzzi, scalatore che è stato prigioniero degli inglesi in Africa durante la Seconda Guerra Mondiale, nonostante la sua biografia diventi l’occasione per mostrare l’atteggiamento che l’Italia, durante il Fascismo e poi gli anni repubblicani, ha sostenuto nei confronti del proprio passato coloniale. La sua storia diventa filo conduttore di altre storie, che si amalgamano per mostrare qualcosa che è più della somma delle loro parti.
Successivamente, Wu Ming 1 pubblica Cent’anni a Nordest: in questo caso, riesce finalmente a liberarsi del protagonista per creare un’opera legata ad un territorio. Il testo è puntellato di eventi, che poi vengono analizzati affinché ne possa emergere il “mito” soggiacente, così da “mitridatizzare” il lettore, aiutandolo a resistere alle “narrazioni tossiche” che certi ritorni fascisti diffondono nell’aria. Il momento narrativo, però, diventa poco più che un pretesto per una serie di riflessioni, che fanno di quest’opera una raccolta di aforismi intorno al fascismo e al nazionalismo del Nordest italiano.
Con Un viaggio…, Wu Ming 1 unisce le due operazioni, poiché cerca di rendere protagonista un territorio. E ogni territorio è, principalmente, l’insieme delle sue voci, sia viventi che passate. La costruzione del TAV Lyon-Torino diventa l’evento scatenante che permette a un intero popolo di riconoscersi, così da affermare la propria esistenza. Esistenza che si declina nella forma della r-esistenza, un ostinato opporsi con la propria presenza alla materia meccanica delle trivelle, giunte in Val di Susa per stravolgere un intero ambiente.» [Continua a leggere qui.]
⁂
Sempre ad aprile ha recensito il libro l’Avvocato Laser, che ha posizionato Un viaggio che non promettiamo breve nel filone esplorato in questi anni da WM1 e WM2:
«Da tempo i Wu Ming sperimentano la forma ibrida che hanno definito UNO: Unidentified Narrative Objects, opere all’incrocio tra molti generi diversi, e perciò non identificabili e non inquadrabili in un singolo scaffale, ma concepite in modo da sfruttare le potenzialità di ciascuno. Introducono elementi del saggio, del diario, della biografia, dell’epistolario all’interno di una struttura narrativa, distorcendola con lo scopo di moltiplicarne l’efficacia: un lavoro in cui il montaggio diventa importante quasi quanto la scrittura, come in un film, e la difficoltà consiste anche, se non soprattutto, nel mantenere un equilibrio di tutte le parti e ridurle a un’opera coerente e armonica.
La sequenza di “esperimenti” di WM1 e WM2 ha a sua volta un intreccio che somiglia a uno sviluppo narrativo, con temi che si rincorrono e si completano tra Il sentiero degli dei, Timira, Point Lenana, Cent’anni a Nordest, Il sentiero luminoso: il viaggio, la memoria divisa, la Resistenza e le resistenze, la montagna sono tra quelli più ricorrenti. Un viaggio che non promettiamo breve è il culmine (per ora) di questo percorso, sia per l’ampiezza dei temi che per l’abilità nel giocare tutte le carte stilistiche del mazzo, non senza aggiungerne di nuove e sorprendenti.» [Continua a leggere qui.]
