[Stiamo per finire il nostro «romanzo russo». Consegna all’editore: giugno 2018. Uscita: ottobre 2018. Mentre corre verso di noi, inesorabile, il termine della stesura, fantasmagorie di cultura russa e rivoluzioni l’accompagnano, esplodendo davanti agli occhi, e ovviamente tra gli spettri ballonzolanti non può mancare il buon vecchio Sergej Michajlovič.
Una decina di mesi fa, il corto-circuito tra il ritorno sugli schermi della corazzata di Ejzenštejn (in versione integrale e restaurata), gli appunti di visione di Wu Ming 1 e la morte di Paolo Villaggio innescò una querelle sulla memoria del film del 1925 e su quella che è probabilmente la sequenza cinematografica più fraintesa della storia del cinema italiano: la sequenza del cineforum aziendale in Il secondo tragico Fantozzi (1976).
Qualche tempo dopo, il direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli chiese a WM1 di rifinire il suo post, integrandovi alcuni spunti emersi nella discussione, come contributo per il libro allegato al DVD, accanto ad altri testi storici e critici.
Il DVD è uscito nel dicembre 2017, e nei mesi scorsi la nostra nave da guerra preferita è approdata in molte città italiane, sempre con grande successo popolare. Perché La Corazzata Potëmkin è un grande, esaltante film popolare. E il capitale lo sa bene, tanto che il 22 gennaio scorso Google (nientemeno) ha celebrato il 120esimo anniversario della nascita di Ejzenštejn, dedicando al regista il suo doodle.
E così, mentre le librerie ricevono la scheda di prenotazione del nostro romanzo («La rivoluzione russa vista da un altro pianeta», c’è scritto), vi invitiamo a ri-sintonizzarvi con quella grande temperie, e proponiamo anche qui il testo di Wu Ming 1.
Ignorate i nuovi Guidobaldo Maria Riccardelli. Non fatevi dettare i gusti culturali dalle nuove contesse Serbelloni Mazzanti, che per non essere dette radical-chic fanno le gare di alitosi nei rutti. Compatite lo snobismo di chi sa solo ripetere la battuta sulla «cagata pazzesca». La loro stessa risata li seppellirà.
Oggi in tutto il mondo la Corazzata conquista le giovani generazioni, navigando nelle vaste acque delle nuove lotte sociali. Prima o poi succederà anche da noi. Siate pronti. Tutto il potere ai consigli di operai e Soldati! WM]
1.
«Братья!»
«FRATELLI!»
Sera del 26 giugno 2017, Piazza Maggiore, Bologna. Migliaia di persone – non meno di quattromila – applaudono in piedi La corazzata Potëmkin.
La moltitudine ha appena seguito col cuore in gola la storia del celebre ammutinamento avvenuto durante la rivoluzione russa del 1905, della solidarietà di un’intera città (Odessa) agli ammutinati, e della violentissima repressione che la popolazione subisce per mano dell’esercito zarista.
L’orchestra filarmonica del Teatro comunale di Bologna ha appena eseguito – con una forza che staccava da terra sedie e culi – la partitura composta per il film da Edmund Meisel nel 1927, e ora si gode la lunga ovazione.
È stata la serata più intensa di quest’edizione, la trentunesima, del festival Il cinema ritrovato.
Con me c’è mia figlia dodicenne. Si è emozionata, si è commossa, si è stretta a me durante le scene più violente, si è entusiasmata nel finale.
«Fratelli» è la parola chiave del film: appare all’inizio, scatena l’ammutinamento e annuncia il grande atto di solidarietà di classe nel finale.
La corazzata Potëmkin è stato una grande sorpresa per la maggior parte dei presenti in piazza. Sui lati, all’inizio, qualcuno ridacchiava, ho sentito mormorare la frase «cagata pazzesca», c’era chi pensava di fermarsi pochi minuti, farsi un sogghigno e andare via… e invece è rimasto lì in piedi per oltre un’ora, magnetizzato, e magari ha pianto, magari era tra i volti estasiati fotografati da Lorenzo Burlando durante la proiezione. Di certo ha partecipato alla lunghissima standing ovation. A quella hanno partecipato tutti.
Nei giorni precedenti, la Cineteca di Bologna ha voluto fare una piccola e divertente campagna di debunking, con video e altri mezzi. Una troupe ha intervistato gente per le vie del centro, e molti erano convinti che il film durasse tre o quattro ore, se non di più. Dura 70 minuti.
2.
