di Wu Ming
Nicoletta Bourbaki, come ben sa chi segue Giap, è un gruppo di lavoro sul revisionismo storiografico in rete, sulle false notizie a tema storico, sulla riabilitazione dei fascismi in tutte le sue varianti e manifestazioni. Il gruppo si è formato nel 2012 in seguito a una discussione su questo stesso blog e ha al suo attivo molte inchieste e diverse pubblicazioni. Ha anche scritto Questo chi lo dice? E perché?, una guida alle bufale storiche pensata per usi didattici.
Lo pseudonimo collettivo «Nicoletta Bourbaki» è un détournement transfemminista di «Nicolas Bourbaki», maschilissimo gruppo di matematici francesi attivo dagli anni Trenta agli anni Ottanta del XX secolo.
Nicoletta si è a lungo occupata di come, sulla Wikipedia in lingua italiana, le voci dedicate alla storia del Novecento siano oggetto di continue e pesanti manipolazioni da parte di utenti di destra ed estrema destra. Ciò riguarda principalmente – ma non esclusivamente – le voci dedicate al fascismo e alla Resistenza.
Stiamo parlando di centinaia di voci. L’inquinamento è in corso da anni e, per quanto possa suonare controintuitivo, non procede con vandalismi bensì tramite un esibito formalismo, un rispetto alla lettera – ma sarebbe meglio dire: di facciata – delle regole che la comunità wikipediana si è data per evitare l’aborrito POV [Point of View, la non «neutralità» delle voci].
Come si è dimostrato con numerosi esempi, proprio tali regole – costruite intorno a un’idea di «neutralità» del sapere che nel corso del Novecento è stata spazzata via da quasi ogni campo epistemologico – sono divenute un dispositivo inesorabile. Dispositivo che consente a neofascisti e affini di introdurre come «pezze d’appoggio» fonti prive di qualsivoglia valore storiografico (in questo aiutati dalla tendenza a definire «storici» i giornalisti che scrivono di storia), presidiare in branco le voci impedendo ad altri di emendarle, bullizzare chi cerca di opporsi all’andazzo ecc.
Il tutto nascosto dietro il cliché passivo-aggressivo: «Invece di lamentarsi, sarebbe meglio correggere. Chiunque può modificare Wikipedia». Cliché che buona parte della comunità wikipediana usa come risposta-passepartout a ogni analisi critica di ciò che avviene sull’enciclopedia on line, e che opera da mascheratura ideologica della realtà.
Realtà che invece sarebbe proficuo rappresentare tramite la nota distinzione tra «costituzione formale» (le regole scritte) e «costituzione materiale» (i concreti rapporti di forza). Ma questo, nella community, è un approccio tabù, perché il concetto di «rapporti di forza» presuppone la presenza in campo di soggetti collettivi, mentre nella rappresentazione ideologica wikipediana esistono solo utenze individuali. Ci sono solo singoli che (a volte) discutono tra loro, e la presenza – pure evidentissima – di reti, alleanze, consorterie, branchi è negata in modo perentorio, e «invisibilizzata».
Soprattutto, il concetto di «rapporti di forza» presuppone l’esercizio di una forza, cioè il conflitto interno, che invece è ostinatamente negato. Di conseguenza, reti, alleanze e consorterie sono sempre e solo quelle nemiche: vengono costantemente evocate come minaccia dall’esterno all’enciclopedia e alla sua apparente neutralità, tramite lo spauracchio della «chiamata alle armi» per «imporre un POV».
[En passant, ai lettori più attenti non sfuggirà come questa rappresentazione del mondo sia tipicamente di destra.]
Poiché Wikipedia è lo strumento più usato dagli studenti e dai giornalisti, la questione dell’inaffidabilità delle voci di storia è più volte affiorata nel mainstream, spesso con approssimazioni e sbavature che poco hanno giovato alla causa di chi vorrebbe contrastare questi meccanismi. Ogni volta nel “bar” di Wikipedia si è reagito con fastidio, anche quando gli articoli si limitavano a segnalare dati di fatto.
