La viralità del decoro. Controllo e autocontrollo sociale ai tempi del Covid-19. Seconda puntata (di 2)

Napoli, 11 marzo 2020. Il poliziotto che al Vomero, urlandogli «io sono lo stato», fa alzare l’anziano che si riposava un momento dopo aver fatto la spesa, riassume in sé tutte le guardie, vigili e portatori vari di divisa che in questi anni di «decoro» hanno svegliato, scosso, costretto ad alzarsi, daspato e multato chi si era assopito, perché stanco o senza casa, su una panchina. Video qui. Da notare: ha ragione l’anziano («Lei mi sta dando informazioni sbagliate», dice e ribadisce con calma), ma l’articolo di Fanpage tifa poliziotto. Per correttezza, precisiamo che è stato pubblicato due giorni prima dell’ordinanza di De Luca commentata nel post di Wolf qui sotto, talmente estrema che ha fatto già cambiare approccio a molte persone.

di Wolf Bukowski *
[La prima puntata è qui]
[Pueden leerlo traducido en castellano aquí.]

I parchi, luogo di degrado e di contagio

Lo scorso 13 marzo Beppe Sala, già maître della più grande spaghettata per il capitalismo italiano, poi sindaco «di sinistra» di Milano, ha annunciato la chiusura dei parchi recintati della città; «ovviamente», ha aggiunto contrito, non è possibile farlo con quelli non recintati. La recinzione dei parchi – che andrà estendendosi a passo di marcia nel prossimo futuro – è ben più di un topos del «decoro»; essa è, in qualche modo, il suo marchio di fabbrica.

Nella New York di fine Ottanta e inizio Novanta, una città che portava ancora i segni della crisi economica del 1975, convergono infatti due movimenti. Uno è quello schiettamente securitario e poliziesco che troverà espressione nella «tolleranza zero» di Rudy Giuliani; l’altro, meno noto, è quello della «quality of life». Si tratta di ciò che da noi è stato chiamato «decoro».

Nella genesi del movimento per la «quality of life» i parchi sono fondamentali. I parchi poco curati, perché abbandonati dai servizi di giardinaggio pubblici (la municipalità aveva tagliato quasi della metà i giardinieri!) vengono infatti «adottati» da gruppi di cittadini bianchi e di classe media. Costoro – anziché usare il loro peso politico per ottenere nuove assunzioni nei servizi pubblici – indossano la salopette più stilosa, comprano le cesoie più ergonomiche, e giocano a fare i giardinieri volontari, tronfi d’orgoglio. Come scrive Fred Siegel, apologeta e teorico della «quality of life»:

«These efforts cultivate character as well as flowers. They catalyze neighborhood energies and can become an emblem of pride for local communities.»

Ma la redenzione (classista) degli spazi pubblici è una strada in salita, e presto i volenterosi giardinieri del decoro realizzano di non potersi più accontentare di mettere a dimora ciclamini. Di notte, infatti, gli spettri urbani, non sapendo dove altro andare, tornano ad abitare i parchi:

«mentally ill, homeless, transvestite prostitutes, as well as the usual drunks and drug addicts, [that] sleep in the park and use its bathrooms for sex.»

Ed ecco quindi la soluzione: ringhiere e cancelli. Si realizza così quella fusione tra risposta al disagio sociale e architettura ostile che ancora oggi è tipica delle politiche del «decoro». E qui platealmente, come accennava Wu Ming in introduzione al primo di questi due articoli, «basta sostituire “degrado” con “contagio” e il gioco è fatto».

Ha detto mio cuggino medico a Milano

Nello stesso videomessaggio Beppe Sala annuncia la sanificazione delle strade di Milano. Anche qui ciò che accade è qualcosa che era già perfettamente tipico prima del Covid:

1) politici e media mainstream producono contenuti emotivi e allarmistici (di solito è la destra a fare da apripista, ma in questa fase la sinistra punta al sorpasso);

2) una fake news – un accorato audio Whatsapp che circola di chat in chat: «stasera ci ha telefonato uno dei nostri amici medici di Milano» – declina quello stesso messaggio in modo da spargere il terrore: «utilizzate solo un paio di scarpe per uscire: il virus riesca a rimanere vivo per 9 giorni sull’asfalto»;

3) il contenuto della fake news – cioè, tecnicamente: della stronzata – rientra dalla finestra nel dibattito pubblico, e gli stessi politici e media che hanno prodotto il terreno di coltura in cui poteva svilupparsi ora possono interpretarlo in modo fermo ma rassicurante, dicendo: stiamo facendo tutto il necessario, niente panico ci siamo noi (tecnicamente: ci sono mamma e papà).

La sanificazione delle strade si diffonde come un delirio (un costoso delirio) per tutta la penisola; flutti di candeggina spazzano via ogni residuo di ragione dalle strade del paese, e nella tempesta d’ipoclorito di sodio è quasi impossibile udire la voce della «scienza», ovvero proprio quel sapere che i politici fingono teatralmente di ascoltare. E la scienza dice, inequivocabilmente, che tale prassi non serve a niente e, anzi, inquina:

«Non vi è evidenza che spruzzare ipoclorito di sodio all’aperto, massivamente, sui manti stradali, possa avere efficacia per il contrasto alla diffusione del CODIV-19 dal momento che le pavimentazioni esterne non consentono interazione con le vie di trasmissione umana. Si ritiene invece che iniziative mirate, rivolte a superfici in ambiente interno o esterno destinate a venire a contatto con le mani, possano conseguire risultati migliori in ottica di prevenzione di diffusione del contagio. E’ comunque da sottolineare che l’ipoclorito di sodio, componente principale della candeggina, è sostanza inquinante che potrà nel tempo contaminare le acque di falda, direttamente o attraverso i suoi prodotti di degradazione. Si invitano pertanto i Sindaci a tenere conto di queste indicazioni, concentrando gli sforzi nella direzione di maggior efficacia degli interventi di lotta al COVID-19. (Arpa Piemonte, 15 marzo

Sarà da indagare – in futuro – come il «non vi è evidenza» del lessico scientifico, che nell’esempio citato significa, grossomodo, «abbiamo verificato fatti e letteratura, e non serve a un cazzo», sia lost in translation nel discorso pubblico fobico, che ne trae invece la conclusione opposta: «non c’è evidenza ma facciamolo lo stesso, tanto male non fa». Quando invece fa male: perché alimenta la paura inutilmente, perché distoglie energie da prassi sensate (sanificare i corrimano), e perché inquina.

«Spruzza, spruzza, ché male non fa!»

Diffondere la paura piuttosto che contenere il contagio

La malafede pseudoscientifica dei candeggiatori di strade ha il suo perfetto corrispondente nell’abbandono sbracato di alcuni presupposti giuridici di fondo; anzi di quello che regge l’intero sistema, il cosiddetto «principio di libertà», espresso dall’articolo 13 della costituzione:

«Non è ammessa forma alcuna di […] restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge.»

Il punto non è – giova ripeterlo per i duri di comprendonio – escludere che sia necessaria, in questa situazione, una restrizione anche forte delle libertà personali. Non sto facendo «negazionismo del virus»; e tantomeno libertarianismo spicciolo (dell’intreccio tra diritti civili e sociali abbiamo discusso ampiamente qui). Sto dicendo che più sono forti quelle restrizioni più devono essere precisi e correttamente delimitati i «casi e modi previsti dalla legge».

E invece i DPCM vigenti sono costruiti esattamente all’opposto: le loro disposizioni contengono in ultima sostanza un unico messaggio, quello che «esiste un divieto». E, come spiega nel suo prezioso post Luca Casarotti,

«[n]ella logica dell’emergenza, lasciar aleggiare lo spettro di un generale divieto, senza precisarne i confini, induce paura.»

Clicca per ingrandire.

La diffusione della paura, non il «contenimento del contagio», è la prima cura praticata dalla classe politica sul corpo sociale – in perfetta continuità con il securitarismo. La vaghezza legislativa produce effetti confusivi: Sandra Zampa, sottosegretaria alla salute, cerca di far chiarezza sulla possibilità di fare attività all’aperto (sport o passeggiata), e dice che si può fare. Nello stesso momento, sul sito della polizia, si usa una formulazione involuta con cui si «raccomanda di non spostarsi per fare una passeggiata (se lo facessero tutti ci si ritroverebbe in massa in strada) o per andare a trovare un amico». Formulazione in cui si mischia una cosa concessa (la passeggiata), con una probabilmente vietata (visitare un amico); e il tutto sulla base di una motivazione che ha la stessa pregnanza logica del «World Jump Day» del 2006, il flash mob con cui, saltando in modo coordinato, si immaginava di poter spostare l’asse terrestre. Sempre contemporaneamente, la stessa polizia di stato fa girare un’infografica che dice che si può fare attività motoria all’aperto.

Questa situazione si traduce – ed è davanti agli occhi di chiunque voglia vederlo – nel totale arbitrio concesso alle forze dell’ordine, nella sospensione della certezza del diritto (un valore borghese? Sì, certo: quel valore borghese che ti consentiva di non finire al gabbio senza almeno un processo), e apre un varco a due fenomeni complementari.

Il primo è il terrore paralizzante per i cittadini, che temono di non poter fare quello che invece possono fare – e che non ha nulla a che vedere con la diffusione del virus. Persone che avrebbero bisogno di fare attività fisica e non la fanno, persone che ritengono sia obbligatorio indossare la mascherina in automobile da soli, altre che pensano che pur vivendo insieme devono camminare a un metro di distanza…

Questo terrore per alcuni si rovescia nel suo contrario: l’immenso piacere voyeuristico di spiare, fare delazione, mandare foto sui social additando altri che pure si stanno comportando perfettamente secondo le regole.

Il terreno alla fascistizzazione della società, dissodato dall’ideologia del «decoro», viene oggi inondato di sementi; domani germoglierà messi abbondanti.

Il secondo effetto è riconoscibile nel malcelato godimento della classe politica locale, che si trova investita del potere pressoché illimitato di rilanciare al rialzo qualsiasi divieto previsto dalle leggi emergenziali nazionali. Nell’imporre misure prive di ogni razionalità rispetto all’epidemia agiscono tanto le personali e pubbliche paranoie e idiosincrasie, quanto il protagonismo del sindaco, frutto avvelenato della sua elezione diretta, sciaguratamente voluta dal parlamento nel 1993 (col voto favorevole dell’ex-Pci).

A sån sté a la fira ed San Làzer… mo an i era ‘nción! Un deserto.

La già citata Isabella Conti, sindaca renziana di San Lazzaro di Savena, dichiara per ordinanza il «divieto di utilizzare le biciclette per ragioni ludico-ricreative», e presto si genera in calce al video in cui lo annuncia un vero assalto di fanatici nei confronti dei pochi che chiedono il rispetto della legge (ovvero il poter fare attività sportiva, per non devastarsi nel corpo oltre che nello spirito). I fanatici scrivono cose come «vai a fare in culo e stai a casa, senza rompere i coglioni»; oppure «ma perché per una volta non si prova tutti a fare quello che ci viene chiesto invece di voler sempre fare i primi della classe???» (come se non fosse Conti a voler fare la prima della classe, imponendo divieti non previsti dalla legge!); «Robe da matti. Un Paese in ginocchio e questo vuole andare in bicicletta!»; «…si vanno a spulciare i decreti ma …ora occorre usare il buon senso/senso civico…».

A Messina il sindaco Cateno de Luca è costretto a ritirare – ma di volta in volta reitera, con piccole modifiche – ordinanze «coprifuoco» in aperto contrasto con le norme emanate dal governo; e l’altro De Luca, Vincenzo, quello campano, «vieta le passeggiate» con un’ordinanza che il giurista Alberto Lucarelli giudica anticostituzionale. Immagino facilmente la reazione-fotocopia degli haters-di-regime: «Ah, il signor professore va a spulciare la costituzione ma… occorre usare il buon senso/senso civico!».


Tutto ciò avviene per mezzo di «ordinanze», ovvero dello strumento utilizzato e abusato since 2008 contro le finte emergenze della «sicurezza urbana» e del «decoro». Anche se apparentemente, in questo caso, l’uso delle ordinanze è giuridicamente più fondato (il sindaco è responsabile in questioni di salute pubblica), esse sono utilizzate sostanzialmente nella logica del «decoro», e non in quella del «contenimento del contagio». Esse accontentano, ma soprattutto provocano e amplificano, i più bassi istinti nella base elettorale; plasmano una popolazione che chiede di essere governata con la paura, non con una qualche forma di ragionevolezza (neppure con la ragione epidemiologica). D’altronde, come dice una stucchevole poesia circolata in rete la settimana scorsa,

«Una voce imponente, senza parola
ci dice ora di stare a casa, come bambini
che l’hanno fatta grossa, senza sapere cosa,
e non avranno baci, non saranno abbracciati.»

Siamo bambini che l’hanno fatta grossa; e politici fanaticamente neoliberisti, nella loro quasi totalità responsabili o complici (per appartenenza di partito) dello smantellamento della sanità pubblica, sono mamma e papà. In Sardegna, premurosi, si preoccupano persino di operare un controllo sulle notizie che potrebbero arrivare a sos pitzinnos: «non è un programma per bambini, cambia canale!». Siamo di fronte, a ben vedere, a uno di quei rari e dolorosi casi in cui sarebbe opportuna la revoca della potestà genitoriale.

Gioite agnelli, è quasi Pasqua!

O ancora, in un tripudio di immagini di docilità autolesionista, siamo non solo bambini ma pecore spaventate dal lupo-virus:

«Un gregge di pecore o di capre che percorre insieme un sentiero. La pecora è davvero soggiogata al pastore? Oppure ciò che determina il legame tra il pastore e ogni singolo animale, provo a supporre, è soprattutto il sentimento della fiducia, la logica pratica e sicura della fiducia, qualcosa che corre tra gli uni e gli altri come una maglia energetica?»

Bucolico, eh? Peccato che ciò che corre tra pastore e pecora sia lo sfruttamento economico, e infine la lama del coltello.

Nel gregge si sta in sicurezza. Ecco un agnello.

Ma questa infantilizzazione e ovinizzazione non sono una novità nel panorama culturale. Siamo nel campo ampiamente analizzato da Daniele Giglioli, quello del paradigma vittimario, in cui si realizza

«ciò che l’egemonia corrente ingiunge oggi di essere, e cioè sottomessi, spaventati, bisognosi di protezione, desiderosi solo di essere governati – bene possibilmente; ma è lo stesso.» (Critica della vittima, Nottetempo, 2014)

L’essere vittima ci definisce, dice Giglioli, come soggetti meritevoli di ascolto in base non a «ciò che facciamo, ma [a] ciò che abbiamo subito, ciò che possiamo perdere, ciò che ci hanno tolto». Tutta l’ideologia del «decoro», a ben vedere, è innestata di vittimismo. E questo proprio mentre, in apparente paradosso, gli illeciti del «degrado» sono spesso illeciti victimless. Chi è infatti la vittima di un senzatetto che dorme su una panchina? Lui e lui solo: in primis del capitalismo che gli ha tolto una casa, poi del «decoro» che gli toglierà anche la panchina. Ebbene: la magia del «decoro» è quello di rendere in modo immaginario tutta la città «vittima» del «degrado», e quindi vittima del senzatetto che dorme tra i cartoni. Che emerga quindi un immaginario vittimario in questa occasione non mi stupisce; esso, come quasi tutto ciò che accade ora, era già lì.

Milano, Sant’Ambrogio,. Panchine antivirali. Foto di SchiZo.

Lo spazio del discorso social è occupato militarmente da chi assume la postura del dar voce alle vittime, del parlare «per conto delle vittime». E si cerca così di zittire chi ragiona sulla complessità sociale di questa crisi perché sarebbe – a parere insindacabile degli autodichiarati portavoce delle vittime – non abbastanza empatico. In realtà neppure chi si pone come portavoce delle vittime sta, nel momento in cui parla, facendo qualcosa di concreto per le vittime reali. Non sta, per esempio, costruendo un respiratore: sta ragionando astrattamente. Proprio come chi ragiona sulla complessità, ma col di più di agitare una clava retorica.

Ma c’è di peggio: se il nazionalismo italiano è storicamente vittimista, il vittimismo italiano diventa immediatamente nazionalista, e questi giorni di bandiere e inni dal balcone sono qui a dimostrarlo; mentre i giorni che seguiranno potrebbero vedere la sua mutazione in fascismo (quali vesti assumerà tale fascismo non è dato sapere. Di certo non l’impolverato orbace: sarà più un tessuto tecnico). Non escludo che il canto della marcetta diventerà obbligo nelle scuole, quando riapriranno; ma ciò che dell’inno più mi colpisce – come nota anche questo commento – è quel suo verso, «siam pronti alla morte», che suona oggi non solo sinistro, ma anche beffardo.

Perché la nostra società, con tutta evidenza, a tutto è pronta tranne che «alla morte». Viene qui al pettine un nodo gigantesco: la rimozione della morte dal nostro panorama sociale, rinforzata da anni di favolette berlusconiane – diventate in seguito articoloni pseudoscientifici de La Repubblicache ci promettevano di arrivare belli sani e arrapati fino a 120 anni. Poi arriva un virus da pipistrelli e ci dimostra che non è così, che non è per niente così.

Che ne faremo, domani, di questa agnizione arrivata tra capo e collo? La seppelliremo sotto montagne di fantasie tardo-adolescenziali sul postumano, sull’immortalità e gli innesti glam tra organico e inorganico, oppure proveremo a ritracciare strade, individuali e collettive, che ci aiutino ad affrontare l’inaffrontabile, a manipolare quell’inaccettabile che dà senso alla nostra vita, ovvero la sua finitezza?

«C’è dell’oro, credo, in questo tempo strano. Forse ci sono d[r]oni»**

«Voglio i droni, cazzo!» Clicca per ascoltare Control Punk di Filo Sottile.

Torno, qui e nell’epilogo, all’inizio di questa coppia di articoli. Dicevo allora, ricapitolando all’osso:

1) lo stato dispiega la propria forza militare ignorando – nelle confusive e contraddittorie modalità che si è detto – l’esigenza di trovare «un punto di equilibrio» tra la riduzione delle libertà e le esigenze di contenimento del contagio;

2) lo spazio politico (anche tra i critici del neoliberismo) viene occupato da una «responsabilità» individualizzata e acritica; e il giusto «non bisogna mettere in discussione la realtà dell’epidemia» diventa troppo facilmente «non bisogna mettere in discussione il modo in cui il governo affronta l’epidemia».

Se non esiste quindi il «punto di equilibrio» di cui al punto 1, e se non esiste spazio politico e morale che si ponga al di fuori delle modalità di «contenimento del contagio» (modalità che non è dato discutere: «lasciate parlare gli esperti!»), allora è chiaro che ogni intervento di controllo operato dal potere è lecito, se ha una funzione – cioè se riesce a accreditarsi retoricamente come – utile al contenimento del contagio. Il mirror non è più black: la distopia del controllo totale è già in opera, e riflette il nostro presente.

A Forlì i droni sorvegliano i parchi; per non dire del solito Nardella che usa il principale strumento del suo governo scopofilo, le mille telecamere dotate di AI, al fine di scovare assembramenti; ai telegiornali già si commentano i tracciati dei telefonini che dimostrerebbero che «la gente esce troppo spesso»; e sempre più di frequente si leggono cenni quasi acritici al metodo coreano, ovvero al tracciamento tramite gps, app e tecnologie di sorveglianza di ogni spostamento e di ogni vita sociale.

Se non mettiamo in discussione 1 e 2, quindi, dovremo per la stessa logica accettare tutto, anche perché sarà un lento scivolamento – non un «prendere o lasciare», a cui sarebbe semplice opporsi – e perché tutto sarà in nome del «contenimento del contagio». Quindi accetteremo, tra le altre cose, la fine della possibilità di lottare (assembramento illegale rilevato! Inviare l’esercito!) per fermare il disastro sociale e ambientale; cioè per fermare anche quello smantellamento dei servizi sanitari pubblici e quell’ecocidio che hanno generato e amplificato la potenza epidemica stessa.

Si tratta di un vero e proprio paradosso virale da cui sarà necessario trovare una via d’uscita.

Ritorno a me

Scrive Roccosan, in un commento:

«Il “parto da me” non dovrebbe diventare […] un’operazione narcisistica ma […] un momento metodologico di un’indagine […]. Può allora descriversi fenomenologicamente una giornata di quarantena a patto che serva per definire i campi di forze con cui si entra in relazione e le modalità di tale relazione. In questo modo si può abbozzare un primo diagramma dentro cui certamente si trovano anche l’Io e il narcisismo ma che è anche uno strumento utile a riordinare, le storie, i piani di analisi e le interpretazioni disponibili».

Clicca per ingrandire.

Sono d’accordo; ed è proprio quello che fa Pietro Saitta nell’articolo che cito in quel paragrafo iniziale. La mia critica al «partire da sé» era indirizzata invece a certe narrazioni intimiste, a un uso pubblico privo di mediazioni delle proprie sacrosante angosce; e infine alla retorica del «mostrare la ferita». Mostrare la ferita è legittimo, è giusto; talvolta è personalmente liberatorio: facciamolo tutti e tutte, pure più spesso di così, e mica solo nell’occhio del lockdown.

Ma facciamolo con la piena consapevolezza che non ha potenziale rivoluzionario. Il «mostrare la ferita» è da tempo perfettamente integrato al neoliberismo, al coaching aziendale, all’aumento della performance tramite il (peloso) ascolto. E infatti il ministero della salute, già il 14 marzo, ha prodotto un «cartellino» di regime da appendere alla porta (rigorosamente chiusa) per imparare a «gestire lo stess».

Mostra la tua ferita, noi ti aiutiamo a gestirla, ma la società non cambia. Quindi avanti, dritti, verso il prossimo ecocidio e la prossima epidemia.

** I versi sono tratti dalla già citata stucchevole poesia.

* Wolf Bukowski scrive su Giap, Jacobin Italia e Internazionale. È autore per Alegre di La danza delle mozzarelle: Slow Food, Eataly Coop e la loro narrazione (2015), La santa crociata del porco (2017) e La buona educazione degli oppressi: piccola storia del decoro (2019).

Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)Scarica questo articolo in formato ebook (ePub o Kindle)

262 commenti su “La viralità del decoro. Controllo e autocontrollo sociale ai tempi del Covid-19. Seconda puntata (di 2)

    • Dai temi affrontati – anche da un certo stile polemico – direi che si tratta dello stesso autore.

      • Praticamente sta dicendo che gli Spada sono proletari:
        “Penso in particolare all’impiego disinvolto del termine “mafia”, a una definizione del territorio romano come spazio collocato al di fuori dalla legalità, all’etichetta di “fascista” applicata con leggerezza a Spada. Senza contare lo sprezzo sostanziale rivolto nei confronti di una tipologia urbana: quella sottoproletaria – o ex tale – incarnata proprio da Spada.”

        E ancora:
        “È abbastanza evidente, per iniziare, che l’interesse per i rapporti tra Casapound e il “clan Spada” – come ormai lo si definisce comunemente – si sviluppa in un quadro pre-elettorale, al fine di contrastare l’ascesa, anche istituzionale, della formazione neofascista a Ostia.”

        In Sicilia, al sud, (ma anche a Roma: da Andreotti e i fratelli Salvi, e Milano: Berlusconi e il suo stalliere.. Fino a Calvi e Marcinkus) la sensibilità antimafiosa è prerequisito base per qualsiasi “discorso”

        • Ok, però siamo OT. Wolf non ha scritto «Saitta è un figo della madonna e sono d’accordo con tutto quel che ha scritto in vita sua e che scriverà d’ora in poi», ha citato un articolo uscito su Napoli Monitor che parlava di quest’emergenza e che, incidentalmente, era firmato da Saitta. Wolf lo avrebbe citato anche se fosse stato firmato da un altro, perché quel che importava era il ragionamento. L’articolo non parlava di Ostia o degli Spada né conteneva alcunché di paragonabile a quel che citi.
          Chiudiamo qui questo sotto-thread, per favore. Hai replicato per sbaglio a un pingback in cima alla discussione, così adesso questo OT è la prima cosa che si vede dopo il post, ed è come minimo fuorviante.

          • Perfetto.. (volevo scusarmi già prima per l’offtopic).. Sono soddisfatto che siete in disaccordo (con Saitta) sull’articolo degli Spada..
            Conta anche chi dice cosa.. e molti si possono proclamare di “sinistra” da Maurizio Costanzo a Fusaro.. (l’iscrizione alla P2 rimane preponderante)

            • Trovo il tuo atteggiamento ricattatorio, Goemon, insopportabile. Cosa fai, draghi il web per trovare chi cita Saitta per una tua battaglia personale contro di lui e poi chiedi di prendere distanze su una cosa che, detta in latino, non c’entra un benemerito cazzo? E poi hai il coraggio anche di «scusarti per l’offtopic» e di dire «sono soddisfatto»?

              Fai qualcosa di buono per la comunità, vai a prendere un po’ d’aria, un respirone, e staccati da web. Resta nelle vicinanze di casa tua, mi raccomando, ma a distanze siderali dai miei post.

              • Apprezzi l’articolo sugli Spada?

              • Non drago il web ho letto voi, e stimo wuming
                ma a questo punto potreste ospitare anche un grande appassionato cinofilo.. si chiamava mi pare Adolf Himmet

  1. Mi sembra ormai chiaro, fin troppo chiaro, che la costante geremiade contro chi esce ha uno scopo preciso: trovare un colpevole, un capro espiatorio per l’ecatombe. Fontana che dice: “state a casa, o tra poco non riusciremo più a curare tutti” è un esempio lampante di questa strategia. Del resto, il vittimismo italico funziona proprio così: saremmo un grande Paese, ma c’è sempre qualcuno che rovina tutto. Nemici invidiosi. Disertori interni. Cazzoni. Popolo bue. Gente che non capisce. L’arbitro incapace. E il fascismo è caduto per colpa dell’alleanza con Hitler.

    Ben sapendo che non sorgerà mai un giorno in cui tutte quanti staranno a casa – perché, sai com’è, qualcuno deve andare al lavoro – i governatori evocano invece quel giorno come se fosse la soluzione – purtroppo sabotata da schiere di incoscienti. Si monitorano via GPS gli spostamenti e ci si stupisce che ancora, ancora, ancora il 40% dei milanesi si sposti in un raggio superiore ai 300 metri, invece di staresene a casa col lavoro degli altri.

    • È l’illusione ottica dei centri storici vuoti mostrati dai media. Molti pensano che una città sia solo il suo centro storico trasformato in salotto (ora deserto), e che il paese si sia fermato, ma non è assolutamente vero, come può testimoniare chiunque non viva solo sui social.
      La gente che per avere uno stipendio deve andare al lavoro… ci va.
      E il lavoro – incredibile a dirsi! – spesso è a più di 300 metri da casa.
      Se davvero il paese «si fermasse», la gente non avrebbe più da mangiare, né la tecnologia per stare tutto il giorno a chattare, accodarsi all’ultimo hashtag, fare delazione ecc.
      È vero, questi sfoghi servono a deviare l’attribuzione di responsabilità, ma al tempo stesso testimoniano lo scollamento dalla realtà sociale di chi sta gestendo quest’emergenza (e della gente che forma la sua base di consenso).

      • Su Napoli Monitor fanno la stessa identica critica a De Luca:

        «Conosce bene, De Luca, una rete sanitaria e un sistema di prevenzione pieno di falle, lento e macchinoso che ha bruciato in poco tempo il vantaggio ottenuto in dote dalla sorte. È sempre più chiaro che la voce grossa del presidente e le sue minacce anticostituzionali a chi oserà trasgredire l’obbligo di dimora e di asocialità, nasconda la volontà di “truccare” una situazione che è tutt’altro che sotto controllo. In questa prospettiva si comprende bene come il coprifuoco trascenda la sua funzione preventiva per divenire una foglia di fico dietro la quale si nascondono le disfunzioni del sistema che le “cazziate” di De Luca provano a immunizzare dalle critiche.»

        https://napolimonitor.it/campania-le-ordinanze-di-de-luca-e-limpatto-del-virus-sul-sistema-sanitario/

    • E purtroppo sembra anche ormai chiaro che questa geremiade del capro espiatorio sta funzionando, o per lo meno che sta facendo addensare potenziale violenza, se uscendo a fare un giro nelle strade intorno casa con i tuoi figli, mentre ti fermi in un parchetto minimale e deserto vieni guardato male dai balconi, con commenti acidi sul fatto che osi addirittura portarti dietro un pallone (in effetti è a forma di virus ora che ci penso) anche se non lo usi. Se addirittura quelli che portano fuori i cani ti squadrano, forse perché sei in 3 umani, quindi assembramento, forse perché non hai la mascherina. Loro invece sono bardati di tutto punto, hanno i guanti e anche la mascherina, quella FFP2 che in ospedale se la sognano perché gliela danno solo in casi particolari, e hanno anche i guanti. Sembra proprio che nella scala di valori i cani abbiano superato i bambini. Viene in mente Brecht: quando vietarono le bici non ho detto niente, era ragionevole. Quando vietarono le passeggiate non ho detto niente, ero daccordo. Quando vennero a prendere il mio cane non c’era più nessuno in giro. “Eppure avevo la mascherina, come hanno potuto!”
      E’ questo che crea rabbia, che di giorno in giorno, di decreto in decreto, di interpretazione in interpretazione il cerchio si restringe e non si capisce a che punto si arresterà questa ecatombe di barriere (vedi anche la tracciatura GPS per gli spostamenti, i droni ecc ecc), e questo corrisponde ad un sempre maggiore incremento di paura e accumulo/domanda di violenza: fino a qualche giorno fa nella realtà in cui viviamo non c’era questo clima, le mascherine erano poche, ora sono la maggioranza, le file al supermercato sono più tese, le persone si stanno trasformando in cani da guardia.
      E purtroppo non si capisce neanche perché questo precipitare di forme di libertà e di solidarietà dovrebbe essere arrestato dall’alto. In fondo si sta realizzando l’utopia neoliberista (cioè la nostra distopia), persone che escono solo per andare a lavorare, libera circolazione delle merci ma non delle persone, un mondo ordinato, decoroso e ri-pulito. C’è da sperare che si facciano prendere la mano, che vadano troppo oltre fino a quando la vita dovrà riprendersi il suo spazio, perché siamo ancora in parte fatti di corpo, loro malgrado. Più probabile però che si rallenti l’escalation proprio per evitare esplosioni, ma che rimanga la pesante eredità di un controllo sempre più capillare da spendere alla prossima emergenza (a breve).

      • Dubito che possano fermare l’escalation a comando, perché l’escalation è fatta di un continuo rilancio top-down e più spesso bottom-up interno alla classe politica. Il governo non vieta l’attività sportiva, ma i sindaci vogliono accreditarsi il loro posticino nel dopo-crisi e allora la vietano; Bonaccini, squalo tra sardine, ci mette il suo carico per battere il colpo e impedire le passeggiate etc, fino a quando ogni livello di potere è saturo.
        A questo processo corrisponde, quasi meccanicamente, la crescita dell’odio e della delazione tra cittadini.
        Chi impugna il freno a mano da tirare? Nessuno che io veda, al momento.

        • Si verissimo, non intendevo niente di intenzionale né decisionista ovviamente, ma di fatto tutto questo mi sembra una specie di enorme ricatto. Ora state a casa e zitti, quando accetterete di farvi controllare di più senza fare storie sulla privacy, allora forse torneremo a farvi uscire. Quindi nessun piano, ma un raffreddamento in seguito a molte troppe concessioni

        • Salve, consiglio di lettura visto che abbiamo molto più tempo per leggere (evitando il bombardamento mass-mediatico di radio, tv e giornali vari)
          http://effimera.org/il-tempo-del-virus-di-gianni-giovannelli/

      • Ecco, *QUESTO* fa paura.
        Non che il contagio o la paura di morire da solo in una corsia di ospedale non la facciano, ma quanto dici nel tuo commento è la mia prima forma di angoscia in questi momenti.
        La distopia, il collasso di cui in tanti hanno scritto e parlato. Eccoli.

        (mentre dico questo penso a titolone di noto sito di news varie che parla di quarantena perenne per il futuro.
        E penso anche a un amico che dice che io tendo a vedere tutto nero e nel frattempo continua a mandarmi in chat statistiche di morti e ricoverati e curve di contagio)

        • Dall’inizio della crisi girano sedicenti «curve di contagio» che dimenticano il fattore immunità. E le fanno girare anche persone che, di solito, ragionano.

  2. Aggiungo che a forza di evocare il giorno in cui tutti staranno a casa e non ci saranno spostamenti oltre i 300 metri e l’ipoclorito di sodio presidierà le strade, mi piacerebbe che d’improvviso, come accade nelle favole, quel desiderio venisse esaudito.
    E poi vorrei cronometrare in quanto tempo la gente si riverserebbe in strada, in cerca di cibo e altri beni di consumo.
    Perché davvero non capisco come mai si grida allo scandalo per uno che passeggia senza mascherina, e poi ancora oggi il presidente dell’ordine dei farmacisti deve pregare la protezione civile di mandare dispositivi di protezione per i lavoratori, i quali, a più di una settimana dal “chiudi tutto”, ancora devono correre gravi rischi e farli correre agli altri, lavorando a banco senza uno straccio di mascherina.
    E lo stesso può dirsi per migliaia, decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici di altre categorie.