⁂
Alla fine di marzo, sul sito Gli stati generali era uscita una densa intervista a Wu Ming 1 realizzata da Alessandro Besselva Averame. In una delle risposte, WM1 commentava la scelta di inserire nel libro un elemento allegorico horror e soprannaturale:
«In realtà nessun detrattore si è fatto vivo, nessuno ha contestato quella scelta poetica, il filone “lovecraftiano” del libro. Io mi aspettavo critiche, obiezioni, ma forse è successo questo: poiché l’obiezione me la sono fatta da solo e l’ho incorporata direttamente nel libro (il carteggio con Lovecraft nasce da quello), la scelta è stata spiegata in corso d’opera e quindi è apparsa giustificata. A un certo punto io espongo i miei dubbi a un collega più esperto e titolato, gli chiedo, più o meno: “Ho avuto quest’idea di rappresentare ogni tanto il progetto della Torino-Lione in forma allegorica, come un mostro indefinibile, un’Entità. Ma come faccio a incastonare quelle parti allegoriche nell’impianto di un libro di non-fiction dove la precisione fattuale è importantissima, e dove ogni affermazione deve essere supportata da fonti e dati, riscontrabile e verificabile?” Il collega, pur essendo morto da un’ottantina d’anni, mi risponde per iscritto dandomi un consiglio. Consiglio che io accetto e seguo per tutto il libro, pur con qualche licenza. Il risultato è un reportage narrativo che ogni tanto si tramuta in romanzo horror. Ripeto, nessuno ha avuto da ridire. Nemmeno il quadragonissimo Caselli, che ha criticato il libro sotto tutt’altri aspetti, ma non questo!»
⁂
Qualche tempo dopo, tuttavia, una critica alla scelta «lovecraftiana» è apparsa – “disciolta” in uno strano miscuglio di strane critiche – sul sito Veritav, organo propagandistico ufficiale della Nuova Torino-Lione.
Perché organo ufficiale?
Perché, sebbene sul sito sia arduo trovarlo scritto (e sarebbe gradita una maggiore trasparenza), Veritav è emanazione diretta del «Comitato Promotore della Direttrice Ferroviaria Europea ad Alta capacità Merci e Passeggeri, Lione-Torino-Milano/Genova-Venezia-Trieste-Lubiana, Transpadana», meglio noto come Comitato Transpadana, e del Commissario straordinario per la Torino-Lione. Cioè il governo, che all’epoca della creazione del sito era il governo Renzi.
E perché critiche strane?
Perché sono, con tutta evidenza, basate su una lettura «a campione». Più che una lettura, una consultazione, come avviene per i testi che appartengono al tipo espositivo. Testi nei quali dati e argomenti sono presentati secondo un ordine prevedibile, o almeno estrapolabile.
Solo che Un viaggio che non promettiamo breve è un ibrido di tipi testuali, scritto usando tecniche letterarie e plot devices tipici della narrativa: flashback, flashforward, anticipazioni o foreshadowing, storie-dentro-storie, straniamento, discorso libero indiretto, colpi di scena… Ergo, dati e argomenti sono presentati secondo un ordine imprevedibile.
Quello che si è mirato ad ottenere è un effetto complessivo, prodotto dall’accumulo di dati ed eventi tramite un particolare montaggio. In parole povere: il libro va letto tutto, dall’inizio alla fine. Senza averlo letto così, è impossibile trovare un dato elemento dove ci si aspetterebbe di trovarlo in un saggio. Perché non è un saggio.
Infatti, è piuttosto straniante leggere che nel libro «mancano gli esperti No Tav» (!).
Ivan Cicconi viene citato per pagine e pagine, e per sua intermediazione il defunto ministro Luigi Preti (esperto No Tav ante litteram); montate nel flusso narrativo appaiono lunghe interviste all’ingegner Roberto Vela, al naturalista Luca Giunti e al debunker Simone Franchino, tutti e tre membri della commissione tecnica sul Tav nominata dalla nuova giunta torinese, come anche Claudio Giorno e Claudio Cancelli, anch’essi intervistati nel libro; ricorrono dichiarazioni di Sergio Bologna, che non è precisamente un «esperto No Tav» ma è uno dei massimi esperti di logistica in Europa e demolisce la propaganda sui «corridoi europei» e sullo «spostamento da gomma a rotaia»; vengono citati documenti di commissioni tecniche e istituzioni di diversi paesi, oltreché inchieste zeppe di dati; vengono citati e consigliati i testi più tecnici pubblicati sull’argomento, scritti da Angelo Tartaglia, Massimo Zucchetti e altri.
Non meno straniante risulta leggere che nel libro «manca l’analisi del nemico» (!), secondo il recensore sostituita dall’«ispirazione onirica e fantastica» di Lovecraft e dall’«Entità», definita un «espediente per evitare di fare altro».