E già. Molti pensano di sapere com’è La corazzata Potëmkin anche senza averlo visto. Lo associano a qualcosa che credono di conoscere, cioè l’intento di Luciano Salce e Paolo Villaggio nella celeberrima scena de Il secondo tragico Fantozzi (1976).
Quell’associazione ha tenuto a distanza il film. La corazzata Potëmkin è divenuta, a torto marcio, emblema di lunghezza e pesantezza.
Mi piace pensare che almeno 4000 persone, la sera del 26 giugno, vedendo il film, abbiano capito il vero significato della scena della rivolta al cineforum.
Salce, Villaggio e gli sceneggiatori Benvenuti e De Bernardi adattarono e trasformarono radicalmente un racconto incluso ne Il secondo tragico libro di Fantozzi (1974), a sua volta derivante da un monologo che Villaggio rielaborava da anni.
Solo vedendo La corazzata Potëmkin si capisce che ne Il secondo tragico Fantozzi il bersaglio della risata e della critica non erano – come molti credono – le cose «pesanti» e «difficili», non erano gli «intellettuali» (men che meno «di sinistra»), ma il potere – rappresentato dalla Megaditta che tutto controlla – che ingloba e svuota la cultura, anche la cultura della rivolta.
3.
È necessario un caveat: qualunque cosa abbia dichiarato nei decenni successivi (e ha detto ogni cosa e il suo contrario, anche su La corazzata Potemkin), ricordiamo sempre che all’epoca dei primi due Fantozzi Villaggio era vicino all’estrema sinistra. Nella nota biografica del libro Fantozzi (prima edizione 1971), si definiva – per burla ma non solo – «a sinistra del Partito Comunista Cinese», ed è interessante vedere come si descrisse ne Il secondo tragico libro di Fantozzi (1974). Qui l’io narrante è Fantozzi stesso che, seccato dalle attenzioni di Villaggio nei suoi confronti, scrive una Lettera al direttore amministrativo:
«[…] Paolo Villaggio lo conosco bene e non mi piace. Non mi piace quel suo impegno politico del quale io diffido, cioè non credo alla sua buona fede: so che è nato a Genova da famiglia borghese benestante […] come si concilia questa sua origine con i suoi atteggiamenti da “sovversivo”? So che a Roma frequenta circoli di sinistra. La notte di Natale [del 1970] è stato a fare uno spettacolo alla Coca-Cola con Gian Maria Volontè e altri bei tipi di questo stampo e ha partecipato a varie manifestazioni per il Vietnam prima e ultimamente per il Cile. Ha dato dei soldi varie volte a gruppuscoli di sinistra e vota sempre comunista.»
–
Tutte cose vere e verificabili. Villaggio votava PCI (o almeno così diceva), ma faceva scorribande alla sinistra del partito, anche finanziando organizzazioni rivali.
Ancora nel 1987 Villaggio si candidò alle elezioni politiche con Democrazia Proletaria. Il creatore di Fantozzi era un intellettuale di sinistra. Cosa che dagli anni ’90 in poi lasciò cadere e in parte rinnegò. Le sue rievocazioni di quell’epoca sono segnate da continui “aggiustamenti”, e sono interessanti anche per questo: la storia usa come fonte non solo la testimonianza, ma anche il progressivo alterarsi della testimonianza.
4.
A forza di sentir dire – anche da Villaggio in persona – che la famosa scena prendeva in giro la cultura dei cineforum di sinistra, ci si è dimenticati che quello rappresentato nel film non è un cineforum di sinistra: è il cineforum della Megaditta, rivolto non a compagni ma a colletti bianchi “apolitici”.
Guidobaldo Maria Riccardelli non è un compagno né un intellettuale di sinistra: è anzi un dirigente della Megaditta, talmente organico a quest’ultima da presiedere la Commissione Assunzioni.
L’unico militante marxista che appare nel mondo di Fantozzi è la «pecora rossa» Folagra. Se nell’episodio del cineforum Villaggio et alii avessero voluto prendere di mira gli «intellettuali di sinistra», e caratterizzare il cineforum stesso come «di sinistra», sarebbe stato naturale riproporre la figura di Folagra, già apparso nel primo film, e dargli un ruolo in quel contesto. Il secondo film è pieno zeppo di personaggi ripescati dal primo, tanto che oggi consideriamo entrambi – insieme ai successivi, sempre più brutti e banali – parte di un continuum, un unico flusso di storie dove appaiono Filini, Calboni, la signorina Silvani…
Invece no: al presunto “cineforum di sinistra”, manca proprio l’unico personaggio caratterizzato come di sinistra.