    • Sono giorni e giorni che quando sento e leggo i bercianti talebani del “CHIUDERE TUTTO TUTTO!!!” rispondo: ma tu ovviamente hai l’orto, le galline, la mucchetta, il bosco dove andare a fare legna, giusto? Ovviamente non credo che tu abbia questo, né la capacità di coltivare un orto o accudire una gallina nemmeno se l’avessi. In ogni caso, se per caso davvero sei così autarchicamente auto-organizzato, chiuditi pure nella tua fattoria-bunker e non rompere più i coglioni a chi esce di casa perché deve andare a lavorare per dare da mangiare agli altri indivanati come te.

  3. Non essendo su twitter faccio un appello per il lancio di un hashtag: #siamotuttibogdanov

    “Se uno [cosi`] smettesse di rischiare per rimanere vivo, potrebbe dire di esserlo ancora?”

    PS: il video con De Luca su quel trabiccolo a time square e` davvero esilerante.

  4. Significativo che il sindaco di Bulåggna, ai microfono di radio Bruno, parli dei giardini “di periferia” (nota bene) come “sacche di resistenza” (Ciao, bella!) dove occorre intervenire con le multe per convincere le persone all’obbedienza. Dice che verranno sanzionati i comportamenti scorretti, ma ancora una volta non è chiaro se sia considerato scorretto stare all’aria aperta oppure assembrarsi. Il messaggio è volutamente ambiguo. Merola aggiunge che bisogna obbedire per rispetto degli operatori “in prima linea” – evocando non a caso la cornice della guerra, quando qualunque critica è considerata diserzione, disfattismo e spregio dei caduti.

    • Poiché la cornice retorica attiva in questo momento è quella della guerra, di fatto Merola, prendendosela con «sacche di resistenza», nell’ordine simbolico sta interpretando il ruolo della forza occupante, e nemmeno se ne accorge.

      • Se non altro, anche se non sempre in maniera consapevole, si stanno delineando schieramenti sempre più chiari.

      • e difatti, da bravo, il sindaco di Casalecchio ha chiuso il parco della Chiusa, noto anche come parco Talon. Solo quello (chissà come mai). Ci vivo vicino: sono giorni che girandoci si incontrano al massimo 10 persone in tutto, rigorosamente a distanza di sicurezza, che si facevano una corsetta o una passeggiata.

    • “La sacca in questione è una piccola sacca di resistenza. Si forma quando due o più persone si trovano d’accordo tra loro. La resistenza si esercita contro la disumanità del nuovo ordine economico mondiale. Le persone coinvolte siamo io, il lettore e quelli si cui si parla nei saggi: Rembrandt, i pittori delle caverne del Paleolitico, un contadino rumeno, gli antichi egizi, un esperto di solitudine in certe camere d’albergo, cani al crepuscolo, un uomo in una stazione radio. E inaspettatamente i nostri scambi rafforzano ciascuno di noi nella convinzione che quanto sta accadendo oggi nel mondo è sbagliato, e quel che si dice spesso è una menzogna.”

      Da Sacche di resistenza di John Berger

  5. … “Il poliziotto che al Vomero, urlandogli «io sono lo stato», fa alzare l’anziano che si riposava dalla fatica di portare una spesa verosimilmente più pesante del solito, riassume in sé tutte le guardie, vigili e portatori vari di divisa che in questi anni di «decoro» hanno svegliato, scosso, costretto ad alzarsi, daspato e multato chi si era assopito, perché stanco o senza casa, su una panchina.”…
    questo commento fa riferimento ad uno specifico comportamento di una specifica persona. Se non si stigmatizza in maniera esplicita questo aspetto si rischia di scivolare nello stesso equivoco dell’uso emotivo del decoro/contagio con il risultato pratico che “portatori di divisa” possa equivalere a pretoriani posti a difesa di un potere/istituzione al di sopra degli stessi valori costituzionali.
    Occorre un certo sforzo per far si che questo concetto non sia mai perso di vista. Vale quando un richiedente asilo commette un reato (lo ha commesso quell’uomo e non tutti i richiedenti asilo) e vale quando il reato è commesso dall’uomo delle istituzioni. Il veleno fascista è estremamente subdolo, può infettare anche chi si ritiene antifascista per patrimonio genetico.

    • Stiamo facendo riferimento a cose diverse.

      Tu stai parlando del non dare a un poliziotto le colpe di tutti i poliziotti e viceversa. Noi stiamo parlando di tutto quel che viene prima.

      Il senso della scena sta nell’intimazione data, che è la stessa data tante volte in nome del «decoro»: lì non ci puoi stare, lì non ti puoi sedere. Non sta nell’uomo che la dà. In quell’intimazione, negli anni scorsi, si è espressa e concretizzata una certa propaganda sul «decoro» e contro il presunto «degrado», un insieme di retoriche che Wolf ha ben analizzato, che hanno portato a sempre più limitazioni dei modi in cui viviamo gli spazi pubblici, e con le quali quest’emergenza coronavirus ha molte continuità.

      Appunto, andando più nello specifico di questi giorni, di quella scena a noi non interessa l’arbitrio o abuso o tono di voce autoritario o frase “infelice” di quello specifico membro delle forze dell’ordine, e nemmeno facciamo un discorso generico sulla violenza poliziesca. A noi interessa quel che rende possibile – e accettato – un tale modo di comportarsi nei confronti di un cittadino.

      L’ambiguità dei decreti e delle ordinanze delle ultime settimane non fa capire a nessuno cosa sia proibito e cosa no e lascia enorme discrezionalità a forze dell’ordine, amministratori locali, regioni e tutti i vari organi e poteri sparsi sul territorio, per cui un giorno una cosa è consentita ma il giorno dopo no, oppure è consentita in una città ma nell’altra no, oppure è consentita o meno se la pattuglia che incroci decide di consentirtela. Questo è il fulcro del ragionamento, non «le colpe della polizia» o del singolo poliziotto.

      • Concordo sul fatto che l’intervento non abbia attinenza con le retoriche analizzate da Wolf e che, tra l’altro, condivido assolutamente. Per questa “deviazione” ho incollato il testo a commento del filmato che apre la 2^ puntata della viralità del decoro esternando la perplessità che mi ha suscitato.

        • Non c’è alcuna «deviazione», in quella didascalia si ripropone un parallelismo che fa anche Wolf: la scena del poliziotto che ti dice di alzarti dalla panchina era già al centro della pseudo-emergenza sul «decoro».

  6. Considerazioni sparse. Mi fa specie vedere le panchine di Sant’Ambrogio con le barriere anti virus perché ci pranzo regolarmente con un’amica (almeno fino a che ci hanno fatto lavorare in ufficio) e solitamente TUTTI si siedono (sedevano?) anche sui muretti rimasti indisturbati, di nuovo dà l’idea della panchina come simbolo del decoro. Non ho una grande conoscenza della situazione nel bresciano e nel bergamasco, nonostante ci abbia passato infanzia e adolescenza, ma dopo la precedente puntata di questo articolo mi sono chiesta se esista una qualche correlazione tra l’incidenza dell’epidemia e il tasso di persone già malate di tumore in zona, ricordando che fosse molto alto ho cercato velocemente e ricordavo correttamente https://www.bresciaoggi.it/territori/hinterland/a-brescia-i-tumori-uccidono-pi%C3%B9-che-altrove-1.7567865 a sua volta legato a pcb, metalli pesanti e diossine. Comunque grazie per il prezioso spirito critico di questi tempi.

  7. Volevo portare nel mio piccolo un contributo su come si stanno comportando altri governi in Europa sulla questione. A fine febbraio mi sono spostato dal Belgio al Portogallo passando per Francia e Spagna praticamente “inseguito dal virus”.
    E’ tutto in evoluzione, ma le reazioni degli stati al giorno d’oggi sembrano differenti. Mi limito a riportare a quanto deciso dai provvedimenti governativi riguardo alla mobilità delle persone, non ad altri provvedimenti e alla pratica reale della popolazione.

    In Belgio, paese tutt’altro che immune al contagio, da oggi 18 Marzo fino al 5 Aprile sono attive misure di rinforzo a quelle già prese i giorni scorsi. (potete leggerle qui https://tinyurl.com/r7k2okq in inglese, per altre lingue -francese, fiammingo e tedesco- usare la spunta in alto a destra)

    Mi sembra interessante notare il punto degli spostamenti personali. Dopo aver sottolineato l’importanza di restare a casa per evitare contagi lo stato belga dice che (traduzione mia):
    “L’attività fisica all’aperto è consentita e perdipiù raccomandata. Puoi fare attività assieme ai membri del tuo nucelo familiare che vive sotto lo stesso tetto e assieme a un amico. Le uscite con i membri del nucleo familiare che vivono sotto lo stesso tetto sono consentite. E’ importante mantenere una distanza ragionabile fra gli individui.”

    Questo in un paese molto più densamente popolato che l’Italia. Staremo a vedere gli effetti. L’ironia è che, a mio modo di vedere, virtualmente gli abitanti di uno stesso appartamento (ad esempio studenti domiciliati in belgio che condividono lo stesso appartemento) potrebbero uscire tutti assieme. Se si applicasse la stessa cosa agli abitanti delle “occupazioni temporanee” (che non è uno squat, ma un sistema relativamente diffuso di comodato d’uso in cui è possibile avere la residenza) si potrebbero vedere gruppi di 10/20 persone tutte assieme per strada (+ 1 amico!)…

    In Francia il 17 Marzo il presidente della repubblica ha deciso dei provvedimenti molto simili a quelli italiani (compresa la compilazione di un certificato), limitando gli spostamenti per motivi di lavoro, sanitari, assistenza alle persone e attività sportiva individuale vicino casa. I transalpini sono un po’ più “buoni” di noi e contravvenire al provvedimento viene multato con soli 135euro e non si parla di procedimenti penali. (Qui trovate le info https://tinyurl.com/tn44q3l)

    In Spagna invece è stato dichiarato lo “Estado de Alarma” dal 14 Marzo, che prevede la sospensione di libertà personali di spostamento (chi è interessato lo può trovare qui in spagnolo https://tinyurl.com/tqh4c7v), e si è autorizzati a uscire per poche specifiche attività (lavoro, assistenza sanitaria, etc.. o cause di forza maggiore, come ad esempio un terremoto) ed esclusivamente da soli (a parte accompagnamenti di disabili, anziani e minori). Nota: lo “estado de Alarma” è la misura costituzionale subito precedente lo “Estadio de Sitio/stato di assedio”

    In Portogallo (dove mi trovo ora) tra oggi e domani dovrebbero decidere se dichiarare lo “Estado de Emergencia” e piazzare l’esercito per le strade oppure adottare soluzioni meno autoritarie. Al momento hanno solo chiuso la maggiorparte dei locali a uso pubblico (teatri, biblioteche, scuole, palestre, locali notturni) e vietato l’assunzione di alcol per strada (norma molto “decorosa”!), ma a parte non poter uscire dal paese (chiuse le frontiere terrestri se non per i lavoratori frontalieri) non c’è alcuna limitazione a quello che la popolazione può normalmente fare.

    • Giusto per aggiungere una somiglianza tra la Spagna e l’Italia, pare che la polizia e l’esercito vadano in giro per le strade di diverse città propinando alla popolazione rinchiusa in casa (quindi senza vie di fuga!) l’inno nazionale a tutto volume. Ovviamente si tratta di una misura non ideologica ma spiegabile con argomenti prettamente tecnico-sanitari e di estrema rilevanza per il contenimento dell’epidemia di COVID-19.

      • Scherzi? L’elmo di Scipio difende dal virus più di una mascherina.

        • Aspettaspetta, io parlavo della Spagna, non so se anche in Italia esercito e polizia hanno adottato questo comportamento, preferito invece dai cittadini più responsabili affacciati dai balconi. Non conosco poi l’inno spagnolo, ma di sicuro deve fare riferimento a un qualche equivalente dell’elmo di Scipio, altrimenti le proprietà antivirali non si spiegano.

          • l’inno spagnolo non ha testo, lo tolsero dopo la dittatura, mantenendo la musica, però una parte del pueblo talvolta canticchia sulle sue note: “franco, franco, que tiene el culo blanco, porque su mujer lo limpia con ariel”. Ariel era uno storico detersivo prodotto in spagna (tipo il nostro dash). Quindi in fin dei conti abbastanza appropriato come inno all’igienizzazione dello spazio pubblico.

          • In Spagna la conferenza stampa quotidiana la fanno il capo del Centro di coordinamento per le emergenze sanitarie affiancato dal Direttore della Polizia Nazionale il capo della Guardia Civil e il Capo dello Stato Maggiore della Difesa, in divisa e con sfoggio di decorazioni. Quest’ultimo oggi si è congratulato con la popolazione perché stiamo facendo i bravi e ci comportiamo come bravi soldati. Paura.

      • A me fa anche paura anche il fatto che non si possa uscire in due, magari una coppia che vive assieme e dorme nello stesso letto (non tutti hanno un castello con 40 stanze, o la casa di Schwarzenegger, grande quanto il Molise): niente testimoni..
        Dicono fate la spesa di due settimane nel supermercato sottocasa uscendo una sola volta (è quello che sta dicendo tra gli altri Musumeci): siamo tutti Hulk con garage..
        “Non sentirete parlare di destra e sinistra ma di nord e sud” è scritto nel piano di rinascita nazionale di Licio Gelli.. Tra Nord contro Sud, Giovani contro Vecchi, e ricchi triofanti contro i poveri (le elemosine di Berlusconi e Agnelli: tra miliardi tagliati alla sanità pubblica e evasione fiscale) è una catatrofe..

  8. Qualcuno ha finalmente iniziato ad usare la parola con la F

    https://www.wittgenstein.it/2020/03/18/si-diventa-un-po-fascisti/

  9. Credo meriti qualche parola anche la considerazione spicciola sui diritti non oggetto di dibattito perché universalmente riconosciuti come intoccabili in tutto il territorio nazionale dall’intera classe dirigente e dalle forze di polizia. Rimangono dunque inviolabili solo ed esclusivamente tre diritti del cittadino:
    – Andare a lavorare (se fa un tipo di lavoro considerato arbitrariamente necessario. Es. Il Fioraio NO! La commessa in profumeria SI!)
    – Andare a fare la spesa (in un posto vicino però, e uno alla volta)
    – Pisciare il cane

    Il terzo diritto fondamentale salvaguardato è di fatto l’unico a non avere condizioni di sorta. Il pisciamento del cane è indiscusso, non c’è limite di taglia, colore, razza, orario d’uscita. Anche sulla distanza percorribile per il pisciamento del cane c’è ampia elasticità e un bonario lassismo. Si arriva al punto ormai di proporre cani in prestito (qualcuno prova scherzando fino a un certo punto di proporli a noleggio) per pisciare i padroni…

    Quando sarà finita questa emergenza si potrà a spron battuto pensare all’inserimento in Costituzione del diritto inalienabile del cittadino a portare il cane a pisciare, diritto inviolabile e intoccabile, cascasse il mondo.

    • In realtà, in certe città esistono condizioni per l’esercizio del diritto di pisciare il cane: per esempio, a Mamoiada, comune della provincia di Nuoro, per rispondere alle perplessità dei cittadini il sindaco ha precisato che “l’animale deve essere necessariamente in vita”; a Cavenago di Brianza, invece, il cane si può portare a spasso ma solo entro i 50 metri da casa.

      Quindi non fate i furbi.

      • Voglio conoscere quello che ha spinto il sindaco di Mamoiada a emettere l’ordinanza, portando in giro un cane morto. Eroe assoluto.

        • C’è molto humor barbaricino, in questa cosa. :-)

          Mi aggancio a questo episodio di costume (diciamo), per sottolineare come i provvedimenti restrittivi, tarati su una realtà urbanizzata e antropizzata italiana (l’Italia in generale ha un’alta densità abitativa), risultano paradossali e del tutto folli in gran parte della Sardegna. Dove per altro i contagi sono relativamente pochi e concentrati soprattutto negli ospedali (causa mancanza di DPI adeguati, come già detto in altro commento).

          La maggior parte dei comuni sardi ha meno di 5000 abitanti e sono per lo più delle isole abitate, tipo oasi nel deserto, in mezzo a vaste distese di campagna o di aree poco o nulla antropizzate.

          Molte persone, normalmente, nei paesi sardi hanno chi un pezzo di orto, chi una vigna, chi un oliveto, e c’è sempre a disposizione qualche tratto di macchia e bosco dove andare a raccogliere asparagi (in questa stagione) o altro. Il tutto, anche in tempi ordinari, con una probabilità di incontrare un’altra anima viva lungo il tragitto molto bassa. Per altro i lavori da fare in campagna sono sempre tanti e non possono essere rinviati. Anche se non si tratta di occupazioni primarie o della prima fonte di reddito, il rapporto con la campagna è sia una delle principali attività fisiche di tante persone over 60, sia una fonte integrativa del reddito familiare.

          Applicare pedissequamente a queste realtà socio-culturali le normative emergenziali in vigore, oltre che abbastanza insensato, è anche difficile in termini pratici.

          Se facciamo il confronto con l’assurda realtà lombarda, dove non si possono interrompere nemmeno le attività produttive *non essenziali* perché bisogna lavorare, produrre, fatturare, fare profitti, e intanto il contagio va avanti quasi indisturbato, la discrepanza è plateale e anche passabilmente perturbante.

          https://thesubmarine.it/2020/03/19/bergamo-brescia-coronavirus-fabbriche-aperte/?fbclid=IwAR1iJTWSFuFgIK5IJ83ioNAbshcBSISHTeypKTSyvP68_o7Pg5fcgkEOZII

          • In tutta questa crisi i governanti hanno dimostrato come nelle loro menti ci sia solo la città, come essi trascurino completamente la realtà territoriale del paese che governano. Quello che scriveva Wu Ming 1 su «le foto che mostrano i centri cittadini turistificati ora deserti», foto che dimostravano la visione distorta dei giornali sul rapporto centro-periferia (periferia dove invece la vita *deve* continuare, decreto dopo decreto), vale anche per le scelte del governo ma anche – e qui è persino più ridicolo – presidenti di regione e sindaci.

            Non è che *non* sappiano che ci sono ampie zone del paese piene di case vuote, di seconde case, a densità bassa, campagna… è che semplicemente questa già scarsa consapevolezza viene accantonata perché cozza con la rappresentazione e autorappresentazione che del paese danno i social e i giornali, totalmente urbani e ombelicali.

            Se vi ricordate, in un periodo di grande attivismo neofascista, La Repubblica cambiò passo solo sul pericolo in corso quando un gruppetto di fasci andò a manifestare *sotto* la sua redazione. Questo è lo stato dell’informazione, e questo è lo stato del governo, conseguentemente.

            • Forse andrò fuori tema ma questo tuo ultimo commento è molto importante anche al di fuori della crisi attuale ed è un’importante consapevolezza anche politica che sarebbe utile tenere bene in mente anche in periodi di “normalità”, se mai torneranno.

              Questa cosa è evidente sui lavori pubblici e sulla manutenzione del territorio, dove leggi e decreti su lavori pubblici e “anticorruzione” vari, vengono visti e pensati in ottica cittadina, edile e di grandi opere e grandi cantieri e sono assolutamente s-centrati rispetto a quella che è la maggioranza degli interventi e delle opere che vengono svolti e che sono necessari sul nostro territorio, in gran parte rurale, collinare e montano.
              Scusate l’OT settoriale.

          • Riedito ultimo paragrafo, troppi errori, scusate:

            Se vi ricordate, in un periodo di grande attivismo neofascista, La Repubblica cambiò passo sul pericolo in corso solo quando un gruppetto di fasci andò a manifestare *sotto* la sua redazione. Questo è lo stato dell’informazione, e questo è lo stato del governo, conseguentemente.

  10. Prima di commentare, penso aiuti la discussione partire appunto da me, nel senso della situazione materiale, una versione covidnomica della premessa a un discorso in ambito decoloniale da posizione di privilegio. Su questo punto tornerò successivamente.
    Mi trovo a casa da venerdì 6 marzo, quando al rientro dalla giornata lavorativa ho iniziato ad accusare febbre e tosse. La febbre è passata dopo qualche giorno e ora mi sento bene, ad eccezione della tosse che persiste per quanto residuale. Purtroppo da qualche giorno è la mia compagna ad essere alle prese con una febbre alta, tosse e spossatezza. Tramite la rete solidale del quartiere siamo riusciti ad accedere all’antibiotico prescritto dal medico di base e la situazione sta lentamente migliorando. In tutto questo, mi trovo nella situazione di privilegio di poter lavorare da casa senza troppi patemi d’animo.
    Questa premessa serve innanzitutto a posizionare la prospettiva da cui leggo, osservo (dalle finestre) e cerco di interpretare quello che succede. Permanendo nel limbo covid-19 sì-covid 19 no, dal momento che il tampone non verrà nessuno a farlo – come già esplicato in alcuni commenti al post precedente di Wolf – penso che passeranno ancora un po’ di giorni prima di uscire di casa.
    La premessa serve poi a contribuire a un aspetto che inizia a fare capolino ma in maniera ancora timida: la portata psicologica di questa situazione, nella sua dimensione attuale e futura. Il limbo che stiamo vivendo (la dimensione psicologica attuale) è tra i risultati più evidenti del corollario di decreti (scelte politiche istituzionali) e comunicazioni (scelte mediatiche): scaricare l’emergenza sulle singole persone in tutto il suo peso. Lo vediamo nettamente in merito al personale sanitario, ora acclamato da eroe ma in periodo di non-emergenza – si fa per dire – messo da parte quando alzava la voce contro lo smantellamento della sanità pubblica. L’emergenza però si sta scaricando su chiunque tranne che su chi ha contribuito a renderla tale, innescando processi di autocontrollo sociale che vanno dal nichilismo alla delazione passando per l’isolamento passivo, e con margini quotidianamente più ristretti permangono “responsabili” nel senso di cura collettiva del termine, limitante della libertà ma problematizzanti nell’ora e nel dopo. E più l’emergenza si scarica più gli atteggiamenti predominanti divengono anche quelli su cui lo stato fa leva: in quella che viene pomposamente presentata come “democrazia occidentale” è difficile far passare un lockdown totale con l’esercito in strada, quindi il carattere vago di tante scelte politiche istituzionali e mediatiche serve proprio lo scopo di tramutare il corpo sociale nel surrogato dell’esercito in strada. O meglio: alla finestra. Un po’ come la persona consumatrice che diviene anche cassiera, come racconta Wolf in uno dei suoi libri.
    Ritorno infine alla premessa. Un po’ mi ha stupito la frase “Ma facciamolo con la piena consapevolezza che non ha potenziale rivoluzionario.”. Mi ha stupito perchè mi sembra un poco contraddittoria rispetto alla problematizzazione delle righe precedenti sul “partire da sè”, e perchè lo ritengo uno degli spiragli di questo momento che stiamo vivendo. Partire da sè, pensando all’ora e al dopo, anche riscoprendo le fragilità (https://www.dinamopress.it/news/l-epidemia-e-il-bisogno-di-costruire-un-pensiero-sulla-fragilita/) che la società della prestazione-eteropatriarcale-“normodotata” impone di tenere nascoste.
    Mostriamo le nostre ferite, ripartiamo da queste in maniera collettiva per scoprire nuovi punti di trasformazione collettiva, per affrontare con rabbia quanto ci attende.

    • Mi spiace ma non posso che ripetermi. Il «mostrare la ferita» è stato ampiamente sussunto dal discorso neoliberale, un po’ come il «consumo critico» o il «bio chilometro zero». Va bane, come il consumo critico e il bio, ma non ha portata rivoluzionaria.
      C’è un testo che consiglio (David Smail, The origins of unhappiness: a new understanding of personal distress, Harper Collins, London 1993) in cui si mostra proprio, a partire dal lavoro di psicologo del NHS dell’autore, i meccanismi con cui la sofferenza individuale è stata inserita in un frame compatibile con il neoliberismo.
      Di più, credo che sia giusto mostrare la ferita (e lo scrivo non retoricamente nel post), ma che sia anche necessario accollarsi qualcosa di più, soprattutto in questa fase così pericolosa. Mostrare la ferita insomma, ma ogni tanto anche i denti.

      • Sono d’accordo con te, nel mio piccolo ho iniziato a rifletterci dopo aver sentito intorno a me migliaia di volte l’espressione “disagio”, utilizzata a sproposito il più delle volte. Infatti ora ci fanno le magliette.
        Detto questo, proprio per il commento di cui sopra, mi sembra di intravedere che la vediamo in maniera molto simile, forse è solo il percorso con cui ci si arriva a differire.

      • Vorrei dare un contributo a questa riflessione sul “mostrare la ferita” (chiedo da subito scusa se non sarò breve).Nel post sostieni che non sia solo legittimo e giusto ma, talvolta, *personalmente* liberatorio. E ancora, che non ha alcun “potenziale rivoluzionario” poiché ampiamente integrato al neoliberismo ed al coaching aziendale.
        Credo invece che solo *un certo tipo* del mostrare la ferita (e più in generale del partire da sé) sia sussunto da tutto ciò ed è precisamente quello depoliticizzato e personalizzato. Come affermi citando Smail è la sofferenza *individuale* ad essere inserita in questo frame, collegata al self-help e a quello che lui chiama “volontarismo magico”.
        A mio parere è invece fuori da questo frame (e forse è addirittura rivoluzionario) l’atto di mostrare la ferita con l’intento di politicizzarla.
        Cercare di mostrare il proprio Io ma anche e soprattutto cercare di trovare le cause politiche – e quindi comuni – di quella sofferenza così da rendere un’esperienza personale qualcosa di *collettivamente* liberatorio. Andare in qualche modo contro quella “privatizzazione dello stress” che denunciava Mark Fisher.
        In questi giorni ci è capitato di leggere e sentire molti discorsi che iniziano con “parto da me”. Tuttavia mi sembra ci sia una (non) sottile differenza tra il farlo per vomitare sugli altri le proprie sofferenze e/o limitarsi ad un facile individualismo metodologico e farlo, invece, perché consapevoli che molte sofferenze di questi giorni sono le stesse perché le cause sociali/politiche sono le stesse e dunque che condividere certe esperienze può aiutare anche altri tanto nella costruzione della propria soggettività (che in questo periodo risulta ancora più difficile) quanto nell’elaborazione di riflessioni comuni sulla realtà in cui stiamo vivendo (ed è quello che tu stesso stai facendo, chiaramente).
        Forse questo discorso risulterà ridondante ed inutile perché sono cose che in altro modo sono state già affrontate (limitare la critica a “narrazioni intimiste” e “uso pubblico privo di mediazioni delle proprie angosce”). Ma ritengo fondamentale sottrarre dal calderone del neoliberismo e del self-help *questo* modo di mostrare le ferite. È uno strumento in più, a disposizione di tutti, per andare *contro* la narrazione privatizzante di stress, ansie e paure (non è solo “giusto”). Basta non abusarne. E, dopo, come giustamente concludi nel tuo commento, tirare fuori i denti.

        • Sono d’accordo. Nell’intimismo che criticavo c’è una sorta di rifiuto della teoria, come se la propria «ferita» potesse stare in luogo della teoria.
          Ebbene, invece oggi abbiamo un grande bisogno di teoria, perché altrimenti impazziamo e aderiamo a visioni apocalittiche o iper-presentiste («nulla di ciò che è stato detto finora vale più, c’è il Coronavirus!»). Visioni che fanno sanguinare inutilmente le ferite, oltretutto.
          Lo sforzo di Fisher è stato opposto, per come l’ho letto io: quello di riportare le ferite alla teoria.

    • Nel pezzo che linki, che ho riletto in questa occasione, si manifestano molti dei problemi a cui faccio riferimento. C’è un ripetuto rifiuto della teoria, e verso il paradigma biopolitico (ovvero quello che in modo palese si realizza oggi!) e agli “amici lacaniani”, bersaglio fin troppo facile proprio per il modo involuto di Lacan e di teorizzare.

      Ebbene, non c’è però un di fuori dal pensiero (cioè dalla teoria) nel quale mostrare – così com’è – una ferita.

      C’è la solidarietà di condominio, e anche questo fa parte dello stesso approccio post-ideologico. Siamo nell’ottica della “sussidiarietà gentile”: facciamo in condominio quello che lo stato non fa più, o adeguiamoci “insieme” a una restrizione delle libertà intollerabile. Il condomionio è una ferita, noi mostriamo e leniamo la ferita; ma alla fine la macchina della protezione civile che passa in strada e urla «state in casa» ci terrorizza tutti insieme (chi per la malattia, chi per il biofascismo), e la nostra è una solidarietà impotente.

      Spero che l’imposizione del biofascismo calata nel frattempo ridimensioni un po’ la portata di queste riflessioni intimiste, comunque. Come ho premesso nella prima puntata: ho cambiato mille volte idea, quindi auspico che anche altr* la cambino.

      • Certo, quando parlo di ripoliticizzare la ferita mi riferisco proprio al riportarla dentro ad una teoria che – in quanto tale -non la privatizza ma la colloca su un quadro superiore al singolo che la esperisce. Solo così si dà una possibilità di uscita collettiva dalla situazione indesiderata. Per fortuna è iniziata la traduzione e pubblicazione in italiano degli scritti di Fisher.

      • Come te, avendo a disposizione tanto tempo per riflettere…ci sto ancora pensando. Conoscendo l’autrice posso affermare con certezza che non auspichi un azzeramento della teoria, tuttavia mi rendo conto che prendendo lo scritto singolarmente si presti all’interpretazione opposta.
        Penso sia una maniera per proporre un’altra prospettiva attraverso la quale mostrare i denti (e di conseguenza la visione della società a venire), rifuggendo da alcune consuetudini teoriche, riformulandone altre e producendone di nuove. Rischierei comunque di andare un po’ fuori tema, quindi mi fermo. Posso dire che alcuni semi di questo ragionamento sono affini ad alcuni commenti all’articolo di questo blog “Tu che straparli di Carlo Giuliani, conosci l’orrore di Piazza Alimonda?”.

        • Non metto in dubbio quello che dici.

          Io mi ponevo polemicamente – nel testo originale – non certo nei confronti di quell’articolo di EG, quanto piuttosto nei confronti di un clima e una postura che anche per mezzo dell’esegesi di *quel tipo di articoli* ha alimentato la teorizzazione del «mostrare la ferita» contro i paradigmi biopolitici ecc ecc.

          Non la testimonianza in sé, quanto l’uso teorico della testimonianza (uso teorico che rifugge il proprio essere teoria, e questo mi pare pure un po’ pericoloso).

  11. Mi chiedo anche quali saranno i costi mentali collettivi di questo stato di polizia in cui di fatto ci troviamo a vivere? Mi viene in mente il libro di Antonio Gibelli sulla Grande Guerra e le trasformazioni del mondo mentale. Questa privazione di libertà, unità ai divieti e alla paura, alla destabilizzazione economica, all’incognita sul futuro, ebbene, quali effetti avrà sulla salute delle persone. Personalmente ne sto già soffrendo, il dover convivere con la paura di un’applicazione arbitraria della legge quando esco per fare una passeggiata, mi crea ansia e stress. Oggi Fontana ha di fatto minacciato e lo stesso ha fatto Spadafora. Sono toni che aumentano l’ansia collettiva e la necessità di reprimere. Con il consenso della maggioranza della popolazione che, barricata in casa dalla paura, acconsentirebbe ad ogni deriva autoritaria a favore dell’ipotetico contenimento. Fino a ieri le passeggiate si potevano fare, ora sembrano fuorilegge. Ci sto litigando con mia madre da tre settimane su questo tema! grazie per il pezzo a Wolf Bukowski

  12. Ho sempre letto la locuzione “abuso di potere” dal punto di vista oggettivo, vale a dire l’abuso di potere indirizzato verso un oggetto (o soggetto) esterno. Sarebbe interessante confrontare l’abuso di potere con l’abuso di altre sostanze, quindi non solo inteso come esercizio smodato o spropositato del potere, ma anche come assunzione smodata di potere (certo che è sottile la differenza) al pari dell’assunzione smodata e assuefacente di qualsivoglia sostanza chimica. In poche parole trattare i vari sceriffi come malati di dipendenza: “DeLuca diagnosticato di Dinamopatia (o exousipatia?), sollevato dall’incarico in quanto incapace di gestire emozioni etc…”

    Forse dovrei uscire a far prendere un po’ d’aria al cervello.

  13. Quella poesia è la cosa più miserabile che io abbia mai letto.

    Non è un contributo alla discussione, ma è una cosa che voglio scrivere qua per metterla agli atti.

    • Ieri, nel mio ultimo giro in bici possible, riflettevo: non c’è molto di diverso in quella poesia dalla visione di chi, nelle pesti dei secoli passati, le considerava punizione di dio.

      E credo che molte delle reazioni attuali saranno osservate – da un’umanità futura che non è affatto detto che esisterà – con la stessa spocchia con cui oggi si guarda a quelle reazioni.