È accaduto anche un paio di settimane fa, quando sul Venerdì di Repubblica del 28 giugno, nella sua rubrica «L’Infedele» Gad Lerner ha sollevato la questione della voce «Autunno caldo», contenente una sfilza di spropositi reazionari tratti soprattutto dalla famigerata Storia d’Italia di Montanelli e Cervi.
Dopo l’articolo di Lerner qualcuno ha cancellato dalla voce le affermazioni più imbarazzanti, ma senza la denuncia coram populo la voce avrebbe continuato a fare schifo. Come abbiamo più volte riscontrato, accendere il riflettore su una particolare ed eclatante nefandezza è spesso il solo modo per farla correggere.
Oggi cogliamo al balzo la palla di quest’ennesimo episodio per segnalare un nuovo scritto del gruppo di lavoro.
Nel mese di aprile 2018 si è tenuto presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma un convegno di studi filologici dal titolo «Textual Philology Facing Liquid Modernity: Identfying Objects, Evaluating Methods, Exploiting Media». Al convegno ha partecipato anche Nicoletta Bourbaki, con un intervento curato e presentato da Benedetta Pierfederici e Salvatore Talia, intitolato «La narrazione della storia in Wikipedia: pratiche, ideologie, conflitti per la memoria nell’Enciclopedia libera» . Nel contributo vengono sistematizzate le riflessioni storico-critiche su meccanismi e dinamiche della Wikipedia in lingua italiana.
L’intervento, da poco pubblicato negli atti del convegno, è ora disponibile on line nella versione pre-print. → Ecco come lo presenta, linkandolo dal suo profilo su Medium, Nicoletta Bourbaki. Buona lettura.
Wikipedia è affidabile per temi di tipo scientifico, però gli amministratori non comprendono che anche la storiografia lo è. Tutti gli argomenti catalogati come Storia dovrebbero obbligatoriamente citare le fonti e verificarne automaticamente l’attendibilità di queste ultime. Algoritmi avanzati di AI potrebbero venire in soccorso. Non è un problema tecnologico, ma politico.
Però se il problema non è «tecnologico, ma politico», la soluzione di certo non può essere riposta in «Algoritmi avanzati di AI». E il problema è indubbiamente politico. Se allarghiamo poi la riflessione, una soluzione tecnologica nemmeno può darsi, a meno che non si consideri – anacronisticamente – scienza e tecnica indipendenti dai rapporti sociali; non essendo neutrali, la loro stessa evoluzione è eminentemente, anch’essa, un questione politica.
Wu Ming qua sopra scrive una cosa chiarissima: nella comunità di Wikipedia viene rifiutato l’approccio che distingue la «costituzione formale» dalla «costituzione materiale», negando di fatto il conflitto e facendo un tabù del «concetto di «rapporti di forza» [che] presuppone la presenza in campo di soggetti collettivi, mentre nella rappresentazione ideologica wikipediana esistono solo utenze individuali.» Utenze individuali, aggiungo, che – questo l’assunto alla base del progetto Wikipedia – partecipando in massa e autoregolandosi producono la migliore approssimazione di una cosiddetta “conoscenza obiettiva”. Il conflitto trova difficilmente un ruolo in questa rappresentazione, ed è anche per questa ragione che personalmente ritengo importantissimo il lavoro di Nicoletta Bourbaki, perché mostra la presenza del conflitto là dove se ne nega la presenza (o lo si riduce a disfunzionalità).