5.
La corazzata Potëmkin narra una rivolta, ma nel film di Salce – dove il titolo è storpiato in «Kotiomkin» – quella rivolta è addomesticata, disinnescata, la cornice del cineforum aziendale e la modalità di fruizione la sviliscono, e la visione stessa è sminuzzata, non c’è più l’insieme, solo dettagli svuotati di ogni senso: «L’occhio della madre… La carrozzella…»
Tutta la teoria critica radicale del dopoguerra, dalla Scuola di Francoforte ai situazionisti a Pasolini, aveva come premessa il fatto che il capitalismo mercificasse la rivolta e la rivoluzione stessa, e la borghesia recuperasse per proprio tornaconto le istanze rivoluzionarie. Decine di saggi e performances e film dell’epoca si occupano esattamente di questo, da La società dello spettacolo di Debord ai testi di Marcuse, passando per i comunicati degli Yippies, fino agli Scritti corsari.
Emblematico di questo processo – e pienamente nella temperie degli anni ’70 – il destino del comunista Ejzenstein nel cineforum della Megaditta.
Nella Megaditta la parola «comunista» normalmente fa tremare i vetri, eppure un film sulla rivoluzione girato dal più noto cineasta rivoluzionario è proiettato più e più volte, senza che i vetri tremino, perché l’opera è stata recuperata e depoliticizzata. Villaggio mostra la parabola di un film rivoluzionario divenuto innocuo e addirittura tedioso per mano della cultura borghese, in un’azienda-che-si-fa-mondo, un’azienda il cui megapresidente si dichiara «non proprio comunista… Diciamo “medio-progressista”».
Lo “scatto”, il colpo di genio consiste in questo: il film è stato cooptato, asservito, svilito, eppure riesce, in modo paradossale, a ispirare la stessa rivolta di cui narra. A insorgere sono infatti gli impiegati, e poiché regista e autori sanno il fatto loro, la rivolta contro il film ripete quella nel film.
6.
L’episodio del cineforum è un remake del film di Ėjzenštejn, un’allegoria a chiave che ne ripercorre tutti e cinque gli atti:
– il cineforum è la corazzata;
– Fantozzi è il marinario Vakulenčuk che per primo grida la verità su quel che sta accadendo;
– gli spettatori sono i marinai insorti;
– l’odioso Riccardelli è il corpo degli ufficiali spodestati;
– la sala occupata è Odessa;
– la polizia che «s’incazza davvero» ha il ruolo dei cosacchi che reprimono.
E la partita dell’Italia? Anche quella è parte del remake. Se intorno alla Corazzata Potemkin è in corso la rivoluzione russa del 1905, alla quale i marinai vogliono prendere parte, intorno al cineforum aziendale è in corso la visione collettiva della partita, alla quale gli impiegati vogliono prendere parte. In entrambe le storie vengono introdotti a bordo materiali clandestini che permettano di collegarsi a quel che avviene fuori: testi di proclami rivoluzionari nel film parodiato, radioline e televisorini nel film parodiante.
A rendere l’intera allegoria una vertiginosa mise en abyme, il ruolo della carne marcia imposta ai marinai è assegnato al film dove si narra la rivolta.
Il finale del remake è tuttavia molto diverso: gli insorti non hanno scampo e sono condannati a mettere in scena e subire ad nauseam la repressione zarista/aziendale. Nessun grido liberatorio segnala una catarsi.
7.
Siamo di fronte a una parodia colta e, al fondo, per nulla anti-intellettuale.
Chi non ha mai visto il film di Ėjzenštejn non può rendersene conto.
Se non tutti, svariati spettatori del 1976 lo avevano visto.
L’episodio, per il pubblico di allora, aveva una carica critica ad alto voltaggio, che però col tempo si è esaurita. Non poteva che esaurirsi: il contesto che rendeva l’episodio comprensibile in tutti i suoi aspetti e livelli – l’Italia degli anni Settanta, dei movimenti radicali, delle grandi lotte operaie -, quel contesto non c’è più.
8.
Cosa rimane di quella critica, oggi, nell’interpretazione corrente del film e della famosa scena? Pressoché nulla. L’episodio, tolto dal suo contesto, rivisto e ri-rivisto da solo quando non ridotto alla sola scena madre, citata e stracitata come semplice gag, col tempo ha cambiato significato: oggi è evocato per rigettare la cultura stessa e tutto ciò che è «difficile», in nome del parla-come-magni (detto quasi sempre da gente che mangia malissimo) e del solito «E fattela ‘na risata!»