      • a me sembra che nella poesia della Gualtieri ci sia sempre e solo l’uomo. e non la interpreto così distante dai ragionamenti su Giap, salvo il fatto che non menziona lo stato di polizia.
        il sistema di prima faceva schifo, ma era radicato in profondità, opporcisi individualmente non aveva senso, solo uno sforzo collettivo poteva sradicarlo. ma si stava tutti male, chi più chi meno, chi sapendolo chi manco quello, i più erano impegnati a fare fruttare al massimo il proprio tempo. adesso che molti sono bloccati in casa in condizione assolutamente nuova (non felice, solo diversa da prima), c’è la possibilità per tutti di mettere a distanza la vita di prima e farci dei ragionamenti sopra. un pensiero nuovo potrebbe riguardare il corto circuito tra la nostra condizione esistenziale e quella materiale, accettare il fatto che ben poco é nel nostro pieno controllo, ma che tutto quanto facciamo ha delle conseguenze che ci travalicano pur restando nella nostra responsabilità. la voce che ci tratta da bambini non è quella del governo, è quella della morte con cui tutti dobbiamo confrontarci, e tenendola maggiormente in conto, potremmo sentire la necessità di cambiare il significato alle pratiche, a partire dalle relazioni.

        questa poesia mi ha fatto venir voglia di approfondire gli studi sul reddito di cittadinanza universale.

        grazie per tutti gli spunti di riflessione.

        • Bene, se vedi questo nella poesia mi fa piacere, sono i miracoli dell’esegesi! In effetti nel corso dei secoli l’esegesi è riuscita a far passare un inno all’amore sensuale (il cantico dei cantici) per qualcosa di completamente diverso… :-)

  14. Io abito a San Siro, quartiere popolare Aler di Milano Ovest. Incredibile come qui, che è sì periferia, ma non tanto geografica quanto ideologica e mentale, le cose siano in fondo diverse rispetto al centro con le sue panchine transennate. Qui sono molte le persone in strada, prevalentemente maschi nordafricani, come d’abitudine. E non ci sono particolari forze dell’ordine o del degrado in giro. Il campetto nella piazza centrale del quartiere questa domenica era vissuto. Cosa divertente, alcuni arredi urbani di stampo radical chic (panchine e tavolini inseriti in cornice di urbanesimo tattico), che sono stati inaugurati recentemente, ospitano quotidiani assembramenti umani dediti all’azzardo di giochi di carte assai partecipati e rigorosamente senza mascherine. L’altro giorno mi sono imbattuto in una gentile signora che incarnando tutto il decoro e il sanitarianesimo possibili intimava a un clochard di non dare da mangiare ai piccioni perchè portano le malattie. Seguivano improperi reciproci e minacce (unilaterali, indovinate di chi) di chiamare la polizia. Oggi pomeriggio la mia vicina riprendeva la figlia adolescente perchè non aveva la mascherina, perchè “è nell’aria, fidati, è nell’aria, te lo dico io!”. Le bimbe e i bimbi delle famiglie nordafricane invece vengono additati perchè giocano in cortile.. un classico. In fin dei conti lo stato di emergenza sta scavando nelle pratiche quotidiane mostrandoci cosa è bene e cosa è male con un realismo davvero fascista. I *giusti* chiusi in casa a salvaguardare la specie e gli *altri* fuori, come topi a propagare il contagio. Hai voglia a far passare un piccione per un animale domestico! Grazie per l’empatico distacco di queste analisi approfondite, pazienti e decostruttive. Andiamo avanti così

  15. (E porcodio sulle reti social “compagne” solo dieci giorni fa erano tutti a citare Manzoni, e ora *gli stessi* si sono trasformati in una orribile galleria dei peggiori personaggi manzoniani: delatori, cinici, invasati, sbirri, e via vomitando.)

  16. In questi giorni l’unico spazio per avere un pensiero diverso – fuori dal tartasso mortifero dei media – è Giap. Oramai siamo al martellamento Coronavirus h24 con la gente che sta sfiorando livelli di paranoia incredibili. Poco fa Merkel ha fatto un discorso (breve tra l’altro) alla nazione. La differenza nel modo di affrontare le paure della gente rispetto ai discorsi italiani è sorprendente. Non privo di retorica, ovvio, però non ha imposto il coprifuoco, non ha instillato la voglia di caccia all’untore, ha redarguito dal fare l’assalto ai supermercati, ma in sostanza ha detto “è una cosa seria, siate responsabili”. Ora, anche fare appello alla propria responsabilità può avere degli aspetti perniciosi, ma rispetto allo sguaiato “allora non avete capito, dovete stare a casa!”, fa la differenza. Alla fine della fiera, quell’idea dello Stato come un padre padrone, un capo famiglia severo che ti punisce “per il tuo bene”, non mi pare ci sia in Germania, almeno. E fa tutta la differenza del mondo. Proprio oggi credo sia uscito un video di Piero Angela che “spiega” il virus. Ennesimo esperto che può parlare in quanto tale. Ebbene, di nuovo i due capisaldi della retorica virale: a) state a casa, i nostri nonni sono stati chiamati a salvare il paese dalla guerra, voi a salvare il paese sul divano; b) in Italia ognuno fa come vuole, e nessuno lo redarguisce, “ma sì, io mi faccio i fatti miei”.
    Questo virus è quindi -da una parte -metafora bellica: siam pronti alla morte dai balconi, polizia e droni a controllare, multe, spionaggio dei vicini, delazioni; dall’altra stereotipo dell’italietta magno, bevo e me ne frego. E se quest’ultima cosa fosse vera, come ce lo spieghiamo questo controllo smodato, questa burocratizzazione dell’ora d’aria, foto e video per incastrare il passeggiatore malandrino?
    Questo “state a casa” è il riassunto in meno di un tweet dell’individualismo e della borghesia. Vince il premio fascismo 2020.
    Gli operai e i fattorini vorrebbero magari pure starci a casa, ma se scioperano li manganellano. Senza parlare dei metri quadrati di queste fantomatiche case, in quanti le abitano, con quali mezzi, con quali eventuali disagi psicologici, e quanti carnefici padroni di casa non aspettavano altro? E l’elenco è lungo. Ma guai a dirlo! Vuoi far morire poro nonno infettandolo, egoist!

    • Hai ragione, questa cosa dell’«italiano medio» che non rispetta le regole è un mito reazionario ormai incancrenito nella cultura nazionale, che però non corrisponde alla realtà che stiamo esperendo e nemmeno alla storia del Paese. La società italiana è stata disciplinata dall’alto, irregimentata, intruppata e comandata tante volte, la nostra cultura nazionale sa esprimere un conformismo soffocante e un odio virulento per chi devia dalla norma.

      Il mito, in realtà, è un assemblaggio di due miti:
      quello dell’inesistente «italiano medio» (sempre maschio, poi, quest’esponente tipico della cittadinanza);
      e quello de «Le Regole», una specie di idea iperuranica delle regole, l’essenza stessa di ciò che è regola, la… regolità.

      Nel «mondo delle cose», «le regole» di per sé non vuol dir nulla: quali regole? Viviamo dentro un reticolo fittissimo di norme sociali, norme giuridiche, provvedimenti di tantissime autorità, regolamenti, contratti. Se davvero gli italiani tout court non «rispettassero le regole», l’intera impalcatura sociale, politica, economica sarebbe crollata da tempo. E invece…

      • E’ vero che è un luogo comune ed è diventato un mito reazionario, ma secondo me un fondo di verità ce l’ha.
        A me sembra evidente che ci sono società un po più disciplinate della nostra, nel bene e nel male.
        Forse è stato proprio il conformismo secolare imposto dall’alto di cui parli a generere una certa tendenza non tanto a ribellarsi ma a cercare di aggirare le regole imposte.

        • Ragazzi, io sono entrato in questo sito capitandoci per sbaglio e sembra abbia fatto il più bel sbaglio della mia vita. Una delle discussioni meglio articolate che io abbia letto dal inizio di questo scempio… Ma allora esistete😍

      • Ed è altrettanto vero che se gli italiani (e chiunque vive in una società complessa) «rispettassero *tutte* le regole» sarebbe impossibile vivere. Prova ne sia che, quantomeno nella capitale, come dice Christian Raimo la multa per divieto di sosta è una sorta di tassa ineluttabile che colpisce chi – precario e costretto a più lavori – non può permettersi ore per attraversare la città coi mezzi. Una tassa *regressiva* ma ineluttabile; e questo mentre la *sinistra*, non vedendo tutto questo, sapeva parlare solo di piste ciclabili (che servono eh, sacrosante!).

        Quindi il rapporto con «le regole» è sempre molto più pragmatico di quanto sembri, mentre la visione dell’italiano come «anarcoide» refrattario alla norma è davvero ridicola. Ma come funziona, perché continua ad alimentarsi? Lo vediamo in questi giorni: basta far passare mediaticamente uno che fa jogging – consentitissimo fino ieri – per un pericoloso illegalitario, producendo così l’effetto «guarda quanti runner, gli italiani non stanno alle regole!»

        Col ridicolo corollario di pseudo-pensiero coglionesco: «ma fino a ieri nessuno correva, guarda un po’ come se ne approfittano!». Così ecco plasmato il mito dell’italiano illegalitario e allo stesso tempo dell’italiano furbetto approfittatore, due colpi in uno.

        C’è gente che ci campa da decenni, mettendo in buona prosa sulle prime pagine dei giornali cavolate come queste.

        • Per non parlare delle varie e ormai innumerevoli categorie di “furbetti” create dai media.
          E’cominciata con i “furbetti del quartierino” e poi non si sono più fermati…

          • Si usa una categoria giornalistica riferita ad approfittatori, speculatori maxi-evasori eccetera e la si riversa addosso a chi vive di economia informale. Alla fine i primi (i ricchi) scompaiono alla vista, e si indirizzano le guardie verso i secondi.

            • In questo credo che abbia giocato un ruolo importante Striscia la Notizia, sia nell’additare all’opinione pubblica i vari”furbetti” da mettere alla ggna sia nell’incoraggire la delazione.

              • *da mettere alla gogna sia nell’incoraggiare la delazione.

              • Nel 2011, in una discussione su Lipperatura, dissi la mia su Striscia la notizia, soffermandomi anche su quest’aspetto:

                «[…] temporalmente e spiritualmente, l’ascesa di Ricci coincide in toto con la totale sottomissione e riappropriazione dell’ironia “sessantottina” da parte del potere. Ma possiamo anche andare più nello specifico, identificando un “doppio movimento”: da un lato, la TV “di denuncia” à la Ricci (il Gabibbo, gli inviati che inseguono i furfanti etc.) aggredisce e mette a pece-e-piume soprattutto pesci piccoli, truffatori e speculatori che vivacchiano in fondo alla catena alimentare del capitalismo (da Wanna Marchi e sua figlia all’oscuro sindaco del paesino di provincia); dall’altro lato, Ricci ha costantemente agito da manganellatore mediatico nei confronti di chiunque mettesse in un modo o nell’altro bastoni tra le ruote sue e/o del potentato Mediaset, con campagne ad hominem martellate anche per settimane, finalizzate alla character assassination del malcapitato di turno. Ha un grande potere (milioni di spettatori in una fascia che ha in appalto da vent’anni), e ne abusa volentieri.»

                Il commento preciso non è linkabile, ma è quello che comincia con «A parte poche righe e notazioni marginali», nella discussione qui.

  17. Riporto tweet di signora arguta:

    La quarantena non è uguale.
    Dipende dai metri quadri, da balconi e terrazze, dai computer disponibili per le lezioni dei figli, dagli abbonamenti streaming e dalla capacità di tenere il frigo pieno non lavorando.

    Chè persino ingannare il tempo a far torte è lusso non per tutti.

  18. Ieri mia mamma mi ha scritto preoccupata, domandandosi se fosse proprio il caso oggi di portare i bambini a farsi un giro fuori, perché al TG regione avevano detto che dai dati della rete cellulare risultava ci fosse “troppa gente in giro”.

    Ecco come il controllo instilla automaticamente nelle menti il senso di colpa e la propensione all’inazione, direi che è esemplare questa reazione di mia mamma. Vi risparmio il pippone che le ho attaccato in risposta, tanto lo potete immaginare.

    La notizia per la precisione è che Gallera (assessore lombardo) ha dichiarato che il tracciamento dei cellulari da noi è già una realtà. E che dai dati forniti dalle compagnie telefoniche risulta che gli spostamenti in Lombardia si sono ridotti “solo” del 60%.
    4 persone su 10 *non stanno a casa* mannaggialloro.

    Stamattina è arrivato sul canale Telegram di Off Topic Lab un ottimo sunto della situazione, da cui cito:
    In Italia da settimane la School of Management della Bocconi e il CEFRIEL (consorzio di università per l’innovazione digitale) sostengono di utilizzare i big data per ricostruire le reti di contatti dei contagiati e controllare che i cittadini rispettino le norme
    […]
    Ora nel decreto “Cura-Italia” è prevista l’istituzione di una task force facente capo al ministero dell’Innovazione, formata da esperti dell’università di Pavia per sfruttare big data e tecnologie nell’emergenza coronavirus. Ha già un dossier da studiare: un’analisi basata su un set di dati fornito da #Facebook, ma anche le più grandi compagnie telefoniche italiane – Tim, Vodafone, Wind Tre e Fastweb – hanno offerto set di dati anonimi che aggregano gli spostamenti dei propri utenti.
    […]
    Lo stato d’eccezione scoperchia un altro vaso di Pandora, da cui sarà difficile tornare indietro anche dopo.

    Ecco, “voglio i droni, cazzo!”.

    Su questa cosa vorrei anche sottolineare un aspetto a mio avviso truffaldino nella narrazione del “dato crudo” sbandierato dai media.
    Nessuno che io sappia è ancora entrato nel merito di questi numeri, ma partendo dal principio che è ovvio che c’è gente che deve muoversi per lavoro (fattorini, operai, logistica, supermercati e loro filiere, badanti e baby sitter, chi non ha la possibilità di fare telelavoro, etc) e partendo dal principio altrettanto ovvio che tutti devono fare piccoli spostamenti (per spesa, pisciare cane, sgranchire gambe, etc), i dati aggregati sono in grado di fare un discrimine tra queste casistiche?
    Questo numero buttato lì del 40% residuo sono tutti i movimenti registrati, o è un numero che tiene conto almeno delle due categorie di spostamento di cui sopra?
    E gli spostamenti registrati che distanza coprono, sono suddivisi per distanza? Quanto tempo durano? Sono suddivisi per durata?
    Insomma non lo posso dire per certo, ma io dubito fortemente che il 40% sia una cifra ulteriormente riducibile e credo che questo 40%, in quanto dato aggregato, sia un dato che non significa assolutamente nulla.
    Se togliessimo dal conteggio gli spostamenti inevitabili di cui sopra, ipotizzo che la percentuale residua di chi si sposta “senza motivo” sarebbe come si suol dire da prefisso telefonico.

    Quindi il dato rilevato alla fin della fiera è una non-notizia, ovvero una notizia estremamente manipolata e manipolatoria volta solamente a indurre il terrore del controllo.
    La vera notizia è invece quella già rilevata da altr*, cioè che è caduta anche questa barriera.
    E il dato decontestualizzato ha la sola funzione di auto-giustificare la prossima ulteriore stretta securitaria.

    Per chiudere, a questo punto mi domando:
    cosa succede se lascio a casa il cellulare per non farmi tracciare?
    Me lo vedo già lo sbirro che con aria inquisitoria mi dice: “Perché lei è senza telefono? Ha qualcosa da nascondere?”
    Il prossimo passo sarà il divieto per legge di circolare senza cellulare, come se fosse un documento?
    Io ne sento la puzza, neanche troppo in lontananza. E se questo incubo si avvererà, sarà certamente tra quelle cose che resteranno anche dopo l’epidemia.
    Allora il cerchio si chiuderà, in una perfetta manovra a tenaglia che realizzerà la comunione di intenti tra stato autoritario e capitalismo della sorveglianza.

    • Da testimonianza di compagn*, già ben prima del Coronavirus persone (militanti) sono stati interrogati dalla FFOO sul perché non avessero il cellulare con sé.

      • Lo tieni in modalità aereo e quando vedi la pattuglia, in una frazione di secondo lo attivi.
        Si potrebbe anche tenerlo spento, ma per riaccenderlo ci vuole più tempo.

      • Io mi rendo conto che, purtroppo, in questo loop paranoide di sorveglianza metto in atto, in maniera quasi inconscia e semi automatica, meccanismi (come protocolli interni di resistenza) come se stessi vivendo in clandestinità: faccio solo strade a senso unico ed in contromano ( a piedi, ovviamente), evito di frequentare strade principali, se non per i brevissimi tratti che mi collegano con quelle secondarie. Le uscite serali richiedono una cautela ancora maggiore. E l’ altro giorno, in un film, c’erano persone sul treno o ad una festa ed a me è sembrato strano, come se fosse già il ricordo di un tempo lontanissimo. Il mio corpo, le mie gambe, mettono in atto da soli meccanismi di difesa. Mi spaventa la velocità con cui si è rapidamente sviluppata questa forma di adattamento, uguale e contraria a quella sviluppata da chi si rinchiude in casa. In fondo penso che per differenti ragioni di ordine ideologico fossimo già predisposti ad elaborare una reazione sub cosciente, sia da una parte che dall’ altra. Ma ciò che fa la differenza, forse, è la consapevolezza che ci porta a questi comportamenti.

        • A me succede praticamente la stessa cosa. Quando me ne vado a zonzo mi viene istintivamente da tenere all’erta i sensi, guardarmi intorno, pensare già a cosa dire alle guardie quando mi fermeranno, ecc.
          Mi sembra la stessa sensazione di quando nel maggio 2012 ci recammo tutte/i a Francoforte, con Blockupy, per contestare la Bce. La città era totalmente militarizzata e fermavano chiunque andasse in giro in gruppi di più di due o tre persone. Da dove eravamo accampate/i, per raggiungere il luogo della manifestazione, normalmente ci sarebbero voluti pochi minuti a piedi, ma dovemmo dividerci in gruppetti di massimo tre persone e fare giri assurdi, evitando le strade principali, disperdendoci nei vicoli secondari, sempre all’erta, per non riuscire ad arrivare senza essere arrestati. Eravamo superimparanoiati.
          E il parallelismo è più profondo (non a caso anche Francoforte quei giorni era governata in stato di emergenza): così come in quell’occasione temevano di essere arrestati non per aver compiuto qualcosa di esplicitamente illegale e vietato (chessò, spaccare tutto durante il corteo) ma semplicemente per il fatto di recarci a una manifestazione (cosa che dovrebbe essere normalissima), così ora dobbiamo sentirci imparanoiati anche se non facciamo qualcosa di vietato ma semplicemente passeggiamo.

    • Boh, io mi limito a giudicare il funzionamento di tutto l’impianto informatico dei vari enti pubblico/statali (per inciso, vergognoso. Memorabile quando Poste Italiane, che non so se sia privata o statale ma penso possa calzare come esempio, cercava postini qui in Umbria ed io son stato una settimana e mezzo a tentare di accedere al bando sul loro sito, bando che ovviamente non c’era modo di raggiungere. Alla fine ho fatto in tempo a trovare un altro lavoro).
      Insomma, io non mi preoccuperei troppo dei dati, piuttosto di quanto possano incidere sul comportamento delle persone quei dati (tra l’altro falsati, data l’efficienza di cui prima).
      E la madre in questione ne è un palese esempio.

  19. “[…]«ovviamente», ha aggiunto contrito, non è possibile farlo con quelli non recintati.”
    Ecco, nel comune dove risiedo (circa 6600 abitanti spalmati su 70 km2) questo “problema tecnico” della recinzione mancante è stato bellamente bypassato. Con un’ordinanza del sindaco è stata disposta la chiusura “di tutti i parchi, giardini comunali ed aree verdi attrezzate”. All’obiezione «ma come si fa a chiudere un giardino non recintato?» l’amministrazione è corsa ai ripari delimitando con nastro bianco-rosso e qualche transenna il perimetro degli spazi verdi.
    Come da copione e come perfettamente descritto nell’articolo, il giorno seguente è stata annunciata “la pulizia e sanificazione degli spazi pubblici con macchinari e personale a terra e la sanificazione dei cassonetti posti su suolo pubblico.”

    A me pare che gli aspetti del protagonismo/paternalismo dei sindaci (ancor più che nelle città) nelle realtà di piccoli comuni siano giustificati e invocati a gran voce dai cittadini. Questo credo sia dovuto ai rapporti evidentemente più stretti che intercorrono tra tutti gli abitanti. È altamente probabile che il sindaco (e i membri della giunta comunale tutta) sia *davvero* il padre del mio vicino di casa o la madre della mia migliore amica, la mia ex-compagna di classe o il mio vecchio allenatore di calcio. Il refrain «stai tranquill* che ci pensa il sindaco» diventa a tutti gli effetti «stai tranquill* che ci pensa suo padre/sua madre», in una traslazione da politico a familiare ancora più concreta rispetto ai grandi centri urbani. Trasgredire, quindi, è veramente come disubbidire a genitori dolci e premurosi; ogni sgarro alle regole di “buon senso” è equiparabile al non aver seguito le indicazioni di un* car* amic*. Tutto è ricondotto al piano dei rapporti personali, con conseguenze nei rapporti sociali che è facile prevedere rimarranno anche nel cosiddetto “dopo-emergenza”.

    Inoltre, dalla “grande famiglia” che abbraccia l’intero (piccolo) comune è altamente probabile che rimangano escluse, e quindi isolate, le minoranze (etniche ma non solo). Come nelle grandi città, ma con conseguenze forse più radicali: raramente sono in numero sufficiente da poter essere “comunità” e darsi man forte a vicenda. Spesso sono nuclei familiari singoli che, vedendosi chiudere i già pochi spazi di socialità, vedono farsi più impervio il percorso di integrazione (dai bambini nelle scuole e nei parchi giochi, agli adulti nelle botteghe, nei bar e nei circoli)

    «Per non finire come Milano, facciamo come Milano! Chiudiamo i parchi! Sanifichiamo gli spazi pubblici!»
    «Ma… qua da noi al massimo c’è quella coppia di signori anziani a passeggio. O le figlie di quella famiglia indiana che giocano insieme sull’altalena.»
    «Ecco, vedi? 2+2=4. Assembramento! Chiudiamo i parchi. E domani disinfettiamo tutto.»

    Dopo il “recintare” e il “disinfettare” verrà il “non sporcare, per non costringerci a recintare ancora di più”.

    • Nei piccoli come nei grandi centri l’elezione diretta del sindaco è stata una sciagura. Sul piano istituzionale è stato il vero inizio della «fascistizzazione» del paese e dell’ascesa del populismo. Ne ha sacralizzato la figura, che invece prima era scelta più banalmente dal consiglio comunale, era revocabile da quella stessa compagine, e rispondeva per ogni suo provvedimento a quella stessa compagine. Ora risponde al «popolo», ovvero è impegnato da un lato a plasmare «il popolo» stesso, e dall’altro a selezionare nei discorsi correnti i soggetti e i topics più utili al consolidamento del proprio potere.

      Riporto qui, per divertirsi e senza alcuna intenzione apologetica della «democrazia rappresentativa old style», un passaggio de La buona educazione degli oppressi:

      [nel 1993] Franco Bassanini, deputato del Partito democratico della sinistra (Pds, l’ex Pci), sostiene in aula che l’elezione diretta [dei sindaci] porterà a una maggiore democraticità dell’ente locale rispetto ai meccanismi di delega ai partiti, «del resto non sempre impermeabili alle influenze di oligarchie economiche o finanziarie, come le cronache di Tangentopoli hanno dimostrato». Per ironia della storia proprio Bassanini sarà presidente, dal 2008 al 2015, della più influente, e pestilenziale, incarnazione delle oligarchie finanziarie che infestano la vita urbana in senso privatistico, e cioè Cassa Depositi e Prestiti; inoltre, proprio al contrario di quanto sventolato in occasione del voto parlamentare, i sindaci eletti direttamente governeranno in modo straordinariamente autocratico, svuotando di senso il consiglio comunale.

  20. Tra i commenti della prima parte di questi due post ce ne sono un paio nei quali si accennava al rimosso della morte nella societa` capitalista. WM1 in uno di questi consigliava il libro di Philippe Aries, Storia della morte in occidente. 111 pagine lette in poche ore e sto` gia` un po` meglio. Approfitto quindi dello spazio per chiedere se qualcuno ha altri suggerimenti di libri che trattano lo stesso argomento, anche non necessariamente saggi. Grazie.

    • Michel Vovelle, La morte e l’occidente. Fuori catalogo, ma si trova su maremagnum.

    • Ma come mai 111 pagine? La mia vecchia edizione BUR ne ha 255…

      • Non saprei, ho trovato disponibile la versione in inglese nella biblioteca online dell’universitá, ebook central: “Western Attitudes Toward Death : From the Middle Ages to the Present”. Umile richiesta, re-introducete Nandropausa. Per noi non-accademici era un bel “servizio”.

  21. “[…] e sempre più di frequente si leggono cenni quasi acritici al metodo coreano, ovvero al tracciamento tramite gps, app e tecnologie di sorveglianza di ogni spostamento e di ogni vita sociale.”

    Il 6 marzo, in tempi non sospetti (…), Repubblica scriveva un articolo (scritto – tradotto? – molto male) su come il sistema coreano, per colpa credo di un’insufficiente anonimizzazione dei dati (dall’articolo purtroppo non si capisce un cazzo), si è trasformato immediatamente in una terribile gogna pubblica, con molte vittime innocenti, nonostante rettifiche o smentite:

    “In un altro sms una donna sulla sessantina, poi risultata positiva, nei suoi spostamenti avrebbe partecipato a un matrimonio e pranzato in un ristorante con gli amici nonostante risultasse recentemente ricoverata in ospedale con lesioni per un incidente d’auto. Gli utenti hanno cominciato a perseguitarla accusandola di frode assicurativa. I giornalisti le hanno dato la caccia e infine rintracciata, lei ha negato.

    […]

    Un uomo di 30 anni, positivo al coronavirus, è diventato il bersaglio di insulti online per il suo comportamento sessuale dopo che le autorità hanno dichiarato in un sms che non erano stati in grado di seguirlo oltre la stazione ferroviaria principale di Seul, un’area nota per la prostituzione. L’uomo è stato preso di mira. In effetti aveva semplicemente mangiato in un ristorante nelle vicinanze, hanno poi chiarito le autorità sanitarie, scusandosi per la precedente informazione sbagliata e dovuta a un problema tecnico. Troppo tardi.”

    Delatori eccellenti:

    “Il sindaco della città Jang Se-yong ha rivelato il suo cognome su Facebook.”

    E persino qualche approfittatore:

    “Gli sms non identificano i pazienti ma rivelano i nomi dei negozi e dei ristoranti che hanno visitato prima di essere testati. I ristoranti nominati vengono quindi temporaneamente chiusi, perdono i clienti, rischiando il fallimento. C’è chi se ne approfitta. Un uomo che affermava di essere stato infettato da Covid-19 ha contattato diversi ristoranti nel distretto di Mapo di Seul avvertendo che avrebbe detto di aver mangiato lì alle autorità sanitarie, e chiedendo soldi in cambio del silenzio.”

    Se crei degli appestati, effetti del genere mi sembrano inevitabili

  22. Mi sento di condividere qualche nota appuntata in questi ultimi giorni, prima ancora di aver letto questi ultimi due post in cui si denuncia la costruzione dell’immagine sociale del contagio su quella del degrado, in modo che a tratti le due cose risultino pressoché indistinguibili dal punto di vista della prassi giuridica, poliziesca e guardiacaccesca.

    In particolare, mi ha colpito leggere: “Il terreno alla fascistizzazione della società, dissodato dall’ideologia del «decoro», viene oggi inondato di sementi; domani germoglierà messi abbondanti”; poi ancora l’accenno ai “giorni che seguiranno [che] potrebbero vedere la sua [del nazionalismo italiano] mutazione in fascismo” chiedendosi “quali vesti assumerà tale fascismo” e rispondendosi “non è dato sapere. Di certo non l’impolverato orbace: sarà più un tessuto tecnico”.

    Queste frasi mi hanno colpito perché corrispondono esattamente alle domande cui tento di dare risposta, magari in maniera un po’ più distopica di quanto non sia (ma è dichiaratamente per controbilanciare la narrazione velleitariamente scientista e sostanzialmente totalitaria dell’epidemia), in una serie di riflessioni. Non so se ho ragione, ma visto che quando ho finito di leggere questo post avevo appena pubblicato “La possibilità dell’ecofascismo”, ho avuto proprio la sensazione di aver appena risposto alle questioni poste sopra, sulle messi abbondanti che germoglieranno dal terreno alla fascistizzazione della società e sulle vesti che assumerà il fascismo in tessuto tecnico.

    In particolare, mi concentro sulla costruzione del discorso politico che parte dall’obiettivo sanitario, poi lo fa saltare e lo utilizza per legittimarsi. E una volta che è saltato, quell’obiettivo non è più necessario, ma dispensabile, e può essere sostituito a piacimento dalla necessità di prevenire il rischio di eventuali epidemie nel prossimo futuro, di contenere i danni provocati dall’inquinamento, di ridurre le emissioni di gas serra, pure (udite udite) di far fronte alla crisi economica. Tuto può far brodo, se raccontato nella maniera opportuna, con il giusto linguaggio e nella giusta cornice concettuale e retorica. La facilità con cui la gente sta confondendo la reale tutela della salute e ciò che è decretato in suo nome è allarmante: cosa succederebbe se, una volta visto che tali misure sono possibili e che sono tollerate, si decidesse di attuarle per altri motivi?

    Insomma, la parte in cui si teme che “ogni intervento di controllo operato dal potere è lecito, se ha una funzione – cioè se riesce a accreditarsi retoricamente come – utile al contenimento del contagio” e si dichiara che “tutto sarà in nome del «contenimento del contagio»”, è praticamente il riassunto del pericolo che abbiamo dinnanzi.

    Come sempre, grazie di questo spazio di riflessione e condivisione.

  23. Voglio agganciarmi a un potente commento di WM1 al precedente articolo – lo faccio qui perché si parla di fascismo in tessuto tecnico – in particolar modo a questo passaggio:

    “Pensano di poter mettere toppe per decreto alle voragini che si aprono nella vita delle persone, nei loro affetti, nella loro possibilità di avere un reddito?
    Pensano di poter tenere separate a lungo solo con la riprovazione morale pilotata e con la minaccia poliziesca coppie che si amano, famiglie amputate, amicizie, progetti?”

    Da qualche tempo gira uno studio dell’Imperial College di Londra che preconizza il “new normal” permanente di zone rosse e quarantene continue che io già temo. Ho sempre evitato di leggerlo perché son debole di fegato, e infatti ho letto solo di sfuggita le conclusioni, ma insomma questi hanno fatto una serie di simulazioni e dicono che dobbiamo fare un mese di lockdown e due mesi di vita normale, fino all’anno prossimo (o in eterno, pare, se il vaccino non si trova). Ma non con una cadenza precisa, troppo facile: quando i posti liberi in terapia intensiva scendono sotto una certa soglia, tutti dentro. Quando si liberano abbastanza, tutti fuori (e se non ci piace, allora forse preferiamo delle limitazioni permanenti alla libertà di movimento? Non lo dicono apertamente, ma qualcuno – come vedremo più avanti – ce lo legge chiaramente) Comunque lo studio, per chi ci capisce di matematica e sa leggere i grafici (e ha la pazienza, e soprattutto il tempo), è qui:

    https://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/medicine/sph/ide/gida-fellowships/Imperial-College-COVID19-NPI-modelling-16-03-2020.pdf

    “Pensano davvero di poter tenere decine di milioni di persone inchiavardate in casa sine die?”

    Lo pensano. Non mi ricordo chi scriveva in un commento che il secondo miglior modo di far fallire un’azienda è seguire alla lettera le indicazioni dei tecnici. Ecco cosa dicono i tecnici commentando lo studio di cui sopra:

    https://www.technologyreview.com/s/615370/coronavirus-pandemic-social-distancing-18-months/

    “In the near term, we’ll probably find awkward compromises that allow us to retain some semblance of a social life. Maybe movie theaters will take out half their seats, meetings will be held in larger rooms with spaced-out chairs, and gyms will require you to book workouts ahead of time so they don’t get crowded.

    Ultimately, however, I predict that we’ll restore the ability to socialize safely by developing more sophisticated ways to identify who is a disease risk and who isn’t, and discriminating—legally—against those who are.

    […]

    We don’t know exactly what this new future looks like, of course. But one can imagine a world in which, to get on a flight, perhaps you’ll have to be signed up to a service that tracks your movements via your phone. The airline wouldn’t be able to see where you’d gone, but it would get an alert if you’d been close to known infected people or disease hot spots. There’d be similar requirements at the entrance to large venues, government buildings, or public transport hubs. There would be temperature scanners everywhere, and your workplace might demand you wear a monitor that tracks your temperature or other vital signs. Where nightclubs ask for proof of age, in future they might ask for proof of immunity—an identity card or some kind of digital verification via your phone, showing you’ve already recovered from or been vaccinated against the latest virus strains.”

    Non so voi, ma a me a un certo punto sembra meno sbattimento crepare

    E insomma dopo tutto un articolo così, di totale acritico apolitico cinismo, Gideon Lichfield ha un moto di political correctness e verso la conclusione si ricorda che, nell’attuale clima politico americano, un accademico deve dire che:

    “As usual, however, the true cost will be borne by the poorest and weakest. People with less access to health care, or who live in more disease-prone areas, will now also be more frequently shut out of places and opportunities open to everyone else. Gig workers—from drivers to plumbers to freelance yoga instructors—will see their jobs become even more precarious. Immigrants, refugees, the undocumented, and ex-convicts will face yet another obstacle to gaining a foothold in society.”