Per tornare all’idea che degli «algoritmi avanzati» possano risolvere le criticità nel funzionamento di Wikipedia, senza entrare nella possibilità reale che questo sia a breve tecnicamente praticabile, a me pare che sia un ulteriore elemento che può contribuire a escludere dal discorso attorno a Wikipedia proprio la dimensione del conflitto, facendo apparire la superficie ancor più levigata – riprendendo un’immagine utilizzata nel contributo curato da Pierfederici e Talia linkato in questo post – e rendendo ancor più difficoltoso cogliere «il rumore sordo e prolungato di una battaglia» che si ode nell’analisi critica delle voci, voci che sono il risultato provvisorio – ancora Pierfederici e Talia – di «un processo di collaborazione conflittuale in cui le abilità diplomatiche e politiche contano almeno quanto l’ossequio alle linee guida del Progetto».
L’approccio tecnologico “AI” a cui si fa si fa cenno intende ipotizzare una soluzione di metodo, e non riguarda l’analisi storica in sé. La storiografia è scienza e metodo e dunque risponde a standard consolidati; per farla breve, il fatto storico per essere considerato attendibile dovrebbe citare fonti consolidate, autorevoli ed indagabili , o perlomeno sarebbe lecito sapere chi scrive frottole ( vedi Foibe ).In tal senso,la tecnologia, oggi mostruoso motore e replicatore di “fake news”, potrebbe essere utilizzata per finalità di segno diverso. La scienza è per sua natura neutra, è la politica- intesa come scelte individuali o collettive- che la connota.
Scusa, ma tu prima di lasciare questi commenti hai cliccato qualche link? In particolare, hai letto il testo segnalato qui sopra? Perché se noi facciamo un post ad hoc in cui, dopo avere riepilogato un’opera di inchiesta che dura da anni (una riflessione collettiva sul metodo storiografico portata avanti da un gruppo di lavoro composto da storici, filologi, attivisti ecc.), segnaliamo un testo su «pratiche, ideologie e conflitti» nella narrazione storica su Wikipedia, ci piacerebbe che si commentasse quello, e con cognizione di causa, cioè dopo averlo letto.
Leggendo quello e altri testi di NB, si può constatare che la citata questione delle fonti riguarda l’attendibilità delle fonti secondarie, perché Wikipedia è un’enciclopedia, dunque una fonte terziaria. Il conflitto che raccontiamo ruota sì anche intorno al falso storico propriamente detto (su Wikipedia i fascisti sono arrivati a inventarsi fonti di sana pianta!), ma molto più spesso è messo in pratica in modo più sottile, attraverso una pretesa di “par condicio” tra le interpretazioni del «fatto storico». Si pretende la pari dignità per due interpretazioni opposte del medesimo fatto anche quando una è plausibile e fondata, e proposta da storici veri che citano le fonti primarie che hanno usato e indicano dove trovarle per fare le verifiche del caso, mentre l’altra è palesemente demenziale, e propalata da pubblicisti di varia estrazione, quasi sempre fascisti, che si citano tra loro in una sorta di anello di Moebius.
In questa contesa, le questioni di metodo sono inscindibili da quelle politiche, perché il rifiuto del metodo storiografico a favore di dispositivi che replicano narrazioni tossiche è un problema politico. Non si risolve rappresentandolo come un problema “tecnico”, tantomeno richiamandosi a un’idea di scienza «per sua natura neutra». Definizione peraltro molto discutibile, ma non è questa la sede per riepilogare un secolo di dibattito epistemologico e di filosofia della scienza.
