Il discorso di fine anno di Sergio Mattarella, coi riferimenti alla «Vittoria» e ai «Ragazzi del ’99», fa presagire — ma l’avevamo presagito da un pezzo — che il 2018, centenario della fine della Grande guerra, sarà molto peggio del 2015, centenario del suo inizio (per l’Italia).
Nel 2015 il Paese celebrò la sua entrata in guerra, cosa di per sé già stridente, ché non si dovrebbe festeggiare l’inizio di una carneficina, semmai la sua fine.
Per giunta, quella dell’Italia – come può confermare qualunque storico – fu una guerra di aggressione, anche se da cent’anni viene spacciata alle masse come guerra di difesa. Aggressione perpetrata rovesciando le proprie alleanze.
L’ignoranza era e rimane fittissima. Il 24 maggio 2015 alcuni politici razzisti andarono sul Piave e celebrarono l’entrata in guerra con la frase: «Non passa lo straniero!», ovviamente alludendo ai migranti di oggi.
Peccato che nel maggio 1915 fosse il Regno d’Italia lo straniero che violava in armi il confine con un altro stato, l’Austria-Ungheria, e ne invadeva le terre, con il dichiarato intento di arrivare a Trieste, città asburgica da più di cinquecento anni.
La difesa del Piave è roba di quasi tre anni dopo, quando l’Italia sabauda subiva il contrattacco degli invasi. Ma vallo a spiegare a Salvini e Meloni…
Tre anni or sono si è vista e sentita roba da chiodi, e altra se ne è prodotta pochi mesi fa in occasione del centenario di Caporetto, eppure tutto questo – fidatevi di noi – non è niente rispetto a quel che succederà tra pochi mesi. Si preparano gigantesche pagliacciate, il liquame della retorica nazionalista percolerà ovunque, e il mito della Grande guerra servirà a coprire/giustificare ogni schifezza del presente: la nostra perenne tentazione neocoloniale, le nostre missioni militari in Africa e Asia, le nostre vendite record di armamenti…
Una delle iniziative propagandistiche più assurde e invadenti si sta preparando sull’Adamello, dove qualcuno vorrebbe issare un tricolore lungo un chilometro.
Questa storia è emblematica, perché ci riporta al mito delle Alpi come «sacri confini», «baluardi dell’italianità», «altari della patria» en plein air, e alla realtà delle Alpi come luogo di colonizzazione, dove chiunque abbia un po’ di potere si sente autorizzato a fare qualunque cosa.
Questa storia ci parla anche degli Alpini, del mito bonario che li avviluppa e della loro storia reale, che è molto diversa dall’oleografia.
Con questa storia prosegue la ricognizione di come sono vissuti questi cent’anni a Nordest, in un bellissimo reportage di Mr. Mill che potete leggere su Alpinismo Molotov.
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Buona lettura.