    Ma se hai appena speso un articolo a dire che ci sono i numeri, che hanno fatto le simulazioni, che la discriminazione legale è l’unica via? Come facciamo a occuparci dei più deboli, se quelli si ostinano a essere categorie a rischio?

    (Ma come fa uno a scrivere un articolo del genere senza usare neanche una volta la parola “rivoluzione”?)

      • Leggendo di scenari del genere descritti quasi senza un plissé, come se fossero già accettabili e dati per scontati, mi è venuto da ridere, pensando che nelle settimane scorse per molte e molti la priorità è stata linciare Agamben. Linciarlo per una frase superficiale e disgraziata che poteva risparmiarsi, senza capire che avvertimento stava dando nel resto dell’articolo. Articolo che non era certo dei suoi più felici, ma chi ha perso tempo a regolare conti filosofici con lui (che peraltro, da vero signore, non ha accettato nessun catfight) è ancora più infelice. E infelici saremo noi tutte e tutti se permetteremo che scenari del genere si realizzino senza lotta.

  24. Vi seguo dagli albori ma sono intervenuto rarissimamente sul vostro blog nel timore che miei eventuali contributi non portassero particolari spunti alle vostre discussioni. Questa volta però sento la necessità di scrivervi perché sono preoccupato oltre modo dall’impazzimento e incarognimento generale di questi giorni. Faccio l’infermiere in una terapia intensiva e vi risparmio i dettagli sul carico di lavoro che ci stiamo sobbarcando anche se, ad essere sincero, la differenza non è poi così marcata perché ai turni massacranti siamo abituati da sempre e vi risparmio anche il fastidio profondo che provo ogni volta che ci chiamano eroi, angeli e stronzate varie. Sono un lavoratore che cerca di fare del suo meglio, tutto qui. Ultimamente un sacco di persone non del mestiere vengono a chiedere a me lumi su quanto sta succedendo e al netto del fatto che credo di aver cambiato idea non so più quante volte, le mie raccomandazioni sono sempre le stesse: lavati le mani, non sbaciucchiare sconosciuti e cerca di restare a casa. Stop. Quello che mi preoccupa di più però non è l’epidemia, è la gestione dell’epidemia. Parlando con uno sconosciuto mentre ero in fila fuori dal supermarket si considerava il fatto che a breve il problema non saranno solo i posti letto in terapia intensiva ma quelli in clinica psichiatrica, impressione confermata da altri colleghi del ramo. Sto vedendo scene assurde: delatori alla finestra, tricolori, striscioni sgrammaticati senza senso. Persone che consideravo almeno ragionevoli indignate dall’eccessivo lassismo delle misure prese fin qui. Io, per quanto possibile, continuo a fare la mia vita ed è questo che vorrei consigliare a tutt*. Continuare a frequentare le proprie amicizie ed i propri amori, mantenere uno straccio di normalità in questi giorni lugubri, disintossicarsi da twitter, facebook e cazzi vari e non perdere la testa. Soprattutto non perdere la testa. Scusate lo sfogo ma siete un’oasi di lucidità in un deserto di paranoia.

    • «a breve il problema non saranno solo i posti letto in terapia intensiva ma quelli in clinica psichiatrica»

      Ieri, parlando con un amico, ho detto questa frase più o meno pari pari, e non la usavo in senso metaforico.

    • Il punto è che di sto passo non so quanto si riuscirà a mantenere quello “straccio di normalità”, ormai di normale non c’è più niente e la cosa che mi colpisce di più è proprio il fatto che persone che consideravo “sensate”, “normali” (qualsiasi cosa questi termini stiano a significare, evito di aprirci un dibattito perché sarebbe infinit. Mi limito solamente a dire che, almeno per me, l’alienazione sociale che si sta verificando è una cosa che dovrebbe essere “normale” e “sensata”, almeno entro certi parametri) stanno andando fuori di testa.
      Il “normale”, almeno come inteso dalle masse (non da me) è andato a farsi benedire già da un bel pó.

  25. Importante articolo di Sara Gandini, epidemiologa e statistica:

    Covid-19: rendere politica la rabbia

    Un breve stralcio:

    «Ma in questo momento ci vuole coraggio a prendere parola per mettere in dubbio la sensatezza delle misure di contenimento senza precedenti decise per l’emergenza Covid-19. Quando qualcuno ci prova subito scatta il linciaggio. Invece di prendersela con le forze politiche che ci hanno portato a questa situazione, la rabbia viene rivolta verso chi pone dei dubbi. Non è ora di fare politica, mi dicono. Così, se provi ad esercitare senso critico, diventi automaticamente un’incosciente insensibile. I media hanno condizionato talmente l’opinione pubblica che chi esce per una passeggiata diventa una specie di untore manzoniano e nascono “le sentinelle di condominio”. Ci stanno bombardando giorno dopo giorno con dati di cui si fatica a capire il senso. In prima pagina le notizie puntano su un immaginario apocalittico, facendo leva su paure consce e inconsce. E trovare le parole, e quindi il simbolico, che sappiano fare ordine, quando lo stato, i media e la scienza hanno perso autorità, non è facile.»

  26. Devio dal pezzo di Bukowski (che come la prima parte ho molto apprezzato) e vado off topic, cosa di cui mi scuso anticipatamente – eppure sento il bisogno di condividere con questa comunità un ragionamento.

    Si discute seriamente di prolungare la quarantena fino a giugno e alcuni scienziati a 12 (dodici) / 18 (diciotto) mesi.
    https://www.scienzainrete.it/articolo/quarantena-di-massa-yo-yo-anno/luca-carra-francesco-forastiere-fabrizio-bianchi-paolo

    Quando sento la frase “prima le persone” riferita all’economia, lì in basso mi frullano non poco: a) come se le persone fossero tutte benestanti e senza particolari preoccupazioni per il companatico; b) come se tutte le persone fossero garantite e protette da qualche ammortizzatore sociale; c) come se lo stato avesse soldi a sufficienza per riparare al disastro già compiuto e che s’aggrava ogni giorno di più – no, i soldi non li ha, i famosi 25 miliardi li prenderà a prestito (come del resto ha preso a prestito il fabbisogno delle ultime due finanziarie) e il tasso d’interesse ha già superato il 3%. Ergo, il famoso decreto di aprile sarà un cerotto ancor più piccolo di quello di marzo e la somma dei due ampiamente insufficiente a contenere un calo del prodotto interno lordo che è stimato tra -2,5% e -3% (potrà persino peggiorare). Il ministro dell’economia prega le aziende di pagare l’iva; tradotto: in cassa non abbiamo che spiccioli. Siamo a metà marzo… proviamo ad immaginare la situazione a fine aprile. A me pare a dir poco urgente mettere in discussione la strategia scelta della chiusura quasi totale, prendendo spunto da chi ha imboccato strade alternative, come la Corea del Sud e il Giappone, strade che stanno dando risultati positivi a un costo socio-economico assai inferiore e le cui limitazioni alle libertà potrebbero essere calmierate dall’autorità per la privacy. Presto le vittime dello stato d’emergenza saranno maggiori delle vittime per il rischio sanitario – anche se nessun* ne terrà la contabilità. Forse che le prime, appartenendo a strati più deboli e sottorappresentati della società, valgono meno delle seconde?

    Cosa ne pensate?

    • «Presto le vittime dello stato d’emergenza saranno maggiori delle vittime per il rischio sanitario – anche se nessun* ne terrà la contabilità.»

      Esatto, il problema è la frase che segue il trattino.

    • In questi due giorni nel nostro piccolo le cose sembrano già precipitare: il benzinaio stamattina mi ha detto che non sa se prossima settimana avrà rifornimenti (per la prima volta non è riuscito a pagare la cisterna); al mercato di produttori agricoli al quale partecipiamo come produttori, organizzato rispettando tutte le norme anticontagio, ci siamo resi conto che NESSUNO fa la spesa, pochissimi clienti, e nel frattempo i delatori delle finestre scrivono su fb cose tipo “non è possibile che si faccia il mercato con tutta quella folla!”; nel paesino dei miei suoceri hanno chiuso il centro prelievi perché era all’interno di una casa di riposo. Mio suocero (83 anni e con un passato oncologico) deve fare un prelievo ogni 3-4 settimane per controllare i valori della coagulazione e modulare la terapia di conseguenza, gli hanno risposto: “metti una mascherina e vai all’ospedale”. L’ospedale più vicino è a 20km, lui non ha la patente. Probabilmente dovremo telefonare,prendere appuntamento, percorrere circa 60 km in auto in totale -con le mascherine perché non viviamo insieme- e andare in un ospedale dove ci sono già dei ricoverati per COVID, per fare una cosa che prima lui faceva in autonomia a 300 mt da casa.
      Inoltre stamattina alla radio ho sentito che “verrà vietata l’attività sportiva all’aperto” perché hanno multato 40000 persone per non aver rispettato i divieti (quali divieti? Veri assembramenti o vessazioni di vecchietti su panchine e corridori solitari? ) e DE Luca ha ottenuto l’esercito sulle strade (notizia letta ieri sera su La Stampa ). Se questè situazioni diventano la “normalità “in tutta Italia. .altro che ricoveri in psichiatria.

      • “metti una mascherina e vai all’ospedale”
        Lavoro con dati e modelli, dunque come deformazione professionale applico alcune regole anche in altre sfere delle cose che osservo. L’impressione in questi giorni è che i dati che noi abbiamo per comprendere quello che sta succedendo sono veramente insignificanti e i modelli evolutivi del contagio che ci propinano sono esercizi di dilettantismo completamente inutili… prendo spunto dalla frase citata per condividere una riflessione che facevo ieri, relativa a DOVE avengono i contagi… sono ragionamenti non corroborati dai dati purtroppo, ma solo da una lettura tra le righe delle informazioni pessime che riceviamo.
        A mio modo di vedere i luoghi che assorbono la stragrande maggioranza dei contagi sono gli ospedali, le case e i luoghi di lavoro, praticamente i soli dove vorrebbero relegare le ns vite.
        Da diverse fonti, ieri, veniva fornito il dato che l’8,3% dei contagiati sono operatori sanitari (medici, infermieri, ecc.)… in questo mese mi sono trovato diverse volte a leggere casi di contagi scoppiati negli ospedali, al nord come al sud, dove ovviamente oltre al personale sanitario erano coinvolti pazienti che erano lì per altre motivazioni, negli articoli veniva fornito sempre un rapporto di 1/n… ammettendo pure che il rapporto sia 1/2, ciò significa che circa 1 persona su 4 ha contratto il virus in un ospedale (il 25%).
        Rispetto alle abitazioni, purtroppo utilizzo criteri ancora più empirici… turandomi il naso ho letto un pò di quei resoconti di cronaca che vengono fatti comune per comune: i casi tipo marito e mogli, padre e figlio, intero nucleo familiare, molto spesso risultano maggioritari rispetto al totale dei contagi nei comune per i quali ho letto i resoconti… possiamo quindi affermare che una percentuale molto elevata di contagi (magari addirittura la maggioranza) avviene tra le mura domestiche, immagino soprattutto tra quelle famiglie che non si possono permettere appartamenti di 200mq…
        Sui luoghi di lavoro ho trovato ben poco… a parte il dato sugli ospedali che ho conteggiato a parte, l’unico dato reperito riguarda i calciatori di serie A e ieri risultavano 15 persone (tra calciatori e staff, limitatamente alla serie A) che costituiscono comunque uno 0,4% del totale dei contagiati… se potessimo considerare anche le altre serie e gli altri sport credo che verrebbe fuori un numero significativo… ma di certo inferiore al numero di contagiati nei call center, nelle fabbriche, nella logistica…
        mi scuso per essere uscito fuori traccia, ma credo sia utile argomentare sul fatto che le iniziative di cui parliamo sono solo di carattere politico e non hanno nessun appiglio tecnico, come già veniva espresso in precedenza nei diari virali

    • Bhe se il problema del Covid-19 si argina con il capitalismo della sorveglianza (droni, controlli a tappeto, uso della tecnologia più avanzata per schedare e analizzare dati, impedimento dell più basilari diritti di libertà) siamo giunti a una fine, teorizzata su molti libri a cui di solito si reagisce con il caos e di una guerra di tutti contro tutti.
      Non sono ne complottista e ne pessimista, ma è la realtà dei fatti che mi porta a vedere in maniera funesta questo terribile momento storico in cui è in corso una guerra planetaria, mai successo nella storia.

    • Io penso che non solo i costi (economici e in vite umane) del blocco generalizzato potranno facilmente superare quelli dell’epidemia, ma anche che l’efficacia di questa terapia dittatoriale sia ancora da dimostrare. I cinesi hanno chiuso una provincia, non l’intero paese. Quindi noi non stiamo propriamente applicando il metodo cinese, anche perché siamo un paese parecchio diverso, come faceva notare qualcuno nelle discussioni qui su Giap e come rivendica Conte nelle interviste. Coreani e giapponesi si sono mossi su tutt’altre direttrici operative, ma ora i paesi europei stano accreditando l’esperimento dell’Italia… E se non dovesse funzionare? E soprattutto: qual è il periodo utile per cui la sua efficacia può essere comprovata? 12-18 mesi, come si dice nel tuo link? Cioè verosimilmente fino a quando non sarà approntato il vaccino? E quale paese può reggere un anno, un anno e mezzo, di blocco? Siamo entrati in un loop dal quale non sapremo se, come né quando usciremo.

      • condivido appieno la preoccupazione espressa da wu ming 4.

      • Lo dico e scrivo da settimane: noi Italiani abbiamo applicato il metodo de-responsabilizzante già ampiamente collaudato nelle continue e grottesche “allerta meteo”. Il senso è la deresponsabilizzazione della politica, che si auto-protegge da eventuali proteste, richieste danni, avvisi di garanzia eccetera delegando ogni decisione alla copertura di un parere tecnico. Allerta Rossa, scuole chiuse. Ma se allerta rossa l’ha fatta il comune a fianco, il mio comune dovrà farla anche in assenza di pericolo certificato, perché anche i pareri tecnici sono contestabili, per cui l’Allerta Rossa è contagiosissima, un po’ come il virus. Questo sistema è collaudato da anni in Italia, si è consolidato, ed ha un meccanismo diabolico: se Macron non avesse “chiuso” la Francia (salvando l’enoconomia e dunque il futuro – anche in materia di assistenza sanitaria – della nuova generazione) avrebbe rischiato una contabilità del tipo “in italia 5000 morti, in Francia 10.000!” , per cui assioma è automatico= “Macron ha ucciso 5000 persone”. Non se ne esce.

    • Devio un po’ (un po’ tanto) anch’io e per farlo mi inserisco in questo commento, che condivido largamente.

      Premesso che una visione oggettiva delle cose forse non è proprio possibile, perché ciascuno filtra la realtà attraverso le proprie lenti, quello che noto è che c’è una divisione “orizzontale” (o verticale? non l’ho mai capita questa cosa) nella società che in definitiva c’è sempre stata, anche prima dell’epidemia, e che rende difficile alle persone che sono in uno “strato” di empatizzare con quelle dell’altro strato.

      [aggiungo questo dopo aver scritto: non parlo di classi sociali, parlo di “strati” mentali all’interno della stessa classe sociale o di classi molto vicine, di persone che potrebbero condividere obiettivi e priorità che ma che non riescono a farlo]

      Faccio l’esempio personale che mi riesce più facile: vengo da una famiglia di sinistra e mi ritengo di sinistra come forma mentis e storia familiare, come valori ed esempi ricevuti.
      I casi della vita i miei studi e le mie vicistudini lavorative mi hanno condotto ad avere una partita IVA.
      Ebbene, il tipo di problemi e di preoccupazioni (economiche e sul modo di svolgere il mio lavoro e di gestire il poco tempo libero) che ho non riesco a trasmetterli in alcun modo agli altri membri della mia famiglia (con cui pure condivido forma mentis e valori), che hanno avuto un altro tipo di lavoro prima e che hanno un altro tipo di lavoro adesso (non i miei genitori, intendo).
      Quando mi vedono in difficoltà economiche cercano di aiutarmi anche con proposte e suggerimenti, ma sempre centrati e applicabili come i cavoli a merenda e con un sottofondo paternalistico che implica il “datti una mossa, fai come me [???]”.

      Tutto questo per dire cosa? Che quel tipo di persone, sono le prime oggi ad avere (per ora, dico io) come *unica* preoccupazione il virus, la possibilità di prenderlo andando a fare la spesa e in definitiva come si diceva in altri commenti la paura (giustificatissima) di morire o peggio di attaccare il virus ai propri cari.
      Da qui il controllo sociale, il giudizio MORALE (come detto da Mushroom Rocker in commento al post precedente che condivido in pieno) sul popolo bue che non applica le misure e che “ci conduce alla catastrofe”.

      Purtroppo io (e altri come me), condivido le stesse legittime paure ma NON POSSO avere solo quelle.
      Ho anche quelle legate alle entrate delle prossime settimane e mesi, che non sono già mai state certe prima, e che ora sono un vago miraggio (in assenza di qualunque tipo di ammortizzatore sociale).

      E non solo, ci sono anche altre preoccupazioni, più teoriche forse, e meno immediate, ma altrettanto reali (ricordarsi sempre della rana bollita a fuoco lento): quelle sulla deriva che sta prendendo la società e sul futuro che ci attende dopo l’epidemia e indipendentemente da questa, anche evidenziate da questo post. Preoccupazioni che però da molti miei conoscenti e amici (di sinistra ma_anche “decorosi”) vengono liquidate con un “sì ma tu sei complottista”.

      Ecco, il nocciolo (mi rendo conto forse provocatorio) di tutto il mio discorso e su cui è un po’ di tempo che ragiono è:
      per certi versi è più facile condividere le proprie preoccupazioni e i punti di arrivo o quantomeno di transito di certe analisi (se non ovviamente i punti di partenza, antitetici a volte) con un “complottista” (fra cui sò benissimo che c’è un sacco di “brutta gente”, teocon, terrapiattisti, negazionisti climatici che sono quelli con cui mi scontro più facilmente professionalmente, etc.) che non con un membro della mia “famiglia” politica, con stipendio fisso e tanta fiducia (reale anche se non ammessa) nello status quo, il quale i punti di arrivo delle stesse analisi li rigetta a priori facendo lalalala con le mani sulle orecchie…

      • «Lalalala con le mani sulle orecchie» rende perfettamente l’idea. Stamattina ho condiviso l’articolo di Sara Gandini in un gruppo Telegram di amiche e amici con cui, prima di quest’emergenza, l’intesa anche politica era molto buona. Mi ha risposto una di loro con lo screenshot del solito titolo terroristico preso dal solito giornale, dicendo: «Scusa ma io in questo momento penso solo a questo». Poiché era la goccia che ha fatto traboccare il vaso, ho risposto che il rifiuto di ragionare su qualunque cosa e l’accettare che la propria mente sia satura solo di paura sono precondizioni per il fascismo, e sono uscito dal gruppo, perché già fatico a fare il lavoro che sto facendo in questi giorni insieme agli altri WM, non posso fare il Raoul Follerau in tutti i lazzaretti di imparanoiati, non ce la faccio, non posso farmi travolgere.

        • Comunque i danni che hanno fatto le teorie del complotto stanno anche in questo: molti non sanno più distinguerle da qualunque analisi magari sgradita ma che di “complottista” non ha nulla. Noi ad esempio, parlando di come funziona il sistema, rimuoviamo quasi totalmente l’elemento della “volontà” da parte di chicchessìa e ci concentriamo sulla logica di fondo del sistema, sugli automatismi ecc.

        • Io vivo a Rimini ed è già una settimana che ho fatto fuori tutte le chat e gruppi facebook per lo stesso motivo. Appena mi discostavo dalla narrazione imperante venivo addirittura tacciato di colpevolezza perché “sono quelli come me che hanno creato tutto questo casino”. Prima di uscire ho denunciato questo nuovo fascismo secondo me nemmeno tanto strisciante ma ormai più che evidente. Per tutta risposta qualcuno continua a scrivermi in privato dicendomi le cose più cattive perché probabilmente vuole ferirmi ? Non sono ferito perché la bestia umana la conosco molto bene, ma il sentimento che provo ora oltre l’incazzatura è la solitudine. Mi è rimasta l’unica chat degli amici più intimi che cerco in qualche modo di salvare. Butto lì qualche riflessione ma alcuni non rispondono nemmeno più….. onestamente di tutto mi aspettavo ma questo silenzio della ragione NO.

          • Io mi ci son trovato in questo stato (un pó per scelta, un pó per forza) già anni fa e ad oggi sono felicissimo sia andata così, benvenga la solitudine quando è pieno di capre belanti la fuori. I gruppi vari li ho sempre evitati esattamente per questo motivo, è difficilissimo trovare esseri senzienti (e direi che quello che oggi sta accadendo sia una bellissima dimostrazione… Non faccio che dire ironicamente che questa pandemia sia un meraviglioso esperimento sociale e sono a tratti felice a tratti amaramente triste nel ritrovarci ogni singolo aspetto che ho visto sin da quando ho iniziato a prendere coscienza di cosa significhi “società”.)
            A tal proposito, ci sono delle tesi fantastiche sul uomo non animale sociale come ci viene detto di continuo ma bensì costretto ad essere sociale ai fini di una sopravvivenza più conveniente e che in realtà è un essere individualista che appena può ripudia la massa (descrizione tra l’altro in cui mi ci riconosco appieno già da una decina d’anni ormai)

        • Same here.
          Con la differenza che io non sono ancora uscito da nessun gruppo perché purtroppo ho la tendenza ad incaponirmi.

          In particolare in una chat nata da una passione comune (quindi non di amici particolarmente intimi) mi son trovato veramente tutto il campionario immaginabile: da quelli imparanoiati che si bevono tutto acriticamente, a quelli insospettabili che ora dal divano invocano l’esercito nelle strade, fino ai complottisti quelli veri (Tipo: non la bevo quella dei pipistrelli! E’ stata la Cina! Oppure: và che negli USA hanno fotografato una cisterna ferroviaria con la scritta covid-19!).
          Spesso quando li metto alle strette saltano a conclusioni tipo “si ma tanto ormai non si sa più a cosa credere” o ad atteggiamenti tipo, appunto, lalala sulle orecchie.
          Allora io infastidito mi incaponisco ancora di più e mando articoli, ragionamenti, commenti.

          Però cazzo, alla fine il fatto è che sto perdendo davvero tante ore della mia vita per far ragionare gente che non ragiona.
          Mi sto domandando che senso abbia e proprio oggi mi è venuta in mente che forse la regola d’oro che usiamo coi fasci va usata anche con i malati di paranoia: si parla di loro, ma mai con loro.
          Mi sa che dobbiamo inziare a fare così…

          Aneddoto interessante per chiudere:
          Sempre nella suddetta chat c’è un’unica persona che la pensa come me e mi spalleggia.
          Ma mi stupisce, perché non me lo aspettavo minimamente da lui: è un tizio inequivocabilmente di destra, che in un’altra occasione ho sentito dire cose agghiaccianti sui migranti e sul decoro.
          Eppure parla come se fosse qua su giap di libertà di passeggiare, di critica delle strategie di blocco e di controllo sociale, delle implicazioni psicologiche dello stare imprigionati in casa, specialmente per quelli che non hanno la fortuna di vivere in una villetta in campagna come la sua.

          Incredibile… ma poi ho capito!
          A un certo punto l’ha accennato in un commento e allora mi sono ricordato tutta la storia: lui ha lavorato per 5 anni della sua vita sulle piattaforme petrolifere!
          Cazzo se lo sa cos’è la prigionia, lo sa come si sbrocca dopo sole due settimane in un ambiente del genere. Lo sa che chi vive in un appartamento in città *non può* stare a casa.
          Credo abbia fatto anni di psicanalisi durante e dopo quel lavoro.
          E ora vive in campagna, ma pensa costantemente a quelli in questa situazione stanno vivendo nei bilocali.

          • Gabriele, da come lo descrivi qui, il tuo conoscente «inequivocabilmente di destra» è in realtà un campione di quello che è stato chiamato «antifascismo esistenziale», mentre in questi giorni molti campioni dell’antifascismo politico danno preoccupanti segnali di capitolazione al fascismo esistenziale.

            • Hai ragione.
              Allora forse le ore sulla chat sono servite a qualcosa, dai. Ho svegliato una cellula dormiente, un alleato in più per la resistenza!

              Quasi quasi domani lo chiamo e mi faccio raccontare che tattiche si usano sulle piattaforme :)

          • «Però cazzo, alla fine il fatto è che sto perdendo davvero tante ore della mia vita per far ragionare gente che non ragiona»: ecco un altro elemento di *normalità* sui social che troviamo trasportato, in modo grottesco ma ben riconoscibile, nell’emergenza.

      • per favore, questa cosa che i dipendenti pubblici sono garantiti lasciamola da parte, soprattutto in questo momento.Capisco perfettamente che tu senti l terra muoversi sotto i piedi e apparentemente gli stipendi fissi no, ma è apparente, non se ne accorgono ancora ma se ne accorgeranno (temo presto).
        Sono anch’io a stipendio fisso, impiegata ausl (non eroica: lavoro in un polveroso ufficio tra computer e scartoffie, al massimo potrebbe venirmi l’allergia agli acari), ma il mio magro stipendio mantiene 3 persone, me e 2 figli di 18 e 21 anni, studenti. Per starci dentro abbiamo operato una “decrescita” notevole, per me scelta e tutto sommato felice, per i figli subita ma forse ora anche capita, comunque sia non abbiamo più margini, non possiamo più decrescere, né felici né tristi. Questa situazione è più diffusa di quanto si pensi perché gli stipendi pubblici – e le pensioni – sono il principale ammortizzatore sociale da molti anni: tantissime persone hanno attraversato disoccupazione, precarietà ecc. grazie alla sicurezza di uno stipendio in famiglia, basso ma sicuro.
        Che potesse non arrivare lo stipendio fino adesso era impensabile. Ma un domani? con le prospettive che si profilano di durata indefinita dell’emergenza e tutto ciò che ne consegue in termini economici chi può assicurare che non si arrivi a una crisi di liquidità per cui lo stato sospenda o riduca gli stipendi? in Grecia è successo. Anche quello che sta succedendo ora era impensabile fino a pochi giorni fa.
        La nostra sensazione di sicurezza poggia su degli assetti che stanno oscillando pericolosamente.
        Forse suona vetero, ma ho l’impressione che ci convenga non lasciarci spezzettare

        • Ciao Antonella,
          mi scuso se il mio commento è sembrato un attacco frontale a chi ha il posto fisso.
          Forse ci ho messo un po’ il carico di rancore e autocommiserazione per l’amarezza di non sentirmi “capito” nemmeno in famiglia, ma ti garantisco che ho ben presente cosa significa l’unico stipendio in casa perché io sono cresciuto così e ho potuto studiare grazie a quello. Forse rispetto a oggi i tempi erano persino un po’ più facili e la vita costava meno, quindi hai tutta la mia solidarietà.

          La terra molto salda sotto i piedi io non ce l’ho mai avuta (non è che “la senta muoversi” solo *adesso*, anche se ovviamente c’è sempre stato chi stava peggio anche grazie all’ammortizzatore sociale costituito dalla mia famiglia), ma ti do ragione sul fatto che presto non ce l’avrà più nessuno, come intendevo con il (per ora) fra le tante parentesi del mio commento iniziale.
          Sono d’accordissimo sul “non facciamoci spezzettare” anzi, rilancio: non spezzettiamoCI.
          L’intento del mio commento era proprio questo, un invito a dare empatia anche al di fuori del nostro “strato” abituale perché c’è un sacco di gente, che lo sappia o meno, sulla stessa barca che affonda.

          A tal proposito mi voglio allacciare ai commenti qui sopra di WM1 e Gabriele: mi piace tantissimo la cosa dell’antifascismo esistenziale. La sento proprio vera e conferma in modo un po’ “laterale” un pensiero che ho sempre avuto a proposito di mio nonno garibaldino: se non fosse stato un po’ “testa di cxxxo” e libero pensatore (con la prima elementare) certe cose non le avrebbe fatte.

          Sempre a proposito dei commenti sopra, sono convinto che nella crisi che sta comparendo all’orizzonte, l’aiuto potrà arrivare da sentieri insperati. Guardiamoci intorno.
          Anche al di fuori dell’antifascismo politico.

    • Scrive Baccanale: «A me pare a dir poco urgente mettere in discussione la strategia scelta della chiusura quasi totale, prendendo spunto da chi ha imboccato strade alternative, come la Corea del Sud e il Giappone, strade che stanno dando risultati positivi a un costo socio-economico assai inferiore e le cui limitazioni alle libertà potrebbero essere calmierate dall’autorità per la privacy.»

      Ebbene sì, ma con una consapevolezza: se quelle misure saranno applicate nella *normalità* post-emergenziale senza controllo puntuale di ognuno – quindi rispettando la riservatezza e la libertà individuale e collettiva – saranno misure con un margine di approssimazione, e quindi lo stato dovrà accollarsi il margine di diffusione del contagio (della prossima epidemia, o degli strascichi di questa) relativo a quella stessa approssimazione. Si tratta di quel «punto di equilibrio» di cui parlo nell’articolo che è invece il grande assente nel discorso corrente.

      In realtà anche con un modello panottico totale lo stato non è in grado di fermare *ogni* virus e ogni causa di morte anticipata, ma può fingere di *averci provato*, dare la colpa a «chi non sta alle regole» e rimettere in modo il potente dispositivo retorico e ideologico sperimentato in questi giorni; quindi in definitiva consolidare il proprio potere.

      • grazie per la risposta, wolf bukowski. concordo nell’individuazione dei pericoli che il tuo commento sottolinea, in relazione all’ipotesi sud-coreana e giapponese. mi paiono però pericoli minori di quelli che stiamo correndo attualmente, pericoli che si stanno portando a rapidissima velocità verso l’accettazione acritica di un travolgente autoritarismo. quel “punto di equilibrio” di cui hai scritto è il grande tema assente dal dibattito pubblico.

        • Senza il «punto di equilibrio» si tratta solo di solo due autoritarismi che si alterneranno: quello smart che diventa *strong* per un’po, poi torna smart… e così via, fino a quando non ci faremo neppure più caso. O meglio fino a… la guerra che è l’esito tipico degli autoritarismi, che a forza di indicare nemici finiscono per necessitarne uno in carne e ossa e territorio.

  27. Ieri circolava in rete questa immagine:
    https://www.nextquotidiano.it/state-a-casa-questo-e-bergamo-foto-delle-bare-falsa-lampedusa/
    Che invece si riferisce alla tragedia del naufragio di Lampedusa del 2013, come riportato nell’articolo (ed anche qui: https://pagellapolitica.it/bufale/show/1008/no-questa-foto-con-numerose-bare-in-fila-non-%C3%A8-stata-scattata-a-bergamo-a-marzo-2020). Fa impressione come certe modalità, già vista all’opera in occasione delle celebrazioni del 10 febbraio, si ripetano in circostanze completamente differenti come questa. Oltretutto, si strumentalizza la tragedia di chi è stato denigrato come portatore di malattie, infezioni e così via.
    Vorrei anche introdurre una riflessione: qualcuno ha letto o sentito da fonti governative dati circa i contaggi tra le forze dell’ordine impegnate nei pattugliamenti? Mi sembra sia un dato finora totalmente assente da ogni comunicazione.

  28. Poco fa ho letto questo articolo da Fanpage, di cui riporto titolo e occhiello:

    Coronavirus, pizza margherita vietata nei forni di Roma: “Disposizione per evitare assembramenti”

    “In una circolare inviata ai vigili urbani di Roma, vengono indicate alcune preparazioni non consentite ai forni. Tra queste, la pizza condita o farcita. Sono in tanti i panifici a essere entrati in confusione, e che ora non sanno se possono preparare la tanto amata pizza margherita: ma quello della Polizia Locale è un consiglio, non un’imposizione.”

    Nei giorni scorsi mi sembra fosse stata nominata, se non ricordo male, la necessità di mostrarsi tristi e contriti per non sollevare il fastidio dei vicini e di chi incontriamo. Non dobbiamo solo proteggerci e obbedire, è conveniente e richiesto che ci mostriamo tristi e preoccupati. La pizza te la puoi mangiare ma senza condimenti: ti devi nutrire non ti deve piacere, non devi provare soddisfazione. Atteggiamento che fa il paio con le occhiatacce che riceve chi per strada facendo la spesa o pisciando il cane ride, parla a distanza, magari senza mascherina, simbolo di responsabilità civica. La mia amica che abita a 500 metri da casa mia porta a spasso il cane e si ferma sotto il mio balcone a salutarmi ogni giorno. La vicina ci guarda male per quelle due parole scambiate dal terzo piano e si lamenta. Io la guardo e penso che ho voglia di pizza ripiena coi carciofi.

    • Lalla, io la vedo così: chi come noi cerca di mantenere anche in questa situazione almeno lo spirito di come viveva prima – cioè si sforza di mantenere relazioni e affetti, di conservarsi almeno il livello minimamente accettabile di libertà, di sfidare la vaghezza dei decreti con pratiche che stanno nei margini lasciati liberi, di (importantissimo) mantenere la lucidità – suscita il rancore sordo di chi invece, con quest’emergenza, capisce che aveva una vita di merda già prima: atomizzata, affogata nel livore, nel sospetto, nella paura del diverso ecc.