L’eterna ripetizione della gag ha diffuso l’idea che La corazzata Potëmkin duri molte ore e altri miti che il film manda in frantumi, se solo si supera il pregiudizio. Ma il pregiudizio c’è ed è futile negarlo. Un danno culturale c’è stato. L’arma della critica è stata girata e puntata contro la critica stessa, allo stesso modo in cui Riccardelli, gerarchetto della Megaditta, aveva girato e puntato il cinema di Ėjzenštejn contro i suoi sottoposti.
9.
Dice veramente molto sul nostro presente, su com’è stata distorta se non capovolta la ricezione della satira fantozziana, il fatto che molta gente oggi creda quel cineforum un cineforum «di sinistra», e Riccardelli un «intellettuale di sinistra». Dice moltissimo sull’egemonia ideologica dell’aziendalismo il fatto che le colpe dell’azienda, in una torsione allucinata ma non casuale, vengano oggi date alla «sinistra».
Questa visione retroattiva di una sinistra che negli anni ’70 avrebbe avuto il controllo della cultura è nata con il revanscismo di destra dell’epoca berlusconiana. Le prime campagne sui «cinquant’anni di egemonia culturale della sinistra» le fece nel 1993 L’Italia settimanale, periodico diretto da Marcello Veneziani.
Tale ricostruzione di comodo dimentica alcuni “piccoli” dettagli, e cioè che il ministero della pubblica istruzione fu per cinquant’anni ininterrottamente in mano alla Democrazia Cristiana; che fino al 1977 la Rai rimase quella democristiana su cui Bernabei e i suoi esercitavano un controllo soffocante (la Rai che aveva cacciato Dario Fo e Franca Rame e aveva una lunga lista di artisti che non potevano comparire nei programmi); che i periodici più diffusi non erano certo i Quaderni piacentini ma i reazionari Oggi e Gente, oltre alle riviste di fotoromanzi; che i libri di saggistica più venduti erano i volumi della Storia d’Italia di Montanelli e Cervi [oggi, non per niente, il Corriere della Sera li rimette in circolazione in riedizione acritica, N.d.R.]. Nell’Italia che da trent’anni mandava al governo la DC, gli “intellettuali” (insegnanti, professori, giornalisti ecc.) non di sinistra erano la maggioranza.
10.
Oggi l’obbligo contro cui ribellarsi non è quello di guardare La corazzata Kotiomkin. Semmai, al contrario, è quello di non prendere mai nulla sul serio. Il «farsi una risata» come risposta a tutto, l’essere sempre ironici per non mostrarsi mai troppo coinvolti in nulla, perché coinvolti equivale a vulnerabili, e dunque ironia sempre, cinismo e disincanto, non devi dare mai l’impressione di credere fino in fondo a quel che dici. Soprattutto, fai vedere che ti stanno sul cazzo gli «intellettuali». Risulta molto più facile se adotti l’espediente di chiamare «intellettuali» tutti quelli che ti fanno sentire vulnerabile. Chiama «pippone» qualunque cosa scrivano o dicano.
In un simile clima culturale – che mi auguro venga spazzato via al più presto da un’immane tormenta – un film come quello di Ėjzenštejn, che mostra la fratellanza nella rivolta e a volte fa sarcasmo sul potere ma mai ironia sulla rivolta stessa, deve per forza essere considerato una «cagata pazzesca». Vige l’obbligo di conformarsi alla lettura più decontestualizzata e banale dell’episodio fantozziano.
È contro quest’obbligo che dobbiamo ribellarci, proprio come Fantozzi si ribellò al cineforum aziendale.
E gli applausi di Piazza Maggiore non saranno durati 92 minuti, come quelli riservati all’insorto Fantozzi/Vakulenčuk, ma bastano a convincerci che siamo nel giusto.
«Братья!»
Bologna, giugno – settembre 2017
Eventuali commenti qui, grazie.
[…] Ben presto decidiamo di ignorare i decessi illustri. Le volte che parliamo di un morto è solo ed esclusivamente perché abbiamo qualcosa di interessante da dire e c’è modo di dirlo creando rimbalzi tra Twitter e Giap. Magari partendo proprio dai necrotweet, come quando, in morte di Paolo Villaggio, proviamo a mettere il puntino sulla i di Potëmkin. […]