Il recensore, spiazzato da quel che accade nel libro sul piano allegorico, ha confuso quest’ultimo col piano fattuale, e ha dunque tralasciato di cercare oltre. Leggendo anziché consultando, avrebbe trovato: una disamina del sistema delle Grandi Opere e dell’ideologia su cui fa leva; pagine e pagine sull’architettura di appalti di cui quel sistema si avvale; nomi di general contractor, consorzi d’imprese e grandi aziende (ricorrente la CMC); nomi di partiti, uomini politici e amministratori; richiami alla dimensione internazionale di tale sistema e a lotte in altri paesi, pur facendo notare le peculiarità del modello italiano. Insomma, i «dati hard» di cui parla Elia Rossi su La Balena Bianca.
Straniante anche leggere che nel libro non si parlerebbe dell’opposizione alla Torino-Lione in Francia… «al netto delle pagine 266-267».
Nel libro, tra le altre cose, si fa notare che per la tratta francese della linea non esiste ancora nemmeno un progetto preliminare. Tutto è demandato a «dopo il 2030». Nelle due pagine di cui sopra – oltre a citare i comitati che si oppongono all’opera in Francia, i comuni francesi che si sono pubblicamente sfilati dalla partecipazione al progetto (il più importante è Grenoble) e il prezioso lavoro dell’economista Daniel Ibanez – si riporta un parere molto critico sulla Torino-Lione dato dalla Corte dei Conti francese. Quella sequenza di Un viaggio che non promettiamo breve si svolge nel 2012; in seguito, la Cour des Comptes è tornata a esprimere forti riserve sul progetto: lo ha fatto nel 2014 e ancora nel 2016, come riportato a pagina 634.
Questi sono solo pochi esempi di presunte «mancanze» del libro secondo Veritav.
La balzana recensione era firmata «Picobeta».
Si tratta di uno dei nickname di un “disturbatore” sìTav visto in azione anche su Giap. Dopo la pubblicazione del post, «Picobeta» ne ha spammato il link negli spazi commenti di vari siti, più o meno ovunque si parlasse del libro, ricorrendo alla tecnica da clickbaiting di annunciarla come recensione positiva.
Il tutto, va detto, con scarso successo.
È un microepisodio che non avrebbe meritato alcun accenno (al massimo una frecciatina a Veritav, che dissimula la propria natura di megafono del governo e si presenta come voce indipendente), se quella recensione non gettasse un’interessante luce – inavvertitamente e da un angolo diverso dal solito – sulla natura ibrida di Un viaggio che non promettiamo breve.
Natura che, sì, agli occhi di certi non può che apparire aberrante. Grazie, Veritav, per questa conferma.
Del nemico non si butta via niente 🙃
⁂
Il prossimo appuntamento con Un viaggio che non promettiamo breve sarà mercoledì 17 maggio alla libreria IBS di Ferrara. Goin’ home. Grazie a tutt*.
Secondo attacco al mio libro sul sito propagandistico ufficiale della Torino-Lione, seconda volta che fanno splash, o meglio: → pluf!
La descrizione dell’Entità li ha davvero fatti incazzare, non riescono proprio a concentrarsi su altro, e quindi continuano a dire che nel libro manca questo e manca quello. Poi se la prendono coi recensori, a loro dire incapaci di distinguere «tra finzione letteraria e dati scientifici». In realtà, i recensori ci sono riusciti benissimo, loro :-)))
Ribadisco: mi sembra la riprova che la narrazione ibrida e «con ogni mezzo necessario», quando arriva, inquieta e fa incazzare più di un romanzo o di un saggio. Perché perturba. E il perturbante produce effetti imprevedibili. Se racconti una storia di corna, o scrivi un saggio di costume sull’infedeltà coniugale, non ottieni le stesse reazioni di Lost Highways di Lynch. Senza voler paragonare le due opere e le diverse perturbanze, s’intende.