      Invece di prendersela con le condizioni che le hanno portate ad avere una vita di merda, quelle persone se la prendono con noi che lottiamo per non averla.

      • Questa gente ora è *felice*, si sente onnipotente, perché finalmente grazie al virus l’autorità ha decretato che tutte le vite devono fare schifo come la loro.

      • Scusa ma – vista da fuori – questa tua affermazione sembra essa sì trasudare di rancoroso livore: ti occorre una così palese accettazione dell’altro? se la interrogassimo, purtroppo, la maggior parte della persone confesserebbe con enorme sorpresa di non aver mai dedicato un attimo a ragionare di te (di me, ecc.). Non sopravvalutiamoci.

        • Stranissima affermazione, la tua, visto che stiamo parlando di persone che stanno dedicando non «un attimo» ma intere giornate a prendersela col prossimo perché parla dal balcone con un’amica (capitato a Lalla, come scritto qui sopra), perché sta con la propria figlia nel giardino di casa (capitato a me due giorni fa), perché esce col cane, perché fa jogging, perché non porta la mascherina… Qui è pieno di testimonianze. Oggi ho letto su La Stampa che a Torino sono state segnalate ai vigili come assembramenti le ordinatissime code davanti alle farmacie. In diverse città la stessa polizia municipale ha chiesto di non segnalare perché buona parte delle delazioni si rivelavano inconsistenti.

          Qui non si tratta di volere per forza «l’accettazione dell’altro»: si tratta di non volere essere preda di rancorosi delatori e haters dello stile di vita – o anche solo dei momenti di sollievo – altrui.

          • Ad ogni modo oggi Gallera ha detto che bisogna evitare assembramenti anche nel proprio appartamento, anche nel proprio letto.

            https://milano.repubblica.it/cronaca/2020/03/19/news/coronavirus_in_lombardia_accelerano_i_contagi_2271_in_un_giorno_solo_a_milano_balzo_di_635_casi-251724253/

          • Mi riferivo alla circostanza che tu hai messo una linea abbastanza esplicitamente espressa tra “la nostra vita” e “la loro vita” (intesa come insieme di relazioni, interessi, ecc) gettando un inutile rancore su gente che, appunto, del tuo giudizio (del mio, ecc) se ne beatamente (e giustamente) fotte: al contrario affermare “hanno una vita di merda, affogata nel livore” (parafraso) rende il sospetto di quel bisogno di accettazione o di auto indulgenza verso il proprio livore. Ma può essere pure il momento, a ripensarci.

            • Sinceramente, continuo a non cogliere il nesso tra quello che ho scritto io e il tuo commento. Un paralogismo come «sei tu che provi rancore se dici che loro vivono nel rancore» mi ricorda il «sei razzista anche tu se chiami gli altri razzisti». Ma forse è solo che c’è tantissimo tofu sulla piastra di questa discussione, ed è normale che una parte non si riesca a cuocerlo.

  29. Nadia Urbinati, che non viene propriamente dall’autonomia bolognese.

    “”Non arrendiamoci a “tacere e obbedire”
    Sembra che tutta la responsabilità sia dei cittadini. Dove sta la responsabilità delle istituzioni che oggi minacciano di prendere misure ancora “più rigorose”? La scienza non ha tutte certezze, quanto durerà la “temporanea” limitazione della libertà?”

    https://www.huffingtonpost.it/entry/non-arrendiamoci-a-tacere-e-obbedire_it_5e723a09c5b6eab779406276?bk&utm_hp_ref=it-homepage

  30. Sempre sull’uso sensazionalistico e terrorizzante del numero dei «morti giornalieri», ecco cosa dice il medico Enzo Saponaro:

    «Siamo assistendo a un caos soprattutto mediatico. Partiamo dai dati trasmessi ogni giorno per quanto riguarda i decessi da Covid-19. Oggi, a causa dell’emergenza, sembrano spariti i decessi per cancro e altre patologie letali. Perché lo sottolineo? Perché annunciare che ci sono in un certo giorno un certo numero di deceduti dovuti al Covid-19 resta un’ipotesi diagnostica, senza autopsia tu non puoi averlo come dato certo anche se a tutti appare tale. Gran parte dei morti sono persone risultate positive al Covid-19 ma che avevano anche varie patologie e un’età avanzata, dunque è stato il virus a farli morire o qualcos’altro? O tutti e due? Per dirlo con certezza ci vorrebbero le autopsie e quindi, mancando queste, non puoi certificare che il Covid è stato la causa principale del decesso. Stiamo trasmettendo ogni giorno un dato che però non è basato su una realtà scientifica dei fatti. È un dato indicativo ma non una certezza assoluta, perché fare l’autopsia a tutti è impossibile. L’unico dato certo sono i guariti.»

    https://napolimonitor.it/il-virus-e-noi-tutto-quello-che-ancora-non-sappiamo/

  31. . ciao, vi leggo quasi sempre, non sono mai intervenuta; credo che lo scenario “long long lockdown” – che emerge centellinato e inesorabile da diverse fonti riportate a stampa tv e web, stendendosi fino a 12 se non 18 mesi – lo possiamo anche (forse) immaginare organizzato sulla disponibilità di test a risposta molto rapida e di facile somministrazione, utili a individuare e autorizzare (a rotazione? boh, sull’immunità da anticorpi nessun* si pronuncia) la forza lavoro necessaria e insieme a evadere e gestire una richiesta crescente e trasversale di mobilità contingentata, a permesso.
    del resto, la mobilità e il diritto alla mobilità erano già al centro dell’analisi critica della spazio globalizzato – di ‘ieri’ -, utili distinguere privilegiat* e subordinat*, schiav* e padron*.
    le notizie che danno conto (non posso sapere quanto accuratamente) dell’elaborazione di test del genere sono continue, così come l’ipotesi di combinarli con sistemi di tracciamento che sfruttino le reti di dati già in opera e in arrivo.
    ho trovato il riferimento alla questione morte importante, e confusamente pensavo che potrebbe trovare una dimensione collettiva e di elaborazione anche in faccia alla riflessione dell’ecologia radicale, che in tant* tropp* hanno considerato in fondo accessoria e non dirimente … ma appunto sono confusa, e attendo sul tema chi è più lucido e preparato di me sul tema. se ho scritto scemenze scusatemi; grazie per il lavoro che fate.

    • Come già detto in tanti commenti, e solo accennato nell’articolo qui sopra, la questione della morte *è* fondamentale. Per una serie di motivi – che non sto a elencare, e sui cui spero di poter lavorare se riuscirò emotivamente («parto da me» :-) a pensare ad altro che alla fase presente – è estremamente legata ai viaggi fuori dall’atmosfera, tema anche quello privato di una dimensione politica ed etica, ora accantonato ma che tornerà fuori con la potenza di un razzo. In fondo la società sterile e tecnocratica immaginata e auspicata per il post-epidemia non differisce molto dal modello di colonia marziana.

      • Nel caso non lo avessi letto, ti segnalo questo

        • Manca il link.

        • Scusate, ho premuto “rispondi per errore”.
          Nel caso non lo avessi letto, ti segnalo questo

          https://www.corriere.it/opinioni/20_marzo_20/giornata-lutto-drappi-neri-balconiper-ricordare-morti-88bd741a-6ad4-11ea-b40a-2e7c2eee59c6.shtml

          Arminio da un bel po’ ha smesso di produrre ragionamenti interessanti, tuttavia – anche se da una prospettiva “nazional-popolare” – tocca il tema della morte. Per essere il Corriere della Sera è difficile aspettarsi di più.

          • Perfettamente reazionario, mi pare un salto di qualità anche alle battaglie inconsapevolmente reazionarie in cui ho visto imbarcarsi Arminio negli ultimi anni. D’altronde firmare un libro sull’Italia con Lindo Ferretti è un sintomo pesante…

            L’ultima frase dell’articolo di Arminio per il Corriere oscilla tra la formulazione vuota e una retorica di stato etico e totalitario:

            «La politica in questo momento deve essere allo stesso tempo efficace e lirica, deve coniugare lo sguardo delle regole e le regole dello sguardo.»

            Uno che scrive una roba così vuol dire che non sta minimamente analizzando il presente, al punto che è difficile pensare allo «sguardo», oggi, senza pensare a panottico e delazione diffusa; ed è impossibile nominare le «regole» senza pensare al biofascismo in atto.

            Non sta analizzando il presente ma non sta neppure dicendo nulla sul nostro rapporto con la morte, propone solo di cambiare i simboli storici e i modelli cristiani di elaborazione del luttoi con questa bislacca religione «civile» dei drappi alle finestre, degli inni e dello «stringiamoci a coorte». Una religione bellicista in perfetta continuità con la gestione securitaria della crisi sanitaria.

            Il dover riflettere su morte e tanatofobia della nostra società è per fortuna tutt’altra cosa. Si tratta di riflettere, prima di tutto, sulla «vita».

            • Preciso che Arminio non parla di inno e «stringiamoci a coorte», è a me che questi due sembrano il solo complemento possibile del drappo nero alla finestra, che ho subito immaginato come doppio drappo: nero & tricolore.

              • Sicuramente, d’altronde bastano le espressioni “popolo italiano” e “coesione nazionale”. Ci sarebbe da tracciare una mappa dei personaggi che hanno inserito il l’idea di solitudine e isolamento nel frame dominante (Arminio, Ferretti appunto, Battiato e tanti altri), fino a produrre abomini di questo tipo.

  32. Nei giorni in cui qualunque uscita di casa diventa un’escursione, in diversi casi pure rischiosa, Alpinismo Molotov racconta la sopravvivenza anti-emergenziale di una minima pratica conflittuale: camminare.

    • non so come ringraziarvi, questi racconti sono stati una boccata d’ossigeno libertario e mi hanno ispirato le parole con cui ho raccontato la mia di passeggiata

      ***

      Ho camminato fino all’ufficio – scrivere questa frase suona come un’auto-denuncia in stile radicale.

      Ho diligentemente compilato la mia auto-certificazione per motivi di lavoro – e poco importa che in caso di controllo, chi doveva garantire che non stessi auto-certificando il falso ero io stessa, essendo io la datrice di lavoro. La burocrazia dell’assurdo.

      Un chilometro e mezzo all’andata, un chilometro e mezzo al ritorno. Benché auto-giustificata, percorro stradine secondarie, scruto le vie prima di avventurarmici: voglio evitare il più possibile noie e controlli, i possibili abusi di autorità che possono fare ciò che vogliono grazie a norme vaghe, contraddittorie e prive di fondamenta giuridiche.

      Ho camminato a passo veloce, ho incontrato pochissime persone: cinque o sei in fila, ben distanziate, all’ingresso di un alimentari, qualche cane che regala brevi sorsi di libertà ai suoi padroni, un paio di vecchietti senza apparente mèta alcuna, tre punk senza più bettola di riferimento, un corridore solitario, dalle gambe robuste e dalla faccia contratta. Non ho notato nulla di ciò che i proto-fascisti websocial di questi giorni lamentano ogni cinque minuti: nessun pericoloso assembramento. Tutte le persone che ho incontrato, una ventina in tutto, erano diligenti nel rispettare le distanze di sicurezza. Pure esageravano, distanziandosi di diversi metri l’una e l’altra.

      Ho notato invece qualcosa di cui nessuno – o, meglio, troppi pochi – parla: il silenzio.

      Non il silenzio del traffico ridotto al lumicino, non il silenzio delle assenze.

      A impressionarmi è il silenzio delle presenze. Le persone non si parlano, si scrutano in cagnesco. Traspare, dalla loro prossemica, una paranoia montante, violenta, pronta ad esplodere per un nulla.

      Mi hanno fatto paura, quanto mi spaventa l’autoritarismo galoppante.

      Ho accelerato l’andatura, aperto la porta dell’ufficio e per qualche minuto, il tempo necessario a sbrigare le pratiche necessarie, mi sono sentita al sicuro.

      Inspiro, espiro, inspiro, espiro e sono di nuovo in strada. Questa camminata, nata da una necessità lavorativa, si sta trasformando in un calvario. Vorrei essere già casa, da dove, poche ore prima, non vedevo l’ora di evadere.

      A casa, al telefono con la genitrice, ho avuto conferma delle mie impressioni: anche lei ha notato lo stesso silenzio, anche lei è tornata a casa, più spaventata dagli umani che dai rischi sanitari.

      Mi domando dove finiremo, ora che la solidarietà, l’istintivo afflato che ci lega agli altri esseri della nostra specie è scomparso, evaporato in una nuvola di panico.

      E’ una domanda retorica, che tanti prima di me si sono posti. Finiremo in un burrone e a calci schiacceremo i nostri vicini.

      Per il piacere e il gaudio del potere.

      • ho pubblicato un testo con un sacco di refusi, ripetizioni e qualche discordanza verbale. spero d’essere perdonato.

  33. Istantanee:

    Il padrone della fabbrica di plastica in cui lavora mio fratello in Lombardia paga cento euro in più i suoi dipendenti, oltre all’ incentivo governativo, per non avere defezioni.

    Oggi sono stata in avanscoperta nell’ ennesimo parco che non era stato bandito, sino all’ultima ordinanza del sindaco, per valutare coi miei occhi la situazione. Il controllo si è fatto più fitto e a garantire il rispetto delle nuove restrizioni c’è una pattuglia ferma stabilmente.

    Un’amica psicologa mi ha consigliato di rimanere centrata su me stessa. Mi chiedevo come fare. Un po’ come resistere alla forza d’urto di una spinta proveniente dall’esterno. Non dipende da quanto è forte la spinta?

    Restare centrati su se stessi, forse, non è più neanche una buona risposta individuale. Perdere l’ equilibrio è facile se non ci si sostiene a vicenda.

    • Guarda, secondo me il problema è un altro, ed è sia individuale che collettivo. Se ci pensi, negli ultimi anni la parola più usata in assoluto è stata “certificazione”. Oggi tutto quel popò di “certificazioni” non valgono più una beneamata mazza. La verità è che non è mai esistita nessuna certificazione, perché la precarietà, l’assoluta impossibilità del controllo sugli eventi che possono colpirci è l’unica certezza, ovvero: l’unica nostra certezza è l’assoluta incertezza. Dobbiamo assolutamente recuperare una certa quota di fatalismo: sia quel che sia, anche la morte, io alla libertà non rinuncio. Si può dire? Si può ancora rischiare la vita per qualcosa? O dobbiamo “certificare” la sicurezza di tutto, anche della libertà, e se la libertà non è sicura sospenderla?
      Poco fa mia madre, 79 anni, mi raccontava di quando sua madre , all’età di 5 anni, la portava a trovare la zia, che era a casa malata di tubercolosi e molto contagiosa. Mia mamma, bambina, chiedeva: “Mamma, è pericoloso , possiamo contagiarci?” La madre rispondeva “Sì, ma non possiamo lasciare la zia da sola, senza sostegno e senza affetti. Tu non chiedermi da bere, è meglio non bere nei bicchieri della zia, troppo pericoloso. Per il resto speriamo bene, prendiamo quel che viene. Alla zia noi dobbiamo stare vicine”.

  34. Mi chiedo, come altri, quanto grande sarà il danno a lungo termine che la disgregazione può creare. Penso non tanto a chi ha già gli anticorpi e che bene o male qualcuno con cui ragionare lo trova, ma penso soprattutto a un adolescente che magari sta formando la sua coscienza politica e sociale in questo momento. Fine delle assemblee, delle manifestazioni, dello scambio. Fra 30 anni (se esisteremo ancora) prenderanno decisioni molto importanti persone che non hanno mai dovuto affrontare una discussione dal vivo ma solo online?
    Però sanissimi(?) e italianissimi.

    Avessero davvero a cuore la salute delle persone e non quella delle loro chiappe…

  35. Condivido con voi l’esperienza appena vissuta, solo per evidenziare che nel centro di Bologna le intimidazioni si fanno più frequenti.

    Nel pomeriggio sono andato a correre con la mia compagna.
    Abitiamo in centro, a Piazza Verdi (tra l’altro, interessante punto di osservazione sull’emergenza).
    L’altro ieri ci eravamo spinti fino al navile per cui oggi, con i muscoli doloranti, abbiamo optato per un giro più breve.
    Dopo circa 15 minuti ci fermano all’altezza di Strada Maggiore, al civico 82.
    Ci chiedono dove abitiamo e subito ci accusano di aver violato il nuovo decreto, che io avevo ben letto prima di uscire.
    Seguono venti minuti di discussione. I poliziotti sostengono che il decreto parla chiaro: non si può correre. – E non c’è solo il 650 – minacciano vagamente.
    Noi ripetiamo che nel decreto non c’è scritto questo e che siamo in prossimità della nostra abitazione (poi calcoleremo circa 800 metri in linea d’aria). La mia compagna, francese, chiede che i poliziotti si identifichino. In tutta risposta, l’abituale minaccia di denuncia. Uno dei due poliziotti si allontana per chiamare una volante, mentre l’altro fa notare che l’avvocato per difendersi da una denuncia penale costa 15000 euro. Ma lui è comprensivo, non si diverte a fare questo e quindi, benevolo, ferma il collega.
    Do le mie generalità. Registrandole, mi avvertono che tanto ci fermeranno altre volte.
    Chiediamo di leggere il decreto ed uno dei poliziotti lo carica sul cellulare e lo legge, omettendo la parte che recita “Nel caso in cui la motivazione sia l’attività motoria (passeggiata per ragioni di salute) o l’uscita con l’animale di compagnia per le sue esigenze fisiologiche, si è obbligati a restare in prossimità della propria abitazione”.
    Chiedo ancora di definire giuridicamente il significato del termine prossimità. Rispondono che il concetto è chiaro: non si può uscire.
    Insisto. Mi rispondono che prossimità è cento metri. Quindi, concludo, da domani faccio 7/8 km facendo 80 volte avanti e indietro su Piazza Verdi (che ta l’altro in questo periodo è uno dei luoghi più frequentati del centro di Bologna).
    – Sono venti minuti che facciamo polemiche – insiste uno. – Io vi avrei già fatto una denuncia – ripete l’altro.
    Chiedo che registrino il fatto che ci hanno fermato al numero 82 di Strada Maggiore.
    – Abbiamo solo preso i suoi dati. Tornate a casa per la via più breve.

    Il centro di Bologna è asfissiante e le poche molecole di ossigeno che restano si stanno esaurendo rapidamente.
    Domani torneremo a correre o a passeggiare.
    E’ diventato un atto di resistenza.

    • Anche Paolo Nori dice che continuerà a correre, a resistere.

      Domani pubblicheremo un testo di Luca Casarotti sulla nuova ordinanza di Bonaccini, dove mostra che è piena di ingiunzioni prive di valenza giuridica, serve solo a consentire l’arbitrio di chi ti ferma, a mettere paura a chi potrebbe essere fermato, a circondare di riprovazione e odio chi anche in quest’emergenza, nel rispetto delle regole più sensate, cerca di non cedere a quelle insensate.

      • Sembra che il problema del paese non sia la sanità intasata ma… il jogging. Da lì a dare al jogging la colpa della sanità intasata può sembrare un passo lunghissimo, ma con quest’assurda dichiarazione Bonaccini ne ha già compiuto mezzo:

        «Se qualcuno mi viene a spiegare che rinunciare al jogging se non si è in sicurezza è un problema drammatico, lo prendo con me e lo porto a vedere i reparti ospedalieri.»

        Per citare il filosofo americano Harry J. Frankfurt, questo è un chiaro esempio di «bullshit», cioè di un’affermazione che non è vera né falsa ma soltanto non pertinente e insensata. Chi fa jogging (o passeggia) non ha responsabilità per l’aggravarsi della situazione negli ospedali, e il fatto di smettere di correre (o passeggiare) non porterebbe alcun miglioramento di quella situazione, perché le due cose sono irrelate. Chiunque è convinto che correre o camminare da soli, a metri e metri di distanza da chiunque, siano attività infettive, dovrebbe portare prove al riguardo o tacere e non rompere i coglioni a chi lo fa.

        • Ormai il web è invaso da gente che inveisce contro chi fa jogging e passeggia “senza valido motivo” come se fossero la causa di ogni male. Ormai c’è sempre più gente che dalla finestra insulta chi cammina su un marciapiede (vuoto) oppure va in bici. So di persone che portando a passeggio il cane in mezzo ai campi nei dintorni di casa in provincia e si sono visti arrivare una volante a seguito di telefonate di chi li aveva visti violare il “divieto di uscire di casa”. E se si prova a ricordare che al momento questo divieto non c’è, e che danno potrà mai fare una persona che cammina da sola….zaaaac! “con tutti quelli che lavorano 24 ore all’ospedale, c’è gente che va in giro senza motivo!”, “a chi va in giro a far jogging dovrebbero mettere in loop le immagini dei morti portati via dai camion dei militari per far capire in che situazione ci troviamo” e così via. Sono arrivata alla conclusione che per alcuni sia necessaria una sorta di penitenza e flagellazione collettiva, per espiare le colpe e uscire da questa situazione, perché di logica non ce n’è!!!

          • È la narrazione contro il «disfattismo», tipicamente imposta dai regimi in tempo di guerra. Dare la colpa della situazione orizzontalmente – ai propri pari – anziché verticalmente – al potere. Per chi non mette in discussione la logica del proprio sacrificarsi, chiunque si sacrifichi anche solo un po’ di meno diventa un nemico. «Come osi tirare ogni tanto un sospiro di sollievo, quando io invece sono in ansia 24 ore su 24??? Pezzo di merda!!!!»

          • #giz-boh: «Sono arrivata alla conclusione che per alcuni sia necessaria una sorta di penitenza e flagellazione collettiva, per espiare le colpe e uscire da questa situazione, perché di logica non ce n’è!!!»

            In un commento alla prima parte del post di Wolf ragionavo sul moralismo e il senso di colpa come due delle categorie, queste di stampo cattolico, che – tra le altre – stanno invadendo il frame narrativo di questa storia.
            Ora tu parli di «penitenza» e «flagellazione», che non a caso sono altre cose che riguardano la religione.
            Wu Ming 1 rispondendoti parla di «sacrificio», un gesto che tendenzialmente fa pensare al sacrificio di Cristo per l’umanità, o al sacrificio per la patria (e neanche questo è un caso: sempre nel mio precedente ragionamento accomunavo a moralismo e il senso di colpa cattolici, lo stringersi patriottico nell’abbraccio della nazione).
            Di nuovo ho sempre più forte l’impressione che la gestione del pericolo dell’epidemia si limiti alla triade dio, patria e famiglia (famiglia -> stiamo a casa, e chi è solo, una famiglia non la ha, o la ha lontana, si attacca, peggio per lui che non s’è voluto fare una famiglia tradizionale eteronormata e patriarcale).

        • Sostanzialmente è la cosa che si dice ai bambini: non lasciare la pasta sul piatto che poi in Africa i bambini muoiono di fame.

      • Siete, insieme a quodlibet, Manifesto e Jacobin gli ultimi bastioni di speranza, di ragionevolezza, di condivisione in questa realtà distopica. Ci sentiamo meno soli, e forse anche meno folli e meno disperati a poter condividere con voi dubbi e letture critiche del mondo. Volevo aggiungere come postilla alle fantastiche analisi giuridiche di Casarotti, un’informazione di prima mano, ancora non so se documentata: un’amica avvocata mi parlava ieri di un dibattito in corso sull’incostituzionalità delle norme emergenziali emanate finora. Me ne parlava da interna all’ambiente, non so se già qualcuno abbia messo per iscritto delle analisi in merito e delle eventuali ipotetiche risposte giuridiche.

    • A me pare che sia più rischioso discutere venti minuti con i poliziotti (che potrebbero benissimo essere infetti e asintomatici) che correre da soli o insieme a una persona con cui si convive. Di fatto, le forze dell’ordine che fermano chi compie un’attività, peraltro lecita stando ai decreti, che non mette a rischio nessuno, paradossalmente creano un maggior rischio di diffusione del contagio, per quanto minimo…

  36. Ordinanza della Regione Marche n.10 COVID-19, inquietante a dir poco:

    “Al fine di contrastare ulteriormente le forme di assembramento di persone a tutela della salute pubblica sul territorio regionale, l’apertura degli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, ai sensi del DPCM 11 marzo 2020, posti nelle aree di servizio e di rifornimento carburante:
    a) è consentita lungo la rete autostradale (art. 2, co. 2, lett. A del codice della strada) e lungo la rete delle strade extraurbane principali (art. 2 co. 2 lettera B del codice della strada);
    b) è consentita limitatamente alla fascia oraria che va dalle ore 6.00 alle ore 18.00 dal lunedì alla domenica, per gli esercizi posti lungo le strade extraurbane secondarie (art. 2 co. 2 lettera C del codice della strada);
    c) non è consentita nelle aree di servizio e rifornimento ubicate nei tratti stradali comunque classificati che attraversano centriabitati.”

    Andare a piedi e in bicicletta e portare fuori il cane nelle Marche non è consentito, fino a data da destinarsi.

    • Il cane è sacro. Impossibile che non permettano di pisciarlo!

      • Articolo 1
        Al fine di evitare assembramenti di persone, sono chiusi al pubblico parchi e giardini pubblici.
        L’uso della bicicletta e lo spostamento a piedi sono consentiti esclusivamente per le motivazioni ammesse per gli spostamenti delle persone fisiche (lavoro, ragioni di salute o altre necessità come gli acquisti di generi alimentari).
        Nel caso in cui la motivazione sia l’attività motoria (passeggiata per ragioni di salute) o l’uscita con l’animale di compagnia per le sue esigenze fisiologiche, si è obbligati a restare in prossimità della propria abitazione.

        • Eh, ma come in Emilia-Romagna, dicono di stare «in prossimità» senza dire cosa significhi.

          • Non può essere una svista. La vaghezza del termine “prossimità” è voluta, nel senso che è un appello proprio al concetto di “decoro”. Dipende, tutto è relativo e delegato all’arbitrio del controllore. Questo è un sintomo del punto di vista del legislatore: signora-bene con meches e cane di razza: ok 1000 mt dall’abitazione, ragazzo con piercing a 200 mt- abitazione: non fare il furbo, torna a casa.

  37. Condivido la mia esperienza di dialogo impossibile riscontrata in questi giorni (e condivisa qui da più voci) in cui tento con ogni mezzo di trasferire il prezioso contributo di questi articoli e dei commenti, ma mi ritrovo sempre in un loop dal quale non ne esco.
    Interlocutore: come te la passi la quarantena?
    Io: bah bene, sono preoccupato per queste misure emergenziali che trovo troppo restrittive e non proprio sensate […]
    Interlocutore: eh ma ora c’è l’emergenza, vorrai mica metterti a criticare?
    Io: ma scusa nelle ordinanze di emergenza mica hanno scritto di staccare il cervello e sospendere il pensiero critico no?
    Interlocutore: si ma lo vedi che succede in giro, c’è l’emergenza, ora si pensa a questo, poi si vedrà
    Io: si ma se non ci sarà un poi, o se sarà troppo tardi?
    Interlocutore: si ma siamo in emergenza, non c’è tempo per pensare…
    A seguire frasi su irresponsabilità, egoismo e così via.
    Insomma ora pare che non si possa nemmeno invitare qualcuno al “ragionarci su”. L’autocontrollo spinto a livello di auto-divieto a pensare.
    Dico ci sarà un modo non-violento per superare questo bug che fa sembrare di essere in un videogioco sviluppato male?

    • Condivido il tuo punto vista, tutti mi dicono quando porto fuori il cane perché non porto la mascherina. Ma se Diocristo io sono a 3 metri di distanza e mentre passeggio nel parco non parlo con nessuno, che problemi all’ordine pubblico creo?

      Penso che fra qualche giorno saremo arrivati a pagina 116 del libro “La peste” di Albert Camus, che recita così:

      “Con il caldo, alcuni nostri concittadini avevano perso la testa e cedendo alla violenza avevano cercato di eludere la sorveglianza dei posti di guardia per scappare fuori dalla città”.

    • Consiglio (di consigliare) l’ascolto di “Obbedire, disobbedire”:

      https://filosottile.noblogs.org/post/2020/03/16/obbedienza-autonomia-liberta-letture-dal-lessico-libertario-di-francesco-codello/

      A me, quella definizione di “obbedienza” ha aiutato a dare un nome e una forma ai miei sentimenti. Mi sembra anche che potrebbe essere convincente, perché parla esplicitamente di non negare i fatti o le necessità (per cui non è obbedienza se mi ordinano di fare una cosa che io già farei), ma unicamente dell’obbedienza come sottomissione a una volontà altrui

  38. Sul gruppo Facebook della mia città Morrovalle e alcuni profili, incomincia la caccia all’untore e di chi dovrebbe essere in quarantena. L’accanimento maggiore lo sia contro gli stranieri anche se non si conosce, ne il nome, il cognome e ne la sua provenienza.

    Siamo alla follia pura, al delirio ed è solo l’inizio.

  39. Dal momento che la narrazione dei grandi numeri e su scala ampia sta annichilendo quanto succede sui territori, a livello di comunità e prossimità, condivido questa notizia sintomatica della deriva che sta prendendo la virilità del decoro: https://www.linkoristano.it/prima-categoria/2020/03/19/accesso-negato-la-spesa-oristano-santa-giusta-chiama-lavvocato-diffida/

    “L’amministrazione comunale di Santa Giusta ha deciso di diffidare la polizia locale di Oristano, in seguito alle contestazioni mosse dalle pattuglie a numerosi residenti nel paese che si sono recati a Oristano a fare la spesa e che sarebbero stati respinti dagli agenti in base alle normative sul contenimento del coronavirus. Lo ha annunciato il sindaco Antonello Figus, riferendo che ieri la giunta si è riunita e ha deliberato di incaricare un legale, perché predisponga l’atto di diffida.

    “Fare la spesa a Oristano rientra nel campo delle necessità”, ha dichiarato Figus, ricordando come i due comuni distino tra loro poche centinaia di metri e i nuclei urbani siano di fatto integrati tra loro.

    “Siamo di fronte a un problema di necessità sociale ed economica, perché quanti si spostano per fare la spesa, sono cittadini con problemi economici che, per avere la spesa per l’intero mese, sono costretti a rivolgersi ai discount. C’è anche a un problema di ordine pubblico, perché sta crescendo il malumore della popolazione”.”

    • Volesse il cielo! Sarebbe bellissimo se crescesse il malumore della popolazione contro le insensatezze, le vessazioni e gli abusi di potere nella gestione dell’emergenza, invece che contro i capri espiatori (i podisti, i «furbetti dell’autocertificazione» ecc.)

  40. Qualcuno lo archivia nel folklore e tanti altri lo idolatrano come salvatore, ma il sindaco di Messina è più che altro (purtroppo) l’uomo giusto al momento giusto in questo frangente. Ogni sera fa dirette facebook (riprese dalla tv locali) in cui grida, minaccia, dice sostanzialmente che comanda lui: ho visto frammenti di quei video in cui dice che gli spazi pubblici sono i suoi e se lui dice che nessuno deve uscire così dev’essere. Continua a fare ordinanze che poi vengono smentite più o meno nei fatti perché oltre la legislazione nazionale. Stasera il colmo, mi squilla il telefono, ed è il numero del servizio di allerta a cui mi sono iscritta che normalmente avvisa sul livello di pericolo idrogeologico secondo quanto dice la protezione civile. Rispondo e sento la voce del sindaco, non una neutra registrata, che perentoriamente dice “Il sindaco di Messina vi ordina di stare in casa!” poi continua dicendo che l’ha già ordinato e quindi “invita” (com’è umano lei) ad eseguire tale ordine.

  41. Ecco un bell’esempio di abuso di potere a Ischia: denunciato mentre andava in edicola, i carabinieri non gli hanno fatto compilare l’autocertificazione, come invece è previsto se non l’hai con te.

    E intanto i giornali sono pieni di articoli «di colore» (in realtà di messa alla gogna) su «tutte le scuse usate dagli italiani per uscire di casa». Perché non scrivono articoli su tutte le scuse usate da membri delle fdo per angariare chi trovano per strada?