Si,riconosco di non aver centrato il tema, evidentemente per la eccessiva foga di partecipare ad una discussione molto appassionante. Non vi è alcun dubbio che la tecnologia non può in alcun modo venire in soccorso ad un problema che riguarda l’analisi storiografica che richiede competenze specialistiche, ed è palese che NB svolga un lavoro di elevato profilo. Tuttavia, a mio modesto avviso, c’e un problema di divulgazione, ovvero la possibilità che anche la pubblicazione orientata al lettore meno istruito segua principi di pedagogia – mi si passi il termine – “ontologica” ( nel senso informatico) che aiuti il lettore stesso a riconoscere le diverse interpretazioni delle fonti e dunque a sviluppare una coscienza critica. Orientarsi nel marasma del sovraccarico di informazioni è un problema. Io, voi e gli altri qui in questo spazio siamo dalla stessa parte, ma vorrei che lo siano domani anche tanti ragazzini di oggi, che devono conoscere la Storia, attraverersando i rischi connessi alle trappole informative e tecnologiche, è questo si è un tema squisitamente politico
«principi di pedagogia – mi si passi il termine – “ontologica” ( nel senso informatico) che aiuti il lettore stesso a riconoscere le diverse interpretazioni delle fonti e dunque a sviluppare una coscienza critica. Orientarsi nel marasma del sovraccarico di informazioni è un problema.»
NB ci ha fatto un manuale, su questo problema. È linkato nel post sopra.
Il più brevemente possibile, per non andare OT. La non neutralità della scienza qui su Giap ha sollevato dibattiti appassionanti che ti consiglio vivamente di leggere. Mi limito quindi a un paio di note riguardo all’IA.
Come le regole di wikipedia, un algoritmo è una serie di regole scritte da una comunità umana, poi implementate in una macchina per ragioni performative. Nel post mi sembra che si critichi l’ignavia della comunità di wikipedia che si fa scudo delle sue regole ‘neutrali’. Temo che passare a strumenti più potenti non faccia altro che potenziare questo rischio di soffocare conflitti e discussioni più approfondite sotto una coltre algoritmica.
Per di più (e scusa la sintesi, ma l’argomento è tecnico, profondo e particolarmente OT qui) molte delle tecnologie come le reti neurali su cui si basano gli algoritmi di deep learning sono esse stesse soggette a svariate critiche e dibattiti che vanno per esempio dalla difficoltà di anticipare e correggere i bias razziali, al cosiddetto problema della ‘scatola nera’ (l’impossibilità – per la struttura stessa di una rete neurale – di seguire i passi che portano da un input a un output).
Allo stato delle cose, mi sento tranquillamente di dire che usare un’IA sarebbe solo controproducente, pericoloso e fonte di nuovi conflitti. Ci vorrebbe un programma costruito dalla comunità in maniera trasparente, orizzontale, collaborativa… e anche a questo punto ci sarebbe da discutere se questo sia davvero lo strumento per risolvere il probelma sollevato nel post.
Oggi (16 luglio) sono stati pubblicati due testi in cui il funzionamento concreto di wikipedia viene descritto in termini di rapporti di forza e di contrapposizione di una costituzione formale a una costituzione materiale. In entrambi i testi, questa descrizione sintetizza i risultati a cui è giunta Nicoletta Bourbaki nei suoi studi di caso. Un testo è il post qui sopra; l’altro è questo mio articolo uscito su Jacobin Italia, che è una riflessione sui beni comuni: categoria nella quale c’è chi fa rientrare wikipedia. Per contestare l’idea che “l’enciclopedia libera” possa essere rappresentata sic et simpliciter come un luogo in cui il general intellect può dispiegarsi senza ostacoli, chiamo in causa Nicoletta. Che io e WM, scrivendo indipendentemente l’uno dagli altri, abbiamo usato concetti simili (costituzione formale vs costituzione materiale, rapporti di forza, ideologia nel senso marziano del termine), non è ovviamente un caso: la partecipazione al lavoro di Nicoletta ci accomuna, e ci induce talvolta a parlare la stessa lingua. Nemmeno è un caso che i nostri due pezzi siano usciti lo stesso giorno. Si tratta di un fenomeno ben conosciuto, che ha un nome tecnico: è la fottuta risonanza. :)
No, il senso in cui WM e io usiamo il termine “ideologia” non è quello *marziano* (che personalmente ignoro, ma magari qualcuno dei personaggi di Proletkult può venirmi in aiuto), bensì quello *marxiano*!