  42. La logistica è entrata in sciopero. ” settimane di astensione:
    https://www.lavocedellelotte.it/2020/03/18/la-logistica-si-ferma-a-oltranza-un-salto-storico-della-lotta-operaia-nel-pieno-della-crisi-sanitaria-come-avanzare-per-far-pagare-la-crisi-ai-capitalisti/?fbclid=IwAR2d2wl9xkpvntbMhUcKKmqM9tMO7IhWpDNsu7t6veEJpXSPZKO2FUryRGs
    qualcosa comincia a muoversi?
    La piattaforma – a quanto sembra – non è netta soprattutto non è chiaro a cosa punta veramente (ma, onestamente, qualcuno ha delle risposte oggi?), nel senso che la domanda di sicurezza potrebbe anche risolversi nella semplice dotazione di mascherine e guanti. Però, se l’astensione si rivela incisiva, potrebbe aprirsi una fase interessante. Il cuore della logistica è nella zona clou del contagio, la richiesta di fermare la produzione nella zona centro dell’emergenza per due settimane con mantenimento del salario è obiettivamente sensata e comprensibile, e finalmente punta il dito su qualcuno che porta veramente delle responsabilità pesanti, ossia confindustria che si è opposta alla chiusura delle fabbriche nella zona rossa quando sarebbe ciò stato strategico. E le istituzioni, regionali in primis, a supporto. Con buona pace degli odiatori di runners.
    La prospettiva che l’emergenza sanitaria vada per le lunghe rende tutto molto difficile, ma certo la presa di parola dei lavoratori ridefinisce il quadro…

  43. Il problema secondo me è la differenza tra la qualità e la quantità delle nostre libertà individuali.
    Questa crisi ci fa capire che gli Stati guida del neoliberismo ,Stati Uniti e Inghilterra, hanno tentato di negare l’emergenza fino alla fine , mettendo a rischio decine di migliaia di vite umane , proprio per preservare quegli spazi di agibilità individuale apparente che oggi come oggi sono il motore principale di un meccanismo oppressivo e omicida che ci vuole tutti docili Consumatori Totali.
    Gli altri Stati si sono mossi in ordine sparso, senza un minimo coordinamento, ma praticamente tutti rimandando il più possibile misure veramente restrittive.
    Le conseguenze le stiamo vivendo , migliaia di morti , sistemi sanitari sull’orlo del collasso , molti morti anche tra il personale sanitario che subisce direttamente le conseguenze della superficialità di chi ci governa e dell’irresponsabilità individuale.
    Non entro nel merito delle valutazioni sui singoli provvedimenti restrittivi criticati nell’articolo, perchè non ne ho le competenze scientifiche ( credo non ne abbia neanche l’autore ) ma appare ridicolo gridare allo stato di polizia diffuso, alla delazione diffusa,al “terrore paralizzante dei cittadini”, quando dalle zone rosse “militarizzate” la gente è partita per andare in settimana bianca .
    Abbiamo assistito ad esodi di massa da Milano per raggiungere le villette in liguria…
    Questo è l’italiano medio , persone incapaci di ragionare in un’ ottica collettiva, di bene comune , di mutua assistenza e solidarietà . Saranno quelli che alle prossime elezioni voteranno in massa salvini e meloni.
    Gli spazi di agibilità politica in Italia c’erano prima dell’emergenza covid 19 e continuano ad esserci: migliaia di compagn* che giorno dopo giorno, metro dopo metro resistono e conquistano , lottano , occupano ,scioperano, costruiscono relazioni e comunità solidali anche in queste ore di paura e incertezza.
    Questi spazi mai nessuno Stato o Costituzione potrà garantirceli o toglierceli una volta per tutte.
    Quello che manca è l’analisi ; scontiamo una drammatica incapacità di allargare il fronte di lotta proprio perchè in molti casi non sappiamo come valorizzare la nostra libertà d’azione . Non sappiamo dargli un nome , un indirizzo , dei connotati.
    Proprio questa crisi sanitaria ci mostra come gli Stati siano più deboli e impotenti di quanto possiamo immaginare e che soprattutto sono molto più interessati a difendere la nostra libertà di consumo piuttosto che a reprimerci con strumenti di controllo di massa ; naturalmente hanno i loro apparati repressivi e quando possono li usano sui nostri corpi e sulla circolazione di un pensiero critico ma gli spazi di manovra per noi sono ancora immensi.
    In altri luoghi del mondo lo sono molto meno. E nonostante forme di repressione molto più violente si riescono a mettere in campo modalità di resistenza e di conflitto molto più radicali e organizzate delle nostre. Penso a compagn* in kurdistan ma gli esempi potrebbero essere tanti.

    • Sembra un commento scritto settimane fa.
      Chi sta partendo in settimana bianca, se il comparto turistico e degli sport invernali è chiuso a doppia mandata da giorni e giorni?
      Lo stato starebbe difendendo a tutti i costi la «libertà di consumo»… con tutti i negozi «non essenziali» chiusi (librerie comprese, ma si sa, i libri a cosa servono?), i locali chiusi, i bar chiusi, i settori «non essenziali» degli ipermercati transennati e la gente chiusa in casa a far guadagnare grandi piattaforme che operano in regime di quasi-monopolio?
      Migliaia di lavoratori che scioperano li vedo e ne abbiamo scritto e ne scriveremo, ma «migliaia di compagni che lottano e occupano, resistono e conquistano» direi di no, visto che stanno chiusi ognuno a casa sua, gli spazi occupati sono chiusi, lo spazio pubblico è inagibile. O per lotte intendi i «flash mob alla finestra»? E per «occupare» occupare il proprio tinello? Siamo seri, su…

      Quanto alle «competenze scientifiche» che secondo te servirebbero per esprimersi sulla gestione dell’emergenza, ancora una volta si cade nella trappola del far coincidere tutta la scienza e tutte le competenze con il parere strettamente virologico – a proposito: non tutti i virologi ed epidemiologi plaudono a quel che stai accadendo, sai? –, quando invece per capire come viene gestita quest’emergenza e le conseguenze che tale gestione potrebbe avere servono più saperi: quello giuridico, quello storico, quello sociologico, quello psicologico, quello semiologico, quello economico e sindacale, quello della medicina sociale, quello ecologico – e quello politico, cazzo.

      Per fare un esempio, non credo serva essere un virologo per saper riconoscere un abuso di potere quando vedi quattro guardie che menano uno che faceva jogging da solo.

      Di contro, dare la colpa dell’attuale situazione alla plebaglia indisciplinata, come fanno il più bieco potere politico e la più bieca informazione mainstream, anziché a chi l’emergenza la sta gestendo, sicuramente non mette in campo alcun sapere utile a far capire granché, né attiva alcun frame minimamente rivoluzionario e nemmeno blandamente progressista.

      Quanto all’«italiano medio», è un tòpos qualunquistico, lascialo alla buon’anima di Montanelli, su.

      • Sulla settimana bianca: non è che le persone sono andate agli impianti sciistici come un esercito invasore, ci sono andati perché sapevano che erano aperti. Ma nessuno parla dei gestori degli impianti, che hanno tenuto aperto non per ignoranza o leggerezza, ma anzi, per approfittare della chiusura delle scuole:

        https://www.pistoiasport.com/abetone-calca-sulle-piste-e-caos-per-la-promozione-dello-skipass-a-un-euro/

        Finora ne avevo sentito parlare a una delle conferenze stampa della protezione civile, mi pare quella del 6 marzo, dove Borrelli aveva evitato di condannare direttamente le folle di turisti, mettendo invece alla gogna proprio quello specifico volantino (cosa che allora mi stupì molto, e positivamente). Beh, non dovevo accontentarmi di una notizia di terza mano, leggerle alla fonte è sempre la cosa migliore

        Abbiamo l’ennesimo sindaco che non attribuisce alcuna responsabilità né a se stesso (che – correggetemi se sbaglio – avrebbe il potere di far chiudere gli esercizi commerciali) né agli esercenti (che non hanno praticato la chiusura volontaria, e anzi hanno lucrato sull’emergenza), ma solo agli stronzi che non fanno un cazzo e pensano solo a divertirsi. Loro, la clientela, dovevano stare a casa, gli esercenti però non dovevano chiudere, cioè immagino dovevano aprire ma sperando che non venisse nessuno

        Anche nella condanna a quello schifo di volantino, il tono è molto morbido e non si fa nessun richiamo alla responsabilità. Al limite, lo secca di non essere stato consultato: “[T]engo a precisare che la campagna […] è di una società privata, mai comunicata al Comune e da me non condivisa e che ho chiesto di annullare immediatamente!”

        L’atteggiamento rispetto agli esercenti? addirittura apologetico (“Gli esercenti […] si sono limitati a fare quello che facevano ieri e quello che viene fatto nel resto della Regione, sono stati aperti.”), e di nuovo zero-spaccato riferimenti alla responsabilità, che è sempre e solo quella individuale dei singoli cittadini

        Mette una foglia di fico finale sul come “i Sindaci sono stati invitati a non prendere iniziative ordinatorie autonome”, e avrebbe pure ragione, in assoluto, ma poi in un successivo post su Facebook chiarisce che in fondo era giusto così, ne valeva la pena, il lavoro non deve fermarsi:

        “E poi ci sono gli impiantisti, che hanno sbagliato e devono chiedere scusa, a voce alta, ma che ogni giorno ed
        ogni anno, da anni, fanno sacrifici immani per far girare tutta la giostra, notti intere a ‘sparare’ o a spalare, a battere, la mattina all’alba a tracciare la gara, che siano le finali internazionali o le gare di classe, che coccolano le piste dove sciamo come i giardini di casa!
        L’incasso di un fine settimana a volte a fatica basta per pagare stipendi e fornitori…
        È il loro lavoro? Si!
        Ma il loro lavoro ci fa divertire tutti quanti da sempre.”

        La pièce de résistance però, secondo me, è questa:

        “Altrettanto, però, voglio chiarire che quella campagna non è mai iniziata e che la folla sulle piste di domenica scorsa non è certo causa di chi lavora ad Abetone, che ha fatto ciò che aveva fatto il giorno prima e ciò che è stato fatto nel resto della Toscana e d’Italia (zone rosse escluse) È STATO APERTO!

        È la stessa folla di incoscienti che si è accalcata in Versilia e sui vari litorali, ai centri commerciali e a fare la movida!”

        Insomma l’hanno fatto tutti, quindi non è colpa di nessuno. Ma vale solo per chi è produttivo. In fondo, si sono guadagnati il diritto di diffondere un pochettino il contagio, con tutti i sacrifici che fanno:

        “Una comunità che a volte vede svanire sacrifici e speranze, in una notte di pioggia, quante giornate a consultare i siti meteo, quante giornate con gli occhi al cielo a pregare in una perturbazione!”

        E finalmente salta fuori la responsabilità sua, cioè, di tutti:

        “Tutti abbiamo delle responsabilità, cerchiamo di farne tesoro per le prossime volte.”

      • mi dispiace ma no hai letto con attenzione il mio intervento . Ho parlato di settimane bianche e fughe di massa da milano già zona rossa proprio perchè è accaduto qualche settimana fa. Quando erano già in atto misure “liberticide”.
        Ancora oggi ” cittadini terrorizzati ” sfruttano le giornate di sole per riempire parchi e spiagge ( vedi parco della caffarella a roma) .
        La libertà di consumo è stata difesa fino all’ultimo secondo possibile con dichiarazioni farneticanti e irresponsabili di Trump e Johnson creando di fatto le condizioni per l’espansione della pandemia.Stiamo parlando di decine di migliaia di morti in più . Il meccanismo del desiderio/ pulsione al consumo è molto più complesso. Persone spaventate e confuse chiuse in casa non rappresentano il consumatore ideale neanche per l’ e-commerce.
        Mi dispiace doverti contraddire : compagni in ogni città , in ogni quartiere si stanno mobilitando anche in queste ore di incertezza creando reti di mutuo aiuto con un incredibile sforzo organizzativo . Informati.
        Ma quello che volevo dire è gli spazi di agibilità politica in Italia c’erano ieri ci sono oggi . Manca il pensiero , l’organizzazione , la volontà .
        La libertà, almeno quella fisica, è l’ultimo dei nostri problemi.
        Non ho mai detto che la “la colpa dell’attuale situazione è colpa della plebaglia indisciplinata” . Proprio in apertura del mio intervento ribadivo che tutto nasce dalla irresponsabile superficialità degli Stati nella gestione di una crisi assolutamente prevedibile. Proprio perchè per chi ci governa le priorità sono altre.
        E’ drammaticamente evidente nella crisi ambientale.
        “italiano medio ” è solo un’ espressione e va contestualizzata , non serve demonizzare le parole per avanzare una critica. Era un modo per sottolineare la superficialità e l’irresponsabilità di comportamenti diffusi( molto diffusi) che in questi giorni hanno aumentato il rischio contagio. In barba alle misure draconiane denuciate nell’articolo. Comportamenti che sono figli proprio di quei disvalori che si sono affermati in anni di barbarie sociale.
        Si può dire che molto probabilmente alle prossime elezioni il 50% degli italiani voterà a destra ? Non è topos qualunquistico si chiama statistica.
        Aspetto fiducioso la valutazione del mio commento ; mi accontento anche di un ‘blandamente progressista ‘: mi abbassa la media ma almeno non vado fuori corso…

        • «La libertà, almeno quella fisica, è l’ultimo dei nostri problemi.»

          No, il «blandamente progressista» direi che non te lo sei meritato.

          Il resto è una miscela di wishful thinking, colpevolizzazione verso il basso anziché verso l’alto e implicita difesa della patria nel confronto presuntamente impietoso con le «potenze plutocratiche».

          Ma ti risponda qualcun altro, io son già bello che stufo.

        • Ho provato a rileggere il tuo primo intervento, ed è talmente «wrong on so many levels» che richiederebbe un doppio post per districarne gli errori di fatto e ideologici. Lo «richiederebbe» ma, direi, non lo «merita».

          Su come lo stato e il capitale abbiano provato, soprattutto in una prima fase, a trarre dalla paura e dall’iniziale lockdown parziale un profitto diretto (con l’aumento dei consumi online, o con la privatizzazione de facto degli strumenti dei rapporti educativi/scolastici) si è detto in abbondanza nei testi e nei commenti del «Diario virale».

          Ora la fase è cambiata, e il capitale – almeno nelle sue rappresentazioni ideologiche – mi pare intrappolato in qualche misura in un sistema di misure sempre più strette che rispondono molto a esigenze di consenso politico, e assai poco o per nulla a esigenze di contenimento del contagio.

          Alcune sue nicchie (del capitale) stanno tirando avanti benone (tipo la GDO), altre a questo punto sperano nella pioggia di soldi pubblici e negli strumenti tecnocapitalistici di profitto in un futuro in cui la prossimità fisica sarà sinonimo di rischio di contagio. E si: «La libertà», anche quella fisica, è uno dei nostri primissimi problemi, non certo l’ultimo. Altri pezzi di capitale saranno spazzati via, darwinianamente. E i risparmi di milioni di lavoratori europei, impacchettati in fondi azionari o misti, sono molto a rischio.

          Il capitale non è un blocco unico, ma questo lo abbiamo già detto mille volte nei commenti al già citato «Diario virale».

          Più della metà degli italiani, ti ricordo, votava già a destra: nelle elezioni (con meno affluenza nella storia repubblicana) del 2018, se conti solo Lega e coalizione + 5 stelle sei al 70%; se conti nella destra anche il Pd (come tenderei a fare io) sei al 90%.

          Storicizzare e mettere in prospettiva sempre, altrimenti non ci si capisce nulla.

          • Non capisco i toni del commento di wu ming 1, forse ho toccato qualche nervo scoperto… Non ha risposto nel merito su nessun tema che avevamo toccato .Addrittura mi accolla un’implicita difesa della patria…boh
            Io sono appena tornato da una consegna di beni di prima necessità che ho effettuato per conto di un GAM ( gruppo di mutuo appoggio ) . Ne stanno spuntando in tutta italia con un grande impegno organizzativo. Ho anche attacchinato in pieno giorno per pubblicizzare questa rete di sostegno che comprende sportello legale e sostegno psicologico.
            Stiamo facendo tutto questo in piena sicurezza , con una semplice copertura legale che consente gli spostamenti per questo tipo di assistenza.
            Quello che volevo dire ( ma evidentemente non sono in grado di esprimermi correttamente ) è che anche oggi, ora, in cui mi dite che lo Stato mi costringe all’isolamento forzato per mettere in atto un disegno di controllo di massa, sono in grado di mettere in atto comportamenti di protagonismo sociale dal basso e di autorganizzazione, senza incontrare praticamente nessun tipo di resistenza.
            Naturalmente è da 35 anni che metto a rischio,come tanti altri attivisti la mia libertà personale ma , per come la vedo io , non sento che sia questo il momento in cui la repressione nel nostro paese sia più feroce.
            Soprattutto mi sembra che neghiate l’evidenza quando non trovate un nesso tra la superficialità e la sottovalutazione consapevole dell’emergenza sanitaria da parte di tutti gli Stati ( quale implicita difesa della patria? ) e la necessità di non bloccare fino all’ultimo i meccanismi del mercato globale.
            Ancora , secondo me esistono diversi tipi di libertà , alcune assolutamente funzionali ai meccanismi di controllo . Per questo parlavo di qualità e quantità delle libertà individuali.
            Ma se come ammetti anche tu ( e sono perfettamente d’accordo con te) il 90% degli italiani esprime un voto di destra, forse siamo in una fase diversa, in cui il controllo dei nostri corpi é relativamente superfluo …

            • Non ti sembra che sia questo il momento in cui la repressione è più feroce. Buon per te, ma forse se li leggessi, i thread in cui intervieni, chissà, magari qualche esempio lo troveresti.
              Senza andare alle decine di morti nelle carceri passate totalmente in cavalleria e di cui tutti se ne son fottuti (non sappiamo come siano morti, non sappiamo niente delle rappresaglie subite dopo le rivolte), ti faccio notare
              – fermi e arresti di sindacalisti;
              – cariche di celere nei piazzali di diverse fabbriche;
              – droni con termo-scan usati per individuare e denunciare chi esce di casa, persino «chi va per boschi anche di notte» [sic];
              – costituzionalisti e giuristi che stanno prendendo sempre più posizione (meglio tardi che mai) spiegando che siamo scivolati come niente nella piena incostituzionalità;
              – un presidente del consiglio può emanare un decreto che annulla gran parte delle libertà e dei diritti sociali previsti dalla Carta, e chiude in casa il 60% della popolazione e ancora non basta (nessun totalitarismo novecentesco era mai riuscito a fare niente del genere);
              – ci sono migliaia e migliaia di denunce a chi camminava «senza motivo», con tutta probabilità infondate giuridicamente, ma efficaci nell’impaurire e intimidire chi le ha ricevute e chi ne legge.

              Ma giustamente, chi se ne frega di tutto questo, l’importante è che tu abbia il tuo bel permesso e abbia attacchinato in pieno giorno. Guarda, ti andrebbe ritorto contro lo pseudo-argomento usato contro chi passeggia: se tutti facessero come te ci sarebbero assembramenti ovunque. Ma, appunto, è una cazzata, come lo è per chi passeggia e per i runner. Perché il tuo attivismo è lodevole, sì, tanto di cappello, ma devi renderti conto che può avere luogo perché è nelle sue premesse rarefatto, quella protezione legale può per forza averla solo poca gente altrimenti finirebbe il lockdown, è dunque una sorta di “privilegio” che tu puoi esercitare mentre milioni di persone sono agli arresti domiciliari o vengono intimiditi dalle forze dell’ordine.

              E se la premessa del tuo lavoro è fottertene di tutto questo, di tutto quello che c’è intorno al tuo attivismo personale, e se addirittura arrivi a dire che «la libertà è l’ultimo dei problemi», allora no, non sei nemmeno «blandamente progressista». Sei uno che si mette i tappi nelle orecchie e le fette di culatello sugli occhi.

              • Evidentemente è un problema mio , non sono in grado di farmi capire.
                Io non vado in giro perchè ” ho il mio bel permesso ” . Sono settimane che insieme ad altri compagni (praticamente a tempo pieno) stiamo tentando di reagire a tutto quello che sta accadendo . Siamo stati davanti Rebibbia durante la rivolta , molti di noi sono stati denunciati a piede libero, abbiamo sostenuto legalmente molti casi di denunce arbitrarie e diffuso istruzioni per sapere cosa fare in caso di fermo. Abbiamo trovato una pezza d’appoggio legale per permettere di garantire i compagni durante le consegne ma senza nessuna certezza e comunque con un margine di rischio.
                Margine di rischio che ci assumiamo sempre , tutti , da anni in ogni forma di conflitto.
                Non voglio meterla sul personale ma ho vissuto anni in cui la dig02 ti attenzionava pure quando distribuivi un giornale sotto scuola e le carceri erano piene di detenuti “politici”.
                Ho vissuto tempi più bui.
                Io credo , spero , che siamo su posizioni molto più vicine di quanto i tuoi toni farebbero pensare.
                Con il mio intervento (forse sconclusionato o poco chiaro ) volevo semplicemente dire che la nostra libertà , quella con la L maiuscola, è a rischio , anzi fortemente compromessa anche quando siamo liberi di andare a prenderci l’aperitivo o in palestra. In questo senso la libertà di cui siamo stati privati in questi giorni è l’ultimo dei problemi ; perchè da anni stiamo fronteggiando un impoverimento qualitativo della nostra libertà.
                Che rende sempre più difficile qualunque forma di conflitto.
                Anche per chi è “libero” di circolare.
                Eppoi mi veniva naturale fare un collegamento ( ingenuo, stupido?) : perchè alle prime avvisaglie di una crisi sanitaria che poteva giustificare misure estreme di contenimento, tutti gli Stati hanno temporeggiato , arrivando in alcuni casi a negare l’evidenza della crisi ?
                Tutto qui; anche se forse non ci siamo capiti sono contento di aver trovato questo spazio di confronto .

        • Come fanno notare il mio socio e Wolf, la libertà è sempre il primo dei problemi. Anche e, direi, soprattutto quando decidiamo consapevolmente di limitarla a noi stessi o agli altri. Se la limitazione della libertà viene messa in coda come ultimo dei problemi, possiamo stare certi che non sarà mai più in testa alle priorità (ma nemmeno al secondo posto, al terzo, al quarto…).

          È vero che all’inizio dell’emergenza la gente non ha mutato le proprie abitudini: c’è chi è andato in settimana bianca, chi al mare, chi a Cuba… Così come c’è chi andava nei parchi e in pizzeria. Questo perché la chiusura è stata comandata male, in maniera incoerente, e improvvisando giorno per giorno, fino a condannare un intero paese agli arresti domiciliari e – oggi – criminalizzare come untori i podisti solitari.

          Se metti una massa di bambini a casa da scuola, senza lasciare a casa dal lavoro i genitori, sarà altamente probabile che vengano affidati ai nonni in pensione. E così è stato. Se metti una massa di adolescenti a casa da scuola senza niente da fare tutto il giorno, è facile che si organizzino a gruppetti per uscire. Se non chiudi le pizzerie, o i centri sciistici, o i voli turistici, la gente ne approfitterà. Se annunci che dalla mezzanotte chiudi la Lombardia e non ti assicuri di chiuderla davvero, la gente scapperà.
          Alla chiusura totale siamo arrivati da una settimana. Ciò che l’ha preceduta è stato un affannoso rincorrere gli eventi, che sfuggivano via via di mano. Questo non è né il metodo cinese, né quello coreano…it’s the italian style. Ma non dell’italiano medio (previa contestualizzazione), bensì dei Winston Churchill de noantri, la classe dirigente di questo paese, selezionata in peggio da anni di populismo e tecnocrazia.
          Se a questo aggiungi che al di fuori di certe specifiche aree geografiche della Lombardia e dell’Emilia la gente non ha la percezione diretta dell’epidemia, e che a essere colpito in modo grave è prevalentemente un target definito, ultrasettantenni con patologie pregresse, fai presto a capire perché le cose sono andate come sono andate. C’era una dose di menefreghismo in quei comportamenti e/o sottovalutazione dell’epidemia? Probabile. Ma la (non)gestione è la vera responsabile di quello che è successo. Scaricare la responsabilità verso il basso ha un retrogusto moralistico che, accompagnato al clima “mamelico” che si respira, fa venire in mente lo stato etico (ovviamente farsesco, perché quando la storia si ripete…).

          Detto questo, che ci siano o no grandi spazi di agibilità politica, prima durante e dopo questa catastrofe, se davvero mancano “pensiero”, “organizzazione”, “volontà”, siamo già a posto così, direi. Se mio nonno aveva le ruote era una carriola.
          Per quanto riguarda la percezione e l’introiezione delle misure draconiane, accettare acriticamente tutto questo e, anzi, volerne ancora di più, è la garanzia che quel “pensiero” mancante resterà tale.

          En passant… Se le persone chiuse in casa impossibilitate ad acquistare nei negozi “non sono il consumatore ideale dell’e-commerce”, bisogna che qualcuno avverta quello stolto di Bezos, che sta assumendo decine di migliaia di dipendenti pensando che diventerà l’uomo sempre-più-ricco-del-mondo.

          • mi di spiace ma anche tu non hai letto con attenzione il mio commento.
            “Questa crisi ci fa capire che gli Stati guida del neoliberismo ,Stati Uniti e Inghilterra, hanno tentato di negare l’emergenza fino alla fine , mettendo a rischio decine di migliaia di vite umane , proprio per preservare quegli spazi di agibilità individuale apparente che oggi come oggi sono il motore principale di un meccanismo oppressivo e omicida che ci vuole tutti docili Consumatori Totali.
            Gli altri Stati si sono mossi in ordine sparso, senza un minimo coordinamento, ma praticamente tutti rimandando il più possibile misure veramente restrittive.
            Le conseguenze le stiamo vivendo , migliaia di morti , sistemi sanitari sull’orlo del collasso , molti morti anche tra il personale sanitario che subisce direttamente le conseguenze della superficialità di chi ci governa e dell’irresponsabilità individuale”.
            L’irresponsabilità individuale , che en passant, ammetti anche tu , l’ho posta volutamente alla fine del ragionamento.
            Non sto accettando acriticamente proprio nulla , tanto meno misure come queste ; sono qui a ragionare con voi , senza verità in tasca e rispettando i miei interlocutori.
            Volevo solo riflettere sul fatto che “esistono diversi tipi di libertà , alcune assolutamente funzionali ai meccanismi di controllo . Per questo parlavo di qualità e quantità delle libertà individuali” , come ho scritto anche nella risposta precedente e nel primo intervento.
            Fra qualche mese ci renderemo conto della portata di questa crisi sanitaria … scommetto il mio ultimo copeco che Bezos rimpiangerà il 2019

            • «Non sto accettando acriticamente proprio nulla , tanto meno misure come queste»

              Veramente, sembrava proprio di sì.

          • «Se metti una massa di bambini a casa da scuola, senza lasciare a casa dal lavoro i genitori, sarà altamente probabile che vengano affidati ai nonni in pensione. E così è stato. Se metti una massa di adolescenti a casa da scuola senza niente da fare tutto il giorno, è facile che si organizzino a gruppetti per uscire».

            Esatto, e «così è stato». Il problema è che la nostra classe politica non ha davvero idea di cosa accada nelle vite delle persone, e in particolare del rapporto coi figli, bambini/e o ragazzi/e, sembra non sapere proprio nulla. C’è un episodio illiminante, che ho ricordato anche in un altro post ( https://www.wumingfoundation.com/giap/2020/01/la-sfida-di-xm24-contro-il-nulla-2/ ), ed è quello del 2017 in cui Valeria Fedeli, ministra Pd dell’istruzione, di fronte all’ingiunzione della Cassazione a ritirare personalmente i figli a scuola anche alle medie, invece di denunciarne l’insostenibilità sociale e la nocività diseducativa, si era limitata a dire:

            «”Questa è la legge, e deve essere rispettata. I genitori devono esserne consapevoli”. E se i genitori non possono perché sono impegnati al lavoro? “Ci vadano i nonni” esorta la ministra, “i miei nipoti sono piccoli, e non ci riesco mai, ma è così piacevole per noi nonni farlo”». (fonte: Agi)

            Ebbene, al di là del paradosso per cui *allora* una ministra sapeva che qualsiasi modifica alla frequenza scolastica *tocca* i nonni e ora i governanti manco quello arrivano a comprendere, il punto è: come è possibile che la classe dirigente *non* abbia la minima idea di come funziona il *welfare familiare*, il solo che consente di mandare avanti le famiglie con bambini (e infatti che non ne dispone è costantemente in grave difficoltà)?

            Al di là di quali siano le loro «scuole quadri» (La Repubblica e Facebook, suppongo), come si arriva a un tale livello di dissociazione dalla realtà?

            • A proposito di ciò, mi permetto di sottolineare come in Svezia, dove vivo, ripetono che non ha senso chiudere le scuole, ma comunque stanno prendendo provvedimenti su pressione popolare, essendo esse punti di contatto sociale molto elevati e per evitare troppi spostamenti coi mezzi di trasporto. Tali provvedimenti, ancora su carta, vanno proprio in direzione della tutela dei figli di persone che occupano ruoli socialmente utili durante questo periodo (secondo loro chi lavora in sanità, trasporti, difesa ecc.). Insomma, prima di chiudere tutte le scuole stanno cercando di tutelare figli e famiglie e non bloccare la società. Probabile che si giunga a una situazione mista in cui alcuni studenti continueranno ad andare a scuola mentre altri seguiranno le lezioni da casa.

  44. Mi permetto di inviare alcune note, sperando di non essere ripetitivo o ingenuo. Mi scuso anche di non citare nome per nome tutti gli altri contributori a cui faccio riferimento direttamente o indirettamente.

    a) La mia prima urgenza è di raccontarvi che, leggendo molti post di altri lettori, mi sembra di vivere in un mondo parallelo. Abito in una zona rurale del Nord Ovest e il panorama che ho davanti ricorda un po’ quello della Sardegna del post di Onnis. Qui, in realtà, l’apparato repressivo è più evanescente e la conformazione del territorio permette anche spostamenti relativamente tranquilli tra un Comune e l’altro. Un lettore faceva un’interessante osservazione sul fatto che è percepito come più difficile disobbedire alle autorità locali quando c’è un rapporto personale di conoscenza. Sì, ma può essere vero anche il contrario. Senza contare l’opzione di disobbedire proprio per quel motivo! L’unica cosa sicura è che una polizia municipale di paese – leggasi un solo vigile multifunzione, o errante tra più Comuni -, prima di fare una denuncia per art. 650 cp, ci pensa una, due, tre volte. Anzi, non ci pensa, non la fa. Sicuramente tale atteggiamento sarà velocemente cambiato, ad esempio, nelle zone rurali della Lombardia e del Veneto che si sono trovate in circostanze ben più drammatiche, ma qui la percezione del problema è molto più ovattata. Tra i fattori, ovviamente, la relativa distanza dai focolai, ma anche l’età media molto alta e la minore pervasività dei social network (tra i connessi e i disconnessi non so chi abbia la maggioranza, direi i secondi; io per primo non uso lo smartphone). Racconto questo per ricordare che degli spazi marginali dove praticare forme di resistenza è più facile, esistono, con tutte le precisazioni e i distinguo del caso.

    b) La percezione delle norme di controllo in vigore qui direi che è più negativa che altrove, anzi direi che la contrarietà al lockdown è forse maggioritaria. Qui il rapporto geografico con il territorio è più vissuto (attività agrosilvopastorali – siamo nella stagione del taglio e delle potature, porco belìn – , pendolarismo, servizi e negozi sparpagliati e distanti…) e la diffidenza verso le istituzioni centrali (benché di stampo premoderno e reazionario, direi vandeano) è molto elevata. Uno degli aspetti che ispirano maggiormente i bestemmiatori locali è il fatto che il decreto consente l’attività agricola professionale, ma non norma quella non professionale, che qui è altrettanto importante; per cui il paradosso che un contadino con partita iva che sta potando è in regola, ma il suo vicino di terreno che fa contemporaneamente la stessa operazione, ma per autoconsumo, non si sa. Se pensate di chiarire il mistero telefonando al call center dei C.forestali, o all’urp regionale dei suddetti, non perdete tempo: pare che in questi giorni non rispondano. Colgo l’occasione per ringraziare la “coraggiosa” regione Emilia Romagna che, in quanto baluardo della libertà, ha aperto la strada a Conte vietando, tre giorni fa, il prelievo di legna per autoconsumo; evidentemente erano segnalati assembramenti di gente con la motosega in Alta Val Trebbia o in Val di Taro.

    c) Una nota sull’ “ipoclorito di sodio che presidiava le strade”. La pratica delle sanificazioni è ritenuta inutile se non dannosa non solo dall’ARPA Piemonte citata da WB, ma da una valanga da enti: cito a caso anche ARPAL Liguria, ASL3 Liguria, Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI). Le motivazioni sono diverse, persino il rischio di danneggiare i mezzi usati per le disinfezioni quando, ad esempio si usano i mezzi delle protezioni civili locali usati per l’antincendio. Volevo segnalare che vedo la diffusione di questa pratica anche in Comuni dove non ha doppiamente senso, perché sono comunelli rurali ad insediamento sparso, con case separate quasi sempre da spazi ampi in piccoli nuclei sparpagliati e minima percorrenza pedonale (un Comune a mezz’ora da dove abito ha 300 km di strade!). E quasi tutti questi comunelli sono comunque a zero positivi e zero “quarantenizzati”. Credo che non ci sia solo il desiderio di emulazione e di protagonismo dei Sindaci. Ormai le sanificazioni hanno sostituito le rogazioni, la candeggina è la nuova acqua santa: il passaggio dei candeggiatori, salutato dai fedeli dal balcone come la statua del patrono, è un atto di fede, e nulla più, con la differenza che l’acqua santa, parimenti efficace, non inquina ed è più economica. Così come sono amuleti le mascherine autocostruite nei modi più fantasiosi, che tra pochi anni arricchiranno le raccolte degli antropologi.

    d) Due parole sui sociali network: nella mia minima cerchia, vedo atteggiamenti diversi a seconda della collocazione geografica delle persone. Più il paese, o borgata, di appartenenza è piccolo e appartato, e meno influenti e numerosi sono sceriffi e delatori: questo non solo per solidarietà paesana, ma anche, all’opposto per non innescare la faida; senza contare che chi ha il privilegio di stare in un posto difficilmente controllabile ed ha grossa libertà di movimento, oggi come oggi, sta zitto e appartato per non attirare l’attenzione. Penso che sia utile segnalare una cosa della quale sono sicuro: sappiamo che una percentuale consistente degli attivisti, micro-opinionisti, wannabe influencer a livello locale sono inquadrati all’interno o vicino organizzazioni politiche locali o nazionali, e rappresentano terminali finto-spontanei di strategie più ampie. Direi che, almeno qui, gli aspiranti sceriffi (o delatori riusciti) sono sostanzialmente vicini o interni alla Lega, mentre i fascisti-meloniani si sono allineati sulla “responsabilità nazionale” e sul “ce la faremo -volemose bene”. Dico questo per chiedere se possiamo verificare che una parte della caccia all’uomo telematica (generalmente contro i runner e i ragazzini) non sia solo fascioisterismo spontaneo, ma anche – se non soprattutto – frutto di una direttiva arrivata da livelli organizzativi superiori. Io posso solo dire che, al mio livello locale – ma solo dei centri maggiori a ridosso della costa – , è in corso una guerra tra leghisti e fasciosociali per contendersi lo spazio nella comunicazione posizionandosi su questi due filoni contrapposti. Racconto questo per chiedere, quindi, se l’apparente ondata di intolleranza on line contro i contravventori (veri o presunti) del decreto non sia in realtà gonfiata da questa strategia di comunicazione, e sia molto amplificata dall’iperattivismo dei leghisti (anche per nascondere le recenti figure di sterco del proprio leader e dei propri amministratori regionali). Tra l’altro nella mia regione si doveva votare per le regionali, quini i galoppini di partito erano già in fermento.

    dbis) Una nota di ottimismo: oggi, in un quadro già particolare per i motivi che ho raccontato, mi è sembrato di notare, impressivamente, un’impennata delle prese di posizioni contro il decreto e, soprattutto, contro la “caccia all’untore social”. La differenza rispetto alla comunicazione dei leghisti e dei meloniani è che si tratta di voci singole non coordinate che, semplicemente, sbottano e, apparentemente, si stanno confortando a vicenda benché non si conoscano, forse perché scoprono di essere meno sole di quanto sembra. Sulla presenza (o meglio, sull’assenza) di voci di sinistra, per il momento preferirei glissare. Vabbè che dalle mie parti ci sono abituato, ma…

    e) Vorrei anche lanciare un allarme. Ho l’impressione che (senza una strategia unitaria, ovviamente: lungi da tutti il complottismo) alcuni poteri locali possano mettersi in testa di sfruttare la crisi COVID19 e l’oscuramento mediatico di tutto il resto per combinare qualcuna. Dico questo perché mi occupo – scusate la genericità – di vertenze territoriali e io e altri abbiamo notato che la burocrazia degli apparati amministrativi locali non si è fermata, anzi. Mi permetterei di consigliare di tenere alta l’attenzione su occupazioni, Grandi Opere Dannose e Imposte, urbanistica locale et similia perché l’eclissi informativa imposta dalla pandemia potrebbe facilitare l’avanzamento di determinati processi o addirittura la programmazione di “colpi di mano” (ad esempio nelle regioni che dovevano votare, dove i politici uscenti potrebbero giocarsi degli “all in” pokeristici di fine mandato). E poi ci sarà la scusa della “ricostruzione”.

    Avrei altre cose che vorrei discutere, ma l’ho già fatta lunga. Però volevo ringraziare i contributori e i gestori questo spazio; ero fiducioso a priori che su Giap avrei trovato espresse queste posizioni, benché al momento impopolari e difficili, ma assolutamente logiche e conseguenti.

    • Grazie degli spunti e delle domande, e… grazie dei ringraziamenti. Non solo a te, ma a tutte e tutti. Siete anche voi a far sentire meno soli noi. «Impopolari e difficili» è un’espressione eufemistica. Tra i conteggi che saranno possibili solo “dopo” (anche se sappiamo bene che un vero “dopo” non ci sarà) c’è il conteggio delle amicizie rotte, forse per sempre, a causa del lavoro che abbiamo deciso di fare durante quest’emergenza (congelando più o meno tutto il resto, anche per oggettiva impossibilità di portare avanti i vari progetti che avevamo in cantiere).

      • Il tema delle amicizie rotte (emerso anche nei commenti di ieri) un po’ mi consola: è successo anche a me, 20 giorni fa, quando ancora le misure di controllo non erano così restrittive. Un amico (tra i migliori) che conosco da trent’anni ha deciso di chiudere ogni rapporto con la sottoscritta, perché il messaggio che gli avevo inviato per chiedere sue notizie era, secondo lui, poco empatico. Mi ha comunicato la rottura via sms. Una reazione talmente sproporzionata che, sulle prime, mi ha davvero destabilizzato.
        Mi ha molto rincuorato sapere quindi che una situazione simile non è capitata solo a me, ma anche ad altri.

    • Ciao,
      Interessante il tuo commento e che introduce un minimo di ottimismo. Anch’io abito in una zona rurale e di sceriffi per ora non ne ho visti, anche se sono convinto che se la situazione perdura “arriveranno” e ho anche già idea di chi saranno e di quali saranno le dinamiche di comunità (non belle).

      La cosa che noto e su cui sono meno ottimista è che molti anziani che normalmente avrebbero l’orto o il frutteto a cui badare sono barricati in casa nonostante la stagione. La paura qui è tangibile e molte persone (indipendentemente da quel che dicono i tecnici, a sto punto) sono convinte che sia pericoloso esporsi all’aria aperta anche da soli in campagna.
      L’altro giorno ho visto un anziano farsi la passeggiata di salute probabilmente prescritta dal medico, in tuta in area rurale isolata e da solo, ma con la sciarpa stretta al volto come una mascherina (che qui non si trovano più da nessuna parte) e lo sguardo parecchio preoccupato di non beccarsi qualcosa dall’aria.

      Relativamente al tuo punto d) sono assolutamente d’accordo sul fatto che certe uscite social, certi hashtag e certi filoni comunicativi siano frutto di una strategia di comunicazione e che arrivino da livelli organizzativi superiori.

      PS: fra l’altro nei Comuni della zona stanno uscendo Ordinanze Sindacali che vietano di portare a spasso il cane a meno di 200 metri da casa e di praticare attività sportiva lontano da casa.
      Altre vietano il transito a piedi sul territorio comunale, a residenti e non (quelli peggio che mai) se non per i motivi di lavoro e di urgenza.

      • Ciao, qui (ma oggi ho avuto un punto geografico di osservazione diverso) credo che stiamo arrivando verso una fase conflittuale più aspra, ma semplicemente perché alcuni apparati di potere si sono incarogniti vedendo che non hanno il controllo del territorio. Oggi per la prima volta un elicottero ha pattugliato le valli; per ora non hanno ancora i megafoni che suonano la cavalcata delle valchirie, il che è confortante. E’ chiaro, da oggi più che mai, che ogni legame con la prevenzione sanitaria è saltato, e adesso è solo più lotta per il controllo sociale fine a se stesso. In compenso anche oggi si vede a occhio nudo sempre più gente che “scappa” in montagna, pochi delatori li cercano sconsolati dai balconi coi binocoli. Adesso ho seguito rapidamente un paio di catfight sui social e gli “sceriffi” sono in difficoltà se non in rotta; non ti saprei dire se ci qui intorno ci sono ordinanze bizzarre, tanto non le guardiamo. Magari controllo per scrupolo scientifico. Una cosa seria che sto percependo mentre ti scrivo è che la tigna nell’imporre un controllo insensato può generare una reazione sociale tipo “No TAV”, non pensavo che dalle mie parti fosse un modello esportabile, ma adesso in due giorni ha capito molto di più di cosa passa per la testa di un valsusino.

  45. Premetto che non sono ancora riuscito a finire di leggere tutti i commenti della seconda puntata. In questi giorni laotiani sto però osservando una chiusura strana, non direttamente legata alla realtà del virus, ma comunque una sua emanazione anche se più politica ed economica che sanitaria. Ci sono paesi che costruiscono le loro politiche finanziarie in base alle disponibilità permesse dagli aiuti della cooperazione internazionale. Interi ministeri o loro sezioni funzionano grazie agli apporti di organismi internazionali. E’ un limbo fatto di lobby, clientele, corruzione e intoccabili. E’ probabile allora che certi flussi di capitale siano ora da ridirezionare dentro questa crisi sanitaria, ma cosa accade se la crisi invece di “esserci” viene diciamo creata?

    Un pò ovunque stiamo assistendo alla formazione di un protezionismo immunitario che ha costruito una sorta di “One World, One Policy” che tanto ricorda i vecchi decaloghi del Washington Consensus e le ricette dei Programmi di Aggiustamento Strutturali. In fin dei conti, furono quelle regole e l’opposione ad esse a costruire il mondo di cui oggi stiamo osservando una fine. In Laos, tutto ciò ci sta riportando all’origine stessa della nozione di logistica come materia militare o per lo meno pubblica, da Protezione Civile, che deve risolvere i problemi di approvvigionamento di aree e territori con vettovaglie di ogni tipo. In questi giorni, la nostra chiusura al mondo riguarda appunto le scorte di riso e di avena e di qualche legume in barattolo per potersi sfamare quando i prezzi dei mercati subiranno gli effetti della chiusura ufficiale delle frontiere. Il virus fa da sfondo. Fornisce una ragione. Spiega perchè occorre sperare di poter continuare a mangiare la papaya o il mango. Certamente assisteremo a qualche ribaltamento. I più scafati faranno soldi e certamente i militari saranno tra questi. Ma sta accadendo anche qualcos’altro da queste parti. Si sta quasi costruendo il virus.

    Mi devo spiegare per bene perchè non vorrei che questi argomenti siano tacciati di aver segnato un solco definitivo con il COVID-19. Vorrei però cercare di sospendere, come del resto fatto da settimane in questo spazio, “le bare trasportate da veicoli militari a Bergamo”, in un momento in cui il “come si muore” è fondamentalmente legato al coronavirus ovunque, per osservare il fenomeno su scala più globale. Vorrei allora spingermi fino a dire che il “Decoro” dovrebbe rientrare in un enunciato più ampio sul realismo neoliberale che si sta disvelando proprio in questi giorni e che delineerà rinnovati Programmi di Aggiustamento Strutturali. Come affermato da Conte stesso, questi riguarderanno prima certe industrie strategiche e poi il resto. Per spiegare tutto ciò, ora si, vorrei usare una certa archeologia di ispirazione post-strutturalista “francese” o forse “parigina” non so, più che foucoltiana che mi sembra troppo in alto. Mi pare necessario dirlo perchè certamente ci sono comunque limitazioni e problemi da riconoscere a questo tipo di analisi. In breve allora vorrei usare il caso laotiano di cui ho attuale esperienza per mostrare alcune tendenze, contribuire alla discussione e giustificare le mie affermazioni.

    In estrema sintesi il Laos è uno dei pochi paesi che ancora non ha casi di COVID-19 ufficialmente riconosciuti ma in questi giorni sono circolate immagini e sono corse voci che hanno prodotto numeri e parlato del contagio in atto. Grazie alla dimensione da villaggio e ad una estrema divisione in reti sociali a base etnico-territoriale della cittadina in cui vivo, è abbastanza semplice risalire all’origine di numeri e voci senza bisogno di invasive app o di violare la privacy. In altre parole, ognuno parla in maniera trasparente, non proprio palesando le fonti, ma almeno senza nascondere le reti di provenienza. Ciò che si osserva però è come un certo modello da “One World, One Policy” venga applicato da alcune elite locali attraverso paradigmi cognitivi e categorie sanitarie che sono ormai “commonsense” nei paesi affetti da COVID-19 e, come visto qui su Giap, sono quasi impossibili da mettere in dubbio. In questo modo accanto a mappe dettagliate del contagio che circolano via whatsup, foto di supermercati della capitale stracolmi che vengono postate su instagram e messaggi pseudo-militaristi su Facebook che spiegano le regole del lockdown, il Laos partecipa e si allinea, in contemporanea, a tutti gli altri paesi. Per non essere tagliato fuori, si taglia fuori.

    Tuttavia, per una popolazione che non ama andare negli ospedali e “ammalarsi” lì dentro, centrale sarà una certa politica della paura, gestita questa volta da uno dei rari casi di Stato sociale e di Stato benevolo che fornirà test gratis alle persone sintomatiche. Altra precisazione è qui dovuta. In questo periodo dell’anno i problemi respiratori di noi laotiani sono abbastanza comuni a causa della pessima aria che respiriamo. Nei due mesi precedenti l’inizio della stagione delle piogge, infatti, al normale inquinamento da vetture si aggiungono i campi che bruciano e molti bambini ed anziani soffrono di polmoniti, infezioni dei bronchi e via dicendo. Non vorrei prendere troppo spazio e diventare troppo illeggibile per la particolarità del caso per cui sottolineo, ancora una volta, le limitazioni del metodo proposto soprattutto in senso comparativo. Comunque, la combinazione test gratis nell’ospedale cittadino e conseguente possibile esposizione al virus stesso e lockdown dell’economia con movimenti di ritorno nei villaggi dei lavoratori senza salari appaiano al momento la ricetta perfetta per diffondere il virus, ma sono anche la soluzione trovata o imposta per partecipare all’emergenza, ricevere i fondi previsti nonché, e questo è decisamente importante, preparare il paese ai nuovi standard immunologici che saranno previsti per riaprirlo al mondo. Il tutto sarà ovviamente pagato da fondi pubblici messi a disposizione dalla cooperazione internazionale per acquistare test, medicine e certificati di pulizia. Bisognerà capire solo chi pagherà chi e per cosa.

    Spero che quanto detto non sia troppo confuso o fuori tema. In ogni caso, in questo senso trovo che le politiche del Decoro, già di per se fondate su nozioni immunologiche del vivere in una certa comunità, si estenderanno oltre la securitizzazione degli spazi per definire veri e propri paradigmi immunitari e standard sanitari con cui si riapriranno i mercati e si proporanno aggiustamenti strutturali. Qui dentro si sta già giocando una nuova guerra che si unisce alle sue proxy armate nei paesi con risorse naturali come Venezuela o Bolivia. Ma questa è certamente un’altra storia.

    • Grazie, estremamente interessante. Giusto: il «decoro», riemerso nel tardo novecento tramite il paradigma urbanistico e architettonico e diventato, per mezzo delle prime «architetture ostili» (la recinzione dei parchi) anche paradigma sociale, torna a più remote origini e (ri)diventa «igienico» e «sanitario».

  46. La regione siciliana ha intanto emanato prodotto l’Ordinanza contingibile e urgente n°6 del 19.03.2020 in cui, ovviamente, si proibisce l’attività motoria e sprotiva all’aperto e – altrettanto ovviamente – “E’ fatto obbligo ai Comuni, qualora non ancora disposto, di provvedere alla sanificazione delle strade dei centri abitati, degli edifici adibiti a uffici pubblici e degli edifici scolastici. Per l’esecuzione di tale servizio i Comuni si avvalgono anche del contributo finanziario della Regione Siciliana. Il tutto dietro la soltia minaccia del 650

    • L’ordinanza fa felice pure il solito De Luca che proclama di essere stato finalmente ascoltato. Dal sito della Regione: “Le uscite dalla propria abitazione per gli acquisti essenziali, a eccezione dei farmaci, vanno limitate a una sola volta al giorno. E’ vietata la pratica di ogni attività motoria e sportiva all’aperto, anche in forma individuale. Gli spostamenti con gli animali da affezione sono consentiti solamente in prossimità della propria abitazione.”

  47. Conegliano (Tv): droni con telecamere termiche in supporto a fdo per cercare chi va per boschi, anche di notte (fonte: Rainews24)

    Eh, beh, certo, andare per boschi è contagioso. Chi va per boschi, letteralmente, «si dà alla macchia». Qualcuno potrebbe prenderci gusto.

  48. Primo commento per me, cerco quindi di offrire qualche spunto nuovo.

    Lavoro nel mondo dello sport, sono stato un discreto giocatore di tennis e poi da ormai 25 anni insegno.
    Per la prima volta in vita mia non sto facendo attività fisica da un mese. Anche se cerco di muovermi un pò in casa, e di fare qualche banale esercizio, questa attività non è minimamente paragonabile alle 6/7 ore di sport che ero solito fare.

    La mia fisicità sta cambiando, lo sento. Questo si aggiunge ad una pische messa a dura prova perché per tirare avanti ho dovuto ritirare la mia pensione integrativa, dato che per chissà quanto non potrò lavorare.

    Per me sarebbe vitale poter camminare almeno un’ora, per riattivare la circolazione e creare un pò di endorfine, utili a sentirsi meglio. Tuttavia ho paura di farlo, anche per uno strisciante senso di colpa nei confronti di chi sta lavorando per combattere l’emergenza.

    In più ho due genitori vecchi, che per fortuna abitano a 300 metri. Non escono di casa, anche perché non potrebbero nemmeno fare la spesa al super viste le code di quattro ore. Così li aiuto io, anche per altre cose, tipo pagamenti di bollette e simili.

    Mi chiedo quando vado da loro se sto facendo la cosa giusta. Se non fosse meglio restare tappati in casa e magari non vedersi mai più.
    In un mese non ho più visto nessuno, e comincio paradossalmente a avere sempre meno voglia di vedere le persone, proprio per i motivi che ho letto in molti commenti all’articolo.

    Lo sport per me è sempre stato una specie di terapia. Il mio Maestro, che oggi ha 85 anni anni, mi diceva sempre: “Quando sto male gioco a tennis e mi dimentico di stare male”. Ora siamo costretti a ricordare in ogni secondo la nostra condizione, e così quando attraverso la strada per andare a aiutare i miei vecchi, mi sento un ladro.

    • Questo commento condensa la parte *buona* del «mostrare la ferita». *Buona* perché è un grido di allarme, è un’ammissione di confusione e dubbio, e allo stesso tempo una condivisione con noi che leggiamo. E’ lo sforzo di non ripiegarsi sul proprio termometro fatto proprio dal margine del rischio di ripiegarsi.

      Su alcune cose qui ci sono le risposte (tipo sul camminare), ovviamente risposte rese a volte impraticabili dalle leggi.

      Su cosa fare coi genitori anziani ricadiamo nel problema morale, che diventa problema da gestirsi in solitaria quando lo stato e la collettività pongono imperativi astratti e irrelati con l’esistenza concreta. Se le cose stanno come stanno, e se la scelta di governo è quella di contrastare un’immunizzazione diffusa, potrebbero passare anni, come minimo i 18 mesi previsti per il vaccino, sempre che il virus non muti.

      Dovremmo elaborare collettivamente una soluzione a questo dilemma morale (non vedere più le persone care a rischio di morte anticipata per virus?), non lasciare soli ognuno e ognuna, col rischio che a decidere sia, infine, un’epidemia di depressione.

    • Non sono uno sportivo, ma mi piacciono i giochi: basket, ping pong, calcio, scacchi… Vado volentieri in bici e ho la passione di camminare per sentieri. Tuttavia, capisco cosa può siginifcare per uno che è abituato anche solo a correre cinque chilometri tutti i giorni, privarlo di quell’abitudine. E’ un disagio fisico, psichico e sociale che non si può sfottere con sufficienza parlando di “corsetta”. Su questo, credo che la disobbedienza sarà sempre più forte e che quindi si troveranno sempre più strategie per aggirare i controlli senza per questo mettere a repentaglio la salute pubblica. Il “running high” sarà la droga di riferimento della contestazione, come l’LSD negli anni Sessanta. Io studio le mappe, come ho sempre fatto, per trovare vie di fuga. E anch’io sto attento, perché ho una madre ormai vecchia e con le difese immunitarie basse. La aiuto per la spesa e le medicine. Non ci abbracciamo, e questo già ci pesa, ma se smettessi di andarla a trovare, per paura del contagio, credo davvero che la condannerei. Non perché pensi di avere chissà quale importanza nella sua vita, siamo tre figli e lei ha la sua rete di amicizie, la sua vita autonoma. Solo che adesso è chiusa in casa, non vedere più nessuno la ucciderebbe. Così vado, e lei mi dice tutte le volte che non dovrei farlo, che devo stare a casa, che al supermercato ci va lei, “tanto se muoio, a 82 anni, cosa vuoi che me ne freghi, vado a trovare tuo padre”, mentre io, secondo lei, sono quello che non deve rischiare, e se m’ammalassi, si sentirebbe “in colpa”.

      • “Il “running high” sarà la droga di riferimento della contestazione”. Oggi ho visto, su un versante collinare un po’ esposto, gente che letteralmente scappava, procedendo a vista in salita a monte di un abitato. Non ho idea di quando e come ci sarà un “dopo”, ma da due giorni ho la chiara percezione che uno dei lavori da fare sarà – e sono convinto che ci sarò – la rialfabetizzazione geografica delle persone e una maggiore condivisione delle pratiche per muoversi liberamente nello spazio. Avevo perso un po’ di attrazione per un mondo – diciamo quello del cosiddetto “outdoor”,per capirci – perché, almeno degli anni Novanta, l’approccio tecnico-agonistico aveva sopraffatto ogni altra voce (dalle mie parti, ad esempio, l’alpinismo e gli albori dell’arrampicata libera avevano avuto degli esempi di interpretazione “molotov” ante litteram, ma si erano gradualmente annacquati). In pochi giorni il significato del “darsi alla macchia” in qualche modo è completamente cambiato: la capacità di darsi delle “vie di fuga” è diventata una delle risorse più preziose, ed ha assunto una valenza politica devastante. Una delle cose che mi rende ottimista per il futuro in queste ore è proprio la prospettiva di lavorare in questo senso; leggo di chi lamenta la perdita di amicizie e di relazioni sociali: dai, su, ne troveremo di nuove reimparando a “sparire”.

    • Ciao Renard, capisco la tua difficoltà, anche io sono abituato a fare molta attività fisica (facevo l’attore di teatro fisico ed era normale allenarmi per quattro cinque ore al giorno ogni giorno) e se sto fermo ne risento anche a livello di umore e quindi di efficienza, anche mentale. Vivo in Austria e qui non hanno ancora messo in piedi l’apparato poliziesco che vedo all’opera in Italia, quindi sono molto fortunato di poter ancora andare a fare una corsa al parco. Ovviamente mi sono chiesto: e se chiudono tutto anche qua? E se anche qua arriverà l’idiozia di poter portare il cane (ne ho due) a passeggiare entro i cento o cinquanta metri da casa? Mi sono già detto che uscirò comunque: non posso permettermi di sbroccare subissato dalle preoccupazioni per il lavoro e per i soldi (sono stato licenziato in tronco insieme a tutt* le/i collegh* cinque giorni fa), non posso permettere di stare male per decreto legge, non posso fare avanti e indietro per un’ora con due cani sul marciapiede sotto casa. Non è giusto e non è vita. I ladri, di vita, sono chi da settimane sta spargendo paura e panico, chi fa e si diverte a fare il delatore, chi – come a scritto Tuco in non ricordo più quale commento – vuole che tutt* si inizi a vivere una vita di merda come la vivono loro. Solidarietà quindi e buone uscite, notturne magari :)

      • Lo sport praticato con regolarità riduce l’insorgere di molte malattie. Sinceramente non so quanti mesi potrei restare in casa senza preoccuparmi per la mia salute, vista la mancanza di movimento.

        Uscire di casa mi sta mettendo una sensazione di angoscia crescente, perché temo che qualcuno possa fotografarmi e magari fare un bel post su qualsivoglia social.

        La voglia è quella di fare una mega spesa e tagliare ogni contatto con il mondo esterno, poi penso anche a cosa succederà quando tutto sarà finito e dovrò per forza riallacciare i rapporti persi.

        Provo quindi sensazioni contrastanti, intrappolato in un limbo fatto di pareti invisibili, ma alo stesso tempo reali.

  49. Stamattina, portato a passeggio dal mio cane, sono passato di fianco a un gruppo di finanzieri che controllavano un vecchio. Mentre Scotty cagava, mi sono fermato ad ascoltare. Gli contestavano di non essere in prossimità della sua abitazione: aveva camminato per un chilometro. Il vecchio ribatteva che se prendi l’auto e vai a 60 all’ora dove c’è il limite dei 50, sai di aver commesso un’infrazione. Ma se uno ti dice di rimanere “in prossimità” della tua abitazione, come c’è scritto nell’ultimo decreto del governatore Bunazzén, come fai a sapere dove inizi a trasgredire il divieto? Si può multare uno che non può sapere se sta violando la legge? I finanzieri gli hanno attaccato il pippone sui posti in terapia intensiva che rischiano di implodere, a causa di gente che non rispetta le regole. Il vecchio ha risposto dicendo che lui lo metterebbe volentieri per iscritto, che se sta male per il virus non lo devono neanche curare, così non prende il posto a nessuno. – Ho 83 anni – ha insistito – E non speravo nemmeno d’arrivarci, a quest’età. Se il tempo in più che mi è concesso devo viverlo così, tappato in casa, da solo, tanto vale che crepo.
    I finanzieri lo hanno lasciato andare, “per stavolta passi, ma d’ora in poi rimanga nelle strade sotto casa sua”. Il vecchio ha risposto “sì, sì”, coma si fa per dare ragione a un rompicoglioni. Ha intrecciato le mani dietro la schiena e ha invertito la rotta della sua passeggiata.
    Il portico, per altro, era più affollato del solito. Non certo un assembramento, ma più gente rispetto all’ultima volta che c’ero passato, circa una settimana fa. Prima di allora, i parchi erano aperti, e il cane lo portavo ai giardini. Poi li hanno chiusi, e il cane lo portavo in un bosco segreto dietro la facoltà di Chimica Industriale. Poi il portiere della facoltà mi ha detto che non si poteva, e il giorno dopo hanno chiuso il cancello e affisso un cartello “vietato l’ingresso ai cani”. Ora il portico è diventato il luogo dove la maggior parte delle persone del quartiere si fa passeggiare dal proprio cane. Coi parchi aperti, c’era meno fitto.

    • Mai come in questa fase resistenza all’arbitrio e tanatofobia si sono elise a vicenda. Dove c’è l’una non può esserci l’altra.

    • Gli anziani a spasso, che dovrebbero essere la categoria più a rischio, ma che probabilmente i conti con la morte li han già fatti da tempo, stanno diventando la mia personale avanguardia della rivoluzione. L’anziano di cui parli ha perfettamente ragione: se per evitare di morire (di Covid) deve non-vivere, allora che differenza c’è? È un interrogativo che però dovremmo porci anche noi che – presumibilmente – abbiamo una aspettativa di vita più alta della sua.
      Non-vivere (per chissà quanto a lungo) per non morire (di Covid – ma magari poi morire comunque dopo per le conseguenze dello stato di emergenza) è l’unica possibilità di gestire questa situazione?

  50. Si è dispiegato il dispositivo del “nemico interno” in tutta la sua virulenza (non mi viene, davvero, un termine più pregnante). Del resto, se siamo in guerra, come va tonitruando Macron da qualche giorno – ma in ciò preceduto da una pletora di politici e amministratori locali italiani – occorrerà ben individuare soggetti su cui gettare addosso, alla bisogna, la colpa dell’inefficienza della strategia predisposta dagli stati maggiori. In questa circostanza, il nemico interno è rappresentato, a mio avviso, da due categorie principali. 1) Gli “irresponsabili”: una compagine in verità eterogena che comprende sia chi esercita pensiero critico e forme consapevoli di resistenza alle restrizioni più insensate, sia chi (ed è la maggioranza) si trova ad attuare pratiche finora non espressamente vietate da decreti e ordinanze confusionarie e si ritrova a scontrarsi con l’arbitrarietà non di rado abusante della forza pubblica. 2) Gli asintomatici e, in misura crescente, gli ammalati veri e propri. Se i primi corrispondono al, ehm, “profilo classico dell’untore” e sono in qualche modo ascrivibili anche alla categoria degli irresponsabili (e ciò, sostanzialmente, per non essersi autosegregati nel dubbio), i secondi costituiscono un saltò di qualità in senso deteriore della percezione comune. Premetto che su questo terreno mi arrischio, non voglio generalizzare e spero di farla più grossa di quanto non sia, ma dal mio osservatorio non posso non registrare un fenomeno preoccupante. Osservatorio dislocato, specifico, in quanto io vivo nella periferia di una grande città e le notizie dal mio paesino d’origine nell’appennino mi giungono necessariamente filtrate. In estrema sintesi, nei giorni scorsi si è verificato un caso di ricovero per coronavirus e il sentimento prevalente nei confronti del malcapitato sembra essere, più che la fantomatica empatia di cui noialtri difetteremmo, la disapprovazione per essersi recato a fare quotidianamente la spesa ed essersi intrattenuto in capannelli con altre persone fino a che non ha avvertito i sintomi del virus. Essendomi messo in “isolamento social” da diversi mesi, non ho però idea alcuna di cosa serpeggi in quelle lande e il mio tentativo di analisi manca di quel dato (per quanto sia prevedibilmente esasperato). L’instaurarsi di un clima nel quale gli ammalati di coronavirus sono come zombie che possono rimeritarsi la pietas solo con la dipartita definitiva è un’idea che mi atterisce, ne intravvedo i segnali ma spero tanto di sovrainterpretare. Cerco di confortarmi col pensiero che le persone sono una roba complessa e sfaccettata, e non per forza condannate alla bassezza.
    A questo si aggiunga la frustrazione di chi deve recarsi in ospedale a prescindere dal coronavirus e vede il proprio calendario di cure stravolto dall’emergenza: ho riscontrato anche in qualche caso a me vicino un risentimento del genere, indirizzato nei confronti di chi andando in ospedale anziché telefonare contagia l’ambiente e rende necessarie misure di bonifica. In questo caso, però, capisco molto di più l’emotività della reazione, e mi sforzo di indirizzarne il legittimo risentimento contro la classe dirigente che ha smantellato il sistema sanitario ponendo le basi della situazione attuale. E mi auguro anzi che il risentimento si tramuti presto in odio politicamente consapevole.
    Non lo so fino a che punto queste mie riflessioni possano essere utili a questo ossigenante presidio di elaborazione concettuale, per il quale ringrazio sia i gestori del blog sia chi vi interviene. Ma sentivo il bisogno di metterle per iscritto e partecipare in modo più attivo alla discussione.

    • Ma va, quale odio? 😑 Stanno osannando tutti quanti Conte perché “beh, non si poteva fare di più” ed a suon di “vorrei vedere te al suo posto”.

  51. Averci chiusi tutti in casa aiuta a proseguire l’ecocidio indisturbati. Come accade a Milano Bovisa, dove sono stati abbattuti 80 pioppi:

    https://thesubmarine.it/2020/03/20/goccia-alberi-quarantena/

    E ci sono ecocidio e smantellamento dei servizi sanitari pubblici (tanto in Cina quanto in Italia) alla base della mortalità per Covid.

  52. Qualcuno esperto in economia e finanza mi può spiegare in parole semplici in che cosa consistono questi “Eurobond”, che sembrano essere la panacea di tutti mali avvenire o l’ennesimo colpo di coda del finanzcapitalismo?

    Inoltre qualcuno può darmi una visione a breve termine a livello economico?

    • Ciao, scusa il ritardo magari hai già risolto il problema. Nel caso che invece no gli Eurobond sono dei titoli di stato “europei”, cioè dovrebbero essere emessi dalla Banca centrale europea. Con la vendita di titoli di stato si finanzia molta dell’attività statale.

      Alla seconda domanda invece credo sia quasi impossibile rispondere, gli economisti si stanno sbizarrendo, a me convince abbastanza Brancaccio ma quello su cui mi sembrano tutti d’accordo è che sarà una catastrofe (lo è già per alcuni versi), c’è da verificarne l’ampiezza

  53. […] demonizzazione del jogging, dei risvolti più moralistici che sanitari di questo sbrocco generale, si è discusso molto in calce all’ultimo post di Wolf Bukowski. Sembra quasi che il problema del Paese non sia il disastroso sovraccarico del sistema sanitario, […]

  54. Cronaca di Roma, ieri 19 marzo… una donna ferma su una panchina… arrivano le guardie su segnalazione di “un cittadino”….
    La donna risulterà scappata di casa e con evidenti segni di violenze, le guardie hanno poi arrestato il marito.

    Non è chiaro se la segnalazione sia avvenuta per denunciare il crimine orrendo di sedersi su una panchina o se per lo stato di bisogno di aiuto di cui necessitava la donna. Sta di fatto che una certa situazione sembra cortocircuitata. Se chi ha bisogno di aiuto e non ha la forza e il modo di chiamare i soccorsi si siede su una panchina potrebbe paradossalmente ricevere aiuto grazie a quei “cittadini” a cui magari non interessa della violenza tra le mura domestiche…

  55. Banca Etica e Produzione dal Basso hanno creato un’interessantissimo ciclo di webinar aperto a tutti senza nessuna distinzione, ma il focus degli argomenti è particolarmente indicato per soggetti del terzo settore e del non profit, mondo del volontariato, freelance, lavoratori cognitivi, associazioni culturali, artisti, organizzatori di eventi, formatori, imprese sociali e cooperative.

    https://www.attiviamoenergiepositive.it/?fbclid=IwAR2sbmIFXzzKMw-_sKQ3aGrugiJbl_xg7AtV7C9w7cnd_EeWyiKekP7zXQg

  56. Ormai tutti contro i frequentatori dei parchi e passeggiatori che non rispettano le ordinanze (cosa falsa, ma come al solito, se continui a ripeterlo la gente poi ci crede.
    https://video.lastampa.it/milano/coronavirus-milano-gente-al-parco-nonostante-l-emergenza/111621/111620
    Notare che sono persone da sole oppure coppie che si può anche presumere conviventi – oggi mi hanno detto che i vigili hanno fermato una coppia di anziani -marito e moglie – che camminavano, perché non rispettavano le distanze interpersonali. Fra loro due.
    Un altro, da solo, ottantaseienne, fermato e quasi multato già due volte perché era andato a comprare il giornale sforando nel comune a fianco (vicino a casa tutte le edicole sono chiuse da tempo), o a fare la spesa in un negozio “troppo lontano”.
    Nel frattempo diversi amici hanno continuato a lavorare in fabbrica fino a pochi giorni fa, fianco a fianco, e condividendo costantemente ambienti di lavoro senza alcuna protezione o procedura di disinfezione, senza nessun controllo medico.
    Strade verso la periferia e parchi deserti. Ma davanti ai supermercati, code sempre più lunghe. E pochi isolati dove si concentrano abitazioni e commercio, sempre più gente – visto che non si può allontanare dove invece non c’è nessuno.

  57. Segnalo un video dalla finestra che è girato su twitter.
    Un ragazzo veneto litiga di brutto con un carabiniere che l’ha fermato per controlli.
    Intima al carabiniere di non toccarlo e di non fargli riprese video.
    Alla fine dello sclero mette le mani avanti e gli dice “e allora arrestami”.
    Ovviamente viene arrestato e caricato nella volante. Già lì lo si sente gridare per le botte.

    Infatti poi è girato un altro video autoprodotto in cui lo stesso ragazzo (presumo stamattina dopo il rilascio, se il video era di ieri pomeriggio) con la voce strozzata e il pianto in gola fa vedere quanto gli hanno gonfiato la faccia in caserma a manganellate.

    Vi risparmio il riassunto dei commenti forcaioli sotto al tweet.

    • Visto anch’io. Commenti sotto al post agghiaccianti. Personalmente ho scritto nei giorni scorsi una risposta a un tweet del Prof. Burioni (Ormai da giorni salito al ruolo di Leader Maximo Assoluto dell’Italia), sollevando educatamente qualche riflessione sulle libertà personali… Un risposta al mio tweet una utente ha scritto “A me delle libertà fondamentali non me ne frega niente se serve a fermare la pandemia.” e ha ricevuto centinaia di like e retweet. Quando si dice la tanatofobia (e l’ignoranza).

      • La massa così agisce, lo sappiamo da tempo. Certe discussioni sono afffontabili solo in “luoghi” come questo (che ho scoperto per puro caso stanotte e che non stento a lasciare perché davvero pieno di spunti), “luoghi” rari. E cone dico sempre, le rarità ai rari. È tempo perso confrontarsi con altre ideologie, tanto difficilmente le cambi (e se per sbaglio ciò accade, stai certo che prima o poi cagheranno di fuori con qualche assurda teoria inculcata.)
        Facebook lo sto abbandonando pure io, lo avevo già fatto agli albori del Salvinismo, mi son ricreduto nuovamente (non era la prima volta) perché l’ho sempre considerato uno strumento utile se usato a dovere (infondo pensavo bastassero i filtri, bastasse eliminare la feccia e tenersi solo ciò che effettivamente vale la lena trovarsi nella home… Pensavo…), per poi trovarmi a reperire lampanti conferme in questo periodo di quanto sia in realtà solo dannoso, con pagine, gruppi e persone che non avrei mai considerato capaci di tali aberrazioni.

  58. Intervengo anche io, dopo avervi seguito per giorni, con un commento probabilmente inutile.
    Innanzitutto grazie ancora, per il punto di vista analitico che state portando avanti e per l’interessante discussione.
    Qui in Francia abbiamo una decina di giorni di ritardo; torno appena adesso da una passeggiata (qui è concesso), durante la quale ho incrociato decine di joggers (molti più del solito, o forse è perché ci ho fatto caso). Be’, hanno recintato le spiagge: non si può più fare la passeggiata lungo il mare.
    Quelle transenne mi sono sembrate un simbolo dell’assurdità di quello che sta succedendo.
    E sono venuta in questo spazio perché purtroppo so che non posso parlarne con la maggior parte dei miei amici, che ripeterebbero la frase “per colpa di pochi irresponsabili si è costretti a prendere misure drastiche e limitare tutti”.
    Io credo che molti siano ligi nell’osservanza dei decreti per una sorta di “sindrome del fioretto”: se mi privo di qualcosa che mi sta a cuore, mi salvo – giusto per citare Manzoni :-) è terribilmente irrazionale, lo so, ma non mi spiego altrimenti.

    Bon, grazie per lo spazio che mi avete concesso.

    • Mi sembra un approccio interessante. in realtà. Chiamare in ballo una dimensione religiosa mi pare troppo, significherebbe almeno uno straccio di cosmogonia, teologia, escatologia etc… Direi piuttosto una dimensione di puro rituale apotropaico, facciamoci un po’ di male per il bene futuro; male che è totalmente irrelato con il contenimento del virus.

  59. Mi auguro non si scada nel ageismo che peraltro confligge con la sportivitá,sono della protezione civile della federazione Italiana triathlon,ho visto giovanissimi e non con un umanitá che trascende individualismi, classismo e razzismi.

  60. Tra la miriade di spunti fondamentali forniti da Wu Ming, Wolf ed altri giapster in questa serie di interventi, penso che uno dei più importanti sia che un sacco di compagne e compagni si siano dati di nebbia nel dibattito relativo a questa stretta securitaria in nome dell’emergenza virus, o anzi l’abbiano proprio caldeggiata… Lo stesso darsi di nebbia registrato da anni (decenni?) all’interno del dibattito sull’emergenza, creata ad arte dai mass media, relativa alla violenza negli stadi, che ha portato ad una spirale continua di allarmi sociali-repressione-ulteriore allarme-ulteriore repressione… Quando in realtà la stragrande maggioranza dei morti all’interno e all’esterno degli stadi è stata causata sempre e solo dai tutori dell’ordine. Mi fa malissimo riconoscere un sacco di similitudini tra le ore passate a cercare di far ragionare chi allo stadio non ci è mai stato (“Prima agli ultrà e poi in tutta la città” recitava uno striscione esposto in molti stadi tanti anni fa) e la caccia alle streghe di oggi contro chi oggi “si ostina a fare jogging”. E così dal Daspo di curva si è passati al Daspo urbano, perchè tanto “se ti hanno daspato qualcosa devi pur averla fatta”. Sarebbe interessante inserire nel dibattito sul “decoro” anche tutto il discorso relativo a come le curve italiane siano state forse uno dei principali laboratori di repressione sociale in Italia…
    E’ solo un ulteriore spunto di riflessione in questa fecondissima discussione, mentre tanti compagni di strada, di curva e di lotta ci stanno voltando le spalle, impauriti dall’ennesima emergenza.

  61. Cari, volevo ringraziarvi per il lavoro che state facendo su Giap. Vorrei anche sollevare un nuovo argomento di discussione che mi sembra OT ovunque. Però mi sembra giusto discuterne con voi. E l’argomento è la scuola.

    Finora, nelle discussioni, il problema della scuola nell’attuale crisi sanitaria è stato affrontato di sfuggita, sotto il post sulla degooglizzazione, sottolineando il ruolo delle aziende private che ci si infilano dentro – ed è tutto vero, ma io volevo invece concentrarmi su un altro aspetto che sto osservando, e che secondo me si presta a un parallelismo con quel che accade nella gestione politica dell’ordine pubblico, e questo aspetto è la svolta autoritaria. Non solo la svotla autoritaria nella gestione della scuola, l’esautoramento degli organi collegiali, ma proprio la svolta autoritaria nella didattica. Io sto sentendo parlare di collegh* che, con la pretesa di far scuola come se nulla fosse accaduto, e non potendo esercitare il solito controllo che evidentemente credono sostanziale al proprio ruolo, interrogano in videoconferenza pretendendo che gli studenti stiano nell’inquadratura a mani alzate, richiedono la condivisione dello schermo, fanno spostare le webcam per esplorare l’ambiente frugando praticamente nelle camerette degli adolescenti o nel loro tinello di casa.

    Una piccola precisazione: chi mi conosce ricorderà che sono di Catania ma lavoro in una scuola superiore a Bergamo. Dove lavoro, forse perché la crisi sanitaria sta colpendo più forte e l’illusione che nulla stia accadendo è meno sostenibile, questo problema mi sembra più sotto controllo (anche se siamo sulla buona strada). Da quel che sento di amic* rimast* a Catania o emigrati altrove, mi metto le mani nei capelli.

    Detto questo, mi pare che il parallelismo di cui parlavo si veda sotto due punti di vista. Il primo: una regolamentazione ambigua, più retorica che concreta, che si presta a letture praticamente opposte. Intendiamoci: è un bene, che sia garantita la libertà di insegnamento, ma come giustamente nota Luca questo apre la strada al fatto che qualcuno si senta in dovere di mettere in atto comportamenti che, alla lettera, non sono prescritti. Secondo: l’atteggiamento per cui la figura di potere deve mostrarsi energica, decisionista, far vedere che ha la situazione in pugno.

    Ma forse c’è anche qualcosa di più: un’idea distorta del ruolo docente, e più in generale della funzione pubblica, per cui collegh* anche di idee progressiste, quando mess* sotto pressione, finiscono più o meno consapevolmente per perpetrare il modello del padre severo.

    Sono l’unico che sta osservando un problema di questo tipo?

    • “è giusto”…
      Oddio, io di “giusto” nel sistema scolastico italiano (ahimè, non solo) ci trovo ben poco se non nulla. Vai a vedere come fanno scuola in Norvegia (o Danimarca, perdonami, ora non ricordo) e poi dimmi se un sistema scolastico simile potrebbe mai patire degli effetti di una pandemia o di una crisi qual si voglia.
      Il problema non è l’emergenza e le sue conseguenze ma bensì a monte, il problema è la scuola così come intesa (ancora tra i capisaldi del insegnamento odierno riejtra inculcare l’attribuzione della scoperta del Nuovo Mondo a Colombo, quando giusto stanotte, giusto prima di capitare per caso in questa magnifica discussione, mi son trovato su youtube, sempre per caso, The cocaine mummies, documentario che si conclude con un possibile ed a mio avviso più che credibile rapporto tra la cultura egizia ed il continente Americano, cosa di cui a scuola nemmeno ho mai sentito lontanamente nominare… ed ho fatto il Classico, insomma, non una scuola professionale qualsiasi, con tutto rispetto, anche perché le considero di gran lunga più utili, seppur anche quelle completamente sbagliate. E questo è solo un esempio ma potrei andare avanti al infinito).
      La scuola andrebbe totalmente (ergo, TOTALMENTE) ripensata e ricostruita dalle fondamenta, oggi oserei quasi dire che non serve andare oltre le medie, le nozioni ormai ce l’abbiamo tutti o quasi a portata di mano, ti posso calcolare la radice quadrata di stocazzo in quattro e quattr’otto (passami il francesismo) eppure a matematica son sempre stato una schiappa, non serve andare a scuola, non così almeno, quello è spreco di denaro pubblico (quel poco che ci mettono), dannoso ed incredibilmente funzionale. E mi dispiace, ma buona pace all’anima dei proffessori, trkvassero qualcosa di più utile da fare (educazione civica ad esempio sarebbe un’ottima alternativa) invece di riprodurre a stampo analfabeti funzionali, ad evidente discapito di tutta l’intera società (ed infatti, 2020 ed eccoci qui a discutere sui runner)

  62. Grazie per lo spazio di libertà in cui l’intelligenza collettiva può ancora svilupparsi.
    Provo a dare anch’io qualche spunto sperando che contribuisca al ragionamento.

    Attilio Fontana su Radio24: “Viva la legge sulla privacy ma, in questo momento, se anche in qualche aspetto ci può essere una violazione per sconfiggere il virus, io sarei favorevole all’utilizzo”.

    In uno stato in cui sono ancora in vigore le “leggi speciali”, ritengo fondamentale il lavoro di decostruzione della narrazione dell’”emergenzialità”, conscio che la paura che lo stato d’emergenza si trasformi nella norma è tutt’altro che paranoia ed ancora più importante in un momento come quello attuale, in cui il panico annienta ulteriormente le coscienze facendo scivolare anche i più insospettabili nel magma del pensiero unico facilmente plasmabile in uno stato totalitario.
    Spero di non andare O.T., ma vorrei aggiungere uno spunto di riflessione riportando alcuni stralci da un articolo di Byung-Chul Han apparso su El Pais (https://elpais.com/ideas/2020-03-21/la-emergencia-viral-y-el-mundo-de-manana-byung-chul-han-el-filosofo-surcoreano-que-piensa-desde-berlin.html), in cui descrive l’utilizzo dei Big Data nei paesi asiatici per contrastare la diffusione del Coronavirus. Ritengo importante l’argomento perché il nemico invisibile ha tramutato in potenziale nemico chiunque, trasformando in questo modo qualsiasi rapporto umano (perfino quelli di affetto e cura) in una minaccia, se non mediato da un supporto tecnologico. Gli scenari raccontati dal filosofo portano alla mente le atmosfere della serie “Black Mirror”(traduzione, fatta male, mia):

    “In Cina, ci sono 200 milioni di telecamere di sorveglianza, molte delle quali dotate di una tecnologia di riconoscimento facciale molto efficiente (…) L’intera infrastruttura per la sorveglianza digitale si è ora dimostrata estremamente efficace nel contenere l’epidemia. Quando qualcuno lascia la stazione di Pechino viene automaticamente catturato da una telecamera che misura la sua temperatura corporea. Se la temperatura è preoccupante, tutte le persone sedute nella stessa auto vengono avvisate sul cellulare. Non per niente il sistema sa chi era seduto sul treno. I social network riferiscono che anche i droni vengono utilizzati per monitorare le quarantene. Se uno infrange clandestinamente la quarantena, un drone vola verso di lui e gli ordina di tornare a casa sua.”
    Spero non sia vero, ma nell’articolo Byung-Chul Han sostiene che:
    “Nel frattempo, la Cina ha introdotto un sistema di credito sociale inimmaginabile per gli europei, che permette di assegnare un punteggio e una valutazione approfondita dei cittadini. Ogni cittadino deve essere valutato in modo coerente nel suo comportamento sociale. In Cina, non c’è momento nella vita quotidiana che non sia soggetto ad osservazione. Ogni click, ogni acquisto, ogni contatto, ogni attività sui social network è monitorata. A chi passa col rosso, a chi ha a che fare con i critici del regime o a chi pubblica commenti critici sui social network vengono tolti dei punti. Allora la vita può diventare molto pericolosa. D’altra parte, coloro che acquistano cibo sano online o leggono i giornali legati al regime ottengono punti. Chiunque abbia abbastanza punti ottiene un visto di viaggio o crediti a buon mercato.”
    “Chiunque si avvicini a un edificio in Corea dove una persona infetta è stata infettata riceve un segnale di allarme tramite la “Corona-app”. Tutti i luoghi in cui sono stati infettati sono registrati nella domanda. La protezione dei dati e la privacy non sono prese in considerazione. In tutti gli edifici in Corea, le telecamere di sorveglianza sono installate su ogni piano, in ogni ufficio o in ogni negozio. È praticamente impossibile muoversi negli spazi pubblici senza essere ripresi da una videocamera. Con i dati del cellulare e le riprese video, è possibile creare il profilo completo dei movimenti di una persona infetta. I movimenti di tutti gli infetti sono pubblicati. Può succedere che si scoprano segreti amorosi. Negli uffici del Ministero della Salute coreano ci sono persone chiamate “tracker” che, giorno e notte, non fanno altro che guardare video per completare il profilo di movimento degli infetti e localizzare le persone che hanno avuto contatti con loro.”

    “A Taiwan, lo Stato invia contemporaneamente a tutti i cittadini un SMS per localizzare le persone che hanno avuto contatti con gli infetti o per segnalare luoghi ed edifici in cui le persone sono state contagiate. In una fase molto precoce, Taiwan ha utilizzato una connessione di vari dati per localizzare le persone potenzialmente infette in base ai viaggi che avevano fatto.”

    Questa “sorveglianza sociale è possibile perché esiste uno scambio illimitato di dati tra i fornitori di Internet e di telefonia mobile e le autorità. La protezione dei dati è praticamente inesistente”. La tecnologia renderebbe oltretutto possibile “una biopolitica digitale che accompagna la psicopolitica digitale che controlla attivamente le persone”.
    Sentire il governatore della regione Lombardia Attilio Fontana che afferma a Radio24: “Io sono dell’opinione che quando si va in guerra si possono superare anche delle leggi che è giusto che ci siano in tempo di pace. Viva la legge sulla privacy ma, in questo momento, se anche in qualche aspetto ci può essere una violazione per sconfiggere il virus, io sarei favorevole all’utilizzo” mi fa paura, ma forse è solo paranoia…

    • La verità è che le parole di Fontana potevano essere state pronunciate – o meglio sono certamente già state pronunciate – davanti a qualsiasi altra crisi, vera o inventata che fosse. Facciamo un esperimento mentale con una piccola modifica:

      «Io sono dell’opinione che quando si va in guerra si possono superare anche delle leggi che è giusto che ci siano in tempo di pace. Viva la legge sulla privacy ma, in questo momento, se anche in qualche aspetto ci può essere una violazione per sconfiggere *la diffusione della cannabis tra i minorenni*, io sarei favorevole all’utilizzo”.

      Non è perfetto? Non è perfettamente plausibile? Dunque era solo questione di tempo, la possibilità tecnica era già lì, serviva solo l’occasione per sfruttarla.

      Ora si apre, con l’acceleratore costituito dal virus, una fase che doveva aprirsi necessariamente. L’accettazione acritica del modello totalitario cinese è l’epidemia più duratura che risulterà *importata* in Europa a causa dell’asse Cina-Italia. Qui la responsabilità storica della nostra patetica classe dirigente, il conformismo dei suoi opinionisti, la banalità delle loro supposte *opinioni* stesse, ha funzionato come posta al «rialzo» verso il totalitarismo che ha via via piegato quasi ogni diversa sfumatura possibile nel contrasto all’epidemia.

      Ma restando all’interno del modello «asiatico-italiano», è chiaro che le posizioni del governo Conte II sono state *plasmate* dai governatori leghisti del nord, e anche qui siamo alla norma: i leghisti battono il tempo, la «sinistra» e i suoi alleati adeguano la danza, esibendo ballerini talvolta un po’ più presentabili ma senza cambiare ritmo e melodia.

      Al netto del fatto che le considerazioni di Byung-Chul Han sono un po’ generiche – è probabile che il tecno-bio-dispotismo da lui illustrato abbia più di una smagliatura, ed è anche difficile dire se sia quello davvero quello il motivo di una minore diffusione del contagio – è chiaro che sono un importante avvertimento; e la stoccata finale a chi crede che il virus sia un «colpo mortale» al capitalismo è sacrosanta.

      Chi vuole farsi male, in questi giorni, può sentire Federico Fubini commentare i giornali su radio 3. Ebbene: indebitamento verso il Fondo Monetario e attacco al sistema pensionistico sono le parole d’ordine che il vicedirettore del corrierone sta già lanciando per il dopo-crisi; viene anche risvegliato, dalle ragnatele del ripostiglio della storia recente, lo spirito di Monti.

      Questa la duplice presa da cui sarà necessario smarcarsi. Il ricatto morale da una parte, l’oppressione politica dall’altra.

  63. Un articolo de Linkiesta si occupa delle implicazioni giuridiche dell’eventuale (ma ci sono già pressioni al riguardo) importazione del modello sudcoreano: https://www.linkiesta.it/2020/03/tracciare-i-contagiati-funziona-ma-in-italia-sarebbe-legale-coronavirus/

  64. […] Y es precisamente la continuidad entre las cruzadas por el “civismo” y la gestión de la epidemia de Covid-19 lo que está en el centro de este artículo de Wolf Bukowski.[…]

  65. Nel frattempo, la Fondazione Ugo Bordoni è al lavoro per salvarci la vita (in senso stretto), al solo costo della nostra vita (in senso più ampio):

    Antonio Sassano (FUB) ‘Obbligatoria e basata sul Bluetooth, la nostra App contro il Covid-19’

    Come sempre, ascoltare i tecnici senza contraddittorio politico fa solo venire il mal di pancia:

    “Per ciascuno di noi andrà memorizzato l’insieme delle persone alle quali ci siamo avvicinati a meno di un metro e per un periodo di tempo sufficientemente lungo. Prima ancora di sapere se una di queste persone è o si rivelerà positiva al test. Dovremo costruire una ragnatela di collegamenti (un grafo, diremmo noi ottimizzatori) che legheranno ciascuno di noi con le persone con le quali siamo venuti in contatto nei 20 giorni precedenti.”

    Critiche al “modello coreano” che viene accusato di non essere pratico, nonostante sia stato non solo messo realmente in pratica, ma anche realmente funzionante:

    “[M]irare le politiche di test (fondamentale perché non possiamo immaginare campagne di tamponi a tutta la popolazione) e di monitorare il comportamento dei singoli.

    […]

    Il modello coreano traccia i positivi e coloro che hanno interagito con loro. Il nostro traccia tutti. Dicono i coreani “se ti scopro positivo allora vado a vedere quelli che nei giorni precedenti sono stati con te in qualche cella telefonica”. Ma questo insieme, come detto, potrebbe essere un insieme troppo ampio!”

    Poi una delle mie parti preferite:

    “Bene, noi stiamo già sviluppando un’applicazione che rileva il segnale Bluetooth, calcola tempo e distanza e memorizza (nel telefonino e sul “cloud”) l’avvenuta interazione tra due persone. Ecco come nasce il collegamento sulla ragnatela delle interazioni. Semplice, veloce e soprattutto preciso.”

    Semplice, veloce, preciso e falso. Non sembra abbiano considerato banalità come il fatto che un telefono non è un orologio da polso e (anche con l’inapplicabile obbligo di averlo sempre con sé) non starà sempre addosso a una persona, o a persone separate da pareti impermeabili al virus ma permeabili al Bluetooth, o che le antenne Bluetooth non sono direzionali e la distanza può essere anche verticale (con un pavimento in mezzo) e l’applicazione questo non potrebbe mai saperlo. Per non parlare del fatto che l’applicazione non può sapere in alcun modo se sto indossando dei DPI a prova di virus nel momento del presunto contatto. Anche una piccola percentuale di falsi allarmi causati da queste limitazioni metterebbe in comunicazione reti di contatti che in realtà non lo sono, spandendo l’errore come una macchia d’inchiostro

    Non mi spiego neanche come possano fare esempi del tipo “la persona è stata a meno di un metro e mezzo e per almeno venti secondi (ad esempio) da altre 15 persone che erano vicine a lui nel vagone” nella stessa intervista in cui dicono “i gruppi saranno più o meno estesi, geograficamente limitati (un gruppo di Crotone non dovrebbe contenere altoatesini)”. Ma del resto, è bene scordarci la libertà di associazione e movimento, perché:

    “Se un gruppo cresce troppo rapidamente nel tempo abbiamo un “assembramento”. Possiamo intervenire.

    […]

    Ovviamente l’uso dell’app dovrebbe essere obbligatorio per muoversi nella fase post-crisi. Invece di verificare se abbiamo l’autorizzazione cartacea, le forze dell’ordine dovrebbero verificare se l’app sta funzionando e non è stata manomessa. Per questo motivo, credo saranno necessari interventi di Legge. In particolare, per rendere obbligatorio il portare con sé un cellulare con una versione di Bluetooth. Forse è la cosa più complicata da forzare per legge”

    Ma tanto l’unico danno collaterale sarebbe la “perdita della privacy”:

    “Inoltre, credo anche la normativa Privacy dovrà essere opportunamente “ritoccata”. Si tratta di un punto molto, molto delicato. Queste app apriranno brecce nel muro della Privacy. E’ un passaggio inevitabile, la salute e la vita vengono prima del diritto alla riservatezza. Nella nostra applicazione i telefonini comunicano fra loro senza scambiarsi dati personali, le informazioni dei nomi delle persone interagenti sono criptate e leggibili solo dall’Autorità Pubblica.”

    O fai una schedatura completa di tutte le persone nel paese, oppure stai attentando alla vita di tutti in cambio di un lusso come la riservatezza. Tertium non datur

    “Per questo, al contrario del metodo coreano, la nostra applicazione consente di mirare le politiche di test ai gruppi più grandi e, “last but not least”, consente di ridurre la dimensione dei gruppi suggerendo limitazioni di interazione di specifici individui o sottogruppi di individui. ”

    Insomma, al contrario del metodo coreano (che con tutti i suoi problemi, funziona e che comunque prevede test in massa e normalizzazione dell’uso delle mascherine), che si limita a misurare i comportamenti, noi i comportamenti li vogliamo controllare. Tutto normale

  66. […] pensiero critico autonomo, tra la realtà dell’epidemia e il modo in cui il governo, tramite decreti e funzioni securitarie, la affronta. Non è contemplata la capacità del cittadino di comprendere le dinamiche del […]

  67. Saluti a tutti, il mio contributo alla situazione ‘paranormale’ che stiamo vivendo da oltre 1 mese con la segnalazione di due articoli apparsi nei giorni scorsi il cui contenuto è ovviamente off-limits nel circo massmediatico imperante
    https://monthlyreview.org/2020/03/27/covid-19-and-circuits-of-capital/
    e
    https://grain.org/en/article/6437-new-research-suggests-industrial-livestock-not-wet-markets-might-be-origin-of-covid-19
    Con i miei sinceri complimenti a tutte le persone che lavorano su questo sito.
    Grazie per il prezioso aiuto che ci date in queste settimante difficili per tutti noi.

  68. ciao, ho scoperto da poco il sito grazie a una segnalazione

    grazie Wu-Ming
    grazie agli autori dei post che seguono
    leggendovi ho fatto un passo avanti nel sentirmi meno solo
    non per isolamento fisico ma perchè cominciavo a chiedermi se ero l’unico ad avvertire che qualcosa non quadra in mezzo a questo casino
    non “per colpa del coronavirus” ma in seguito alle decisioni UMANE

    Avrei concluso qui il mio primo commento su Wu Ming ma ho ricevuto un messaggio di policy. Compreso e condiviso

    Aggiungo che finito di leggere le due puntate sul decoro dentro di me è ancor più forte l’interrogativo su come ci si possa opporre all’onda che ci sta portando via in mezzo al mare dell’unanimità

  69. Ivan Cenzi, blogger e curatore del sito “Bizzarro Bazar”, cita Wolf nel suo lemma “Tendenze securitarie” per il Dizionario del tempo del virus:
    http://www.lacittachesale.eu/2020/04/05/dizionario-del-tempo-del-virus-r-z/#Tendenze
    “Vi è una dimensione sovversiva dell’essere malati, cioè etimologicamente “mal atti”, non adatti, disadattati rispetto agli standard imposti dal consorzio sociale.
    Una cultura priva di malattia non è una cultura sana: una società senza depressi, drogati, mistici o pazzi dall’occhio spiritato, senza cellule cancerose e rivoltose – insomma una società senza dèmoni, è una società morta. Schiava del tetro ordine che vorrebbe l’uomo ridotto alla sola misura fisica, dell’imperativo categorico mens sana. I corpi “mal atti”, improduttivi e osceni, sono tabù. Allora «proteggere la malattia» può diventare una forma di ribellione: significa smascherare il gioco del Controllo, abbattere i cancelli dorati della Nazi-Disneyland che ci vuole sorridenti e selfiegenic, gettare la zavorra, ammettere l’evidenza del terrore e del mistero tutto attorno. Dio ci scampi dall’essere sempre sicuri e sani.”

  70. Non credo servano ulteriori dimostrazioni che l’emergenza coronavirus viene utilizzata per perseguire anche altri obiettivi, che non hanno nulla a che vedere con la salute, ma rientrano nell’agenda dell’ideologia del decoro.
    Repubblica Bologna, con una sfacciataggine terrificante, pubblica oggi un video, firmato GEDI visual, ma ripreso col cellulare da una finestra, dirimpetto al portico di via Petroni, in zona Universitaria, luogo simbolo della lotta al degrado, alla “movida incontrollata”, per il decoro cittadino. Nel video si vedono una trentina di persone, all’aperto, che chiacchierano, sicuramente senza tenere la famigerata distanza di sicurezza. In ogni caso, rispetto a una “normale” serata di primavera in quella zona, si tratta di un “assembramento” minuscolo, che non arriva al 10% dei numeri abituali. Come titola Repubblica quel video? “Bologna, via Petroni non cambia pelle: assembramenti sotto i portici”. Non credo ci sia bisogno di particolari doti da esegeta per comprendere come quel “non cambia pelle” contenga un sottinteso osceno: speravamo la cambiasse, grazie al coronavirus, e invece, vacca boia, nemmeno coi morti e col terrore sanitario siamo riusciti a cacciare questi rompicoglioni.
    E questo, mentre in altri articoli si eleva un peana alla fine del lockdown duro, alla riapertura dei parrucchieri e dei ristoranti, con l’ennesimo, mostruoso effetto di doppio legame: “Vai, si riprende, evviva la vita!” + “Stronzo, che cazzo fai, ti assembri sotto i portici e ti dai alla movida” = schizofrenia sociale.

  71. Già è proprio così, questa schizofrenia e ” doppio legame” nella comunicazione ha effetti che si proiettano in maniera negativa anche nella vita di relazione quotidiana, inquinando la logica nei ragionamenti. È come se si fosse impostato un meccanismo/ schema di comunicazione in grado di sfuggire alla “logica concreta” degli argomenti, per girarci sempre intorno in maniera ricattatoria. Comunque! Qui in centro a Bologna, gli unici assembramenti che abbiamo visto veramente, soprattutto in piazza Verdi, sono assembramenti di forze dell’ordine. Ma quelli vanno bene… La piazza è stata assediata da sfaccendati in divisa h 24. Tanto che il presidio ha preso la consistenza di un’ entità permanente. Come nei territori di guerra. Ovviamente piazza Santo Stefano o altre piazze della “Bologna bene” sono state risparmiate perché, lì, si che la presenza di energumeni armati in divisa avrebbe potuto deturpare il ” bucolico” paesaggio della buona borghesia che certe cose mica vuole neanche vederle. E difatti in zona tribunali, l’aperitivo e gli assembramenti sotto l’ ala protettrice della caserma dei carabinieri sono consentiti. Mica si tratta di plebei, tutta gente civile… a riprova del fatto che l’emergenza sanitaria è anche un utile paravento per l’ ideologia del decoro che identifica il suo virus nel ” degrado”.

    • Ma sapete cosa mi da schifo? Che certi giornali siano talmente inutili e vacui che stanno di nuovo cavalcando l’onda dell’indignazione verso presunti assembramenti a scopo “ movida” sempre sulla linea del “ apriamo i locali, ma non dovete andarci, o se ci andate consumate al volo e via senza che vi scappi mezzo sorriso ad un altro avventore; apriamo i parchi ma se rimangono vuoti è meglio”… Pensate che in Sardegna hanno “ riaperto” le spiagge ma è interdetta la balneazione. Ma perche?! Ci siamo spremuti per mesi la materia grigia per capire il confine tra attività motoria e ludico ricreativa. Saltare la corda era vietato? Correre ridendo era comportamento sanzionabile? Solo a me fa impazzire sentire Zaia, che dopo la quotidiana dose di autoincensazione, avverte: “ troppa movida, se aumentano i contagi ci si richiude nelle case con il silicone?” A me non fa ridere lui, nè tanto meno De Luca. Usano toni che si addicono ad un film di Sacha Baron Cohen senza la parte divertente. E ci rappresentano?

      • Finché ci sarà il timore che i contagi ripartano, per via di aspetti della chiusura meno raccontabili e notiziati, come la sicurezza sul lavoro, ci sarà anche la necessità di mantenere l’indignazione focalizzata su altro. Siccome la “movida” è già motivo di indignazione, grazie all’ideologia del decoro e ai comitati di residenti, siccome gli “assembramenti” in certe strade sono già stigmatizzati e oggetto di delazione, ecco che nella Fase 2 diventano l’untore ideale, il capro espiatorio preventivo. I runner o i bambini potevano andar bene nella Fase 1, nel clima più duro, che permetteva di puntare il dito anche contro… l’aria. Ora serve qulacosa di più accettabilmente inaccettabile – senza però scadere in un razzismo smaccato, che nel salottino di Repubblica farebbe tanto brutto. Quindi non “gli zingari”, non “i poveri”, ma la movida da studente fuorisede. La gente che sta in strada. E quindi sì, anche gli zingari e i poveri, ma detto in un modo più discreto.

  72. Devo rettificare: sua Maestà il Governatore ha decretato che i bagni in mare si possono fare, ovviamente nel rispetto del distanziamento. Non ho ho capito da dagli umani o anche dai pesci. Purtroppo sembra Novembre, quindi nessuno approfitterà per ora della concessione. Può sembrare un dubbio sciocco, ma stiamo assistendo da mesi ad una sorta di feticismo per la minuzia normativa.
    Ci si addentra in descrizioni talmente dettagliate che si scade nel ridicolo. Il sindaco di Sassari, centro con il triste primato di contagi nosocomiali e pessima gestione delle strutture di assistenza residenziale, ha addirittura specificato con ordinanza le modalità con cui si deve camminare sui marciapiedi per evitare pericolosi incroci. Ora, avete più volte sottolineato come soprattutto i “primi” cittadini pur di mostrare efficienza abbiano fatto a gara a chi introduceva le misure più “ wow” però alla lunga sta diventando offensivo essere trattati come triglie.